Open Access BASE2018

Le recenti "riforme" del credito cooperativo alla prova della Costituzione. Spunti critici e ricostruttivi

Abstract

La nostra Costituzione riconosce l'impresa cooperativa come un elemento essenziale del progetto di società prefigurato dai Padri costituenti e, non solo ne riconosce il valore, in quanto forma dell'agire economico, ma stabilisce che la legge deve promuoverne e favorire l'incremento con i mezzi più idonei . Le origini della cooperazione in ambito creditizio sono comunemente fatte risalire agli impulsi dati dal Magistero Sociale Cristiano, tra la fine dell'800 e l'inizio del 900, per promuovere l'emancipazione delle popolazioni più umili dal fenomeno dell'usura e dalla generalizzata condizione di indigenza nella quale ristagnavano. Dal punto di vista politico-culturale le matrici del credito cooperativo possono rinvenirsi in due filoni principali: quello, come detto, cattolico e quello socialista , i quali, con caratteri e modelli organizzativi differenti, dettero vita a cavallo tra i due secoli, alle casse rurali costituite sul modello tedesco delle Raiffeisen. Durante il ventennio Fascista, il nuovo regime tentò di imporre all'intero sistema un proprio modello organizzativo con la creazione dell'Ente Nazionale Fascista della Cooperazione. L'intervento del regime fu caratterizzato prevalentemente da finalità dirigistiche e di annientamento delle iniziative di matrice ideologica avversa. In questo panorama si innestò, nell'ambito dell'Assemblea Costituente, il dialogo tra le forze politiche per la definizione delle regole che avrebbero dovuto traghettare l'intero sistema nel futuro. Ed invero, in seno alla Costituente, si ritrovarono le due anime che avevano dato vita nel nostro paese al sistema delle casse rurali e cooperative, quella Cristiana e quella socialista, unite nell'intento di superare gli errori commessi durante il Fascismo e di dare vita ad un sistema realmente mutualistico, anche in ragione di un disperato bisogno di credito per avviare la ricostruzione del Paese. I lavori della Costituente videro i membri sostanzialmente concordi sulla necessità di normare a livello costituzionale il concetto della cooperazione a carattere di mutualità. In tal senso, appaiono illuminanti le parole dell'On. Canevari, membro dell'Assemblea Costituente: "La cooperazione, non è un'associazione politica né professionale, ma è un'associazione economica a fini sociali; basata sul principio della mutualità e inspirata ad alte finalità di libertà umana (funzione sociale della cooperazione), costituisce un mezzo efficace di difesa dei produttori e dei consumatoridalla speculazione privata. Lo Stato deve aiutarne con tutti i mezzi la creazione e gli sviluppi successivi mediante un controllo da esercitarsi direttamente o per mandato. Infatti, non si può chiedere l'intervento dello Stato, se contemporaneamente allo Stato non è consentito di esercitare il dovuto controllo: d'altronde è quello che avviene in quasi tutti i Paesi in cui la cooperazione ha assunto un grande sviluppo, dalla Gran Bretagna alla Francia e al Portogallo". Le linee direttrici scelte dai costituenti, dunque, furono essenzialmente due: la creazione di un sistema economico dotato di una funzione sociale, largamente diffuso ed organizzato prevalentemente dal basso, secondo il principio di sussidiarietà, e l'organizzazione di un sistema di controllo posto a tutela delle finalità pubblicistiche dell'istituto, che lo difendesse dalle derive autoritarie o eccessivamente autonomistiche che inevitabilmente si sarebbero potute creare. In questo senso, il potere dello stato si sarebbe dovuto estrinsecare in un controllo negativo che è proprio dei sistemi basati sulla vigilanza, anziché su un controllo di tipo positivo, tipico dei sistemi improntati sul meccanismo della tutela. Nel caso della tutela, infatti, è più facile un intervento dello stato che limiti la libertà dell'impresa, mentre, nel caso della vigilanza, lo Stato si limita alla difesa del suo diritto, impedendo che le agevolazioni ed i favori destinati alla vera cooperazione vadano a favore di quanti non le meritino. L'intervento di riforma i cui tratti sono stati così brevemente ripercorsi nel paragrafo precedente solleva alcune riflessioni in punto di compatibilità con il dettato costituzionale. I dubbi si appuntano tanto su profili di carattere generale rinvenienti dal possibile contrasto con norme che regolano la libertà di associazione e la possibilità di ricorrere alla decretazione d'urgenza, quanto sui caratteri specifici della cooperazione e della mutualità quali forme esplicitamente tutelate e preservate dalla Carta costituzionale. Sotto il primo versante, la prima critica che può muoversi alla riforma pertiene all'imposizione di una coazione associativa che, giustificata da ragioni di rafforzamento della solidità patrimoniale degli enti creditizi cooperativi strumentali alla tutela dell'interesse generale alla stabilità finanziaria, potrebbe finire per comprimere il "nucleo negativo" della libertà di cui all'articolo 18 della Costituzione. Ed invero, come ricorda la giurisprudenza costituzionale da decenni, la disposizione della Carta poc'anzi citata «porta a considerare di quella proclamata libertà non soltanto l'aspetto che è stato definito "positivo", ma anche l'altro "negativo" […] che si risolve nella libertà di non associarsi, che dové apparire al Costituente non meno essenziale dell'altra»; in tale accezione negativa, l'imposizione di coazioni aggregatrici incontra «limiti maggiori e non puntualmente segnati dalla Carta costituzionale», ritenendosi infatti violata la predetta libertà «tutte le volte in cui, costringendo gli appartenenti a un gruppo o a una categoria ad associarsi tra di loro, si violi un diritto o una libertà o un principio costituzionalmente garantito; o tutte le altre in cui il fine pubblico che si dichiara di perseguire sia palesemente arbitrario, pretestuoso e artificioso e di conseguenza e arbitrario, pretestuoso e artificioso il limite che così si pone a quella libertà definita come si è ora visto» . Nel riconoscere la maggiore portata della suddetta libertà negativa, la giurisprudenza costituzionale impone quindi una delicata analisi sia dei fini pubblici perseguiti dall'intervento di riforma, che dei diritti e libertà costituzionalmente garantiti di cui sono portatori i diversi soggetti interessati, ovvero la specifica categoria degli enti creditizi che abbiano statutariamente assunto la forma cooperativa. Si è detto che i primi vanno essenzialmente individuati nell'interesse generale alla stabilità finanziaria, e dunque, in senso lato, alla tutela del risparmio; i secondi ruotano intorno alle coordinate delle libertà economiche, secondo la specificazione mutualistica di cui si sono tracciati in precedenza i caratteri. La ponderazione dei diversi plessi di interessi coinvolti richiede allora un'attenta valutazione della proporzionalità e ragionevolezza dell'intervento, occorrendo verificare se l'imposizione del ricordato vincolo associativo possa configurarsi come manifestamente lesiva della tutela riconosciuta alla cooperazione quale forma di sviluppo dell'ordine economico. In altre parole, occorre interrogarsi sul se l'imposizione dell'obbligo di associarsi all'interno del gruppo configuri un'indebita forma di sottrazione alla libertà degli enti associati di perseguire le specifiche finalità individuate dallo statuto giuridico-economico della cooperazione in forme potenzialmente incompatibili con quest'ultimo, considerata la riconduzione dell'attività delle singole BCC interessate, in ultima analisi, al funzionamento del gruppo nella sua unità. Un secondo profilo di sicuro rilievo riguarda, invece, il mezzo cui si è fatto ricorso per adottare la riforma in questione. L'intervento sul comparto del credito cooperativo appare invero frutto di un'esigenza di riordino sistematico del settore, non compatibile con i limiti al ricorso alla decretazione di necessità e urgenza prefigurati dalla carta costituzionale. In tal senso, l'intervento sul comparto del credito cooperativo ripropone all'attenzione dell'interprete le medesime critiche mosse dalla scienza giuridica alla riforma, di poco antecedente ma indubbiamente correlata, delle banche popolari. E invero, valga la considerazione che si è trattato di un intervento organico e di non poco momento dal punto di vista degli equilibri del mercato nazionale del credito, nei fatti privo di immediata efficacia precettiva attesa la previsione di un lungo periodo di "adattamento" e transizione anche alla luce delle opportune iniziative da avviare per la costituzione dei gruppi cooperativi, contraddistinto dall'esigenza di adottare una serie di misure attuative da parte delle autorità creditizie volte a specificare in maniera più dettagliata elementi di significativo rilievo dell'organizzazione dei gruppi e dello status delle varie consorelle, nonché inserito in un unico provvedimento contenente previsioni eterogenee, flebilmente legate tra di loro dalla generica correlazione alla materia creditizia.

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