Il presente articolo, nato da uno studio condotto nell'ambito del Laboratorio Didattico ISUFI "Il Metodo Scientifico: un Approccio Interdisciplinare", si propone l'obiettivo di indagare come la teoria evoluzionistica darwiniana abbia ispirato ricerche sull'evoluzione delle formazioni sociali originarie. Dopo una presentazione delle principali categorie di aggregazioni sociali nell'antica Roma, il saggio illustra due teorie antitetiche relative al progresso delle formazioni sociali: quella dell'antropologo L. H. Morgan, il quale concluse che le società pià evolute fossero quelle legate all'idea di politica più che di famiglia e quella del giurista H. S. Maine, secondo il quale, invece, la direzione di tale progresso procedeva dalla familia allo Stato. A conclusione dell'articolo, vengono infine esposte le relazioni tra le dottrine dell'uno e dell'altro e gli studi sull'origine della società umana e sul rapporto tra l'uomo e l'ambiente che i filosofi K. Marx e F. Engels condussero a partire da letture di antropologia fisica ed evoluzionistica.
In the last thirty years, it has been identified a theory corresponding to the biological evolution one which concerns the behavioral traits of men and their social organization (institutions, customs, beliefs, social norms, values and technologies). By tracing back the guidelines of cultural evolution and showing how it differs from biological evolution, this paper focuses on the cultural evolution theory and its capability to explain the emergence and the change of rules and institutions at the bottom of social life. In the last part of the paper, recovering F. A. Hayek's pioneering insights, I will analyze the evolutionary dynamics acting at the level of rules and institutions. I will show, on the one hand, how selection of the rules is driven by a complex process in which emerg-ing macro-systemic effects lend an evolutionary advantage to some human groups and allow us to explain how specific rules have successfully survived over time. On the other hand, I will argue that some behaviors have jointly transformed with the changing of societies by following the increasing degree of complexity in the relationships and human environments.
Il presente studio si pone l'obbiettivo di ripercorrere l'evoluzione del rapporto di lavoro subordinato nel diritto del lavoro italiano dalla sua nascita fino ai nostri giorni. Durante il corso della trattazione verranno analizzati i problemi legati alla qualificazione del rapporto, i dubbi su quale metodo utilizzare e quali sono i requisiti necessari per tale qualificazione. Successivamente verranno analizzati i nuovi modelli contrattuali che si collocano a metà strada tra l'autonomia e la subordinazione e le ultime riforme legislative in materia.
La domanda di ricerca dello studio è la seguente: si sta verificando una convergenza verso un modello di corporate governance europeo?L'analisi delle risposte fornite al 'Green Paper' dell'Unione Europea in tema di governo societario evidenzia come i differenti approcci di governance, adottati dai vari stati membri, siano influenzati da fattori politici, socio-economici e legislativi di contesto.Con particolare riferimento ai codici di comportamento, si presenta un'indagine comparativa tra i seguenti codici: UK Corporate Governance Code del 2010, il Codice di Autodisciplina italiano del 2011, e il Kodex tedesco del 2010.In sintesi, dall'analisi congiunta dei codici e delle risposte fornite al 'Green Paper' dell'Unione Europea in tema di governo societario, emerge la volontà dei paesi membri di proseguire verso un processo di convergenza in modo 'spontaneo', senza ricorrere ad ulteriori regole o raccomandazioni emanate a livello comunitario. The research question of this study is as follows: is there convergence towards a European model of corporate governance?The analysis of the responses to the Green Paper of the EU on corporate governance shows that different approaches to governance, adopted by the member States, are influenced by political, socio-economic and legislative environmental factors.With particular reference to codes of conduct, a comparative survey of the following codes: UK Corporate Governance Code of 2010, the Italian Corporate Governance Code of 2011, and the German Kodex 2010 is presented.In summary, the combined findings show the will of the member States to pursue a process of convergence in a 'spontaneous way', without the need for additional rules or recommendations issued by the Community.
La legge che per prima si è occupata del licenziamento è la l. n. 604/1966, in cui per la prima volta si va ad introdurre all'interno del nostro ordinamento giuridico un obbligo di giustificazione in grado di sorreggere il licenziamento e, con il precetto indicato all'art. 4 della stessa legge, viene riconosciuta espressamente la nullità del licenziamento ritorsivo, ponendo così le basi per lo sviluppo della disciplina reintegratoria, che verrà poi disciplinata con lo Statuto dei lavoratori del 1970, per i casi di licenziamento discriminatorio. Infatti, lo Statuto dei lavoratori, l. n. 300/1970, ha permesso che tale principio fosse reso effettivo sul piano sostanziale, prevedendo che il licenziamento sorretto da motivazioni illecite desse luogo non solo al pagamento di un indennizzo economico, ma alla reintegrazione nel posto di lavoro, accompagnata dal versamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali non percepiti (art. 18, l. n. 300/1970). La c.d. "tutela reale" del posto di lavoro, se pure applicata limitatamente alle imprese con determinati requisiti dimensionali, permette dunque di superare il principio del risarcimento del danno (c.d. "tutela obbligatoria") previsto dalla l. n. 604/1966. Non sono mancate però nel corso degli anni delle polemiche, soprattutto in relazione al limite dei requisiti dimensionali richiesti per l'accesso alla tutela che, di fatto, finivano per sottrarre gran parte delle imprese alla disciplina della nuova previsione ex l. n. 300/1970. Il dilemma fu superato solamente vent'anni più tardi con la l. n. 108/1990 con la quale si precisava che il licenziamento discriminatorio non solo è nullo, ma altresì è dovere del giudice applicare la tutela reale prevista all' art. 18 qualora rilevi la presenza di una diversificazione illecita che aveva condotto alla cessazione del rapporto di lavoro con il dipendente a prescindere dal numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro all'interno dello stabilimento. La situazione però inizia a mutare con la grave crisi economica e finanziaria del 2008. Le raccomandazioni europee, per tutto il decennio precedente, avevano continuato a promuovere politiche volte a congiungere una maggiore flessibilità nella regolamentazione dei contratti di lavoro con un sistema di sicurezza sociale universale, ma la disastrosa situazione negativa del mercato del lavoro italiano con un alto tasso di disoccupazione e di inoccupazione dovuto alle scarse occasioni di impiego, emerge in tutta la sua vulnerabilità. Così che il legislatore nazionale decide di intervenire riformando il mercato del lavoro, anche relativamente alla disciplina sanzionatoria dei licenziamenti illegittimi, prima con la riforma c.d. Fornero del Governo tecnico Monti, ossia la l. n. 92/2012, e poi con il c.d. Jobs Act del Governo Renzi, che ha trovato attuazione con il d.lgs. n. 23/2015. Queste due ultime riforme, in realtà, non hanno modificato il regime di tutela riconosciuto per i casi più gravi di licenziamento derivanti da discriminazioni vietate dallo Stato, ma in un certo senso si può dire che hanno evidenziato il peso di un tale genere di recesso con la progressiva esclusione delle altre fattispecie di licenziamento dal novero della tutela reale e la loro riconduzione a forme di riparazione semplicemente di carattere economico. Per quanto riguarda l'ambito del licenziamento discriminatorio, bisogna dire che questo trascende l'ambito del diritto del lavoro e va ad intrecciarsi con altre branche del diritto, in quanto la discriminazione tocca proprio gli aspetti dei diritti fondamentali della persona. Le varie Costituzioni europee del secondo dopo guerra hanno cercato di delineare nel tempo un sistema di tutele sempre più forti verso degli individui che la società indica come "soggetti deboli", "soggetti diversi" e che per questo motivo vengono sottoposti continuamente a situazioni sgradevoli sia nella vita di tutti giorni, sia all'interno dell'ambito lavorativo.
Tra i problemi che accompagnano i mercati finanziari in presenza di cospicui debiti da collocare va incluso in primis quello che concerne la risposta dei portafogli delle famiglie e delle imprese a variazioni dei prezzi relativi delle attività finanziarie.
Il presente lavoro di tesi, intitolato "Violenza sulle donne: evoluzione culturale e normativa", muove dall'intento di far luce sul ruolo della donna nella nostra società, che da sempre si trova in una posizione subordinata. La tesi tratta del tanto discusso fenomeno del femminicidio, iniziando dall'analisi delle origini del termine e del fenomeno, dei contesti e delle sue cause analizzando le legislazioni degli Stati che hanno tipizzato il reato; il lavoro si propone di raccontare la diffusione del fenomeno in Italia, offrendo un'analisi puntuale sui dati e sugli strumenti legislativi presenti. Gli ostacoli che le donne sono costrette ad affrontare, per procedere nell'uguaglianza effettiva, sono direttamente collegati ai ruoli imposti da determinati stereotipi di genere che pongono quest'ultime in situazione di sottomissione, d'inferiorità e dipendenza. Nel corso della trattazione affronteremo la tematica del contrasto alla violenza di genere, la quale rappresenta una piaga, che affligge trasversalmente la società, indipendentemente dalla classe sociale. La violenza di genere è equiparata ad una vera e propria mancanza di senso di civiltà, un abominio, un'ingiustizia che fin dai tempi antichi veniva legittimata dal fatto di non essere un uomo. Tuttavia, con il passare del tempo nell'immaginario collettivo è incrementata la consapevolezza dell'uguaglianza tra i due sessi, e di pari passo la necessità di tutelare la figura della donna dal punto di vista legislativo, la quale risulta indispensabile per sradicare la forma mentis comune, frutto di secoli. L'accadimento singolo e circoscritto dell'uccisione di una donna non può essere conseguenza di un evento isolato frutto di un raptus improvviso da parte del colpevole, questa rappresenta una vera e propria esemplificazione nonché banalizzazione dell'episodio, poiché come possiamo notare dalle statistiche, la maggior parte dei carnefici si nasconde tra le mura di casa, dietro il volto conosciuto e familiare di parenti e partner. Questo fenomeno è difficile da analizzare nella sua interezza in quanto i colpevoli del reato e le vittime sono solitamente congiunte a livello sentimentale, e ciò comporta ad un'inesorabile tolleranza nei confronti delle violenze, portando le vittime a minimizzare e giustificare suddetti gesti, tutto ciò concorre ad incrementare il numero invisibile, di cui le statistiche restano ignare. Appare dunque di importanza chiave cercare di delineare i contorni di questo complesso fenomeno, con il fine di arginare il più possibile questi indicibili eventi agendo contemporaneamente sul versante delle politiche e dei servizi, a partire dalle campagne di sensibilizzazione in concomitanza con le contromisure legislative. La violenza contro le donne assume una connotazione di invisibilità, perché i soprusi si consumano perlopiù all'interno delle mura domestiche e il denunciare un affetto diventa difficile, poiché l'emotività prende il sopravvento nel tentativo di giustificare l'avvenimento quasi mai circoscritto, ma quasi sempre ripetitivo e che può sfociare nella sua più alta forma di violenza, il femmicidio. Questo fenomeno è difficile da razionalizzare, perché sarebbe una segreta ammissione di inciviltà e brutalità, ma purtroppo i dati riportati nel quarto capitolo di questa trattazione, parlano chiaro, le violenze e i femminicidi crescono di anno in anno, e con il lockdown la situazione è peggiorata notevolmente. Osservando i dati è inevitabile cogliere la necessità di porre un freno a questi abusi inumani, e l'unico modo è tutelare la figura femminile a livello legislativo con disposizioni ad hoc per ogni casistica e per contro irrigidire le pene nei confronti di chi compie il reato. In questo senso si è mosso in prima battuta il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa nell'Aprile del 2011, elaborando la Convenzione di Istanbul, un trattato che si propone di salvaguardare e proteggere le vittime di violenza di genere e simultaneamente evitare l'impunità dei colpevoli, questo rappresenta "il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza", la quale viene descritta dettagliatamente nel secondo capitolo della trattazione. Seguendo il fil rouge della cogitazione riguardante la crescente tutela della figura della donna, il terzo capitolo offre una puntuale delucidazione sul Codice Rosso, anche nota come legge 69/2019, il cui fine è rafforzare la protezione delle vittime di violenza di genere e violenza domestica, agendo contemporaneamente sulla tutela in senso stretto delle vittime e sulla repressione, irrigidendone le conseguenze tramite interventi di modifica sul Codice penale e il codice di procedura penale. Il termine Codice Rosso è stato coniato dalla vulgata giornalistica, la quale ha ripreso la dicitura del triage del pronto soccorso degli ospedali, infatti, la suddetta dicitura esprime necessità di priorità e massima urgenza. Nel corso del capitolo si andrà a dipanare la legge nella sua interezza, gli aspetti innovativi e positivi e per contro le lacune e le forme a cui apportare delle migliorie. Il Codice Rosso ha il fine ultimo di affrontare la tematica della violenza delle donne in un'ottica volta ad infrangere il silenzio e l'omertà che aleggiano intorno a questo fenomeno, ed esso rappresenta, ad oggi, la forma più puntuale e regolamentata di tutela in questa direzione. L'applicazione del Codice Rosso durante il periodo di lockdown rappresenta l'essenza del quarto capitolo, in cui verranno elencati gli strumenti di tutela frutto della legge 69/2019, declinati concretamente in un contesto difficile per la società nella sua interezza e nello specifico per le donne vittime di violenza domestica. La casa, luogo in cui ci si sente al sicuro e a proprio agio, un'ubicazione familiare che in circostanze di costrizione, come quelle causate dalla pandemia può rappresentare il set di un vero e proprio incubo, soprattutto se si vive a contatto con una persona avvezza a compiere violenze domestiche. L'ultimo capitolo, infine, si conclude con un'attenta riflessione sui risvolti positivi e negativi dopo due anni dall'emanazione del Codice Rosso, analizzando in modo puntuale il periodo intercorrente dall'emanazione della legge ad oggi. Un periodo peculiare e complesso che ha portato ad una crisi mondiale sociale ed economica, la quale si è fatta portatrice di paura e incertezza sul futuro. Questo crogiolo emotivo non può che far da scintilla a situazioni già delicate, portando ad un ineluttabile incremento di casi di violenza.
La tesi ripercorre le tappe del giudizio immediato nel nostro ordinamento italiano: dalle previsioni omonime nel codice pre-unitario, che però hanno in comune solo il nome con l'attuale istituto, fino all'odierna previsione nel codice prodotto dal legislatore nel 1988. Nel codice attuale si è deciso di dare ampio spazio ai riti c.d. speciali, ed il giudizio immediato è forse il più usato tra questi ultimi. Il suo largo utilizzo non è stato minato dal fatto che, nonostante gli articoli che ne parlano siano meno di una decina, molti aspetti sono di difficile determinazione, per cui spesso e sovente dottrina e giurisprudenza sono dovute intervenire per individuarne corretta portata ed interpretazione. Dal 2008 si è aggiunta poi una nuova ipotesi di giudizio immediato, che ha come presupposto la custodia cautelare. Si tratta di un istituto che si discosta dagli scopi e motivazioni del giudizio immediato c.d. tipico.
Nel contributo si ripercorrono le numerose riforme che, seguendo ad un lungo periodo di indifferenza del legislatore, a partire dal 1998 sono intervenute in materia di processo esecutivo, sintetizzandone i contenuti e valutandone la portata. Tra queste, si approfondisce la recente riforma dell'art. 614 bis, che ha generalizzato l'applicazione della norma, mantenendone però, condivisibilmente, esclusi i provvedimenti di condanna al pagamento di somme di denaro. Si auspica un arresto temporaneo di tali frenetici interventi, così da stabilizzare gli effetti delle modifiche apportate e da permetterne agli operatori del diritto un'analisi ed applicazione nel lungo periodo. ; The Author studies the copious changes relating to the executive process from 1988, including the latest relating to the art. 614 bis of the civil procedure code. The latter entails the generalized implementation of the art. 614 bis c.p.c., still except the sentence to payment an amount of money. He concludes with the hope that the uninterrupted amendments have a decrease.
A partire dalla metà degli anni '90, i controlli non sono più concentrati sul prodotto finito ma sono distribuiti lungo tutto il processo di produzione, trasformazione e distribuzione. Precedentemente all'entrata in vigore del "Pacchetto Igiene" il quadro normativo che disciplina le problematiche alimentari in Italia era un groviglio di norme di non facile gestione: da un lato la Legge 283 del 1962 e il DPR 327 del 1980 che propugnavano un tipo di controllo basato sulle ispezioni ed i cam,pionamenti e dall'altro i decreti legislativi n. 123 del 1993, n.555 del 1997 recepimenti di direttive Europee, che propugnavano un tipo di controllo basato sull'autocontrollo e sulla responsabilizzazione degli operatori. Nel 1997 la Commissione Europea pubblicò il Libro Verde intitolato " Principi generali della Legislazione in materia alimentare nell'UE", però le consultazioni effettuate in seguito alla pubblicazione di questo libro sono sfociate per le gravi crisi originate in quegli anni dal settore mangimistico e che hanno evidenziato le lacune della regolamentazione alimentare europea. Per questo motivo nel Gennaio del 200 la Commissione Europea pubblico il "Libro Bianco" sulla Sicurezza alimentare, nel quale si delinea che: la salubrità degli alimenti si può assicurare solo applicando sistemi di controllo lungo tutta la filiera, dalla produzione delle materie prime al consumo degli alimenti. Nel Libro Bianco viene prefigurato un intero nuovo quadro giuridico che vedrà la luce con la promulgazione del Regolamento CE n. 178/2002 ha definito i principi ed i requisiti generali della legislazione alimentare, istituito l'Autorità Europea per la sicurezza Alimentare (nel 2002). Il 30 Aprile 2004 i quadri normativi nazionali e comunitari relativi all'igiene degli alimenti, sono stati ridisegnati da un pacchetto integrato di 4 Regolamenti e che sono entrati in vigore dal 1° Gennaio 2006. Contestualmente ai 4 Regoilamenti è stata pubblicata la direttiva 2004/41/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo relativa ai controlli e all'applicazione dei Regolamenti comunitari nel settore alimentare, che uniforma a livello europeo il diritto alimentare, questa direttiva viene recepita in Italia con il D.Lgs 193/2007.
La categoria dei professionisti, sin dagli albori dell'Antica Roma, ha visto la propria posizione consolidarsi, e con il tempo, le professioni intellettuali sono diventate così importanti da necessitare di propri Ordini. La necessità di unirsi è sempre stata considerata dal Legislatore, ed infatti non sono mai mancate regolamentazioni al riguardo. La prima legge importante però viene scritta nel 1939, con cui si permetteva ai professionisti abilitati di unirsi sotto una veste giuridica comune, quelle delle associazioni professionali. Successivamente, con la spinta della Comunità Europea, del mercato e del Garante della concorrenza, è stata necessaria una riforma tale da permettere ai professionisti di potersi associare attraverso il modello societario. Queste riforme sono ancora oggi incomplete, tanto che non sono nemmeno chiari alcuni aspetti fondamentali della disciplina. Le riforme principali, che non sono state né anticipate né seguite da riforme delle professioni, sono le due Leggi Bersani (1997 e 2006), la L. 183/2011 ed infine il Regolamento 34/2013. A fianco a questi c'è stata una vera riforma della professione forense che è stata autonomamente disciplinata. Le due principali novità sono state la possibilità di utilizzare tutti i modelli societari e la possibilità di far entrare soci di capitale, quindi non professionisti. I problemi non mancano, ed infatti non è disciplinato in alcun modo l'ambito fiscale così come quello previdenziale. Nell'incertezza ci rifacciamo per l'ambito fiscale ad un parere dell'Agenzia delle Entrate. Questi, ed altri, sono i motivi per cui la ricerca statistica effettuata ha evidenziato la scarsità di stp in Italia: 194 distribuite in quasi tutte le regioni. Per riuscire a dare un quadro fedele della situazione sono stati intervistati alcuni professionisti, esponenti delle associazioni dei commercialisti del territorio toscano ed infine, alcuni professionisti che hanno scelto il modello società tra professionisti. La soluzione a cui si è giunti non è in alcun modo definitiva, ma è un punto di partenza per riuscire a capire le motivazioni che portano a questa scelta, e magari riuscire a trovare una soluzione.
Il mio lavoro è focalizzato sulla figura del gaucho argentino di fine '800, inserito in un contesto che presenta problematiche di vario tipo:sociali, politiche, economiche e culturali.Le caratteristiche di questa figura così particolare vengono incarnate dal protagonista dell'opera di José Hernández, El gaucho Martín Fierro, poema epico argentino che ha riscosso un grande successo non solo in Argentina, ma nell'intero continente sud americano.
How the italian network of Nilde libraries has grown in cooperation during the last 4 years (2001-2005): main points and positive results of the Nilde "Regolamento". ; La crescita della rete delle biblioteche Nilde, i punti chiave del Regolamento e i risultati ottenuti. I dati sugli scambi intercorsi nel periodo 2001-2005 (dall'inizio della sperimentazione all'attuale composizione della rete, costituita da oltre 450 biblioteche) possono fornire utili suggerimenti per arrivare a costruire una politica comune per il pagamento degli articoli, basata sul confronto dei volumi di scambio e su una valutazione dei costi/benefici offerti dalla rete stessa. Viene inoltre proposto un modello economico sostenibile affinch? la rete Nilde possa da "progetto" trasformarsi in "servizio".
I maltrattamenti in famiglia sono una figura di reato che compare per la prima volta all'interno dei codici preunitari, per poi essere configurata nell'art. 391 del codice Zanardelli ed infine all'art. 572 dell'attuale codice penale. La fattispecie è stata soggetta a profonde modifiche interpretative, che hanno portato ad un ampliamento sia dei soggetti ivi rientranti, sia dei fenomeni ivi riconducibili, qualora vi siano tutti i requisiti richiesti (basti pensare al mobbing e al bullismo). La condotta rilevante ai sensi dell'art. 572 è quella che si articola in una serie abituale di atti che, se isolatamente considerati, possono anche non essere penalmente rilevanti, oppure possono corrispondere ad altre fattispecie quali minacce, lesioni etc. e che, proprio per la loro reiterazione, ledono la personalità della vittima, costringendola ad un regime di vita umiliante e sofferente. Il comma 4 dell'art. 572 c.p. delinea le ipotesi aggravate dall'evento, cioè quando dalla condotta del soggetto attivo derivano a quello passivo lesioni gravi, o gravissime, o la morte. Mentre l'ipotesi- base richiede necessariamente il dolo, l'ipotesi aggravata lo esclude, perché rientra nella categoria di delitti aggravati dall'evento in cui l'evento ulteriore non deve essere voluto dall'agente, configurando altrimenti la diversa corrispondente fattispecie dolosa. I limiti edittali dell'art. 572 sono stati innalzati a più riprese dal legislatore, l'ultima volta nel 2019.
2010/2011 ; Sommario Il principio di legalità nel diritto penale sembra avere subito in tempi recenti quello che può definirsi il processo di eterogenesi dei fini. Quanto più esso ha trovato riconoscimento incontestato tra gi studiosi, affannati ad espungere le fonti secondarie, tanto più la fonte primaria ha smarrito i connotati che ne conclamavano il valore: per un verso, in attuazione del principio di uguaglianza, la generalità e l'astrattezza; per un altro verso, in attuazione del principio di garanzia statuito a vantaggio dei destinatari della norma, la descrizione precisa e pregnante del fatto illecito e delle conseguenze punitive. Se ben deve riconoscersi, come insegnato già da Aristotele, che spetta alla legge determinare "tutto quanto è possibile", restringendo il campo della libertà ai giudici soprattutto "perché il giudizio del legislatore non è particolare, ma riguarda il futuro e l'universale, mentre il componente dell'assemblea e il giudice giocano ogni volta su casi presenti e determinati", incorrendo così il rischio per "amicizia, odio o utilità particolare di non vedere sufficientemente la verità, ma il piacere o il dispiacere personale", allora è evidente come e quanto la fonte legislativa tenda attualmente a distaccarsi dai suoi fondamenti. Da un lato, la perdita di autorevolezza del legislatore determina un calo generalizzato della fiducia nella legge, vista come incapace di risolvere i nodi cruciali del diritto penale; dall'altro la giurisprudenza, "approfittando" di tale situazione, tende ad affermare la sua autorità mediante la correzione in via interpretativa dei supposti errori e delle lacune dei prodotti legislativi. Questi fattori determinano dubbi in ordine al valore oggi da attribuire alla legge, la cui supremazia dovrebbe derivare, non solo formalmente dall'organo rappresentativo che la emana, ma anche sostanzialmente da alcune peculiarità che dovrebbero caratterizzarla, quali generalità, astrattezza, stabilità, determinatezza, precisione, chiarezza, imperatività e razionalità. Tutte caratteristiche queste che sono state viste consuetamente come dirette a realizzare i valori di libertà, uguaglianza e sicurezza collettiva, di cui lo Stato si è fatto garante assoluto. Inoltre, la diluizione formale e sostanziale della sovranità, determinata, sul piano esterno, dalla moltiplicazione dei vincoli internazionali e comunitari e, su quello interno, dalla tendenza a sostituire, a livello di tecnica di regolazione giuridica, il precetto autoritario col metodo della negoziazione e del bilanciamento degli interessi dei rappresentanti dei poteri socialmente forti, solleva ulteriori perplessità sulla validità del principio di stretta legalità nel campo penale. Da non dimenticare, poi, come l'erosione del dogma, sempre alla base della legalità, della rigida sottoposizione del giudice alla legge, abbia favorito l'accrescersi dello spazio interpretativo lasciato alla giurisdizione. Procedendo con ordine, occorre subito rammentare che il senso più pregnante della garanzia apprestata dalla riserva di legge, come garantita dall'art. 25 Cost., nei confronti del c.d. potere punitivo non è solo quello della possibilità data all'individuo di regolare il proprio comportamento su una previa regola generale e astratta, ma è anche e soprattutto quello derivante dalla democraticità, che appunto individua nel procedimento legislativo il migliore sistema con cui prendere decisioni politiche. La crisi della riserva di legge consegue ad una crescente incapacità della stessa di dispiegare il suo ruolo di garanzia su entrambi i piani. Tralasciando i contorni davvero fittizi che ha assunto la garanzia della libertà di autodeterminazione offerta dalla legge al cittadino, ciò che qui rileva è la qualità della legge e della legislazione, pregiudicata dalla produzione quantitativamente inflazionistica e qualitativamente sciatta da rendere nulla più che una finzione la possibilità per il cittadino di orientare il proprio comportamento sulla base di una norma sufficientemente chiara. Ma l'aspetto che più preme è quello della garanzia recata della legge in ragione della sua democraticità, definibile come contenutistica. Su questo piano tre paiono le linee di caduta della legalità: la perdita di consistenza dello stesso principio democratico tradizionale; la trasformazione del sistema delle fonti e la loro proliferazione a scapito della legge; l'alterazione dell'originario equilibrio tra la legge e il potere giudiziario. Quanto al primo aspetto ci si interroga su quali siano i reali vettori che conducono la volontà popolare a trovare espressione nella legge, se i meccanismi della rappresentanza parlamentare o non, piuttosto, le interpretazioni che di tale volontà forniscono le concentrazioni massmediatiche e più in generale i potenti gruppi economici con la loro attività lobbistica; nel campo penale poi il carattere spesso emotivamente coinvolgente delle materie oggetto di disciplina penale finisce per accrescere il ruolo dei mass media nella formazione del necessario consenso sociale. Per quanto riguarda poi le conseguenze del passaggio al sistema maggioritario, è facile constatare come all'accentuato potere della maggioranza in sede parlamentare e governativa faccia riscontro la tendenza a protrarre il processo di formazione normativa presso gli organi di garanzia, quali Corte costituzionale e Presidente della Repubblica. Il fatto è poi che la democrazia non costituisce più l'unico asse su cui si regge il sistema istituzionale. In primo luogo si assiste al diffondersi dell'opera interpretativa dei giudici, per non parlare delle decisioni della Corte Costituzionale. Infatti, sebbene la Corte Costituzionale abbia consolidato un rigoroso self restreint quanto alle questioni di costituzionalità in malam partem, ciò non ha evitato, da parte della stessa, manipolazioni di disciplina talvolta davvero innovative e creative, con effetti favorevoli per il reo. Basti all'uopo pensare alle c.d. sentenze additive di principio, con cui la Corte dichiara l'incostituzionalità di una omissione legislativa: esse, enunciando anche il principio a cui dovrà ispirarsi il legislatore se e quando deciderà di provvedere, implicano, per un verso, forti limiti al quomodo dell'eventuale disciplina legislativa e, per altro verso, conferiscono da subito al giudice il potere-dovere di tradurre sul piano operativo il principio affermato. In secondo luogo, non è possibile non prendere d'atto che alla volontà e certezza alla base della legalità di stampo illuminista, in grado quindi di controllare previamente il conflitto di interessi, si è sostituita l'idea del diritto come strumento di governance dei plurimi interessi in gioco. Alla volontà unitaria del precetto penale si sostituiscono, più che le volontà dei giudici e delle parti chiamati a confrontarsi con la fattispecie, le valutazioni che essi opereranno per rendere la disciplina coerente con gli obiettivi strategici del sistema; dunque, governance al posto di volontà prescrittiva. Questo mutamento comporta nella pratica che alla rigidità descrittiva della fattispecie penale si sostituisca l'indicazione legislativa di parametri, criteri e obiettivi di disciplina; alla certezza della decisione giuridica, sintomo di onnipotenza del diritto, è subentrato l'equilibrio che è, invece, il risultato di un diritto che riconosce la molteplicità delle forze e la conseguente difficoltà delle scelte decisionali e per questo vi appresta degli strumenti per arrivarvi. In terzo luogo, non si può non osservare come la realtà, sempre più pervasa dalla tecnologia, abbia determinato lo spostamento del baricentro normativo dall'organo parlamentare all'apparato amministrativo, con tutta la fioritura di autorità indipendenti e organi tecnici dotati di specifiche competenze comprensive di poteri normativi. Quanto al secondo piano del discorso attinente alle fonti, si può osservare come la maggior parte degli atti parlamentari aventi un contenuto provvedimentale sono quelli elaborati all'esterno attraverso la c.d. contrattualizzazione del processo di formazione della decisione normativa, mentre le poche leggi di principio spesso assumono valore simbolico o si limitano a comporre il conflitto ideologico che sta alla loro base solo grazie a formulazioni ambigue e indeterminate, tali cioè da esprimere solo in apparenza una volontà parlamentare, rimettendo, nella realtà, la decisione agli organi dell'applicazione. Ma ciò che segna la crisi della legge penale è, come noto, l'incremento delle fonti primarie di origine governativa: dopo l'alt dato dalla Corte Costituzionale all'abuso del decreto legge, si è aperta la stagione del decreto delegato. I requisiti costituzionali della delegazione legislativa hanno subito un progressivo allentamento nella prassi, ma è soprattutto con l'invenzione dei decreti delegati correttivi che si è ottenuto il risultato di un prolungamento della delega che tende a stabilizzare nel Governo il potere di normazione primaria. In questo quadro si inserisce anche il procedimento di attuazione delle direttive comunitarie, affidato appunto ad un meccanismo che fa congiuntamente ricorso alla delegazione legislativa e alla delegificazione. In ogni caso, data la quantità di direttive che ormai condizionano la fisionomia attuale dell'ordinamento, ne risulta per questa via potenziato il ruolo delle fonti primarie di origine governativa. Naturalmente si potrebbe osservare, non senza fondamento, che la crisi della legge riguarda l'ordinamento nel suo complesso, mentre il diritto penale dovrebbe esserne immune stante la riserva di legge costituzionalmente sancita in materia. Ma è altrettanto vero che il diritto penale non può ritenersi avulso dalla realtà, condividendo, in misura maggiore o minore, le sorti dell'intero ordinamento, sollecitato com'è, anch'esso, ad aprirsi al pluralismo delle fonti da fattori sia interni che esterni. Invero, se il quadro sopra descritto concerne i fattori interni della crisi del principio della riserva di legge, non si può fare a meno di notare come elementi di minaccia promanino anche dall'esterno; all'uopo occorre distinguere tra diritto comunitario e quello internazionale. Nello scenario mondiale domina ancora lo strumento convenzionale, il quale fa salva la sovranità nazionale e il ruolo del Parlamento, chiamato ad autorizzare la ratifica delle sempre più numerose convenzioni internazionali multilaterali. Tuttavia la libertà dell'organo parlamentare appare piuttosto limitata: da un lato, le convenzioni concernenti la materia penale paiono sempre più dettagliate, perché si spingono non solo a formulare modelli minuziosi di fattispecie ma, non di rado, vincolano gli Stati anche a livello del trattamento sanzionatorio; dall'altro, l'oggetto di tali atti normativi è sempre più spesso tale da imporre obblighi sempre più difficilmente eludibili dagli Stati. Si assiste pertanto ad un fenomeno di grande interesse sul piano delle fonti, caratterizzato dalla riduzione del margine di discrezionalità del legislatore nazionale di fronte ad atti convenzionali e di fatto cogenti, i quali per un verso traggono origine da organi privi di legittimazione democratica e per altro verso si rivelano dotati di una particolare autorevolezza derivante da una legittimazione fattuale fondata sulla capacità di soddisfare bisogni di tutela ovunque condivisi. Passando all'ordinamento comunitario si assiste, oltre al già menzionato meccanismo di recepimento predisposto dalla legge comunitaria annuale, sia all'estensione della competenza penale dell'Unione europea ad opera del Trattato di Lisbona, che al sempre più ampio ricorso a direttive, a loro volta sempre più stringenti e dettagliate, anche riguardo al profilo sanzionatorio, così che anche qui il ruolo della volontà parlamentare nella produzione del diritto penale risulta ridotta. Il descritto stato di crisi del principio di legalità è costretto, altresì, a fare i conti con il diffondersi, nel nostro ordinamento, di un nuovo fenomeno di natura esogena: il (o anche la) soft law, locuzione traducibile in italiano come diritto leggero, ovvero morbido, ovvero soffice, ovvero attenuato. Con tale espressione si intende far riferimento ad una moltitudine variegata di atti latu sensu normativi, accomunati dall'assenza del requisito della forza cogente, che, appunto, sembrava essere l'essenza della nozione di norma giuridica. Alla luce di tale definizione risulta allora evidente come affrontare la tematica della soft law significhi affrontare un paradosso. Innanzitutto perché all'interno di tale categoria vengono ricompresi una congerie di atti che, seppur privi di efficacia obbligatoria, dispiegano comunque degli effetti giuridici. Secondariamente, ma non certo per importanza, tale ambiguità emerge, con immediatezza dall'accostamento dell'aggettivo soft al termine law: il diritto è, infatti, per tradizione considerato hard, ossia obbligatorio. Secondo l'impostazione maggioritaria, infatti, un soft law privo di effetti legali non è law, laddove un soft law fornito di essi è sicuramente hard law. Nonostante tale posizione tradizionale prevalente, alcuni studiosi, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso hanno cominciato, nell'ambito del diritto internazionale, a prospettare la possibilità di immaginare l'esistenza di un tertium genus di fonte di produzione del diritto, nascente in risposta alla complessità giuridica della globalizzazione. Lo sviluppo del diritto soffice testimonierebbe, in tal senso, la possibilità di ingresso nel circuito della giuridicità di soggetti nuovi, non sempre formalmente titolari delle competenze necessarie per produrre un diritto "a denominazione di origine controllata". Ciò implica anche la creazione di un circuito giuridico che attiva logiche e processi che superano il criterio essenziale dell'obbedienza. In pratica, non si tratta solo di un percorso di perdita del carattere verticale del diritto, ma anche in un certo senso di un rimodellamento del suo criterio di legittimazione, che non è più affidato alla forma, ma piuttosto ad un contenuto o a delle modalità che sappiano riscuotere l'adesione dei destinatari, indipendentemente dalla previsione di sanzioni. Alla luce delle descritte peculiarità della normativa attenuata, tutto il sistema penale, hard law per eccellenza, sembra muoversi in una direzione antitetica a quella della soft law. In particolare, questa antinomia si appalesa in tutta la sua chiarezza ove si mettano a confronto alcune caratteristiche fondamentali delle due normative: se l'unico organo di produzione abilitato in campo penale è, ai sensi dell'art. 25 Cost., il Parlamento, in quello attenuato gli enti legittimati sono plurimi e non sono solo statali, substatali o sovranazionali, ma anche espressivi di poteri non necessariamente a carattere territoriale; mentre le norme soffici possono anche limitarsi a porre degli obiettivi, quelle penali devono essere formulate quanto più possibile in modo chiaro e preciso, indicando inequivocabilmente i comportamenti vietati; laddove i destinatari delle norme attenuate coincidono spesso con i soggetti produttori delle stesse e si indirizzano solitamente a categorie ben individuate di soggetti, le norme penali generalmente si rivolgono in maniera indifferenziata a tutti gli individui presenti sul territorio statale; se il diritto debole costituisce un diritto meramente esortativo, diretto a persuadere più che ad obbligare, risultando pertanto privo di sanzioni, all'opposto il diritto penale è il ramo dell'ordinamento giuridico più di ogni altro vincolante; la normativa leggera prescinde dal tradizionale modello delle fonti kelseniano di tipo piramidale, su cui il sistema penale si fonda, per collocarsi all'interno di un modello improntato ad una logica reticolare, senza gerarchie; la soft law è per definizione destinata ad operare in ogni ambito, da quello angusto di una singola impresa a quello sconfinato del mercato globale, mentre il diritto penale è la branca meno universalizzabile, perché simbolizza la sovranità nazionale e la cultura di ciascun popolo; infine, se il diritto penale si caratterizza per un elevato tasso di rigidità e stabilità, dati i beni giuridici che va a tutelare, all'opposto il diritto morbido si esprime con strumenti non solo flessibili, ma anche mutevoli, per meglio rispondere alla rapida evoluzione della società. Tale insanabile antinomia tra diritto soffice e diritto penale pare però, ad un'attenta analisi del panorama giuridico attuale, più astratta che reale, ove solo si consideri quanto detto in apertura sulla crisi dei principi di legalità e della riserva di legge e sulla progressiva alterazione di alcuni tratti peculiari del diritto penale. ; XXIV Ciclo ; 1984