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Cover -- Quartino -- Dedica -- Table of contents -- Acknowledgments -- Abbreviations -- Introduction -- Chapter 1 - International criminal trials after the 1994 genocide -- Chapter 2 - Domestic judicial responses to international crimes -- Chapter 3 - More on redress in and by Rwanda under international law -- Chapter 4 - Redress by other international actors for the 1994 genocide -- Conclusions -- Treaties and other instruments -- Table of cases -- Bibliography (selected) -- Finito di stampare -- Volumi pubblicati.
In: I saggi 251
In: L ' orizzonte 2
La storia degli ultimi vent'anni dell'Africa centro-orientale, e del Congo in particolare, è stata caratterizzata da una lunga serie di conflitti. La regione del Kivu, la parte più orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC)2, è stata quella maggiormente coinvolta e da cui tutte le guerre hanno avuto origine (Prunier, 2009). Il presente lavoro intende, pertanto, contribuire allo studio della storia del RDC e mettere in luce l'importanza del Kivu nella sua evoluzione, per la storia dei conflitti che l'hanno visto coinvolto, sconvolgendone gli ultimi venti anni di vita. Il confine orientale del Congo è stato il fulcro della geopolitica regionale per le sue relazioni con i Paesi vicini (soprattutto Rwanda e Uganda) (Doevenspeck, 2011), ma anche per la sua storia interna. La vastità del tema (e del confine) ci ha indotto a concentrare l'analisi sulla porzione di confine fra l'odierna Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica del Rwanda, di fondamentale importanza per il ruolo acquisito nel caratterizzare la regione del Kivu e, di conseguenza, della RDC. Il confine tra RDC e Rwanda, infatti, a lungo considerato marginale per il Congo come per la Regione dei Grandi Laghi3 in generale, è, invece, balzato agli onori della cronaca e della storiografia ponendosi al centro della Storia del Congo indipendente dai primi anni Novanta del Novecento.
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In: Giustizia, ambiente, pace
In: Saggi
In: Storia filosofia e scienze sociali
In seguito agli eventi dell'undici settembre è apparso chiaro come il concetto di globalizzazione avesse definitivamente cessato di applicare i propri ideali di libera circolazione agli individui. Si è assistito ad un irrigidimento delle normative sulla migrazione –di qualsiasi natura essa sia- e dei confini, inclusi quelli europei e soprattutto quelli del Regno Unito. Questa chiusura, in combinazione con il sorgere di nuovi e ulteriori conflitti e tensioni in Medio Oriente e sul continente Africano negli ultimi dieci anni, ha alimentato una nuova ondata migratoria gestita spesso con un totale disprezzo dei diritti umani. Le espressioni "crisi dei rifugiati" ed "emergenza migranti", che negli ultimi vent'anni sono diventate sempre più popolari e familiari, hanno saturato l'opinione pubblica, manipolando i numeri e la natura dei migranti coinvolti e alimentando la popolarità di movimenti populisti e nazionalisti che hanno fatto leva sulla xenofobia per rinsaldare il proprio elettorato. In un circolo vizioso, l'aumento del sentimento nazionalista e individualista nelle politiche dei singoli paesi dell'Unione ha indebolito l'Europa stessa, i cui rappresentanti mostrano reticenza nei confronti di iniziative che trattano di argomenti impopolari come l'accoglienza dei migranti extracomunitari. La cosiddetta "Brexit" rappresenta il culmine di questi processi di distacco dall'Europa e di rafforzamento dei confini. Nel Regno Unito del terzo millennio il teatro si trova in prima linea quando si tratta di puntare un faro e mettere in scena, letteralmente, le storie delle minoranze e degli oppressi. Il teatro ha la possibilità di rispondere a questo tipo di istanze più velocemente rispetto ad altri ambiti artistici e, al contempo, ha ormai sfoderato un repertorio pressoché infinito di forme, stili e modalità espressive con cui dare voce a chi spesso viene considerato invisibile dalla società. All'interno di questo panorama variegato è scontato che alcune forme di storytelling e alcune dinamiche si cristallizzino e acquistino popolarità, ed è altrettanto vero che farsi portavoce di questo genere di storia nasconda numerose insidie dal punto di vista tematico, estetico e anche etico. È giusto o necessario mettere in scena il vissuto di chi migra in virtù della sua possibile carica empatica? Come si approccia il teatro alla volontà di integrarsi di chi riceve asilo nel Regno Unito, o alla sua mancanza? Che conseguenze ha avuto l'istituzione di centri di detenzione sul suolo britannico, e come si rispecchiano nella psiche dei personaggi che li abitano? E ancora, come viene rappresentata la governance by debt che spesso accomuna la vita di nativi e migranti? L'obiettivo di questo lavoro è esaminare i diversi approcci alla refugee story proposti all'interno del panorama teatrale britannico, sia dal punto di vista tematico che formale. Verranno isolate alcune tematiche e problematiche fondamentali utili a contestualizzare la messa in scena delle migrazioni contemporanee. A questo scopo saranno esaminate tre pièce scritte prima del 2015 -The Bogus Woman di Kayd Adshead, Credible Witness di Timberlake Wertenbaker e I Have Before Me a Remarkable Document Given to Me by a Young Lady From Rwanda di Sonja Linden- e tre scritte dopo il 2015 -How to Hold Your Breath di Zinnie Harris, Lampedusa di Anders Lustgarten e The Jungle di Joe Robertson e Joe Murphy. L'approccio diacronico all'analisi nasce dalla volontà di approfondire un'eventuale ripercussione sul panorama teatrale dell'ipervisibilità mediatica e della strumentalizzazione politica e sociale dei migranti in seguito al picco di sbarchi del 2014 e della reazione dell'opinione pubblica alla circolazione virale della fotografia del cadavere di Alan Kurdi, un bambino curdo di tre anni annegato durante la traversata sulla rotta mediterranea. As a society, after the 9/11 attacks we have witnessed a decisive tightening of the rules concerning every kind of migration and the strengthening of borders all over Europe, especially in the United Kingdom. This, in addition to the ever-growing tensions and conflicts in the Middle East and on the African continent fuelled a new influx of migrants which has often been handled in complete defiance and disdain for human rights. The expression "refugee crisis" has become more and more relevant and widespread in the past twenty years, hijacking the feelings of the public and manipulating both the numbers and the character of those who migrate, contemporarily feeding into xenophobic sentiments which have been then exploited by populist and nationalist political movements all over the West. Fuelling nationalist and individualistic fears creates a vicious cycle and weakens the European Union, whose representatives are reluctant to show support towards unpopular topics such as hospitality and the relocation of asylum seekers. "Brexit" has represented the climax and extremization of these anti-European sentiments and the consequent strengthening of its borders. Entering the third millennium, British theatre has rooted itself firmly in the civil rights movement's frontlines, giving a voice to those who are discriminated and oppressed. Compared to other artistic mediums, theatre tends to generate a much quicker response to pressing social issues, all while being able to count on a vast repertoire of modes, styles and formats to stage the stories of those who are often invisible and unheard. It goes without saying that, in this vast and comprehensive narrative landscape, certain storytelling devices and dynamics are bound to solidify and become more popular than others. It is also true that bearing witness and staging this kind of stories comes with a whole set of risks from a thematic, aesthetic, and ethical point of view. For example, is it fair, or necessary, to dramatize the life of refugees to elicit an empathic response from the public? How does theatre portray migrants' individual approaches to integration or lack thereof in a host country? Which consequences did the establishment of detention centres in the UK have on its detainees, and how did this common experience filter into the life and psyche of the characters on stage? Also, considering how the practice of governance by debt constitutes a common experience among both migrants and hosts, how has it been used as a narrative device in theatre? The aim of this work is to examine different approaches to the "refugee story" within British theatre, both from a thematic and a stylistic point of view. I will focus on key topics and problems which offer a good representation of the genre by analysing a total of six plays, which I will divide into two categories. Three plays have been written and performed before 2015 -The Bogus Woman by Kayd Adshead, Credible Witness by Timberlake Wertenbaker and I Have Before Me a Remarkable Document Given to Me by a Young Lady From Rwanda by Sonja Linden- e three during or after 2015 -How to Hold Your Breath by Zinnie Harris, Lampedusa by Anders Lustgarten and The Jungle by Joe Robertson and Joe Murphy. This diachronic approach is intended to show a possible correlation between the sudden hypervisibility of asylum seekers after a rapid increase in their numbers in 2014, as well as the public uproar following the viral sharing of a picture of the corpse of three-year-old Kurdish migrant Alan Kurdi, and the changes in the onstage representations of refugee stories.
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Seizing the energy access gap is a central objective in the international agenda, as it is a required precondition to enable sustainable growth, and is it positively interlinked with all other developmental goals. While rural electrification is steadily progressing in many developing areas, a change of pace is in order to achieve universal access in the next ten years. Alongside grid extension and standalone systems, mini-grids are considered a key technical solution to provide cost-effective, high-quality power to hundreds of thousands of people. Their diffusion is, however, hampered by many barriers and constraining factors, such as the lack of adequate governmental policies and unclear regulatory framework, limited access to financing due to unproven business models, and the high capital and operating costs due to lack of effective, standardized practices in the development and design phase. Academic knowledge production should contribute effectively to this complex scenario, by addressing the multiple governmental and industrial stakeholders, with the ultimate goal of establishing an enabling environment in which investments for rural electrification projects are attractive for private developers without relying on grants. The methodological and technical contributions proposed in this work have therefore the specific objective of helping increase the feasibility of mini-grids for rural electrification. The first challenge faced when setting up this research, was the one of data scarcity, that affects the rural electrification sector at multiple levels and makes difficult to develop academic contributions. Therefore, a first, cross-sectoral objective of the research work has been to overcome these limitations by streamlining data acquisition pathways through field missions in developing countries in East Africa (Kenya, Rwanda, Uganda) and Central America (Honduras, Costa Rica). This allowed to establish connections not only with rural communities but also with local universities, governmental entities and companies. These multiple-sided interactions between different entities coming both from developed countries and the global south have been part of the research method and entailed much more than one-sided data transfer. Therefore, they have been studied and conceptualized under the Triple Helix framework. As a first application of this approach, a critical analysis of existing business models for decentralized renewable energy solutions in sub-Saharan Africa has been carried out in partnership with non-profit and private actors, making use of actual operating data obtained from 21 mini-grids. Then, load profile estimation and modeling are tackled, as they are pivotal elements in the mini-grid development process, and are suffering from a lack of general understanding, data and tools to perform them. Two complementary approaches are presented, one based on effective field survey methodologies for the energy need assessment of rural communities and the other based on a clusterization and characterization of load profiles, built upon a unique, open-access database created for this purpose. Then, the optimal design of mini-grids integrating advanced, predictive operating strategies is addressed, with a contribution aimed at increasing their viability by reducing their computational requirements. This line of research, despite being conceived for and applied to case studies from developing countries, is relevant for hybrid mini-grids as a technological solution per se. Therefore, to demonstrate the extension of mini-grid application to isolated areas of developing countries, the case study of an hybridization and demand side management proposal for the mediterranean island of Ustica (Italy) is presented.
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La presente tesi verte sul ruolo del teatro sociale come strumento di mediazione e trasformazione dei conflitti nei contesti di post-guerra. A tal fine il primo passo (Capitolo 1) è stato costruire un quadro interpretativo interdisciplinare, con cui analizzare le caratteristiche ricorrenti e le differenze nelle esperienze già esistenti in questo ambito, e da cui poter trarre indicazioni circa il disegno progettuale. Per il raggiungimento di questi obiettivi, sono stati esaminati criticamente i lavori sul campo e le osservazioni teoriche di Hannah Reich, Guglielmo Schininà e John Paul Lederach, unitamente alle teorie di Johan Galtung e Pat Patfoort. Il secondo passo (Capitolo 2) è stato individuare alcuni casi di studio che consentissero di validare il modello interpretativo elaborato. Ho dunque innanzitutto censito le esperienze già realizzate recentemente o in corso d'opera, per poi applicare ad esse dei criteri di selezione desunti dall'analisi teorica, specie dal lavoro di Hannah Reich. Tali criteri si sono rivelati molto restrittivi al punto che ho potuto selezionare solo due dei molti casi di studio individuati, il progetto Let's see… Let's choose… Let's change… della armena ONG Peace Dialogue e il progetto di teatro partecipativo promosso dalla americana ONG Search for Common Ground. I due casi di studio (Capitolo 3) sono stati analizzati criticamente al fine di verificare e di proporre un'ipotesi di concezione, pianificazione e implementazione sul medio/lungo periodo di progetti di teatro sociale con sessioni di formazione in mediazione e trasformazione dei conflitti in processi di peacebuilding. Il quadro teorico (Capitolo 1) comprende un ampio panorama che esamina non solo il peacebuilding e il teatro sociale, ma anche i cosiddetti approcci di peacebuilding basati sull'arte (art-based peacebuilding). Il concetto di peacebuilding viene presentato nella elaborazione data da Galtung negli anni '70 e nelle più recenti definizioni a cura delle Nazioni Unite. In particolare viene dato risalto al contributo del UN Secretary-General's Policy Committee del 2007 in comparazione con le Strategie Europee riguardo la 'Gestione del Ciclo del Progetto in Cooperazione e Sviluppo'. Infatti in entrambi i documenti, emerge il ruolo cruciale svolto - nel peacebuilding come nella cooperazione allo sviluppo – dalla partecipazione, intesa come appropriazione da parte delle comunità locali del processo di cambiamento, e dall'equità, intesa come parità di accesso ai diritti e imparzialità nella trasformazione dei conflitti. A seguire vengono esposte la teoria di trasformazione dei conflitti di Johan Galtung (2004) e quella sulla comunicazione nonviolenta di Pat Patfoort (2011). Successivamente si chiariscono la definizione e la genesi del teatro sociale. La terminologia anglosassone che si utilizza nella tesi, diversamente da quella italiana, lo definisce applied theatre. Grazie alle rivoluzioni teatrali del Novecento e al contributo della pedagogia contemporanea, si sviluppa una nuova forma di teatro, collocata fuori dal mainstream teatrale e dallo show business. Tra i pionieri e fondatori del teatro sociale, Augusto Boal è considerato uno dei maggiori esponenti. Il metodo inventato da Boal, Il Teatro dell'Oppresso, è un'organizzazione sistematica di tecniche e strumenti teatrali per comprendere e contrastare le oppressioni sociali ed economiche dell'individuo e della società. Infine, nell'ultima parte del capitolo, vengono riassunte le posizioni di John Paul Lederach, ideatore della Moral Imagination, di Hannah Reich e la sua teoria the Art of Seeing, e di Guglielmo Schininà con la sua proposta del Complex Circle. Il capitolo successivo (Capitolo 2) verte sull'approccio metodologico, basato sulla combinazione del contributo di Hannah Reich e del modello empirico di Guglielmo Schininà. Partendo dalla distinzione che Hannah Reich fa tra la struttura del 'Classic' Forum Theatre e del Forum Theatre for Conflict Transformation, e in particolare nelle diverse fasi – workshop phase, performance phase e follow-up phase - vengono utilizzati gli elementi che per la ricercatrice tedesca sono a fondamento del Forum Theatre for Conflict Transformation: prima e durante la workshop phase - la scelta consapevole e accurata dei partecipanti e dei luoghi in cui si svolgerà il training; - l'inserimento di moduli di gestione dei conflitti e spazi condivisi di tempo libero; - lo sviluppo di una attenta scrittura collettiva del copione - chiamata art of telling; per la performance phase - la scelta consapevole e accurata dei luoghi per le presentazioni pubbliche; - la competenza del joker nella trasformazione dei conflitti; per la follow-up phase - l'inserimento di altre attività che rendano sostenibili le relazioni tra i membri del gruppo. Sono questi elementi i principali fattori attraverso i quali è stata analizzata la struttura dei due casi di studio. Dal modello del Complex Circle di Schininà sono stati desunti i parametri per leggere criticamente l'implementazione dei progetti: interdisciplinarietà, gestione delle differenze nel rispetto delle stesse, prospettive multiple, sistema di comunicazione multilayer. Grazie al censimento dei progetti realizzati o in corso di teatro sociale con sessioni di gestione e trasformazione dei conflitti in contesti di post-guerra che coinvolgessero giovani/adulti su un periodo di medio/lungo termine (minimo di due anni), è stato costruito un database. Esso si trova in appendice alla tesi. Le fonti di reperimento dei casi sono state soprattutto i networks In place of war a cura della Manchester University (www.inplaceofwar.com) e Acting Together a cura della Brandeis University (www.actingtogether.org), oltre a vari journals di Applied Theatre e Peace & Conflict Studies, disponibili on line. Attraverso la consultazione puntuale dei siti web dei vari casi presenti in database, è stata verificata la possibilità di accedere a dati aggiornati e/o di contattare direttamente i referenti dei progetti. Attraverso questo lavoro, sono stati selezionati i due casi di studio della Peace Dialogue e Search for Common Ground utilizzando come framework critico il lavoro di Hannah Reich e quello di Guglielmo Schininà. Nel terzo capitolo, vengono presentati ed esaminati i due casi di studio. Essi sono: - il progetto Let's see… Let's choose… Let's change… della armena ONG Peace Dialogue, relativo alla situazione conflittuale del Nagorno-Karabakh, - il progetto di teatro partecipativo promosso dalla americana ONG Search for Common Ground, per affrontare la questione delle terre in Rwanda. Queste due esperienze, molto diverse tra loro, sono accomunate dal fatto che, in un ampio disegno di peacebuilding, il teatro sociale venga esplicitamente rafforzato da sessioni di formazione alla gestione e trasformazione dei conflitti, attraverso il coinvolgimento delle comunità locali. Per ogni caso viene presentato un excursus storico mediante il quale si evidenziano il contesto in cui le esperienze si inseriscono e le caratteristiche specifiche dei conflitti in questione. Il conflitto in Nagorno-Karabakh, incancrenito sin dagli inizi del Novecento, è scoppiato prepotentemente dopo la disgregazione dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, in una guerra che ufficialmente si è conclusa il 5 maggio del 1994 con la firma dell'armistizio di pace tra Azerbaijan e Armenia. Ma le questioni etniche e territoriali che colpiscono la regione del Nagorno-Karabakh sono ancora oggi motivo di tensioni tra i due paesi. La regione è fortemente militarizzata, e questo incide soprattutto sulla società civile e la popolazione più giovane che da sempre vive in questa condizione, senza aver conosciuto alternative. Il conflitto in Ruanda, invece, è legato alla riforma agraria (1999), promossa per affrontare la questione dei diritti di eredità delle terre da parte di donne e bambini. Tale riforma infatti, a detta di Sydney Smith e Elise Webb, ha incontrato una crescente resistenza dovuta ad un atteggiamento culturale contrario all'eredità femminile. Inoltre le leggi promulgate in tale direzione sono ignorate da gran parte della popolazione, che per di più è composta – dati World Bank 2011 - per il 43% da giovani sotto i quattordici anni. Il progetto di Search for Common Ground ha l'obiettivo di creare un dibattito costruttivo sulla questione dell'eredità delle terre, implementando anche un confronto diretto tra comunità e autorità locali. Segue poi l'analisi puntuale dei due progetti, con riferimento al framework metodologico ideato, e una analisi comparata degli stessi. La proposta che viene elaborata nella discussione dei risultati è articolata sui vari criteri di analisi suggeriti da Hannah Reich. Per quanto riguarda la scelta dei partecipanti, essa riflette le diversità intrinseche che i due casi presentano nelle caratteristiche stesse di conflitto: nel progetto della Peace Dialogue vengono coinvolti giovani provenienti da diverse regioni caucasiche per il ruolo chiave che essi potranno assumere nella costruzione della pace circa la questione del Nagorno-Karabakh; in Ruanda la Search for Common Ground coinvolge attori professionisti che, attraverso le tecniche di teatro partecipativo, sono in grado di coinvolgere in modo neutro ed imparziale la comunità in scene che rispecchiano conflitti e questioni locali. Inoltre, gli obiettivi specifici dei due casi sono diversi. Nel caso del Ruanda, obiettivo specifico è ridurre l'incidenza di conflitti interpersonali intorno alla questione eredità terra, e aumentare il ricorso imparziale e super partes alle autorità locali, comprese le figure degli abunzi, mediatori tradizionali. Per Peace Dialogue obiettivo è incoraggiare il coinvolgimento dei giovani nella discussione di questioni civili e di formarli nella gestione nonviolenta dei conflitti. A partire dal confronto dei due casi e dalla letteratura disponibile sull'argomento, viene proposta una struttura di Forum Theatre for Conflict Transformation che coinvolga un team interdisciplinare di formatori, in grado di accompagnare il processo di apprendimento/insegnamento con una modalità interattiva e interdisciplinare. In questo modo si propone la costruzione di un framework misto che combini, allo stesso tempo e nella stessa sede formativa, gli strumenti di teatro sociale e di mediazione. Sulla stessa linea di pensiero si situa l'approccio dialogico suggerito da Guglielmo Schininà, e l'implementazione condivisa realizzata dalla Peace Dialogue in Armenia/Nagorno-Karabakh. I partecipanti infatti sono stati coinvolti in un processo partecipativo tra pari, che li ha portati a definire in itinere sia le tematiche da affrontare durante il progetto sia il processo di realizzazione, sotto la supervisione di un gruppo internazionale di facilitatori. Nelle conclusioni riassumo il lavoro svolto e avanzo alcune riflessioni, domande, dilemmi e prospettive per ulteriori ricerche in questo campo. Sinteticamente, i nodi più critici mi sembrano riguardare la valutazione e il ruolo degli esperti esterni. Quanto al primo aspetto occorre rilevare che il ruolo dei finanziatori del progetto ha il suo peso e la sua influenza. Come affrontare tale criticità quando il materiale a disposizione è affetto da uno stile propagandistico teso a sottolineare i punti di forza e i risultati positivi a scapito delle debolezze e delle difficoltà? Quanto al ruolo degli esterni, esso può incidere in maniera significativa sulle comunità locali. Che tipo di processi vengono attivati durante la pratica di apprendimento/insegnamento? Quali sono i punti di forza e di debolezza durante il trasferimento di competenze? Come misurare e valutare tale problematicità? Infine il ruolo degli abunzi (mediatori tradizionali locali del Ruanda) nella società ruandese dà lo spunto per riflettere sulle dinamiche di giustizia locale. Come conciliare, nel rispetto dei ruoli e delle culture, la mediazione "formale" con quella tradizionale senza cercare di imporre un approccio unidirezionale?
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