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Development anthropology and natural resource management
Il contributo degli antropologi alla rogettazione di piani volti ad incoraggiare lo sviluppo sociale ed economico del Terzo Mondo, costituisce oggi uno specifico campo di studio definito Antropologia dello sviluppo. Con questo saggio Brokensha intende mostrare l'importanza della partecipazione degli antropologi in programmidi sviluppo riguardanti le risorse naturali in particolari settori quali l'agricoltura, il pastoralismo e la forestazione.La maggior parte delle agenzie governative ed internazionali promotrici dei progetti di sviluppo hanno per molto tempo ignorato il notevole corpo di conoscenze accumulate dagli antropologi, non curandosi delle strategie tradizionali di uso e gestione delle risorse naturali, dell'organizzazione socio-economica e dei reali bisogni delle popolazioni future beneficiarie dei progetti. Oggi i risultati di una tale ignoranza si constatano amaramente.Brokensha denuncia per esempio l'inadeguatezza e l'insuccesso di molti rogetti avviati in aiuto alle popolazioni pastorali in Africa negli ultimi venticinque anni, con un costo di centinaia di milioni di dollari e che nessun beneficio hanno recato ai pastori se non qualche utile intervento veterinario. La causa dell'insuccesso é proprio la disinformazione che ha creato false idee sul pastoralismo, formando una mentalita anti-nomade nei funzionari delle agenzie africane e internazionali. Si é cosi mirato ad incrementare forme di produzione diverse da quelle tradizionali (es. la carne al posto del latte) ed a instaurare moderne strutture con tecnologie avanzate, tipo i grandi ranges americani e australiani, che si basano su criteri diversi se non opposti ai sistemi tradizionali di gestione del territorio da pascolo e del bestiame e all'organizzazione socioeconomica dei pastori africani. Come conseguenza di una tale politica di sviluppo, molti pastori hanno perso il controllo dei loro mezzi di produzione e si sono impoveriti; non si é ottenuto alcun aumento di reddito, né di produzione né si é frenato il degrado ambientale.Il contributo dell'antropologo in uesto settore consiste nel mettere a disposizione dei pianificatori le sue conoscenze, "informarli" e stimolarli affinché adottino criteri diversi nella stesura dei progetti, tenendo cioé conto, oltre del sistema economico e sociale, anche delle strategie di sopravvivenza adottate dai pastori in ambienti a volte poco ospitali.La necessità della partecipazione degli antropologi alla progettazione dei piani di sviluppo si fa impellente anche per gli altri due settori proposti da Broizensha: l'agricoltura e la forestazione. Riguardo al primo settore, l'autore riporta alcuni esempi di quella che M. Cernea (1985) definisce "sociologia del raccolto" cioé un campo di ricerca che punta ad evidenziare la interrelazione tra requisiti bio-fisici di un particolare prodotto e le istituzioni socio-economiche, e che può realizzarsi più concretamente attraverso la cooperazione tra antropologi ed agronomi. L' "Integrated Pest Management" rappresenta un'altra promettente area di ricerca e di cooperazione tra agronomi e antropologi, sebbene esistano ancora delle diffidenze sui vantaggi di una ricerca congiunta. Thomas Conelly si è interessato alla peste da insetti e alle malerbe nella parte occidentale del Kenya, esaminando i metodi indigeni di controllo della peste ed evidenziando le difficolta nello sviluppo di tecniche innovative che non siano appropriate alle reali condizioni degli agricoltori su piccola scala.Sebbene oggi alcuni centri per lo sviluppo dell'agricoltura si dimostrino più sensibili verso problemi e suggerimenti proposti dagli antropologi, questi sono ancora poco ra presentati. Per esempio solo il 10% dello staff di ricerca degfi "International Agricultural Centres" è costituito da antropologi e pochissimi lavorano in questo settore per l'U.S.D.A., l'U.S.A.I.D. e la F.A.O.Riguardo alla forestazione, settore verso cui si è rivolta una sempre maggiore attenzione da parte dell'opinione pubblica e degli ambienti scientifici a causa del fenomeno della deforestazione, allarmante per il suo continuo dilagarsi e per le prevedibili catastrofiche conseguenze, l'antropologia ha sviluppato un nuovo campo di interesse definito "Forestazione sociale". Esso è nato negli anni '70 quando i dipartimenti forestali, di fronte all'insuccesso di progetti miranti all'impianto massiccio di alberi, specie per legno da combustione, hanno ritenuto necessario ricorrere all'aiuto degli antropologi. Ancora una volta causa degli insuccessi era stata la disinformazione, in questo caso circa i sistemi di utilizzazione e i criteri di valutazione degli alberi da parte degli indigeni e circa la relazione fra organizzazione socio-economica e possesso ed uso della terra e della vegetazione arborea. Disinteresse e mancata cooperazione alla realizzazione dei progetti fu l'inevitabile risposta dei locali a iniziative a loro estranee e non rispondenti alle loro reali esigenze e necessita. Ed ancora una volta il contributo dell'antropologo è ritenuto utile potendo influenzare uno sviluppo appropriato ai fattori sociali e ambientali che offra concreti benefici alla popolazione.Pertanto fra i principali ruoli che secondo Brokensha l'antropologo può svolgere nei programmi di sviluppo il piu evidente è quello di "informatore". Inoltre puo essere anche "mediatore culturale" tra la gente locale e le agenzie che effettuano gli interventi, diventando il portavoce degli indigeni, affinché non rimangano soggetti passivi, ma partecipino attivamente alle decisioni sul loro "sviluppo". Infine per impedire che si presenti la necessità di svolgere un altro ruolo importante ma assai impopolare, e cioé quello di "censore" che sopprime i rogetti a causa dei prevedibili impatti negativi sulla popolazione, l'antropologo deve avere un rapporto continuativo con le agenzie, partecipando a tutti gli stadi della progettazione, sin dalla fase iniziale per prevedere gli effetti sociali del progetto ancora allo stato di disegno, e fino alle fasi di controllo e valutazione finale.L'azione educativa dell'antropologo, che si esplica nel far esaminare i problemi dello sviluppo attraverso un'ottica antropologica, non è però a senso unico. Egli deve anche imparare. Non solo dovrà informarsi su altri campi scientifici, come quello bio-fisico, ma anche studiare la struttura delle agenzie di sviluppo per interpretare i loro processi di decision-making nel loro vasto e complesso contesto organizzativo, e quindi intervenire adeguatamente.
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Anthropology to the rescue: hoax and reality in development studies
Una dura critica all'approccio definito "Analisi dell'impatto sociale" o "Analisi del benessere sociale", sorto recentemente nel campo dell'antropologia dello sviluppo, e avanzata da Gutkind in questo saggio.L'autore considera lo "sviluppo", a cui con confuso liberalismo si rivolge l'interesse degli antropologi, estraneo alle masse beneficiarie. La logica capitalistica e gli obiettivi capitalistici sono mascherati sotto iniziative e opportunità locali. Condanna quindi l'ideologia dello sviluppo che finora ha ispirato gli obiettivi delle politiche di sviluppo adottate nel Terzo Mondo e denuncia il coinvolgimento degli antropologi, quali professionisti dello sviluppo, in questo "gioco". Addirittura aberrazioni sono definite dall'autore i concetti proposti dall' "Analisi dell'impatto sociale", ultimo prodotto di quell'ideologia dello sviluppo che egli ulteriormente condanna in quanto riflette l'ideologia del professionalismo, del carrierismo, dell'intellettualismo di falsa tradizione umanistica.Gutkind propone quindi di affrontare i problemi relativi allo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo con una prospettiva radicalmente diversa, attraverso cioè concettualizzazioni e metodologie proprie della storia sociale. Solo l'approccio della storia sociale con impostazione marxista permette una valutazione ed un'analisi degli effetti dell'incorporazione di paesi a basso reddito in un sistema complesso dominato dal capitalismo. Solamente adottando un orientamento storico sociale si può far luce su questi importanti problemi, offuscati invece da modelli come le "Analisi di impatto sociale", garantendo inoltre la sopravvivenza dell'antropologia altrimenti destinata a scomparire.
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The anthropology of tribal and peasant pastoral societies: the dialectics of social cohesion and fragmentation ; [conference, Pavia, on 16 - 19 June 1992]
In: Studia ghisleriana
Dov'è e dove va l'antropologia oggi?
In: Collana di Antropologia culturale e sociale 82
L'antropologia dello sviluppo in Africa: temi di ricerca in alcune pubblicazioni recenti dell'Institute for Development Anthropology di Binghamton
Dopo una breve introduzione dedicata ai caratteri e agli obiettivi di ricerca della nuova antropologia dei processi di sviluppo (incentrata soprattutto sulla studio dei cambiamenti sociali e culturali pianificati, sulla formazione antropologica destinata ai tecnici operatori dello sviluppo e su forme di consulenza interna a iniziative di pianificazione), l'A. presenta dettagliatamente quattro recenti volumi sull'argomento, riguardanti l'Africa, editi a cura dell' Institute for Development Anthropology di Binghamton.Egli presenta quindi una valutazione critica dell'attività di ricerca e consulenza dell' I.D.A. soffermandosi sul problema della capacità di quegli studi di influenzare le decisioni politiche riguardanti la pianificazione dello sviluppo. Il saggio si conclude con alcune considerazioni sulle resistenze che questo settore di ricerche ha incontrato in tempi recenti, e sulle sue prospettive di potenziamento futuro.
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Anthropology and the smart city: from abstract models to undisciplined practices ; Antropologia e smart city: dal modello astratto agli usi indisciplinati
This article reflects on the contribution that cultural anthropology brings to the interdisciplinary debate on the smart city, and the analytical frameworks through which we can investigate through ethnography the dissemination of information and communication technologies within urban spaces. The essay retraces the debate on new urban policies, and highlights the dichotomy between those for whom the smart city is an instrument of social inclusion, environmental sustainability and economic development, and those who see its potential forms of control and exclusion. We argue that both tendencies share an analytical approach mainly focused on the moment of planning, which is unable to escape from the self-representation of the new urban paradigm as a globalizing and homogenizing force. Drawing from ethnographic cases, the article argues for a "non smart-centered" approach to investigate urban smartization in the context of long-term processes of place-making. This would shed light on the imaginaries produced by smart policies, ICT's informal and unpredictable uses and the ways these (re-)shape senses of locality. ; Questo articolo riflette sul contributo che lo sguardo antropologico può apportare al dibattito interdisciplinare attorno alla smart city e sui quadri interpretativi attraverso i quali approcciarsi etnograficamente all'integrazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nel tessuto cittadino. Il testo ricostruisce il dibattito attorno alla nuova policy urbana, mettendo in luce la contrapposizione tra coloro che vedono nella smart city una risposta ai bisogni di inclusione sociale, sostenibilità ambientale e sviluppo economico, e quegli studi critici che ne mettono in luce le potenziali forme di controllo ed esclusione. Il saggio sottolinea come entrambe le posizioni si fondino su uno sguardo in gran parte interno al momento della progettazione e suggerisce di non restare abbagliati dall'autorappresentazione del nuovo paradigma urbano come forza omogeneizzante e globalizzante. Attraverso l'analisi di alcuni lavori etnografici, il testo sottolinea l'importanza di sviluppare un approccio teorico e metodologico "non-smart-centrico" che possa (ri)comprendere le dinamiche di smartizzazione all'interno di più lunghi e sedimentati processi di costruzione della località, facendo emergere gli immaginari prodotti dalle politiche smart, gli usi informali e imprevisti delle tecnologie e il modo in cui questi contribuiscono a ridefinire il senso dei luoghi.
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Antropologia dei commons. Ambiente, storia e memoria nelle partecipanze agrarie emiliane ; Anthropology of the commons. Environment, history and memory in the partecipanze agrarie emiliane
Fin dalla formulazione della teoria della tragedy of the commons di Garrett Hardin nel 1968, assistiamo, sia in ambito accademico sia nella società, a un rinnovato interesse per i commons, le forme collettive o comunitarie di gestione delle risorse ambientali. Questa tesi illustra il funzionamento di queste particolari istituzioni, concentrandosi su un caso di studio italiano, le cosiddette partecipanze agrarie emiliane, indagate adottando una prospettiva antropologica di lungo periodo. Se negli ultimi decenni si sono moltiplicate le ricerche etnografiche e gli studi sperimentali volti a spiegare il grado di performance raggiungibile dai commons, poca attenzione è stata data ai modi in cui questi si formano e si modificano nel tempo per adattarsi a situazioni ecologiche, economiche, politiche e sociali differenti. Sostenendo la necessità di adottare una metodologia il più possibile interdisciplinare, in cui l'antropologo dialoga con la storia, l'economia, la demografia e altre discipline, le domande che guidano la ricerca sono le seguenti: quando, dove e come sono emerse queste particolari istituzioni? Per quali motivi e in che modo sono cambiate nel corso del tempo? Quali fattori hanno permesso loro di continuare ad esistere o, al contrario, le hanno condannate all'estinzione? Quali conseguenze i commons recano all'ambiente e alla popolazione locale nel lungo periodo? In che modo il rapporto tra queste comunità umane e il loro ambiente forgia identità, memorie e comportamenti condivisi? Un'analisi di lungo periodo delle partecipanze agrarie emiliane evidenzia la complessità del fenomeno, in cui i principi di cooperazione sono sempre coesistiti con forti tensioni e conflitti sia interni che esterni, e dove le strategie di gate keeping ed esclusione dei non membri hanno portato nel corso dei secoli a modificare la struttura dei commons, la composizione della popolazione e l'ambiente circostante. ; Since the formulation of the "tragedy of the commons" theory by Garrett Hardin in 1968, we are witnessing, both in the academic world and the society, a renewed interest in the commons, the collective or communal forms of management of environmental resources. This thesis describes the functioning of these particular institutions, focusing on an Italian case study, the so-called "partecipanze agrarie" of Emilia, investigated by adopting a long term anthropological perspective. While during the last decades ethnographic and experimental studies tried to explain the level of performance reached by the commons, scarce attention has been given to the ways in which the commons are formed and change over time to adapt to different ecological, economic, political and social situations. Arguing the need to adopt an interdisciplinary methodology, where anthropology merges with history, economics, demography and other disciplines, the questions that guide the research are the following: When, where and how have the commons emerged? For what reasons and in what way have they changed over time? What factors have helped them to survive or, on the contrary, have condemned them to extinction? What consequences do the commons bring to the environment and to the local population in the long run? How has the relationship between these human communities and their environment forged identities, memories and a shared behavior? A long term analysis of the "partecipanze agrarie" highlights the complexity of the phenomenon, in which principles of cooperation have always coexisted with strong tensions and conflicts, both internal and external, and where gate-keeping strategies and the exclusion of non-members have led to modify over the centuries the structure of the commons, the composition of the population and the surrounding environment.
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Knowledge and action within the knowledge based society: proceedings of the International Conference, Baia Mare, 9-12 December 2010, Baia Mare-Romania, 2, Philosophy of science, anthropology and cultural studies, economic theories and practices
In: Colecția Societate & cunoaștere 11
Italia eretica: un paese civile tra politica e cultura
In: Anthropology of contemporary culture
Principi di una antropologia della persona nell'opera di Ernesto De Martino
It is well known that among cultural anthropologists and philosophers there is always a historical gap and a difference of interests, language and method, which often causes a rivalry between the two disciplines that ends to stiffen anthropology in a collection of descriptions without universal principles and philosophy in a reflection of noble ambitions but unable to consider the individual human cases. The main aim of this thesis is to read the complete works of the philosopher and anthropologist Ernesto de Martino (Naples 1908 - Rome 1965) as a point of union, isolated and sui generis, between anthropology and philosophy. The goal is to obtain, from the reading of his works, a true anthropology of the person who somehow bring order to his unsystematic work, searching in it a common thread: the person, based on the overcoming of life in value , synthesis of necessity and freedom, of transcendental truths and cultural variety. Therefore our aim is not to reconstruct philologically the work and the figure of de Martino or investigate from a historical point of view on the originality of the sources present in it. De Martino is not here treated as an end but as an instrument of knowledge of the human person in its essential aspects, moral and ethical. Thus, the aim of this work is theoretical and moral, that is: with the attempt to restore unity to the work of de Martino, we consider the ultimate and overarching meaning of his anthropology, rather than those moments of dialogue between ethnology, politics and philosophy in his work certainly present; then we wonder not so much who was de Martino as a scholar (problem still treated in this work) but what kind of scientific-philosophical proposal is his and if this proposal, given its ethical and epistemological complexity, can become the foundation for an organic human study that so far neither ethnology nor philosophy can, independently of each other, to ensure.
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Critica scientifica, popolarizzazione dell'etnografia ed etica dell'antropologo: sulla "controversia yanomami", per esempio
The "controversy over the Yanomami" has affected central issues, both epistemological and ethical and political, for the discipline and practice of anthropology, particularly concerning the ethics of field research; the way to use research data to support certain theoretical hypotheses; the relationships between popularization and politicization of research and, more generally, the responsibility of anthropologists with respect to both the uses of their studies in the public sphere and towards the human subjects with whom they work. In this article, I examine some key moments of the "controversy". In particular, I try to reconstruct the way in which the image of the Yanomami as the "last primitive society" was initially consolidated, inside and outside anthropology, and, in this sense, I compare the ethnographies of Chagnon and Lizot. In the paper, I also place particular emphasis on the different ways in which ethnographers have textually marked their positioning in the field as "proof" of the "authenticity" of their representations of the Yanomami world. In the last part, I summarize the effects of the "media storm" on American anthropology, which were caused by the accusations of ethically inappropriate, if not completely execrable, behavior addressed to Chagnon and Lizot in Darkness in El Dorado, the book-report by journalist Patrick Tierney.
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Darsi codici etici in antropologia. Riflessioni a margine del processo di adozione del codice deontologico dellaSocietà Italiana di Antropologia Applicata
Through review of selected anthropological ethical codes an attempt is made to outline the fundamental ethical principles of anthropological research and their applicability to current practices of applied anthropology. The Statement on Problems of Anthropological Research and Ethics was adopted by the American Anthropological Association in response to the need to take distance from military research after the Camelot scandal. Anthropology reacted stronger than other disciplines due to its methodology implying a relation of trust with the community. The Codice etico of AISEA defines the anthropologist's obligations with different type of actors. In applied anthropology more attention should be paid to the relation with the financers of the research, due to possible conflict of interest between the latter and the concerned community. During consultancies anthropologists are today often forced into conditions that do not allow them to fulfil the obligations as stated in most deontological codes. Yet, giving up would cut the anthropologist out of the ongoing processes that have often a potential critical impact on the communities. The Codes of Ethics of ISE has allowed overcoming serious controversies by referring to procedural rights according to international law. It is suggested that reference to procedural and collective rights, appropriate international standards and best practices can provide an appropriate device to evaluate case by case the opportunity to engage, considering the overall field of relations rather that strictly focusing on the anthologist's obligations which each actor independently.
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Contaminazioni ambientali, alterità ecologiche, corpi ribelli. Note antropologiche
Starting from the critic perspective of medical anthropology with reference to the problem of the environmental contamination the author reflects on the human body as a vulnerable junction of the interchange of culture and nature, a physical place of processes of social and material embodiment, and as the fulcrum of a complex interweaving of geopolitical forces and injustices. The impact of pollutants is expressed through the dynamics of transformation of human bodies into toxic bodies, ecological alterities characterized by social vulnerabilities and inequalities, and so living texts which can tell stories of contamination, disease, and oppression. Female rebelling bodies burst onto the public scene, trying, by their knowledge and practices, to realign ecology and economy. Finally it is highlighted how the relationship between environmental contamination, protection of territories and the right to health is inscribed in conflicting fields of forces where a new biological citizenship is played and fertile spaces can be open for a political ecology to which medical anthropology can obviously offer a rich contribution.
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