This book focuses on protest music and "dissident" composers and musicians during the twentieth century, with a particular focus on the forms with which dissent may be expressed in music and the ways composers and performers have adopted stances on political and social dissent. Twenty-one articles by scholars of different nationalities explore not only the way in which protest music is articulated in artistic-cultural discourse and the political matter, but also the role it played in situations of mutual benefit. Moreover, the phenomenon of dissent is investigated within the contexts of musical historiography and criticism, approaching the topic from historical, sociological, and philosophical perspectives
My Ph.D. dissertation focuses on the Early Music movement in Italy between the second post-war period and the end of the seventies in a historic-cultural point of view, limited to the revival of the Medieval repertoire. It is an initial inquiry of a complex and international phenomenon, whose Italian manifestation has still not been an object of research. In this work the phenomenon Early Music – analysed through historical, historiographic and ethnographic criteria – is settled into the broader Italian political, social and cultural context in order to underline the peculiarities, to detect the ideological, esthetical and political reasons which nourished it and to set up connections with other Italian experiences in the second half of the 20th Century, not only what music concern. The work is articulated in two sections. The first part focuses on the early music activity from the period of the post-war reconstruction to the early sixties, through the revival of the lauda and of the liturgical drama repertoire, particularly rich in those years. The first chapter deals with the presence of Medieval music in the cultural life of the post-war period, both what discography and live performance concern, with a particular attention on the attitude of the musical criticism. The second chapter broadens the chronologic span researching the origins of the lauda's fortune during the Fascist era, aiming to a better comprehension of the phenomenon in the following decades. The third chapter focuses on Milan and on the activity of the choral ensemble Polifonica Ambrosiana in order to underline the revival of the ancient Italian repertoire and the choral practise as moment not only of musical, but also of moral reconstruction for the catholic communities before and during the Vatican Council. The second part examines the decade following the sixty-eight. The first chapter inserts the Italian experience into the international Early Music movement's frame in the period of the socio-political revolutions, so as to highlight the consonances between the performance and use of early music and the sixty-eight ideals. The second chapter underlines the role of the pre-baroque music as a stimulus to the creation of an alternative musical education towards the academic one, while the third offers a bird's eye view on the activity of the Italian groups specialised in Medieval music, pointing out some fundamental elements for the construction their identity and self-legitimation. The fourth chapter delves into the Italian Communist Party's position about cultural politics and its activity within the recreational clubs. The objects of the last chapter are the musical, ideological and political synergies with experiences such as folk-revival and, more generally, with the performance of the folk repertoire and oral tradition.
This book investigates the relationship between music and war from the end of the XVIII century to WWI. 0The centennial commemorations of the Great War in 2014 have yielded significant research on the relationship between music and this first world-wide conflict. Thanks to several conferences and publications, our knowledge about the musical repertoire played on the home front, the musical practices of the soldiers, or the war?s impact on European musical life, is expanding. While joining the efforts to enlighten this particularly little-known period of music history, this book aims to investigate that relationship by adopting a larger time-span: from the end of eighteenth century until the outbreak of the First World War. What kind of connections can be found between music, musicians or the musical economy (editions, the circulation of scores, opera and concert programming, professionalisation) and the different conflicts that would tear the European continent apart? Bringing together more than twenty case studies dealing with several European wars, this volume also investigates the evolution of the perception of the sound of war (by Martin Kaltenecker), and proposes new perspectives based on recent 20th-century music and war studies
L'obiettivo di questo lavoro è mettere in luce il modo in cui il Partito comunista italiano ha giudicato la popular music, nella consapevolezza che il discorso sulla musica rappresenta al contempo un aspetto marginale della politica culturale del PCI e un elemento fondamentale nello studio della condizione giovanile. La musica non costituiva infatti uno dei campi in cui si combatteva la "battaglia delle idee", come invece l'arte, la letteratura o il cinema, non essendo considerata propriamente «cultura», che presupponeva l'esistenza e l'opera degli intellettuali. La nozione che la musica abbia una portata euristica nello studio della condizione giovanile si fa avanti, negli ambienti comunisti, intorno alla fine degli anni Settanta, ad opera della nuova generazione di iscritti e funzionari che avevano collaborato con riviste del settore, testimoniando così che solo la vicinanza biografica o il ricambio generazionale consentivano l'adozione di un'ottica disposta a considerare la musica un argomento di vitale interesse nel rapporto tra il partito e i giovani; d'altro canto, la stessa storia degli studi rispecchia una distanza da questo tipo d'impostazione promiscua, al confine tra storia politica e musicale . Quando parliamo di musica, anzi, di popular music, ci riferiamo a tutto ciò che non è musica classica, seguendo la terminologia anglosassone che ha fatto la sua comparsa in Italia tra gli anni Ottanta e Novanta, principalmente tra gli studiosi e qualche critico. A questa espressione in italiano corrisponde una costellazione di traduzioni: quella letterale di musica popolare è fuorviante, perché sovrapponibile a folk; usare semplicemente pop è a sua volta scorretto, perché limiterebbe o estenderebbe la portata del termine; seguendo le versioni italiane dei libri di Adorno, musica di consumo ha avuto un certo successo, come anche musica contemporanea/moderna/leggera; secondo altri ancora, la parola più appropriata in italiano è semplicemente canzone , usata come nome collettivo, ad esempio, per il Festival della canzone italiana o per parlare di canzone napoletana, popolare, di protesta; anche il termine canzonetta, che indicava dall'Ottocento ciò che non era opera, ma operetta, viene riferito alla musica leggera, non necessariamente con significato dispregiativo (giacché con senso puramente descrittivo lo usavano anche Mina o Mogol), ma escluderebbe tutta la produzione nata, o ascoltata, in contrapposizione alla musica leggera in stile sanremese canonico, già a partire dagli urlatori di fine anni Cinquanta . Fatte salve tutte queste cautele e precisazioni, non useremo tuttavia una terminologia univoca, che risulterebbe forzata, ma adotteremo di volta in volta la definizione più appropriata e più conforme al contesto. Conseguentemente agli obiettivi enunciati, abbiamo escluso in toto dalla nostra ricerca la musica classica (che invece godeva dello status di cultura ed era legata a forme di fruizione e produzione minoritarie il cui rapporto con la società dei consumi è forse più assimilabile alle evoluzioni del teatro di prosa) e – forse più sorprendentemente – il jazz, che nonostante le maledizioni adorniane si era affermato ufficialmente nel panorama della musica di qualità e della popular music in generale; tuttavia il jazz, diversamente dal rock e da molta della musica di cui si parla – e che nasce – negli anni che esaminiamo, non è una musica dei giovani , non rappresenta cioè un elemento identitario che rispecchi una distanza generazionale . Inoltre, la provenienza statunitense (o angloamericana) di molta parte della produzione musicale tra gli anni Sessanta e Settanta ha fornito una peculiare prospettiva sui cangianti modi in cui si entrava in relazione con qualcosa che, nonostante le connotazioni o l'uso che se ne faceva, arrivava dal "campo avversario". Nell'individuare dei termini cronologici, la scelta è stata guidata dall'intersezione di più piani: musicale-sociale-culturale e politico-documentario. Il 1963 è l'anno del lancio dei Beatles a livello internazionale, che portò all'esplosione mondiale della musica giovanile (anticipata nel decennio precedente da Elvis Presley) e alla complicazione di un fenomeno a tutta prima commerciale con caratteristiche d'interesse sociale, estetico, culturale ; in Italia questo coincide con una fase di maggiore benessere materiale all'esaurirsi del miracolo economico, in cui gli adolescenti nati dopo la Seconda guerra mondiale rappresentano la prima generazione italiana ad essere nel complesso omogenea in termini di lingua, gusti e riferimenti culturali . Nel 1978 chiude dopo più di trent'anni il rotocalco Giorni – Vie Nuove, storicamente legato alla funzione di propaganda e informazione, il cui ristretto organico non consentiva più di competere con le più agguerrite riviste di approfondimento politico; frattanto sul Contemporaneo (supplemento culturale di Rinascita) compare un estemporaneo speciale sulla musica dei giovani e l'anno successivo chiude la Città futura, l'unica rivista comunista ad aver dedicato un interesse continuo e approfondito alla musica, riconoscendone l'importanza per i giovani e per capire i giovani, lasciando non tanto un vuoto quanto una traccia dell'evoluzione dei giovani comunisti; la fine degli anni Settanta inoltre rappresenta il primo momento di analisi e autoanalisi sui movimenti giovanili del decennio precedente, in cui si formulano riflessioni sulla loro evoluzione storica e sul loro legame con i movimenti contemporanei, con tonalità molto simili – perché riferite ad elementi connaturati – a quelle con cui si parla dell'evoluzione della popular music e dei suoi esiti individualistici o individualizzanti nel punk e nella disco music. Considerando quindi la musica degli anni Sessanta e Settanta come una delle propaggini della cultura di massa, abbiamo scelto come fonte la stampa di partito, che si configura da subito per il PCI repubblicano non solo come un mezzo di propaganda, ma come uno strumento educativo capace di fornire ai lettori e ai militanti le coordinate principali per capire la società; il marcato orientamento pedagogico – e talora didascalico – è fortemente presente nel campo della stampa periodica e la scelta di utilizzare materiale tutto interno alla cultura comunista permette di «osservare una pluralità di situazioni anche molto distanti dalla dimensione monoliticamente normativa ed "ufficiale", o dalla retorica del "dover essere"» ; s'intuisce, inoltre, la permanenza del tentativo di evitare l'isolamento dalla società che contraddistingueva la stampa comunista dall'epoca postbellica. Le fonti che abbiamo scelto sono i periodici di partito, perlopiù settimanali, in cui l'argomento musicale viene affrontato e declinato nei diversi modi che la differente natura della rivista prevedeva: dal rotocalco Vie Nuove, da Rinascita, dalla rivista dei giovani comunisti La città futura, abbiamo estrapolato quegli articoli che ci hanno consentito di evidenziare la presenza o assenza di una linea editoriale, o politica, sulla musica dei giovani italiani. L'utilizzo dell'Unità è stato marginale e di supporto, ma ha talora permesso di ricostruire con maggiore precisione i contorni di dibattiti che altrove erano soltanto episodici; crediamo tuttavia che la natura del settimanale, caratterizzata dall'approfondimento su temi d'interesse, si confacesse meglio alla ricerca che abbiamo svolto, offrendo spesso analisi di maggiore intensità rispetto agli articoli di un quotidiano, orientati perlopiù sulla cronaca. Per la natura fortemente esplorativa di questa ricerca, si è deciso in molti casi di lasciar parlare le fonti e di farle dialogare, nella convinzione che potessero restituire in modo autonomo un quadro autentico e multiforme dei dibattiti affrontati e un resoconto scevro da semplificazioni ex post.
Analitica dedica gran parte del suo decimo volume (2017) all'indagine della teoria e dell'analisi musicale in quanto prassi influenzata da scelte politiche e pragmatiche, e pienamente inserita in specifici contesti ideologici e sociali. Recentemente, infatti, il dibattito sulle motivazioni e gli scopi della musicologia, considerata come pratica sociale, ha portato a una nuova consapevolezza dei presupposti ideologici e politici dell'analisi musicale [Broman-Engebretsen 2007; Buch-Donin-Feneyrou 2013] e a una storicizzazione delle contrapposizioni introdotte dalla New Musicology nell'ultimo ventennio del Novecento [Agawu 2004; MacCutcheon 2014]. Allo stesso tempo, la progressiva convergenza delle metodologie impiegate nei diversi campi degli studi musicali – dalla musica d'arte alle musiche di tradizione orale, dalla popular music alla musica nel contesto della comunicazione audiovisiva, dall'uso del suono nei nuovi media alle culture non-musicali del suono – ha messo in piena evidenza la stretta relazione tra le pratiche dell'analisi musicale e i loro fondamenti epistemologici, che riflettono, in modo più o meno evidente, precise scelte di politica culturale [van den Toorn 1996; Scherzinger 2001; Schuijer 2008, Campos-Donin 2009; Guilbault 2014; Earle 2015].Analitica dedica gran parte del suo decimo volume (2017) all'indagine della teoria e dell'analisi musicale in quanto prassi influenzata da scelte politiche e pragmatiche, e pienamente inserita in specifici contesti ideologici e sociali. Recentemente, infatti, il dibattito sulle motivazioni e gli scopi della musicologia, considerata come pratica sociale, ha portato a una nuova consapevolezza dei presupposti ideologici e politici dell'analisi musicale [Broman-Engebretsen 2007; Buch-Donin-Feneyrou 2013] e a una storicizzazione delle contrapposizioni introdotte dalla New Musicology nell'ultimo ventennio del Novecento [Agawu 2004; MacCutcheon 2014]. Allo stesso tempo, la progressiva convergenza delle metodologie impiegate nei diversi campi degli studi musicali – dalla musica d'arte alle musiche di tradizione orale, dalla popular music alla musica nel contesto della comunicazione audiovisiva, dall'uso del suono nei nuovi media alle culture non-musicali del suono – ha messo in piena evidenza la stretta relazione tra le pratiche dell'analisi musicale e i loro fondamenti epistemologici, che riflettono, in modo più o meno evidente, precise scelte di politica culturale [van den Toorn 1996; Scherzinger 2001; Schuijer 2008, Campos-Donin 2009; Guilbault 2014; Earle 2015].
In this article I will analyse a corpus of Italian narratives set in Italy in the second half of the 1970s. My purpose is to show that the act of listening to popular music and sometimes singing or writing songs as represented in these narratives is part of young characters' dissent towards the political and social system of those years. In the first section I will give a short survey of the methodological and cultural premises of this study. In particular, I will pay attention to the musical debate of those years, which tended to praise political songwriting against pop music. In the following sections I will tackle the various nuances of the relationship between representations of dissent and musical references, especially to Italian 'cantautori' and Bob Dylan, in Porci con le ali by Rocco and Antonia (1976), Boccalone by Enrico Palandri (1979), Altri libertini by Pier Vittorio Tondelli (1980), and other works that have marked the rise of Italian new fiction between the late Seventies and the beginning of the Eighties. In the final Appendix I will briefly examine two novels of the first decade of the 21st Century – Occidente per principianti by Nicola Lagioia (2004) and Piove all'insù by Luca Rastello (2006) – suggesting that literary references to Bob Dylan and popular music have lost their direct connection to dissent. ; In questo articolo analizzerò un corpus di testi narrativi italiani ambientati in Italia nella seconda metà degli anni Settanta. Il mio obiettivo è mostrare che la rappresentazione dell'atto di ascoltare 'popular music', talvolta anche di suonare o scrivere canzoni, fa parte del più generale dissenso dei giovani protagonisti nei confronti del sistema sociopolitico di quegli anni. Nel primo paragrafo riassumerò le premesse metodologiche e culturali di questo studio, prestando particolare attenzione al dibattito musicale degli anni Settanta, che tende a schierarsi dalla parte del cantautorato politico contro la musica pop. Nei paragrafi successivi affronterò le varie articolazioni del rapporto tra le rappresentazioni del dissenso e i riferimenti musicali, specialmente ai cantautori italiani e a Bob Dylan, in Porci con le ali di Rocco e Antonia (1976), Boccalone di Enrico Palandri (1979), Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli (1980) e altre opere che hanno segnato l'ascesa della nuova narrativa italiana fra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta. Nell'Appendice esaminerò brevemente due romanzi degli anni Zero – Occidente per principianti by Nicola Lagioia (2004) and Piove all'insù by Luca Rastello (2006) – suggerendo che i riferimenti letterari a Bob Dylan e alla 'popular music' hanno perso la loro lineare connessione con il dissenso.