It has been nine years since the Treaty of Dayton put an end to the Balkan conflict. Since then, the reconstruction of Bosnia & Herzegovina has made good progress. However, the provisions laid down in the Dayton Treaty have proved to bear dangerous limits. Peace is far from being secure, especially when the bordering countries have not reached the stability necessary for the whole area to develop. The risk is that the European international community could be losing interest in the political & economical development of Bosnia & Herzegovina, thus slowing down the process of assimilation of the area in the EU. M. Williamson
La convinzione che il lavoro dello storico debba assolvere una irrinunciabile, salvifica funzione etico-civile non è certo rara nell'Accademia.Il filo rosso che attraversa i saggi riprodotti nel volume rimanda invece a un'altra concezione del lavoro storico, probabilmente minoritaria tra gli addetti ai lavori ma non per questo, riteniamo, meno legittima, concezione che rifiuta l'idea che l'attività di ricerca debba prefiggersi obiettivi extrascientifici.Secondo tale concezione, lo storico, nell'esercizio della sua professione, deve ripudiare ogni torsione funzionalista e strumentale della ricerca, ogni suggestione etico-pedagogica.Deve respingere ogni blandizia e lusinga provenienti da chi gli volesse commissionare compiti terapeutici, di rigenerazione e legittimazione di sistemi politico-istituzionali.Lo storico, se veramente tale, non deve partecipare, a parer nostro, ad alcun processo di nation building. Né costruttore di identità né dispensatore di virtù civiche, deve anzi correre il rischio che il proprio lavoro possa rivelare una contraddizione, insanabile, tra le esigenze della professione storica e i doveri civici discendenti dall'appartenenza a una comune cittadinanza.The belief that the work of the historian is to fulfill an ethical and civic function is certainly not rare within the Academy.The thread that runs through the essays reproduced in this volume refers to a different conception of the historical work, instead: though probably in the minority among the experts, we believe this conception, rejecting the idea that research must serve extra-scientific goals, to be equally legitimate.Accordingly, the historian, in the exercise of his profession, must repudiate any ethical-pedagogical suggestion; he should reject any blandishment and flattery from those who would want to commission him therapeutic tasks, aimed at regenerating and legitimizing political and institutional systems. The historian, if truly such, should not take part, in our opinion, in any process of nation building. Neither a creator of identity nor a promoter of civic virtues, he must indeed take the risk that his work may reveal an irreconcilable contradiction between his professional duties and the civic obligations deriving from belonging to a common citizenship.
According to 19th-century philologist Jernej Kopitar, elite literary traditions and modern written languages originated in folk literature. Leading Slovenian intellectuals of his day, however, including poet France Prešeren and linguist and critic Matija Čop, favored classic poetic forms reminiscent of the Italian Renaissance. In Slovenian literary history, Kopitar has remained a figure of secondary importance; nonetheless, his role in other South Slavic cultures was preeminent. We examine several attempts to revert this tendency and to ascribe to Kopitar, and not only to Čop, a leading role in Slovenian nation-building.
"Poetry and the law are born in the same cradle". Thus Jacob Grimm, the great Romantic philologist and founding father of German studies, wrote in 1816. This famous statement was inspired by the new juridical science fostered by his ma - ster, Friedrich Carl von Savigny. With the establishment of the Historical School of Law in 1814, and by assigning a fundamental role to the jurists'interpretation, Savigny had proposed to maintain the old Reich's heritage in Germany rather than introducing a civil code fashioned after the Napoleonic template, thus lay - ing the foundations of a bond between the study of the old German law, the Ro - mantic Lied and the aspirations of many writers and intellectuals who, like Jacob Grimm, believed in the rediscovery of the German people authentic traditions. In nineteenth-century Germany, nation building and state building were thus both conceived and supported by means of that bond between law and literature. In this case the law-literature paradigm guided the process which combined the cultural formation of German identity with the political project of national uni - fication. The essay outlines the development of this fascinating and ambiguous project and its ultimate failure in 1848.
Dopo un breve excursus della storiografia russa recente e una spiegazione del sistema di selezione dei manuali scolastici di Storia, si propone un'analisi comparata delle narrazioni presenti in tre libri di testo attualmente adottati nella Federazione Russa, con particolare attenzione all'epoca di Stalin. Si intende mostrare da una parte il valore culturale dell'insegnamento della storia a scuola in Russia nel processo di "nation-building", filtrandolo con la categoria del "rituale" che va inteso come modello narrativo capace di strutturare la mente dei partecipanti; dall'altra, l'attuazione imperfetta di questo "programma" statale, in quanto si può notare un certo pluralismo nella trattazione degli eventi nei libri approvati dal governo, mentre la celebrazione della figura di Stalin appare meno marcata rispetto a quello che si poteva rilevare negli anni 2007-2011.
The paper highlitghts the role played by comics in stimulating formative and cultural literacy processes held in contemporary world. After having devoted time to the Italian situation, it highlights the potential and the limits comics met on an educational basis, as it is necessary to use them critically and on a reasonable basis. After the First World War, comics were spread extensively for war propaganda aims. Afterwards, the Great War has consolidated its presence in essays and volumes, as several comics about it were published, almost of all for its anniversary.
Intendiamo per nazione una società materialmente e moralmente integrata, con un potere centrale stabile, permanente, con frontiere determinate, con relativa unità morale, mentale e culturale degli abitanti che aderiscono consapevolmente allo Stato e alle sue leggi. Esiste ancora nel mondo un enorme numero di società e di Stati che non meritano a nessun livello il nome di nazione. Tutte le società dell'Asia, salvo (forse) l'India e la Cina e il Giappone, che sono in questo momento a diversi livelli di transizione, in via di formare degli Stati, tutte le società indigene dell'Africa, quelle dell'Oceania, non possono essere considerate delle nazioni o anche degli Stati. Una nazione corrisponde ad un'unità politica, cioè militare, amministrativa e giuridica, da una parte, economica dall'altra, e soprattutto la volontà generale, cosciente, costante, di crearla e di trasmetterla a tutti, ed è stata resa possibile in Europa solo a seguito di una serie di fenomeni considerevoli che hanno unificato in seguito, o parallelamente o preventivamente, gli altri fenomeni sociali.
Mentre si celebra il centenario dell'accordo Sykes-Picot, la disintegrazione attuale degli Stati siriano e iracheno resta frequentemente attribuita al supposto carattere «artificiale» che avrebbero loro conferito le frontiere coloniali fissate arbitrariamente. Qui viene messa in causa l'eterogeneità etnico-confessionale delle entità create dagli imperialismi francese e britannico, aventi come corollario l'idea che qui si sarebbe di fronte a Stati che avrebbero fatto fallimento per l'assenza di identità nazionale. Qui per la Siria si porterà l'argomento inverso, affermando che la persistenza dei legami primordiali etnici e confessionali, in quanto vettori di mobilitazione politica, non risulta dalla debolezza dell'idea nazionale, ma piuttosto da quella di istituzioni statali, le quali, essendo di recente costruzione, si sono mostrate permeabili a queste solidarietà primordiali e le hanno anzi rafforzate. ; Alors que l'on célèbre le centenaire de l'accord Sykes-Picot, la désintégration actuelle des États syrien et irakien demeure fréquemment attribuée au caractère supposément «artificiel» que leur aurait conféré l'arbitraire des frontières coloniales. Est ici mise en cause l'hétérogénéité ethno-confessionnelle des entités créées par les impérialismes français et britannique, avec pour corollaire l'idée que l'on serait ici face à des États qui auraient échoué du fait de l'absence d'identité nationale. On fera ici, pour la Syrie, l'argument inverse en affirmant que la persistance des liens primordiaux ethniques et confessionnels en tant que vecteurs de mobilisation politique ne résulte pas de la faiblesse de l'idée nationale mais plutôt de celle d'institutions étatiques qui, parce que de construction récente, se sont montrées perméables à ces solidarités primordiales et les ont renforcées en retour.
La Somalia è un esempio pragmatico per quanto concerne la commistione fra diritto statale, consuetudinario (Xeer), e di derivazione religiosa. Il vuoto istituzionale seguito al collasso del Paese, avvenuto nel 1991 dopo una lunga guerra civile, è stato parzialmente colmato da attori "privati" o "tradizionali" e da nuovi organismi configurati secondo gli usi locali. In ambito giurisdizionale, il diritto musulmano è stato recepito per la prima volta nel tessuto normativo dell'ordinamento, non solo per colmare lacune legislative, ma in 'in primis' per conferire legittimità al nuovo sistema istituzionale. Intento di questo lavoro è dunque quello di delineare le relazioni fra diritto statale, religioso e consuetudinario nel processo di ricostruzione del Paese. Tali rapporti definiranno nel prossimo futro diversi possibili scenari di sviluppo del sistema somalo, utili anche per comprendere fenomeni simili sviluppatisi nel resto del mondo musulmano e nell'Africa sub-sahariana.