Gli anni che segnalarono l'estinzione del Patriarcato di Aquileia furono particolarmente vivaci dal punto di vista delle realizzazioni architettoniche ed artistiche tra Friuli e Istria, come dimostra l'attività del vescovo di Cittanova Marino Bozzatini (1742-1754). L'articolo analizza le sue commissioni e mediazioni nel campo delle arti visive, che includono gli altari nella chiesa di Santa Maria della Misericordia a Buie, con le sculture della bottega dei Groppelli e la pala d'altare di Giovanni Battista Pittoni, ma anche la riconfigurazione del presbiterio della cattedrale di Cittanova e il nuovo Duomo di Buie, entrambe opere dell'altarista, scultore e architetto proveniente da Palmanova Carlo Picco. Questi rifacimenti estensivi degli spazi sacri più importanti della diocesi emoniense si spiegano particolarmente alla luce della politica cultuale e liturgica del vescovo, in dialogo con le forze locali e le autorità veneziane.
Between the end of the 18th century and the first decades of the 19th century, the eastern coast of the Adriatic experienced dramatic regime changes; after centuries of Venetian rule, Istria and Dalmatia became part of the French Illyrian Provinces, later becoming a dominion of the Habsburgs. Against the background of these political events, the essay explores the contribution of French architects and artists to the European circulation of knowledge on ancient and medieval buildings in the region, in other words, to the formulation of an orientalizing and peripheral image, seen as an intermediate zone between Greece and Italy.
The first comprehensive exhibition on historical Dalmatian architecture opened at the Academy of St. Luke in Rome in June 1943, destined to remain the last propagandistic cultural effort of the Fascist regime. The purpose was the legitimization of the Italian administration in Dalmatia between 1941 and 1943 through the creation of the new official narrative on the regional heritage. Given the part of Gustavo Giovanoni in this endeavour, its close analysis provides a possibility to elucidate the prominent role he had in the shaping of the policies of the Academy of St. Luke in 1940s as well as in the creation of the competing early 20th century visions of the Eastern Adriatic past. As the president of the Academy of St. Luke, Alberto Calza Bini, Giovanoni's right hand Bruno Maria Apollonj Ghetti and Commissioner for Dalmatian monuments Luigi Crema were preparing the exhibition against the ever-changing backdrop of the war-time politics, they were also creating a new Italian view of the East Adriatic historical architecture, based on new photographs and architectural drawings made for the exhibition. The lens they were using were specifically Roman, their interest directed primarily towards the ancient Roman buildings and the classical tradition, in concordance with the policies of the Italian "Empire" proclaimed in 1936. Only in the second stage of the preparations of the exhibition, they included the Venetian heritage, until then the usual tool of the interpretation of Dalmatia in the Italian historiography. The final result was a novel pan-Italian view, although still rather Roman-centered, which included typological approach and the attention to landscape, typical of the so-called Roman school of history of architecture, but also some of the ideas of the regime, comprising the racial theory. The catalogue had a long critical fortune in the Italian historiography, also influencing the policies of the Croatian postwar Commissioner for the monuments of Dalmatia Cvito Fisković.
Slavic people from South-Eastern Europe immigrated to Italy throughout the Early Modern period and organized themselves into confraternities based on common origin and language. This article analyses the role of the images and architecture of the "national" church and hospital of the Schiavoni or Illyrian community in Rome in the fashioning and management of their confraternity, which played a pivotal role in the self-definition of the Schiavoni in Italy and also served as an expression of papal foreign policy in the Balkans.
La mostra che presentava l'eredita architettonica della Dalmazia, aperta presso la Reale Accademia di San Luca a giugno 1943, rimane l'ultima iniziativa culturale a scopi propagandistici del regime fascista. La dettagliata analisi dei fondi relativi alla mostra presso l'Archivio storico dell'Accademia e la contestualizzazione di questo progettom espositivo all'interno della politica del regime, porta anche a inserirlo nel delineamento dell'approccio all'architettura storica degli architetti italiani e il dialogo tra le due storiografie. Lo scopo principale della mostra era di familiarizzare il pubblico romano con la neoacquisita provincia d'oltremare adriatico, interpretandone il passato in chiave imperialistica, di appartenza alla cultura italiana. L'impresa ebbe come protagonisti l'allora presidente dell'Accademia di San Luca, Alberto Calza Bini, e lo stretto collaboratore di Gustavo Giovanoni, architetto e archeologo Bruno Maria Apollonij Ghetti, mentre per il suo ruolo operativo come soprintendente ai monumenti dalmati venne coinvolto Luigi Crema. Inoltre, furono realizzate anche una la campagna fotografica in collaborazione con l'Istituto Luce, mentre l'architetto napoletano Vittorio Amicarelli fece i rilievi architettonici di maggiori monumenti della regione. Per la mostra e per il catalogo si scelse il criterio tipologico, con l'introduzione dello studio di caratteri urbani e l'accenno all'architettura barocca. Questo approccio, tipico della scuola romana di storia dell'architettura, si distinse dalle quintenssenzalmente amatoriali pubblicazioni degli iredentisti dalmati quali Tamaro e Dudan, o quelle divulgative di Amy Bernardi. Inoltre, nella prima fase delle preparazioni della mostra, tra 1941 e 1942, l'insistenza sui reperti antichi romani e sulla tradizione classica rivelava gli interessi dei cerchi professionali romani, mentre una maggior apertura all'eredita dell'epoca veneziana La mostra che presentava l'eredita architettonica della Dalmazia, aperta presso la Reale Accademia di San Luca a giugno 1943, rimane l'ultima iniziativa culturale a scopi propagandistici del regime fascista. La dettagliata analisi dei fondi relativi alla mostra presso l'Archivio storico dell'Accademia e la contestualizzazione di questo progetto espositivo all'interno della politica del regime, porta anche a inserirlo nel delineamento dell'approccio all'architettura storica degli architetti italiani e il dialogo tra le due storiografie. Lo scopo principale della mostra era di familiarizzare il pubblico romano con la neoacquisita provincia d'oltremare adriatico, interpretandone il passato in chiave imperialistica, di appartenza alla cultura italiana. L'impresa ebbe come protagonisti l'allora presidente dell'Accademia di San Luca, Alberto Calza Bini, e lo stretto collaboratore di Gustavo Giovanoni, architetto e archeologo Bruno Maria Apollonij Ghetti, mentre per il suo ruolo operativo come soprintendente ai monumenti dalmati venne coinvolto Luigi Crema. Inoltre, furono realizzate anche una la campagna fotografica in collaborazione con l'Istituto entra a far parte della mostra verso la sua finalizzazione in primavera 1943. Finalmente, la parabola della preparazione dell'esposizione segue anche quella dei rapporti tra l'Italia fascista e la Croazia di Ante Pavelić, esemplificatasi nella publicazione Italia e Croazia di Reale Accademia d'Italia del 1942, e l'avanzamento del movimento partigiano in Croazia e gli avvenimenti italiani dell'estate di 1943, particolarmente visibili nell'eco della mostra nella stampa del regime, dove viene considerata un tentativo contro "la barbarie panbolsevica slava".
La ricerca presenta un contibuto alla conoscenza degli ambienti della cultura nobiliare in Istria attraverso la ricostruzione del sistema degli edifici di proprietà della famiglia Scampicchio. La loro presenza continuativa nell'Albonese e nelle altre parti della regione per tutta l'epoca moderna è testimoniata dall'archivio familiare su cui si basa l'analisi. ; Ovaj prilog poznavanju ambijenata kulture zivljenja istarskoga plemstva ranog novog vijeka temelji se na istrazivanjima gradevina u posjedu obitelji Scampicchio, cija je kontinuirana prisutnost na labinskom prostoru kroz cijeli rani novi vijek osvjedocena dokumentima izvanredno sacuvanog obiteljskog arhiva. Scampicchijevi su tipicni predstavnici municipalnog plemstva koje teti drustvenom probitku kroz ulazak u uglednija gradska vijeéa regije. Isticu se vojnickim zaslugama pojedinih clanova, mudrom politikom brakova VeZU Se UZ niz vaznih obitelji u Istri, a kao adut uspona nije zanemariv niti imetak kojim rod raspolaze, pri cemu vaznu ulogu imaju i reprezentativne gradevine. Sustav vlasnistva razlicitih gradevina pokazuje ffifeZU zelja i potreba Scampicchijevih na simbolickoj i na svakodnevnoj razini, a ukljucuje palace i kuée u Labinu, Motovunu i Pulì, vile Turanj kod Labina i Sv. Ivan od Sterne, obiteljsku kapelu kraj Labina i hospital u istome gradu. Arhitektura ovih gradevina varira od najvise razine u regiji koju su mogli ponuditi dokumentirani lokalni majstori kao sto je labinski klesar Giovanni Pietro ali i stranac kao sto je Gabriel le Terrier de Manetot do potpuno anonimne arhitekture najamnih kuéa. Dokumenti obiteljskog arhiva omoguéili su i inace tesko ostvariv uvid u kontinuitet gradnji i pregradnji ovih gradevina.
U radu se prikazuje naručiteljsko djelovanje Altobella Averoldija (1465.–1531.) iz Brescije, koji je ostvario značajnu crkvenu i političku karijeru kao pulski biskup, papinski nuncij u Veneciji i vicelegat Bologne. Već poznati katalog djela po narudžbi ovoga crkvenog velikodostojnika obogaćuje se primjerima s istočne obale Jadrana, a posebno se razmatra ona najvažnija, gdje dolazi do preblikovanja kora crkve Ss. Nazario e Celso u Bresciji budući da se u njega smješta dvostruka zidna grobnica biskupa i njegova zaštitnika kardinala Riarija te Poliptih Averoldi Ticijana Veccelija. ; La figura di Altobello Averoldi, vescovo di Pola, vicelegato a Bologna e nunzio papale a Venezia era nota agli studiosi di storia dell'arte sopratutto in quanto comittente di un'importante opera di Tiziano Veccellio, il Polittico Averoldi. Nel 1991, in occasione della mostra bresciana dedicata al polittico restaurato, Giovanni Agosti fece ampie indagini sulla vita e sull'attività da comittente del vescovo e stabilì un catalogo delle opere comissionate. A diciasette anni dalla pubblicazione del detto lavoro, la soluzione del problema attributivo della tomba del vescovo nella chiesa bresciana di San Nazario e Celso e le ulteriori indagini sulle opere d'arte da lui commissionate sulla costa orientale dell'Adriatico permettono qualche nuova riflessione sui gusti dell'illustre bresciano. Dopo gli studi a Padova e Pavia ed il soggiorno romano presso il cardinale Raffaele Riario, Altobello è canonico a Spalato nel momento in cui suo zio Bartolomeo tiene la cattedra arcivescovile. Nel 1497 viene nominato vescovo di Pola e lo rimane fino alla morte a Venezia nel 1531. Della famiglia Averoldi a Spalato rimangono soprattuto i libri liturgici nella sagrestia, contrassegnati dagli stemmi, ma un esame comparativo porta all'avicinamento della decorazione di questi libri con le miniature dello Statuto di Pola nella sua redazione del 1500 e la decorazione di alcuni libri liturgici nella cattedrale di Pola, possibilmente tutti provenienti dalla stessa bottega di origine veneto-padovana attiva a cavallo del 15 secolo. Un'opera sicuramente voluta da Altobello in quanto portante il suo stemma è la chiesa di Santa Maria Maddalena di Mormorano nell'agro polese, che contiene uno dei piu belli altari lignei della bottega veneziana di Paolo Campsa. Altobello fu anche tre volte vicelegato a Bologna, dove imbellisce la chiesa di Santa Marria del Barracano e San Michele al Bosco, coniando anche le medaglie in ricordo delle sue missioni. L'apice della sua carriera sono le sue due lunghe missioni a Venezia in qualità di nunzio papale, dove diventa uno dei protagonisti della vita mondana e soggiorna nel palazzo oggi noto come Fondaco dei Turchi, al quale fa restaurare la facciata. Tra il 1519 e il 1522 viene realizzata la commissione più importante del vescovo, la trasformazione del coro della chiesa di Santi Nazario e Celso a Brescia in un suo santuario privato. Della grande tomba scolpita da Lorenzo Bregno oggi si preservano soltanto alcune parti figurative, tra cui il cenotafio del cardinale Riario e la figura del prelato, entrambe del tipo di demigisant appena introdotto a Venezia, mentre la forma generale, in tradizione veneziana, s'ispira all'arco triomfale, forse addirittura dell'arco dei Sergi di Pola. I modelli diretti si riconoscono nel gruppo romano di tre tombe di cardinali (Ascanio Maria Sforza, Girolamo Basso della Rovere e Giovanni Michiel), tutti personaggi legati a Riario e Averoldi. La commissione della tomba bresciana, possibile solo in seguito alla morte del cardinale di San Giorgio nel 1521, conferma il cambiamento del programma del polittico di Tiziano, commissionato già nel 1519, e realizzato parzialmente (panello di S. Sebastiano) nel corso del 1520.