Negli ultimi dieci anni in Europa il fenomeno delle migrazioni femminili è costantemente aumentato. L'incremento maggiore è stato rilevato nel flusso migratorio che si sviluppa dall'ex blocco sovietico in direzione di Scandinavia, Germania, Francia, Inghilterra, Spagna e Italia. Le ricerche effettuate in Italia nell'ultima decade, dimostrano che i maggiori bacini di provenienza di questo flusso sono la Romania e l'Ucraina, mentre i luoghi di destinazione preferiti sono i grandi centri urbani del nord e centro Italia (il comune di Roma registra 56.000 residenti romeni, mentre Torino si attesta intorno alle 50.000 presenze). Questi dati sembrano avvalorare la teoria delle città globali elaborata da Saskia Sassen che partendo dalle posizioni di Piore sulla domanda di lavoro povero, conferma l'ipotesi che le grandi metropoli rappresentano i nodi strategici dell'economia internazionale, all'interno delle quali crescono sia le componenti privilegiate, formate da dirigenti e professionisti, sia le fasce di lavoratori manuali che servono ad assicurare due principali tipi di attività: la manutenzione delle strutture direzionali (pulizie, custodia, riparazioni) e i servizi alle persone (baby-sitter, collaboratrici domestiche, etc.). Proprio nel settore dei lavoratori domestici si è affermata la specializzazione etnica della comunità femminile romena. Ad oggi infatti, le donne romene regolarmente registrate presso l'Inps come lavoratrici domestiche sono all'incirca 110.000. La Toscana rappresenta la sesta regione d'Italia per numero di residenti romeni, con una distribuzione territoriale uniforme su tutto il territorio. Genericamente la popolazione romena rappresenta il 2% dei residenti toscani e sono dislocati principalmente nelle aree urbane dei capoluoghi di provincia. La provincia di Siena esprime in pieno la percentuale di media, ma in alcuni piccoli comuni si registrano percentuali che toccano il 6%. Tra questi c'è il comune di Chianciano Terme che conta ben 443 residenti romeni (243 donne) su un totale di 7.367 abitanti. Negli ultimi venti anni a Chianciano, c'è stata una vera e propria involuzione economica (bilanci comunali in rosso, fallimenti delle strutture alberghiere, riduzione delle attività commerciali), che ha allontanato l'ipotesi di sviluppo di certi settori del terziario e ridotto drasticamente la presenza di professionisti. Eppure la domanda di collaboratrici domestiche straniere è cresciuta costantemente e le reti etniche di nuova generazione (romene) hanno in parte sostituito le comunità con maggiore anzianità migratoria (filippine). Ciò significa che i chiancianesi con familiari anziani non autosufficienti a carico, si appoggiano ad un tipo di welfare completamente "familistico" anche in una situazione di crisi economica che si protrae dagli anni '90 e preferiscono, per motivi di urgenza, una assunzione immediata di personale, che generalmente ricade sulle lavoratrici meno protette (quelle appena arrivate). In un contesto così complesso la teoria dei network ha garantito un approccio analitico importante, permettendoci di coniugare i benefici dell'analisi strutturale (macro) a quelli dell'analisi individuale (micro), creando un ponte concettuale ed una visone più olistica. Attraverso l'analisi qualitativa, effettuata tramite l'utilizzo di interviste semi-strutturate con un basso grado di direttività e standardizzazione, è stato possibile indagare le cause, la formazione, il percorso e le aspettative del progetto migratorio, le dinamiche interne al "nuovo" lavoro domestico, i processi di integrazione, le trasformazioni avvenute in seno alla famiglia e l'eventuale presenza di pratiche transnazionali.
La presente ricerca si è proposta di evidenziare le strategie di integrazione ovvero le pratiche di cittadinanza adottate in favore di un particolare segmento dei fenomeni migratori internazionali attuali: quello dei minori stranieri che soli varcano le frontiere del nostro paese alla ricerca di generiche migliori condizioni di vita. La conoscenza del loro patrimonio culturale e l'analisi delle procedure di accoglienza e di integrazione adottate nelle società di accoglienza, rappresentano una sfida stimolante nella prospettiva della disciplina antropologica, da sempre considerata la scienza 'dell'altro' e della 'differenza culturale' (Callari Galli, 2005). In generale, l'importanza di tale studio è resa evidente certamente dai numeri sempre più consistenti di minori stranieri non accompagnati presenti nel nostro paese, ma ancor più dalla necessità di ridefinire le strategie dell'integrazione sociale complessive se non si vuole alimentare quella che già dagli anni 70 è stata definita da alcuni criminologi come una "una bomba sociale a scoppio ritardato" (Bovenkerk 1973, cit. in Barbagli 2002, p. 31); tanto è la posta in gioco. Sebbene la letteratura sulle seconde generazioni e in particolare quella sui minori stranieri non accompagnati sia ormai cospicua tanto in Italia quanto a livello internazionale, mancano ancora monografie antropologiche su singole nazionalità immigrate soprattutto che siano capaci di accedere, investigare ed indagare il controverso universo emozionale dei minori. La presente ricerca nasce dall'esigenza di colmare questo gap esperienziale assumendo come protagonisti una frangia specifica della categoria minorile: i giovani di origine marocchina che si innescano su uno specifico segmento delle attuali tratte migratorie transnazionali, l'asse Khourigba – Roma. In accordo con le recenti acquisizioni degli studi antropologici (Persichetti, 2003; Riccio; 2007; Capello, 2008) si è ritenuto inoltre opportuno procedere con uno studio multisituato capace di ricomprendere al suo interno i due aspetti del binomio migratorio: il contesto di partenza e quello di arrivo dei giovani migranti. "Prima di diventare un immigrato, il migrante è sempre innanzitutto un emigrato" scrive il sociologo algerino Abdelmalek Sayad (2002) intendendo con tale affermazione che emigrazione ed immigrazione sono due facce della stessa realtà. Uno studio dei fenomeni migratori cioè dimentico delle condizioni di origine si condanna ad offrire degli stessi solo una versione parziale e connotata etnocentricamente. L'etnografia, iniziata nel 2006 e terminata nel 2008, è stata quindi integrata da due viaggi in Marocco con l'intenzione appunto di cogliere quella parte di vissuto fatto anche di suoni, colori, immagini altrimenti non "accessibile" e non "trasmissibile" nel solo contesto di accoglienza. Chiaramente si è fatto largo uso di metodologie qualitative (osservazione partecipante, focus group, interviste in profondità) in quanto maggiormente adatte ad indagare in profondità le complesse dinamiche caratterizzanti i vissuti esperienziali; a cogliere le sfumature di contesto e di restituire per queste stesse ragioni un quadro vivo e frastagliato fuori da logiche pre- costituite. La restituzione delle testimonianze raccolte - grazie a un capillare lavoro di conoscenza della realtà romana dell'immigrazione e a un 'patto' etnografico molto forte intrattenuto con i giovani testimoni nonché con gli operatori che in molte occasioni se ne fanno carico - fa risaltare gli aspetti non solo politico-culturali della questione, ma anche l'intreccio di emotività e fragilità che si cela al centro della loro condizione di minori non accompagnati. La particolare condizione di vulnerabilità di cui sono vittima deriva certamente da una condizione giuridica fortemente "incerta", ma anche dal doppio ruolo sociale che il minore straniero non accompagnato assume su di sé: come "minore" è soggetto di un tradizionale percorso pedagogico, come "straniero" è un pericolo per l'ordine pubblico. La tutela "naturale" viene in questo modo costantemente infranta o finisce per dissolversi in uno spazio che non può essere indirizzato o controllato su logiche o prassi proprie dell'ordine nazionale. Soggetto "anomalo" e "sovversivo"quindi, il minore straniero non accompagnato, spesso relegato negli ambiti bui e marginali delle metropoli odierne, con la sua stessa presenza pone seri interrogativi rispetto alla capacità della nostre società di accoglienza di produrre coesione sociale e di riformulare le regole del gioco di un sistema che sia realmente inclusivo delle parti. Adolescenti (e) immigrati la cui vita si svolge su rotte transnazionali. Il loro percorso è intessuto di piccole casualità - incontri, parole, piccoli gesti - che ne determinano l'intrigo. Sono storie fatte di alternanza di successi e sbandamenti, integrazione e devianza, intreccio di trame che si snodano sul confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è. Minori al "bivio", dunque, qualcuno dice, "tra integrazione e rimpatrio". Questi giovani, figli di una diaspora migratoria che ha tessuto legami sociali internazionali in vari continenti, tendono a pensarsi come cittadini del mondo e possono immaginare il loro futuro in Italia, nel paese d'origine, così come in un altro luogo, conoscono la fatica dell'adattamento, e stanno imparando a gestirlo; sanno che la loro "differenza", le loro conoscenze di un'altra lingua, cultura e religione, il loro aspetto, le loro esperienze non sempre facili di socializzazione, potranno rivelarsi un limite o una risorsa. E' questa nuova consapevolezza che si sta faticosamente facendo strada oggi tra le coscienze a far sperare oggi in un destino per loro diverso da quello vissuto dai loro coetanei delle banlieues francesi o delle inner cities britanniche, dove l'essere cresciuti in quartieri in cui problemi sociali e esistenziali simili tendono a sovrapporsi, ha portato molti giovani a sentirsi collettivamente parte di una generazione tradita e sacrificata, maturando così rancore sociale e desiderio di imporsi, attraverso un'identità fiera o desiderosa di ricreare una sua purezza. La scommessa di una integrazione sociale riuscita per i giovani stranieri cresciuti nel nostro paese, ma ancora più per i minori stranieri non accompagnati, si gioca essenzialmente quindi nelle reti dell'assistenza sociale e quindi nella scuola. Tale scelta pur essendo molto lontana dal conseguimento degli obiettivi economici, e quindi dall'ottemperamento del mandato migratorio, consente di rivendicare principi e ragioni di "somiglianza – uguaglianza" con i compagni di scuola autoctoni; confronto prima pressoché impossibile data la clandestinità cui sono di sovente costretti i minori stranieri non accompagnati e la peculiarità del tipo di lavoro svolto dai marocchini, quello ambulante, per sua natura itinerante e fortemente stigmatizzato dall'opinione comune. Nonostante le evidenti lacerazioni che questa scelta comporta in termini di: rottura con vecchi schemi di comportamento; ridefinizione dei ruoli all'interno della famiglia, nell'ambito societario di arrivo, così come in quello di appartenenza; riapporpiazione della propria identità, questa strada sembra a tutt'oggi l'unica in grado di preservare questi giovani migranti o di stornarli dal destino di devianza e marginalità che spesso si apre loro come scelta obbligata. La ricerca consta di due parti: la prima rende conto della letteratura in materia di seconde generazioni e la seconda restituisce i risultati dell'etnografia. In particolare il primo capitolo affronta i termini generali della questione con l'intenzione di chiarire i diversi misunderstanding che costellano il dibattito in materia di immigrazione attraverso una lettura critica della letteratura nazionale e internazionale. Il secondo e il terzo capitolo si occupano rispettivamente della normativa europea e italiana. Quanto al primo contesto sono evidenziate le diverse pratiche adottate in materia di ingresso dei minori stranieri non accompagnati all'interno dei confini di alcuni Paesi membri di vecchia e nuova immigrazione (Francia, Inghilterra, Germania, Belgio e Spagna) e posti in luce i gaps presenti così come le falle del sistema; quanto al contesto italiano, si mettono in rilievo le criticità che gli apparati giuridici presentano rispetto a una realtà concreta del fenomeno caratterizzata, come è ovvio, da straordinaria fluttuanza e informalità. Il quarto capitolo è stato dedicato alla scuola in quanto considerata la vera fucina del cambiamento sociale per la sua capacità di rappresentare l'occasione primaria di formazione linguistica, di costruzione di reti interne al Paese di accoglienza, di apprendimento di concetti e modalità didattiche ad esso omogenee; un paragrafo a parte è stato riservato all'inserimento lavorativo essendo questo il principale movente della migrazione di questi giovani. Infine il quinto capitolo si è prefisso di indagare il contesto di provenienza dei minori intervistati, il Marocco, ricostruendo l'eredità del passato coloniale, le scelte economiche del Marocco Indipendente, i fattori di push and pull dietro i flussi migratori di ieri e di oggi. Il quadro finale ha permesso di sondare la salute del sistema. Riconoscere diritto di parola e di ascolto dell'infanzia e dell'adolescenza ha significato fare un passo importante in avanti nella comprensione della loro soggettività, consentendo di fare emergere tutti quegli aspetti di conformità, progressivo adattamento ovvero di riottosità rispetto tanto alla propria comunità di appartenenza quanto alla società di arrivo. Considerare i minori come "soggetti di diritto" ha significato in altre parole ripensare sotto un altro punto di vista l'organizzazione e le strutture profonde che quella società regolano con il merito di porre in luce aspetti e problemi inediti, frizioni interne al gruppo normalmente sfuggevoli e molto riposte ed elementi di scarto rispetto a un modello omogeneo e granitico di una data cultura. Occorre sobriamente riconoscere che non si danno più né immigrati né emigrati, ma "pari" cittadini (o spiranti tali) che tessono relazioni effettivamente ed affettivamente collegate in un unico destino interdipendente. La consapevolezza di questo richiede competenza, intelligenza, impegno e determinazione nelle scelte operative da intraprendere; l'altra faccia della medaglia è solo devianza ed emarginazione. ; The following research is aimed to underline the strategies of integration and the practices of citizenship utilized in favor of a particular segment of the actual international migratory phenomenon: the one about foreign minors who alone pass the borders of our country to search for better conditions of life. The knowledge of their cultural background and the analysis of the procedures of the ways in which one is welcomed and the integration adopted by the receiving countries represent a stimulating challenge from the anthropological perspective, always considered the science of "cultural differences" (Callari Galli, 2005). The importance of this study is obviously given forth by the increasing numbers of "separated" minors in our country, but moreover by the necessity to re-define the strategies of social integration tout court if we don't want to feed what has, since 1970, been defined by some criminologists as a real "time bomb" (Bovenkerk 1973, cit. in Barbagli 2002, p. 31). Although nowadays both of the international and Italian literature, about the second generation and in particular those that talk of separated minors are conspicuous, we are still missing anthropological monographs on single nationalities of immigrants able to access, investigate and inquire into the complex emotional world of these minors. The following research was born from the necessity to fill in this experiential gap assuming as its subject a specific part of the category of minors: youth of Moroccan origin that are situated on a particular segment of the transnational migratory trades, the axis Khourigba- Rome. According to the recent anthropological acquisition (Persichetti, 2003; Riccio; 2007; Capello, 2008) it became appropriate to proceed with a multi-situated study able to embrace both of the aspects of the migrants lives: the context of origin and the context of arrival of the young migrants. "Before becoming an immigrant, the migrant is always an emigrant" wrote the Algerian sociologist Abdelmalek Sayad (2002), intending by this affirmation that immigration and emigration are both faces of the same reality. A study of the migrant phenomenon that forgets or leaves behind the condition of origin of immigrants people is condemned to offer only a partial and ethnocentric version of this phenomenon. The ethnography, started in 2006 and finished in 2008, has been integrated by two journeys in Morocco with the purpose to investigate those part of lives – made principally also by sounds, colors and images - not "accessible" and "communicable" in the receiving countries. Clearly the research has required a large use of qualitative methodologies (participant observation, focus group, interview in depth, etc) because of their characteristic to be more adapted to investigate the complex dynamics typical of the lived experience; to catch the shades of content and to give back, for these same reasons, a lively and unusual picture out of rules and schemes prior established. The feedback from the gathered stories – by a meticulous work which consisted in the knowledge of the Roman immigrants reality and a strong ethnographical "pact" with the minors on one hand and the social operators on the other – has brought to light not only the political and cultural aspects of the phenomenon, but moreover the tangle of sensitiveness and fragility hidden behind their condition of separated minors. The particular condition of vulnerability of which they are victims firstly came from an "uncertain" juridical condition, but more so by the double rule that the separated minor assumes on himself: as a "minor" he is subject to a traditional pedagogic approach and as a "stranger" he is considered dangerous to the public order. The natural guardianship which they should enjoy is continuously breached and threatened and dissolves in vague promises and empty rituals. Separated minors are "anomalous" and "subversive" subjects who too often are relegated to the dark and marginal spheres of the actual metropolis. Furthermore, their own presence, even if it is made invisible by the viewpoint of the system, impose serious and urgent questions to contemporary society; in respect of our capacity to produce social cohesion and re-formulate the rules of a game which has to be really inclusive in all its parts. It compromises the global issues of our society. Adolescents (and) immigrants who are living their lives on transnational routes. Their course is woven together by many little causalities - encounters, words and simple gestures that determine its outcome. These are stories made up of alternations of successes and disbandment, integration and deviance, a tangle of plots that lie on the border of what is licit and what is not. Minors on a "crossroad", some say, between "integration and repatriation". These young, son of numerous migratory diasporas that have banded together into international social links in many continents, tend to think themselves as citizens of the world and are able to imagine their future in Italy, in their own country or everywhere. They have lived the fatigue of adaptation and are learning to manage it. They know that their "difference" - the knowledge of another tongue, culture, religion, their physical appearance, their experiences of socialization, not always so simple and immediate - can be either a limit or a resource. Is this new consciousness - that nowadays is hardly rousing our consciences - to leave us the hope in a different destiny from that lived by their residing in the French banlieues or in Britain's inner cities. These communities, where to be brought up in districts in which social and existential problems tend to overlap, has brought many young persons to feel part of a generation betrayed and sacrificed and to foster social resentment and wishes of revenge through an identity that is proud and intent on recreating its original purity. The bet of a successful social integration for the young people growing up in our country, but moreover for the separated minors, is played on the circuits of social assistance and then on the capacity of school to create cohesion as an agency of socialization. This choice, though it is really far away from the fulfillment of their economic objectives and then from the attainment of the migratory cause, allows them to claim principles and reasons of " similarity – equality" with their coetaneous friends of school. This is a kind of comparison that was impossible before because of the irregular condition to which separated minors are often obliged and the peculiar characteristics of the type of job done by Moroccan people, usually pitchmen, from its nature an itinerant job hardly stigmatized by common opinion. Although the evident lacerations that this choice implies in terms of breaking old schemes of behaviours; redefinition of rules in the family, in the society of arrival (as well as in the society of origin); re-appropriation of one's own identity; this road appears uniquely to be able to preserve these young migrants from the solitude of a destiny otherwise made up of deviance and marginality. The research consists of two parts: the first one proposes a general framework about second generation literature and the second one provides the results of the ethnography. In particular, the first chapter copes with these questions in general terms with the intent to clarify the different misunderstandings in the debate about immigration, through a critical reading of national and international literature. The second and third chapters talk respectively of the European laws concerning separated minors and the Italian ones. In regard to the first context, it underlines the different practices adopted about the entry of separated minors in the territories of several old and new European immigration countries (such as France, Britain, Germany, Belgium and Spain) and point out the gaps and problems of these systems. As regards the Italian context, instead, emphasize is put on the critical points of the actual juridical systems in respect to a reality of the phenomenon characterized, as obviously it is, by remarkable unbalance and changeability. The fourth chapter has been dedicated to the school because it is considered the real forge of the social changing in its capacity to represent the primary occasion of: linguistic training, constructing of intern links in the receiving countries, learning of concepts and didactic modalities homogenous to it. A specific paragraph has been reserved to the introduction to the working environment because it is the main reason of the migration of these young people. The fifth chapter is aimed to investigate the context of provenience of minors interviewed, the Moroccan Country, reconstructing the heredity of the colonial past, the economic choices of the Independent Morocco, and the factors of push and pull behind the migratory flows of yesterday and today. The final picture is used to verify the health of the system. Recognizing the right of "speech" and "listening" to infancy and adolescence has meant to make an important step forward in the knowledge of their individuality, making arise all aspects of conformity and progressive adaptation or, on the contrary, their rebelliousness to their own culture as well as to the receiving society. In other worlds, considering minors "subjects of right" has meant rethinking the organization and obscure structures that manage the same societies in which they live, with the merit to point out aspects and elements of forsaking respect to a homogenous and given model of a culture. Nowadays more than ever it is necessary to admit that there are no more immigrants or emigrants, but "equal" citizens (or aspirant ones) who weave together elements of every type in a unique interdependent destiny. The consciousness of this claim calls for competence, intelligence, dedication and determination in the choice to engage; the rest is made by deviance, frustration, marginalization. ; Dottorato di ricerca in Tutela e Promozione dei Diritti dell'Infanzia (XXII ciclo)
International audience ; L'aîné des onze enfants d'Antoine Favre (1557-1624), René, dit de la Valbonne (vers 1582-1656), emboîte les pas de l'illustre juriste savoyard et dans la continuité paternelle embrasse donc à son tour une prestigieuse carrière dans la magistrature du duché. Il revêt même très rapidement l'habit rouge de cérémonie des sénateurs, ce qui indispose d'ailleurs notablement nombre de ses pairs qui lui tiendront longtemps rigueur de cette position assurément privilégiée. Puis, à l'image de son père vénéré dont l'incontournable Code Fabrien occulte un nombre pourtant impressionnant de doctes écrits, également devenu Conseiller d'État et Président du Conseil de Genevois, la Valbonne prend la plume après trente-cinq années de magistrature, pour publier en 1646 dans l'ouvrage de sa vie, intitulé "Le bien public par le fait de la justice", les réflexions tirées d'une longue et appliquée carrière de magistrat. Le livre, au demeurant composé sinon à la demande formelle du moins avec l'assentiment officiel de la duchesse régente Marie-Christine de France, sœur de Louis XIII, à qui il est dédicacé et qui voit là le moyen efficace de rabaisser la superbe de certains sénateurs trop enclins à rappeler le caractère souverain du Sénat de Savoie dans l'interprétation en deçà des monts des ordres venus de Turin, présente toute une série de mesures que l'auteur aimerait volontiers voir inspirer la législation ducale en matière judiciaire. Or bien que très novateur par certaines de ses propositions techniques, l'ouvrage par ailleurs moralisateur à l'extrême en enjoignant notamment aux "gens de justice" de se soumettre à de permanents examens de conscience, déclenche lors de sa publication une virulente polémique au sein du microcosme judiciaire du Duché de Savoie, ulcéré par l'outrecuidance de l'un des siens. Mais si l'affaire trouve son rapide épilogue par la vertu de la destruction après saisie des premiers exemplaires imprimés, arrêtée par un Sénat sourcilleux quant à l'exercice de son pouvoir de contrôle de la librairie, une action aussi énergique condamne instantanément le produit des spéculations de René Favre à l'oubli quasi complet. Or trois siècles et demi plus tard le réexamen de ce curieux fait divers permet, au delà de l'anecdote et du fait de la qualité de ses protagonistes, une évocation éclairante du mode de fonctionnement de l'appareil judiciaire savoyard comme de la culture intime de ses acteurs en une époque non anodine de résistance des vieilles cours souveraines de justice, acharnées dans la défense de leurs ultimes prérogatives politiques face à l'affirmation irrésistible de l'autoritarisme princier.
International audience ; L'aîné des onze enfants d'Antoine Favre (1557-1624), René, dit de la Valbonne (vers 1582-1656), emboîte les pas de l'illustre juriste savoyard et dans la continuité paternelle embrasse donc à son tour une prestigieuse carrière dans la magistrature du duché. Il revêt même très rapidement l'habit rouge de cérémonie des sénateurs, ce qui indispose d'ailleurs notablement nombre de ses pairs qui lui tiendront longtemps rigueur de cette position assurément privilégiée. Puis, à l'image de son père vénéré dont l'incontournable Code Fabrien occulte un nombre pourtant impressionnant de doctes écrits, également devenu Conseiller d'État et Président du Conseil de Genevois, la Valbonne prend la plume après trente-cinq années de magistrature, pour publier en 1646 dans l'ouvrage de sa vie, intitulé "Le bien public par le fait de la justice", les réflexions tirées d'une longue et appliquée carrière de magistrat. Le livre, au demeurant composé sinon à la demande formelle du moins avec l'assentiment officiel de la duchesse régente Marie-Christine de France, sœur de Louis XIII, à qui il est dédicacé et qui voit là le moyen efficace de rabaisser la superbe de certains sénateurs trop enclins à rappeler le caractère souverain du Sénat de Savoie dans l'interprétation en deçà des monts des ordres venus de Turin, présente toute une série de mesures que l'auteur aimerait volontiers voir inspirer la législation ducale en matière judiciaire. Or bien que très novateur par certaines de ses propositions techniques, l'ouvrage par ailleurs moralisateur à l'extrême en enjoignant notamment aux "gens de justice" de se soumettre à de permanents examens de conscience, déclenche lors de sa publication une virulente polémique au sein du microcosme judiciaire du Duché de Savoie, ulcéré par l'outrecuidance de l'un des siens. Mais si l'affaire trouve son rapide épilogue par la vertu de la destruction après saisie des premiers exemplaires imprimés, arrêtée par un Sénat sourcilleux quant à l'exercice de son pouvoir de contrôle de la librairie, une action aussi énergique condamne instantanément le produit des spéculations de René Favre à l'oubli quasi complet. Or trois siècles et demi plus tard le réexamen de ce curieux fait divers permet, au delà de l'anecdote et du fait de la qualité de ses protagonistes, une évocation éclairante du mode de fonctionnement de l'appareil judiciaire savoyard comme de la culture intime de ses acteurs en une époque non anodine de résistance des vieilles cours souveraines de justice, acharnées dans la défense de leurs ultimes prérogatives politiques face à l'affirmation irrésistible de l'autoritarisme princier.
WHAT DO SEX WORKERS THINK ABOUT THE FRENCH PROSTITUTION ACT? A Study on the Impact of the Law from 13 April 2016 Against the 'Prostitution System' in France -- The main objective of this study is to assessthe impact on sex workers' living and workingconditions of the act of law n° 2016-444(adopted by France's parliament on the 13th ofApril 2016 with the aim of reinforcing the fightagainst the prostitution system and supportingpeople in prostitution). This is a qualitativestudy focused on the viewpoints of sex workersthemselves who are directly affected by thelaw. For the purposes of this analysis interviewswere conducted with 70 sex workers (a further38 sex workers were consulted via focus groupsand workshops). A further 24 interviews andfocus groups were conducted with sex workergroups or other organisations working withsex workers across France. Two researchers (inpolitical science and sociology) supervised thestudy and analysed the results in close collaborationwith 11 outreach organisations. Alongsidethis qualitative study, a quantitative survey wasalso conducted between January and February2018 involving 583 sex workers the results ofwhich were integrated into this report. ; Le 13 avril 2016, la France adoptait la loi « visant à renforcer la lutte contre le système prostitutionnel et à accompagner les personnes prostituées », devenant ainsi le deuxième pays de l'Union européenne à sanctionner les clients des travailleur.se.s du sexe. Depuis, deux chercheurs, Hélène Le Bail et Calogero Giametta, en collaboration avec 11 associations ont mené une enquête afin de documenter les impacts de cette nouvelle législation sur la santé, les droits et les conditions de vie des travailleur.se.s du sexe en France. Cette enquête est disponible en français, en anglais et en italien. Des synthèses du rapport sont également disponibles en français, anglais, portugais et russe. ; COSA PENSANO LE LAVORATRICI E I LAVORATORI DEL SESSO DELLA LEGGE SULLA PROSTITUZIONE? Inchiesta sull'impatto della Legge del 13 aprile 2016 contro il «sistema prostituzionale» in Francia -- L'obiettivo principale di questo studio è quello divalutare l'impatto della legge francese n° 2016-444 (Legge del 13 aprile 2016 volta a rinforzarela lotta contro il sistema prostituzionale e ad accompagnarele persone che si prostituiscono) sullecondizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici e deilavoratori del sesso. Si tratta di un'inchiesta qualitativabasata sul punto di vista delle lavoratrici edei lavoratori del sesso direttamente interessate/ie colpite/i da questa legge. In questa inchiestasono state realizzate, tra il giugno 2016 e ilfebbraio 2018, 70 interviste individuali con dellelavoratrici e dei lavoratori del sesso (38 sono stateconsultate/i attraverso focus group e atelier), edinoltre 24 interviste e focus group con associazionidi lavoratrici/lavoratori del sesso o che lavorano conlavoratrici/lavoratori del sesso attraverso la Francia.Una ricercatrice ed un ricercatore (in scienzepolitiche e sociologia) hanno supervisionato laricerca in cooperazione con 11 associazioni chelavorano sul campo e hanno condotto l'analisidelle interviste. Parallelamente, un'inchiesta quantitativaè stata realizzata nel gennaio-febbraio2018 alla quale hanno preso parte 583 lavoratrici/lavoratori del sesso e i cui risultati completanol'inchiesta qualitativa. ; O QUE PENSAM OS/AS TRABALHADORES/AS DO SEXO DA LEI FRANCESA QUE REGULA A PROSTITUIÇÃO? Estudo sobre o impacto da lei promulgada a 13 de abril de 2016, que penaliza o "sistema prostitucional" em França -- O principal objetivo deste estudo é avaliar oimpacto da lei nº 2016-444 (adotada peloparlamento francês a 13 de abril de 2016, como intuito de combater o 'sistema prostitucional'e apoiar as pessoas prostituídas) nas condiçõesde vida e trabalho dos/as trabalhadores/as dosexo (TS). Trata-se de um estudo qualitativofocado nas opiniões das próprias pessoas quefazem trabalho sexual e que são diretamenteafetadas pela legislação. Para efetuar esta análise,foram conduzidas 70 entrevistas a trabalhadores/as do sexo (e recolhidas informaçõesde outros/as 38 que participaram em focusgroups e workshops). Foram também realizadas24 entrevistas e focus groups com associações deTS e/ou organizações que trabalham com TS emFrança. Dois investigadores (Ciências Políticas eSociologia) supervisionaram o estudo e analisaramos resultados do mesmo, em cooperação com 11organizações que desenvolvem trabalho de proximidade.Foi também realizado, entre janeiro efevereiro de 2018, um estudo quantitativo com583 trabalhadores/as do sexo – cujos resultadossão apresentados no presente relatório. ; ЧТО ДУМАЮТ СЕКС-РАБОТНИЦЫ/КИ ПО ПОВОДУ ФРАНЦУЗСКОГО ЗАКОНА О ПРОСТИТУЦИИ? Исследование последствий закона от 13 апреля 2016 года против «системы проституции» -- Основной целью данного исследованияявляется оценка влияния закона 2016-444(Закон от 13 апреля 2016 года по усилениюборьбы против системы проституции иподдержке людей, занимающихся про-ституцией) на условия жизни и работысекс-работниц/ков1. Это качественноеисследование мнений секс-работниц/ков,которых непосредственно касается данныйзакон. В период с июня 2016 года по фев-раль 2018 года было проведено 70 индиви-дуальных интервью с секс-работницами/ками (помимо них, 38 были опрошены в ходефокус-групп и семинаров) и 24 интервью ифокус-группы с ассоциациями секс-работ-ниц/ков или организациями, работающимисовместно с секс-работницами/ками воФранции. Два исследователя (в областиполитологии и социологии) руководилиисследованием в тесном сотрудничествес 11 ассоциациями, занятыми полевойработой, и провели анализ интервью.Параллельно с этим, в январе-феврале2018 года было проведено количественноеисследование, на вопросы которого отве-тили 583 секс-работниц/ка, что дополнилокачественное исследование.
WHAT DO SEX WORKERS THINK ABOUT THE FRENCH PROSTITUTION ACT? A Study on the Impact of the Law from 13 April 2016 Against the 'Prostitution System' in France -- The main objective of this study is to assessthe impact on sex workers' living and workingconditions of the act of law n° 2016-444(adopted by France's parliament on the 13th ofApril 2016 with the aim of reinforcing the fightagainst the prostitution system and supportingpeople in prostitution). This is a qualitativestudy focused on the viewpoints of sex workersthemselves who are directly affected by thelaw. For the purposes of this analysis interviewswere conducted with 70 sex workers (a further38 sex workers were consulted via focus groupsand workshops). A further 24 interviews andfocus groups were conducted with sex workergroups or other organisations working withsex workers across France. Two researchers (inpolitical science and sociology) supervised thestudy and analysed the results in close collaborationwith 11 outreach organisations. Alongsidethis qualitative study, a quantitative survey wasalso conducted between January and February2018 involving 583 sex workers the results ofwhich were integrated into this report. ; Le 13 avril 2016, la France adoptait la loi « visant à renforcer la lutte contre le système prostitutionnel et à accompagner les personnes prostituées », devenant ainsi le deuxième pays de l'Union européenne à sanctionner les clients des travailleur.se.s du sexe. Depuis, deux chercheurs, Hélène Le Bail et Calogero Giametta, en collaboration avec 11 associations ont mené une enquête afin de documenter les impacts de cette nouvelle législation sur la santé, les droits et les conditions de vie des travailleur.se.s du sexe en France. Cette enquête est disponible en français, en anglais et en italien. Des synthèses du rapport sont également disponibles en français, anglais, portugais et russe. ; COSA PENSANO LE LAVORATRICI E I LAVORATORI DEL SESSO DELLA LEGGE SULLA PROSTITUZIONE? Inchiesta sull'impatto della Legge del 13 aprile 2016 contro il «sistema prostituzionale» in Francia -- L'obiettivo principale di questo studio è quello divalutare l'impatto della legge francese n° 2016-444 (Legge del 13 aprile 2016 volta a rinforzarela lotta contro il sistema prostituzionale e ad accompagnarele persone che si prostituiscono) sullecondizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici e deilavoratori del sesso. Si tratta di un'inchiesta qualitativabasata sul punto di vista delle lavoratrici edei lavoratori del sesso direttamente interessate/ie colpite/i da questa legge. In questa inchiestasono state realizzate, tra il giugno 2016 e ilfebbraio 2018, 70 interviste individuali con dellelavoratrici e dei lavoratori del sesso (38 sono stateconsultate/i attraverso focus group e atelier), edinoltre 24 interviste e focus group con associazionidi lavoratrici/lavoratori del sesso o che lavorano conlavoratrici/lavoratori del sesso attraverso la Francia.Una ricercatrice ed un ricercatore (in scienzepolitiche e sociologia) hanno supervisionato laricerca in cooperazione con 11 associazioni chelavorano sul campo e hanno condotto l'analisidelle interviste. Parallelamente, un'inchiesta quantitativaè stata realizzata nel gennaio-febbraio2018 alla quale hanno preso parte 583 lavoratrici/lavoratori del sesso e i cui risultati completanol'inchiesta qualitativa. ; O QUE PENSAM OS/AS TRABALHADORES/AS DO SEXO DA LEI FRANCESA QUE REGULA A PROSTITUIÇÃO? Estudo sobre o impacto da lei promulgada a 13 de abril de 2016, que penaliza o "sistema prostitucional" em França -- O principal objetivo deste estudo é avaliar oimpacto da lei nº 2016-444 (adotada peloparlamento francês a 13 de abril de 2016, como intuito de combater o 'sistema prostitucional'e apoiar as pessoas prostituídas) nas condiçõesde vida e trabalho dos/as trabalhadores/as dosexo (TS). Trata-se de um estudo qualitativofocado nas opiniões das próprias pessoas quefazem trabalho sexual e que são diretamenteafetadas pela legislação. Para efetuar esta análise,foram conduzidas 70 entrevistas a trabalhadores/as do sexo (e recolhidas informaçõesde outros/as 38 que participaram em focusgroups e workshops). Foram também realizadas24 entrevistas e focus groups com associações deTS e/ou organizações que trabalham com TS emFrança. Dois investigadores (Ciências Políticas eSociologia) supervisionaram o estudo e analisaramos resultados do mesmo, em cooperação com 11organizações que desenvolvem trabalho de proximidade.Foi também realizado, entre janeiro efevereiro de 2018, um estudo quantitativo com583 trabalhadores/as do sexo – cujos resultadossão apresentados no presente relatório. ; ЧТО ДУМАЮТ СЕКС-РАБОТНИЦЫ/КИ ПО ПОВОДУ ФРАНЦУЗСКОГО ЗАКОНА О ПРОСТИТУЦИИ? Исследование последствий закона от 13 апреля 2016 года против «системы проституции» -- Основной целью данного исследованияявляется оценка влияния закона 2016-444(Закон от 13 апреля 2016 года по усилениюборьбы против системы проституции иподдержке людей, занимающихся про-ституцией) на условия жизни и работысекс-работниц/ков1. Это качественноеисследование мнений секс-работниц/ков,которых непосредственно касается данныйзакон. В период с июня 2016 года по фев-раль 2018 года было проведено 70 индиви-дуальных интервью с секс-работницами/ками (помимо них, 38 были опрошены в ходефокус-групп и семинаров) и 24 интервью ифокус-группы с ассоциациями секс-работ-ниц/ков или организациями, работающимисовместно с секс-работницами/ками воФранции. Два исследователя (в областиполитологии и социологии) руководилиисследованием в тесном сотрудничествес 11 ассоциациями, занятыми полевойработой, и провели анализ интервью.Параллельно с этим, в январе-феврале2018 года было проведено количественноеисследование, на вопросы которого отве-тили 583 секс-работниц/ка, что дополнилокачественное исследование.
WHAT DO SEX WORKERS THINK ABOUT THE FRENCH PROSTITUTION ACT? A Study on the Impact of the Law from 13 April 2016 Against the 'Prostitution System' in France -- The main objective of this study is to assessthe impact on sex workers' living and workingconditions of the act of law n° 2016-444(adopted by France's parliament on the 13th ofApril 2016 with the aim of reinforcing the fightagainst the prostitution system and supportingpeople in prostitution). This is a qualitativestudy focused on the viewpoints of sex workersthemselves who are directly affected by thelaw. For the purposes of this analysis interviewswere conducted with 70 sex workers (a further38 sex workers were consulted via focus groupsand workshops). A further 24 interviews andfocus groups were conducted with sex workergroups or other organisations working withsex workers across France. Two researchers (inpolitical science and sociology) supervised thestudy and analysed the results in close collaborationwith 11 outreach organisations. Alongsidethis qualitative study, a quantitative survey wasalso conducted between January and February2018 involving 583 sex workers the results ofwhich were integrated into this report. ; Le 13 avril 2016, la France adoptait la loi « visant à renforcer la lutte contre le système prostitutionnel et à accompagner les personnes prostituées », devenant ainsi le deuxième pays de l'Union européenne à sanctionner les clients des travailleur.se.s du sexe. Depuis, deux chercheurs, Hélène Le Bail et Calogero Giametta, en collaboration avec 11 associations ont mené une enquête afin de documenter les impacts de cette nouvelle législation sur la santé, les droits et les conditions de vie des travailleur.se.s du sexe en France. Cette enquête est disponible en français, en anglais et en italien. Des synthèses du rapport sont également disponibles en français, anglais, portugais et russe. ; COSA PENSANO LE LAVORATRICI E I LAVORATORI DEL SESSO DELLA LEGGE SULLA PROSTITUZIONE? Inchiesta sull'impatto della Legge del 13 aprile 2016 contro il «sistema prostituzionale» in Francia -- L'obiettivo principale di questo studio è quello divalutare l'impatto della legge francese n° 2016-444 (Legge del 13 aprile 2016 volta a rinforzarela lotta contro il sistema prostituzionale e ad accompagnarele persone che si prostituiscono) sullecondizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici e deilavoratori del sesso. Si tratta di un'inchiesta qualitativabasata sul punto di vista delle lavoratrici edei lavoratori del sesso direttamente interessate/ie colpite/i da questa legge. In questa inchiestasono state realizzate, tra il giugno 2016 e ilfebbraio 2018, 70 interviste individuali con dellelavoratrici e dei lavoratori del sesso (38 sono stateconsultate/i attraverso focus group e atelier), edinoltre 24 interviste e focus group con associazionidi lavoratrici/lavoratori del sesso o che lavorano conlavoratrici/lavoratori del sesso attraverso la Francia.Una ricercatrice ed un ricercatore (in scienzepolitiche e sociologia) hanno supervisionato laricerca in cooperazione con 11 associazioni chelavorano sul campo e hanno condotto l'analisidelle interviste. Parallelamente, un'inchiesta quantitativaè stata realizzata nel gennaio-febbraio2018 alla quale hanno preso parte 583 lavoratrici/lavoratori del sesso e i cui risultati completanol'inchiesta qualitativa. ; O QUE PENSAM OS/AS TRABALHADORES/AS DO SEXO DA LEI FRANCESA QUE REGULA A PROSTITUIÇÃO? Estudo sobre o impacto da lei promulgada a 13 de abril de 2016, que penaliza o "sistema prostitucional" em França -- O principal objetivo deste estudo é avaliar oimpacto da lei nº 2016-444 (adotada peloparlamento francês a 13 de abril de 2016, como intuito de combater o 'sistema prostitucional'e apoiar as pessoas prostituídas) nas condiçõesde vida e trabalho dos/as trabalhadores/as dosexo (TS). Trata-se de um estudo qualitativofocado nas opiniões das próprias pessoas quefazem trabalho sexual e que são diretamenteafetadas pela legislação. Para efetuar esta análise,foram conduzidas 70 entrevistas a trabalhadores/as do sexo (e recolhidas informaçõesde outros/as 38 que participaram em focusgroups e workshops). Foram também realizadas24 entrevistas e focus groups com associações deTS e/ou organizações que trabalham com TS emFrança. Dois investigadores (Ciências Políticas eSociologia) supervisionaram o estudo e analisaramos resultados do mesmo, em cooperação com 11organizações que desenvolvem trabalho de proximidade.Foi também realizado, entre janeiro efevereiro de 2018, um estudo quantitativo com583 trabalhadores/as do sexo – cujos resultadossão apresentados no presente relatório. ; ЧТО ДУМАЮТ СЕКС-РАБОТНИЦЫ/КИ ПО ПОВОДУ ФРАНЦУЗСКОГО ЗАКОНА О ПРОСТИТУЦИИ? Исследование последствий закона от 13 апреля 2016 года против «системы проституции» -- Основной целью данного исследованияявляется оценка влияния закона 2016-444(Закон от 13 апреля 2016 года по усилениюборьбы против системы проституции иподдержке людей, занимающихся про-ституцией) на условия жизни и работысекс-работниц/ков1. Это качественноеисследование мнений секс-работниц/ков,которых непосредственно касается данныйзакон. В период с июня 2016 года по фев-раль 2018 года было проведено 70 индиви-дуальных интервью с секс-работницами/ками (помимо них, 38 были опрошены в ходефокус-групп и семинаров) и 24 интервью ифокус-группы с ассоциациями секс-работ-ниц/ков или организациями, работающимисовместно с секс-работницами/ками воФранции. Два исследователя (в областиполитологии и социологии) руководилиисследованием в тесном сотрудничествес 11 ассоциациями, занятыми полевойработой, и провели анализ интервью.Параллельно с этим, в январе-феврале2018 года было проведено количественноеисследование, на вопросы которого отве-тили 583 секс-работниц/ка, что дополнилокачественное исследование.
La ricerca mira a inquadrare l'evoluzione degli ambienti politici risorgimentali di impronta moderata attivi negli anni che hanno immediatamente preceduto il conseguimento dell'unità nazionale, con un'attenzione concentrata soprattutto sulla Società Nazionale, prima ed unica organizzazione strutturata capace di fare da contraltare al "partito" mazziniano e, più in generale, alle forze d'ispirazione democratica. Stabilendo come torno di tempo quello che corre dalla caduta della Repubblica Romana (settembre 1849) agli anni cruciali per l'unificazione italiana (1859-61), questo lavoro punta a ricostruire l'itinerario politico di quei numerosi patrioti che, muovendo da una cultura democratica o di stampo repubblicano, all'indomani del fallimento della stagione rivoluzionaria quarantottesca entrarono in profondo conflitto con gli ambienti mazziniani e iniziarono, sulla scorta dell'esperienza fatta nell'ambito dei governi provvisori e costituzionali, ad elaborare soluzioni politiche alternative per il raggiungimento dell'unità e dell'indipendenza d'Italia. L'analisi di questo inedito contesto politico muove dall'esperienza dell'esilio, un passaggio chiave nelle vicende di molti dei protagonisti del Risorgimento italiano, con una specifica attenzione alla vicenda di Daniele Manin, che nella seconda metà degli anni '50 da Parigi diventerà figura cardine e punto di riferimento per una vasta rete di liberali moderati, ex democratici, federalisti. Gli studi più recenti sulla simbologia risorgimentale e sulla mitizzazione di alcune figure di questa stagione sono stati messi in rapporto con la documentazione d'archivio per tracciare un profilo del ruolo di Manin sulla scena sociale e politica parigina non soltanto come influente propagatore delle ragioni della nazione italiana, ma anche come figura simbolica, capace di incarnare il prototipo dell'uomo di Stato virtuoso e del patriota equilibrato lontano dagli eccessi rivoluzionari. La scelta di focalizzare l'attenzione sul contesto parigino è stata dettata, oltre che dalla carenza di studi sull'esulato italiano in Francia nel cosiddetto decennio di preparazione, dalla constatazione che in questi anni la capitale francese iniziava a distinguersi come un vero e proprio laboratorio politico per i patrioti italiani. Personaggi come Giuseppe Montanelli o Aurelio Saliceti emergono per la propria iniziativa e per un'elaborazione politica autonoma, rappresentando altrettante alternative al progetto, destinato a prevalere per una maggiore organicità, facente capo a Manin. Esperimenti di stampo democratico come quello del Comitato Latino o tentativi di revival bonapartista come quello murattiano finirono infatti per condizionare l'articolazione della futura Società Nazionale, la cui elaborazione ideologica fortemente debitrice dal pensiero di Gioberti è stata approfondita anche grazie alle corrispondenze fra gli esuli italiani in Francia. Un processo non di mera riproposizione delle teorie contenute nel Rinnovamento condotto da Giorgio Pallavicino Trivulzio, referente torinese di molti esponenti dell'esulato italiano a Parigi e sodale di Manin nella costruzione del nuovo soggetto politico. La collaborazione fra Manin e Pallavicino Trivulzio nel consolidare la proposta politica della Società Nazionale e nel propagandarne il pensiero negli ambienti rappresenta un ulteriore aspetto preso in esame dalla ricerca, che ha teso a identificare le diverse anime dell'organizzazione analizzando nello specifico il salto di qualità rappresentato dall'ingresso nella compagine di Giuseppe La Farina, capace di trasformare il nascente partito da efficace macchina propagandistica e di mobilitazione a favore della causa italiana in una struttura articolata, aperta all'adesione di ampie fasce della popolazione, diffusa sul territorio della penisola attraverso dei comitati locali coordinati da quello centrale di Torino, dotata di un organo di stampa ufficiale e orientata, pur con tutti i limiti del caso, verso un'univoca ideologia, facendone insomma un proto-partito politico. ; The research aims to frame the evolution of the Risorgimento moderate political environments active in the years that immediately preceded the attainment of national unity, with attention focused mainly on the National Society, the first and only structured organization able to act as a counterpart to the Mazzini "party" and, more in general, the forces of democratic inspiration. Taking into account what runs from the fall of the Roman Republic (September 1849) to the crucial years for the Italian unification (1859-61), this work aims to reconstruct the political itinerary of those numerous patriots who, moving from a democratic culture or from a culture of republican inspiration, in the aftermath of the failure of the revolutionary 1848 season, they entered into a profound conflict with the Mazzinian environments and began, on the basis of their experience in the provisional and constitutional governments, to develop alternative political solutions for the achievement of the unity and independence of Italy. The analysis of this unprecedented political context moves from the experience of exile, a key passage in the events of many of the protagonists of the Italian Risorgimento, with specific attention to the story of Daniele Manin, who in the second half of the 50s from Paris will become a pivotal figure and a point of reference for a vast network of moderate liberals, former democrats and federalists. The most recent studies on the symbolism of the Risorgimento and on the mythization of some figures of this season have been put in relation with the archive documentation to trace a profile of Manin's role on the social and political Parisian scene, not only as an influential propagator of the reasons of the Italian nation, but also as a symbolic figure, able to embody the prototype of the virtuous state man and well-balanced patriot, far from the revolutionary excesses. The choice to focus the attention on the Parisian context has been dictated, in addition to the lack of studies on the Italian exile in France during the so-called decade of preparation, by the observation that in these years the French capital began to distinguish itself as a real political laboratory for Italian patriots. Figures such as Giuseppe Montanelli or Aurelio Saliceti emerge for their own initiative and for an autonomous political elaboration, representing many alternatives to the project, destined to prevail for greater unity, referring to Manin. Experiments of a democratic nature such as that of the Latin Committee or attempts at Bonapartist revival such as the Murattian ended up influencing the future National Society, whose ideological elaboration, strongly influenced by the thought of Gioberti, has been deepened thanks to the correspondence between the Italian exiles in France. A process not of mere repetition of the theories contained in the Rinnovamento conducted by Giorgio Pallavicino Trivulzio, representative in Turin of many Italian exiles in Paris and Manin's partner in the construction of the new political subject. The collaboration between Manin and Pallavicino Trivulzio, in the process of consolidation of the National Society political proposal and in the propagation of its thoughts, represents a further aspect taken into consideration by the research, which aims to identify the different souls of the organization by analyzing specifically the breakthrough represented by the arrival into the group of Giuseppe La Farina. He has been able to transform the nascent party from an effective propaganda and mobilization machine in favor of the Italian cause into a structured entity, open to large sections of the population, spread throughout the peninsula, through local committees coordinated by the central one of Turin, equipped with an official press organ and oriented, albeit with all the limits of the case, towards an unequivocal ideology, making it a political proto-party. ; La recherche vise à encadrer l'évolution des milieux politiques modérés du Risorgimento actifs dans les années précédant la réalisation de l'unité nationale, avec une attention toute particulière portée à la Société Nationale italienne, première et unique organisation structurée capable de constituer une réelle alternative au parti mazzinien et, plus largement, aux forces d'inspiration démocratique. Dans un cadre chronologique qui va de la chute de la République romaine (septembre 1849) jusqu'aux années décisives de l'unification italienne (1859-1861), ce travail vise à tracer l'itinéraire politique de ces nombreux patriotes qui, sortant d'une formation politique démocratique ou républicain, à la suite de l'échec du Quarante-huit, ils entrèrent en conflit profond avec Mazzini et commencèrent, sur la base de leur expérience dans les gouvernements provisoires et constitutionnels, à développer des solutions politiques alternatives pour l'unité et l'indépendance de l'Italie. L'analyse de ce contexte politique ne peut pas négliger celle de l'expérience de l'exil, un 'expérience formative décisive pour nombreux protagonistes du Risorgimento italien, avec une attention particulière au cas de Daniele Manin, qui dans la seconde moitié des années '50 à Paris devint le point de référence pour un vaste réseau de libéraux modérés, d'anciens démocrates et de fédéralistes. Les études les plus récentes sur le symbolisme du Risorgimento et sur la mythisation de certaines figures de cette saison ont été mises en relation avec la documentation d'archives pour retracer le rôle de Manin sur la scène sociale et politique parisienne, non seulement comme un propagateur influent des raisons de la nation italienne mais aussi comme figure symbolique, capable d'identifier le prototype de l'homme d'État vertueux et du patriote loin des excès de la révolution. Le choix de se concentrer sur le contexte parisien a été dictée non seulement par l'absence d'études portants sur les exilés italiens en France dans la décennie de préparation, mais aussi du constat qu'au cours des années '50 la capitale française s'était distinguée comme un véritable laboratoire politicien pour les patriotes italiens. Des personnages comme Giuseppe Montanelli ou Aurelio Saliceti émergent pour leur initiative et pour l'élaboration de solutions politiques nouvelles, qui peuvent faire concurrence au projet, destiné à obtenir plus de succès à cause de sa majeure organicité, dirigée par Manin. Les expériences démocratiques comme celle du Comité Latino ou les tentatives de relance bonapartistes comme celui fait par les murattistes conditionnèrent l'articulation de la future Société Nationale, dont l'idéologie influencé par la pensée de Gioberti a été étudiée grâce aux correspondances entre les italiens exilés en France. Il ne s'agissait pas d'une simple répétition des théories contenues dans le Rinnovamento, mais au contraire d'un travail de synthèse opéré par Giorgio Pallavicino Trivulzio, trait d'union entre Turin et nombreux exilés italiens à Paris ainsi que compagnon de Manin dans la construction de cette nouvelle entité politique. La collaboration entre Manin et Pallavicino Trivulzio dans la consolidation de l'idée politique de la Société Nationale et dans la propagation de sa réflexion représente un autre aspect pris en compte par cette recherche, visant à identifier les différentes âmes de l'organisation notamment après le saut qualitatif représenté par l'entrée dans le groupe de Giuseppe La Farina. Il fut ce dernier à transformer le parti naissant d'une machine de propagande et de mobilisation efficace en faveur de la cause italienne en une organisation structurée ouverte à l'adhésion de secteurs plus larges de la population, avec des comités locaux coordonnés par un comité central à Turin, équipée d'un organe de presse officiel et orientée, dans la mesure du possible, vers une idéologie unifiée, en faisant de la Société Nationale un proto-parti politique.
Dottorato di ricerca in Scienze e tecnologie per la gestione forestale e ambientale ; La definizione di biodiversità può avere diverse interpretazioni, ma generalmente con questo termine si indica l'insieme delle specie presenti in un ecosistema: ad una maggior numero di esse, corrisponde una maggiore stabilità del sistema. A livello di specie, la biodiversità è principalmente correlata alle differenze genetiche tra individui; un ricco patrimonio genetico intra-specifico garantisce un ampio spettro di risposte alle pressioni ambientali. D'altro canto, popolazioni con scarsa biodiversità genetica tendono a rispondere in maniera univoca a condizioni di stress, dunque presentandosi più vulnerabili ad essi. Questo fenomeno è particolarmente enfatizzato in contesti di pressione antropica e climate change, specialmente a scala regionale o locale. Individui, popolazioni ed ecosistemi sono strettamente collegati tra loro, ed interagiscono nel mantenimento degli equilibri dei macro sistemi, sia paesaggistici, che socio-economici. Di conseguenza, il mantenimento della biodiversità deve essere garantita attraverso misure attive di conservazione implementate dalle più recenti ed innovative tecniche e politiche di settore. Per molte specie forestali, questo significa sollecitare la sensibilità sullo sviluppo di nuovi ed efficienti strumenti operativi da integrare con le tradizionali strategie di gestione, ad esempio la conservazione in situ ed ex situ del patrimonio forestale. Considerando queste premesse, un tale strumento potrebbe certamente essere identificato nella definizione e delimitazione delle Regioni di Provenienza, promosse dall'Unione Europea attraverso la Direttiva 105/99. I principali metodi finora utilizzati si riferiscono all'utilizzo di parametri ecologici (pedologici, fitoclimatici, ecc.), come descrittori di contesti ecologici omogenei a livello spaziali, quindi identificanti eco provenienze per ogni specie forestale come conseguenza della differenziazione evolutiva secondo i principi della selezione naturale. Tali eco regioni forniscono un quadro di sintesi relativo ad un territorio che, suddiviso in aree ecologicamente omogenee, garantisce l'identificazione dei soprassuoli idonei dai quali prelevare il materiale di propagazione di base, ossia coni, frutti e sementi, parti di piante ottenute da propagazione agamica, embrioni, ecc. Tra i soprassuoli vengono anche contemplati i cosiddetti boschi da seme, le piantagioni, il materiale parentale derivante da incroci, nonché i cloni. Ad oggi molti Paesi dell'Unione Europea hanno promosso dei metodi per determinare le Regioni di Provenienza, basandosi principalmente sulla suddivisione del territorio secondo criteri chimico-fisici; questa scelta è intrinsecamente motivata dal fatto che di tali parametri si ha un ricco database informativo derivante dai molti anni di studio del territorio. Come risultato, ogni Paese ha delimitato con rigidi confini le proprie zone ecologicamente omogenee. Tale approccio rappresenta sicuramente un primo passo fondamentale nel soddisfare appieno i requisiti presenti nella Direttiva 105/99, per quanto uno studio più approfondito viene incoraggiato per identificare le Regioni di Provenienza per ogni specie forestale. Alcuni Paesi come la Francia, la Spagna o la Germania stanno lavorando in questa direzione da circa 15 anni, mentre l'Italia è ancora qualche passo indietro. In particolare, la posizione italiana è anche condizionata dal regime giuridico che demanda le competenze in tema di ambiente dal governo centrale alle Regioni. Il risultato è che la suddivisione del territorio italiano in Regioni di Provenienza per le specie forestali è ancora incompleto o fermo allo stadio preliminare. Lo scopo principale di questo lavoro è stato, quindi, l'applicazione del metodo ampiamente utilizzato in Europa, adeguatamente arricchito con nuovi parametri chimico-fisici e fitoclimatici, per definire le Regioni di Provenienza valide per le specie forestali della Regione Lazio. Un primo passaggio ha interessato la raccolta e l'analisi dei dati presenti circa la caratterizzazione territoriale, in modo da poter selezionare le variabili ecologiche ed ambientali maggiormente rappresentative nel definire delle eco provenienze. Successivamente, in accordo con l'Allegato I della L.R. 39/2002, 28 specie di interesse forestale sono state scelte e mappate sul territorio. Tra queste, 10 specie sono state descritte con una puntuale carta della distribuzione, mentre per le rimanenti 18 specie un areale quantitativo è stato ricostruito dalle informazioni raccolte secondo un criterio di presenza/assenza applicato ad una scala 1:10000. A causa della necessità di identificare dei boschi da seme per queste specie, tali per cui vi fossero già delle condizioni di tutela a livello legislativo, solo la superficie forestale regionale che insiste all'interno delle aree protette è stata presa in considerazione. Un dossier cartografico di 432 mappe è stato realizzato a partire dalle informazioni precedentemente illustrate e correlato con delle informazioni di carattere statistico circa l'estensione ed il numero di siti per ogni specie, per ogni area protetta del Lazio. Allo stesso tempo, uno studio pilota è stato condotto sul pino domestico (Pinus pinea L.) in modo da completare il processo richiesto dalla Direttiva Europea e giungere dall'individuazione delle Regioni di Provenienza fino alla selezione dei soprassuoli candidati ad essere inseriti nel Registro regionale dei Boschi da Seme. Lo sviluppo di questa parte del lavoro ha richiesto un monitoraggio di tutte le principali pinete litoranee laziali, con la raccolta delle informazioni di carattere strutturale e dendrometrico. I risultati hanno composto un ulteriore dossier cartografico, questa volta dedicato al pino domestico, con informazioni relative alle singole pinete studiate. La sovrapposizione della distribuzione puntuale del pino domestico con la carta precedentemente realizzata delle Regioni di Provenienza, o più precisamente "Regioni di Raccolta", unitamente alle considerazioni derivanti dalle indagini in campo, ha permesso di identificare due zone (denominate "Litorale" e "Lauretum caldo") dalle quali sono stati scelti rispettivamente i boschi di Castelporziano e della Foresta Demaniale del Circeo come migliori candidati a boschi da seme. Di questi soprassuoli sono state altresì redatte delle proposte di gestione, da indirizzare all'Assessorato all'Ambiente della regione Lazio, in modo da completare le linee guida per la conservazione, amministrazione e certificazione del materiale di base da utilizzare nei piani di restauro ambientale o di rimboschimento. Infine, la multidisciplinarietà del presente lavoro ha offerto degli spunti di indagine paralleli ma strettamente inerenti le problematiche descritte in precedenza, che hanno condotto a delle ulteriori sperimentazioni confluite in altrettante pubblicazioni di carattere internazionale. In particolare, prendendo spunto dalle metodologie impiegate per la definizione delle Regioni di Provenienza secondo parametri chimico-fisici, è stata testata la possibilità di giungere ad un simile risultato partendo però dall'analisi di alcune risposte biologiche. In tal senso, uno studio ha interessato l'utilizzo combinato della dendroecologia e dell'attività fenologica delle foreste laziali per arrivare alla delimitazione di quattro Regioni di Provenienza, attraverso le analisi PCA e di cluster, basate solo sulle risposte bioclimatiche. Per la caratterizzazione dendroecologica dei soprassuoli forestali si è fatto riferimento ad una network che ha il faggio come specie pilota, mentre i modelli fenologici sono stati quantificati utilizzando il segnale espresso dall'attività fotosintetica attraverso l'NDVI (Normalized Difference Vegetation Index). Attraverso uno studio da remoto con sistemi GIS si è ottenuto una corrispondenza tra risposte dendroecologiche e fenologiche tale per cui è stato possibile delimitare delle Regioni di Provenienza basate sulla risposta delle piante al clima. Un secondo approfondimento ha interessato la possibilità di includere in un innovativo strumento operativo per il rimboschimento ed il restauro ambientale, i principi teoretici alla base delle Regioni di Provenienza. Tale tecnica di rimboschimento è stata identificata nel metodo Miyawaki, la quale, mai testata in Europa, è stata oggetto di indagine per verificarne la reale efficacia nel contesto Mediterraneo. L'esperimento è stato condotto in Sardegna ed i risultati incoraggiano l'uso di tale metodo nel nostro contesto ambientale, in particolare perché risponde appieno alle raccomandazioni circa il reperimento del materiale di base della Direttiva Europea, inoltre, è stato verificato come il suo utilizzo possa essere efficace anche in zone dove le tradizionali tecniche di rimboschimento hanno fallito in precedenza. I principali vantaggi interessano il mantenimento di un alto tasso di biodiversità rispetto ai tradizionali metodi e la capacità delle cenosi vegetali che vengono a costituirsi di evolversi senza l'intervento assistito dell'uomo. Questo si traduce in un'interessante riduzione del costo di gestione dei siti rimboschiti, oltre ad una possibilità operativa aggiuntiva per tutti gli esperti di settore che operano nell'ambiente Mediterraneo. ; The definition of biodiversity can have many interpretations, but generally refers to the amount of species occurring in an ecosystem: more species, greater stability. At species' level, biodiversity is mainly related to the genetic differences between individuals; a rich intra-specific gene pool means a wide range of responses to environmental strains. On the other hand, populations with low genetic diversity tend to respond evenly to stress conditions, thus having more difficulties to face currently growing disturbances driven by anthropic pressure and climate change, especially on local and regional scales. Individuals, populations and ecosystems are tightly linked and interact to maintain landscape stability, large socio-economic systems and man's health. As consequence, biodiversity maintenance should be carried out with active conservation measures implemented with the most recent progress in techniques and policies. For forest species, this implies awareness of the availability of new and efficient tools to comply with traditional strategies, such as tree populations management at their natural sites within the environment to which they are adapted (in situ) and artificial, but dynamically evolving populations, elsewhere (ex situ). Under these circumstances an operative tool could certainly be the definition and delimitation of Regions of Provenance, promoted by the European Directive 105/99. The main methods involved the use of ecological parameters (e.g. pedological, phytoclimatic), presumed to be homogeneous within each area, thus identifying ecoprovenances for a species as a consequence of evolutionary differentiation according to the effects of natural selection. They provide a framework for specifying sources of forest reproductive material, i.e. cones, fruits and seeds, all parts of plants obtained by vegetative propagation, including embryos and plants produced from any of these. The plant material from which the forest reproductive material is derived includes seed stands, seed orchards, parent material held by tree breeders in archives, individual and mixtures of clones. Nowadays, many European countries are promoting methods to detect Regions of Provenance, mainly based on chemiophysical parameters, because of the data availability across years of land monitoring. As result, each country has been divided in several ecologically homogeneous sub-zones, with fixed boundaries. This could be represent a preliminary approach to full-fill the Directive's requirements, but a deeper study is encouraged to focus on each forest species for which Regions of Provenance are required. Some countries, as France, Spain or Germany are working since 15 years to provide these results, while Italy is still many steps backward. In particular, the Italian position is partially due to its jurisdiction that devolve power in terms of environmental policy from the central Government to the Regional departments. As consequence, the definition of Regions of Provenance in our country is still incomplete and in many cases at preliminary stages. In the present work, the main goal was to assess a method based on ecological parameters, like in other European scenarios, to define and delineate Regions of Provenance for Latium in order to establish seed stands for selected forest species. A first step regarded data collection and analysis to create the set of most representative chemiophysical variables to point out ecoprovenances; than, distribution ranges of 28 forest species listed as natural and/or autochthonous for Latium have been obtained from remote analysis of cartographic dataset or from previous studies. During this process, 10 species were fully mapped, and for the remaining 18 species quantitative ranges were performed at 1:10000 scale level, with information on presence/absence. Because of the need to identify seed stands of these species that could also benefit from legislative pre-existing conditions, only forest surface within protected areas was taken into account. Totally, a cartographic dossier of 432 maps was produced with information about the number of sites and hectares for study species in each protected areas of Latium. At the same time, a case study was afforded to complete the process from the definition of Regions of Provenance up to seed stands identification. Domestic pine (Pinus pinea L.) stands across Latium coasts were monitored. Forest stands were mapped, dendrometric and structural characteristics were recorded during field surveys and detailed information about each stand were summarized in a specific map set. Overlapping distribution range of domestic pine to the Regions of Provenance previously performed, two zones were identified as containing all the stands and another one was added because of the occurrence of one population on the buffer zone. Finally, two pine forests were chosen as candidate to become seed stands, in order to get one stand for each Region (Castelporziano for Region 12 "Litorale", and Foresta del Circeo for Region 9 "Lauretum caldo"). Forest management proposals were also carried out for these forests, to accomplish guide lines for the Envirnomental Directorate of Latium in order to perform the best practices to protect and maintain seed stands and provide certified base material for reforestation programs. Moreover, mutual points of interest risen up during this work gave the chance to delve into the present methodologies and theoretical ideas in order to approach innovative and practical tools, that could be considered as advanced experiments. In particular, a first investigation point out the use of combined dendroecological and phenological analysis to define Regions of Provenance by biological parameters. Previous dendroclimatic research demonstrated the relationship between plant growth and climatic parameters; in Latium, similar bioclimatic responses from different forest stands growing at similar elevations were statistically grouped into three homogeneous altitudinal belts using principal component analysis and hierarchical cluster analysis. Phenological patterns of forest species were quantified using the photosynthetic activity signals expressed in the normalized difference vegetation index (NDVI). Through a beech tree-ring network, NDVI was compared with dendroecological results using Geographical Information System analysis, obtaining high correspondence in overlapping, and underlying the relevance of altitude as a main factor defining homogeneous spatial vegetation dynamics, thus delimiting ecological Regions of Provenance based on tree responses to climate. At the same time, a tentative study was assessed to find a reforestation approach that include in its theoretical principles the concept of Region of Provenance as an ecologically homogeneous well-delimited zone. The effectiveness of the Miyawaki method, never tested in Mediterranean environments was experimented in Sardinia, and point out the possibility to adopt sustainable techniques in principle with the declarations of the European Directive 105/99, in sites where traditional reforestation approach failed. The Miyawaki method has been applied in the Far East, Malaysia, and South America; results have been very impressive, allowing quick environmental restorations of strongly degraded areas. However, these applications have always been made on sites characterized by high precipitation, but never in context with summer aridity and risk of desertification. Results obtained 2 and 11 years after planting are positive: having compared the traditional reforestation techniques, plant biodiversity using the Miyawaki method appears very high, and the new coenosis (plant community) was able to evolve without further operative support after planting. Therefore, the implementation of supplementary technique along with cost reduction might provide a new and innovative tool to foresters and ecological engineering experts for Mediterranean environmental reforestation program.
La tradizione manoscritta del volgarizzamento del «Liber de doctrina dicendi et tacendi» di Albertano da Brescia La tesi affronta lo studio della tradizione manoscritta di tre versioni anonime italiane (tra cui due inedite) del volgarizzamento del De doctrina dicendi et tacendi (1245) di Albertano di Brescia (inizio del XIII secolo - Brescia, 1270 ca.). L'opera del giudice bresciano è un trattato retorico e morale che ha goduto di immediato successo e diffusione nel Medioevo, sia in Italia che in Europa, come dimostrano le sue numerose traduzioni in diverse lingue romanze. Tra queste, il primo volgarizzamento a noi noto è quello attribuito ad Andrea da Grosseto, che tradusse i trattati morali di Albertano nel 1268, in Francia, imitato, a distanza di pochi anni, dal notaio pistoiese Soffredi del Grazia. Tra le altre versioni, ne ricordiamo anche una fiorentina (della fine del XIII secolo), una pisana (1287-8) e tre volgari anonime, di cui due pubblicate per la prima volta in questa sede. Ad oggi, il quadro della tradizione manoscritta del "Liber de doctrina dicendi et tacendi" rimane poco chiaro. Già Segre e Marti, nel 1959, sottolineavano che gli studi sui rapporti tra i vari volgarizzamenti del lavoro di Albertano erano insufficienti. In particolare, l'assenza di una distinzione tra le diverse redazioni italiane e, soprattutto, di un'edizione delle versioni anonime fondata su criteri scientifici ha a lungo impedito il confronto con le altre versioni italiane ed europee. La prima metà di questo lavoro si propone di inquadrare le versioni italiane del trattato nel loro contesto storico e di commentarle dal punto di vista culturale, letterario e linguistico. Nell'introduzione ai testi si è tentato, per quanto possibile, di tracciare un quadro del Fortleben europeo dell'opera di Albertano. L'indagine si è soffermata, in particolare, sulla traduzione del trattato ad opera di Brunetto Latini; la collazione tra la versione francese del "Liber" inglobata nel "Tresor" e i volgarizzamenti toscani evidenzia errori e innovazioni comuni, che suggeriscono l'esistenza di una parentela. Dal punto di vista letterario, questo lavoro considererà lo sviluppo dei temi del silenzio e della consolatio come possibili remedia per sanare il conflitto interiore dal trattato di Albertano fino alle opere di Petrarca. Dal punto di vista linguistico, si valorizzerà l'imprescindibile contributo dei volgarizzamenti del "Liber" alla fondazione della prosa italiana, paragonabile a quello dei tre Canzonieri della lirica delle origini, che ha segnato l'inizio della nostra tradizione poetica. La seconda parte di questa tesi è dedicata allo studio della tradizione manoscritta del volgarizzamento del trattato, che ha permesso di arricchire il censimento del 2011 di tre nuovi manoscritti e di ricostruire le relazioni stemmatiche tra i suoi testimoni. Lo studio dei testi trasmessi da questi manoscritti ha permesso di rischiarare alcune zone d'ombra riguardanti i rapporti che intercorrono tra le versioni volgari, e di identificare almeno tre diverse versioni anonime: la «Vulgata», una versione abbreviata, trasmessa da ventinove manoscritti, che privilegia il messaggio morale e gnomico del trattato a discapito della precettistica retorica; l'«Integrale», una versione completa più fedele alla fonte latina, testimoniata da cinque manoscritti; la «Composita», apparentemente più tarda rispetto alle precedenti, trasmessa anch'essa da cinque testimoni. Per ogni versione si è tracciato uno stemma codicum e pubblicato un testo rappresentativo, al fine di fornire un'analisi linguistica necessaria a stabilire le relazioni che collegano queste versioni tra loro e, se possibile, la loro origine. ; The manuscript tradition of the «Liber de doctrina dicendi et tacendi» by Albertanus of Brescia in the Italian vernacular This thesis deals with the study of the manuscript tradition of three anonymous Italian versions (including two unpublished) of the vulgarisation of the De doctrina dicendi et tacendi (1245) by Albertanus of Brescia (beginning of the 13th century - Brescia, around 1270) and aims to publish the critical edition of these versions. The work of the Lombard Judge is a rhetorical and moral treatise that has enjoyed immediate success and diffusion in the Middle Ages, both in Italy and in Europe, as it can be proved by its many translations into several Romance languages. Among them, the first vulgarisation that we know is the one attributed to Andrea da Grosseto, who translated the moral treatises of Albertanus in 1260, in France; his work was followed by another translation, accomplished by the notary of Pistoia Soffredi del Grazia. Among other translations, we also recall one Florentine version (late Thirteenth century), one pisane (1288), and three anonymous vulgar versions, two of which published here for the first time. Previously, the framework of the manuscript tradition of the "Liber de doctrina dicendi et tacendi" was very nebulous. As already pointed out by Segre and Marti in 1959, studies concerning the relations among the various Italian vulgarisations of Albertanus's work were insufficient. In particular, the absence of a distinction between the different Italian versions and, especially, of an edition of the anonymous ones, based on scientific criteria, has long prevented comparisons with other Italian and European versions. The first part of this work aims to frame the Italian versions of the treatise in their context and to comment on them from the cultural, literary and linguistic point of view. In this introduction to the texts, an attempt has been made to bring together the results of the inquiry into the European heritage of Albertanus's book, related to the popularisation of Latin and French rhetorical and moral treatises. The comparison also concerned the translation of the treatise by Brunetto Latini. The collation between the French version of the Liber included in the Tresor and the Tuscan vulgarisations highlighted common errors and innovations, which suggest the existence of a relation. From the point of view of the literary heritage, this work will examine the themes of silence and consolatio considered as possible remedies to heal the inner conflict, from Albertanus's treatise to Petrarch's works. From a linguistic point of view, the indispensable contribution of the vulgarisations of the "Liber" to the founding of the Italian prose, comparable to that of the three Canzonieri, which marked the beginning of the vulgar poetic tradition, will be highlighted. The second part of this thesis is devoted to the study of the manuscript tradition of the vulgarisation of the treatise, which allowed to enrich the 2011 census with three new manuscripts and to reconstruct the stemmatic relations among its witnesses. The examination of the texts has led to clarify areas of shadow concerning the relations among the vulgar translations and to identify at least three different anonymous versions: the «Vulgate», a shortened version, transmitted by twenty-nine manuscripts, which privileges the moral and gnomic message to the detriment of its rhetorical content; the «Integral», a complete version more similar to the Latin text, testified by five manuscripts; the «Composite», apparently subsequent to the previous ones, also transmitted by five witnesses. For each version, a stemma codicum was drawn and a representative text was published, in order to carry out a linguistic analysis necessary to establish the relations which connect these versions and their origin. ; La tradition manuscrite du « Liber de doctrina dicendi et tacendi » d'Albertano da Brescia dans les vulgaires italiens Cette thèse porte sur l'édition et l'étude de la tradition manuscrite des trois rédactions (dont deux inédites) de la « vulgarisation » (« volgarizzamento ») du De doctrina dicendi et tacendi (1245) d'Albertano da Brescia. L'oeuvre du Juge lombard est un traité rhétorique et moral qui a connu un immédiat succès de public au Moyen Âge, à la fois en Italie et en Europe, comme le prouvent ses nombreuses traductions dans plusieurs langues romanes. Parmi elles, la vulgarisation la plus ancienne que nous connaissons est celle attribuée à Andrea da Grosseto, qui traduisit les traités moraux d'Albertano en 1268, en France ; son travail fut suivi par celui du notaire de Pistoia Soffredi del Grazia, qui prépara une seconde traduction. Parmi les autres traductions, nous rappelons également une version florentine (fin du XIIIe siècle), une pisane (1288, transmise par le manuscrit connu comme « Bargiacchi »), et trois rédactions vulgaires anonymes, jusqu'à aujourd'hui inconnues, dont ce projet vise à publier les textes. Auparavant, le cadre de la tradition manuscrite de la vulgarisation du Liber de doctrina dicendi et tacendi était peu clair. Comme l'avaient déjà souligné Segre et Marti en 1959, les études concernant les relations entre les vulgarisations italiennes de l'oeuvre d'Albertano étaient insuffisantes. En particulier, l'absence d'une distinction circonstanciée entre les différentes rédactions et, notamment, d'une édition des rédactions anonymes fondée sur des critères scientifiques a longtemps empêché la comparaison avec les autres versions italiennes et européennes. La première partie de ce travail vise à resituer les versions italiennes du traité dans leur contexte et à les commenter du point de vue culturel, littéraire et linguistique. Dans cette introduction aux textes, on a essayé de réunir les résultats de l'enquête sur la fortune européenne du livre d'Albertano, mise en rapport avec les vulgarisations du latin au français de traités rhétoriques et moraux, parmi lesquelles la traduction du "De doctrina" peut s'inscrire. La comparaison a concerné aussi la traduction du traité faite par Brunetto Latini. La collation entre la version française du Liber de doctrina dicendi et tacendi comprise dans le "Tresor" (II, LXI-LXVII) et les vulgarisations toscanes a mis en relief des fautes et des innovations communes, qui laissent supposer l'existence d'une parenté. La présence, dans l'oeuvre de Brunetto, de choix lexicaux et de syntagmes absents dans le texte latin et cependant repérables dans une version toscane du traité est une nouveauté très intéressante. Sur la base de ces leçons alternatives, on a pu bâtir un raisonnement génétique et postuler un lien entre la version de Brunetto et la traduction effectuée par Andrea da Grosseto. Du point de vue de l'héritage littéraire, on examinera les thèmes du silence et de la consolatio considérés comme de possibles remèdes pour guérir le conflit intérieur, à partir du traité albertanien jusqu'à Pétrarque. On analysera d'abord les similarités et les différences entre les approches des deux auteurs du conflit intime : d'une part, un projet pédagogique qui s'adresse aux citoyens de la ville, de l'autre, la quête de l'ataraxie et de la solitude, à l'abri des dangers que la ville et sa perniciosa occupatio peuvent présenter, avec la seule compagnie des grands hommes du passé, interlocuteurs privilégiés d'un méditatif silentium animi. Sous l'aspect linguistique, le dernier chapitre de la première partie mettra en évidence l'apport indispensable des vulgarisations du Liber à la fondation de la prose italienne des origines, surtout du côté lexical, comparable à celle des trois Canzonieri qui marquent le début de la tradition poétique vulgaire. La deuxième partie de cette thèse concerne l'étude de la tradition manuscrite de la vulgarisation du traité, qui a permis d'enrichir le recensement du 2011 avec trois nouveaux manuscrits (dont un, le manuscrit MA 465 de la Bibliothèque Angelo Mai de Bergamo, bilingue) et de reconstruire les relations stemmatiques parmi ses témoins. L'examen approfondi des textes a permis d'éclaircir certaines zones d'ombre qui concernent les rapports entre les rédactions vulgaires et d'identifier au moins trois versions anonymes différentes : 1) la « Vulgate », une version « abrégée », transmise par vingt-neuf manuscrits, dont celui du Collège d'Espagne de Bologne n'avait jamais été recensé auparavant. Il s'agit d'une version qui privilège le message moral et gnomique au détriment de son contenu rhétorique, en flattant le goût médiéval pour la brièveté et la condensation aphoristique. 2) L' « Intégrale », une version complète et plus fidèle au texte latin, dont nous avons cinq manuscrits.3) La « Composite », remaniement transmis par cinq témoins, apparemment plus tardive et caractérisée par l'attribution de certaines citations à des auctoritates différentes de celles utilisées dans le texte-source latin. Cette version garde seulement le prologue et le premier livre du traité : la deuxième partie du texte semble provenir de Liber de Amore et Dilectione Dei d'Albertano, mélangé avec le Liber de doctrina et d'autres sententiae. Enfin, la structure cicéronienne des circumstantiae locutionis (bien qu'annoncée dans le prologue et présente dans le modèle latin) disparaît complètement dans cette rédaction. Pour ce qui concerne cette version, le recensement a été enrichi d'un autre témoin, le ms. 1004 de la Bibliothèque Universitaire de Padoue. Pour chaque version, on a essayé de tracer un stemma codicum en choisissant un certain nombre de loci critici, à partir desquels on a pu effectuer une collation de tous les témoins et publier au moins un texte représentatif, afin d'effectuer une analyse linguistique, textuelle et macrotextuelle nécessaire pour établir les rapports qui lient ces versions et, si possible, leur origine.
La presente tesi non è solo l'esito di una ricerca su un precetto giuridico controverso, ma è anche la narrazione di un processo personale di scoperta, che a partire dallo studio di una specifica norma ha fatto emergere la complessità delle interazioni nell'ambito delle politiche in materia penale, economica, e finanziaria. Partendo da un approccio microsociologico focalizzato sull'analisi di una determinata norma penale, il reato di riciclaggio,1 la ricerca ha dovuto confrontarsi con temi di interesse macrosociologico, al fine di inserire l'analisi della legge all'interno di un contesto più ampio di politiche nazionali, europee e internazionali, di attori e di governance transnazionale. Per mantenere la scientificità dell'elaborato ho omesso di esprimere opinioni personali sui temi, talvolta di carattere fortemente politico, e ho cercato, invece, di presentare aspetti critici e discussioni aperte fornendo una visione completa e imparziale delle contrastanti argomentazioni in modo da lasciare il lettore libero di trarre le proprie conclusioni. Il riciclaggio di denaro sporco è il processo tramite cui a proventi di reati viene data un'apparenza di essere stati guadagnati in modo illecito. È un reato tipico della cosiddetta 'zona grigia', poiché avviene al confine tra la sfera della legalità e quella dell'illegalità. Nel momento in cui profitti realizzati illecitamente si mescolano ai flussi di denaro lecito è molto difficile discernere ciò che ha un'origine legale da ciò che è stato guadagnato illegalmente. Il reato di riciclaggio di denaro sporco è stato introdotto proprio per affrontare questa difficoltà ed impedire che le strutture legittime dell'economia e della finanza globale venissero abusate da trasgressori al fine di ripulire i proventi di reato. Infatti i flussi di denaro sporco utilizzano spesso gli stessi canali usati per le transazioni lecite; la loro riuscita dipende dalla cooperazione di professionisti quali avvocati commerciali, agenti finanziari, commercialisti, la cui reputazione è raramente sospetta. Data questa promiscuità spesso la gravità del fenomeno è sottovalutata dal pubblico che non ha gli strumenti per riconoscerne la pericolosità, anche a causa dell'assenza di vittime dirette. Dall'altra parte le stime sulla quantità di proventi di reato riciclati a livello mondiale (che oscillano tra il 2,5 % e il 5,5 % del PIL globale) richiamano l'attenzione su quella che Dalla Chiesa definisce la mitologia del volume dell'economia criminale,2 e una parte della letteratura descrive il riciclaggio come il lato oscuro della globalizzazione,3 e come uno dei maggiori problemi dell'era moderna.4 Con questa ricerca ho voluto mettere in discussione l'efficacia del reato di riciclaggio nel far fronte al fenomeno dell'infiltrazione dei flussi di denaro sporco nell'economia lecita. Sebbene la pratica di nascondere i proventi di reato in modo da evitare la persecuzione giudiziaria risalga probabilmente a molto tempo addietro, il concetto giuridico di riciclaggio è relativamente recente ed è stato introdotto nei codici penali nella maggior parte del mondo a partire dalla fine degli anni 80.5 Nel frattempo un gran numero di autori si è scagliato contro la scarsa efficacia delle legislazione anti-riciclaggio6, nonostante le innumerevoli novità introdotte e i cospicui ammendamenti che hanno in larga parte espanso il campo di applicazione della normativa. La decisione di scegliere il contesto tedesco come caso di studio deriva dal fatto che il paese è considerato avere un rischio particolarmente alto di riciclaggio di denaro sporco. Secondo il rapporto emesso dal 2010 dal GAFI (Groupe d'Action Financière), dal FMI (Fondo Monetario Internazionale) e dall'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico)7 ci sono alcuni fattori che rendono la Germania propensa ad essere usata al fine di riciclaggio di denaro sporco: il volume del sistema economico-finanziario, la locazione strategica al centro dell'Unione Europea con forti legami internazionali, l'uso diffuso di denaro contante,8 l'apertura delle frontiere, la vastità del settore informale, l'importante ruolo a livello di economia globale, e il coinvolgimento nei flussi di denaro transfrontalieri. Anche i media, a partire soprattutto dalla pubblicazione del citato rapporto, hanno attirato l'attenzione del pubblico sul fenomeno, descrivendo la Germania come "paradiso" o "Eldorado" per i riciclatori. Alcuni recenti scandali hanno visto coinvolte prominenti banche tedesche, come la Deutsche Bank, la Commerybank e l'Hyopovereinsbank, contro cui procure straniere hanno sollevato l'accusa di riciclaggio di denaro sporco.9 La legislazione in atto, ed in particolare l'articolo 261 del codice penale tedesco, non sembra essere sufficientemente efficace per contrastare il fenomeno, nonostante gli abbondanti emendamenti e il continuo processo di aggiornamento e di espansione del campo di applicazione della norma. Al fine di spiegare questa per lo meno apparente incapacità della norma di fare fronte al fenomeno del riciclaggio, ho costruito l'ipotesi di ricerca sulla base delle teorie sociologico-giuridiche relative all'efficacia del diritto, alle funzioni manifeste e latenti delle norme e quindi alle intenzioni espresse e non dal legislatore, all'efficacia simbolica del diritto e di singole legislazioni e all'impatto, inteso come comprensivo degli effetti indesiderati o collaterali. L'ipotesi di ricerca è che la norma esplichi una funzione simbolica di allineamento dell'ordinamento nazionale a quello europeo e transnazionale, di compromesso tra gli interessi politici in gioco, e di creazione di consenso pubblico verso il legislatore per essersi occupato della questione. Si ipotizza che il legislatore abbia quindi consapevolmente accettato o addirittura scelto di formulare una norma strumentalmente poco efficace, ma simbolicamente capace di raggiungere i suoi obiettivi latenti. Si solleva inoltre l'ipotesi che la norma sia stata appositamente approvata con lo scopo di non modificare lo status quo delle relazioni e strutture economiche, e di permettere quindi l'ingresso di capitali sporchi nel paese, sulla base del motto pecunia non olet. La suddetta ipotesi viene parzialmente smentita dai risultati della ricerca empirica. La ricostruzione del processo di produzione legislativa mette in risalto l'esistenza di svariati e contrastanti interessi e della forte pressione esercitata dagli organismi internazionali per l'introduzione e lo sviluppo del reato di riciclaggio, e conferma, quindi, l'argomentazione che la norma sia stata approvata in un contesto di pressione politica esterna e di necessità di trovare un compromesso tra diverse parti politiche. Anche l'analisi degli aspetti problematici dell'articolo 261 del codice penale tedesco messi in risalto dalla dottrina supporta l'ipotesi della simbolicità della norma. Il fatto che il legislatore abbia formulato un reato così complesso crea evidenti problemi di integrazione dello stesso all'interno del sistema penale tedesco, e quindi di accettazione da parte degli studiosi e potenzialmente da parte degli operatori del diritto. Inoltre, la scelta di costruire un reato così complesso riflette la necessità di venire a compromesso con opposti interessi, ma potrebbe essere anche essere interpretata come un disinteresse al raggiungimento di un'efficacia materiale. La ricerca empirica sull'implementazione dell'articolo 261, invece, smentisce l'idea che la norma abbia un'efficacia puramente simbolica. Infatti il numero di condanne, di investigazioni, ed in generale l'uso ricorrente della legge riscontrato nelle statistiche criminali provano che essa conduca ad effetti strumentali, oltre che simbolici. Inoltre, nella prospettiva di alcuni degli operatori del diritto e degli esperti intervistati, l'articolo 261 è percepito come una norma particolarmente efficiente, sia in relazione alle quote di chiarimento, che come strumento di demarcazione tra comportamenti leciti e illeciti, in un contesto di deregolamentazione del settore finanziario. Da un'analisi piè ravvicinata delle statistiche e di altri rapporti emessi da enti internazionali e nazionali emerge però un quadro non così univoco: La norma sembra colpire più le vittime dei network criminali che operano a livello transnazionale che gli autori, perché spesso i colpevoli sono coinvolti in transazioni sospette in cambio di guadagni monetari. Le cospicue indagini finanziarie non riescono a raggiungere coloro che operano dietro gli esecutori dei reati minori, ed infatti la maggior parte di esse si concludono senza una condanna per riciclaggio. Questo a fronte di un volume di denaro sporco circolante nel paese che rimane allarmante, secondo alcuni degli studi analizzati. Se da una parte i risultati dell'applicazione della norma, sebbene strumentali, non possono considerarsi soddisfacenti, perché non sono riusciti ad evitare l'ingresso di capitali illeciti nell'economia nazionale, dall'altra parte sembra che l'esistenza di interessi profondamente contrastanti in gioco renda quasi impossibile la formulazione di un reato piè efficace. La tesi è composta da cinque capitoli, un'introduzione e una conclusione. Nel primo capitolo espongo le teorie sociologiche adottate per la valutazione di efficacia della norma e il metodo della ricerca. Inizialmente richiamo concetti di efficacia forniti da discipline affini alla sociologia del diritto - tra cui per esempio il concetto di efficienza e di efficienza indipendente rispetto allo scopo (zielunhabhängige Effizienz) riferito agli apparati amministrativi - che torneranno utili per l'interpretazione dei risultati delle interviste. Successivamente procedo con una panoramica sulle definizioni di efficacia del diritto fornite in sociologia del diritto, sulla ci base adotto una nozione "elastica" -riprendendola da Ferrari- di efficacia di una norma che guarda alle funzioni della norma e alle intenzioni del legislatore, in una prospettiva "intenzionalistica": "la corrispondenza fra un disegno politico di utilizzo di uno strumento normativo e i suoi effetti". Tale nozione, oltre a prestarsi ad un'analisi critica del diritto, fornisce indicazioni utili per l'analisi empirica dell'efficacia della legge in questione. In particolare ritengo utile considerare le seguenti variabili: le intenzioni latenti e manifeste del legislatore, gli scopi diretti e ed indiretti, l'eventuale efficacia simbolica del diritto, l'implementazione, la ricezione della norma nel senso di accettazione nel sistema giuridico e di interpretazione e percezione da parte degli operatori giuridici. Nella seconda parte si evidenzia il rilievo di tali variabili con riferimento specifico al diritto penale. In conclusione, sulla base delle riflessioni teoriche, formulo l'ipotesi sull'efficacia simbolica del reato di riciclaggio nell'ordinamento tedesco, che verrà poi verificata nei capitoli successivi. Nello specifico, presumendo che il reato di riciclaggio, introdotto come strumento fondamentale della lotta alla criminalità organizzata, così com'è formulato non adempie agli scopi dichiarati, nonostante gli innumerevoli emendamenti finalizzati proprio ad aumentarne l'efficacia, ipotizzo un'efficacia simbolica della norma, introdotta per offrire un'immagine di efficienza al pubblico (elettori). Inoltre sollevo l'ipotesi che la norma sia stata emanata appositamente inefficace per neutralizzarne le aspirazioni di punizione delle condotte illecite tipiche dei colletti bianchi, in una lettura moderna del conflitto sociale che avviene tramite l'emanazione di norme, con la volontà di decriminalizzare secondariamente comportamenti tipici delle classi forti. Nel secondo capitolo analizzo il processo legislativo a livello internazionale, europeo e nazionale. Il processo che ha portato alla creazione del reato di riciclaggio a livello internazionale viene ricostruito tramite dichiarazioni di intenti degli attori partecipanti, opinioni pubblicate, trascrizioni dei dibattiti parlamentari. Una particolare attenzione è posta sulle diverse intenzioni degli attori che hanno partecipato alla formulazione del reato. Il processo legislativo che ha portato alla formulazione dell'attuale legislazione anti-riciclaggio è un processo complesso, in cui diversi attori partecipanti hanno contribuito con differenti aspettative e dunque attribuendo diverse funzioni alla criminalizzazione del riciclaggio. Al fine di permettere svariate interpretazioni del dettato normativo in modo da soddisfare i differenti bisogni, e con lo scopo di trovare un compromesso tra gli interessi divergenti, il reato di riciclaggio è stato formulato in modo vago. Mentre alcuni Stati (ad esempio la Francia) inizialmente sostenevano l'introduzione del reato con lo scopo di combattere i paradisi fiscali e rafforzare la lotta all'evasione fiscale, altri Stati, come la Svizzera, hanno accettato di firmare l'accordo internazionale sulla criminalizzazione del riciclaggio solo a condizione che l'evasione fiscale non fosse inserito nella lista dei reati antecedenti. Con la nascita del GAFI la policy viene usata allo scopo di difendere l'integrità del sistema finanziario dall'infiltrazione di capitale illecito e dal 2001 si aggiunge la funzione di lotta al finanziamento del terrorismo. Tramite la soft law emanata dal GAFI per la prevenzione del riciclaggio, si trasferiscono compiti solitamente pubblici al settore privato: banche e istituti finanziari devono segnalare alla polizia ogni transazione sospetta, devono raccogliere e mantenere informazioni sui clienti e verificare le identità dei clienti. L'Unione Europea finora ha emanato quattro direttive nell'ambito del riciclaggio, l'ultima risale al 20 maggio 2015. Inizialmente la CE non aveva competenza in ambito penale, perciò la materia riciclaggio fu assorbita nella sfera economica (DG Economia e industria). La funzione dichiarata dal legislatore è la protezione del mercato interno, con particolare riguardo al fatto che i criminali possano sfruttare la libera circolazione dei capitali e l'eliminazione delle frontiere. Le direttive esprimono anche la volontà di impedire agli stati membri di emanare regolamentazioni che possano bloccare il libero mercato al fine di difendere le proprie economie dall'infiltrazione di capitale illecito. Emerge dunque un ulteriore conflitto di interessi. Nella seconda parte ricostruisco il processo legislativo e le evoluzioni interne alla Germania fino al momento della scrittura e fornisco il quadro del sistema repressivo e di prevenzione anti-riciclaggio. L'articolo 261 StGB è stato introdotto con legge Gesetz zur Bekämpfung des illegalen Rauschgifthandels und anderer Erscheinungsformen der Organisierten Kriminalität, quindi nell'ambito della lotta alla criminalità organizzata. Il dibattito parlamentare rileva che la norma è il frutto di un compromesso sotto diversi aspetti, non ultimo il fatto che è stata emanata del 1992, a pochi anni dalla riunificazione, e che quindi è parte del processo di negoziazione per la formazione di un diritto penale adattabile alle due culture giuridiche. Il legislatore tedesco evidenzia alcune funzioni della norma: la lotta al consumo di eroina e al traffico di stupefacenti, la diffusione e la pericolosità della mafia alla luce dei fatti recenti italiani, la volontà di proteggere l'amministrazione della giustizia e di isolare i criminali puntando alla criminalizzazione dei cosiddetti gate-keepers. Nel terzo capitolo individuo alcuni dei problemi sollevati dalla dottrina tedesca sul piano teorico con riferimento alla criminalizzazione del reato di riciclaggio nel contesto del sistema penale tedesco. Uno dei temi più discussi è relativo al bene giuridico protetto. La dottrina non ha ancora trovato un accordo su quale interesse sia protetto dall'articolo 261 StGB, le ipotesi sono: gli interessi dei reati antecedenti, l'amministrazione della giustizia, il sistema finanziario e la sicurezza. La vaghezza del dettato normativo non aiuta a trovare un interpretazione dottrinale univoca. La questione del bene giuridico protetto, lungi dall'essere una mera questione teorica, risente delle diverse funzioni attribuite alla norma dagli attori partecipanti al processo legislativo. Finora la giurisprudenza, che pur è intervenuta a chiarire altre questioni relative alla norma, non è intervenuta sul tema. Un altro tema su cui il dibattito è ancora aperto è il fatto di aver previsto al comma 5 l'ipotesi di colpa lieve, in controtendenza rispetto al legislatore europeo. Questo, secondo alcuni studiosi porta all'assurdo per cui anche il panettiere Tizio che vende del pane ad un evasore fiscale Caio potendo aver riconosciuto che Caio fosse un evasore, si rende colpevole di riciclaggio. La questione del livello di mens rea richiesto per una condanna per riciclaggio era sorta anche durante il dibattito parlamentare e l'introduzione del comma 5 è stato sostenuto da un emendamento della SPD che avrebbe voluto criminalizzare anche l'ipotesi di colpa lievissima. Questo, secondo la CDU avrebbe messo un freno al mercato e alle transazioni, poiché avrebbe costituito una minaccia per chiunque avesse intrapreso operazioni economiche. Essendo la funzione della norma incerta, la dottrina si divide tra chi sostiene che questa vasta criminalizzazione faccia perdere il senso del reato che sarebbe invece colpire i criminali che agiscono con intento, e chi invece sostiene che la norma abbia lo scopo di impedire qualsiasi infiltrazione di denaro illecito e quindi richieda una responsabilizzazione di tutti colori i quali prendano parte in operazioni finanziarie o economiche. Ancora una volta l'indeterminatezza del precetto legislativo è di ostacolo ad un'interpretazione univoca. Il quarto capitolo offre un'analisi qualitativa delle statistiche officiali sull'implementazione della legge dal 1992 ad oggi da parte delle istanze repressive e di prevenzione. Tra i dati analizzati i più rilevanti sono per esempio il numero di segnalazioni di transazioni sospette ricevuto dalle procure, il numero delle investigazioni condotte, il numero di condanne effettivamente inflitte ed eseguite e per quale delle ipotesi di riciclaggio, il volume di denaro confiscato. Essendo tali numeri indici del funzionamento del sistema penale e non del fenomeno del riciclaggio per sé, in conclusione si confrontano tali statistiche con le stime sul volume di flussi illeciti in Germania. Tale analisi, non potendo dare conto del numero dei reati evitati, sulla base dell'efficacia deterrente della norma, non intende esaurire il giudizio di efficacia della legislazione. Tra i risultati più rilevanti vi sono il fatto che il 60% delle persone condannate vengono condannate per l'ipotesi di colpa lieve, che solitamente consiste in casi in cui una persona poco abbiente ha accettato di far usare il proprio conto a terzi per operazioni sospette in cambio di un guadagno. Nel 5% dei casi le condanne sono inflitte per le ipotesi aggravate di commissione da membro di un'associazione criminale o in forma commerciale. Nel 90% dei casi le transazioni sospette segnalate alle procure portano a una chiusura dei procedimenti per mancanza di indizi che possano sostenere un rinvio a giudizio. La norma sembra colpire delinquenti minori e non grandi gruppi criminali, né altri delinquenti più potenti. Si ipotizza inoltre che l'incapacità di sostenere un rinvio a giudizio nonostante le informazioni acquisite e le indagini preliminari riduce la capacità deterrente della norma e permette, invece, ai criminali di conoscere le modalità di funzionamento del sistema repressivo e agire di conseguenza. Inoltre, le transazioni sospette sono segnalate nel circa 90% dei casi sa parte di istituti di credito, mentre gli altri enti obbligati dalla legislazione non sembrano partecipare attivamente al processo preventivo, in particolare il settore forense e immobiliare e del gioco d'azzardo. Sulla base di questi dati si ipotizza un effetto spill-over, ossia un trasferimento di illegalità dai settori più controllati a quelli meno controllati. I rapporti pubblicati dalla polizia, invece, considerano l'articolo 261 StGB come una norma con una delle più alte quote di chiarimento (ca 90%), quota calcolata sul numero di casi chiariti dal sistema penale, a prescindere dalle modalità di chiarimento. Per quanto riguardo il volume di denaro riciclato, il capitolo richiama alcune delle stime pubblicate da diversi enti, tra cui il Fondo Monetario Internazionale, il GAFI e la polizia criminale federale. Essendo il fenomeno del riciclaggio un campo in cui la cifra oscura è stimata essere molto alta, tali dati non possono essere presi come misura obiettiva del fenomeno. Infine il capitolo si conclude richiamando alcune analisi del tipo costi-benefici per misurare l'efficacia delle politiche anti-riciclaggio o alcune delle sue norme, condotte da enti terzi. Tali analisi sembrano concordare nel considerare i costi di implementazione della politica più alti rispetto ai benefici conseguenti. Nel quinto capitolo, infine, vengono discussi i risultati della ricerca empirica con gli operatori giuridici e con alcuni osservatori privilegiati, in modo da fornire una prospettiva interna sul funzionamento della norma. Tramite le interviste condotte si mettono in luce aspetti della prassi giuridica non fotografati dalle statistiche, allo scopo di offrire un'immagine dell'impatto della legge quanto più vicina possibile alla realtà. La ricerca empirica si avvale di interviste con operatori del diritto e con osservatori privilegiati che siedono in posizioni ministeriali rilevanti nella lotta al riciclaggio. La metodologia adottata è di tipo qualitativo, è stato fatto uso di interviste semi-strutturate a operatori del diritto e a osservatori privilegiati. Il capitolo presenta le percezioni degli intervistati su quattro temi principalmente: la dimensione del fenomeno del riciclaggio, l'adeguatezza tecnica della legislazione, i conflitti di interesse intrinseci alla legge e sorti dall'applicazione della norma e l'efficacia delle legge. A fronte di un rapporto emesso da quattro ONG nel novembre 2013, sulla base di statistiche prodotte dall'UNODC e dal Fondo Monetario Internazionale, e immediatamente riprese dai media, che descrive il paese come "Eldorado" per i riciclatori,10 le interviste sono dirette a cogliere l'opinione dei rispondenti sulle dimensioni del fenomeno del riciclaggio in Germania. Un intervistato ritiene inaccettabile desumere dal PIL tedesco il volume di affari del crimine organizzato nel paese, e obietta che non si possa, sulla base del giro d'affari del centro finanziario di Francoforte, definire lo stesso come centro di riciclaggio di denaro sporco. Un altro intervistato, dichiara, al contrario, che sicuramente il fatto che la Germania abbia un'economia stabile ed un settore bancario affidabile attiri coloro che vogliano investire proventi illeciti, neppure quest'ultimo possiede, però, dati affidabili sulla quantità di denaro riciclato. Il riciclaggio, come altri fenomeni legati alla criminalità organizzata, è una fattispecie che per definizione sfugge alle autorità e ai confini nazionali. Lo scopo dello stesso è nascondere proventi di reato e sottrarli in questo modo al sistema repressivo, questo è sicuramente un elemento che rende complessa, se non impossibile, la sua quantificazione. D'altra parte, osservano i soggetti intervistati autori del Rapporto del 2013, l'incapacità di fornire statistiche rilevanti dopo più di 20 anni di lotta al riciclaggio, sembra essere un sintomo di una carente volontà politica nel contrastare efficacemente il fenomeno. Secondo gli osservatori privilegiati se la Germania fosse davvero un paradiso per i riciclatori, ciò non sarebbe collegabile ad un deficit legislativo, dato l'impegno del governo nella lotta al riciclaggio, negando, quindi, l'accusa rivolta dai media per cui i criminali sceglierebbero il paese tedesco ai fini di riciclaggio di denaro sporco sulla base delle lacune normative. Agli intervistati è stato chiesto di evidenziare aspetti positivi e problematici della legislazione. Tra i più rilevanti vi sono: la necessità di bilanciare il bisogno di punire la condotta di riciclaggio e rispettare i principi fondamentali del sistema giuridico, il disinteresse da parte degli istituti finanziari nell'indagare l'origine del capitale investito dai clienti, anche in caso di sospetto di provenienza criminale, a causa della possibile conseguente perdita di reputazione nell'ipotesi di apertura di investigazioni da parte delle autorità sul cliente sospetto. Vi è poi una difficoltà materiale nel condurre indagini finanziarie, che spesso, conducono a condotte illecite commesse all'estero; sul punto si osserva che le condotte di riciclaggio, intese come operazioni atte ad ostacolare la provenienza delittuosa, non avvengono su territorio tedesco, bensì all'estero, il denaro che entra in Germania, è, quindi, già "pulito". Inoltre, l'articolo 261 è stato introdotto nel sistema tedesco come trasposizione di una direttiva Europea e non rifletteva una necessità interna dello Stato; la formulazione così vaga, infatti, si presta più per il sistema giuridico degli Stati Uniti, in cui non vige l'obbligo dell'azione penale, mentre in Germania, dove i pubblici ministeri hanno l'obbligo di azione penale, tale norma porta ad iniziare numerose indagini senza avere la capacità di proseguirle. In generale, gli intervistati rappresentanti dei Ministeri rilevano la forte pressione subita da parte del GAFI e dell'Unione Europea per l'emanazione della legge anti-riciclaggio e concordano nel dire che se la norma fosse stata creata sulla base di una necessità e di un dibattito nazionale sarebbe stata scritta diversamente. C'è chi individua nel sistema penale le cause di inefficacia dell'articolo 261, nello specifico, la limitata possibilità di effettuare intercettazioni telefoniche, le restrizioni in materia di inversione dell'onere probatorio, e lo scarso utilizzo della confisca dei proventi di reato a causa del disinteresse da parte delle procure (gestite a livello di Bundesländer) nell'investire risorse in tal senso dato che i beni confiscati non resterebbero in mano al Bundesland ma verrebbero raccolti in un fondo federale e poi spartiti. Si osserva una generale mancanza di risorse pubbliche che porta ad una carenza di personale coinvolto nelle investigazioni e, quindi, ad una incapacità di far fronte ai processi in corso in modo efficace. Per questo motivo, i pm non hanno la capacità di indagare più a fondo casi di riciclaggio all'apparenza semplici, ma che potrebbero portare alla luce organizzazioni criminali operanti nell'ombra. Alla totalità degli intervistati è stata chiesta un'opinione sull'efficacia della legge. L'articolo 261 del codice penale tedesco è stato definito da un soggetto "una legge scritta in modo indecente, che produce risultati banali sul piano delle statistiche criminali, soprattutto con riferimento alle condanne per riciclaggio in grossi casi di criminalità economica". Il reato è così difficile da provare in giudizio, che risulta facile, per la difesa, sfruttare le lacune legislative per evitare una condanna per riciclaggio. I rappresentanti dei Ministeri confermano che la lettera dell'articolo 261 crea confusioni e che quindi l'accusa, pur trovandosi di fronte ad un caso di riciclaggio spesso preferisca perseguire i delitti presupposto. Questo non è, però, un sintomo di inefficacia, dato che l'effettività a cui mira il Ministero dell'interno non è data dal numero di condanne per riciclaggio, ma dal numero di casi risolti, e quindi dal numero di condanne in generale, a prescindere dall'imputazione. D'opinione opposta un altro intervistato che ritiene che l'articolo 261 non abbia alcuna capacità deterrente nei confronti della criminalità organizzata, "la norma ricorre così raramente nella prassi giudiziaria che di fatto non rappresenta una "minaccia" per i potenziali criminali". I soggetti intervistati esprimono più soddisfazione a riguardo della legislazione di prevenzione (GWG); in particolare, con riferimento alle piccole e medie imprese, per le quali è difficile riconoscere tra i partner commerciali coloro i quali investono denaro di provenienza illecita, la possibilità di affidarsi alle autorità investigative, in caso di sospetto è fondamentale. Un avvocato specializzato in compliance per società, descrive la norma preventiva come molto efficace e severa, tanto che è impossibile per le aziende, specialmente per quelle di medie o piccole dimensioni, adempiere a tutti gli obblighi prescritti dalla norma, ma, egli osserva, l'efficacia del sistema sta proprio nel fatto che le autorità di controllo, consapevoli dell'elevata rigorosità della legge, chiudono un occhio di fronte a lievi inadempienze. Una legge meno severa e un controllo più fiscale non otterrebbero la stessa efficacia, perché la norma non avrebbe lo stesso potenziale deterrente. L'efficacia all'interno delle amministrazioni responsabili per la lotta al riciclaggio è interpretata come efficienza dell'apparato, per questo motivo, non ci sono verifiche sull'efficacia degli strumenti giuridici sulla base degli scopi dichiarati, quanto piuttosto sulla correttezza del funzionamento dell'amministrazione e sulle possibilità di migliorarlo; il punto è capire come migliorare, non se il sistema sia efficace o no. Agli intervistati è stata chiesta un'opinione sull'eventuale efficacia simbolica della legislazione. La maggioranza delle risposte è stata negativa, gli sforzi compiuti da parte dello Stato -e quindi delle procure, della autorità competenti e della polizia- nel contrastare il riciclaggio e la criminalità economica non possono essere considerati simbolici. Alcuni intervistati ritengono assolutamente necessaria e strumentale – e quindi non simbolica- l'esistenza del reato nel codice penale come demarcazione di illegalità di tali condotte e come strumento atto a contrastare la criminalità economica perché mette in chiaro entro quali limiti le società possano perseguire profitti in modo legittimo. Di opinione diversa, invece, gli avvocati penalisti i quali si sono detti favorevoli a tale definizione sulla base dello scarso numero di condanne e soprattutto sulla mancata previsione da parte del Governo di mezzi adeguati per l'implementazione della legislazione. Lo stesso è osservato dal terzo settore, il quale sostiene che, a fronte di una legge complessa, oggetto di svariati emendamenti nel corso degli anni, non c'è stato un sufficiente impegno sul versante dell'implementazione; il coinvolgimento del GAFI e dell'OECD nella lotta al riciclaggio è percepito come un modo per creare posti di lavoro e nuove figure professionali, più che un'arena dove discutere efficaci strumenti di lotta ai reati economici. Altri elementi interessanti riscontrabili nelle interviste sono i conflitti di interessi che emergono dall'applicazione delle leggi anti-riciclaggio. Tra essi, vi è il dibattito tra il Ministero dell'Interno e quello di Giustizia in riferimento all'adeguatezza dello strumento penalistico nel contrastare la criminalità economica, dibattito già affrontato dalla dottrina, a cui, però finora, non è stata data una risposta univoca. Da una parte il Ministero dell'Interno auspica un intervento giuridico più deciso, che, per esempio, ricomprenda il reato di riciclaggio nella responsabilità penale degli enti (non ancora esistente in Germania) e sollecita una svolta politica generale in tema di criminalità economica dalla deregolazione del mercato finanziario all'intervento dello Stato in ambito economico ai fini di chiarire i comportamenti leciti e quelli illeciti. Dall'altra parte, il Ministero della Giustizia considera erroneo il ricorso al diritto penale ai fini di risolvere problemi di tipo economico o finanziario e cerca di frenare la tendenza moderna alla proliferazione penale, a favore di un intervento di tipo preventivo-sociale. A tal proposito, si osserva che agli incontri del GAFI a cui partecipano i rappresentanti dei Ministeri di Giustizia, coloro che provino a richiamare l'attenzione sulla necessità di rispettare i principi fondamentali costituzionali e di limitare l'intervento penale a tutela dei cittadini, vengano tacciati di non voler combattere la criminalità organizzata in modo efficace. In conclusione riapro la prospettiva a livello globale ed inserisco il reato di riciclaggio in una riflessione più ampia sulla governace finanziaria. In una prospettiva storica di analisi delle politiche economiche recenti si osserva come vi sia stata una tendenza a deregolare il mercato per mano delle istanze tradizionali pubbliche, e al contempo un aumento di strumenti transnazionali di cosiddetta soft-law che si sono fatti portatori di interessi particolari. Finché questa conflittualità non verrà risolta sarà impossibile impedire il riciclaggio di denaro sporco. Con particolare riferimento al contesto europeo, si prende atto che è stato molto più facile chiudere le frontiere per le persone fisiche e non a quelle giuridiche o ai capitali. ; This paper aims to question the sociolegal1 effectiveness of the money laundering offence.2 The literature that assesses the effectiveness of the anti-money laundering system is abundant. While most of it does not question the regime's goals this paper takes a step back and critically looks at the law-making process. In addition, while most studies have assessed the effectiveness of anti-money laundering law by looking at statistical outcomes, this paper takes a step forward and tries to explain those statistics by looking at legal praxis and at indirect effects. The significance of the research derives from the insertion of the analysis on money laundering offence in a broader political, economic and historical context. The methodology adopted is qualitative, with the intended purpose of underlining the complexity of the issue tackled, rather than reducing it through a quantitative approach. While most of the existing literature has quantitatively assessed the effectiveness of the anti-money laundering regimes on the basis of statistical data and other quantitative indexes and has tried to reduce the complexity of the issue by measuring it numerically, this research adopts a qualitative methodology, which instead highlights the entanglement and the different perspectives on the question. Money laundering is the process of giving profits originated illegally an appearance of having been made lawfully.3 Due to the tightening of economic criminal policies that limit the possibility of integrating ill-gotten gains in the legitimate economy, offenders have developed more and more complex methods and subterfuges to launder proceeds of crime, so the rise of a proper 'money laundering industry' (industria del riciclaggio) is mentioned.4 The total volume of money laundered is estimated to amount to between 2,5 and 5, 5 % of the world GDP.5 Due to the borderline nature of money laundering, which happens between the so-called 'legitimate economy' and the 'dirty economy', and thus involves different actors such as banks, the financial sector, certain professions and businesses, offenders, victims and law enforcement agencies, the legal response needs to compromise with all the various economic, political, social and financial interests at play. Furthermore, where legitimate business intermingles with illegal business and legitimate funds with illicit funds, it is very difficult to distinguish what is legal from what is not. The criminalisation of money laundering was specifically supposed to tackle this fine line. The goal of this research is to assess whether the choice of criminalising money laundering has been effective to tackle this fine line. In order to assess the impact of the domestic implementation of the existing legal framework, the research uses a case study that specifically questions the effectiveness of the money laundering offence in the German national criminal legal system. The interest in the German case derives from the fact that, according to the IMF, the OECD and the FATF, Germany might have 'a higher risk profile for large scale money laundering than many other countries'.6 There are some factors identified as enablers of money laundering activities, such as the large economy and financial centre, the strategical location in the middle of Europe, with strong international links, the substantial proceeds of the crime environment involving organised crime operating in most profit generating criminal spheres, the open borders, the large informal sector and a high use of cash, the large and sophisticated economy and financial sector, the important role in world trade, and finally the involvement in large volumes of cross-border trade and financial flows. The media have kept on reporting the fact that Germany is an ideal country, or even a paradise for money launderers.7 According to most recent media reports, corruption is increasing in Germany along with money laundering and organised crime,8 and illicit financial flows are estimated to amount to 50 Billion Euros annually.9 Renowned banks such as Commerzbank, Deutsche Bank, and Hypovereinsbank have been the focus of recent scandals due to their involvement in large tax evasion and money laundering schemes, investigated mostly by US law enforcement agencies.10 The legal framework has been considered as not being sufficient to tackle the estimated volume of money laundering. In 2007 and 2010 the European Commission initiated two proceedings against the German government for having contravened the European treaty by not having effectively transposed into national law the European framework to tackle money laundering and terrorist financing.11 In response to this wave of criticism, some important changes have been made.12 With specific regards to penal law, the legislature has amplified the scope of the money laundering offence and the sphere of criminal liability in order to improve the effectiveness of the existing legislation.13 Yet the continual expansion process has raised legal challenges that could constitute an obstacle for the effective enforcement of the measure. With regards to international legislation, scholars have often criticized the ineffectiveness of the anti-money laundering regime to not be able to achieve its goals and thus to be only appearance of public action. 14 While there is theoretical support for the perception that policies have contributed to a decrease in the incidence of money laundering, there is no evidence that this goal has actually been achieved.15 The official discourse describes the regime as a crucial tool to prevent and combat money laundering, and lawmakers have been focusing on expanding the reach of anti-money laundering laws. This work however takes a critical approach towards the existing legal framework and presents the view that questioning the effectiveness of the money laundering offence is essential before expanding the scope of the existing legal framework.16 On the background of the reflections based on the sociolegal framework that sets the definition of legal effectiveness with specific respect to criminal law, and on the critical literature on the inadequateness of the international anti-money laundering system to eliminate the targeted activity recalled in the introduction, the hypothesis underlying the case study is the following: Article 261 Gcc may be an example of a symbolic legislation, whose latent functions prevail on its declared functions. In particular, it is hypothesised that the law is an example of a 'compromise-law' that satisfy all parties taking part in the law-making process, thanks to the vagueness of the wording that allows a broad range of possible interpretations, and also thanks to the actual ineffectiveness, which pleases those who were contrary to the introduction of the provision. It is here necessary to recall the considerations on the 'legislator' being an heterogeneous group of parties not only constituted of members of the Parliament but often also by external actors, who can influence more or less transparently the law making-process. While the manifested function of tackling money laundering has in fact remained in the background, the thesis hypothesises that other latent goals have been pursued. It is further hypothesised that the 'law inaction' is part of a process of decriminalisation that intentionally grants impunity to a certain group of actors, in this case those laundering money, while giving the appearance that the practice is not accepted by law by labelling it as criminal. By using the concept of function, the study focuses on eventual conflicting interests emerging throughout the policy-making process and/or being displayed through the implementation of the provisions. In order to verify these hypotheses the research proceeds with a case study that aims at empirically assessing the sociolegal effectiveness of Article 261 Gcc. In particular, by applying the 'elastic' definition of effectiveness, the following chapters analyse the law-making process, the level of acceptance by legal scholars, the implementation, and the opinions of legal experts and professionals. The methodology adopted is qualitative. The research consists of a case study that includes a documental research, a qualitative analysis of statistical data and the conduction of interviews with privileged observers and legal actors. The study is a macro-sociological assessment of the effectiveness of a criminal legislation through the analysis of the motives that have triggered lawmakers to enact the current legal framework and the practical effects of the 'law in action'17 and of the 'law inaction'.18 Thanks to the use of sociological conceptual tools, as the ones of function, symbolic effectiveness, power, labelling, and legal culture, the research critically approaches the legal framework. In addition, the sociolegal perspective allows us to take into account the multidisciplinary nature of the phenomenon of money laundering and of its countermeasures and the diverse conflicting interests at play. The work has been conducted by a single person and not by a team of researchers; this has imposed a limit on the interviewing sample and the impossibility of undertaking, along with the qualitative analysis of the provision, a qualitative analysis of the jurisprudence and a quantitative analysis of the case law. In addition, criminal provisions have a deterrent purpose, yet in certain cases it is almost impossible to quantify the deterrence effect of those provisions, as in the case of the money laundering offence, and this represents a shortcoming of the current research. Official numbers are highly problematic, this element, despite impeding an objective quantification of the phenomenon, can represent a partial result for the qualitative analysis, because it highlights the complexity of the matter. The anti-money laundering regime is constantly evolving, and this would require continuously updating the assessment, instead the research provides a picture of the current situation. Yet the work offers the reader an instrument to critically interpret also possible changes in the wording of the money laundering offence that may be made following the publication of this work. The outcomes of the critical study on the reasons and effects of the current legislation can be used as a starting point for further research; the methodology set for the empirical analysis can be applied to assess the effectiveness of following developments. The structure of the thesis is the following: The first chapter presents the theoretical sociolegal framework and provides an operational definition of the concept of effectiveness that directs the empirical research. At the end the chapter describes the methodology of the qualitative research. Chapter two traces the genesis of the money laundering offence, as well on an internal, European and domestic level. The chapter analyses legislative intents, parliamentarian debates and other external contributions as declarations of intents and opinions through a desktop-study. The third chapter is dedicated to the doctrinal debate about the money laundering offence regulated in the German penal code. In particular the chapter highlights the controversial issues that have emerged through the abundant legal scholarship production, which might affect the effectiveness of the money laundering offence. Chapters four and chapter five present the empirical research. The fourth chapter analyses the quantitative data of the implementation of the money laundering offence from a qualitative perspective. The last chapter presents the results of the interviews. The main outcomes of the research are that the interests expressed more or less manifestly from the actors taking part in the initial phase of the creation of the anti-money laundering regime were strongly conflicting with each other. One representative example is the question whether to use the policy also to tackle large scale tax evasion or to leave proceeds deriving from fiscal crimes outside of the regime. Very different justifications were given for the criminalisation of money laundering at different stages. Often the declared motives did not correspond to the real goals of the actors taking part in the law-making process. The rhetoric connected to the seriousness of the drug issue was the manifest function of the new criminalisation of money laundering. However, other latent goals, for instance, the desire of financial institutions to clean their reputation and gain customs confidentiality or the interest of some governments to curb tax evasion were already present during this initial phase. Another controversial issue concerns the fact national states have adopted anti-money laundering measures under the pressure of the FATF, which is led by most industrialised countries.19 Despite lacking democratic legitimation, the FATF has imposed worldwide a brand new regime of criminalisation, prevention and enforcement. The legal framework has been used to address ever-new challenges, and this expansion process has been coupled by a rhetoric that scholars have defined the securitisation rhetoric.20 The most recent function manifestly attributed to the anti-money laundering legal framework, that is, in short, the protection of the soundness of the financial system. Especially in times of financial insecurity, the tendency of hardening laws against economic crimes increases. Having previously deregulated the financial system to enhance economic liberties, legislatures resort to criminal law to control illegality in the economy. As a response to the European financial crisis of 2007-2011, legislatures, instead of rethinking the approach towards the protection of the global finance, called for a tightening of economic crimes regulations. The European discourse on money laundering has mostly been related to the destabilisation of the market, the abuse of capitals' movement liberty, the disintegration of the internal economy. But, why was the EU so keen on imposing a common standard for the criminalisation of money laundering, without even enjoying competence in penal matters? The introduction of a common anti-money laundering control policy served to a latent function, namely to the purposes of the creation of the 'Single Market', by way of avoiding that Member States would have adopted measures inconsistent with the completion of the Internal Market, while taking action to protect their own national economies from money laundering.21 This was done by avoiding that domestic regulations implemented for protecting national economies from the infiltration of ill-gotten capital could have hampered the freedom of movement of capital within the European borders. The tension emerges, also in the wording of the most recent EU money laundering Directives, due to lack of Community action against money laundering could lead Member States, for the purpose of protecting their financial systems, to adopt measures which could be inconsistent with completion of the single market.22 There are thus conflicting interests between the claim for regulation to avoid the infiltration of illicit capital, and the demand for deregulation to foster the free market. The European legislature, however, did not declare completely this intention and justified, instead, the imposition of anti-money laundering rules given the threats posed by money laundering to the financial system and thus to society. According to this critical approach, the criminalisation of money laundering turns out to be more of a political tool aimed at achieving governance within the EU, while being presented to the public as an essential intervention to guarantee security and well-being. Once again, thus, the declared goals of the lawmakers did not correspond with the real intentions. It is especially in the interest of a research on the law's effectiveness to unveil functions that were undeclared, in order to evaluate the outcomes in a more critical way. Also from the analysis of the national law-making process emerged divergent opinions and expectations relating to the criminalisation of money laundering. The Parliamentarians debate that took place with regard to the introduction of the money laundering offence and other instruments to tackle drug-trafficking shows that the discussion was deeply embedded in the political-historical context. Given that Germany was just reunified after a period of two dictatorial regimes, the hearing gives the impression that lawmakers felt the responsibility of creating a new legal system against such historical background. In order to balance the very different legal cultures, the divergent approaches had to be compromised. The introduction of a new crime was particularly delicate due to the discriminatory and arbitrary use of criminal labels by the previous dictatorial regimes. Therefore, delegates would not easily give up on fundamental rights for the cause of persecuting criminals. The legislation can be seen as an attempt to balance the need to adopt more effective measures to tackle crime and the necessity of respecting the rule of law and creating a 'militant democracy'. Yet, given the external pressure of the FATF, the EU and of the media, the text was less of a compromise and rather a ratification of 'internationally' accepted standards. The rule of law was not the only issue emerged in the initial phase of the political debate. Controversial opinions were raised also with regard to the questions of the mens rea and the interest protected by the new criminal provision: Certain political parties supported the broadest criminal liability to ensure an effective prosecution of money laundering, other parties were worried that a widespread liability would have been cumbersome for the economic system. Moreover, along with the expansion of the international criminal legal framework to fight against money laundering, also the scope of Article 261 Gcc was extended to include ever-new predicate offences. From the analysis of the doctrinal debate, it emerged that legal scholars have revealed technical hindrances that hinder the provision's legitimacy and thus hamper a positive integration of the act in the criminal legal system. In addition, given that most controversial issues are caused by the wording of the offence, the chapter seems to uphold the idea of an intentional potential decriminalisation of money launderers. The wording of Article 261 Gcc has the potential of frustrating some of the intentions expressed by the legislature in occasion of the adoption of the provision. While the vague formulation of the money laundering offence was thought to tackle ever-new emergencies and has been justified by legislatures as necessary to ensure a more effective fight against money laundering, it has also raised issues that, far from being purely dogmatic, have undermined the acceptance of such law. If law makers have designed the offence in a broad way to allow the criminalisation of conducts that could not have been prosecuted by the existing offences before, the large discretion left to prosecutors, has resulted in a cumbersome element for the prosecution of money laundering. In addition, criminalising the reckless conduct without envisaging a specific criminal liability for security positions has widened the scope of the offence to the point that the law has missed its function of isolating criminals by criminalising gate-keepers' activities. In addition it emerged that there are some open questions with regard to the wording of the offence, for example the question of the interests protected by Article 261 Gcc. On one side a state intervention is considered necessary to contain the impact of economic misbehaviours to protect citizens, on the other side it is important to limit the resort to criminal law only for safeguarding individual or collective situations and not for defending an existing economic structure. The economic system may, in fact, not be considered as a collective interest that needs protection. Also, safeguards provided by penal law need to be substantial and not symbolic, because they urge to change a given situation of inequality, where criminals can profit from illegal practices while legitimate economic actors undergo unfair competition. From the doctrinal analysis it has instead emerged that the legislator seemed to be more interested in drafting a symbolic legislation that can be hardly integrated in the legal system and that raise strong challenges. Lawmakers have been focusing on expanding the reach of anti-money laundering in order to improve its effectiveness, yet without providing legitimacy for such expansion. One of the most meaningful fact observed in the qualitative analysis of statistical data is that organised crime and 'gross money laundering' are not persecuted through Article 261 Gcc. This fact can be inferred by the low number of convictions pursuant to Article 261 (4),23 by the low number of money laundering proceedings categorised as organised crime and by the low number of investigations in the field of money laundering, tax crimes and economic crimes recorded by public prosecutors offices in 2013, where more than one person was involved (18 %). Yet, this does not mean that the criminal justice system does not act against them, but rather that it uses other tools to achieve the goal. While the low conviction rate for serious money laundering cases could be also a symptom of a high degree of deterrence of the provision, it seems that law enforcement uses the money laundering charge as a fallback for authorities who are unable to acquire sufficient evidence in a preliminary phase for the predicate crime and necessitate further information otherwise not accessible. The charge of money laundering allows investigators to access the vast amount of information recorded pursuant to the GwG, which would not be otherwise accessible. Yet, after the investigative phase, prosecutors seem to prefer to modify the charge and opt for indictment for predicate offences instead. The law seems to be effective to the extent that it facilitates the initial investigations, while it does not serve directly the function of punishing money launderers. Besides having a substantial nature, the provisions seem to have a procedural function. It can be inferred that prosecutors find particularly difficult to bring evidence against organised money launderers also due to the fact that professional offenders do not leave traces. From the scarce use of Article 261 Gcc for tackling organised criminality, it can be inferred that the measure is not serving for one of the purposes declared by the legislature when introducing the offence. In addition, it can be hypothesised that other measures may be more suitable to tackle 'gross money laundering'. Given the high number of STRs filed and the low number of money laundering charges and of convictions deriving from the STRs since the introduction of the laws, it can be assumed that the system has been anyway maintained because it still provides some sort of benefits. It can be hypothesised that one benefit is the number of information provided to law enforcement agencies. This amount of recorded information is helpful not only to support further indictments, but also to increase the personnel awareness about the ever-changing money laundering techniques and schemes. Again the effect of the 'law in action' differs in respect to the declared legislative intentions, which justified the criminalisation of money laundering with the necessity of tackling organised crime's economic power. By spelling out this function, the assessment on the effectiveness of the law - as the possibility of collecting information - can be positive. Yet, this effect could be considered a social cost rather than a benefit. On a theoretical side, many scholars see the recording of personal information by private actors as an infringement of the right to privacy.24 On a more practical side such mechanism imposes significant costs on the designated businesses and professions that are in charge of collecting the data.25 When compared to the effective outcomes of the preventive regulations, in terms of law enforcement results, this aspect does not seem to win a cost-benefit analysis, as showed in the quoted researches. If one considers the advantages in terms of information collected, the policy may be considered worth the burden imposed, instead. However, the fact that the laws would have an effective impact on the long run on the fight against money laundering and organised crime may be seen as a diminished deterrence effect, because perpetrators would have the time to adapt to the new laws and find new ways of circumventing them. A collateral effect of the long-run effectiveness of the policy hypothesised on the basis of the outcomes of the research on the implementation is the fact that perpetrators could take advantage of the initiated but not completed cases, by acquiring knowledge about law enforcement strategies and thus develop subterfuges to elude them. On the contrary, it seems that the legislature is always running after to cope with the offenders' ever-new strategies. In fact, regulations about a new sector are updated when there is evidence that there is a risk of money laundering in that specific sector. Yet, offenders might have already moved their laundering activities to another sector. On the assumption that the inclusion of the reckless conduct would have potentially criminalised daily activities, a focus was posed on the number of convictions related to Article 261 (5) Gcc26 to verify the target of the criminal provision. Since 2005 a high number of convictions have been actually referring to reckless money laundering. This shows that the offence is used to punish primarily 'petty money laundering'. This fact can also be inferred from the relevant number of money laundering cases to the detriment of senior citizens, signalled by the FIU in the recent years. Also the fact that a significant number of STRs is filed in relation to the 'financial agents' phenomenon' is a symptom that the preventive mechanism targets more 'small fishes' rather than big perpetrators. Individuals convicted for the reckless conduct may be even victims of a fraud perpetrated by criminal networks. However, the criminal network acting behind the offender remains undetected. If on the one side it cannot be claimed that such offenders, given the lower degree of culpability should not be punished at all, on the other side this effect of the law involves a change of paradigm. The money laundering offence was initially introduced with the goal of tackling serious crimes. The observed effect, however, changes the function and the nature of the law, so that Article 261 Gcc could be considered rather a 'blue collar crime' more than a 'white collar crime'. From the analysis on the quality of STRs filed to the FIU, it can be inferred that certain designated professions and businesses are very reluctant in filing STRs, despite their notably exposure to money laundering risks. The list of designated professions and businesses has been amplified over the years exactly with the goal of facing this transfer of crime from one area to the other. Yet some professionals, such as legal advisors, do not report them, although they possess the capacity of recognising illicit transactions. The fact that some sectors do not actively participate in the effort of preventing money laundering, by allowing criminal proceedings to enter the legitimate economy, may lead to a general ineffectiveness of the system, because it can significantly hinder the capacity of the whole anti-money laundering system to respond to the ability of offenders to move their field of activity there where the law is lax. The provision does generate some instrumental effects by punishing offenders and by triggering a cooperation directed at signalling suspicious transactions between the obliged entities and law enforcement. However, some of the effects do not seem to completely fulfil the legislature's declared goals. For example the chapter seems to prove wrong the legislature's expectation of tackling the grey area by punishing gate-keepers or the attributed function of eliminating organised and serious crime. Given the high costs of implementation highlighted by the cost-benefits analyses, the rather low outcomes seem to be insufficient to fulfil the legislature's goals. Since it is sufficient that without latent functions it would be impossible to explain the adoption and maintenance of a legal act,27 it can be concluded that the intents declared by lawmakers do not satisfy the reasons why the provision was introduced. This opens up the hypothesis that Article 261 Gcc is an example of a symbolic legislation, which has been enacted with the purpose of compromising a complex parliamentarian debate. The analysis of the law-making process has revealed the existence of different expectations attributed to the introduction of Article 261 Gcc. Expectations that were conflicting with each other had to be negotiated and were compromised through the formulation of a vague offence that allowed different interpretations. Yet, the implementation of the law has led to the re-emersion of some of the conflicting situations. In addition, given that the policy regulates a complex and multifaceted issue new conflicts have emerged through its enforcement. The effects triggered by the norm can be indeed perceived positively or negatively by the different actors involved. In particular five principal conflicting situations have surfaced from the interviews. The first issue is the role played by external actors in the law-making process and the constant influence exercised by those actors in the process of updating the policy. The imposition of a US American approach to money laundering control through the role of the FATF has also been highlighted in the second chapter. Specifically, some scholars see the development of a global prohibition regime fostered by the US in the diffusion of anti-money laundering law. According to this literature, the powerful state creates an international regime focussed on achieving its own goals through global acceptance triggered by the securitisation rhetoric and compliance processes imposed through the menace of exclusion by international business relations. The second conflict that emanates from the words of the respondents is the one of the demand for criminal law to face financial misbehaviours and the necessity of limiting the tendency of expanding criminal law on the background of a situation of financial instability. Given the previous deregulation of the market, policy makers need to control and sanction economic abuse in order to protect fair competition and law-abiding individuals. On the other hand, the state needs to respect fundamental principles, such as the rule of law and the principle of ultima ratio that imposes a restriction of the use of criminal law in situations in which no other measures are suitable. This conflict has already been raised along the formulation of the money laundering offence with regards to the question of the interests protected by the law. Despite the legislator tying to limit the scope of the offence by attributing to Article 261 Gcc the protection of the administration of justice and of the interests protected by the predicate offences, this explanation was not considered suitable to the peculiarity of the offence. Indeed, shortly after the enactment, legal scholarship and the judiciary entered in a vivid debate in order to identify more suitable interests protected by the law, among them the financial and economic system under different perspectives. However, as chapter three shows, no solution could be found. In fact, the question concerning the suitability of criminal law to tackle illicit financial flows is perceived in the current research as still unsolved. The matter does not only concern money laundering control. On the contrary, it is a fairly widespread issue that has recently emerged due to the tendency of hardening economic crimes on the background of a situation of financial instability. The third conflict can be summarised as the following: on the one hand the policy being required to interfere with the personal sphere of suspected money launderers; on the other hand private institutions being interested in protecting their relations with loyal and trusted customers. Therefore, they are reluctant to give law enforcement the possibility to interfere too much in their business. The interest manifested by the private sector involved in the prevention of money laundering seems thus to collide with the legislative intent of preventing the infiltration of dirty money by way of preventing gate-keepers to help money launderers. The clash emerges at a micro-economic level and is triggered by the fact that the anti-money laundering policy demands an active participation by private sector in the detection of suspects. Private actors, are not appropriate to bear the burden of detecting offenders, moreover they need to protect the relationships with customers by avoiding unnecessary interferences. At the same time, the privatisation of crime control is questionable also from a governance point of view. It seems therefore that the public interest in persecuting crimes through having access to personal information from the private sector only marginally collides with the interest of protecting the right to privacy. Businesses and professions are predominantly interested in not interfering with their clients and in not bearing the burden of detecting offenders. The issue was also addressed during the national Parliamentarian debate, with regards to the degree of mens rea required for money laundering criminal liability. Making everybody taking part in economic or financial activities actively participating in the monitoring of the economic system under the threat of criminal liability for negligent money laundering was considered harmful for the business market. The same debate has been picked up by legal scholarship too. Yet, it seems that, despite the law being the result of negotiations, the question is still open. The fourth issue consists of discording opinions with regards to the opportunity of including tax evasion as predicate offence for money laundering. On one hand there is the interest of tackling tax evasion through the anti-money laundering regime, on the hand the concern of keeping the two phenomena distinct in order to avoid an overrating of money laundering. Since the genesis of the anti-money laundering policy, some actors taking part in the international law-making process, opposed the labelling of 'black money', naming money deriving from tax violations, as 'dirty money', indicating all proceeds of crime typically committed by organised crime. This distinction was based on the perception that tax-related offences were less serious and less harmful than capital flight and were advocated by financial centres in order to maintain a good reputation while still granting peculiar financial services, such as bank secrecy. This issue is a good example of the labelling theory, to the extent that it shows how a practice that was firstly not considered criminal enough to amount to a predicate offence for money laundering, has become part of the scope of the anti-money laundering regime on the basis of a political decision of labelling it as such. Respondents of the current research show to have different perceptions of the degree of the seriousness of tax laws violations and thus about the appropriateness and necessity of tackling them under the umbrella of the anti-money laundering policy. Again, the matter, which seemed to have been resolved through the negotiations on an international and European level, is still being debated at national level. The last two contrasting interests are the necessity of regulating the flows of money and the free movements of capitals in a neoliberal economy. The question is intrinsic in the nature of money laundering, which is a phenomenon that happens at the interface between legality and illegality. Regulations that facilitate the licit exchange of goods, capitals and services do also facilitate the flow of ill-gotten gains; there are thus conflicting interests between the public interest of persecuting crime and the claims for less regulation in a free market economy. From the interviews surfaced that not only opinions on the effectiveness of the law differ, but the very concept of effectiveness is perceived differently among the interview partners. Perceptions about how effective the anti- money laundering policy is appear to be similar among respondents belonging to the same experts' group. In particular, given the fact that the policy triggers many preliminary investigations, investigators work on a daily basis with the provision. This led to their opinion on the implementation of the legislation being rather positive. Positive opinions have common ground: they assert that the policy is not a simple one to implement, however, they believe that the legal practice has found its way through. On the contrary, defence attorneys specialised in economic crimes do not receive a significant amount of clients suspected for money laundering. For this reason they tend to have a rather negative opinion on the policy's effectiveness, also driven by the perception that the policy is not able to achieve the indirect goals. The diverse concepts of effectiveness provided by disciplines close to the sociology of law and the different definitions of effectiveness given by sociologists of law turn out to be useful here. Particularly the notions of 'efficiency' and of 'efficiency regardless of the goals' are proved very useful to interpret the respondents' opinions. Efficiency, is according to the administrative legal approach, the optimal relation between the goals achieved and the instruments used. A subcategory of this concept is the efficiency calculated through a cost-benefit analysis, of which some examples have been presented in the fourth chapter, which defines efficiency as the functioning of a legal order without assessing the goals achieved. This type of analysis focuses on the correctness of the operating system since the purpose of the system is its own existence. It refers to a whole legal order rather than to a specific single provision. Given that the anti-money laundering policy constitutes a legal order, due to the diverse regulations involved and the competent authorities created in order to achieve the goals of the policy, this notion can be applied. In the field of administrative legal theories, the first chapter has focussed on the approach that considers the (in)effectiveness of a law depending on its (failing) enforcement. A high degree of compliance of the anti-money laundering legislation might correspond to a high level of effectiveness of the policy with respect to its direct function, but at the same time to a rather low level of effectiveness with regards to its indirect purposes. The way to evaluate the degree of effectiveness is therefore also different. While compliance with legal provisions is calculated through a quantitative assessment of the processes in force and of the functioning of the system, the achievement of the indirect functions is measured on the impact of the policy. Interview partners have different perceptions about the indirect functions of the legislation too. This reflects, once again, the fact that the policy was a result of a compromise between different expectations and that the legislator was not able to limit the scope of its application to a particular goal. The different expectations and intents, which already emerged in the doctrinal debate about the legally protected interests, appears again in the different perceptions of the interviewees. The respondents were asked about the legislation's effectiveness with regards to one of the indirect functions, namely the capacity to deter organised crime. The legislator enacted the money laundering offence in the context of the fight against drug trafficking and other forms of organised crime, thus Article 261 Gcc's expressed rationale is the prevention and repression of organised crime. Finally, a relevant outcome regards the respondents' opinions on article 261 Gcc's latent symbolic function. Some of them agree with this. Others strongly oppose the hypothesis. They argue instead that the policy has instrumental effects on their daily practice, which cannot be defined as purely symbolic. According to most respondents, the law cannot be defined as symbolic, because it has led to instrumental effects. In the first place information gathered thanks to the GwG is used to start preliminary investigations under Article 261 Gcc. Secondly, the structure enacted to comply with the anti-money laundering policy is attainable and is visible and cannot be denied. Thirdly, the law is considered necessary because it labels a deviant behaviour. In particular, despite the fact that investigations do not lead to a conviction for money laundering they allow investigators to collect information in support of criminal cases for the predicate offences or to start a preliminary investigation for a predicate offence. In this sense, the function of the 'law in action', despite being questionable, is objectively instrumental. However, the fact that the law serves the purpose of tackling predicate offences through the support of investigations does not exclude the hypothesis that the law was enacted to pursue latent functions too. According to the sociologist Aubert, it is not necessary that the latent goal is the only one that plays a role, but it is necessary that the other purposes would not explain the analysed phenomenon completely. Indeed, in the opinions of those who exclude the symbolic function, yet the results achieved through compliance do not legitimate the burden imposed by the legislation. In other words, it seems that they recognise that the purpose of compliance cannot completely explain the policy makers' motivation, which re-opens the doors for the hypothesis of the existence of latent functions. In fact, such a demanding policy cannot be accepted for the sole purpose of re-enforcing the action of the criminal justice system in tackling predicate offences. On the other hand, compliance with the policy in terms of building of a structure and of expertise does not automatically mean fulfilling the policy's purpose. Particularly the creation of new professionalism, has been interpreted by scholars as a sign given to the public that the policy has produced certain effects. In conclusion, on the background of the research's outcome, the paper tries to reply to the question: (How) can the effectiveness of the money laundering offence be improved? While technical hindrances can (and perhaps) will be removed through legal reforms, 28 the inherent political economic and financial conflicting interests that impede a higher level of effectiveness are more difficult to solve. In contemporary industrialised economies there is a complicated and sometimes shifting boundary between legitimate and illegitimate transactions. This is particularly exacerbated in the context of financial capitalism, which 'subordinates the capitalist productive process to the circulation of money and monetary assets and hence to the accumulation of money profits'. Since the very beginning, determining the boundary between an area defined as 'criminal' and the space of 'legality' has been controversial. In fact, money has a neutral nature, pecunia non olet, making profit, irrespective of the monies' origin, is a very strong interest for both private and public entities, which collides with the one of eliminating illicit financial flows. In other words criminal policy goals diverge from purely economic interests. While one can assume the justice and correctness of the current financial system, and thus describes money laundering as harmful because it interferes with the existing economic order, one can also assume that the capitalist system leads per se to injustice and inequality, and that money laundering is actually embedded in this profit-oriented system and represents just the darker side of the capitalist economy. A compromised viewpoint is the one that describes money laundering as an accepted collateral effect of the capitalist system, that is to say 'a certain amount of illicit financial flows may be considered an acceptable price to pay for a market where free mobility of capital is guaranteed'. In other words, money laundering is intrinsic in or at least exacerbated by the capitalist system.
International audience ; Ziel dieses Artikels ist es, das Dopingproblem mittels der pragmatischen Soziologie zu untersuchen. Indem die Positionen der unterschiedlichen Protagonisten symmetrisch untersucht und ernst genommen werden, will dieser Ansatz die Bedeutung der politischen und moralischen Grundsätze der Akteure darlegen. Der Gegenstand des Artikels ist die Festina-Affäre bei der Tour de France 1998. Das Korpus, das auf fünf Büchern basiert (veröffentlicht von den Hauptakteuren), wurde mit dem Programm Prospéro untersucht. Wir untersuchten vor allem die von den Protagonisten benutzten Überzeugungsprozeduren, die ?Größen" auf die sie sich berufen, um ihre Konzeptionen von Gerechtigkeit und Ungerechtigkeit zu verteidigen, ebenso wie ihre politischen Positionen zur Zukunft des Radsports. Die ?Figur" des Berichts in der ersten Person, durch die sich der Sprecher als Zeuge präsentiert, der Fakten in Form von Geständnissen erzählt, erscheint als die wirksamste rhetorische Strategie. Wir haben 5 ?Größen" unterschieden, auf die sich die Protagonisten berufen, wenn sie auf Doping im Radsport zu sprechen kommen. Diese Pluralität erlaubt es Spannungen des Konflikts und die Gegensätze in ihren politischen Vorschlägen, um aus der Krise herauszukommen, zu verstehen. ; The aim of this paper is to study doping bringing-in pragmatic sociology. By avoiding costing blames, in studying the positions of different protagonists, this sociology attaches great importance to the political and moral foundations which guide social actors. We are studying doping in the Tour de France 1998 ; Five books, written by the principal actors concerned in this affair, lead us to build a corpus, analyzed by the software "Prospéro". We are working on the process used by the protagonists to persuade people, on the plurality of "greatnesses" they refer in their conception of what it is legitimate and what it is not, and the political points of view concerning the future of cycling. Among different rhetorical strategies, to use the first person singular in introducing oneself as a confessed witness, seems very effective. We have made out five "greatnesses" used by the protagonists to justify their points of view ; this plurality allows us to understand tension and opposition in their political suggestions to emerge from this crisis. ; El objeto de este artículo es estudiar el doping a través de los aportes de la sociología pragmática. Estudiando de manera simétrica las diferentes posiciones de los protagonistas considerándolos de manera seria, esta aproximación se propone rendir cuenta de la importancia que tienen los fundamentos políticos y morales que guían a estos actores. El objetivo de este artículo es analizar el affaire Festina en el tour de Francia del año 1998 del corpus construido a partir de los cinco libros, es estudiado mediante el soft Prospero. Estudiamos los procesos realizados por los protagonistas que tratan de convencer, las dimensiones a las cuales se refieren por defender sus concepciones de legitimidad y de ilegitimidad, como también sus puntos de vistas políticos y el futuro del ciclismo. La figura del discurso en primera personal en la cual el locutor se presenta como un testigo relata los hechos sobre una forma de confesión, esto aparece como la más eficaz estrategia de retórica. Hemos distinguido cinco dimensiones en que los protagonistas se refieren al doping en el ciclismo. Esta pluralidad permite entender las tensiones del conflicto como también las oposiciones y sus proposiciones políticas que le permiten salir de la crisis. ; Le but de cet article est d'étudier la question du dopage en mobilisant les apports de la sociologie pragmatique. En étudiant symétriquement les positions des différents protagonistes et en les prenant au sérieux, cette approche se propose de rendre compte de l'importance des fondements politiques et moraux qui guident les acteurs. L'affaire Festina du Tour de France 1998 constitue l'objet de l'article ; le corpus, construit à partir de cinq livres (publiés par les principaux acteurs) fut analysé avec le logiciel Prospéro. Nous avons notamment étudié les procédés mobilisés par les protagonistes pour convaincre, les « grandeurs » auxquelles ils se réfèrent pour défendre leurs conceptions du légitime et de l'illégitime, ainsi que leurs points de vue politiques sur l'avenir du cyclisme. La « figure » du récit à la première personne, par laquelle le locuteur se présente comme un témoin relatant des faits sous la forme d'une confession, apparaît comme la plus efficace des stratégies rhétoriques. Nous avons distingué cinq « grandeurs » auxquelles les protagonistes se réfèrent quand ils évoquent le dopage dans le cyclisme. Cette pluralité permet de comprendre les tensions du conflit ainsi que les oppositions dans leurs propositions politiques pour sortir de la crise. ; Lo scopo di quest'articolo è di studiare il problema del doping utilizzando gli apporti della sociologia pragmatica. Studiando simmetricamente le posizioni dei differenti protagonisti e prendendoli sul serio, questo approccio si propone di evidenziare l'importanza dei fondamenti politici e morali che guidano i protagonisti. L'affaire Festina del Tour de France 1998 costituisce l'oggetto di quest'articolo ; il corpus, costituito partendo dai cinque libri (pubblicati dai principali protagonisti) fu analizzato con il programma Prospéro. In particolare abbiamo studiato le procedure utilizzate dai protagonisti per convincere, le "grandezze" alle quali si sono riferiti per difendere le loro concezioni del lecito e dell'illecito, così come i loro punti di vista politici sull'avvenire del ciclismo. La "figura" della recita alla prima persona, per la quale il locutore si presenta come un testimone che relaziona dei fatti sotto forma d'una confessione, appare come la più efficace delle strategie retoriche. Abbiamo distinto cinque "grandezze", alle quali i protagonisti si riferiscono quando evocano il doping nel ciclismo. Questa pluralità permette di comprendere le tensioni del conflitto così come le opposizioni nelle loro proposte politiche per uscire dalla crisi.
International audience ; Ziel dieses Artikels ist es, das Dopingproblem mittels der pragmatischen Soziologie zu untersuchen. Indem die Positionen der unterschiedlichen Protagonisten symmetrisch untersucht und ernst genommen werden, will dieser Ansatz die Bedeutung der politischen und moralischen Grundsätze der Akteure darlegen. Der Gegenstand des Artikels ist die Festina-Affäre bei der Tour de France 1998. Das Korpus, das auf fünf Büchern basiert (veröffentlicht von den Hauptakteuren), wurde mit dem Programm Prospéro untersucht. Wir untersuchten vor allem die von den Protagonisten benutzten Überzeugungsprozeduren, die ?Größen" auf die sie sich berufen, um ihre Konzeptionen von Gerechtigkeit und Ungerechtigkeit zu verteidigen, ebenso wie ihre politischen Positionen zur Zukunft des Radsports. Die ?Figur" des Berichts in der ersten Person, durch die sich der Sprecher als Zeuge präsentiert, der Fakten in Form von Geständnissen erzählt, erscheint als die wirksamste rhetorische Strategie. Wir haben 5 ?Größen" unterschieden, auf die sich die Protagonisten berufen, wenn sie auf Doping im Radsport zu sprechen kommen. Diese Pluralität erlaubt es Spannungen des Konflikts und die Gegensätze in ihren politischen Vorschlägen, um aus der Krise herauszukommen, zu verstehen. ; The aim of this paper is to study doping bringing-in pragmatic sociology. By avoiding costing blames, in studying the positions of different protagonists, this sociology attaches great importance to the political and moral foundations which guide social actors. We are studying doping in the Tour de France 1998 ; Five books, written by the principal actors concerned in this affair, lead us to build a corpus, analyzed by the software "Prospéro". We are working on the process used by the protagonists to persuade people, on the plurality of "greatnesses" they refer in their conception of what it is legitimate and what it is not, and the political points of view concerning the future of cycling. Among different rhetorical strategies, to use the first person singular in introducing oneself as a confessed witness, seems very effective. We have made out five "greatnesses" used by the protagonists to justify their points of view ; this plurality allows us to understand tension and opposition in their political suggestions to emerge from this crisis. ; El objeto de este artículo es estudiar el doping a través de los aportes de la sociología pragmática. Estudiando de manera simétrica las diferentes posiciones de los protagonistas considerándolos de manera seria, esta aproximación se propone rendir cuenta de la importancia que tienen los fundamentos políticos y morales que guían a estos actores. El objetivo de este artículo es analizar el affaire Festina en el tour de Francia del año 1998 del corpus construido a partir de los cinco libros, es estudiado mediante el soft Prospero. Estudiamos los procesos realizados por los protagonistas que tratan de convencer, las dimensiones a las cuales se refieren por defender sus concepciones de legitimidad y de ilegitimidad, como también sus puntos de vistas políticos y el futuro del ciclismo. La figura del discurso en primera personal en la cual el locutor se presenta como un testigo relata los hechos sobre una forma de confesión, esto aparece como la más eficaz estrategia de retórica. Hemos distinguido cinco dimensiones en que los protagonistas se refieren al doping en el ciclismo. Esta pluralidad permite entender las tensiones del conflicto como también las oposiciones y sus proposiciones políticas que le permiten salir de la crisis. ; Le but de cet article est d'étudier la question du dopage en mobilisant les apports de la sociologie pragmatique. En étudiant symétriquement les positions des différents protagonistes et en les prenant au sérieux, cette approche se propose de rendre compte de l'importance des fondements politiques et moraux qui guident les acteurs. L'affaire Festina du Tour de France 1998 constitue l'objet de l'article ; le corpus, construit à partir de cinq livres (publiés par les principaux acteurs) fut analysé avec le logiciel Prospéro. Nous avons notamment étudié les procédés mobilisés par les protagonistes pour convaincre, les « grandeurs » auxquelles ils se réfèrent pour défendre leurs conceptions du légitime et de l'illégitime, ainsi que leurs points de vue politiques sur l'avenir du cyclisme. La « figure » du récit à la première personne, par laquelle le locuteur se présente comme un témoin relatant des faits sous la forme d'une confession, apparaît comme la plus efficace des stratégies rhétoriques. Nous avons distingué cinq « grandeurs » auxquelles les protagonistes se réfèrent quand ils évoquent le dopage dans le cyclisme. Cette pluralité permet de comprendre les tensions du conflit ainsi que les oppositions dans leurs propositions politiques pour sortir de la crise. ; Lo scopo di quest'articolo è di studiare il problema del doping utilizzando gli apporti della sociologia pragmatica. Studiando simmetricamente le posizioni dei differenti protagonisti e prendendoli sul serio, questo approccio si propone di evidenziare l'importanza dei fondamenti politici e morali che guidano i protagonisti. L'affaire Festina del Tour de France 1998 costituisce l'oggetto di quest'articolo ; il corpus, costituito partendo dai cinque libri (pubblicati dai principali protagonisti) fu analizzato con il programma Prospéro. In particolare abbiamo studiato le procedure utilizzate dai protagonisti per convincere, le "grandezze" alle quali si sono riferiti per difendere le loro concezioni del lecito e dell'illecito, così come i loro punti di vista politici sull'avvenire del ciclismo. La "figura" della recita alla prima persona, per la quale il locutore si presenta come un testimone che relaziona dei fatti sotto forma d'una confessione, appare come la più efficace delle strategie retoriche. Abbiamo distinto cinque "grandezze", alle quali i protagonisti si riferiscono quando evocano il doping nel ciclismo. Questa pluralità permette di comprendere le tensioni del conflitto così come le opposizioni nelle loro proposte politiche per uscire dalla crisi.
When taking into consideration the demographic and socio-economic trends in most European countries, the demand for domestic services will be increasing in the next decades. This development could be used for creating formal employment opportunities in private households for unskilled and low-skilled labour. However, it is not an easy task since it entails devising a strategy for reducing the high share of informal labour in as well as overcoming the current fragmentation of the domestic services sector. Both on the national and EU level there is a need for policy advice on how to best integrate the diverse but yet interrelated needs and interests of the households, the employees and the firms as providers of domestic services into one coherent strategy. So far, such a comprehensive strategy can be found only in France where the BorlooPlan systematically integrated measures and tools from all relevant fields of politics. Thus it led to a significant growth of the domestic services sector and a substantial increase of formal employment. This brochure presents the Generalised Model, a tool for devising a similarly comprehensive and coherent strategy. It was constructed by drawing on the successful French strategy of creating more formal employment relationships through the systematic development of the domestic services sector. The brochure demonstrates how other countries can learn from the French experience by analysing their current situation and using the Generalised Model to create a strategy fitting their specific circumstances. By studying the situations in Germany, Austria, Italy and Poland and considering how to create strategies fitting the different national settings in these countries it is shown how the Generalised Model can put into practice. These case studies were conducted in the EU Project "Labour Market Instruments for Reducing Illegal Employment in Private Households of the Elderly", supported by DG Employment, Social Affairs and Inclusion. The brochure intends to initiate and stimulate discourses on fostering the creation of formal employment in EU Member States. Therefore, it addresses different stakeholders such as policymakers on the national, regional and EU level, representatives of local administrations, providers of domestic services, domestic workers, trade unions or welfare associations, labour administration, placement services as well as providers of education and training. ; Demografische und sozio-ökonomische Trends in den meisten europäischen Ländern legen es nahe, von einem Anstieg der Nachfrage nach haushaltsnahen Dienstleistungen in den nächsten Jahrzehnten auszugehen. Diese Entwicklung bietet die Chance, formale Beschäftigung für Un- und Angelernte in Privathaushalten deutlich auszuweiten. Gelingen kann dies jedoch nur, wenn der hohe hohen Anteil an illegaler Beschäftigung und Schwarzarbeit im Bereich haushaltsnaher Dienstleistungen reduziert und zudem eine Überwindung der aktuellen Fragmentierung dieses Sektors erreicht werden kann. Sowohl auf der nationalen als auch auf der EU-Ebene besteht daher Bedarf nach Politikberatung, wie die vielfältigen, aber dennoch zusammenhängenden Bedarfe und Interessen der Haushalte, der Beschäftigten und der Firmen als Anbieter von haushaltsnahen Dienstleistungen in einer kohärenten Strategie integriert werden können. Bislang gibt es eine solche umfassende Strategie nur in Frankreich, wo die systematisch integrierten Maßnahmen und Instrumente aus allen relevanten Politikbereichen zu einem bedeutenden Wachstum des Sektors der haushaltsnahen Dienstleistungen und einem beträchtlichen Anstieg formaler Beschäftigung geführt haben. Die vorliegende Broschüre präsentiert ein Konzept für das Aufstellen einer ähnlich umfassenden Strategie: Das Generalisierte Modell zur Förderung der Entwicklung des Sektors für haushaltsnahe Dienstleistungen und Schaffung formaler Beschäftigungsverhältnisse. Das Modell basiert auf den erfolgreichen französischen Erfahrungen bei der Schaffung einer zusammenhängenden Strategie für den Sektor der haushaltsnahen Dienstleistungen. Die Broschüre zeigt auf, wie andere Länder von den französischen Erfahrungen lernen können, indem sie ihre aktuelle Situation analysieren und das Generalisierte Modell für die Schaffung einer Strategie benutzen, die ihre nationenspezifischen Verhältnisse berücksichtigt. Die Vorgehensweise wird veranschaulicht durch Fallstudien, die auf der Situationsanalyse in Deutschland, Österreich, Italien und Polen basieren. Diese wurden im Rahmen des EU-Projektes "Arbeitsmarktpolitische Maßnahmen zu Reduzierung von Schwarzarbeit und illegaler Beschäftigung in Privathaushalten Älterer" durchgeführt. Unterstützt wurde das Projekt durch DG Beschäftigung, Soziales und Inklusion. Ziel der Broschüre ist, Diskurse über die Förderung der Entwicklung des Sektors für haushaltsnahe Dienstleistungen in den EU Mitgliedsstaaten anzustoßen und anzuregen. Hierfür spricht sie verschiedene Stakeholder an: Politische Entscheidungsträger auf der nationalen, regionalen und EU-Ebene, Vertreter der Anbieter von haushaltsnahen Dienstleistungen, der Haushaltshilfen, der Gewerkschaften, der Wohlfahrtsverbände, der Arbeitsverwaltung und -vermittlung sowie der Anbieter von Fort- und Weiterbildungen in diesem Bereich. ; Se si considera la tendenza demografica e socioeconomica nella maggior parte dei paesi europei, la domanda di servizi domestici sarà in aumento nei prossimi decenni. Questo trend potrebbe portare alla creazione di opportunità di lavoro regolare nei domicili privati per manodopera scarsamente qualificata o non qualificata. Tuttavia, non si tratta di un compito facile, dato che ciò implicherebbe delineare una strategia per contrastare l'elevata quota di lavoro informale così come l´attuale frammentazione del settore dei servizi domestici. Sia a livello nazionale sia a livello comunitario, sono necessari suggerimenti di policy su come integrare nel miglior modo possibile i diversi ma correlati bisogni ed interessi delle famiglie, degli operai e delle ditte fornitrici dei servizi di cura nel quadro di una strategia coerente. Finora, una strategia di questo tipo si può trovare solamente in Francia, dove il Piano Borloo ha integrato sistematicamente misure e strumenti da tutti i settori politici rilevanti e ha portato ad una significativa crescita del settore dei servizi domestici. Questa brochure presenta uno strumento per sviluppare una strategia simile a quella francese: il Modello Generalizzato per favorire lo sviluppo del settore dei servizi domestici. Il modello è stato costruito prendendo spunto dalla riuscita esperienza francese di creare di una strategia integrata e coerente per il settore in questione. La brochure dimostra come anche altri Paesi possano apprendere dall'esperienza francese, attraverso l'analisi della loro situazione corrente e l'utilizzo del Modello Generalizzato per creare una strategia adatta alle loro specificità. I casi studio sono basati sull'analisi delle situazioni in Germania, Austria, Italia e Polonia nel quadro del progetto "Labour Market Instruments for Reducing Illegal Employment in Private Households of the Elderly", finanziato dalla DG Occupazione, affari sociali e inclusione. Attraverso la brochure, si intende dar vita e stimolare un dibattito su come sostenere lo sviluppo del settore dei servizi domestici negli Stati Membri dell'UE. Quindi, questo strumento è indirizzato a diversi stakeholders come: policy-makers a livello regionale, nazionale e comunitario, amministratori locali, fornitori di servizi domestici, lavoratori domestici, sindacati e associazioni di welfare, uffici del lavoro, centri per l'impiego ed anche società di formazione. ; Biorąc pod uwagę procesy demograficzne i społeczno-ekonomiczne w większości krajów europejskich, w następnych dziesięcioleciach można oczekiwać rosnącego popytu na usługi domowe, świadczone bezpośrednio u klienta. To z kolei stwarza szansę na tworzenie możliwości legalnego zatrudnienia pracowników niewykwalifikowanych lub o niskim poziomie kwalifikacji w prywatnych gospodarstwach domowych. Nie jest to jednak łatwe zadanie, ponieważ wymaga przezwyciężenia tradycyjnej tendencji do nieformalnego zatrudniania pracowników tego sektora. Przeszkodą w dalszym rozwoju jest również olbrzymia fragmentacja usług domowych. Dlatego też na poziomie narodowym, jak i unijnym występuje wyraźna potrzeba wykazania dobrych praktyk dla decydentów politycznych, pokazujących jak najlepiej pogodzić różnorodne, ale powiązane ze sobą potrzeby i interesy gospodarstw domowych, pracowników i firm świadczących usługi w ramach jednej, spójnej strategii. Do tej pory taka kompleksowa i koherentna strategia występuje jedynie we Francji, gdzie Plan Borloo doprowadził do znaczącego rozwoju sektora usług domowych. Zaprezentowany raport proponuje narzędzie umożliwiające skonstruowanie równie spójnej i kompleksowej strategii – tzw. uogólniony model wspierania rozwoju usług domowych. Model został zbudowany na podstawie sprawdzonych i skutecznych doświadczeń francuskich. Raport pokazuje jak inne kraje mogą wykorzystać doświadczenia francuskie poprzez analizę ich obecnej sytuacji i wykorzystanie uogólnionego modelu do stworzenia strategii odpowiadającej ich specyficznym warunkom i potrzebom. Studia przypadków obejmują analizę sytuacji w Niemczech, Austrii, Włoch i Polski. Analizy te zrealizowano w ramach projektu "Polityki rynku pracy w zakresie redukcji nielegalnego zatrudnienia w gospodarstwach domowych u osób starszych", który uzyskał wsparcie finansowe Komisji Europejskiej - Dyrekcji Generalnej ds. Zatrudnienia, Spraw Społecznych i Równości Szans. Zadaniem raportu jest rozpoczęcie lub też stymulowanie już rozpoczętej dyskusji nad możliwymi metodami wspierania rozwoju usług domowych w krajach członkowskich UE. W związku z tym potencjalnymi odbiorcami tego opracowania są politycy na poziomie regionalnym, narodowym i unijnym, przedstawiciele lokalnej administracji, dostawcy usług domowych, pracownicy świadczący te usługi, związki zawodowe, urzędy pracy, firmy zajmujące się pośrednictwem i doradztwem zawodowym, a także podmioty zajmujące się edukacją i szkoleniem zawodowym.
IntroducciónLas sucesivas crisis fiscales que han acontecido en la problemática historia económica argentina han sido causadas principalmente por dos situaciones: la existencia de una desmesurada confianza que generaba burbujas (como la "crisis de progreso" de 1890) o una irresuelta puja distributiva que generaba déficit fiscales insostenibles (por ejemplo, 1975, 1989, 2001).Este trabajo hace hincapié en la segunda situación e intenta argumentar el inicio de las pujas distributivas irresueltas en el juego de suma cero que prosiguió a la incipiente articulación del proceso de industrialización argentino en la década del 20'.En primer lugar, debemos argumentar el comienzo del proceso de industrialización en los 20', detallando las visiones contrapuestas. En segundo lugar, debemos discutir por qué este proceso habría supuesto un juego de suma cero. En tercer lugar, intentaremos demostrar por qué, asumiendo la existencia de un juego de suma cero, eso necesariamente devendría causa de la volatilidad de los ciclos económicos argentinos y, eventualmente, de las sucesivas crisis fiscales.Por ende, primero debemos introducir brevemente el debate sobre las condiciones del proceso de industrialización en Argentina.La década del 20 y el proceso de industrialización¿Hay una relación analítica entre el juego de suma cero entre el sector agropecuario y el sector industrial y la sistemática presencia de crisis fiscales en la economía argentina? ¿Cuándo comienza el juego de suma cero entre el sector agropecuario y el sector industrial y cuál es la relación entre ese juego y las sucesivas crisis fiscales argentinas? Este trabajo intenta marcar la existencia de una relación analítica entre la oposición campo-industria y la acentuada volatilidad de los ciclos económicos argentinos.Si bien la literatura especializada había mencionado la década del 30' como el momento histórico donde se consolida la incipiente industria, contemporáneamente los historiadores han situado ese proceso mucho antes: según Fernando Rocchi, en la década final del siglo XIX pueden verse intentos de protección a industrias nacientes en el interior del país, como la vitivinícola en Mendoza y la caña de azúcar en Tucumán (1). Los grupos de interés se articulaban eficientemente para lograr cuotas y tarifas que impidieran el acceso al mercado doméstico de bienes producidos en el extranjero.Un trabajo muy influyente sobre el rol jugado por un proceso de industrialización tardío es "Las Etapas del Desarrollo Económico Argentino", donde Guido Di Tella y Manuel Zymelman desarrollan la teoría de la "gran demora". ¿En que consiste? En la supuesta incapacidad de los policy makers en ver que se agotaba un (largo) modelo y ciclo económico, siendo necesario empezar a pensar una nueva manera de insertarse en una economía mundial que iniciaba un proceso de cambio. Para los autores, se había alcanzado la frontera de producción agrícola y se necesitaba pensar un nuevo país basado en el desarrollo de una política industrial específica. Sin embargo, esta posición tiene demasiados problemas. Por un lado, supone un análisis ex post de los acontecimientos. Es decir, Di Tella y Zymelman exponen la supuesta incapacidad de los dirigentes para realizar un cambio de política desde la perspectiva que les daba conocer el futuro. A su vez, la teoría de la "gran demora" no se cuestiona por qué no se podía profundizar la frontera de producción agrícola, asumiendo que efectivamente se hubiera alcanzado. ¿Qué había hecho que los 20' reflejaran un límite para la expansión agrícola? ¿Por qué la economía argentina no habría podido lograr nuevas ganancias de productividad en el sector? (2).En cambio, Javier Villanueva critica la visión tradicional sobre el inicio de la industrialización en los 30´, producto de las dificultades que supuestamente habría generado la Gran Depresión. Según Villanueva, esa es una versión "olímpica", es decir, alejada del análisis detenido de los acontecimientos locales. El autor sostiene que la industria argentina había comenzado a despegar en los años 20´ como consecuencia de una incipiente política proteccionista. Villanueva considera acertada la implementación de este conjunto de políticas. Según Villanueva, "…puede observarse que la tasa de crecimiento de la actividad industrial es por lo menos igual o aun mayor para el periodo comprendido entre 1911-1929, que para el periodo 1929-1939…si lo que se somete a la observación es, no ya la tasa de crecimiento del sector mismo, sino de la participación porcentual en la producción total del país, las conclusiones son parecidas a las señaladas anteriormente…"(3).A su vez, sostiene que:Los datos del censo de 1946 sugieren la idea de que, en lo que se refiere a la creación de establecimientos industriales, con independencia de su tamaño, los años 20´ no resultaron menos fructíferos que los del 30´. En 1946 continuaban produciendo 9943 empresas de la cepa de 1926-1930 contra 9962 del periodo 1931-1935…La tasa de crecimiento más elevada de la inversión en el sector industrial corresponde a los años 1923-1929. Un examen de la inversión en equipos y maquinarias industrial contribuye a reafirmar lo expuesto en los párrafos anteriores: entre los años 1924 y 1930 se produce la más amplia inversión en el sector industrial hasta la segunda guerra mundial. (4)Podemos ver el siguiente cuadro elaborado por el autor:Producto Bruto Nacional: Sectores agrícola y manufactureroParticipación y aumento en la participación (1900 – 1950) Fuente: Javier Villanueva, "El origen de la industrialización argentina," Op. cit., [en línea] disponible enwww.educ.ar 7.Por su parte, Pablo Gerchunoff y Horacio Aguirre ven en la política económica de los 20' un antecedente del peronismo pero con apertura, es decir, salarios reales altos, un desarrollo industrial incipiente y un sector agro-ganadero con menor peso relativo. Para los autores The 1920s are thus placed as a "missing link" in Argentine economic history: it is a period that does not seem to carry with it distinct features of its own, but rather tends to be depicted as either the proto-history of economic stagnation or the epilogue of open-economy development…The fact that import prices retained during the 1920s part of their gains of the previous decade, gave way to conditions that favoured a 'spontaneous' kind of protection; in contrast, high export prices in the 1940s presented peronism with an opportunity to seize resources and allocate them to the industrial sector. Whereas the radical administrations would not break ties with the past in terms of identifying exports as the growth engine, and would thus take an attitude of 'benign neglect' towards industry, the peronist creed had industrial development as one of its pillars -and so would finance subsidies to industries with the trade surplus. It was 'market driven' industrialisation that took place in the 1920s, as opposed to active pro-industrial policies in the 1940s." (5)A partir de estas distintas posiciones que reflejan los historiadores económicos, podemos ver que la década del 20' no es el comienzo del proceso de industrialización argentino pero sí deviene como el periodo donde, sin saberlo los actores, se estaba alcanzando un punto en que la continuación exitosa del histórico modelo agro exportador necesitaría de inversiones importantes para mantener su eficiencia económica. En este sentido, la articulación de un sector industrial con capacidad para capturar rentas devenía no sólo un problema para el sector agropecuario sino para la economía en su conjunto.El comienzo de un proceso de industrialización no necesariamente tiene que generar juegos de suma cero con otros actores. ¿Por qué ello habría ocurrido en Argentina y cuales han sido sus características peculiares?Oposición campo - industria y juegos de suma ceroA partir de los aportes de los historiadores económicos, podemos reformular el problema: la década del 20' no significa el comienzo del proceso de industrialización argentino, sin embargo, puede significar el comienzo del juego de suma cero entre el sector agropecuario y el incipiente sector industrial. ¿Cuándo se dan los juegos de suma cero? Cuando hay dos o mas actores con la suficiente capacidad para generar y mantener un marco institucional donde uno captura sistemáticamente la mayor eficiencia de otro. Es importante notar que lo analíticamente relevante no es la existencia de un juego de suma cero sino la permanencia del mismo en el tiempo. Es decir, un problema atrae a analistas e historiadores no cuando sucede en un momento T1 sino cuando sigue sucediendo, sin solución de continuidad, en T2, T3, Tn. Así, lo que debemos responder es por qué se mantiene en el tiempo un marco donde un sector A es lo suficientemente productivo para ser sistemáticamente capturado y un sector B es lo suficientemente eficiente para capturar sistemáticamente a A.¿Por qué el juego de suma cero habría comenzado en los 20' y por que no había existido tal juego anteriormente? Como mencionamos, para la existencia de un juego de suma cero se necesitan al menos dos actores: uno que produzca los bienes que otro captura. Podemos pensar que antes de la década del 20' no estaban en la economía argentina suficientemente configurados los actores relevantes para la existencia de un juego de estas características. Es decir, el sector agropecuario expandía su producción y el mundo demandaba sus productos, mientras que por otro lado el sector industrial no era lo suficientemente articulado y poderoso como para capturar parte de las rentas agropecuarias. La década del 20 da comienzo a una particular economía política de la Argentina por la concatenación de estas características: 1) un sector agropecuario (relativamente) menos productivo que en el pasado, 2) un sector industrial en proceso de articulación y 3) una crisis en ciernes. ¿Cuál es la novedad analítica que nos provee la economía política de finales de los 20'? La existencia de un sector industrial con la capacidad de capturar la renta de un sector lo suficientemente productivo para ser capturado justo en el momento histórico donde acontecía una caída en la demanda de lo que producía dicho sector capturado y la economía mundial se adentraba en una Gran Depresión. ¿Es azarosa la aparición conjunta en el tiempo de un sector industrial con la capacidad de capturar y una economía que se avecinaba a la situación de un juego de suma cero? No necesariamente. Es posible que la mayor capacidad de captura se haya debido a la debilidad relativa que crecientemente mostraba el eficiente sector agropecuario argentino.El juego de suma cero que se avecinaba puede ser percibido en la siguiente definición de Gerchunoff y Llach:Mencionamos dos asimetrías. Una podría llamarse la asimetría sectorial; otra, la asimetría regional. La asimetría sectorial alude a la vasta brecha de productividad entre actividades primarias y secundarias. Como consecuencia de la escasa población y de la abundancia de tierra fértil (combinadas, al menos en un principio, con una mínima existencia de capital acumulado), la Argentina estuvo siempre muy bien preparada para producir alimentos. Esa ventaja absoluta para la elaboración de bienes primarios, resultado de la demografía y de la naturaleza, fue al mismo tiempo la fuente de la gran desventaja comparativa que siempre tuvo la Argentina para la producción industrial, que requería precisamente los factores menos abundantes, el trabajo y el capital. La relación entre abundancia de factores productivos y perfil productivo era visible para los observadores más agudos de la joven Argentina. Carlos Pellegrini presentaba en el Congreso de 1899 una versión rudimentaria del teorema Heckscher-Ohlin: "En la República Argentina es muy caro el capital y es muy cara la mano de obra, por ejemplo, mientras que hay otras naciones en que una y otra cosa son más baratas. En la República Argentina hay facilidades de otro orden, que no se encuentran en otros países. Una industria cualquiera que requiriera mucha mano de obra, sería una industria muy difícil de arraigar en la República Argentina, porque desde el principio tendría que luchar contra esta condición especial nuestra, que es la falta de mano de obra." (6) Podemos introducir la cuestión de la oposición campo-industria desde la perspectiva analítica que da la oposición campo-ciudad. Sostiene Varshney Ashutosh:A history of ideas on town-country struggles must start with the obvious fact that as economies develop and societies modernize, agriculture declines. Before the rise of industrial society, all societies were rural. If we look at the most industrialized societies of today, their agricultural sectors constitute less than five per cent of GDP. Contrariwise, in the poorest economies of the world, agriculture still accounts for anywhere between 30 to 65 per cent of GDP (World Bank, 1991: 208-9).(7)Así, si bien el autor se refiere a la problemática relación campo-ciudad en África, el desarrollo que hace nos sirve para Argentina:Using theories of collective action, Bates (1981) reformulated this argument. One can identify 3 steps in his argument. First, to extract resources for the treasury, city and industry, African states set prices that hurt the countryside. Second, by selectively distributing state largesse (subsidies and projects), African states divide up the countryside into supporters that benefit from state action and opponents who are deprived of state generosity, and are frequently punished. Such policy-induced splits pre-empt a united rural front. Third, independently of the divisive tactics of the state, rural collective action is difficult because (a) the agriculture sector is very large with each peasant having a small share of the product, and (b) it is dispersed, making communication difficult. The customary free-rider problem in such situations impedes collective action. Industry, on the other hand, is small and concentrated in the city, and the share of each producer in the market is large, making it worthwhile for each producer to organize."(8)A su vez, la asimétrica relación entre el campo y la industria depende en parte importante del grado de desarrollo de la economía en cuestión. Richard Peerlberg ha realizado una síntesis del problema en el American Journal of Agricultural Economics:Un excelente estudio para explicar por qué todos los países desarrollados tienden a proteger a los productores agropecuarios es un libro publicado por Anderson y Hayami. Los autores realizan una comparación de las variaciones nominales en la protección del sector agrícola (es decir, la ratio entre el precio interno y el externo) en 15 países, desarrollados y en vías de desarrollo, en el periodo 1955-80. Los autores encuentran que el 70% de estas variaciones en la protección nominal puede ser explicada, país por país, a través de la variación de los indicadores de urbanización e industrialización (indicadores como ratio tierra-trabajo y ratio productividad del trabajo agrícola versus productividad del trabajo industrial). Anderson y Hayami concluyen que, mas allá de la distintiva historia de un país, su cultura o instituciones, el nivel de protección para el sector agrícola tenderá a crecer junto a la industrialización, o más precisamente, cuando las ventajas comparativas de la agricultura decrecen. Así, en cuanto las ventajas comparativas se trasladan de la agricultura a la industria, el foco de la protección cambiará desde la industria a la agricultura. Anderson y Hayami estudian particularmente esta tendencia en Asia Oriental, donde países como Japón, Corea, y Taiwán han pasado dramáticamente de castigar impositivamente a proteger al agro, una vez que el rápido proceso de industrialización comenzó.(9)De la cita anterior surge un punto analítica y políticamente central para este trabajo: mientras en los países desarrollados la industrialización supuso un proceso donde se pasaba de castigar a proteger al sector agropecuario, la experiencia Argentina ha mostrado el camino inverso. El país "era desarrollado" cuando no se protegía al agro y comenzó a retrasarse (relativamente, en relación al ingreso per capita de los países ricos) cuando inició el supuesto proceso de industrialización. Es decir, este camino inverso refleja la asimétrica relación entre un sector agrícola altamente productivo y un sector industrial poco productivo. El siguiente gráfico refleja la decadencia relativa:Evolución relativa del ingreso por habitante de Argentina.Ingreso per cápita argentino como % del promedio entre Estados Unidos, Francia, Reino Unido, Italia, Alemania, Bélgica, Canadá, Australia, Nueva Zelanda y Brasil. Fuente: Pablo Gerchunoff y Lucas Llach, Ved en Trono a la Noble Igualdad, Op. cit., 8.Juegos de suma cero y repetición de crisisDurante la crisis y post crisis de 1929 es cuando comienza a consolidarse el juego de suma cero que se institucionaliza en la estable puja distributiva que impone el primer peronismo. La influencia que la Gran Depresión ha tenido en la economía política de la Argentina no puede subestimarse. Tanto la Gran Depresión como el primer peronismo son variables centrales para entender por qué acontece una puja distributiva de baja calidad institucional, que se consolida en el tiempo independientemente de las sucesivas crisis fiscales que ayuda a provocar. Podemos ver los siguientes indicadores:La depresión del comercio argentino:exportaciones e importaciones durante la crisis Fuente: Pablo Gerchunoff y Lucas Llach, El ciclo de la ilusión y el desencanto: Un siglo de políticas económicas argentinas (Buenos Aires: Ariel, 1998), 114. (De aquí en adelante: Pablo Gerchunoff y Lucas Llach, El ciclo de la ilusión y el desencanto)¿Cuáles son las nuevas variables que aparecen con la Gran Depresión? La principal variable que genera la crisis es una ola proteccionista. Una segunda variable, relacionada con la primera, es la incipiente consolidación de la Industrialización por Sustitución de Importaciones (ISI), modelo económico-político que es institucionalizado por el primer peronismo. Una crisis puede tener la particularidad de generar incentivos económicos e institucionales anteriormente inexistentes. Sin embargo, lo relevante de la crisis del 29' para la economía política de la Argentina ha sido contribuir a generar nuevos incentivos que se fueron consolidando con las sucesivas crisis. Es decir, es un dato analítico inusual que las posteriores crisis fiscales hayan contribuido a institucionalizar un patrón de captura en vez de generar incentivos para al menos intentar modificar la economía política del estancamiento.La crisis del 29' nos provee también indicadores comparados:Un mundo en crisis:Caída máxima del producto en tiempos de la Depresión (%) Fuente: Gerchunoff, Pablo y Llach, Lucas, El ciclo de la ilusión y el desencanto, Op. cit., 119.Como mencionamos, podemos ver que la puja distributiva que comienza en el juego de suma cero de finales de los 20's se consolida durante el primer peronismo(10): Fuente: elaboración propia con datos provistos en CD con estadísticas de Gerardo Della Paolera y Alan Taylor,A New Economic History of Argentina (EEUU: Cambridge University Press, 2003): Nominal Wage Index (IEERAL (1986) and Mundlak, Cavallo and Domenech (1989)) (De aquí en adelante: Gerardo Della Paolera y Alan Taylor, A New Economic History of Argentina)La puja distributiva también queda reflejada en el Índice de Precios al Consumidor: Fuente: elaboración propia con datos provistos en CD con estadísticas de Gerardo Della Paolera y Alan Taylor,A New Economic History of Argentina, Op. cit.Por otro lado, podemos ver como después de la Gran Depresión los salarios del sector agropecuario se recuperan en parte, para volver a caer con la llegada del primer peronismo. En cambio, los salarios del sector industrial permanecen en una meseta durante la Depresión, para alcanzar un aumento notable con la llegada del peronismo: Fuente: elaboración propia con datos provistos en CD con estadísticas de Gerardo Della Paolera y Alan Taylor,A New Economic History of Argentina, Op. cit.Por último, es necesario mostrar la discriminación al campo que se consolida e institucionaliza con el primer peronismo:La discriminación al campo(Base 1925-1929 = 100) Fuente: Gerchunoff, Pablo y Llach, Lucas, El ciclo de la ilusión y el desencanto, Op. cit., 189.¿Por qué habría una relación entre el juego de suma cero planteado y la repetición de las crisis fiscales en Argentina? Como mencionamos, la década del 20 contribuyó a consolidar un proceso de industrialización de baja calidad. En ese marco, el problema no sólo era la mala calidad de la industrialización sino el momento histórico donde ello acontecía. Cuando más se necesitaban recursos para producir nuevas ganancias de productividad en el sector agropecuario argentino, comenzaba una eficiente captura por parte de un nuevo actor. Esta sistemática captura puede ejemplificarse en la aparición de la Junta Nacional de Granos en 1935 y en las políticas distributivas implementadas por el primer peronismo(11). Sin embargo, aquí el punto analítico principal es que el juego de suma cero se institucionaliza con el primer peronismo, y las sucesivas crisis fiscales son incapaces de generar incentivos como para modificar la captura en marcha.A partir de la cita anterior de Astoney Vahsney, podemos pensar que la complejidad de la experiencia argentina se debe en parte a la existencia de un proceso de industrialización donde el perjudicado es el sector agropecuario y el protegido es precisamente un sector industrial con bajos índices de productividad. Siguiendo esta lógica, es posible ver que la mala calidad del proceso de industrialización argentino institucionaliza un marco estable de captura porque el sector eficiente es también el más atomizado políticamente. Así, las sucesivas crisis fiscales reflejan la existencia de una irresuelta puja distributiva. Esta particular economía política de la captura puede ayudarnos a articular una explicación sobre la estabilidad del estancamiento.El juego de suma cero supone la existencia de cierta ineficiencia económica y esta a su vez supone la posibilidad de un sector público que gasta por encima de sus ingresos. A su vez, eso genera una crisis. Sin embargo, esa crisis fiscal no necesariamente supone una cesación de pagos. Della Paolera, Irigoin y Bózzoli hacen hincapié en un punto analíticamente central: para ellos, los problemas de incumplimiento del sector público argentino no tienen que medirse sólo en relación al default de bonos de la deuda sino al default interno que significa la desvalorización de la moneda local debido a la inflación causada por la excesiva monetización. La impresión de moneda local es una deuda que el Estado contrae con sus ciudadanos y la monetización de los déficits es, para los autores, una manera de incumplir con las obligaciones asumidas. Es decir, no sólo se pueden violar los derechos de propiedad a través de la cesación de pagos de bonos de la deuda publica sino también a través de la cesación de pagos de hecho que significa la impresión de moneda que genera procesos inflacionarios. En palabras de los autores:As was the case prior to 1850s, currency issue was the ultimate recourse taken to meet the fiscal gap. This was the result of the government's capacity to influence the authorities in charge of monetary policymaking. Eventually, excessive monetary expansion led to inflation and allowed the government to repudiate some of its liabilities. Because inflation diminished the real value of money, the monetization of the fiscal deficit acted as a progressive expropriation of domestic currency held by private agents, i.e., it acted as an inflation tax. This permanent erosion in the purchasing power of the public's cash holdings had dramatic consequences. Over time, this repeatedly used device reached extreme proportions: on a percentage basis, increases in the fiscal deficit were often met one-for-one with increases in inflation tax…The use of monetization to finance persistent fiscal deficits was one of the main problems of the Argentine economy in the second half of the 20th century. (12)Las crisis económicas pueden reflejarse en incumplimientos en el pago de bonos pero también en el valor de la moneda local. El sector público argentino ha sistemáticamente monetizado sus déficits y generado así ganadores y perdedores. Sin embargo, lo destacable del proceso ha sido la dificultad para modificar el patrón de captura. Es decir, una pregunta central que debe responder la historia económica no es la existencia de una puja distributiva sino la irresuelta permanencia de la misma. En este trabajo hemos intentado marcar que esa irresuelta permanencia se ha debido en parte a la compleja e inusual relación dada en un país que elige para modernizarse depender de la eficiencia del sector agropecuario. A su vez, ello no sólo generó la existencia de un juego de suma cero sino la estabilidad de ese juego. La razón de la estabilidad hay que buscarla en la lógica de la acción colectiva: el incipiente sector industrial no sólo era ineficiente económicamente sino que se encontraba en una relación de poder asimétrica y ventajosa con el crecientemente desarticulado sector agropecuario, situación que contribuyó a institucionalizar el juego de suma cero incluso ante la sucesión de crisis fiscales.Consideraciones finales¿En qué medida el incipiente proceso de industrialización en marcha en los años 20' potenció un juego de suma cero entre el campo y la industria y, al hacerlo, ha contribuido a generar diversos ciclos de expansión populista que, dado su volatilidad, ayudaron a consolidar un marco institucional de sucesivas crisis? Es decir, ¿potencian los juegos de suma cero la volatilidad de los ciclos económicos?En el presente trabajo hemos intentado marcar una relación entre el juego de suma cero del campo y la industria y la volatilidad de los ciclos económicos en Argentina a partir de la institucionalización de la captura. ¿Cuál ha sido la particularidad de la economía política de la Argentina? Posiblemente, que la captura ha sido estable debido a que el proceso de modernización supuso la protección para la industria y no para el campo. Esto hizo estable la captura y una captura estable devino en sucesivas crisis fiscales que, a su vez, no podían generar un cambio posterior en los incentivos institucionales.La volatilidad del ciclo económico argentino ha sido producto en parte de la mala calidad de la puja distributiva. Una puja distributiva es de mala calidad cuando se institucionaliza una captura de un actor sobre otro y las sucesivas crisis (de mayor o menor volatilidad) no pueden modificar los incentivos. Si bien podemos enumerar decenas de pujas distributivas que permanecen en la misma dinámica, sin solución de continuidad, debemos preguntarnos qué tiene de distintivo la puja que surge con el proceso de industrialización. Lo distintivo es la concatenación con la Gran Depresión y la necesidad de desarrollar importantes inversiones en un sector agropecuario que debía competir con un mundo crecientemente protegido pero competitivo. A su vez, la mala calidad de la industrialización argentina se concatena con una eficiente articulación política del sector urbano-industrial. Asimismo, el peronismo institucionaliza este mecanismo y hace que la puja distributiva que había nacido fuera de difícil modificación incluso después de sucesivas y profundas crisis fiscales. BibliografíaDella Paolera, Gerardo y Alan Taylor. A New Economic History of Argentina. EEUU: Cambridge University Press, 2003.Di Tella, Guido y Manuel Zymelman. Las etapas del desarrollo económico argentino. Buenos Aires: Eudeba, 1967. Díaz Alejandro, Carlos. Essays on the Economic History of the Argentine Republic. New Haven: Yale University Press, 1970.Gerchunoff, Pablo y Horacio Aguirre. In Search of the Missing Link: the Argentine Economy in the 1920s. Mimeo. Buenos Aires: Universidad Di Tella, 2003. Gerchunoff, Pablo y Damián Antúnez. "De la bonanza peronista a la crisis del desarrollo." En Los Años Peronistas, Vol VIII de la Nueva Historia Argentina, ed. Juan Carlos Torre, 125-205. Buenos Aires: Sudamericana, 2002.Gerchunoff, Pablo y Lucas Llach. El ciclo de la ilusión y el desencanto. Buenos Aires: Ariel, 1998.Gerchunoff, Pablo y Llach, Lucas. Ved en Trono a la noble igualdad. Crecimiento, equidad y política económica en la Argentina, 1880-2003. Buenos Aires: Fundación Pent, 2003.Paarlberg, Robert. "The Political Economy of American Agricultural Policy: Three Approaches." The American Journal of Agricultural Economics71 (diciembre 1989): 1157-1164. [en línea] disponible en http://chla.library.cornell.edu.Rocchi, Fernando. Building a Nation, Building a Market: Industrial Growth and the Domestic Economy in Turn-of-the- Century Argentina. PhD dissertation. Santa Barbara: UC Santa Barbara, 1997.Varshney, Ashutosh. "Introduction: Urban Bias in Perspective." Journal of Development Studies 29 (julio 1993): 3-22.Villanueva, Javier. "El origen de la industrialización argentina." Desarrollo Económico 47 (oct-dic 1972): 1-24. [en línea] disponible en www.educ.ar.NOTAS(1) Ver Fernando Rocchi, Building a Nation, Building a Market: Industrial Growth and the Domestic Economy in Turn-of-the-Century Argentina. Ph.D. dissertation (Santa Barbara: UC-Santa Barbara, 1997).(2) Ver Guido Di Tella y Manuel Zymelman, Las etapas del desarrollo económico argentino (Buenos Aires: Eudeba, 1967).(3) Javier Villanueva, "El origen de la industrialización argentina," Revista de Desarrollo Económico 47 (oct-dic 1972): 4. [en línea] disponible en www.educ.ar. (De aquí en adelante: Javier Villanueva, "El origen de la industrialización argentina").(4) Javier Villanueva, "El origen de la industrialización argentina," Op. cit., [en línea] disponible enwww.educ.ar 6.(5) Pablo Gerchunoff y Horacio Aguirre, In Search of the Missing Link: the Argentine Economy in the 1920s.Mimeo (Buenos Aires: Universidad Di Tella, 2003), 1 y 20. El investigador Carlos Díaz Alejandro desacredita la posibilidad de la década del 20´ como un punto de inflexión. El historiador económico cubano demuestra que las tasas de crecimiento continuaban siendo elevadas y superiores a la tasa promedio de los países principales. Ver la clásica obra: Carlos Díaz Alejandro, Essays on the Economic History of the Argentine Republic (New Haven: Yale University Press, 1970).(6) Pablo Gerchunoff y Lucas Llach, Ved en Trono a la Noble Igualdad. Crecimiento, Equidad y Política Económica en la Argentina: 1880-2003 (Buenos Aires: Fundación Pent, 2003), 3. (De aquí en adelante: Pablo Gerchunoff y Lucas Llach, Ved en Trono a la Noble Igualdad).(7) Ashutosh Varshney, "Introduction: Urban Bias in Perspective," Journal of Development Studies 29 (julio 1993): 7. (De aquí en adelante: Ashutosh Varshney, "Introduction: Urban Bias in Perspective")(8) Ashutosh Varshney, "Introduction: Urban Bias in Perspective," Op. cit.: 7.(9) Robert Paarlberg, "The Political Economy of American Agricultural Policy: Three Approaches," The American Journal of Agricultural Economics 71 (diciembre 1989): 1158. [en línea] disponible en http://chla.library.cornell.edu.(10) Tomando en cuenta la mayor participación del sector industrial en el Producto Bruto Nacional, especificado anteriormente en el cuadro de Javier Villanueva titulado "Producto Bruto Nacional: Sectores agrícola y manufacturero".(11) Ver Pablo Gerchunoff y Damián Antúnez, "De la bonanza peronista a la crisis del desarrollo," en Los Años Peronistas, vol VIII de la Nueva Historia Argentina, ed. Juan Carlos Torre, (Buenos Aires: Sudamericana, 2002).(12) Gerardo Della Paolera, María Alejandra Irigoin y Carlos G. Bózzoli, "Passing the buck: Monetary and fiscal policies," en A New Economic History of Argentina, ed. Gerardo Della Paolera y Alan Taylor (EEUU: Cambridge University Press, 2003), 72-73. A su vez, Della Paolera y Taylor desarrollan la relación entre moneda y baja calidad institucional en Gerardo Della Paolera y Alan Taylor, Straining at the Anchor (Chicago: The University of Chicago Press, 2001). *Licenciada en Relaciones Internacionales (Universidad Torcuato Di Tella-Argentina), maestrando en Arquitectura Urbana (Universidad Di Tella-Argentina)Ha sido Profesora Adjunta en Historia Economica (Universidad Di Tella-Argentina)