Questo volume ha il merito di ricostruire una mappa di opere di varia natura di autrici che, nonostante il loro indiscusso valore, si distinguono per essere state estromesse dal canone letterario del novecento europeo e non solo. Lo sforzo inclusivo e di ricostruzione di un panorama letterario seriamente menomato nasce dall'esigenza di recupero di un inestimabile patrimonio di scrittura al femminile che ha subito un processo di rimozione che va dall'oblio all'ostracismo.Il volume mette a fuoco il periodo storico tra la fine dell'ottocento e le prime due decadi del 900, un contesto nel quale diventa rilevante la questione femminile. Infatti, l'arrivo del nuovo secolo portava con sé la promessa di una vera emancipazione e la "Donna Nuova" guardava con energia e vitalità ai cambiamenti in atto nella speranza di uscire per sempre dall'ombra della storia scritta dagli uomini per gli uomini. In questi anni le donne cercano di emergere nella politica e nella società e in campo letterario assistiamo ad una vera e propria esplosione di scritture espresse in una produzione ingente di opere che utilizzano soprattutto, ma non solo, la biografia e l'auto-narrazione come trama di riferimento della soggettività femminile. Scrittrici che scelgono il mascheramento, l'assunzione di pseudonimi spesso maschili o l'abbigliamento maschile, o l'adozione di un alter ego, per poter accedere al mondo precluso della letteratura e dell'arte: un cavallo di Troia che funziona perché queste donne, pur faticosamente, riescono a ritagliarsi spazi di indipendenza, viaggiano, scrivono, affermano la loro autonomia dai modelli imposti. Tuttavia, il discorso storico dominante è da sempre di segno maschile e immediatamente viene messa in atto un'opera di cancellazione sistematica che finisce nel più grande atto di ridimensionamento nella storia della critica letteraria mondiale: sono centinaia le emarginate, le estromesse, le dimenticate della letteratura europea e internazionale. Autrici delle quali spesso sappiamo poco o nulla e che abbiamo il piacere di scoprire e conoscere in questo volume che abbraccia due periodi distinti nonché fondamentali per la letteratura al femminile e femminista, la fine dell'Ottocento e le prime due decadi del '900. Nell'ultima parte del volume si volge lo sguardo verso oriente per allargare la prospettiva verso le più escluse fra le escluse, le scrittrici asiatiche. Una panoramica inedita che ci traghetta verso narrazioni originali e ancor meno conosciute.
La Libia è una terra dalle molteplici radici, abitata da un popolo organizzato prevalentemente in clan o tribù, diverse le une dalle altre, e in perenne conflitto non solo tra di loro, ma anche con gli abitanti della costa. Nella storia di questo Paese è difficile individuare momenti in cui traspaia un reale spirito unitario, o almeno una comune volontà aggregativa; i rari momenti in cui questo è accaduto, erano collegati alla presenza di un nemico comune, quindi la concretizzazione di specifici interessi. La Libia, inoltre, occupa una posizione strategica per il controllo delle vie di comunicazione e delle rotte commerciali nel Mediterraneo. L'insieme delle caratteristiche territoriali, demografiche e geopolitiche spiega come mai, nel corso di tutta la sua storia, questa terra sia stata caratterizzata da uno sviluppo economico e sociale disomogeneo, e connotato da molteplici e successive dominazioni, che a partire dall'Impero Romano fino alla colonizzazione italiana, si sono protratte fino a metà del XX Secolo. Dopo la proclamata indipendenza, i due eventi che hanno modificato radicalmente la situazione geo-politica della Libia sono stati il ritrovamento del petrolio e l'ascesa al potere del Colonnello Mu'ammar Gheddafi. Infatti, sarà proprio il Colonnello a tentare l'unificazione del Paese, spingendo verso un'identità comune i popoli di un territorio i cui confini sono, di fatto, disegnati sulla carta geografica più che individuati dalla cultura, dall'orografia o dalla storia. A questa apparente situazione di unità, ne subentra nuovamente una complessa e disomogenea, a partire dalla caduta del regime di Gheddafi nell'anno 2011. Questo crea un contesto di notevole incertezza che, ancora oggi, sfortunatamente ne caratterizza lo scenario e rappresenta la base in cui possono facilmente prosperare instabilità, traffici illeciti di beni e persone e violenza. La presenza e la crescita di cellule fondamentaliste nel territorio ha indotto la comunità internazionale a intervenire per mediare un accordo che consenta la formazione di un governo unico. L'azione internazionale ottenne un primo risultato alla fine del 2015 quando, nell'ambito degli accordi promossi dall'ONU, venne costituito Governo di Unità Nazionale e designato il premier libico Fayez al-Sarraj. Ma il nuovo esecutivo non ottenne la fiducia di nessuno dei due Parlamenti già esistenti, a Tobruk e a Tripoli. La Libia di oggi appare come il risultato dell'interazione tra un miscuglio caotico di poteri locali e i forti interessi economico-politici di Stati terzi. Un Paese "sospeso", in attesa delle elezioni che si spera lo possano guidare verso una certa stabilità politica, economica, sociale. Elezioni ancora una volta programmate, per il 24 dicembre 2021, e ancora una volta rimandate. Sin dall'inizio della crisi, l'Italia ha sempre cercato di promuovere la ricostruzione dell'unità nazionale e istituzionale dello Stato libico. Il pieno sostegno che il nostro Paese ha dato all'accordo di Skhirat, non solo è radicato nel pieno riconoscimento delle Nazioni Unite, ma riflette anche la salvaguardia dei propri interessi nazionali nel Mediterraneo.
2011/2012 ; La presente tesi ha come oggetto di studio i diritti delle minoranze in Bulgaria e in Grecia e il conseguente impatto sul processo di Integrazione Europea. Fornisce dettagli su come queste minoranze siano divise dai confini e su fino a che punto il concetto di nazionalismo influisce sull'adozione di un equo regime di tutela dei diritti delle minoranze per conto degli Sati-Nazione. Il contributo dell'Integrazione Europea viene valutato in termini di progresso raggiunto nel campo dei diritti delle minoranze e della cooperazione transfrontaliera. Subito dopo le rispettive dichiarazioni di indipendenza, entrambi i Paesi hanno firmato accordi bilaterali con l'Impero Ottomano esprimendo il loro impegno a rispettare i diritti delle minoranze turche/musulmane presenti nel territorio. Tuttavia, con il passare del tempo e soprattutto a causa dell'irruzione delle due guerre mondiali e delle prese di posizione nazionalistiche in entrambi i paesi, la situazione delle minoranze turco-musulmane é drammaticamente cambiata. Nel corso della storia, il trattamento di queste minoranze in Bulgaria e in Grecia ha creato una serie di problemi nelle relazioni con la Turchia, che rappresenta lo "stato di riferimento" (kin-state) di queste minoranze in entrambi i Paesi. Il nazionalismo Greco con le sue forti caratteristiche di esclusivitá ha giá in varie occasioni escluso la popolazione turco-musulmana dal processo costititutivo della nazione, classificando le minoranze musulmane come "altre", "estranee". Con lo scambio demografico tra popolazioni greche e turche, sancito dal Trattato di Losanna, il riconoscimento dell'esistenza della minoranza turco-musulmana é stata limitato soltanto al territorio della Tracia occidentale. Esaminando d'altro lato la situazione della Bulgaria, il trattamento delle minoranze turche ha lí seguito un cammino differente. Comparato con quello greco, il nazionalismo bulgaro ha adottato un approccio relativamente piú inclusivo, soprattutto con riferimento alla popolazione Pomaks, conosciuti oggi anche come musulmani che parlano correntemente bulgaro. Con la fioritura del nazionalismo bulgaro durante il regime comunista, l'inclusione prese la forma di assimilazione e il risultato fu la conversione dei Pomaks in "bulgari". Per quanto riguarda la minoranza turca poi, la situazione si riveló altrettanto poco esemplare. In molte occasioni i Turchi furono forzati ad emigrare in Turchia, per poter bilanciare l' alterazione demografica in Bulgaria. Nel frattempo, con la campagna di assimilazione intrapresa nel 1984-1985, i nomi delle minoranze turche in Bulgaria furono sostituiti con nomi bulgari e la Bulgaria arrivó a negare completamente l'esistenza della minoranza turca. Quando i Turchi si opposero a questa politica di assimilazione forzata, furono nuovamente costretti ad emigrare. La discussione intrapresa sui diritti delle minoranze nell'ambito del processo di Integrazione Europea, ha apportato cambiamenti significativi in entrambi i Paesi. Tuttavia, si é verificata una certa limitazione dell'impatto delle politiche dell'Unione Europea in quest'area, derivante da alcuni problemi di natura storica. La Grecia ad esempio, in quanto giá membro effettivo dell'Unione Europea, non dovette passare attraverso un processo europeo di valutazione del trattamento delle minoranze, laddove invece la Bulgaria dovette seguire specifiche procedure di accesso preliminari, necessarie per poter permettere la sua adesione all'Unione Europea. Le dinamiche di cambiamento del discorso sulla democrazia resero inapplicabili alcune restrizioni previamente accettate, per cui un processo di democratizzazione nell'area dei diritti delle minoranze divenne inevitabile. Di fronte all'esistenza di tali problemi, questo processo di democratizzazione suscitó effetti positivi in entrambi i Paesi. Risolvere il problema di democratizzazione non ha portato automaticamente ad una soluzione di tutti i problemi esistenti. Stabilire una collaborazione transfrontaleria tra Bulgaria e Grecia fu il primo problema ad essere discusso dopo la caduta del Comunismo. Tuttavia questo progresso non é avvenuto in maniera semplice e armoniosa. Nuovamente si puó affermare che la prospettiva di un integrazione Europea rappresentó il principale catalizzatore dello sviluppo della cooperazione fra i due Paesi, nonostante la presenza di alcuni problemi in alcune parti del confine, dovuti alla presenza della minoranza turca, il cui "stato di riferimento" é la Turchia. La percezione tradizionale dei confini come barriere di esclusione continua ancora ad essere presente in alcune aree del Sudest Europa, e potrá essere cambiata soltanto attraverso un rinsaldamento dell'integrazione Europea. Per concludere, rispetto al loro trattamento delle minoranze turco-musulmane, Bulgaria e Grecia hanno creato differenti politiche di integrazione. Mentre in Grecia, la partecipazione politica e sociale della minoranza turco-musulmana fu limitata attraverso la creazione di una comunitá separata dal resto della popolazione, in Bulgaria tale partecipazione fu maggiormente incoraggiata proprio per evitare tale segregazione. Tuttavia, questa politica di non-segregazione é stata condotta spesso di pari passo con il non-riconoscimento del carattere etnico della minoranza turca, trasformandosi finalmente in assimilazione durante gli anni '80. Con il ristabilimento della democrazia in Bulgaria, sono state adottate nuove politiche di integrazione, poi denominate "Modello Etnico Bulgaro". Conseguentemente, il modello di prevenzione di un conflitto etnico in Bulgaria ha attirato l'attenzione di alcuni Paesi dell'area dei Balcani che hanno sperimentato simili problemi nel corso della loro storia. ; XXIV Ciclo ; 1983
this article discusses Gelerblom's assumption that urban competition (including a large number of cities competing with each other, traders moving easily, and urban autonomy) has been central to the generalisation of inclusive trading institutions in Europe. The first part examines the precise behaviour of traders, municipal and sovereign authorities at the heart of Gelderblom's explanatory scheme. The second part presents some difficulties which militate against the generalisation of the thesis of the book throughout European history, particularly in Italy and Great Britain. The last part proposes a small econometric exercise to test this generalisation. Urban competition combined with high quality institutions does not appear to be a growth factor for urban cities as a whole: this result is interpreted more as a call for more research than a decisive counter-argument. ; This paper discusses Gelderblom's hypothesis that urban competition (including a large number of competing cities, footloose foreign traders and municipal autonomy) was central to the rise ofinclusive trade institutions in Europe. The first part discusses the precise behaviour of traders, townauthorities and sovereigns underlying Gelderblom's explanatory framework. The second part presents some challenges to the generalisation of the book's thesis to the history of Europe, including Italy andBritain. The last part advances a short econometric exercise to check this generalisation. Urbancompetition combined with starting institutional quality does not emerge as a positive factor for thegrowth of European cities in general: this is interpreted as a call for more research rather a decisivecounter-argument. ; this article discusses Gelerblom's assumption that urban competition (including a large number of cities competing with each other, traders moving easily, and urban autonomy) has been central to the generalisation of inclusive trading institutions in Europe. The first part examines the precise behaviour of traders, municipal and sovereign ...
in order to ensure that this functional duality of administrative courts does not undermine the general interest or the aspirations of citizens, it would be desirable for members of the administrative sections in charge of the consultative function not to be able to participate at the same time in contentious training. It is necessary to ensure the application of the principle of separation of powers within the Council of State itself in order to guarantee the independence and impartiality of administrative judges. ; Pour éviter que cette dualité fonctionnelle des juridictions administratives ne puisse nuire ni à l'intérêt général ni aux aspirations des citoyens, il serait souhaitable que les conseillers des sections administratives en charge de la fonction consultative ne puissent faire partie en même temps des formations contentieuses. Il faut veiller à l'application du principe de séparation des pouvoirs au sein même du Conseil d'Etat afin de garantir l'indépendance ainsi que l'impartialité des juges administratifs.
Armaments industries are mainly located in developed countries, but a few countries with large populations and surface areas engage in this activity on the basis of several economic analyses of development (import/substitution theory, Vernon product cycle, development poles, military keynesianism, opportunity costs, the influence of the military sector on national R & D, and marxist analysis). Empirical analyses of the impact of armaments industries in developing countries emphasise the importance of national security, economic independence and economic development itself, but the concrete results, at least in the medium term, are inconclusive, not least because of the importance of multinational firms acting on locally produced products, the heavy capital burden of military investment, the monopoly on R & D from developed countries and the difficult transfer of military technology to the civilian sector. ; International audience The arms industries are mainly located in developed countries, but some countries with a large population and area engage in this activity based on several economic analyses of development (theory of import-substitution, product cycle de Vernon, development poles, military Keynesianism, opportunity costs, the influence of the military sector on national R&D, and Marxist analysis). Empirical analyses of the impact of the arms industries in developing countries emphasize the importance of national security, economic independence and economic development itself, but the concrete results, at least in the medium term, are hardly conclusive, in particular due to the importance of the action of multinational firms on locally produced products, the heavy capital of military investments, the virtual monopoly of R&D in developed countries and the difficult transfer of military technologies to the civilian sector. ; Armaments industries are mainly located in developed countries, but a few countries with large populations and surface areas engage in this activity on the basis of ...
2007/2008 ; La presente tesi di dottorato riflette l'esigenza di approfondire l'analisi della situazione geopolitica che caratterizza l'Asia centrale, in considerazione della rilevanza strategica che questa regione ha progressivamente assunto nello scacchiere delle relazioni internazionali. Infatti, dal raggiungimento dell'indipendenza nazionale nel 1991 la regione centroasiatica ha attirato gli interessi di molteplici stati all'interno di una competizione geopolitica che è stata definita con eccessiva enfasi come una riproposizione in chiave moderna del "Grande Gioco" del XIX secolo: ciononostante, l'importanza strategica dell'Asia centrale – alla quale contribuisce in larga parte la sua posizione geografica di centralità e di vicinanza alle due superpotenze regionali Cina e Russia – viene evidenziata in relazione a determinate problematiche, le cui ripercussioni producono effetti oltre i confini regionali. Tra queste, il problema della sicurezza e della stabilità politica - alimentato dalla minaccia destabilizzante dell'islamismo radicale e del terrorismo internazionale – le cui ripercussioni si riflettono sia sul piano internazionale che su quello interno alle singole repubbliche. Tuttavia, gli interessi prioritari degli stati interessati ad accrescere la loro influenza in Asia centrale si focalizzano sulle risorse energetiche e sulle potenzialmente vaste riserve di idrocarburi da sfruttare: la questione della sicurezza energetica e della diversificazione delle fonti di approvvigionamento sono progressivamente divenuti obiettivi strategici nelle politiche degli stati, la cui importanza cresce parallelamente all'aumento della domanda di gas e petrolio per sostenere lo sviluppo delle loro economie nazionali. Le prospettive di sfruttamento delle immense riserve in gas e petrolio presenti nel sottosuolo di Turkmenistan e Kazakistan (e, in misura inferiore, Uzbekistan) e la possibilità di trasportare gli idrocarburi attraverso la creazione di un sistema di pipelines (gasdotti ed oleodotti) alternative a quelle che attraversano il territorio russo, hanno innescato un intensa competizione che ha coinvolto numerosi attori statali regionali ed internazionali, ciascuno dei quali portatore di interessi e strategie divergenti, le repubbliche centroasiatiche – che perseguivano i propri obiettivi e strategie in politica estera – e attori non statali come le compagnie energetiche internazionali, le cui finalità prettamente economico-commerciali erano spesso in contrasto con gli interessi politici espressi dagli stati di riferimento. Questa ricerca intende porre in evidenza gli interessi politico-economico-energetici che hanno determinato il coinvolgimento di Russia, Cina, Unione Europea e Stati Uniti nello scacchiere geopolitico centroasiatico, e quali strategie e politiche abbiano adottato le repubbliche centroasiatiche al fine di bilanciare questa influenza esterna con gli obiettivi connessi alle loro scelte politiche ed economiche nazionali. In questo scenario, risulta importante analizzare in prospettiva futura il ruolo che l'Unione Europea potrà rivestire nei prossimi anni nella regione, a seguito dell'adozione della "Strategia europea per una nuova partnership con l'Asia centrale" relativamente al periodo 2007-2013. Il problema della sicurezza energetica europea e della diversificazione degli approvvigionamenti (per attenuare la dipendenza dalla Russia) renderanno necessario un maggior coinvolgimento dell'Unione Europea in Asia centrale, per assicurarsi una crescente influenza e un maggiore peso politico: il successo di questa strategia dipenderà dalla capacità europea di adottare una politica centroasiatica comune e condivisa, in un contesto attualmente caratterizzato dalla posizione di predominio economico e politico assunta da Cina e Russia e dalla connotazione fortemente autoritaria che accomuna i governanti centroasiatici. Nel primo capitolo viene trattato il tema della riconfigurazione geopolitica della regione centroasiatica dal 1991 sino agli sviluppi recenti: l'indipendenza nazionale raggiunta dalle repubbliche musulmane ex sovietiche e la minaccia di una potenziale instabilità provocata dal vacuum di potere dovuto alla dissoluzione dell'URSS, creava uno spazio d'azione per una molteplicità di stati che – per finalità politiche, interessi economico-energetici, motivazioni legate ad esigenze di sicurezza regionale o alla condivisione di legami etnico-linguistico-culturali – intendevano influenzare l'evoluzione politica nella regione centroasiatica, rafforzando la propria posizione geopolitica nello scacchiere internazionale. Russia, Stati Uniti e Cina si sono affermate come i principali attori di questa competizione geopolitica, nella quale hanno perseguito le loro finalità di politica estera. Il secondo capitolo è incentrato sulle problematiche di carattere economico, di politica interna ed estera, di sicurezza militare che le cinque repubbliche centroasiatiche hanno dovuto affrontare nei 18 anni di indipendenza nazionale. L'analisi si concentrerà prevalentemente su Kazakistan, Turkmenistan ed Uzbekistan, dato l'importante ruolo assunto nel contesto politico regionale e soprattutto per l'importanza delle loro riserve energetiche: verranno affrontate le questioni inerenti la collocazione geografica delle riserve, le vie di esportazione esistenti e i progetti di diversificazione in atto che accentuano ulteriormente la competizione energetica tra Cina, Russia e occidente. La tematica affrontata nel terzo capitolo riguarda le relazioni tra l'Unione Europea e l'Asia centrale sino all'adozione nel 2007 della nuova strategia europea. Viene evidenziato come la mancanza di una strategia politica condivisa dell'Unione Europea nel suo complesso e il prevalere dei singoli interessi strategici degli stati nazionali abbia contribuito a relegare l'Unione Europea in una posizione secondaria e subordinata in relazione alla competizione geopolitica nella regione centroasiatica. In ambito energetico, verrà dimostrato come la divergenza tra gli interessi e le strategie perseguite dalle compagnie petrolifere europee nel contesto centroasiatico e gli obiettivi energetici comunitari perseguiti dall'Unione impediscano l'adozione di una comune strategia energetica nei confronti della regione e di realizzare la priorità della diversificazione delle fonti di approvvigionamento, per ridurre la dipendenza dalle importazioni russe e rafforzare la propria sicurezza energetica. Nel quarto capitolo, l'analisi si focalizza sullo scenario geopolitico contemporaneo della regione centroasiatica, con riferimento sia alla situazione interna delle repubbliche centroasiatiche, sia in relazione alla costante mutazione dei rapporti di forza ed influenza che coinvolgono Russia, Unione Europea, Cina, Stati Uniti. Uno degli obiettivi perseguiti in questo capitolo è quello di valutare le possibilità dell'Unione Europea di legittimarsi come attore geopolitico influente nella regione. Con l'adozione della "Strategia per una nuova partnership tra Unione Europea ed Asia centrale", per il periodo 2007-2013, l'Unione Europea si è dotata di un potenziale strumento d'influenza politica ed economica attraverso il quale approfondire, rafforzare e razionalizzare le relazioni e le forme di cooperazione con le cinque repubbliche centroasiatiche. Questa nuova politica centroasiatica impone all'Unione Europea il compito di affrontare le principali problematiche che gravano sullo sviluppo della regione, elaborando dei piani per misurarsi ad esempio con la riproposizione del problema legato all'instabilità dei confini, la mancanza di una cooperazione e di un integrazione economica a carattere regionale, la necessità di promuovere un processo di democratizzazione in ambito politico, economico e sociale. Anche in questo quarto capitolo, la tematica inerente la questione energetica e il rafforzamento della cooperazione euro-asiatica in questo ambito assume una rilevanza particolare, considerato che questa rappresenta una delle finalità alla base della strategia europea. L'ambizione dell'Unione Europea a legittimarsi come attore geopolitico nello scenario centroasiatico è fortemente connessa allo sviluppo delle relazioni con Cina e Russia, che mantengono la regione sotto la loro sfera d'influenza politica, economica e militare: per quanto riguarda le possibilità di successo della strategia europea, queste dipendono dalla capacità dell'Unione Europea di realizzare l'auspicabile equilibrio tra il perseguimento degli interessi energetici e la necessaria promozione delle tematiche della democratizzazione e della tutela dei diritti umani. ; XXI
In this paper we propose a new tool for backtesting that examines the quality of Value-at- Risk (VaR) forecasts. To date, the most distinguished regression-based backtest, proposed by Engle and Manganelli (2004), relies on a linear model. However, in view of the di- chotomic character of the series of violations, a non-linear model seems more appropriate. In this paper we thus propose a new tool for backtesting (denoted DB) based on a dy- namic binary regression model. Our discrete-choice model, e.g. Probit, Logit, links the sequence of violations to a set of explanatory variables including the lagged VaR and the lagged violations in particular. It allows us to separately test the unconditional coverage, the independence and the conditional coverage hypotheses and it is easy to implement. Monte-Carlo experiments show that the DB test exhibits good small sample properties in realistic sample settings (5% coverage rate with estimation risk). An application on a portfolio composed of three assets included in the CAC40 market index is nally proposed.
Il lavoro rappresenta il tentativo di affrontare il tema dell'istanza secessionista in una prospettiva aperta e di riconoscimento, sensibile alle dinamiche di un processo che coinvolge in un serrato confronto l'entità statale con le proprie comunità sub-statali. Esso si muove, quindi, sulla base della consapevolezza che l'esistenza di una varietà di voci, espressioni, istanze partecipative e contropoteri diffusi, oltreché di una comunicazione pubblica aperta, rende «gli orizzonti della sovranità statale non (…) più sufficienti, da soli, ad assicurare risposte a domande di libertà provenienti da società la cui complessità trascende i confini tradizionali delle comunità di appartenenza» , e ciò rende necessario un nuovo percorso di aperture costituzionali ai processi di emersione del conflitto infra-statuale capace di disinnescare il pericolo disgregativo ad essi connesso. In questo senso, le tappe attraverso le quali si è provato a ricostruire il dibattito storico-giuridico sul concetto di secessione hanno tentato di allargare la discussione dalle tipiche domande ex post sul come si possa, garantendo l'unità, risolvere una crisi nazionale che veda scontrarsi diverse identità, diverse storie, diverse consapevolezze, affrontando il problema secondo una visione di insieme rivolta all'intero processo secessionista, seguendo così un ragionamento ex ante sui possibili rimedi idonei ad evitare che istanze di riconoscimento trovino concretezza perché respinte in modo oppositivo, determinando così una crisi dell'unità. Per fare questo, si è utilizzato come "bussola" il metodo comparativo e, in particolare, storico-comparativo. Soprattutto nel primo capitolo, pertanto, si è lavorato sull'evoluzione del concetto di secessione attraverso il suo sviluppo storico al fine di comprendere le ragioni alla base dell'oramai diffuso stigma di antigiuridicità da cui esso è caratterizzato. Ricostruita la vicenda all'origine degli Stati Uniti d'America e la successiva emersione dei conflitti fra nord e sud del paese che hanno dato vita alla guerra civile (o guerra di secessione), ci si è rivolti all'assetto geopolitico e alle nuove tensioni seguite alla fine degli imperi in Europa e ai nuovi equilibri scaturiti dall'esito della Prima guerra mondiale. Ancora, si è analizzato il periodo della decolonizzazione per comprendere le ragioni alla base del favore internazionalistico verso il principio di autodeterminazione e della neutralità dimostrata verso la secessione dalle compagini sovranazionali sorte nel frattempo. Infine, si è concluso il percorso storico così delineato con una riflessione sull'esperienza dell'URSS e, in particolare, sulla specifica estrinsecazione del principio (e del diritto) di secessione emerso nelle costituzioni sovietiche. Nel secondo capitolo si è analizzato il rapporto fra paradigmi di libertà e ricerca dell'unità mettendo in luce il ruolo delle differenze quale fattore tanto di gestione della conflittualità (pluralismo) quanto della sua esplosione (particolarismo). Si sono quindi ricostruiti alcuni aspetti del principio di sovranità alla luce del confronto tra autori quali Althusius e Grozio cercando di approfondirne gli aspetti più strettamente legati ai profili del rapporto fra autorità e sudditi, delineando profili giustificativi della resistenza all'autorità e al potere e legando tali riflessioni con il tema della secessione. Tutto questo, per comprendere quali profili di prevalenza debbano riconoscersi al principio di integrità territoriale degli Stati rispetto alla necessaria tutela dei diritti individuali e collettivi. Ancora, si è ragionato sull'avvento del costituzionalismo e sulle conseguenze di tale evoluzione per la declinazione del concetto di secessione. Nel terzo capitolo si è affrontato il dibattito sul rapporto fra principio di autodeterminazione e concetto di secessione, ragionando sui profili di diritto internazionale e sulle capacità integrative delle differenze insite nel processo e nell'istanza secessionista. A tale scopo, si sono ripercorse le teorie giustificative del diritto di secessione che hanno ricercato in valori quali la libertà, i diritti, la tutela degli oppressi la giustificazione del riconoscimento dell'esistenza di un diritto di secedere. Infine, partendo dalle riflessioni di Häberle sulla dottrina della costituzione come "scienza della cultura" e di Ridola sui diritti fondamentali e sul metodo comparativo, si è cercato di tirare le fila del percorso affrontato nel tentativo di dotare il problema dell'istanza secessionista di un metodo di risoluzione del conflitto attraverso strumenti giuridico-costituzionali del riconoscimento. Per fare ciò, si è analizzata la secessione da diversi angoli visuali: primo fra tutti quello del populismo, ma anche quello della crisi del politico e dell'apertura di nuovi spazi di confronto pubblico. Si sono quindi ripercorse alcune esperienze capaci di evidenziare pregi e difetti dei diversi metodi di approccio all'istanza secessionista e si è ragionato su quanto l'apertura al confronto sia non solamente la via più conforme ai principi del pluralismo, ma anche l'unica capace di garantire l'unità senza per questo rinunciare al riconoscimento dei valori e delle capacità di evoluzione insite nella declinazione delle differenze. Si è quindi riflettuto su un nucleo intorno al quale sviluppare una teoria del riconoscimento per la risoluzione del conflitto secessionista da inserire in quel lungo processo – originato da una "parte" che ben prima di affermare definitivamente la propria estraneità dal "tutto" pone all'attenzione della comunità statale le questioni intorno alle quali potrebbe consumarsi la frattura dell'unità, nel tentativo di incardinarle in un percorso d'integrazione che garantisca in egual modo il particolarismo nel più ampio contesto dell'unità – che solamente in via potenziale conduce alla domanda di divisione e indipendenza. Il presente lavoro è stato affrontato attraverso l'uso del metodo comparativo operando un'analisi che, «cosciente della diversità» ha provato a delineare strade alternative alla tradizionale chiusura dell'ordinamento statuale secondo una logica di «schemi oppositivi», mantenendo «in tensione identità e alterità, senza mirare necessariamente alla fissazione di contenuti comuni, e impostando piuttosto una relazione […] che resta sempre aperta, comunicativa, ma che non per questo esclude la decisione». Il concetto di "secessione", quindi, è stato inserito in un contesto segnato da «una concezione ampia della storia costituzionale, che non accoglie entro il proprio orizzonte solo la genesi e l'evoluzione dei "testi" né un sostrato materiale costituito da classi o gruppi di potere egemoni, da elazioni antagonistiche amico/nemico, ma "contesti" intessuti di "esperienze", vissuti individuali e collettivi, processi ampi di trasformazione sociale» nei quali – soprattutto allorché l'elemento principale del conflitto risieda nelle problematiche relative all'identità – un ruolo centrale può essere svolto dallo strumento del riconoscimento. Ecco allora che un ripensamento dei canoni classici di assoluta chiusura dell'ordinamento costituzionale al problema della secessione potrebbe aprire a nuovi sviluppi del conflitto infra-statuale nel quale valorizzare gli aspetti funzionali al pluralismo rafforzando i motivi per "stare insieme" piuttosto che acuire le opposizione fornendo nuove ragioni per "dividersi". ; La tesis afronta el tema de la secesión desde una perspectiva abierta, favorable a su reconocimiento constitucional, sensible a las dinámicas de un proceso en que se enfrentan los entes estatales con la propia comunidad sub-estatal. La tesis se mueve sobre la base de la necesidad de reconocimiento de una variedad de voces, expresiones, estancias participativas y contrapoderes difusos, además de una comunicación pública abierta, considerando «gli orizzonti della sovranità statale non (…) più sufficienti, da soli, ad assicurare risposte a domande di libertà provenienti da società la cui complessità trascende i confini tradizionali delle comunità di appartenenza» (Paolo Ridola, "Esperienza. Costituzioni. Storia. Pagine di storia costituzionale", Jovene Editore, Napoli 2019, pag. 17), y la necesidad de una nueva apertura constitucional a los procesos que emergen del conflicto infra-estatal capaz de desactivar sus peligros disruptivos. En este sentido, las etapas a través de las cuales se ha probado a reconstruir el debate histórico-jurídico sobre el concepto de secesión han permanecido en la discusión de las típicas preguntas ex post, sobre cómo garantizar la unidad resolviendo la crisis nacional de identidad, historia y perspectiva, afrontando el problema desde una visión perniciosa del proceso secesionista. Lo que se propone es realizar, en cambio, un razonamiento ex ante basado en remedios que permitan el reconocimiento de las instancias secesionistas evitando una confrontación concreta y una crisis de unidad. Para ello se ha utilizado como brújula el método comparativo y, en particular, el histórico comparativo. En el primer capítulo se ha trabajado sobre la evolución del concepto de secesión a través de su desarrollo histórico con el fin de comprender las razones de base del estigma de antijuridicidad por el que se ha caracterizado. Reconstruida la historia del origen de los Estados Unidos de America y la sucesiva aparición de los conflictos entre el Norte y el Sur del país que dieron vida a la Guerra Civil (o a la Guerra de Secesión), se analiza el orden geopolítico y las nuevas tensiones surgidas con el fin de los imperios europeos y los nuevos equilibrios surgidos tras la Primera Guerra Mundial. Posteriormente se ha analizado el período de Descolonización para comprender las razones de base del reconocimiento internacional del principio de autodeterminación, así como la neutralidad demostrada por los organismos internacionales frente al fenómeno de este tiempo. Al final, concluirá el camino histórico asi delineado con una reflexión sobre la experiencia de la URSS y, en particular, sobre la especifica manifestación del principio (y del derecho) de secesión emergido en las constituciones soviéticas. En el segundo capitulo se ha analizado la relación entre los paradigmas de libertad y la búsqueda de la unidad subrayando el papel de las diferencias de los factores tanto de la gestión del conflicto (pluralismo) como de su explosión (particularismo). Se han reconstruido algunos aspectos del principio de soberanía a la luz del conflicto entre autores clásicos como Althusius y Grozio tratadno de profundizar en los aspectos más estrechamente ligados a los perfiles de la relación entre la autoridad y los subditos, delineando perfiles como el de resistencia a la autoridad y al poder vinculándolo con la secesión. Todo ello para entender qué tipo de perfiles de prevalencia deben reconocerse al principio de integridad territorial de los estados repecto a la necesaria tutela de los dechos individuales y colectivos. Por últio se ha analizado la aparición del constitucionalismo y sus consecuencias para el concepto de secesión. En el tercer capitulo, se ha afrontado el debate sobre la relación del principio de autodeterminación y el concepto de secesión, razonando sobre la base del Derecho internacional y sobre su capacidad para integrar las diferencias inherentes del proceso y de la instancia secesionista. Para ello se ha utilizado una teoría justificativa del derecho de secesión que se ha radicado en los valores de la libertad, los derechos, la tutela de los oprimidos y el reconocimiento de la existencia de un derecho de secesión. Asi, partiendo de las reflexiones de Häberle sobre la doctrina de la constitución como "ciencia de la cultura" y de Ridola sobre los derechos fundamentales y sobre el método comparativo, se ha buscado tirar de los hilos del camino afrontando el problema de la instancia secesionista desde un método de resolución del conflicto basado en instrumentos de reconocimiento jurídico-constitucionales. Para ello se ha analizado la secesión desde distintos ángulos, primero el del populismo, pero tambien el de la crisis política y la apertura de nuevos espacios de confrontación publica. Se han analizado algunas experiencias capaces de poner de manifiesto las fortalezas y debilidades de los distintos métodos de abordaje de la instancia secesionista, y los razonamientos sobre como la apertura al conflicto no es solo la via mas coherente con los principios del pluralismo, sino también la única capaz de garantizar unidad sin renunciar al reconocimiento de los valores y la capacidad de evolución inherentes a la declinación de las diferencias. Se ha reflexionado sobre un núcleo en torno al cual desarrollar una teoría del reconocimiento para la resolución del conflicto secesionista para incluirla en ese largo proceso que originado como una "parte" que antes de afirmar definitivamente su diferencia del "todo", pone la atención de la comunidad estatal en los temas en torno a los cuales podría producirse la fractura de la unidad, en un intento de incardinarlos en un camino de integración que garantice igualmente el particularismo en el contexto más amplio de la unidad, lo que solo potencialmente conduce a la pregunta de división e independencia. El presente trabajo ha sido abordado a través del uso del método comparativo mediante la realización de un análisis que, "consciente de la diversidad", ha tratado de delinear vías alternativas al tradicional cierre del sistema estatal según una lógica de "esquemas opositores", manteniendo "tensión identidad y alteridad, sin necesariamente apuntar al establecimiento de contenidos comunes, y más bien estableciendo una relación [.] siempre abierta, comunicativa, pero que no por esto excluye la decisión" (Angelo Schillaci, "Diritti fondamentali e parametro di giudizio. Per una storia concettuale delle relazioni tra ordinamenti", Jovene editore, Napoli 2012, pag. 30). El concepto de "secesión", por tanto, se inserta en un contexto marcado por «una concezione ampia della storia costituzionale, che non accoglie entro il proprio orizzonte solo la genesi e l'evoluzione dei "testi" né un sostrato materiale costituito da classi o gruppi di potere egemoni, da elazioni antagonistiche amico/nemico, ma "contesti" intessuti di "esperienze", vissuti individuali e collettivi, processi ampi di trasformazione sociale» (Paolo Ridola, "Esperienza. Costituzioni. Storia. Pagine di storia costituzionale", Jovene Editore, Napoli 2019, pag. 37) en el que, especialmente cuando el elemento principal del conflicto radica en los problemas relacionados con la identidad, el instrumento de reconocimiento puede desempeñar un papel central. En definitiva, se muestra la necesidad de un replanteamiento de los cánones clásicos de cierre absoluto del sistema constitucional al problema de la secesión, replanteamiento que podría abrir nuevos desarrollos del conflicto intraestatal en los que mejorar los aspectos funcionales del pluralismo, fortaleciendo las razones para "estar juntos" en lugar de agudizar la oposición proporcionando nuevas razones para "separarse".
2006/2007 ; I sistemi di difesa nazionale delle Potenze militarmente più evolute, grazie alla dotazione tecnologica che li connota, sono caratterizzati da una stretta relazione tra potere militare terrestre e capacità di controllo dei sistemi in orbita. Settori come quelli delle telecomunicazioni, dell'osservazione terrestre, della navigazione, della sorveglianza e dell'"early warning" rivelano quanto sia marcata la valenza strategica della componente spaziale per gli assetti militari odierni. Alla luce dei queste considerazioni, ma anche ipotizzando un futuro possibile sfruttamento a fini economici del cosmo, nonché constatando la rilevanza di attività commerciali con base nello spazio per lo svolgimento di attività cruciali per la vita quotidiana, come le comunicazioni o la sicurezza ambientale, è evidente l'interesse riservato dagli Stati alle problematiche inerenti la sicurezza nello spazio ed i rapporti di forza che interessano il controllo dello stesso. La materia è di estrema sensibilità, soprattutto alla luce del fatto che l'utilizzo del cosmo a fini militari e civili è, ad oggi, caratterizzato dall'assenza di un accordo generale sul piano giuridico: mancano quindi gli strumenti normativi per dirimere eventuali controversie tra i Paesi coinvolti nelle attività spaziali. La disciplina vigente a livello internazionale non permette, ad oggi, di definire un quadro preciso dei diritti e dei doveri in capo ai soggetti statuali ed alle entità che operano nello spazio e manca un impianto sanzionatorio condiviso. Non si è nemmeno pervenuti ad una definizione puntuale di cosa si intenda per "attività spaziale". Del resto, proprio gli Stati maggiormente coinvolti nella corsa allo spazio, con particolare riferimento agli Stati Uniti, non hanno mai incoraggiato l'introduzione di una disciplina più restrittiva in questo settore. La corsa per il predominio dello spazio è stata giustificata da una certa letteratura facendo ricorso ad un'analogia con il regime giuridico che disciplina le acque extraterritoriali, che non ricadono sotto la sovranità di alcuno Stato e possono essere utilizzate a fini militari. L'indicazione data da questi autori, peraltro ampiamente recepita in seno all'Amministrazione statunitense, detta orientamenti strategici che perseguono una logica di difesa preventiva, anche mediante l'impiego di assetti da "guerra totale". L'analogia tra la navigazione nelle acque extraterritoriali e l'uso militare dello Spazio si presenta nondimeno controversa e suscita contestazioni, soprattutto in ordine al fatto che scelte di politica spaziale mirate a stabilire il predominio di una Nazione sulle altre possano esporre i Paesi in posizione dominante al rischio di ritorsioni da parte di altre entità, statuali e non, ostili o potenzialmente tali, in grado di sviluppare ed utilizzare armi antisatellite con l'intento di spezzare il loro monopolio. Sorgono inoltre interrogativi circa la compatibilità dell'uso militare dello spazio con il diritto spaziale vigente, secondo cui lo spazio extra-terrestre rappresenta invece un patrimonio di pubblico dominio, utilizzabile per «scopi pacifici», a fini di bene comune. Aspetto cruciale di questa dinamica è la contrapposizione tra Paesi fautori di un'ottica unipolarista, quali gli Stati Uniti, per cui lo spazio costituisce il fondamento della "full spectrum dominance" (basata su deterrenza, controllo e capacità di proiezione unilaterale nel battlefield a tutti i livelli) e Paesi votati invece ad una forte egemonia regionale, come Cina e Russia, che puntano al multipolarismo. Episodi come quello che nel gennaio 2007 ha visto protagonista proprio la Cina, che ha dimostrato di poter lanciare e guidare un veicolo anti-satellitare (ASAT) contro un proprio satellite meteorologico situato alla stessa altezza dei satelliti spia americani, abbattendolo, evidenziano come la lotta per l'egemonia possa trovare nella dimensione spaziale un fattore di vulnerabilità incredibilmente sensibile in assenza di forme di controllo condivise. I fattori di minaccia di questo tipo potrebbero moltiplicarsi se la proliferazione di tecnologia antisatellite interessasse anche la cerchia degli Stati "canaglia" o addirittura gruppi eversivi, magari finanziati e supportati sul piano tecnico proprio da Stati ostili all'Occidente. Un altro fronte di rischio potrebbe essere rappresentato dall'enorme quantità di detriti spaziali, letali per i delicati sistemi orbitanti, che si verrebbero a creare in conseguenza di eventuali attacchi finalizzati alla distruzione di dispositivi nemici. Sebbene lo spazio sia, come evidenziato in premessa, già militarizzato nella misura in cui viene utilizzato a scopi di supporto dell'apparato bellico, nessun Paese vi ha al momento ancora introdotto armamenti. Varcare questa soglia significherebbe, infatti, provocare un probabile scontro per il predominio dello spazio, situazione che il sistema giuridico attuale non sarebbe pronto a gestire. Per la Comunità Internazionale, inoltre, lo sviluppo di antagonismi di questo tipo rappresenterebbe un forte fattore di destabilizzazione, ragion per cui da più parti viene auspicata l'introduzione di una regolamentazione più ampia che limiti la corsa agli armamenti nel cosmo. Alla luce di queste considerazioni, il presente lavoro intende delineare un quadro delle prospettive inerenti l'utilizzo dello spazio a fini strategici e di difesa da parte degli Stati dotati di tecnologia sufficiente per poter intraprendere il lancio e la gestione operativa di apparati a livello extra-atmosferico. In apertura di trattazione si è provveduto a tracciare, attingendo a nozioni della geopolitica classica, una sinossi di alcuni contributi risultati significativi nell'orientare le strategie spaziali degli ultimi anni, fino ad arrivare al concetto di "astropolitica", intraprendendone una lettura critica alla luce delle recenti posizioni assunte in tema di strategia spaziale da parte dei diversi attori coinvolti. Contestualmente è stata affrontata la disanima degli aspetti giuridici salienti del regime internazionale in vigore nel settore di interesse. Nel secondo capitolo, sono stati introdotti alcuni cenni relativi ad aspetti funzionali, quali ad esempio alcune nozioni di meccanica orbitale, utili a capire le problematiche connesse al lancio ed all'operatività dei sistemi spaziali ed a valutarne l'incidenza sulle politiche dei diversi attori. Per lo stesso motivo, si è ritenuto opportuno inserire una semplice descrizione delle principali caratteristiche tecnico-funzionali degli assetti impiegati per le attività spaziali militari e civili e dei relativi sistemi di supporto terrestre. Nel terzo capitolo, è stato stilato un quadro dei possibili sviluppi nel settore aerospaziale, considerandone in prospettiva le evoluzioni sia con riguardo al gruppo dei Paesi già affermati in questo campo, sia ai Paesi emergenti. Questa parte dell'elaborato è stata redatta tramite un'intensa attività di indagine tesa a raccogliere ed archiviare informazioni tratte da riviste specializzate di settore e da manualistica istituzionale qualificata, al fine di definire un punto di situazione quanto più possibile aggiornato sulle scelte operative e sulle strategie recentemente intraprese dagli operatori del comparto. Gli argomenti che presentano i riscontri più significativi riguardano: - le recenti evoluzioni degli assetti aerospaziali statunitensi, caratterizzati, negli ultimi anni, da un progressivo shift di competenze dalla NASA al Pentagono, per quanto attiene le attività in orbite terrestri, e dal delicato passaggio del dopo-Shuttle, che potrebbe esporre l'Amministrazione statunitense a forme di cooperazione prolungata con Paesi concorrenti nel settore dei lanci, come la Russia; - la crescente autonomia spaziale rivendicata dall'Europa allo scopo di acquisire maggiore indipendenza strategica dagli Stati Uniti. Caso emblematico in questo contesto è lo sviluppo, da parte europea, del sistema di navigazione satellitare Galileo, dotato di funzionalità sostitutive del GPS Navstar statunitense. Il progetto, finanziato da Agenzia Spaziale Europea ed Unione Europea, fortemente voluto soprattutto da parte francese, inizialmente è partito in sordina, come sistema a vocazione civile, per poi assumere una connotazione militare solo una volta superato l'impatto dell'opposizione statunitense, che non ha mancato di sollevare questioni sui rischi e sulla presunta inopportunità della sovrapposizione dei due sistemi. Il programma Galileo non rappresenta solo il mezzo mediante il quale l'Europa cerca di emanciparsi dalla dipendenza strategica degli USA, ma costituiste, nel contempo, un'opportunità per stabilire rapporti di cooperazione internazionale con Paesi avanzati sotto il profilo tecnico-militare spaziale, come la Cina, che partecipa al progetto, ma che a sua volta mira in prospettiva a dotarsi di un proprio sistema di navigazione satellitare, come del resto la Russia. E' evidente come la collaborazione con detti Paesi da parte europea rappresenti un fattore di criticità per gli Stati Uniti, che, comunque, a loro volta intrattengono, pragmaticamente, programmi comuni con i russi nell'ambito di specifici progetti, soprattutto in relazione al mantenimento della Stazione Spaziale Internazionale. Si consideri che il vettore-capsula russo Sojuz è al momento l'unico veicolo per voli umani disponibile oltre al cinese Shenzhou, mentre gli USA stanno sviluppando le future capsule Orion, sostitutive dello Shuttle, i cui primi voli con equipaggio sono però in programma solo a partire dal 2015; - lo stato dei programmi spaziali italiani e la componente spaziale degli assetti di difesa nazionale. L'Italia, dal canto suo, potrebbe beneficiare degli sviluppi che emergono in ambito europeo, soprattutto grazie a sinergie possibili tra la propria industria nazionale e partner europei in settori strategici, come quello del telerilevamento e dell'osservazione terrestre. Positivi passi in questo senso sono già stati fatti grazie al consorzio del sistema nazionale Cosmo-Skymed con la costellazione satellitare francese Plèiades. Importanti prospettive in questo settore si potrebbero aprire anche grazie al progetto "GMES - Global Monitoring for Environment and Security", un'iniziativa sviluppata in ambito spaziale europeo che mira a incrementare le capacità dell'informazione geospaziale a supporto della politica ambientale e della sicurezza. Il comparto spaziale italiano potrebbe inoltre beneficiare dei progressi nello sviluppo di lanciatori di piccole dimensioni, in particolare con riferimento al sistema "Vega", che potrebbe inserirsi con successo nella fascia dei lanci satellitari commerciali da 1.500 Kg in orbita bassa; - i programmi spaziali presenti e futuri di Cina e Russia: 1) la prima risulta proiettata verso un programma spaziale ambizioso, che prevede anche la realizzazione di una stazione spaziale per il 2015 ed un fitto programma di attività nei settori a valenza strategica, quali quelli dell'osservazione terrestre, delle telecomunicazioni, della navigazione satellitare, della meteorologia, dei veicoli spaziali riutilizzabili, nonché dell'esplorazione lunare, presumibilmente prodromica ad un possibile sfruttamento economico delle ricche risorse presenti sul satellite terrestre; 2) la seconda, erede dell'infrastruttura spaziale, di gran parte della tecnologia e delle risorse umane che avevano determinato i successi dell'Unione Sovietica, è impegnata nel rivendicare un ruolo di primo piano in settori cruciali per l'attività spaziale come quello dei lanciatori e dei vettori per le missioni con equipaggio. A questo proposito, va ricordato che i vettori russi Proton ed in particolare la già citata Sojuz, mantengono una solida posizione nel mercato dei lanci spaziali, anche in ragione della loro affidabilità e dei loro costi relativamente contenuti rispetto ad altri sistemi, aspetti che rendono attraente la cooperazione con i russi anche per gli Stati Uniti e l'Europa; - recenti sviluppi nell'industria spaziale di Paesi emergenti come India, Brasile, Giappone, ma anche Iran, Corea del Sud, Corea del Nord e Pakistan. Da ultimo, alla luce di queste finali considerazioni, non si è trascurato di trattare l'importante ruolo assunto in tale contesto dalle diverse industrie aerospaziali nazionali, delineando un quadro dei principali accordi di cooperazione internazionale ed evidenziando sinergie operative e possibili aree di competizione. Particolare attenzione è stata dedicata anche ai possibili sviluppi per le rispettive strategie spaziali a fronte delle opportunità che si aprirebbero nel caso diventassero attuabili forme di sfruttamento economico delle risorse presenti nello spazio. Nel contesto che emerge dall'analisi tracciata, appare evidente come l'implementazione dei programmi spaziali nazionali non possa prescindere dallo sviluppo di forme di cooperazione internazionale, se non risultando penalizzata dall'isolamento. Accade così che nel settore spaziale, per necessità, anche gli interessi di potenze tradizionalmente contrapposte si coalizzino attorno a specifici programmi. La complessa dinamica che ne deriva interessa i rapporti tra Europa e USA, tra USA e Russia, tra Cina e Russia, tra Europa e Cina ed altri ancora: tutti questi Paesi sono impegnati a unire le rispettive forze evitando però di inimicarsi le altre potenze, in una delicata partita diplomatica ed economica, che costituisce forse il lato più interessante e curioso da osservare sul fronte delle scelte strategiche che animano i rispettivi programmi spaziali. ; XX Ciclo
ISDS (Investor-State Dispute Settlement) as leading edge of global economic governance: how and why a subject which apparently has nothing to do with the constitutionalist's field, is on the contrary essential – and harmful – for constitutionalism and democracy. The ISDS procedures weaken the State judicial bodies and – by their penalty and deterrent power – reduce the decision capability of the States both at political and deliberative level. We are dealing with a conflict between two perspectives which are, broadly speaking, constitutional and different. This contrast affects the relationship among economics and politics, the concept of sovereignty (popular and of the States), the founding principles of the system, the guarantee of rights, the system of sources of the law and the role of constitutional authorities. The purpose of this study is to analyse the structure, the functioning and the effects of international arbitrations inside ICSID (World Bank system), for what concerns the legitimacy, the organization, the relevant legal framework. The resulting reflection highlights some remarkable dichotomies (public-private, government-governance) as well as the "torsion" imposed by neo-liberalism to democracy, sovereignty and law. ISDS (Investor-State Dispute Settlement), punta di diamante della global economic governance: come e perché una materia apparentemente estranea al côté del costituzionalista, è, invece, essenziale – ed esiziale – per il costituzionalismo e la democrazia. I meccanismi ISDS esautorano gli organi giudiziari statali e con la loro forza, sanzionatoria e deterrente, comprimono la potestà decisionale degli Stati, a livello politico e normativo. È in atto un conflitto fra due prospettive, in senso lato costituzionali, differenti, che incide sul rapporto fra economia e politica, sulla sovranità (degli Stati e popolare), sui principi fondanti l'ordinamento, sulla garanzia dei diritti, sul sistema delle fonti, sul ruolo degli organi costituzionali. Lo studio analizza la struttura, il funzionamento e gli effetti degli arbitrati internazionali presso l'ICSID (sistema World Bank), quanto alla legittimazione, all'organizzazione, al quadro giuridico di riferimento, per poi riflettere su alcune dicotomie (pubblico-privato, government-governance) e sulla torsione che la razionalità neoliberista impone alla democrazia, alla sovranità, al diritto. SOMMARIO. 1. Il dilagare dei meccanismi ISDS (Investor-State Dispute Settlement) e il loro interesse per il costituzionalista; 2. Le clausole ISDS nel contesto del diritto del commercio internazionale; 3. L'International Centre for the Settlement of Investment Disputes (ICSID) presso la Banca Mondiale e la global economic governance; 4. L'ISDS quale obbligo internazionale: posizione nel sistema delle fonti e vincoli costituzionali; 5. La competenza dell'ICSID e i rapporti con la giurisdizione statale; 6. Gli arbitri internazionali: quid iuris in ordine a imparzialità e indipendenza?; 7. Sulla procedura e sul diritto applicabile nei "tribunali" ICSID; 8. L'esecutività immediata (e senza appello) del lodo arbitrale; 9. I costi e gli esiti delle cause ISDS: un potente deterrente; 10. L'oggetto delle controversie e l'eteronomo self-restraint dello Stato; 11. Un case study: i ricorsi ISDS versus la Repubblica italiana; 12. Le proposte di riforma del meccanismo ISDS nel TTIP: l'International Court System; 13. "Tribunali speciali per la sicurezza degli investitori" quali emblema delle trasformazioni della democrazia (a mo' di osservazioni conclusive)
This aim of the present paper is to measure first, the degree of trilemma indexes: exchange rate stability, monetary independence capital account openness while taking into account the increase of hording IR ratio over GDP, over External Debt and over Short Term External Debt. The evolution of the trilemma indexes shows that countries applying de facto flexible Exchange Rate Regime (ERR) take advantage of the IR and become able to adopt a managed ERR that consist of achieving the three trilemma indexes simultaneously without renouncing to anyone of them. We found that different IR ratio could have different interpretations and different directions of monetary policies, where external debt should be taken into consideration in such study while using the IR. As for country that is applying a de facto fixed exchange rate regime, the IR (different ratio) do not play any role in changing the patter of the Mundell trilemma and do not intervene in monetary authority policies. This paper treats as well the normative aspects of the trilemma, relating the policy choices to macroeconomic outcomes such as the volatility of output growth. We found different results from country to another, while taking different ratios of measuring IR, concluding that the impact of IR on the output volatility could change due to the level of external debt and adopted exchange rate regime.
Oggetto della tesi è l'esame dello sviluppo della regolazione indipendente nel settore dei trasporti. La necessità di questa regolazione nasce dalle politiche di liberalizzazione stabilite dalla Comunità europea e da esse discende la tendenza, da parte di alcuni Stati Membri dell'Unione Europea, ad istituire organismi di regolazione indipendente. La disamina si focalizza in particolare attorno alla neo istituita Autorità di regolazione dei trasporti italiana. Il primo capitolo è incentrato sul ruolo dell'Unione Europea che, nell'intento di creare un mercato unico, ha avviato un processo di liberalizzazione del settore dei trasporti consistente nell'apertura alla concorrenza di un'attività precedentemente esercitata in maniera prevalente monopolistica. Monopoli che, se non sono giustificati da una missione d'interesse economico generale, nella maggior parte dei casi generano prezzi elevati, un servizio meno efficiente e ritardi in termini di innovazione o investimenti. Questa è la ragione che ha spinto la Comunità europea ad operare al fine di eliminare i monopoli a favore della creazione di un mercato comune dei trasporti, ovvero il conseguimento della libera prestazione dei servizi e dell'apertura dei mercati per migliorare la qualità del servizio e ridurre il livello dei prezzi. Fin dal Trattato di Roma del 1957 viene annunciato l'obiettivo di instaurare una politica comune in materia e viene affidato al legislatore dell'Unione il compito di adottare le misure all'uopo necessarie. Il legislatore riceve così mandato ad ispirarsi ai principi di libertà e di non discriminazione tra cittadini degli Stati membri. L'introduzione di regolamenti, negli anni successivi, va a disciplinare l'applicazione del diritto della concorrenza ai trasporti. L'analisi si focalizza in seguito sulle regole applicabili alla concorrenza e agli aiuti di Stato, che in tale mercato assumono un rilievo particolare, trattandosi di un settore nel quale notoriamente il ricorso a finanziamenti pubblici e sovvenzioni da parte degli Stati è assai diffuso. Si esamina anche quello che era, ed è tuttora, un importante obiettivo del legislatore comunitario: il rafforzamento dei diritti del passeggero quale parte contrattuale debole e, come tale, bisognosa di particolare tutela. Per dare una visione completa è necessario analizzare la disciplina vigente nelle varie tipologie di trasporto, con uno sguardo alle convenzioni internazionali, ove presenti, per poi dedicarci alla legislazione comunitaria mettendo in evidenza quali siano gli organi italiani predisposti alla vigilanza. Passiamo quindi a porre attenzione ai poteri del Parlamento europeo in materia di trasporti, analizzando, successivamente, l'orientamento da esso tenuto negli anni 2000 per comprendere meglio da dove nasce il "nuovo" Libro bianco sul futuro dei trasporti entro il 2050 intitolato «Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti — Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile», pubblicato il 29 marzo 2011 dalla Commissione europea. A chiusura del capitolo analizziamo, con particolare interesse, come i processi di liberalizzazione abbiano portato i vari Stati membri dell'unione ad istituire differenti sistemi di regolamentazione dei trasporti a seguito dei diversi approcci adottati in relazione alle strutture e alle competenze degli organismi di regolazione dei trasporti. Questi organismi possono essere classificati in base al loro grado d'indipendenza rispetto agli organi governativi competenti e ai principali operatori del settore. Notiamo come nella scelta del tipo di organismo abbia svolto un ruolo importante la Comunità Europea che, tramite una Direttiva, richiedeva la creazione di un organismo di regolazione per il settore ferroviario con lo scopo di garantire una supervisione indipendente e imparziale del mercato. Ciò ha portato alla tendenza, comune nella maggior parte degli Stati membri, ad istituire organismi indipendenti; scelta condivisa anche dal governo italiano il quale, con decreto legge n.1 del 24 Gennaio 2012, del Consiglio dei Ministri, ha deliberato la nascita dell'Autorità di regolazione dei trasporti. Nel secondo capitolo, dato uno sguardo alla spinta europea che ha portato, pur senza un disegno organico, alla creazione di Autorità amministrative indipendenti, si prendono in esame le caratteristiche comuni della regolazione indipendente. L'analisi parte dal difficile innesto costituzionale delle Autorità indipendenti cioè dalla collocazione di questi organismi nel quadro dei poteri pubblici. Viene data attenzione anche alla natura giuridica di detti organismi che, fin da subito, è stata oggetto di discussione in dottrina. Successivamente si analizza l'indipendenza come assoluta estraneità ed indifferenza dell'attività dell'organo agli interessi alla cui regolazione la sua attività è diretta. Indipendenza che si riscontra oltre che nei confronti dalle imprese regolate, anche rispetto al potere politico, in quanto caratteristica che mal si concilia con l'elevata tecnicità e specializzazione richiesta ai membri di tali organi. Consideriamo infatti come questi due elementi, indipendenza e tecnicità, siano alla base dei meccanismi di nomina che esamineremo nel paragrafo successivo mettendo in risalto che non sussiste, per gli organismi di regolazione indipendente, un meccanismo di nomina unico. Affrontiamo anche il tema della statuizione di ulteriori fattori a garanzia dell'indipendenza tra cui anche la questione dell'impugnabilità degli atti di nomina, resa possibile da una recente sentenza del Tar del Lazio. Nell'intento di rendere un quadro più completo riguardo alle nomine analizziamo anche la trasparenza e la disciplina sul conflitto di interessi. Quest'ultima è oggetto di particolare attenzione nelle attuali dinamiche politiche in quanto, dopo anni di proclami, è in discussione in Parlamento un nuovo disegno di riforma. L'analisi si focalizza, successivamente, sui poteri riconosciuti a questi organi considerando, nello specifico, i poteri normativo, di aggiudicazione e sanzionatorio. In riferimento al primo si pone l'attenzione anche sui meccanismi Air e Vir cioè reciprocamente analisi dell'impatto della regolamentazione e verifica dell'impatto della regolamentazione. Nel terzo capitolo analizziamo la neo istituita Autorità di regolazione dei trasporti rivedendo il percorso che ha portato all'istituzione di questa nuova autorità ed il ruolo importante giocato dalla Commissione europea. Una volta delineato il quadro normativo che ha portato a questa nuova autorità, delineiamo le finalità e lo scopo di questo nuovo organismo passando, inevitabilmente, anche dalla disamina delle competenze e dei poteri ad essa riconosciuti. In seguito andiamo ad analizzare le Garanzie di difesa a disposizione delle imprese sottoposte a procedimento e la legittimazione ad agire in giudizio riconosciuta all'Autorità. Si cerca di delineare quali siano i soggetti sottoposti a regolamentazione, non essendoci una chiara ed univoca disposizione a riguardo. Notiamo come non siano soggetti a regolamentazione esclusivamente le imprese attive nell'esercizio dell'attività di trasporto, ma anche i soggetti competenti come le pubbliche amministrazioni e altre Autorità di settore. Si passa a valutare, inoltre, se effettivamente vi fosse bisogno di una nuova autorità ad hoc dei trasporti, tenendo in considerazione le dichiarazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato a riguardo. A conclusione di questo capitolo analizziamo come, in un periodo di spending review in cui si era orientati a favore di un accorpamento delle diverse autorità, sia stato possibile istituire una nuova autorità. Vediamo su quale tipo di finanziamento si basa e che impatto avrà quest'ultima autorità sulle casse dello stato. Nell'ultimo capitolo ci soffermiamo in particolare sui rapporti che intercorrono tra l'Autorità dei trasporti e altri organismi. Iniziamo prendendo in considerazione i rapporti con le altre autorità, in particolare l'Agcm, rimarcando i punti di contatto tra di esse e le eventuali sovrapposizioni di competenze. Considerando che questa situazione può creare delle problematiche, osserviamo che, per far fronte a ciò, la strada da percorrere è quella della leale collaborazione tra gli organi, attuata mediante protocolli ed intese che definiscano, sia sul piano metodologico sia sul piano del processo decisionale, un sistema di cooperazione. Affrontiamo in seguito anche i rapporti intercorrenti tra l'autorità e l'amministrazione centrale, ove va a relazionarsi con il Comitato interministeriale di programmazione economica,− Cipe −, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Mit –, ed il Ministero economia e finanza – Mef – senza dimenticare i rapporti che intercorrono con l'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali. A fronte di queste analisi evidenziamo come l'Autorità, talvolta, si affianchi ad amministrazioni o organismi esistenti mentre, altre volte, ne assorba, in tutto o in parte, funzioni o più semplicemente compiti. In tale ambito generale di relazioni non possiamo esimerci dall'esaminare anche quelle intercorrenti con l'Unione europea e gli organismi degli stati membri caratterizzati da sistemi di cooperazione. Per fornire un quadro completo dei rapporti dell'autorità con altri organismi, analizziamo, infine, quelli intercorrenti con gli enti territoriali. Questi rapporti si sono dimostrati fin da subito i più complessi e dibattuti. Osserviamo come la presunta sovrapposizione di competenze con le regioni in tema di trasporto pubblico sia sfociata nel ricorso alla Corte Costituzionale da parte della regione Veneto. A conclusione della disamina riportiamo uno spunto critico, presente in dottrina, in cui viene posto il quesito se a questa nuova autorità siano affidate troppe competenze o pochi potere: arrivando a riscontrare dei limiti propri dell'autorità.
Questo lavoro inizia con un panorama generale della storia della formazione dei primi stati balcanici. Perché iniziare con la storia dei Balcani Occidentali? Perché si è discusso tanto sul fatto se la CE/UE avesse preso in considerazione la peculiarità storica ed etnica di questa regione. Per dare una risposta a questi dubbi, ci viene in aiuto un importante federalista di quelli anni. Come scriveva il prof. Sergio Pistone in quelli anni: "La tragedia che sta dilaniando la Jugoslavia dimostra in modo inequivocabile a quali conseguenze distruttive e mostruose conduce l'applicazione del cosiddetto diritto di autodeterminazione nazionale, secondo il quale la salvaguardia delle peculiarità nazionali può fondarsi solo sulla coincidenza di ogni nazione con uno stato. Poiché, salvo rarissime eccezioni, l'Europa (come il resto del mondo) è caratterizzata dalla mescolanza di diversi gruppi linguistici, religiosi, etnici, e così via, entro gli stessi territori, ogni creazione di nuovi stati o spostamento di confini fra stati diretti a creare stati omogenei dal punto di vista nazionale lascerà sempre all'interno dei nuovi confini delle minoranze". Questa concezione accompagnerà i lavori della Conferenza per la ex - Jugoslavia e anche tutti i piani successivi elaborati dai rappresentanti della Comunità Europea. Partendo da questa concezione/timore che era presente nella realtà europea dei primi anni novanta, quando si era appena compiuta l'unità della Germania e si stava compiendo la disgregazione dell'impero sovietico, era molto interessante andare a capire l'atteggiamento della CE/UE all'inizio della dissoluzione jugoslava e più precisamente perché essa cambiò questo atteggiamento da sfavorevole alla disgregazione a favorevole ad essa. Non bisogna dimenticare che la Comunità Europea si trovava per la prima volta durante la sua storia alle prese con un conflitto armato, nel momento in cui essa discuteva la bozza di una politica estera e di sicurezza comune. Oltre a questi fatti, bisognava andare a capire quali altri fattori spingevano la CE/UE ad avere quella mancanza di posizione univoca per cui è stata sempre criticata e che come vedremo nelle conclusioni di questa tesi, non sempre a ragione. Inoltre, la CE/UE ha costituito una forte base giuridica in materia di indipendenza delle repubbliche uscenti da una federazione, ma da sempre esiste la domanda: "Perché questa base giuridica non ha potuto evitare un conflitto così sanguinoso nei Balcani Occidentali che sono pur sempre nel continente europeo e non in Africa ad esempio?" Forse è vera la conclusione della studiosa Calic secondo la quale: In un mondo nel quale la sovranità è intesa come derivante dalla volontà del popolo, l'idea dell'amministrazione portata dall'estero va incontro a quella della sovranità? In questo contesto mi è parso molto interessante andare ad analizzare i vari punti di smacco della politica europea e se questi smacchi dipendevano da fattori interni ad essa, oppure da altri fattori politico-economici esterni. Un altro fattore poteva essere quello della complessità e della complicazione della realtà jugoslava, con i vari problemi etnici e gli odi antichi che sono stati spiegati nel primo capitolo. La tesi cercherà di spiegare se la CE/UE era alla conoscenza di queste questioni e se i dodici avevano mai pensato di intervenire militarmente nel conflitto, oppure l'avevano ideato ma mai potuto realizzare. Nella prima ipotesi, bisognerebbe considerare che non era chiaro che tipo di ordine politico sarebbe stato in grado di creare un esercito di intervento nella ex – Jugoslavia. Nella seconda, la non realizzazione potrebbe sembrare ovvia per via dell'esistenza soltanto dell'WEO in quel periodo. Per questo motivo, ho cercato di analizzare fino a che punto è stato impegnato la WEO e in quale contesto è stato giustificato il suo impegno. Un altro punto importante del ruolo della CE/UE nel conflitto è stato quello del suo peso economico e finanziario. Nei casi nei quali le minacce militari non sono sufficienti a influenzare la condotta delle parti, di certo le sanzioni economiche non lo sono, come dimostrò l'esempio bosniaco. Però, spesso, non c'è altra alternativa oltre a quella di basare le strategie per la pace sulle misure economiche. Queste ultime, da un punto di vista di costi-benefici, possono essere più vantaggiose dell'inazione militare. Partendo da questa considerazione, ho cercato di capire ed evidenziare fino a quale punto è stato importante l'influenza della CE/UE prima, durante e dopo il conflitto nella ex - Jugoslavia. In questo conflitto occupa una parte molto importante la guerra sanguinosa che scoppiò in Bosnia-Erzegovina durante il periodo 1992-1995. Il ruolo e l'atteggiamento della Comunità internazionale durante questo conflitto fu di un grande significato nella connotazione negativa del termine, poiché la comunità internazionale non fu in grado di fare cessare le maggiori massacri umani che ebbero luogo nel territorio bosniaco. In questo contesto, sarebbe stato un errore analizzare la posizione della Comunità/Unione Europea, al di fuori del contesto internazionale. L'atteggiamento degli attori coinvolti nei conflitti così come l'atteggiamento della comunità internazionale nei confronti di questi attori dipende non solo dai ruoli di fatto che gli attori intraprendono, ma anche dall'etichetta (il tipo di denominazione) con la quale viene identificato il conflitto. L'atteggiamento europeo non poteva essere tirato fuori dalla realtà globale che circondava il conflitto, ma doveva essere visto in relazione a quello che stava succedendo all'interno della Comunità/Unione Europea. Di conseguenza, durante il mio lavoro, si avrà spesso a che fare con degli assi paralleli che includono la situazione in seno alla CE/UE, alle Nazioni Unite, agli USA, alla Russia e nello stesso tempo alla situazione del conflitto nel terreno bosniaco, in Serbia e in Croazia. I documenti usati per l'elaborazione di questa tesi, oltre ai volumi e ai saggi pubblicati durante tutti questi anni, sono stati anche i bollettini ufficiali reperiti al Centro di Archivio sull'Unione Europea dell'Università di Siena ai fondi di Angel Viñas e Helen Wallace dell'Archivio dell'Unione Europea di Firenze. Il periodo dei primi rapporti sulla CEE-Jugoslavia è stato del tutto ricostruito sulla base delle suddetti fonti, poiché non esistono ancora dei volumi pubblicati in materia. Nei documenti ufficiali della Comunità/Unione Europea sono stati molto utili i Bollettini Ufficiali pubblicati dalla CE/UE ad ogni anno, che hanno fornito un'informazione completa per quanto riguarda le conclusioni dei Consigli europei, i finanziamenti e gli investimenti verso la ex - Jugoslavia e le repubbliche uscenti, gli aiuti umanitari durante il conflitto, le attività del Parlamento europeo e della Commissione, le quali si potevano evincere dalle varie risoluzioni e decisioni, ed infine la descrizione di alcuni riunioni importanti a livello ministeriale in politica estera. Per quanto riguarda i documenti degli archivi reperiti presso l'archivio dell'Unione Europea di Firenze, essi sono stati utili per delineare la posizione di alcuni stati membri all'interno della CE/UE come ad esempio quella della Francia, della Germania e della Gran Bretagna e anche di alcuni altri attori come le Nazioni Unite, la Russia e gli Stati Uniti. Queste posizioni sono state facili da dedurre dalla corrispondenza di Angel Viñas fra le CE/UE e l'ONU. Questa corrispondenza ha fatto da testimone dei rapporti CE/UE-ONU e ONU-NATO durante il conflitto bosniaco, e non solo. Essa è stata utilizzata per meglio descrivere l'attività dei negoziati per il piano Vance-Owen, per la soluzione del conflitto fra la Grecia e la Macedonia, per la situazione nel terreno della guerra in Bosnia-Erzegovina, per le vicende dell'intervento della NATO nel 1994, per l'attività di Izetbegović, quelle del commissario Van Den Broek, eccetera.
Questa ricerca si occupa della storia di un edificio monumentale, focalizzando l'attenzione sulle dimensioni simboliche che ne fanno un lieu de memoire, un luogo della memoria. Il protagonista è il Palazzo de La Moneda, sede tradizionale del governo del Cile; edificio che è considerato il monumento più rappresentativo del patrimonio nazionale, e che fu bombardato dalle Forze Aeree cilene l'11 settembre del 1973, durante un colpo di Stato che è ampiamente considerato come evento cruciale nella storia nazionale del secolo ventesimo. Si tratta di uno studio multidisciplinare, ubicato nell'intersezione tra la storia culturale e la storia dell'architettura e dell'urbanismo. Il Palazzo è considerato come un oggetto fisico e simbolico nel quale convergono e si condensano i processi delle memorie collettive: sia il processo di costruzione di una memoria e una identità nazionali - di cui l'edificio è uno dei simboli più emblematici - che della inclusione nel grande racconto della Nazione di una memoria pubblica relativa ad una tappa dolorosa e conflittiva della storia recente. Allo stesso tempo, trattandosi di un luogo della memoria specialmente rappresentativo del potere statale, l'oggetto del lavoro è la relazione tra memoria e potere, così come si trasforma e si manifesta nelle successive tappe della storia del Cile. Il foco centrale della ricerca è la rottura politica del 1973 e il Palazzo si converte in un elemento nel quale leggere la storia del potere e delle sue rappresentazioni nel passaggio tra democrazia e dittatura e, posteriormente, nella transizione da un regime autoritario ad un nuovo sistema democratico-liberale. Lo studio si divide in sei capitoli. Il primo capitolo è interamente dedicato a una discussione intorno ai fondamenti e agli antecedenti teorici e metodologici dai quali muove la ricerca: lo studio della memoria come oggetto specifico della storia del presente; il panorama bibliografico dei lavori sulle memorie collettive del secolo ventesimo in Europa e in America Latina; il significato dei luoghi come elementi di cristallizzazione e trasmissione delle memorie nello spazio pubblico, partendo dalla teorizzazione di Pierre Nora e ripercorrendo le rivisitazioni proposte da parte di studiosi di diverse latitudini per l'analisi delle memoria conflittive del secolo XX. Questo primo capitolo culmina in un quadro concettuale nel quale, partendo con una riflessione radicata nel presente, si mostra il Palazzo de La Moneda come luogo della memoria, edificio-símbolo che puó essere letto allo stesso tempo come una parabola della storia del Cile e come uno specchio nel quale leggere le dinamiche di costruzione e ricostruzione del passato nazionale. Il secondo capitolo ha per oggetto l'11 settembre del 1973 e appunta a mettere in luce il processo di costruzione di verità e miti su quello che successe nel palazzo quel giorno: la morte del presidente Allende, la distruzione dell'edificio, la morte di collaboratori e ministri impegnati in una difesa armata del Palazzo. Si tratta di un racconto tridimensionale nel quale si mostra la memoria come incontro di diverse soggettività, come lavoro fatto di silenzi, nostalgie e manipolazioni e come ambito di una complessa confluenza tra il lavoro dello storico e quello dei testimoni oculari e dei diversi gruppi di commemoratori impegnati nella costruzione della verità storica nello spazio pubblico. I capitoli successivi hanno una struttura sostanzialmente cronologica, anche se la loro logica di costruzione rende conto delle diverse "densità" del tempo con cui deve necessariamente misurarsi una storia interessata al simbolo, alla soggettività, alla rappresentazione. Il terzo capitolo abborda la storia del Palazzo dalla sua costruzione fino algiorno del bombardamento: in questo lungo excursus si evidenzia che la storia dell'edificio corrisponde con quella di un "laboratorio della nazionalizzazione" nel quale si depositano - selettivamente e in epoche successive - diversi strati di memoria che mostrano il processo non lineare di costruzione di quei valori nazionali intorno ai quali il potere convoca i suoi cittadini nelle diverse tappe della storia del Cile indipendente. A continuazione, gli ultimi tre capitoli analizzano le pratiche di riscrittura e di trasformazione di questo "laboratorio" nel periodo posteriore al cambio di regime. Si abbordano gli anni in cui il Palazzo rimase distrutto, mettendo in relazione i concetti di memoria e trauma collettivo; si analizza la restaurazione messa in atto dal regime autoritario, diretta a fare del Palazzo una metafora della ricostruzione della Patria e il cui risultato mostra l'instaurazione di un linguaggio tecnico patrimoniale che va a sovrapporsi e a sostituirsi al racconto e alla memoria della storia recente. Gli ultimi due capitoli sono dedicati alle politiche e alle pratiche della memoria delle quali il Palazzo è oggetto e scenario nei due decenni di transizione alla democrazia (1990-2010). In questa fase si vede questo luogo come uno spazio privilegiato di conflitto tra diverse volontà di memoria, silenzio e commemorazione. Queste pratiche ed estetiche della memoria mostrano come il processo di rinegoziazione intorno al passato tra diversi attori sociali e istituzionali, sia un elemento chiave della ricostruzione di uno spazio sociale democratico che segue lo scongelamento del discorso unico imposto dalla dittatura. L'ultimo capitolo abborda l'ultima fase della transizione alla democrazia e mostra come, dall'anno 2000, questo processo conflittivo di riscrittura del passato converge in una serie di politiche e pratiche della memoria intorno al Palazzo, che indicano la configurazione di una memoria nazionale e condivisa che, anche se densa di silenzi e manipolazioni, sembra giungere alla ricomposizione della frattura aperta nel 1973 e alla instaurazione di una nuova memoria democrática con la quale il paese si affaccia alla celebrazione del Bicentenario della sua Indipendenza. La ricerca si basa su un ampio ventaglio di fonti eterogenee: pubblicazioni di architettura e urbanismo relative all'edificio e alle trasformazioni del suo contesto urbano; giornali e riviste di attualità di diversa tendenza politica selezionati in corrispondenza con eventi specialmente rilevanti per la storia del Palazzo; documenti di archivio provenienti dal Consejo de Monumentos Nacionales, dal Ministerio de Obras Públicas e dalla Contraloría General de la República; documenti conservati negli archivi di associazioni specialmente attive intorno al Palazzo, come la Fundación Salvador Allende, la Agrupación de Familiares de Detenidos Desaparecidos y Ejecutados de La Moneda, il Dipartimento di Storia e Patrimonio delle Forze Armate; documenti fotografici e audio visuali; materiali di divulgazione relativi all'edificio; pubblicazioni autobiográfiche e testimoniali; testi poetici e letterari. La ricerca include quindici interviste inedite a testimoni oculari del colpo di Stato; architetti e artisti implicati nei successivi progetti di restauro e commemorazione; dirigenti di organizzazioni della società civile promotrici di iniziative di commemorazione effettivamente realizzate o no. Il risultato è un racconto corale in cui il Palazzo de La Moneda prende vita come spazio fisico e simbolico in cui si contrappongono, convergono e cristallizzano i processi che tracciano il percorso di costruzione di una memoria pubblica sul passato recente in Cile.