L'intento della ricerca è quello di analizzare le strategie di "resistenza al patriarcalismo" messe in atto dalle monache forzate, costrette a varcare la soglia del chiostro dal volere paterno senza possibilità di appello, esaminando gli episodi di infrazione alle regole della vita conventuale. Che lo fossero di un marito terreno o di uno sposo celeste, il destino delle donne nelle società preindustriali si compiva soprattutto all'interno dell'hortus conclusus del monastero o della famiglia, istituzioni tese ad assorbire per intero i ruoli biologici, culturali e sociali delle donne. Così, quella di sposa può essere considerata un'immagine specificamente di genere: anche nel caso delle religiose, infatti e contrariamente a quanto avveniva per le loro controparti maschili, la caratterizzazione principale era data dal matrimonio mistico con Cristo; lo status dei religiosi, invece, era caratterizzato dalla separazione dal mondo e dalla loro appartenenza, in quanto soldati, alla militia Christi. Per comprendere a fondo il fenomeno delle vocazioni forzate, è necessario analizzare le politiche matrimoniali in vigore a Venezia nel periodo 1550-1650, obiettivo che ci proponiamo di affrontare nel primo capitolo della nostra ricerca, in cui tenteremo anche di fare il punto su cosa significasse intraprendere la vita monastica, come fosse composta la popolazione conventuale veneziana e quali fossero le attività culturali promosse in monastero. Se in età barocca i conventi femminili mantennero, come effettivamente sembra, una forte presenza nel tessuto sociale e nella vita culturale di Venezia, ci chiederemo, ancora nel primo capitolo, quali argomentazioni contrapporre alla tesi secondo cui la clausura li avrebbe marginalizzati devitalizzandone la funzione pubblica. Come è delineabile dunque il ruolo dei monasteri femminili in epoca post-Tridentina? Per fare il punto su tale questione ci rivolgeremo alle fonti da noi raccolte presso l'Archivio Segreto Vaticano, che sembrano indicare abbastanza chiaramente la funzione imprescindibile dei conventi in tutte le città italiane della Controriforma1: essi diventavano punti di riferimento indispensabili per tutte le cosiddette "mal maritate", per le vittime di violenza domestica e per le donne considerate "a rischio" (ex prostitute, giovani vedove e altre figure femminili rimaste prive della protezione maschile), ecc. Il secondo capitolo della tesi è dedicato invece all'impatto della Controriforma sui monasteri femminili veneziani, con particolare riguardo al fenomeno della clausura, mentre il capitolo terzo è dedicato ad una compilazione critica degli studi sin qui editi su Arcangela Tarabotti, monaca forzata e pensatrice politica veneziana di grande rilievo che è riuscita ad inquadrare i nodi problematici della questione femminile della società del tempo, individuando la causa delle monacazioni forzate in un problema anzitutto politico. Nel quarto capitolo ci rivolgiamo invece ai documenti conservati presso l'Archivio di Stato (facenti parte del fondo riguardante i processi intentati fra il XVI e il XVII secolo dai provveditori sopra i monasteri) e quello della Curia patriarcale di Venezia per analizzare, in che tipo di situazioni critiche, riguardanti episodi di infrazione alla disciplina e di violazione della clausura, i monasteri veneziani si trovarono coinvolti. Il capitolo cinque, infine, affronta la questione della coercizione2: quali erano gli agenti principali delle vocazioni forzate delle giovani patrizie veneziane? In che modo le famiglie le costringevano a scegliere la vita religiosa? Attraverso quali strumenti legali le monache potevano far ricorso, al fine di rendere reversibile la loro condizione di spose di Cristo? Nel dibattito storiografico apertosi sulla funzione sociale del monastero e sulla questione della libertà di scelta delle monache, si sono imposte due visioni molto differenti: da una parte, taluni studiosi hanno teso a mettere in luce come lo spazio del convento, per la sua segregazione dal mondo, avesse permesso alle donne di agire in relativa autonomia (si pensi, ad esempio, all'istituzione del Capitolo, in cui le monache erano chiamate a votare, molto tempo prima che ciò fosse concesso al resto delle donne di tutto il mondo) e raggiungere posizioni apicali, come nel caso delle badesse; altri studiosi hanno invece sottolineato le ombre della vita monastica, soprattutto a causa delle forti limitazioni impostesi con l'avvento del Concilio di Trento. In tale dibattito ha senz'altro giocato un ruolo fondamentale uno dei testi più importanti del femminismo del XIX secolo: A Room of one's own di Virginia Woolf (1892-1941). Molte studiose hanno, infatti, rintracciato proprio nella cella monastica quella "stanza tutte per sé" di cui Woolf aveva parlato come elemento indispensabile per le donne al fine di ritagliarsi autonomia e indipendenza. Electa Arenal ha scritto: provided women of greatly divergent personalities with a semiautonomous culture in which they could find sustenance, exert influence, and develop talents they never could have expressed as fully in the outside world. In that sense, the convent was a catalyst for autonomy3. Nel nostro lavoro tenteremo così di accostarci con onestà intellettuale alle prove documentarie, fornendo indizi di come nelle vicende che narreremo non si rintraccino né storie univoche di oppressione né casi edificanti di emancipazione. Vedremo come la clausura non sia più considerata dalla storiografia un elemento totalmente impermeabile della vita monastica: oggi, più ragionevolmente, si tende ad adottare il concetto di flessibilità anche relativamente alle forti limitazioni nella vita monastica introdotte a Trento, che non hanno del tutto spezzato i legami esistenti fra l'esterno e l'interno dei conventi4; noteremo anche come silenzio e obbedienza fossero una chimera più che una realtà all'interno dei monasteri. Rifletteremo, poi, su come il principio del praesumitur seducta fornisse uno scudo protettivo importante all'onore femminile: nonostante la morale sessuale rispetto alle donne sottolineasse costantemente la loro pericolosità per gli uomini, di fatto, il considerare l'universo femminile più influenzabile e meno padrone del proprio libero arbitrio causava anche una deresponsabilizzazione delle donne rispetto ai reati sessuali; ci chiederemo dunque se sia lecito ritenere le monache protagoniste dei documenti che utilizzeremo nel nostro lavoro, portatrici di valori diversi da quelli delle proprie famiglie. Se da una parte le donne non erano «socializzate» all'individualismo, ma esattamente contro di esso5, nel senso che erano istruite ad accettare senza possibilità di appello il proprio destino deciso dalle famiglie di origine, vedremo come nelle strategie adottate da alcune monache forzate siano rintracciabili atteggiamenti che sottendono una autocoscienza estrinsecata in comportamenti decisamente eterodossi e del tutto "individualisti". Documenteremo, infine, come le tensioni psicologiche di singole monache forzate portassero tali donne a costruirsi un'identità che di fatto aggirava, tentando di eluderli, i valori della società patriarcale.
La finalità di questo lavoro è quella di ricostruire il processo attraverso cui nella Grecia arcaica si giunse gradualmente alla tutela dei diritti del cittadino. Tale tutela fu il frutto di una graduale articolazione e definizione di un potere centrale della polis che si esplicava, come dice Aristotele, nei suoi organi deliberativi e giudiziari, il cui accesso era riservato ai soli cittadini (politai) e che si impose a discapito dell'autotutela. Il lavoro si concentra sul caso di Atene che, insieme a Sparta, è anche quello sul quale siamo meglio informati. Nello svolgersi della ricerca si è anche utilizzata documentazione proveniente da altre poleis, laddove funzionale a chiarire il caso ateniese, e laddove si sia potuta dimostrare una evidente analogia con quest'ultimo. Si è deciso, inoltre, di partire dai dati a noi noti dal mondo omerico ed esiodeo dal quale provengono le informazioni a nostra disposizione sulle fasi più antiche del problema da noi affrontato. Il lavoro si articola in tre parti all'interno delle quali si innestano a loro volta cinque capitoli. La prima parte cerca di chiarire cosa i Greci intendevano con il termine polites, partendo da Aristotele ed allargando l'indagine alle fonti a lui contemporanee in un periodo all'interno del quale abbondano le informazioni, per poi fissare in un secondo momento i punti di riferimento per poter tornare indietro nel tempo e affrontarne lo studio nella Grecia arcaica (cap. I). La seconda parte (cap. II) è dedicata al mondo omerico ed esiodeo. Che quella omerica sia una realtà prestatale che non si pone il problema della tutela dei diritti del privato (cfr. il caso di Telemaco nel II libro dell'Odissea) è stato efficacemente messo in luce (Mele). Nel nostro lavoro si osserva che in essa non si ritrovano, o si ritrovano soltanto in forma embrionale, vari elementi sui quali poggerà in età successiva lo svolgimento dell'amministrazione della giustizia che garantisce la tutela dei diritti del cittadino: non vi è ancora la coercizione a presentarsi in giudizio e le contese giudiziarie si svolgono con la presenza della folla che influenza il verdetto delle autorità. A Esiodo che ha subito un'ingiustizia non resta che appellarsi all'intervento punitivo degli dèi; analogo il caso di Telemaco che, durante la seduta assembleare da lui convocata per discutere le pressioni dei pretendenti del suo oikos, va incontro all'indifferenza del demos. Soltanto in un secondo momento questo rappresenterà un potenziale pericolo per i pretendenti, come si evince dalle parole di Antinoo il quale constata che l'atteggiamento del popolo non è più favorevole ai pretendenti (nonostante sia poi Odisseo a ripristinare il suo potere con la forza), cambiamento che si spiega tenendo conto del fatto che Telemaco è membro della casa regnante con la quale la comunità deve attentamente gestire i rapporti nel suo interesse. La terza parte si sofferma sul caso ateniese. Il VII secolo (III cap.) mostra non soltanto la nascita di un apparato legislativo più sofisticato rispetto alle themistes omerico-esiodee, ma vede anche la istituzionalizzazione di un potere giudiziario il quale acquista una maggiore indipendenza (istituzione dei Tesmoteti). Tutto ciò altro non è se non l'esito di una crescita demografica che ha avuto come conseguenza una crescita del numero dei conflitti all'interno della comunità e che ha indotto la polis a farvi fronte rendendo più sofisticato il suo apparato legislativo e giudiziario. Il VII secolo culmina con la legge di Draconte (IG I3104) che sostituisce l'autotutela insita nella vendetta privata con l'intervento della polis nei reati di sangue e che, come il lavoro ha mostrato, riflette tutta l'evoluzione politico-costituzionale dei decenni precedenti. La crescita demografica della polis genera un numero maggiore di omicidi e quindi di vendette, aumentando i conflitti all'interno della comunità e mettendone quindi a rischio la stessa esistenza. Il problema del singolo coincide sempre più con quello della comunità. Se il conflitto tra Odisseo e i pretendenti era terminato con l'intervento divino di Zeus e Atena che avevano messo pace tra i due partiti, Draconte, con la sua legge emanata all'indomani del conflitto tra Alcmeonidi e Ciloniani, segna il passaggio verso una dimensione più "laica", nella misura in cui è adesso la razionalità delle leggi della polis a risolvere il conflitto. Con Solone (cap. IV) vi sono mutamenti essenziali: non è più possibile che un cittadino sia fatto schiavo a causa dei debiti e vi sono delle leggi soloniane che tutelano tutti i cittadini indigenti liberati dal legislatore dalla schiavitù (fr. 30 G-P). Le leggi diventano adesso immutabili e l'assetto politico-costituzionale stabilito da Solone rimarrà sostanzialmente valido nel futuro, a parte, si intende, mutamenti all'interno dei vari organi destinati a sfociare nella democrazia. Ma soprattutto, vi è la ephesis eis to dikasterion che si rivela indispensabile per la sopravvivenza della polis, nella misura in cui le assicura un equilibrio, come riconoscerà lo stesso Aristotele nel IV secolo, aprendo l'amministrazione della giustizia a tutto il demos. È necessario però che il demos mostri il suo impegno politico. Se Esiodo poteva esortare Perse a non dedicarsi alla vita politica impegnando tutto il suo tempo nel lavoro, Solone, rivolgendosi a tutti gli Ateniesi, ne rimprovera la passività e ne richiama l'impegno civico. L'ultimo capitolo (V), dedicato alle varie fasi del rapporto tra aristocrazia e demos da Omero a Solone, consente di far luce sulla (ri)conquista del potere da parte delle masse con Solone. In esso è emerso quanto segue: il divario economico tra i due strati è aumentato nel corso del tempo preso in esame, cioè il VII sec., e ha avuto come conseguenza l'emanazione di leggi suntuarie volte ad impedire il collasso della comunità. Contemporaneamente (sempre nel corso del VII secolo) si riscontra un livellamento all'interno dell'esercito cittadino (non vi sono più le aristeiai omeriche, aumentano le pressioni della società sui doveri del cittadino-guerriero e aumenta pure l'esigenza di difesa del proprio podere) dovuto alla sempre crescente esigenza di difesa della polis e del suo Lebensraum civico, destinato a sfociare nella falange oplitica, impegnando sempre più il cittadino in guerra. In altre parole, all'interno dell'esercito non vi sono più quelle differenze tra gli eroi e le masse che vi erano nel mondo omerico. Gli effetti di un tale mutamento si riverberano nelle contese interne che diventano più acute nonché dannose per la comunità, attestando un ulteriore passo verso quella dimensione "laica" già intravista con Draconte. Mentre per Esiodo, e in parte anche per Omero, gli effetti dell'ingiustizia si vedono nella punizione degli dèi, per Solone essi sono i mali concreti di Atene: staseis e guerra civile. Chi subisce un'ingiustizia non si appella più agli dèi: i cittadini degli strati inferiori della società, in quanto divenuti opliti, possono dar vita a pericolose staseis. Il problema del singolo coincide ancora di più con quello della comunità nel suo complesso. Fu così che si raggiunse con Solone la tutela dei diritti del cittadino nell'Atene arcaica. Il ruolo attribuito alla evoluzione militare ateniese è contrario alla communis opinio formatasi a partire dal Frost (1984). Questa è stata messa in discussione recentemente dal van Wees e dal presente lavoro, attraverso una rivalutazione di alcune campagne militari condotte da Atene in età arcaica.
Gli eurobond non sono un tema nuovo. Sono presenti nella letteratura economica, meno in quella giuridica, da oltre trent'anni, con denominazioni che spesso mutano a seconda delle formulazioni proposte. Rientrano in quella categoria di idee che hanno valore non solo sotto il profilo della tecnica finanziaria o della finanza pubblica, ma anche perché rappresentano un primo passo verso la realizzazione di un'unione politica dell'Europa. I favorevoli vedono in questo tipo di proposte non solo una risposta alla crisi attraverso il finanziamento degli investimenti pubblici, ma anche la costruzione di una politica fiscale europea da affiancare a quella monetaria della Banca centrale europea. Gli scettici pongono, invece, l'accento sui tempi troppo lunghi che tali proposte richiederebbero per essere attuate e sul consenso non unanime che esse riscuotono da parte dei Paesi dell'Eurozona. L'introduzione degli eurobond presenta, infatti, ostacoli legali e distributivi. Quelli legali hanno a che fare, in particolare, con l'articolo 125 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che dispone il divieto di salvataggio da parte dell'Unione a favore di un Paese membro in difficoltà e, in particolare, vieta a ciascuno Stato membro di rispondere o di subentrare nei debiti di altri Stati membri (cosiddetta "clausola di no bail out"). Gli ostacoli distributivi sono legati alle modalità di partecipazione dei Paesi membri alle emissioni congiunte dei titoli del debito europeo in termini di risorse finanziarie e ai timori dei Paesi virtuosi del Nord Europa di dover fornire un contributo maggiore rispetto ai Paesi meno virtuosi del Sud Europa. La tesi affronta, innanzitutto, il tema della fragilità della costruzione europea, che dipende essenzialmente dall'aver creato – contrariamente a quanto avvenuto nella storia dei popoli – "una moneta senza Stato". Questa circostanza ha condotto, alla fine del 2009, alla crisi dell'euro e dei debiti sovrani. Per rimediare a tale fragilità istituzionale, bisognerebbe por mano a una serie di riforme come il rafforzamento del ruolo della Banca centrale europea come prestatore di ultima istanza, il completamento dell'unione bancaria, l'approfondimento dell'unione del mercato dei capitali, l'allargamento del bilancio europeo e l'accentramento delle politiche fiscali nazionali. Tra queste riforme rientra anche quella di dar vita all'emissione congiunta di debito sovrano a livello di Eurozona, o, in alternativa, a schemi che non prevedono la mutualizzazione del debito. Al riguardo, la ricerca prende in esame l'esistenza di eventuali basi giuridiche per emettere un debito federale dell'Unione europea, distinto dal debito degli Stati membri o, in alternativa, per procedere alla mutualizzazione dei debiti degli Stati membri. La tesi passa, poi, in rassegna le varie proposte avanzate in tema di eurobond, classificandole in due gruppi principali, a seconda che prevedano o meno la mutualizzazione del debito. Nell'ambito delle proposte che si basano sulla mutualizzazione del debito rientrano gli eurobond in senso stretto, gli union bond, gli stability bond, le obbligazioni blu e rosse. Tali proposte, in quanto fondate sulla mutualizzazione del debito, non sono compatibili con l'articolo 125 del TFUE e richiederebbero pertanto la sua modifica. Nel secondo gruppo di proposte – che non contemplano la mutualizzazione del debito e pertanto non richiedono la modifica del TFUE – rientrano il programma PADRE (Politically Acceptable Debt Restructuring in Europe), il Fondo di ammortamento del debito a livello europeo (European Redemption Fund), gli European Safe Bond - ESB (acronimo inglese di "Titoli europei sicuri"), i Sovereign Bond Backed Securities - SBBS (acronimo inglese di "Titoli garantiti da obbligazioni sovrane"). La ricerca esplora i possibili approcci alla prosecuzione del progetto europeo: la via della riduzione del rischio (risk-reduction), la via della condivisione del rischio (risk-sharing), la via della sintesi tra riduzione e condivisione del rischio. Quest'ultima via appare a chi scrive come l'unica politicamente percorribile. La stessa unione monetaria si è realizzata come combinazione tra i due approcci: il processo di convergenza delle finanze pubbliche (risk reduction) ha condotto alla creazione di un'unica banca centrale con il compito di mettere in atto un'unica politica monetaria e del cambio (risk sharing). Vi è però la necessità per l'Italia di fare la propria parte invertendo la traiettoria del rapporto debito-Pil attraverso un serio e rigoroso piano pluriennale di rientro dal debito (risk reduction), per acquisire, agli occhi dei principali partner europei, quella credibilità necessaria per convincerli a dar vita a un vero e proprio debito federale europeo (risk sharing). Gli eurobond non sono l'unico mezzo per raggiungere la finalità di una unificazione politica dell'Europa ma hanno il pregio di mettere insieme l'approccio funzionalista dei passi graduali con quello federalista della meta finale. Analogamente a quanto avvenuto nella storia di alcuni popoli (in particolare negli Stati Uniti d'America) in cui il processo di unificazione dei debiti ha segnato la nascita dello Stato, anche nel vecchio continente l'europeizzazione del debito degli Stati membri, al di là della valenza in termini di finanza pubblica, potrebbe assurgere a un vero e proprio atto "costitutivo" di un futuro Stato federale europeo. Sotto il profilo metodologico, la ricerca è stata condotta attraverso la strumentazione propria dell'analisi economica del diritto, nella consapevolezza che il mercato – vale a dire il meccanismo economico che orienta il comportamento di individui e gruppi – da solo non è sufficiente ma ha bisogno di regole per poter funzionare. Anzi, se ben regolato, il mercato può essere fattore di sviluppo e di benessere. Questo ragionamento vale anche per il mercato comune e per la moneta unica europea, che da soli non bastano più. Come si è tentato di mostrare in questo lavoro, anche l'Eurozona, per poter sopravvivere e progredire, ha bisogno di un adeguamento delle proprie istituzioni che passa anche attraverso l'emissione congiunta di debito sovrano. Coerentemente con tale impostazione, l'indagine cerca di avere un approccio critico al tema degli eurobond, tentando di analizzarne i singoli aspetti con indipendenza di giudizio. La stesura dei capitoli e dei singoli paragrafi è stata preceduta da un lavoro di documentazione e consultazione di testi, riviste specializzate e articoli. Le conoscenze teoriche acquisite e le idee maturate sono state verificate sul campo, grazie ad un confronto diretto con i dirigenti che, nell'ambito del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'Economia e delle Finanze, hanno la responsabilità dell'emissione e della gestione del debito pubblico italiano. Chi scrive lavora presso la direzione del Debito pubblico del Dipartimento del Tesoro; cionondimeno, le opinioni che qui esprime sono personali e non rappresentano o impegnano in alcun modo l'amministrazione di appartenenza. Alla luce delle considerazioni svolte, si ritiene che davvero gli eurobond possano spingere l'Eurozona verso una maggiore integrazione politico-istituzionale. L'analisi economica e giuridica può dare il proprio contributo alla comprensione della questione, ma la scelta dei passi da compiere in concreto spetta alle leadership politiche europee in quanto investite del consenso popolare. Il ricercatore può esporre gli effetti che derivano dall'adozione di una particolare misura o di uno specifico strumento. Oltre non può andare. ; Eurobonds are not a new topic. They have been present in the economic literature, less in the legal literature, for thirty years, with denominations which change according to the proposed formulations. They are relevant not only in terms of financial economics or public finance, but also because they represent a first step towards the realization of a political union of Europe. Those in favor look at eurobonds not only as a response to the crisis through the financing of public investments, but also as a tool to build up a European fiscal policy in addition to the monetary policy of the European Central Bank. On the contrary, the skeptics underline the fact that such proposals would require too mach time to be implemented and the fact that they have short consent in the Eurozone countries. The introduction of eurobonds presents legal and distributive barriers. The legal barriers are linked to the Article 125 of the Treaty on the Functioning of the European Union (TFEU), which provides for so-colled "no bail out clause" ("A Member State shall not be liable for or assume the commitments of central governments, regional, local or other public authorities, other bodies governed by public law, or public under¬ takings of another Member State"). The distributive obstacles, on the other hand, are linked to the way in which Member States could participate in joint issuance of European debt securities. In particular, the virtuous countries of Northern Europe are afraid that they would pay a greater share than the less virtuous countries of the Southern Europe. First of all, the thesis analyzes the fragility of the European institutions, which depends essentially on having created – contrary to what has happened in the history of peoples – "a currency without a State". In the end of 2009, this fragility led Europe to the crisis of euro and sovereign debts. To face this fragility, some institutional reforms should be carried out, such as the strengthening of the role of the European Central Bank as a lender of last resort, the completion of the banking union, the deepening of the capital market, the enlargement of the European budget and the centralization of national fiscal policies. These reformes also include the joint issuance of sovereign debts of Eurozone Member States. In this regard, the research examines the existence of possible legal bases for issuing a federal debt of the European Union, different from the debt of the Member States or, alternatively, for joint issuing the debt securities of the Member States. Secondly, the thesis examines the various proposals of eurobonds, classifying them in two main groups. The first group, based on the joint issuance of debt, includes eurobonds in the strict sense, union bonds, stability bonds, blue and red bonds. These proposals, being based on the joint issuance of debt, are contrary to Article 125 of the TFEU and therefore would require its modification. The second group of proposals – which do not contemplate the joint issuance of debt and therefore do not require the modification of the TFEU – include the PADRE program (Politically Acceptable Debt Restructuring in Europe), the European Redemption Debt Fund, the European Safe Bonds, the Sovereign Bond Backed Securities. Thirdly, the research explores the possible approaches to the continuation of the European project: the risk-reduction path, the risk-sharing path, the synthesis between risk reduction and risk sharing. This third path seems to be the only politically feasible. As we know, also the monetary union was realized as a combination of the two approaches: the process of convergence of public finances (risk reduction) led to the creation of a single central bank with the task of managing a single monetary policy (risk sharing). However, Italy has to reverse the trend of the debt-to-GDP ratio through a serious and rigorous long-term debt reduction plan (risk reduction), in order to convince the main European partners to issue European federal debt (risk sharing). Eurobonds are not the only tool to achieve the goal of a political unification of Europe but they have the merit of putting together the functionalist approach based on the gradual steps with the federalist approach based on the final goal. Similarly to what has happened in the history of some peoples, such as the United States of America, where the process of unification of debt of the single States has marked the birth of the federal State, even in Europe the consolidation of debt of the Member States might be a constitutive act of the United States of Europe. Methodologically, the research is based on the economic analysis of law. According to this view, market – the economic mechanism which guides the behavior of individuals and groups – is not enough but needs good regulation. Indeed, if it is well regulated, market may be a factor of development and welfare. This way of thinking is also valid for the European single market and for the euro, which are no longer enough. As we have tried to show in this work, also the Eurozone institutions need a deep reform – including the joint issuance of sovereign debt – for their surviving and progress. This work tries to have a critical approach to the topic of eurobonds. The theoretical knowledge and ideas have been checked thanks to a direct dialogue with managers who, within the Treasury Department of the Ministry of the Economy and Finance, are responsible for issuance and management of the Italian public debt. The author of this research works in the Public Debt Directorate at Treasury Department; nevertheless his opinions are personal and do not represent the Treasury Department. For these considerations, eurobonds might really push the Eurozone towards a greater political and institutional integration. The economic and legal analysis may give its contribution to the debate, but the actual choices are up to the European policy-makers.
L'impostazione generale della presente ricerca si sostanzia in una lenta ricostruzione del tema delle future generazione, dal loro studio prettamente teorico-filosofico alla trasposizione nel campo del diritto passando attraverso il percorso geo-politico della loro giuridificazione. Dal momento infatti in cui il termine generazione e la sua semantica rilevante sono fuoriusciti dall'indiscriminato del linguaggio ordinario per entrare nella cultura giuridica si è creato uno spazio normativo nuovo e si è dato l'avvio ad un processo che possiamo definire di Verrechtlichung. Ovvero ad una operazione normativa di "incorporazione" attraverso cui il diritto decostruisce l'originario significato di" future generazioni" per tradurlo in un lessico per sé rilevante e perciò governabile. La paradossalità però risiede nel fatto che ogni cambiamento all'interno di un sistema non si pone mai come neutro ma crea sempre problemi di compatibilità , nel nostro caso col diritto e con le classiche categorie giuridiche. Da qui la necessità : A) da un lato di seguire le tracce che il diritto ed i suoi testi hanno lentamente seminato per ricomporre una sorta di percorso geopolitico (che va dalle prime Costituzioni illuministiche ai testi legislativi più attuali, dalle Carte, Dichiarazioni, Convenzioni, Trattati ai riconoscimenti normativi delle generazioni future a diversi livelli ordinamentali ) capace di mostrare le forme, i luoghi ed i contenuti propri della giuridificazione. Attraverso una griglia cronologicamente orientata del materiale normativo Internazionale, Comunitario, Costituzionale, Statale, Infra-statuale è stato possibile allargare la nostra prospettiva oltre la direzione temporale, dentro uno spazio stratificato, pluridimensionale che il diritto, forse per primo, ha saputo racchiudere. B) di ricomporre, o almeno tentare di farlo, le discrasie esito di compiuti o mancati esercizi di compatibilità. Mi riferisco a problemi di : Definizione /identità. Le molteplici teorizzazioni dell'identità/soggettività condividono tutte l'intensione di definire quelli delle future generazioni: Diritti, senza prendere coscienza del fatto che se pure ci si riuscisse non si uscirebbe da alcune questioni paradossali -la fissazione di diritti precostituiti oggi per le generazioni di domani potrebbe risultare non utile alla realizzazione di una garanzia che varia nel tempo -la strategia rimediale potrebbe arrivare a definire ipertroficamente fattispecie giuridicamente tutelate - il legislatore sarebbe costretto a decidere in fretta su una questione che attengono invece ad un ambito più grande di quel che può regolare in un lasso di tempo relativamente breve. Azionabilità/ rappresentanza. L'azionabilità rappresenta uno dei punti più delicati del sistema del diritto applicabile alla categoria " future generazioni", che, pur definendosi diritti per via della tradizione , sono inevitabilmente senza soggetto , senza azionabilità, senza lobbies, quindi senza tutela o a tutela debole ed eventuale. Se anche paventassimo un sistema di superamento della categoria "future generazioni." dai limiti spazio-temporali e ci tirassimo quindi fuori dalla dialettica diritti doveri, ci troveremmo a dover creare un tutore, un rappresentante dei diritti/interessi futuri che alle generazioni abbiamo attribuito. Si correrebbe il pericolo che dietro la parvenza di una tutela si creino invece sistemi e finzioni marcatamente etnocentriche .Il diritto dovrebbe invece servire a lasciare alle future generazioni campi di scelte, non a scegliere in suo nome, al suo posto. L'unico vero modo per dare realmente tutela alle future generazioni è quello di lasciarle libere di auto-determinarsi. Gli ambiti che più risentono dell'intervento dell'uomo e che quindi più avrebbero bisogno di tutela sono quello :GENETICO (PROTEZIONE DELLA BIODIVERSITÀ E DEL GENOMA UMANO) AMBIENTALE (PRESERVAZIONE DEGLI ECOSISTEMI) CULTURALE (CONSERVAZIONE DELLA DIVERSITÀ DEL PATRIMONIO CULTURALE) Reciprocità -la necessaria corrispondenza tra diritti e doveri che ostacola la possibilità di includere le future generazioni nei testi di diritto cogente. -il problema della scomposizione di un meccanismo di imputazione, che ha legato nella cultura occidentale l'idea di rispondere di qualcosa solo all'idea di rispondere a qualcuno, nel senso che deve esserci sempre qualcuno a cui rispondere. Bisognerebbe cercare di sganciarsi da una dimensione giusrazionalistica di stampo negativo, puntando sui doveri dell'attuale generazione invece che sui possibili interessi/diritti di soggetti ancora non presenti1. Il sistema della politica non può non assumersi le sue responsabilità, prima fra tutte quella di darne attuazione, avviandosi all'effettività della loro tutela ,altrimenti non saremo certo in grado di lasciare aperte alle generazioni future opzioni almeno non minori di quelle che abbiamo noi oggi. Laddove la Costituzione italiana al comma 1 dell'art. 2 ribadisce il proprio fondamento nei «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Responsabilità e Giustiziabilità C) Fino a giungere ad un tentativo di costruzione di un' Etica nuova. Una volta infatti che la categoria di "Generazione futura" si è immessa nel discorso giuridico e si è mostrata cambiata, libera da chiusure spazio temporali, ha mostrato la sua indipendenza rispetto al tempo. Mi riferisco alla impossibilità di parlare di giustizia dentro una generazione senza doversi necessariamente riferirsi alle generazioni. La questione inter-generazionale3 diviene questione intertemporale di equità.4 Un nuovo imperativo etico, distante da quello kantiano diretto all'individuo nella dimensione presente del suo agire, che evoca una coerenza di tipo metafisico e non logico, non dell'atto in se, ma dei suoi "effetti ultimi con la continuità dell'attività umana nell'avvenire": agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di un'autentica vita umana sulla terra. Tutto ci riporta infatti alla costruzione di uno spazio di libertà consentita in presenza di altri, ad una dimensione universalizzante. Tale luogo, in cui tutte le generazioni convivono senza delimitazioni spazio temporali e che attiene alla radice più profonda dell'appartenere all'umanità, si è cercato di ricostruire e ricomporre nel lungo lavoro qui riportato. Esso rappresenta da un lato uno spazio inedito, in cui la giustizia è declinabile solo nella sua dimensione di inclusività, dall'altro la cornice di riferimento dentro cui si è delineato il problema della teoria normativa delle generazioni future. Nel difficile rapporto tra giustizia, etica e diritto si è assistito a momenti di compatibilità, di corretta traduzione tra un sistema e l'altro. Ma più spesso paradossi linguistici ed ambivalenze ermeneutiche non sono stati del tutto risolvibili. Uno tra tutti il fatto che a parlare in nome delle future generazioni e a rappresentarle è comunque il presente. Per quanto la cognizione della capacità di influire sul futuro sia effettiva, ogni scelta del presente nasconde una quota inevitabile di etnocentrismo e quindi corre il rischio di rappresentare la vita di altri sulla base di parametri proprio- così come - di destinare agli altri modelli propri5. Il conseguente paradosso teorico, che lo studio delle generazioni ha prodotto, è stato quello di aver voluto ricostruire la teoria normativa delle generazioni future sulla falsa riga di quella dei soggetti presenti, prestando così il fianco alle critiche di quella parte della dottrina che nega la possibilità dell'esistenza ora di diritti per le future generazioni. Partendo infatti dalla premessa che per poter ascrivere ad un individuo un diritto è necessario che esso esista e sia in grado di far valere una tale pretesa, le persone esistenti oggi, non solo non avrebbero obblighi giuridici, ma neanche sarebbero gravate da obblighi morali. Ma il diritto stesso spesso trova il modo di aggirare limitazioni categoriali e definitorie. In realtà la dimensione della giustizia formale per prima si è resa conto che per essere garantita essa si sarebbe dovuta ridescrivere attraverso il concetto di intertemporalità. Come ci ricorda Rawls infatti per riuscire a perseguire i principi di giustizia " non c'è concesso trattare le generazioni in modo differente solo per il motivo che vengano prima o dopo nel tempo6". E questo perché una società ben ordinata , uno Stato che voglia perseguire regole efficaci e giuste, dovrà organizzarsi come sfera pubblica in cui l' "equo sistema di cooperazione sociale si estenda nel tempo da una generazione alla successiva.7 La sfida che questo lavoro ha accettato senza indugio è stata quella di indagare il non semanticamente accertato, il limite estremo tra giustizia e diritto come tra teoria e prassi , tra dimensioni descrittive e prescrittive come tra cognitivo e normativo. Il problema della non completa compatibilità della questione generazionale con le categorie esistenti è stato supplito attraverso ricerche di modelli e tecniche decisionali capaci di regolare l'agire collettivo e di disporre i presupposti per scelte il più possibile eque. "Questi termini equi, che sono tali in quanto specificano i diritti e i doveri fondamentali, modellano quella forma di cooperazione che è la struttura di base della società nelle sue istituzioni principali, quali la costituzione, il regime economico, l'ordinamento giuridico. Tutto ciò si configura come un sistema unico di cooperazione8". Insieme ad una diversa concezione dalla società, più attenta ai bisogni dell'umanità tutta scorre un sotterraneo eppur necessario discorso metagiuridico capace di trasformare l'essere umano in uomo che possiede umanità. D) Di cercare di costruire teoricamente una vera e propria Teoria delle future generazioni , del loro tempo stratificato ed intertemporale e del loro lessico rilevante. I soggetti nella loro "originaria" co- appartenenza ( dentro lo spazio comune dell'umanità)realizzano contemporaneamente un "compimento" delle e nelle relazioni fattuali ed una "destinazione" delle e nelle relazioni potenziali. Questo perché la destinazione non è metafisicamente prestabilita, è in divenire, è il vivere una vita orientata al futuro del suo destino che ci accomuna. . I soggetti che condividono un arco temporale, una generazione, e che non sembrano possedere nessuna convergenza di vita o valori, innegabilmente non possono non convenire sul fatto di essere obbligati a con-vivere. La condizione di fatto del convivere di generazioni o di uomini diversi dentro una generazione deve necessariamente dar luogo a forme nuove di coesistenza, non basate sulla ricerca di una comune fondazione o di una comune origine, quanto su un comune destino. Come dire, non rivolgendo lo sguardo indietro alla ricerca di un comune passato10, ma avanti. Il futuro, il destino, la progettazione dell'essere è ciò che nella più diversa possibilità di esito ci accomuna. Heidegger11 ci ricorda infatti che la Storia costituita dal destino " non ha il suo centro di gravità ne' nel passato, ne' nel presente, e nella sua connessione col passato, ma nell'accadere autentico dell'esistenza quale scaturisce dall'avvenire dell'esserci. La storia. getta le sue radici nel futuro[…]" A dare speranza che le questioni etiche e quelle giuridiche, in continua ed evolutiva inferenza tra loro, possano finalmente parlare un linguaggio comune sarà proprio la responsabilità, ovvero la possibilità di rispondere ad un dialogo che accomuna "coloro che non hanno comunità". Coloro che cioè non condividono aspetti esclusivi, ma che si appellano a ciò che si ha in comune: il senso di umanità che la giustizia, fosse anche solo formale, potrà tradurre in agire pratico.
La suddetta tesi si è concentrata sulla condizione delle donne, con uno sguardo particolare alle scrittrici che hanno vissuto sotto regimi totalitari: quello di Ceauşescu in Romania e quello fascista in Italia. Nel primo capitolo, prima di concentrarsi sull'aspetto letterario della questione, è stato ritenuto necessario soffermarsi sulle vicende storiche che hanno portato al regime dittatoriale di Nicolae Ceauşescu, partendo dalla Prima Guerra Mondiale, fino ad arrivare agli anni dell'ascesa del leader e alla sua caduta. Particolare attenzione è stata prestata alla riforma demografica realizzata nel 1966 che prende il nome di decreto 770. Con questo decreto Ceauşescu, per risanare il brusco calo della popolazione che si era verificato in Romania all'inizio del decennio, decise di abolire l'aborto e ogni forma di contraccezione, affermando che il feto fosse proprietà dello Stato stesso. Le donne iniziarono a essere sottoposte a una costante vigilanza da parte della suddetta "polizia mestruale", agenti governativi con formazione sanitaria che obbligavano le donne a periodiche visite ginecologiche. Chiunque venisse scoperta a trasgredire poteva essere denunciata e finire in prigione. Tutto questo portò alla formazione di orfanotrofi statali in cui vennero ammassati più di 170.000 bambini, a causa delle condizioni di estrema povertà delle famiglie, troppo povere per poter sfamare molte bocche. Ai numerosi abbandoni si affiancarono moltissimi aborti clandestini, che ebbero come conseguenza un tasso elevato di decessi delle madri che si opponevano alle regole di regime, lottando per la propria libertà e indipendenza. I successivi capitoli, invece, sono entrambi incentrati sulla questione letteraria. Il tema principale annunciato, la condizione della donna sia da un punto di vista personale che intellettuale, sarà analizzato nelle opere di tre poetesse vissute sotto il regime dittatoriale, per cui è stato necessario fare delle considerazioni sulla censura di quegli anni. Nella Romania di Ceauşescu "la resistenza attraverso la cultura" fu possibile solamente da parte di alcuni gruppi di intellettuali o da parte di singoli autori, perché l'opposizione è stata esigua. La causa di ciò è attribuibile al ruolo che la censura ha avuto dal 1949 fino al 1989. La censura, infatti, ebbe un ruolo dominante sia nell'ambito dell'informazione che delle pubblicazioni, utilizzata la maggior parte delle volte come propaganda politica, ma, nonostante questo, ci furono due gruppi che si opposero al leader e alle sue regole: la Generazione '60 e la Generazione '80. La maggior rappresentante della Generazione '60 è stata Ana Blandiana, autrice che si contraddistingue per l'atteggiamento sia etico che politico della propria scrittura. Attraverso componimenti quali La crociata dei bambini è possibile percepire tutta la rabbia e l'insofferenza delle donne romene verso un regime che, al posto di tutelarle, le condannava e privava della propria libertà. Una poesia molto breve ma nella quale il messaggio di rivalsa è molto forte da arrivare immediatamente al lettore e colpirlo dritto al cuore. La nascita, evento desiderato e felice, si trasforma durante il regime dittatoriale in una vera e propria condanna, portando a gravi conseguenze, sia fisiche che psicologiche. Le stesse tematiche si ritrovano in Mariana Marin, una delle poetesse più intransigenti che ha rappresentato appieno la Generazione '80. Nel poema La casa della morte, così come aveva fatto anche Ana Blandiana, affronta le problematiche vissute dalle donne sotto la dittatura di Ceauşescu in seguito all'emanazione del decreto 770. Un poema molto breve ma estremamente toccante e immediato, in cui Mariana Marin riesce a fornire al lettore una chiara immagine di quella che era la condizione delle donne sotto il regime di Ceauşescu, definendo appunto il ventre della donna "casa della morte" e riducendo la nascita ad un atto controllato e privo di amore. Ultima autrice affrontata in questa sede è Herta Müller, ricordata principalmente grazie alla tecnica del collage, da lei utilizzata in molte sue opere. Il collage consiste nell' unire elementi della vita anche molto distanti fra di loro, facendoli comunicare, partendo così dalle cose più semplici e insignificanti fino ad arrivare a una vera e propria critica verso l'esterno. La Müller gioca con le parole, attraverso le quali critica il regime dittatoriale di Ceauşescu, proiettando sulla pagina l'interiorità spezzata dal trauma con appunto cocci di parole, che possono essere messi insieme, ma di cui i segni della rottura non possono essere eliminati. Dopo la caduta del regime il tema viene trattato da un autore romeno contemporaneo che si è molto impegnato per far conoscere all'Occidente le vicissitudini accadute nella Romania totalitaria: Radu Pavel Gheo, del quale sono state analizzate come opere il romanzo Buona notte, bambini! e la raccolta di testimonianze di donne scrittrici curata insieme a Dan Lungu Compagne di viaggio. Racconti di donne ai tempi del comunismo. Buona notte, bambini! è la storia di quattro amici, Cristina, Paul, Marius e Leopold, durante gli anni della dittatura di Ceauşescu. La trama è coinvolgente e si sviluppa intorno a due linee, sia cronologica che geografica, distinte: la Romania di Ceauşescu tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta e gli Stati Uniti del 2000. Il racconto, oltre che essere un romanzo di formazione che narra la crescita dei singoli personaggi e le loro avventure, diventa un'occasione per l'autore di tracciare in modo chiaro e ben definito quelli che erano i disagi e le difficoltà di chi viveva in Romania ai tempi di Ceauşescu. L'episodio centrale e significativo per il racconto è il tentativo di fuga dalla Romania da parte di tre dei quattro amici: Cristina, Marius e Leopold, durante il quale verranno scoperti e Cristina subirà una serie di abusi da parte delle guardie della frontiera. La vicenda colpirà la giovane donna a tal punto da segnarla a vita e da perseguitarla sempre come uno spettro del quale non riuscirà più a liberarsi, neppure quando arriverà in America con Leopold e tenterà di sfondare nel mondo del cinema. A seguito di quella vicenda l'infanzia di Cristina terminerà, ma anche ogni prospettiva futura diventerà vana, quasi come se quell'esperienza l'avesse marchiata a vita, impedendole di andare avanti e permettendo alle persone a lei vicine di sfruttarla e di abusare di lei. In Compagne di viaggio, invece, per la prima volta la parola viene data a un gruppo di sedici scrittrici romene vissute sotto gli anni della dittatura di Ceauşescu. Ad esse Lungu e R. P. Gheo non forniscono linee guida o regole da seguire, ma semplicemente chiedono di raccontare, a loro piacimento e come meglio credono, quella che è stata la loro esperienza e come hanno vissuto quegli anni bui. Il lettore rimane stupito ed esterrefatto nell'apprendere che cosa le donne abbiano dovuto subire e a quante libertà abbiano dovuto rinunciare in seguito all'emanazione del decreto 770, principalmente grazie alla naturalezza e la spontaneità con cui le scrittrici raccontano le proprie esperienze autobiografiche. A delle tematiche così delicate e profonde si affianca uno stile semplice e chiaro, a tratti anche banale, che richiama la struttura del diario personale, ma che, proprio per questo, permette alle vicende narrate di arrivare dritte al cuore del lettore, catturandolo dalle prime pagine e tenendolo incollato alla pagina per tutta la durata della raccolta. L'ultimo capitolo è dedicato a una scrittrice italiana, Goliarda Sapienza e alla sua opera L'arte della gioia. L'arte della gioia si presenta fin da subito estremamente interessante a causa della propria storia editoriale: Goliarda Sapienza, infatti, non ha potuto vedere l'opera alla quale teneva tanto pubblicata per intero poiché giudicata dalla critica troppo sperimentale e immorale così da non meritare la completa pubblicazione. Nel 1994, infatti, vennero pubblicati solamente 39 dei 95 capitoli totali e nel 1998 verranno divulgati solamente pochi esemplari postumi in versione integrale. Sarà grazie ad Angelo Pellegrino, figura che ha assistito alla realizzazione del romanzo, che il grande pubblico ha potuto finalmente conoscere L'arta della gioia e la sua protagonista, Modesta. Così come Cristina anche Modesta subisce da bambina un abuso, ma tra le due c'è una grande differenza: se Cristina non riesce a risollevarsi da quella nefasta esperienza e si arrende al proprio destino, per Modesta non è proprio così. Modesta si fa forza e comprende che l'unico modo per sopravvivere alla vita è essere più furba degli altri, capendo fin da subito che cosa sia importante e anticipando il prossimo attraverso una serie di intrighi. Tutte queste donne, sebbene siano vissute in epoche storiche diverse, hanno dimostrato come niente sia più importante della libertà, sia personale che artistica, di come ognuno di noi debba conoscere la Storia e il proprio passato, per fare in modo che abusi e ingiustizie di qualunque tipo non debbano mai accadere e ancor meno ripetersi.
La ricerca analizza, attraverso strumenti modellistici innovativi, la soddisfazione lavorativa espressa da un campione di occupati italiani, confrontando i profili di risposta dei laureati pre riforma e di quelli post riforma. Il caso di studio si basa su un data frame costruito a partire da dati forniti dal Consorzio AlmaLaurea e finora mai impiegati a tale scopo. In particolare, i dati qui utilizzati riguardano due edizioni dell'Indagine annuale sulla Condizione Occupazionale dei Laureati di AlmaLaurea sugli occupati a cinque anni dal conseguimento del titolo, provenienti dal "vecchio ordinamento" (laureati nel 2005 e intervistati nel 2010) e dal "nuovo ordinamento", specialistici e a ciclo unico (laureati nel 2007 e intervistati nel 2012). Obiettivo di questo lavoro è lo studio della job satisfaction, e delle sue principali componenti, nella loro connessione con le caratteristiche socio-economiche ed ambientali del lavoratore laureato. Lo studio ha preso avvio dall'analisi della letteratura, con l'approfondimento del quadro teorico di riferimento e delle problematiche definitorie, tenendo in considerazione anche i principali indici di job satisfaction esistenti. È emerso come il tema del benessere dei lavoratori abbia assunto nuovamente rilevanza sostanziale nell'attuale panorama degli studi sociali. Dopo una stagione di interesse intermittente, in special modo nel nostro Paese, si è riaccesa difatti l'attenzione sulla condizione, e parallelamente, sulle percezioni e le attese dei lavoratori, anche attraverso le indagini sul raccordo tra sistema educativo ed universitario e mercato del lavoro. Tale interesse muove dalla natura essenziale che la dimensione lavorativa riveste nel legame tra il singolo e l'ambiente in cui si esprime, in special modo relativamente agli aspetti "progettuali" dell'esistenza: dalla eventuale decisione di trasferirsi altrove alle scelte di costruzione familiare, dalle condizioni abitative alle caratteristiche delle forme associative, dalle opportunità di formazione/specializzazione ai profili di consumo, etc. La soddisfazione sul lavoro viene interpretata sia come indicatore di qualità del lavoro che come forte "predittore" del benessere globale dell'individuo. Da taluni autori è considerata una variabile attitudinale, utilizzata in connessione o in aggiunta alle covariate economiche, come reddito e possibilità di spesa. Questo quadro postula che essa dipenda dall'equilibrio tra input (come il grado di istruzione raggiunto, l'orario di lavoro, lo sforzo/fatica che si deve compiere) e output (intesi come salari, fringe benefits, status e immagine esteriore, aggiunti ad altri aspetti derivanti dal lavoro che si svolge). Sebbene l'argomento sia divenuto terreno comune di approfondimento di studiosi di diversa provenienza (in special modo, economisti e psicologi dell'organizzazione) ma anche di esponenti della sfera decisionale e politica, la materia non ha ancora trovato, per quanto riguarda soprattutto il nostro Paese, adeguato spazio nella letteratura sociologica. Nelle Scienze Sociali in generale, e in special modo nelle prospettive analitiche di tipo quantitativo, il problema della misurazione delle dimensioni di interesse riveste un ruolo centrale. Nell'ambito di ricerca approfondito in questo studio, si sono affrontate problematiche non trascurabili tanto relativamente all'impostazione teorica dei modelli di analisi, quanto alla successiva rilevazione e misurazione delle dimensioni che si è scelto di rilevare. Sui temi di nostro interesse, la discussione sulla riforma della scuola e dell'università, assieme a quella sul fabbisogno di laureati nel nostro Paese, ha recentemente approfondito l'analisi del disallineamento tra domanda e offerta di capitale umano, tratto solo per taluni fisiologico della dialettica tra sistemi educativi e mercato del lavoro. Si è ritenuto pertanto che l'analisi delle determinanti della soddisfazione lavorativa dei laureati potesse fornire utili indicazioni nel disegno degli interventi diretti tanto al mercato del lavoro che ai settori dell'istruzione e della formazione professionale, dell'università e dell'alta formazione, in un contesto, come quello italiano, attraversato da profonde e recenti trasformazioni e territorialmente assai eterogeneo. In questo quadro teorico, il lavoro di ricerca mira a specificare un prototipo originale per lo studio della valutazione della job satisfaction e l'ipotesi che si intende sottoporre a controllo è che l'applicazione della riforma dell'offerta formativa universitaria italiana abbia influenzato i livelli generali di job satisfaction, tenuti fermi taluni parametri da cui non si può prescindere per l'analisi della soddisfazione lavorativa "in tempi di crisi". Obiettivo specifico di questa ricerca è perciò approfondire, con strumenti innovativi, le determinanti della job satisfaction dei laureati italiani che, a nostro avviso, possono fornire utili indicazioni nel disegno degli interventi diretti tanto al mercato del lavoro che ai settori dell'istruzione e della formazione professionale, dell'università e dell'alta formazione, in un contesto, come quello italiano, attraversato da profonde e recenti trasformazioni e territorialmente assai eterogeneo. L'analisi è stata sviluppata attraverso i due ampi data-set di proprietà del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea che consistono, dopo un accurato screening preliminare, in 17.387 soggetti e 55 variabili per i laureati pre riforma (rilevazione 2010) ed in 25.523 soggetti e 116 variabili per i laureati post riforma (rilevazione 2012). Sono stati uniformati i campi di variazione di alcune variabili e si è scelto di lavorare su 36 variabili comuni ad entrambe le edizioni. Agli intervistati è stato chiesto di esprimere la propria percezione soggettiva rispetto all'attività svolta su una scala ordinale da 1 a 10 (modificata opportunamente per le elaborazioni modellistiche, al fine di minimizzare il problema dello scale usage heterogeneity). Ai rispondenti , in particolare, è stato sottoposto un quesito relativo alla valutazione sintetica del livello di soddisfazione globale percepito e 14 items specifici: Stabilità, Sicurezza del lavoro; Coerenza con gli studi fatti; Acquisizione di professionalità; Prestigio; Rispondenza agli interessi culturali; Utilità sociale del lavoro svolto; Indipendenza o autonomia del lavoro; Coinvolgimento nei processi decisionali; Flessibilità dell'orario e dei temi di lavoro; Tempo libero; Luogo di lavoro; Rapporti con i colleghi sul luogo di lavoro; Prospettive future di guadagno; Prospettive future di carriera. I risultati vengono illustrati per sottogruppi, distinti per: genere, gruppo disciplinare di laurea (secondo le definizioni ISTAT), area geografica di provenienza e di residenza lavorativa, settore economico di attività, stato giuridico e tipologia contrattuale, effetto del reddito, background familiare, voto finale, età e tempo di permanenza all'università oltre la durata legale, etc. Dalle analisi esplorative è emerso come la soddisfazione globale sia piuttosto elevata, per entrambe le edizioni dell'indagine, in coerenza con la letteratura internazionale in materia: il solo fatto di avere comunque un'occupazione, in special modo "in tempo di crisi" e in un contesto di sofferenza generalizzata, potrebbe spiegare livelli di soddisfazione comunque più elevati di quanto ci si aspetterebbe (Gallie, 2013, tra gli altri). Sul piano metodologico, considerata la natura di variabile latente, composita e multidimensionale della job satisfaction, si è scelto di utilizzare opportuni modelli per l'analisi dei dati ordinali. In alternativa ai classici Logit e Probit, questa ricerca utilizza uno strumento inferenziale innovativo che appartiene alla famiglia dei modelli statistici mistura noti come CUB Models, la cui principale caratteristica, dal punto di vista interpretativo, è la possibilità di esplicitare il contributo delle componenti latenti che determinano la risposta assieme ad una efficace visualizzazione grafica. In sintesi, le analisi svolte confermano come la job satisfaction, intesa come predittore del benessere degli individui, rappresenti una variabile "complessa", dipendente da diverse componenti, originate, oltre che dall'attitudine individuale, dall'esperienza universitaria, dal settore di occupazione e dal contesto di provenienza del rispondente. Il nostro studio rimarca il ruolo delle caratteristiche individuali nello spiegare la maggiore o minore soddisfazione. Degni di nota sono i contributi delle covariate età, gruppo disciplinare di appartenenza, titolo di studio dei genitori. L'evidenza empirica del complesso dei dati utilizzati e l'analisi degli ipotetici profili di risposta mostrano, rispetto all'età, risultati coerenti con la classica relazione tra età e life satisfaction, o well-being più in generale, come tipicamente dimostrato dalla happiness/treadmill economics. Già poco dopo i 30 anni, piuttosto invariabilmente, i rispondenti mostrano un decremento della soddisfazione espressa, rispetto agli appartenenti alle classi di età immediatamente precedenti. Sono comunque le classi di età impegnate nella costruzione della propria vita, non solo lavorativa, a mostrare un andamento di questo tipo, certamente influenzato altresì dalle condizioni di precarietà e di difficile matching tra competenze acquisite e condizioni occupazionali effettivamente sperimentate. Una caratteristica peculiare dei "nuovi" laureati è il maggior livello di soddisfazione espresso rispetto alla coerenza tra i contenuti acquisiti nel corso degli studi e l'occupazione svolta, a segnalare una maggiore specializzazione delle lauree di nuovo ordinamento. Rilevante, a livello generale, appare il ruolo "mancato" del reddito nell'influenzare la probabilità di risposta. Contro le attese, gli aspetti retributivi non paiono esercitare un effetto notevole nell'espressione della job satisfaction. In particolare, le differenze di reddito non sembrano apparire rilevanti nel confronto di nostro interesse tra le due edizioni dell'Indagine AlmaLaurea. Ancora una volta emerge che entrare nel mercato del lavoro durante una crisi di dimensioni globali fa sì che i laureati siano "più felici" in tutti i casi e indipendentemente dal loro reddito, per il solo fatto di avere una occupazione: una percezione "affettiva" che conduce all'incremento della soddisfazione espressa rispetto al lavoro svolto. Sebbene la ricerca sulle attitudini lavorative e sulla qualità delle occupazioni si sia lungamente focalizzata sugli aspetti estrinseci del lavoro, ci sembra probabile che sia il confronto "situazionale" a determinare la soddisfazione espressa. È la comparazione con i risultati del gruppo dei pari, in special modo rispetto alla realizzazione o meno delle aspettative maturate, a spiegare una maggiore o minore job satisfaction. Nelle Scienze Sociali in generale, e in special modo nelle prospettive analitiche di tipo quantitativo, il problema della misurazione delle dimensioni di interesse riveste un ruolo centrale. Nell'ambito di ricerca approfondito in questo studio si sono affrontate problematiche non trascurabili tanto rispetto all'impostazione teorica dei modelli di analisi, quanto alla successiva rilevazione e misurazione delle dimensioni che si è scelto di indagare. La struttura formale delle elaborazioni analitiche qui presentate e, in particolare, il modello omnibus proposto in questo contesto, dimostrano di essere uno strumento flessibile e "sintetico". Attraverso un'unica formulazione parametrica, è possibile infatti estrarre molteplici informazioni rispetto alle attitudini dei rispondenti nei confronti degli items relativi alla job satisfaction. Da un punto di vista applicativo, tali informazioni possono essere desunte dalla struttura delle distribuzioni di probabilità di risposta e, in particolare, dalla loro posizione, asimmetria e concentrazione in talune modalità. Tale malleabilità, assieme alla parsimonia dei parametri stimati, rappresenta un valore aggiunto ottenuto nella cornice teorica della modellistica prescelta.
Cap I: Questo capitolo mira a stabilire un punto di partenza per quanto riguarda questa tesi, ricostruendo una definizione ampiamente accettata dalla comunità internazionale su ciò che si deve intendere come concetto di vittime di crimini atroci, concetto sviluppato e perfezionato dal diritto internazionale pubblico, in particolare i contributi a tale concetto proverranno dal diritto internazionale dei diritti umani e dal diritto penale internazionale, inoltre si analizzerà ciascuno degli obiettivi dei modelli di giustizia restaurativa e la di giustizia retributiva per le vittime, dimostrando che esiste un punto di convergenza o di visione eclettica tra i due modelli nel diritto penale internazionale a favore delle vittime di crimini atroci. In questo capitolo si pretende introdurre un concetto simile a quello riconosciuto a livello internazionale come la carta dei diritti umani, in questo caso si introdurrà il concetto di Carta Internazionale dei diritti delle Vittime di crimini atroci, carta fondamentale composta da quattro documenti essenziali e la riunione degli stessi sarà la loro carta dei loro diritti, nel senso di fornire la protezione, difesa e riconoscimento dei loro diritti come Lex specialis, termine utilizzato non per privilegiare l'applicazione di una norma, ma per la costruzione di un corpo legale attraverso l'unione di vari pezzi che contiene disposizioni specifiche e generali, che di per sé non corrispondono ad una posizione cronologica, allo stesso modo, questa Carta delle Vittime si vedrà arricchita dal retaggio di due tradizioni giuridiche del common law e del civile law che hanno inciso nei tribunali internazionali penali e/o dei diritti umani, che rendono effettiva la protezione delle vittime . È allora che si tratterà: In primo luogo, sugli apporti che realizzano i Principi fondamentali di giustizia per le vittime di reati e dell'abuso di potere. In secondo luogo, si approfondirà sui contributi dei principi e delle linee guida sul diritto delle vittime di violazioni manifeste delle norme internazionali dei Cap I diritti umani e di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario a interporre ricorsi e ottenere riparazioni, si farà riferimento agli strumenti e alla giurisprudenza del Sistema Universale Dei Diritti Umani, il Sistema regionale Interamericano Dei Diritti Umani, il Sistema Regionale Europeo Dei Diritti Umani e il Sistema Regionale Africano Dei Diritti Umani. In modo uguale si tratterà di garantire in ogni momento alle vittime il diritto di ottenere un risarcimento per le violazioni verificatesi ai loro diritti internazionalmente riconosciuti o per le violazioni del diritto internazionale umanitario. In terzo luogo, si analizzeranno i contributi apportati dai Principi contro l'impunità, in particolare i principi del diritto di sapere, del diritto alla giustizia e del diritto alla riparazione. Quarto luogo: Si descriveranno le caratteristiche generali del riconoscimento dei diritti delle vittime nel Sistema della Corte Penale Internazionale. ; cap II: Questo capitolo analizzerà i principi generali che regolano il processo penale internazionale, in particolare quelli a favore delle vittime e degli imputati coinvolti nel processo. Questi principi saranno definiti e spiegati sulla base della giurisprudenza internazionale dei diritti umani, del diritto penale internazionale e della dottrina internazionale. Di conseguenza, saranno trattati come principi per le vittime; l'accesso alla giustizia che tratta il ricorso effettivo contro i gravi crimini perpetrati, che comprendono: il diritto di accedere a un rimedio adeguato e idoneo, il diritto a un ricorso effettivo e il diritto a un ricorso opportuno. Il principio della quarta istanza a favore delle vittime, in particolare l'esame del diritto penale internazionale sulla cosa giudicata fraudolenta l principio dell'adozione di misure di protezione a favore delle vittime di crimini atroci: il principio delle Norme imperative di diritto internazionale generale, jus cogens ed i principi secondo i quali l'imputato deve essere presente nel processo. Allo stesso modo, per sviluppare il processo e come garanzia per gli indagati e imputati e talvolta della vittima, si svilupperanno i principi di: la presunzione di innocenza; il principio di indipendenza e di imparzialità dei giudici; il principio della parità e della ragionevolezza della durata del procedimento; l'uguaglianza delle parti; la pubblicità del procedimento; accesso obbligatorio all' informazione, la confidenzialità e la riservatezza; la durata ragionevole del procedimento e il principio della doppia istanza. ; Cap III: Una volta definiti i diritti delle vittime, Carta Internazionale dei diritti delle Vittime di crimini atroci, questo capitolo mira a descrivere le fasi proprie del processo dinanzi alla Corte Internazionale Penale quale massimo esponente del diritto penale internazionale; per questo, la procedura sarà spiegata in modo dettagliato e illustrativo, facendo riferimento alle norme pertinenti degli Statuti e delle regole di procedimento e prova dell'TPIY, dell'TPIR e della Corte Internazionale Penale CPI, nonché alla prassi giuridica dei tribunali penali ad hoc, così come all'influenza degli strumenti e della giurisprudenza dei Tribunali penali internazionali di diritti umani. Pertanto, descriverà il modo di attivazione della Corte da parte di: Gli Stati, il Consiglio di sicurezza, la Procura della CPI, introducendo la partecipazione delle vittime alla trasmissione di informazioni sui reati atroci alla Procura della CPI; così come sitratterà dell'accesso e capacità di azione delle vittime, il diritto di partecipazione al diritto penale internazionale, in particolare dinanzi alla Corte Internazionale Penale, nonché i diritti riconosciuti dallo Statuto di Roma agli indagati e che si trovano in un processo internazionale penale in confronto con gli strumenti relativi ai diritti umani. Dopo di ciò si procederà ad affrontare le varie fasi del processo avviato dalla Corte Internazionale Penale, vale a dire la fase di apertura dell'inchiesta da parte del Procuratore, il principio di complementarità e il test di ammissibilità, le condizioni per l'avvio delle indagini, Lo svolgimento delle indagini e delle indagini da parte del Procuratore della CPI, comprese: la cooperazione giudiziaria degli Stati, la procedura di arresto in attesa di processo, La presentazione dell'atto d'accusa e delle accuse, la procedura preliminare all'udienza. A sua volta si tratterà tutto ciò che riguarda il Processo, vale a dire la presentazione del caso, le norme sulle prove, la delibera, la determinazione della pena, e la procedura di appello o la revisione del processo. Inoltre, questo capitolo mirerà a definire e descrivere le modalità di partecipazione delle vittime all'intero procedimento dinanzi alla Corte Internazionale Penale. Le Corti Internazionali Penali sono state istituite in diversi contesti per indagare e punire crimini gravi; tuttavia, né il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, né il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Iugoslavia e attualmente il Tribunale Penale Internazionale, non sono dotati di forze di polizia che possa operare liberamente nel territorio degli Stati interessati, motivo per cui gli agenti internazionali sono spesso costretti a intervenire per impedire che gli stessi funzionari siano ostacolati, sia per la loro incapacità che per la loro riluttanza, da certe violazioni. Non essendo dotate di un'autorità di polizia, accade spesso che la loro vera funzione sia relegata dagli Stati e non vi sia più azione. È per questo che la sfida particolare nei confronti degli Stati che esplicitamente o tacitamente sono riluttanti a tali ricerche, è quello di trovare la combinazione tra coercizione legale ed estendere un qualche tipo di azione che permetta un'indagine adeguata. Occorre sottolineare che molti degli sviluppi giurisprudenziali e statutari derivanti dall'esperienza dei tribunali per l'ex Iugoslavia e il Ruanda sono stati inseriti nello Statuto e nelle regole della Corte Internazionale Penale. Nella pratica, tuttavia, esistono differenze importanti che spesso riflettono i diversi contesti di ciascuna situazione. È importante notare che l'innovazione apportata dallo Statuto che è rilevante per le vittime può essere analizzata su tre aspetti specifici: 1. La Protezione, che è stata trattata nel capitolo precedente, 2. La Partecipazione, che sarà trattata nel presente capitolo, e 3. La riparazione o Risarcimento che sarà trattata nel capitolo III. D'altro canto, nonostante il fatto che, in questo secolo, il movimento per i diritti umani abbia significato per molte persone una lotta contro l'impunità, è stato anche espresso in modo contraddittorio, poiché, mentre ha rafforzato la responsabilità penale di coloro che li hanno violati, ha significato anche l'emanazione di molte leggi di amnistia opposte che potrebbero ostacolare tale responsabilità . In relazione alla conclusione del capitolo sui rimedi efficaci, numerose organizzazioni per i diritti umani e autorità giudiziarie sono giunte alla conclusione che gli Stati sono responsabili di indagare, perseguire e punire penalmente le persone che commettono crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio, nell'ambito delle molteplici violazioni dei diritti umani che possono verificarsi. Di conseguenza, il fatto che uno Stato venga meno ai propri doveri implica una violazione del diritto internazionale dei Diritti Umani. Inoltre, questo movimento ha portato come conseguenza l'aumento della lotta contro l'impunità, in quanto la responsabilità è considerata una caratteristica importante nella risoluzione dei conflitti ; Cap IV: Questo capitolo svilupperà il diritto internazionalmente riconosciuto al risarcimento e le forme di risarcimento previste dal diritto penale internazionale a favore delle vittime di crimini atroci su base individuale e collettivamente, spiegando a tal fine che per risarcimento si deve intendere la giurisprudenza e i principi elaborati dalla Corte penale internazionale e da altri organismi che hanno affrontato questo concetto. A sua volta si spiegherà il fondo fiduciario a favore delle vittime, modello sussidiario al risarcimento diretto che si decreta contro l'autore di crimini atroci, ma che segna una pietra miliare nel diritto penale internazionale moderno e dimostra con la sua adozione una posizione di Stati di compassione e di solidarietà verso le persone che hanno sofferto sofferenze indicibili. Nel corso di questo capitolo si farà inoltre riferimento alle sentenze della Corte penale internazionale e al modo in cui si sono svolte le varie riparazioni ordinate a favore delle vittime. ; Cap V: Dopo aver spiegato come per il diritto internazionale, le vittime possono contare su diritti unici e obblighi a carico degli Stati e dei Tribunali Internacionali dei Deritti Umani e Penali Internacionali, Carte Fondamentali delle Vittime; che esistono principi che guidano i procedimenti nel diritto penale internazionale e che, in particolare ce ne sono di fondamentali per le vittime, le persone indagate e / o accusate e in generale per garantire un processo giusto ed equo; Che il diritto internazionale moderno, attraverso la Corte Penale Internazionale, riflette nelle sue procedure i diritti delle vittime di partecipare al processo e di ricevere un'adeguata riparazione individuale e collettiva, questo è il consolidamento della giurisprudenza delle corti internazionali per i diritti umani a favore delle vittime. A sua volta è spiegato come questa riparazione è stabilita e come le vittime possono accedere al ripristino o alla riparazione dei loro diritti direttamente o attraverso un fondo fiduciario proprio della Corte Penale Internazionale. Il presente capitolo ha lo scopo di riaffermare gli interessi e gli obiettivi comuni dell'Umanità di giustizia contro i perpetratori di crimini atroci, cioè perseguire, giudicare e condannare i responsabili. Vale a dire riaffermare il valore della non impunità di fronte a crimini gravi. Secondo il fatto che amnistie e indulti, perdoni amnesici, etc. possono essere riproposti nel mondo nel quadro della giustizia di transizione non autentica o difettosa. Che cercheranno di sottrarre la persona responsabile dalle conseguenze criminali stabilite a livello internazionale. Ecco perché è stato discusso nel capitolo II di questa tesi, oltre all'importanza del concetto della Quarta Istanza a favore delle vittime e della cosa giudicata fraudolenta per l'attivazione della giurisdizione della Corte penale internazionale. In questo capitolo si cercherà di trattare l'impegno del l'intera comunità internazionale per la repressione penale dei crimini più gravi di rilevanza internazionale, la messa al bando dell'impunità nel diritto penale internazionale, l'esigenza di una pena privativa della libertà per crimini atroci per il diritto penale internazionale, il principio del diritto alla giustizia per il diritto penale internazionale, i parametri per l'imposizione di pene detentive per il diritto penale internazionale, il divieto di amnistia o indulto per crimini atroci e la giurisprudenza internazionale dei tribunali per i diritti dell'uomo che sancisce la pena detentiva per crimini atroci. ; Cap VI: Nell'accordo concluso tra lo Stato della Colombia e il gruppo delle Farc, è stata istituita una giustizia transizionale, che in ogni caso sostituisce la giurisdizione penale della Colombia, le pene previste e le rispettive procedure, denominata "Giurisdizione per la pace e/o Sistema Integrale di Verità, Giustizia, Riparazione e Non Ripetizione, di seguito il SIVJRNR. La presente analisi comparativa sarà effettuata esclusivamente tra le norme internazionali del diritto penale internazionale e del diritto internazionale dei diritti dell'uomo e la giurisprudenza dei loro tribunali trattati nei capitoli precedenti, rispetto all'accordo concluso tra le parti, lo Stato della Colombia e il gruppo delle Farc, denominato: accordo 5, sulle Vittime del Conflitto: "Sistema Integrale di Verità, Giustizia, Riparazione e Non Ripetizione". Questo perché tale accordo avrà un impatto diretto sulla legislazione nazionale della Colombia per la sua attuazione. Tuttavia, non mi soffermerò sul modo in cui è stato attuato a livello interno. Tale accordo tra il gruppo insurrezionale e lo Stato annunciava che il risarcimento delle vittime è al centro dell'Accordo tra il Governo Nazionale e le FARC-EP. In tal senso, in seno al Tavolo delle Trattative dell'Avana, si è discusso e raggiunto un accordo sul punto 5 dell'Agenda "Vittime" che comprende i seguenti punti: 1. Diritti umani delle vittime e 2. Verità, cercando di dare contenuti che soddisfino le rivendicazioni di coloro che sono stati colpiti dal lungo confronto sulla cui soluzione politica oggi, mediante questi nuovi consensi e importanti misure e accordi di disarmo, si è compiuto un passo fondamentale verso la costruzione di una pace stabile e duratura e la fine di una guerra di più di mezzo secolo che ha dissanguato il paese" Con il presente capitolo e sulla base dei precedenti si intende dimostrare che l'accordo concluso tra le parti non è conforme a quanto stabilito a livello di diritto penale internazionale e di diritto internazionale dei diritti umani.