Questa tesi utilizza metodologie differenti al fine di esplorare argomenti generalmente ascritti all'economia dello sviluppo. Il primo capitolo discute la letteratura sul capitale sociale scomponendolo nel suo componente strutturale, le reti, e cognitivo, la fiducia. Ogni componente è a sua volta scomposto in diverse sotto-dimensioni una delle quali, il particolarismo, è utilizzato nel secondo capitolo, sia a livello teorico che empirico, come determinante di forme di corruzione collusiva. Come previsto dalla teoria, il particolarismo ha un effetto positivo e causale sulla probabilità di offrire una tangente. Il terzo capitolo valuta l'impatto di un progetto di estensione agricola realizzato in Etiopia, volto ad introdurre la coltivazione di nuovi prodotti ortofrutticoli insieme ad alcune tecniche e strumenti innovativi. Empiricamente si utilizzano gli strumenti della valutazione d'impatto combinando confronti tra villaggi, attraverso una stima difference-in-differences, con una comparazione all'interno del villaggio usando uno studio controllato randomizzato. I risultati indicano che il progetto ha contribuito alla diversificazione produttiva ma non ha influenzato i ricavi ottenuti dalla vendita dei prodotti ortofrutticoli e, di conseguenza, il benessere delle famiglie. Il quarto capitolo mostra come meccanismi incentivati sufficientemente simili elicitino decisioni correlate in termini di avversione al rischio solo quando si tengono in considerazione altri atteggiamenti relativi al rischio. Inoltre si studia la correlazione tra l'avversione al rischio riportata e l'avversione al rischio ottenuta tramite lotterie. I risultati suggeriscono una misurata validità esterna dei due metodi studiati. ; This dissertation makes use of several methodologies to explore topics ascribed to the field of development economics. Chapter 1 reviews the literature on social capital by presenting a decomposition of trust and networks -- the cognitive and the structural component of social capital, respectively--, in several sub-dimensions. One of this dimension is used in chapter 2 where we investigate, both theoretically and empirically, the role played by the cultural norm of particularism, as opposed to universalism, for collusive bribery. Consistent with the theory, particularism is found to have a positive causal effect on the probability of offering a bribe. Chapter 3 assesses the impact of a small-scale agricultural extension project implemented in rural Ethiopia aimed at introducing the cultivation of horticultural gardens. Empirically, a mixed impact evaluation design is used combining across-villages comparisons, through difference-in-differences estimations, with a within village randomized control trial. The findings indicate that the project contributes to production diversification while it does not influence total revenues from sales, household welfare and diet. Chapter 4 shows that similar incentivized mechanisms elicit similar decisions in terms of monetary risk aversion only if other risk-related attitudes are accounted for. Furthermore, it examines whether individuals' characteristics and a self-assessed measure of risk aversion relate to individuals' choices in lotteries. The findings suggest that there is some external validity of the two studied tasks as predictors of self-reported risk attitudes.
This collection of essays examines various aspects of regional development and the issues of internationalization. The first essay investigates the implications of the impressive growth of China from a rural-urban perspective and addresses the topic of convergence in China by employing a non-parametrical approach to study the distribution dynamics of per capita income at province, rural and urban levels. To better understand the degree of inequality characterizing China and the long-term predictions of convergence or divergence of its different territorial aggregations, the second essay formulates a composite indicator of Regional Development (RDI) to benchmark development at province and sub-province level. The RDI goes beyond the uni-dimensional concept of development, generally proxied by the GDP per capita, and gives attention to the rural-urban dimension. The third essay "Internationalization and Trade Specialization in Italy. The role of China in the international intra-firm trade of the Italian regions" - deals with another aspect of regional economic development: the progressive de-industrialisation and de-localization of the local production. This essay looks at the trade specialization of selected Italian regions (those regions specialized in manufacturing) and the fragmentation of the local production on a global scale. China represents in this context an important stakeholder and the paper documents the importance of this country in the regional intra-firm trade.
In questo saggio Schneider espone dettagliatamente alcune generalizzazioni da lui sviluppate nel corso di un interesse più che decennale ai problemi dello sviluppo. Il suo scopo è mostrare come il modo di considerare e di affrontare lo sviluppo differenzi l'antropologo dall'economista o dal teorico dello svililppo, essendo diverso il tipo di esperienze e di "coinvolgimento" con le realtà e le situazioni su cui si vuole intervenire.Fra le dieci generalizzazioni proposte dall'autore possiamo distinguere quelle che mirano ad evidenziare il "comportamento economico" delle popolazioni del Terzo Mondo nel loro sistema di vita tradizionale, e quelle che riguardano alcune caratteristiche dei piani di sviluppo finora adottati e le loro conseguenze sul sistema sociale e culturale delle popolazioni "beneficiarie" degli interventi.Dal primo gruppo emerge la considerazione che l'uomo del Terzo Mondo è al pari di noi homo oeconomicus e come tale dimostra capacita di decision-maker, cioé valuta varie e reali possibilità e sceglie quelle che gli permetteranno di migliorare i profitti.L'applicabilità di concetti presi dall'economia neo-classica a realtà etnografiche è stata dimostrata proprio dall'evidenza empirica del comportamento razionale delle popolazioni su cui l'autore ha lavorato a lungo. L'esperienza antropologica ha inoltre contribuito a eliminare il pregiudizio che le popolazioni del Terzo Mondo siano orientate alla produzione unicamente per la sussistenza. Oggi è chiaro che questa gente non produce solo per il sostentamento, ma per ricavare un profitto. Un esempio a riguardo ci è offerto dai Turu del Tanganyika studiati da Schneider nel 1959-60. I Turu considerano il bestiame da loro allevato deposito di valore ed aspirano ad avere mandrie sempre più numerose per poter migliorare la loro posizione e aumentare il loro potere nellla società. Per raggiungere un tale obiettivo prima regola da seguire è sposarsi. Alla moglie infatti compete la produzione di grano e più ne produce più aumenta la quantita da immagazzinare e conservare per i periodi di siccità. Un grosso surplus di grano permetterà di ottenere bestiame a basso prezzo. I piu ricchi allevatori infatti, avendo investito poco nella produzione di grano in tempi normali, quando capitano anni di siccità sono costretti a vendere bestiame a prezzi ridotti per ottenere il grano necessario.L'orientamento al profitto è quindi presente nelle attivita di gestione e produzione delle genti del Terzo Mondo. Il suo riconoscimento, come aspetto importante del loro comportamento economico, comporta una necessaria revisione dei principali obiettivi dei progetti sviluppo, fino ad oggi miranti soprattutto ad aumentare la produzione di cibo per migliorare l'alimentazione.Altra generalizzazione, implicita in quanto detto sopra, è che questa gente è motivata ad ottenere potere. È errato quindi considerare queste societa statiche ed il loro ordinamento del potere una rigida tradizione mantenuta dal sistema sociale.Fra i Tiv della Nigeria nel 1920, come riporta la Mead (1955), gli uomini più giovani trovarono un immediato vantaggio dalla situazione creatasi dalla abolizione, da parte del governo coloniale britannico, del tipo tradizionale di matrimonio per scambio delle "sorelle" da cui dipendcvano il potere e l'alta posizione degli uomini piu vecchi. I giovani poterono procurarsi mogli attraverso i normali compensi (bridewealth), minacciando seriamente il potere degli anziani che avevano invece un controllo assoluto sugli scambi tradizionali.Questo ed altri casi citati da Schneider mostrano che quando si presentano particolari situazioni alcune sezioni della popolazione cercano di sfruttarle a loro vantaggio per ottenere potere a scapito di altri, provocando modificazioni nel sistema sociale. La constatata frequenza del fenomeno nega inoltre la possibilità di reputarlo "eccezionale".Altri preconcetti devono essere abbattuti, come quello di ritenere che la gente del Terzo Mondo necessariamente debba essere guidata o indirizzata nelle scelte di sviluppo. Questa gente ha invece dimostrato di essere capace di realizzare per proprio conto forme concrete ed utili di sviluppo. Ne sono un esempio l'industria del cacao creata in Ghana dagli Akwapim e quella del caffé ad opera dei Chagga in Tanzania che si rivelarono le iniziative più vantaggiose per i rispettivi paesi al tempo dell'indipendenza.Un caso particolarmente interessante e quello dei Teso dell'Uganda che iniziarono a coltivare il cotone all'inizio del secolo su pressione del governo coloniale britannico. Sebbene il cotone fosse in competizione con il miglio, loro prodotto tradizionale, il piano non fallì. I Teso infatti seppero integrare la coltivazione del cotone con il loro sistema di produzione di miglio, arrivando ad ottenere un notevole profitto da entrambi. L'aumentata quantità di miglio prodotto permise loro sia di venderlo sia di usarlo per fare birra. Inoltre, resistendo ai tentativi del governo di aumentare la produzione del cotone, mantennero con profitto le loro mandrie e i loro tradizionali sistemi di gestione.Dal secondo gruppo di generalizzazioni proposte da Schneider, emergono due considerazioni: la prima riguarda il carattere etnocentrico della maggior parte dei programmi di sviluppo, l'altra l'impossibilita di raggiungere uno sviluppo con "equità".Sarà sufficiente riportare il caso dei Somali dell'Africa orientale per chiarire la sua prima valutazione. Questa gente è fra le popolazioni africane allevatrici di cammelli quella che ne possiede di più. Questo fatto ed un confronto con gli agricoltori, ritenuti meno ricchi, hanno creato nei Somali una sensazione di benessere economico ed una alta considerazione del loro bene rimario, i cammelli. Lo sviluppo dal loro punto di vista consisterehbe solo in un aumento del numero dei capi per persona. I teorici dello sviluppo invece, attribuendo un valore economico molto basso ai cammelli per i quali non esiste un mercato mondiale, considerano i Somali uno dei popoli più poveri della terra. Le loro proposte di sviluppo quindi consistono nel sostituire l'allevamento dei cammelli con l'agricoltura e la pesca, i cui prodotti hanno un mercato mondiale. Ma nessun Somalo vede in questa sostituzione una soluzione "razionale" per il proprio sviluppo.I piani di sviluppo hanno per Schneider anche un carattere dottrinario poiché, gasandosi in minima parte su una valutazione obiettiva dei fatti, sono dettati soprattutto dall'ideologia di chi è addetto alla loro programmazione. Per esempio il piano proposto per l'area Mbeere in Kenya che mira a individualizzare il possesso della terra, é solo in apparenza un tentativo di scongiurare il degrado dell'ambiente attraverso la creazione di una più responsabile agricoltura. In realta è l'espressione dell'idea inconscia che la privatizzazione e lottizzazione della terra costituiscano un buon sistema poichè è il sistema usato in Europa ed in America. Altro esempio è la sostituzione in Burkina Faso della produzione della birra che costituiva una importante fonte di reddito, con l'industria del cotone che rende meno ma che ha una migliore reputazione.La seconda considerazione riguarda l'impossibilità di raggiungere uno sviluppo equo. Ad essa Schneider arriva partendo dal presupposto che lo sviluppo è un processo politico o sociale. Ciò significa che quando per intervento del governo o delle nazioni interessate allo sviluppo del Terzo Mondo, vengono introdotte nuove o più avanzate tecnologie, oppure nuove forme di produzione, o innovazioni nella gestione ed uso delle risorse, si verificano fenomeni di polarizzazione sociale. Un esempio: in Kenya per disposizioni governative i Tugen, agricoltori, hanno interrotto il loro legame commerciale con gli Il Chamus, popolazione prevalentemente pastorale. Questi ultimi allora hanno cercato di incrementare la loro produzione agricola intensificando l'irrigazione. Ma solo i più ricchi hanno potuto accaparrarsi le poche aree irrigabili. Ora questi hanno il controllo sulle provviste di grano e possono aumentare ancora le loro mandrie vendendo grano ai più poveri della loro gente.Quindi poichè lo sviluppo è spesso accompagnato da polarizzazione sociale non si potrà raggiungere uno sviluppo equo. È meglio allora puntare all'equità o allo sviluppo?Nel Punjab in India l'introduzione di una nuova specie di grano a più alto rendimento contribuì a risolvere in parte i problemi alimentari del paese nel 1970, ma contribuì anche ad aumentare la ricchezza di chi, già più ricco di altri, possedeva un numero di acri tale da permettergli di sostenere le spese che il nuovo prodotto comportava. Una situazione opposta si è verificata in Tanzania che ha seguito la via dell'equità. Il denaro destinato allo sviluppo del paese è stato infatti usato soprattutto per migliorare i servizi legati alla salute e all'educazione, mentre sono stati trascurati investimenti per attività produttive. Ciò ha impedito una polarizzazione sociale ma anche un vero sviluppo del paese.Per Schneider, una risposta a quale delle due vie sia più saggio seguire è suggerita dalla previsione degli effetti dell'una e dell'altra a lungo termine.
The debate over the question of the sustainability of development has been for some time underway in relation to the environment and to public health. More recently attention has turned to other aspects of sustainability as well, now that a generally accepted meaning of the term has been reached which defines it as the sum total of policies for satisfying the needs of the present generation without compromising the capacity of future generations to satisfy their own needs. Within this broader context the role of public administration is obvious. One of the key questions that this volume has attempted to provide an answer is: can the European vision hold true in the same terms for Italy as well? - The debate over the question of the sustainability of development has been for some time underway in relation to the environment and to public health. More recently attention has turned to other aspects of sustainability as well, now that a generally accepted meaning of the term has been reached which defines it as the sum total of policies for satisfying the needs of the present generation without compromising the capacity of future generations to satisfy their own needs. Within this broader context the role of public administration is obvious. One of the key questions that this volume has attempted to provide an answer is: can the European vision hold true in the same terms for Italy as well?
Il contributo degli antropologi alla rogettazione di piani volti ad incoraggiare lo sviluppo sociale ed economico del Terzo Mondo, costituisce oggi uno specifico campo di studio definito Antropologia dello sviluppo. Con questo saggio Brokensha intende mostrare l'importanza della partecipazione degli antropologi in programmidi sviluppo riguardanti le risorse naturali in particolari settori quali l'agricoltura, il pastoralismo e la forestazione.La maggior parte delle agenzie governative ed internazionali promotrici dei progetti di sviluppo hanno per molto tempo ignorato il notevole corpo di conoscenze accumulate dagli antropologi, non curandosi delle strategie tradizionali di uso e gestione delle risorse naturali, dell'organizzazione socio-economica e dei reali bisogni delle popolazioni future beneficiarie dei progetti. Oggi i risultati di una tale ignoranza si constatano amaramente.Brokensha denuncia per esempio l'inadeguatezza e l'insuccesso di molti rogetti avviati in aiuto alle popolazioni pastorali in Africa negli ultimi venticinque anni, con un costo di centinaia di milioni di dollari e che nessun beneficio hanno recato ai pastori se non qualche utile intervento veterinario. La causa dell'insuccesso é proprio la disinformazione che ha creato false idee sul pastoralismo, formando una mentalita anti-nomade nei funzionari delle agenzie africane e internazionali. Si é cosi mirato ad incrementare forme di produzione diverse da quelle tradizionali (es. la carne al posto del latte) ed a instaurare moderne strutture con tecnologie avanzate, tipo i grandi ranges americani e australiani, che si basano su criteri diversi se non opposti ai sistemi tradizionali di gestione del territorio da pascolo e del bestiame e all'organizzazione socioeconomica dei pastori africani. Come conseguenza di una tale politica di sviluppo, molti pastori hanno perso il controllo dei loro mezzi di produzione e si sono impoveriti; non si é ottenuto alcun aumento di reddito, né di produzione né si é frenato il degrado ambientale.Il contributo dell'antropologo in uesto settore consiste nel mettere a disposizione dei pianificatori le sue conoscenze, "informarli" e stimolarli affinché adottino criteri diversi nella stesura dei progetti, tenendo cioé conto, oltre del sistema economico e sociale, anche delle strategie di sopravvivenza adottate dai pastori in ambienti a volte poco ospitali.La necessità della partecipazione degli antropologi alla progettazione dei piani di sviluppo si fa impellente anche per gli altri due settori proposti da Broizensha: l'agricoltura e la forestazione. Riguardo al primo settore, l'autore riporta alcuni esempi di quella che M. Cernea (1985) definisce "sociologia del raccolto" cioé un campo di ricerca che punta ad evidenziare la interrelazione tra requisiti bio-fisici di un particolare prodotto e le istituzioni socio-economiche, e che può realizzarsi più concretamente attraverso la cooperazione tra antropologi ed agronomi. L' "Integrated Pest Management" rappresenta un'altra promettente area di ricerca e di cooperazione tra agronomi e antropologi, sebbene esistano ancora delle diffidenze sui vantaggi di una ricerca congiunta. Thomas Conelly si è interessato alla peste da insetti e alle malerbe nella parte occidentale del Kenya, esaminando i metodi indigeni di controllo della peste ed evidenziando le difficolta nello sviluppo di tecniche innovative che non siano appropriate alle reali condizioni degli agricoltori su piccola scala.Sebbene oggi alcuni centri per lo sviluppo dell'agricoltura si dimostrino più sensibili verso problemi e suggerimenti proposti dagli antropologi, questi sono ancora poco ra presentati. Per esempio solo il 10% dello staff di ricerca degfi "International Agricultural Centres" è costituito da antropologi e pochissimi lavorano in questo settore per l'U.S.D.A., l'U.S.A.I.D. e la F.A.O.Riguardo alla forestazione, settore verso cui si è rivolta una sempre maggiore attenzione da parte dell'opinione pubblica e degli ambienti scientifici a causa del fenomeno della deforestazione, allarmante per il suo continuo dilagarsi e per le prevedibili catastrofiche conseguenze, l'antropologia ha sviluppato un nuovo campo di interesse definito "Forestazione sociale". Esso è nato negli anni '70 quando i dipartimenti forestali, di fronte all'insuccesso di progetti miranti all'impianto massiccio di alberi, specie per legno da combustione, hanno ritenuto necessario ricorrere all'aiuto degli antropologi. Ancora una volta causa degli insuccessi era stata la disinformazione, in questo caso circa i sistemi di utilizzazione e i criteri di valutazione degli alberi da parte degli indigeni e circa la relazione fra organizzazione socio-economica e possesso ed uso della terra e della vegetazione arborea. Disinteresse e mancata cooperazione alla realizzazione dei progetti fu l'inevitabile risposta dei locali a iniziative a loro estranee e non rispondenti alle loro reali esigenze e necessita. Ed ancora una volta il contributo dell'antropologo è ritenuto utile potendo influenzare uno sviluppo appropriato ai fattori sociali e ambientali che offra concreti benefici alla popolazione.Pertanto fra i principali ruoli che secondo Brokensha l'antropologo può svolgere nei programmi di sviluppo il piu evidente è quello di "informatore". Inoltre puo essere anche "mediatore culturale" tra la gente locale e le agenzie che effettuano gli interventi, diventando il portavoce degli indigeni, affinché non rimangano soggetti passivi, ma partecipino attivamente alle decisioni sul loro "sviluppo". Infine per impedire che si presenti la necessità di svolgere un altro ruolo importante ma assai impopolare, e cioé quello di "censore" che sopprime i rogetti a causa dei prevedibili impatti negativi sulla popolazione, l'antropologo deve avere un rapporto continuativo con le agenzie, partecipando a tutti gli stadi della progettazione, sin dalla fase iniziale per prevedere gli effetti sociali del progetto ancora allo stato di disegno, e fino alle fasi di controllo e valutazione finale.L'azione educativa dell'antropologo, che si esplica nel far esaminare i problemi dello sviluppo attraverso un'ottica antropologica, non è però a senso unico. Egli deve anche imparare. Non solo dovrà informarsi su altri campi scientifici, come quello bio-fisico, ma anche studiare la struttura delle agenzie di sviluppo per interpretare i loro processi di decision-making nel loro vasto e complesso contesto organizzativo, e quindi intervenire adeguatamente.
The aim of this thesis is contributing to the debate about the organization of economic activities across space and its impacts both on economic competitiveness and on environmental sustainability. The first chapter states the most important aspects of spatial structure, which are polycentric development and urban dispersion, and highlights the relevance of spatial economic organization for public policies, in particular with reference to the spatial policies addressed by the European Union. In order to assess the effects of spatial structure, the second chapter tackles the issue of the analytical definition and measurement of polycentricity and dispersion. By surveying the most relevant literature in urban and regional economics, and geography and spatial planning, the chapter illustrates the main analytical dimensions and the empirical methods for the measurement of spatial structure at regional level, providing an empirical illustration on Italian regions. The third chapter analyses the relationships between spatial structure and economic competitiveness in Italian NUTS-3 regions. It presents the theoretical framework, grounded on agglomeration economies literature, and check whether agglomeration economies may depend on spatial organization of economic activities across Italian regions. In the empirical analysis labour productivity is taken as a proxy for economic competitiveness and both of polycentricity and urban dispersion seems to have negative impacts. The fourth chapter analyses the links between spatial structure and environmental pressure. The latter have been measured by gas emissions generated by private road transport and house heating. After the literature review, the chapter shows, through regression analysis of NUTS-3 regions, that spatial structure influences CO2 emissions from transport and PM10 emissions from house heating, with no evidence that polycentricity helps in reducing emissions. The thesis concludes discussing the main results from the empirical part of the work and sketch further steps in the analysis of spatial structure and economic development.
The issue of the link between migration and development is increasingly relevant in the global political agenda. However, the scientific discussion concerning the increased migratory flows seems to be more focused on the questions regarding admission and / or rejection of migrants on the territory of receiving countries than on the general topic of the contribution of migrants to the financial, social and cultural development of societies (of origin, transit, or destination). The volume aims at offering food for thought for the analysis of the changes occurring in modern societies, that are asked to answer thoroughly to economic and forced migration. The goal of the volume is to open discussion among experts, scholars and policy-makers, on the problematic questions, outcomes, implications and achievements on migration and development.
Una dura critica all'approccio definito "Analisi dell'impatto sociale" o "Analisi del benessere sociale", sorto recentemente nel campo dell'antropologia dello sviluppo, e avanzata da Gutkind in questo saggio.L'autore considera lo "sviluppo", a cui con confuso liberalismo si rivolge l'interesse degli antropologi, estraneo alle masse beneficiarie. La logica capitalistica e gli obiettivi capitalistici sono mascherati sotto iniziative e opportunità locali. Condanna quindi l'ideologia dello sviluppo che finora ha ispirato gli obiettivi delle politiche di sviluppo adottate nel Terzo Mondo e denuncia il coinvolgimento degli antropologi, quali professionisti dello sviluppo, in questo "gioco". Addirittura aberrazioni sono definite dall'autore i concetti proposti dall' "Analisi dell'impatto sociale", ultimo prodotto di quell'ideologia dello sviluppo che egli ulteriormente condanna in quanto riflette l'ideologia del professionalismo, del carrierismo, dell'intellettualismo di falsa tradizione umanistica.Gutkind propone quindi di affrontare i problemi relativi allo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo con una prospettiva radicalmente diversa, attraverso cioè concettualizzazioni e metodologie proprie della storia sociale. Solo l'approccio della storia sociale con impostazione marxista permette una valutazione ed un'analisi degli effetti dell'incorporazione di paesi a basso reddito in un sistema complesso dominato dal capitalismo. Solamente adottando un orientamento storico sociale si può far luce su questi importanti problemi, offuscati invece da modelli come le "Analisi di impatto sociale", garantendo inoltre la sopravvivenza dell'antropologia altrimenti destinata a scomparire.