Il tema della formazione della prova nel processo penale e del convincimento del giudice è un problema complesso, i cui aspetti critici consistono in una molteplicità di fattori non tutti rientranti nell'ambito tipicamente processuale. Un approccio eclettico e multidisciplinare è l'unico che consente di comprenderne l'ambito e quindi gli spunti risolutori. La storia delle prove penali rappresenta il riflesso del contesto politico, sociale e lato sensu culturale di ogni civiltà ed appare inevitabilmente segnata da vari snodi, cui corrisponde l'affermarsi di specifici e differenti materiali cognitivi che assurgono a simbolo di una determinata società. L'analisi del libero convincimento del giudice non può, dunque, prescindere da un excursus storico che metta in luce gli spazi riservati, di volta in volta, all'operatività del principio, così da apprezzarne le alterne vicende susseguitesi al mutare del contesto sistematico di riferimento. In tempi recenti, il principio del libero convincimento ha rischiato di essere de facto eclissato a causa della progressiva influenza nel processo penale della prova scientifica, nella convinzione che l'apporto delle "scienze esatte" possa fornire un contributo determinante all'accertamento dei fatti. Sempre più spesso, infatti, la ricostruzione probatoria dei fatti rilevanti per l'accertamento del reato e per l'individuazione del colpevole è strettamente connessa ai risultati della prova scientifica, conseguiti mediante operazioni svolte da periti o consulenti tecnici, i quali si avvalgono talvolta di strumenti noti e tradizionalmente affidabili, ed altre di tecniche nuove e controverse. Prova, metodo scientifico e libero convincimento sono temi che si intersecano e si condizionano tra loro, in un ambito nel quale gli operatori della giustizia devono fare i conti con una norma scarna, se non addirittura carente. È sul terreno della prova scientifica che si manifestano con maggior forza incertezze e dubbi applicativi, quali fino a che punto il giudice possa deresponsabilizzarsi ed affidarsi a dati esterni, facendo dipendere la decisione di sua competenza da soggetti che non hanno apposita legittimazione; come debbano essere valutati i dati scientifici, mai univoci, introdotti nel giudizio; se sia compito del giudice essere arbitro non solo dei conflitti sul diritto, ma anche di quelli che vertono sulle metodologie scientifiche ed i suoi risultati. Nella risoluzione di tali interrogativi, è opportuno guardare all'esperienza dei sistemi giuridici d'oltreoceano, nei quali la giurisprudenza ha offerto un ampio ventaglio di risposte ed un robusto supporto teorico. Atteggiamento condivisibile, a patto però di non voler a tutti i costi recepire supinamente conclusioni e soluzioni maturate in contesti processuali ed ordinamentali profondamente diversi. La celebre sentenza Daubert v. Merrell Dow Pharms pronunciata dalla Corte suprema statunitense stabilisce una serie di canoni che devono presiedere alla decisione del giudice, esplicitamente basati sull'incrocio tra la metascienza falsificazionista di Popper e una lettura della scienza come istituzione sociale, in cui si esalta il peso della comunità scientifica. Ciò sembra fare del giudice il "guardiano" dell'ammissibilità delle prove scientifiche, un ruolo che lo slega dall'ipse dixit dell'esperto. Anche il giudice italiano è sollecitato ad abbandonare, da un lato, la "teoria autoritaria" del libero convincimento, ricercando nelle leggi scientifiche la "copertura" delle proprie decisioni, ma, dall'altro, a non assumere atteggiamenti giudiziali « remissivi e rinunciatari, indulgenti alla acritica recezione specialmente dei contributi ricostruttivi e valutativi delle "persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina"», bensì il ruolo del «reale dominus del processo acquisitivo e decisionale", del "ricercatore solerte ed attento del "vero" attraverso la conoscenza ed il vaglio critico di ogni utile emergenza fattuale». Dallo svolgimento del nostro elaborato emerge con forza significativa come la prova scientifica non sia una prova infallibile ma una prova verificabile e da accertare come tutte le altre, la cui valutazione richiede maggiori cautele, in quanto presuppone la mediazione dell'esperto. Il tema della valutazione della prova scientifica ha spesso caratteristiche di maggior difficoltà rispetto a quella di altre prove perché mentre gli strumenti culturali a disposizione del giudice per la valutazione delle altre prove sono patrimonio di tutti i giudici, nell'ambito della prova scientifica il giudice non è normalmente dotato delle necessarie conoscenze e conseguentemente non può valutarla senza la mediazione dell'esperto. Solamente attraverso il contraddittorio "per" e "sulla" prova scientifica è possibile ovviare ai due principali rischi caratterizzati dalla fallacia dello iudex peritus peritorum, consistente nell'impossibilità da parte del giudice di sostituirsi agli esperti scegliendo arbitrariamente la teoria da privilegiare, e dalla fallacia dell'ipse dixit, costituita dalla possibilità che il giudice si appiattisca sulla ricostruzione di un esperto senza valutarla criticamente. Al fine di ovviare al diffuso orientamento presente in letteratura e in giurisprudenza in base al quale esisterebbe una presunzione relativa di affidabilità del perito, occorre accogliere il principio secondo cui il giudice è chiamato a valutare la specifica qualificazione dell'esperto ed il metodo che egli ha adottato. Compito del giudice è, infatti, capire su quali basi l'esperto perviene ad un determinato asserto, e non analizzare nel merito ciò che l'esperto asserisce. Occorre, inoltre, valorizzare al massimo il contraddittorio con i consulenti tecnici. Ciò evita che al perito venga attribuito un credito privilegiato senza validi motivi, e permette inoltre che una ricostruzione di parte risulti perfettamente idonea a spiegare il caso concreto, anche in presenza di una perizia che ha fornito risultati contrari. Come risulta dal nostro studio, il perito non è attendibile in quanto figura neutra di nomina giudiziale, ma lo è in quanto la sua ricostruzione ha resistito all'urto del contraddittorio. In questo quadro risulta evidente che il motto iudex peritus peritorum perde i tratti negativi e si carica di un inedito significato che conferisce al giudice il potere di scegliere la migliore ricostruzione del fatto, con il vincolo della motivazione legale e razionale. In sintesi estrema, la scienza nel processo penale è una sorta di Giano bifronte. Il volto "cattivo" è quello di una sorta di deus ex machina che, provando troppo, ha spesso una portata risolutiva. Il volto "buono" è rappresentato da un criterio rigoroso, segno tangibile di un approccio scientifico in senso ampio, che deve informare di sé ogni ricostruzione fattuale effettuata nel processo penale. È importante soffermarsi, inoltre, sul fatto che la prova scientifica al fine di supportare una sentenza di condanna deve condurre al superamento di ogni "ragionevole dubbio" circa la colpevolezza dell'imputato. Infatti, è proprio a fattispecie per il cui accertamento si ricorre al sapere scientifico che la nostra giurisprudenza ha anticipato sul punto il legislatore, facendo ricorso al parametro di matrice nordamericana del beyond any reasonable doubt.
Introducción
El actual desarrollo y crecimiento de las ciudades, crea la necesidad de que la ciudad no sólo sea un espacio en el que residan sus habitantes sino un lugar en el que se ven plasmados los cambios que surgen en ella; es por ello que constantemente se implementan fuentes para el turismo y la exportación de productos que generen el crecimiento económico. Debido a esto y como contribución al desarrollo, se crean estrategias de comunicación visual para representar una ciudad por medio de un sello que la identifique y diferencie de otras locaciones de su región y del planeta.
En la Ciudad Autónoma de Buenos Aires, teniendo en consideración a los tres últimos jefes de gobierno, partiendo desde el periodo del año 2000 al 2015 se ha intentado establecer una marca ciudad, que en todos los casos, ha terminado siendo interpretada por sus ciudadanos como una marca política. Desde la gestión de Aníbal Ibarra (2000-2003), siendo reelecto durante el siguiente período el cual no logró terminar ya que fue destituido de su cargo por un juicio político en marzo del 2006, manejó la marca ciudad con los colores de su partido de gobierno, Frente Progresista Popular. Época en que en el cual la ciudad se vistió con los colores naranja y negro y cuyo signo distintivo se reconoció como "gobBsAs" desplegada por toda la ciudad.
Luego de la destitución de Ibarra asume la gestión de gobierno, Jorge Telerman haciendo leves cambios en la marca que se había instaurada por el líder anterior, por razones de tiempo. Su marca la cual fue considerada un sello marcario multicolor con el nombre "a+BA" y trabajó bajo el claim "actitudBsAs".
A su vez Mauricio Macri quien fue electo como jefe de gobierno por dos ocasiones entre el (2007-2015), impulsó una nueva propuesta de marca ciudad, desde su primer periodo con los colores de su partido de gobierno Propuesta Republicana (PRO), la cual fue y ha sido impulsada durante el período mencionado por la agencia de publicidad Don, dando los primeros pasos con el claim "Haciendo Buenos Aires" hasta su evolución final que es "En todo estás vos".
Según el manual de identidad corporativa de la marca ciudad de Buenos Aires "El nuevo claim de la ciudad proviene de la evolución del anterior 'Haciendo Buenos Aires'. 'En todo estás vos' significa que cada plan de gestión, cada obra realizada o cada evento que se haga, está hecho pensando en cada uno de los vecinos" (Manual de normas / de identidad visual institucional, 2014, p. 51). Entonces para su manual de identidad corporativa la marca ciudad, está trabajada pensando en cada uno de sus habitantes, es por ello que se los incluye en su comunicación.
A partir de los análisis que se exponen durante la introducción de este tema de investigación, lo que se busca es analizar la marca ciudad de Buenos Aires como una estrategia de gobierno, para hacer difusión política durante todo el periodo del proceso ejecutivo.
Planteamiento del problema
Una marca ciudad, es una estrategia de marketing y comunicación para posicionar una ciudad como un lugar turístico y atraer la inversión interna como extranjera. Trabaja como un elemento de identificación, creando un certificado de calidad de un producto o servicio. Estas marcas son administradas o dirigidas por municipios o instituciones públicas trabajando en conjunto con sus habitantes y empresas privadas.
La ciudad de Buenos Aires desde el año 2007 cuenta con una nueva marca, siendo una ventaja competitiva, considerando la efectividad que han tenido otras ciudades en el mundo que han desarrollado su activo intangible más preciado. Dicha marca es dirigida por el gobernador de la ciudad Mauricio Macri.
El autor de la investigación antes de visitar la Capital Federal de Argentina, observó a través de la televisión pagada, un spot promocional de la ciudad de Buenos Aires invitando al turista a conocerla. En dicho spot que tenía como fondo de la canción de Palito Ortega "un muchacho como yo" en el cual aparecía el gobernador de la ciudad Mauricio Macri, haciendo una invitación para Buenos Aires como la ciudad de todos, por su diversidad cultural y su gente, llamando mucho la atención del autor, por esta estrategia de marketing turístico de ciudad.
Al llegar a Buenos Aires lo que más le llamo la atención fueron los colores amarillo y negro que se utilizaban en la marca, llevándolo a generarse una primera pregunta que fue ¿por qué del uso de estos colores? A su vez, al indagar entre los habitantes de la Capital Federal, la percepción de casi todos a los que se le consultó desde su punto de vista empírico fue que era una propaganda política del (PRO).
Fue a partir de ello, que surgió la iniciativa de analizar la marca ciudad de Buenos Aires como una estrategia de gobierno, para hacer propaganda política durante todo el periodo del proceso ejecutivo, haciendo presencia del actor político y sus obras en la ciudad a manera de comunicar a los ciudadanos aquí "en todo estoy yo" en vez de su claim que dice "en todo estás vos".
Es por esto, que durante el proceso de esta investigación se vincula a la marca ciudad de Buenos Aires como una estrategia de marketing de ciudad para posicionar a su actor principal, que en este caso es el gobernador. Siendo así que en este sentido se lo puede definir como marketing político a la "(…) disciplina orientada al estudio de los procesos de los intercambios entre las entidades políticas, su entorno, y entre ellas mismas, con particular referencia al posicionamiento de estas entidades y sus comunicaciones". (Carlín, 2006, p. 7). Lo que se busca por medio del marketing político es posicionar a un actor electoral, para ganar adeptos a una ideología política y conseguir a través de los ellos un lugar en el manejo político de un sector de la población.
Este tema de investigación examina la comunicación gráfica de los contenidos de la marca ciudad de Buenos Aires "en todo estás vos" desde el período 2007 al 2015, con el fin de diferenciar una estrategia de marketing político con el concepto de una marca ciudad en la que la participación política no se vea reflejada en su totalidad con la identidad de la marca. Por lo que surge la pregunta de investigación que es: ¿en qué punto la marca ciudad de Buenos Aires se unifica con la marca partidaria del "PRO"? y si es posible contestar también ¿qué efectos tiene la mediatización de un actor político en una marca pública?, razón por la cual entre sus principales objetivos generales está, indagar la función de la marca ciudad de Buenos Aires (2007-2015) y su vinculación como una marca partidaria. Asimismo, evaluar la participación del actor político en ésta marca ciudad y cómo afecta la mediatización en un proceso de campaña.
Sus objetivos específicos tratan de establecer la vinculación de la comunicación pública con la comunicación partidaria; establecer los principios que fundamentan el diseño y propuesta de la marca ciudad Buenos Aires; relacionar los elementos de la comunicación gráfica de la marca ciudad con las estrategias de marketing político del "PRO"; fundamentar cómo a través de una comunicación pública se puede persuadir a los habitantes.
Por lo que se propone como hipótesis que: El partido "Propuesta Republicana" "PRO" identificó los elementos de diseño y comunicación gráfica de la marca ciudad de Buenos Aires (2007-2015) con una estrategia de marketing político, y de este modo unificó la comunicación partidaria con la comunicación pública.
Estado de la cuestión
Esta investigación surge en la Ciudad Autónoma de Buenos Aires, con respecto al uso de la marca ciudad Buenos Aires "en todo estas vos". El gobernador Mauricio Macri está al frente de la marca ciudad y su comunicación, en los distintos eventos realizados por la gobernación de la Ciudad.
Manuel Cruz (2013), menciona que las ciudades no son sólo poblaciones, infraestructuras a la orilla de un río o a la cercanía del mar, las sociedades se conforman a partir de la participación de los habitantes; el lenguaje coloquial, las costumbres, la forma de habitar, la cultura, forma parte de una ciudad. Con todo esto se puede construir una marca que afiance en su estructura, una esencia de lo que es y la representa. Una marca ciudad es una herramienta utilizada por los países y ciudades por medio de sus gobiernos, para impulsar la economía, turismo e inversión en el sector público y privado y así poder mostrar todos sus atributos ante el mundo.
La obsolescencia de ciertas herramientas de la administración pública local, lleva la mirada hacia nuevas formas de gestión de lo público donde se expone la necesidad de integrar al ciudadano a dicho esquema. Con base en un recorrido por los tres momentos de la marca de ciudad, donde se aportan los ingredientes básicos para el desarrollo exitoso de esta herramienta, nos concentramos en la participación de la ciudadanía como una herramienta insoslayable. (Paz, 2008, p. 184).
Una marca ciudad es un canal en el que se ve reflejada la participación de la ciudadanía. Entre los distintos tipos de uso que se puede tener de ella, ya sea en eventos en la ciudad en los cuales se hace una gran presencia de marcaría, fundaciones públicas, espectáculos públicos, eventos culturales, lo cual crea posicionamiento en los usuarios del sello marcario de ciudad. La socióloga y publicitaria Capurro (2006) se refiere a la Marca Ciudad como una necesidad de diferenciación no sólo en infraestructura sino también en valores.
Añade que las infraestructuras no dejan de ser importantes pero se las da por supuestas en el desarrollo de la misma, pues una marca ciudad logra materializar los intangibles y competir por captar iniciativas que creen mejores oportunidades en sus ciudadanos.
El estudio en Argentina de la marca ciudad se ha desarrollado en la provincia de Buenos Aires, ha tomado en cuenta procesos exitosos como la Marca Tandil y Villa Gesell, donde se hace un estudio de las características, fortalezas y debilidades que se adquieren en los procesos en las ciudades argentinas, visto en tres pasos de análisis: creación, implementación y comparación de otras marcas.
En la Universidad Nacional del Centro de la Provincia de Buenos Aires, Calvento y Colombo (2009), desarrollaron una investigación sobre la marca ciudad.
Plantean que la marca ciudad es definida como una estrategia de gestión de imagen, que ha sido desarrollada en algunas ciudades importantes del mundo e indican que las marcas son administradas y coordinadas por políticas públicas, por el estado subnacional, es decir, por la unidad institucional o nivel del Poder Ejecutivo, componente de un gobierno en un Estado Nacional, como son sus ciudades, municipios, regiones u otros poderes locales. En su estudio comparan a las ciudades de Tandil y Villa Gesell, donde se señala que la marca de Villa Gesell se presenta muy sólida y sigue una metodología consistente con la creación de la marca país Argentina, e indican que mientras que la marca Tandil ha tenido éxito, sufre de fuertes críticas que la muestran como una marca que no hace referencia a la ciudad sino que establece una conexión entre la marca y el gobierno del intendente.
A su vez, Lorenzo y Calvento (2011) investigaron que la marca ciudad de Tandil, no se encuentra parcialmente definida por su marca turística, y que no cuenta con una gestión marcaria integral, que complete y difunda otros aspectos igualmente relevantes de la misma. Indican que la marca Tandil, no posee una orientación estratégica ya que no define sus atributos y no cuenta con los elementos de marketing de ciudades, para promover y generar diferenciación y posicionamiento integral tanto a nivel provincial regional, nacional e internacional.
Hacen referencia a que desde hace algunos años se promueve un proyecto marcario, bajo el lema "Tandil, lugar soñado" el cual está bien posicionado, sin embargo, son acciones enfocadas al turismo y sus precedentes se encuentran exclusivamente relacionados al sector, olvidando hacer referencia a sus valores, su identidad, su gente, su cultura, su educación, sus empresas o su potencial económico y productivo.
A partir de la metodología manejada por las autoras. Utilizaron como herramienta, las encuestas para generar respuestas en su investigación, a través de 25 temas claves que vinculan a la ciudad con el fin de relevar la imagen interna de Tandil, lo que les permitió lograr un análisis estratégico de la imagen interna y externa, y el reposicionamiento de la ciudad a nivel nacional, pero sin embargo a nivel internacional la imagen sigue siendo un poco difusa, y es conocida sólo por algunos países en lo que respecta a logros de personalidades tandilenses reconocidas en el exterior.
El proceso de desarrollo de la marca Mar Del Plata ha tenido un significativo crecimiento en el posicionamiento turístico y ha construido una fidelización de esta, ya que para los argentinos es uno de sus principales destinos turísticos en la época de verano. En la Universidad Nacional De Mar Del Plata, Biasone (2010) realizó el estudio del caso de la marca Mar Del Plata para reposicionarla. Allí indica que el sello marcario se puso en marcha en el año 1996 con un eslogan que contenía un lenguaje coloquial y amistoso. La investigadora plantea que su estudio es de tipo exploratorio y descriptivo, ya que el abordaje de su tema se realiza desde la comunicación institucional turística, a modo que permita conocer las causas que confluyeron y dieron origen a la marca como destino turístico. En su abordaje relata la creación, la evolución y el posicionamiento de la marca Mar Del Plata.
El trabajo de los investigadores: Fernández, Madoery, Gaveglio, Angelone, del Huerto Romero, en la Universidad Nacional de Rosario (1997), se basa en una estrategia que resalta la importancia de la competitividad territorial, por lo que hacen uso del marketing territorial o marketing de ciudades como una maniobra para definir la segmentación y el posicionamiento de la marca en la ciudad de Rosario.
Fernández y Paz en la Universidad Nacional de Quilmes (2005), realizaron un estudio que trata sobre el marketing de ciudades hacia una política pública de diseño y gestión de los signos de identificación de la ciudad. Comienzan haciendo una introducción desde los años 1990, como producto de una combinación de factores socioeconómicos, las modalidades de gestión urbanas experimentaron transformaciones que representaron un gran cambio en el desarrollo de las ciudades, en gran parte de características irreversibles. Aducen que en el marco de las reformas estructurales practicadas y el retiro del aparato estatal de la escena de las políticas sociales y protagonismo económico de las tres ultimas décadas, las estrategias de intervención han cambiado radicalmente, las exigencias actuales en materia de gobernabilidad, competitiva y calidad de vida, en ese sentido las políticas públicas orientadas a crear y fortalecer o reinstalar la marca de territorio se presenta como un poderoso activo de la gestión contemporánea en el camino del desarrollo de una imagen pública, interna y externa, de aceptación en referencia a la ciudad o región.
En su trabajo investigativo se analizan dos de los procesos, que ellos plantean como relevantes al momento de indagar en las causas y consecuencias de las transformaciones del sistema urbano mundial. Como primer punto proponen la adopción de nuevos enfoques de planificación y gestión urbana. En particular consideran el diseño de la imagen y los procesos de construcción de identidad en la definición de estrategias de desarrollo urbano. El segundo punto se centra en las nuevas demandas de saberes e instrumentos que participen a fortalecer los procesos de diseño y gestión de marca desde un enfoque que incorpore la creatividad e imaginación ciudadana a los conocimientos especializados de los técnicos en diseño y comunicación.
A modo de conclusión de toda su investigación, postulan la necesidad de ir más allá de los límites que se ha propuesto originalmente el marketing de ciudades con un enfoque de gestión urbana, ya que en este sentido se intenta ampliar las fronteras del campo de intervención del enfoque de marketing de ciudades en dirección a las problemáticas que consideran propias de la publicidad y la comunicación.
En su artículo, los investigadores abordan una de estas dimensiones, la marca ciudad diseño de las marca territoriales, debe ingresar en las agendas de políticas públicas, como una estrategia de fortalecimiento de los rasgos identitarios de las ciudades y regiones, con el objetivo de promover la localización de actividades productivas e intensificar los flujos turísticos. La marca ciudad es una herramienta para potenciar la devoción cívica de los actuales habitantes, y difundir las bondades de una ciudad entre potenciales residentes, para así enfrentar con éxito los desafíos complejos propios de la realidad urbana, incentivando la necesidad recurrir a enfoques que permiten activar el potencial creativo, que existe en todos los ámbitos de la vida urbana, de manera tal que los actores locales y ciudadanos se transformen en co-creadores de su futuro, fortaleciendo el desarrollo de la marca que se quiere para el futuro; mencionan que la gestión de marca para ciudad y su objetivo prioritario, es fomentar procesos de creación comunitaria de marca y valor de marca, donde se alcance a diseños consensuados de logo y eslogan en términos de un atributo o conjunto de atributos de identidad territorial.
Rodrigues L. (2010) investigó, el marketing territorial en el contexto del subdesarrollo: el caso de la periferia de la región metropolitana de Rio de Janeiro - Brasil. Su estudio se basa en la competencia, entre las ciudades asociadas a los efectos del proceso de globalización sobre el territorio, donde resalta que no quedan dudas sobre la incorporación del marketing territorial como una herramienta potente, para complementar el desarrollo de las ciudades. Sin embargo, cuestiona que las herramientas estratégicas que tuvieron éxito en las ciudades de países de gran economía como países europeos, sean aplicables en las circunstancias a las especificidades de un entorno territorial sudamericano, por lo que analiza bajo una perspectiva crítica las contribuciones teóricas de tres investigaciones de marketing territorial, para ser adaptadas a la realidad de las ciudades subdesarrolladas situadas a la periferia de la región metropolitana de Río de Janeiro.
Cordeiro Braga y Veiga Shibaki (2010), analizan y evalúan cómo los elementos turísticos de una metrópolis, en este caso, la avenida Paulista se destaca como un ícono turístico y se fortalece por el turismo de negocios. Plantean que el desarrollo de su investigación se divide en cuatro ejes fundamentales para su estudio que son el turismo urbano, metropolitano, de negocios y marketing de ciudades, este último favoreció la realización de un estudio exploratorio de los datos secundarios obtenidos, en documentos de organismos y asociaciones relacionadas con la gestión turística en São Paulo. Señalan que incluyeron en su estudio datos ganados en el trabajo de campo de los establecimientos comerciales, elementos culturales, información sobre la estructura hotelera y los atractivos ubicados en la avenida, de esa forma pudo probarse que el carácter del ícono, facilita la difusión de la oferta turística en la región.
Any Brito Leal Ivo (2011), estudió la intervención urbanística y la creación de ciudades en el mundial de fútbol Brasil 2014. En su artículo discute cómo las intervenciones contemporáneas de remodelaciones urbanas intensas y legitimadas han contribuido para la construcción de marca país, y su impacto en la ciudad y espacios, indica que los grandes eventos se convierten en nuevas estrategias de intereses económicos nacionales en un ámbito global, y las intervenciones urbanas pasan a ser clave, para la re significación de la nación en ese contexto.
Quien hace una definición entre marca de producto y marca país, donde la marca producto se asocia a gestión de venta y creación simbólica de producto, mientras que marca ciudad, se relaciona o se puede aplicar al marketing de ciudades y se refiere a la comercialización de un lugar para diversos turistas, inversionistas directos, habitantes y mercado de exportación de profesionales. La investigadora afirma que en ese caso las ciudades se toman como bienes de consumo inmersas en el turismo, la cultura y el entretenimiento entre otros sectores del mercado. Asimismo, pone como ejemplo a ciudades que se venden como productores en sectores públicos y privados de la industria turística nacional e internacional en la que nombra a Salvador en Brasil y Barcelona en España. Indica que según la definición de Simon Anaholt, el mayor desafío para la construcción de la imagen nacional fuerte y competitiva, es conseguir que las diversas formas de divulgación y los agentes, como los actores políticos produzcan mensajes coherentes y uniformes sobre el país, tanto para el público interno como externo, a fin de que las políticas se dirijan a transformar el país según esa imagen diferencial en el mercado mundial. Durante su proceso de desarrollo menciona que pensar en estado nación según marca país, es redefinir el estado como una corporación inmersa en el mercado contemporáneo, fuera del sentido político. Concreta de la misma manera que el estado estaría fundando gradualmente sus estrategias sobre el desarrollo de esos nuevos prototipos del mercado.
Haciendo un análisis de varios autores, Any Brito Leal Ivo (2010), plantea una hipótesis que sostiene que la adopción de nuevos valores en el mercado, como valores nacionales y los daños en los procesos políticos puede ir en varias direcciones, desde un vacío en la imagen creada y la realidad, hasta la dominación y direccionamiento de las políticas culturales. Añade que el Mundial de Fútbol 2014, en Brasil, consolida una nueva imagen del país y que es –"El Brasil que despega"– en el escenario global. Ya que el mundial es un evento de gran importancia que se ajusta a la mecánica de gestión con reputación nacional, que posibilita que los juegos tengan sedes en diferentes ciudades del país, afirma que más allá del marketing de lugares, se construye también una idea de Brasil de acuerdo en expectativas distintivas y se refiere, al intento de forjar elementos claramente identificables, como representaciones visiblemente reconocidas como brasileras, mediante las ciudades escogidas y presentadas como la cara de Brasil.
Agrega que la intención del gobierno brasileño va más allá de ser sede del Mundial 2014 y recibir a los turistas, ya que el evento construye un proceso para el futuro próximo, mostrando la modernización nacional, su capacidad y su fuerza económica, convirtiéndose en proyecto legítimo que busca una nueva posición del país en la geopolítica mundial.
Como conclusión indica que la grandeza y la intensidad del volumen de obras se imponen como objetivo no sólo por el rito y el impacto simbólico de las noticias, sino por los negocios involucrados. La ciudad se libera de las ataduras de la regulación de las leyes, paradójicamente, los nuevos instrumentos legales favorecen la permisividad del uso del espacio urbano y el avance de los intereses particulares sobre los colectivos, así el desarrollo del evento trae nuevos cuestionamientos a la construcción y trascendencia del espacio urbano y la ciudad en la búsqueda desenfrenada de forjar una ciudad global.
En la Universidad de Palermo, Vélez Jaramillo (2008), realizó una tesis titulada: Los circuitos culturales en la construcción de marca ciudad. Caso Medellín. Su estudio se refiere a la construcción de marca en Medellín. Menciona que para el trabajo de desarrollo de una marca ciudad es necesario contar con un equipo de profesionales en varios campos como arquitectos, administradores, sociólogos, empleados del sector publico, diseñadores, comunicadores, que tratan en última instancia, en la elaboración de una propuesta en la que se deben considerar una serie de cuestiones, en lo que refiere al diseño. De acuerdo a los estudios en que se basó, divide al trabajo en cuatro ramas, el diseño de lo simbólico y la comunicación visual, el diseño de materiales para la industria, el diseño de actividades y servicios programados en lo que respecta al uso de espacios públicos para eventos y relaciones públicas, y el diseño de sistemas y entornos físicos, en el que se refiere a la arquitectura y diseño forestal en áreas verdes. Indica que además del trabajo interdisciplinario debe destacarse la importancia del Estado, no sólo en cuanto a la financiación del proyecto, sino más bien para el despliegue de políticas entre las cuales puede ubicarse el crecimiento de una marca ciudad en la integración de los sectores privados.
El enfoque que aporta con su trabajo desde el diseño contempla conceptos tales como marca, submarca y marca ciudad, relacionados con otros conocimientos como es consumo cultural y política cultural, no obstante hace énfasis en que hará proyección de los circuitos culturales de la ciudad de Medellín. Así, plantea como hipótesis que el desarrollo de los circuitos culturales opera como elemento clave para la integración y la dinámica entre las submarcas que conforman la marca ciudad. Entre sus objetivos plantea definir los conceptos de marca, identidad de marca, y marca ciudad, como una aproximación a las manifestaciones culturales en la ciudad antes mencionada. Señala que el relevamiento de actividades culturales durante el segundo semestre de 2006 y el primer semestre del 2007, comprendió un período en el que comenzó a desarrollarse un plan de mercadeo en la ciudad 2006 - 2016 auspiciado por la Alcaldía de Medellín.
En ese sentido según afirma, debe destacarse el papel impulsor del estado municipal, los cambios en el desarrollo urbano registrados en la ciudad durante el año 2000, configurando el contexto en el cual el estado ha trabajado en el espacio público, como política de integración ciudadana y democratización del acceso y la participación en la vida cultural para los diversos sectores de la sociedad, en relación con el panorama de las actividades culturales, que actualmente se observan en Medellín. Su propuesta consiste en una serie de circuitos culturales para la ciudad, para hacer visible los lugares y establecer conexión entre ellos y principiar posibles recorridos a través de distintos medios: sistema de señalización, publicación de mapas y guías impresas, desarrollo y actualización permanente de su sitio web, resulta imprescindible una mirada analítica más amplia y contextual sobre la ciudad, en el espacio en el que se despliegan las actividades culturales.
Señala que en su trabajo investigativo, su hipótesis hizo hincapié en el carácter interdisciplinario que implica la construcción de una imagen marcaria. Uno de sus objetivos contempló el diseño de los conceptos de marca, submarca y marca ciudad, presentó toda una serie de consideraciones al concepto de marca y a la construcción de una marca ciudad y otros elementos que componen submarcas y circuitos culturales relacionando otros conceptos mencionados como consumo y política cultural. Consideró pertinente para el caso de Medellín la construcción de marcas alternas en la imagen marcaria de la ciudad que agrupen diferentes áreas de trabajo o de interés: educación, turismo, cultura, servicios sociales, salud y espacio público. En participación del sector público y privado, ya que por medio de las marcas alternas ayudan a estructurar y clasificar la oferta y servicios ofrecidos por ambos sectores.
Por su parte, Miguel Badillo (2010), realizó una investigación de City-marketing en ciudades intermedias: caso Palmira - Colombia. Su estudio plantea que se basa específicamente en su etapa de diseño, ya que su proyecto surgió de la necesidad de generar acciones diná- micas y metodológicas, a fin de implementar un mecanismo que permita el diseño de un instrumento de gestión y promoción de la ciudad. La población de su estudio se integró con habitantes de la ciudad, visitantes y dirigentes de diversos sectores del Valle del Cauca en Colombia. La metodología empleada se basó en un estudio documental y el uso de instrumentos, cualitativos y se apoyó en cartografías urbanas, estudio de imaginarios y mediciones cualitativas de comunicación publicitaria, por lo cual para su realización, el investigador estableció un eje conceptual para la implementación de un plan de city-marketing en Palmira y una segunda fase donde desarrolló la sensibilización, la caracterización de la ciudad, los lineamientos estratégicos y los parámetros para la construcción de la marca y el diseño del plan de comunicación.
Su proyecto inició en el año 2003 donde a través del Centro Integrado para el Desarrollo de la Investigación (CIDI), conjuntó con un equipo de estudiantes liderados por un docente, quienes estructuraron el proyecto plataforma de posicionamiento Palmira hasta el 2006. Luego pasa al programa de publicidad y es continuado por un nuevo grupo de estudiantes dirigidos por una docente quienes estructuran la primera fase que es la auditoría de la imagen Palmira, para el desarrollo de un proyecto de citymarketing.
Menciona que durante el año 2007 el grupo de investigación publicitaria retomó el tema y realizó una investigación documental, partiendo de los resultados que existían en la misma universidad de estudios anteriores, tomando en cuenta un tema de gran importancia para su caso, por lo cual el investigador indica que la primera fase fue la visualización del tema. En el año 2009 se avanzó en una segunda fase, que fue el proceso de oficialización, donde trabajó en una propuesta integrada como parte de las diversas acciones que el actual gobierno implementaría en el plan de desarrollo.
En la Universidad de Palermo, Carlos Calle (2008), desarrolló un estudió basado en la marca ciudad de Cuenca como un elemento de participación social. Su estudió está basado en la ciudad de Cuenca que es la tercera ciudad más importante del Ecuador y para ello en su introducción se refiere al actual contexto de la globalización que propicia nuevos escenarios, para la comunicación, las exportaciones y el turismo, por lo cual en la ciudad antes mencionada a través de su alcalde se implementó una estrategia de marca ciudad, que comprende un elemento gráfico identificador y una campaña de posicionamiento como punto turístico enfocado en un diferenciador que posee ya que es patrimonio cultural de la humanidad, compuesto por elementos tangibles e intangibles.
Para ello se enfoca en establecer un concepto más claro de marca ciudad, analizando a la misma desde el acoplamiento de la globalización y la mundialización para tomarla como herramienta para fomentar la participación social. Analiza la implementación y promoción de la marca estudiada y su contribución en el marco del turismo, ya que en su trabajo se ejecuta un estudio estructural de los principios que conforman la marca ciudad y su relación con el diseño, su importancia, su interacción con el desarrollo diario de la ciudad. Resalta la importancia de un sello marcario para la misma, dirigiéndose al municipio con miras a mejorar el uso y la actual promoción de la propuesta para reconocerla como un instrumento social que contribuya a la mejor calidad de vida. En su hipótesis plantea desarrollar una estrategia mucho mejor de lo que funcionaba hasta el 2005, donde no se cumplía lo que tenia que dar de una Marca Ciudad, para lo cual piensa posicionarla e instaurarla como herramienta comunicativa real; como elemento gráfico y no como símbolo. Para posicionar a la ciudad de Cuenca como un destino turístico debido a que en la ciudad el turismo representa un rubro muy importante, ya que según menciona existe un estudio que afirma que un 51,7% del ingreso económico proviene del turismo. A través de la investigación se trata no sólo de explotar la parte turística sino también la comercial y lograr la integración de la ciudadanía para el desarrollo de la marca ciudad.
Como aporte se integra su estudio para mejorar la promoción de la propuesta para reconocer la marca ciudad como instrumento social.
En España, Sánchez Moya (2010), efectuó una tesis sobre Barcelona y Estambul y la imagen de la ciudad como valor de cambio. Introduce el tema haciendo una introducción breve al concepto de marca ciudad y su importancia, para luego introducir al lector en la concepción de marca Barcelona. Afirma que los proyectos que se han llevado a cabo en la ciudad la han transformado en una marca. Como prueba de esa transformación aduce que la película de Woody Allen que se filmó en la ciudad de Condal, se presentó simplemente como "Vicky - Cristina Barcelona" entendiéndose la palabra Barcelona como un modelo de ciudad, como una marca. Mediante una construcción visual del territorio, Barcelona se presenta a través de distintas marcas, con la intención de atraer turistas y capital extranjero a la ciudad. En su estudio escogió tres de las marcas de Barcelona que estuvieron presentes durante las cuatro últimas décadas, desde principio de los años 1980 hasta el año 2010.
Comienza por hacer el análisis de la marca Barcelona Mediterránea, explicando el concepto que da inicio al nombre para el desarrollo de la misma, como una ciudad mediterránea donde explica brevemente los proyectos que se llevaron a cabo en el litoral de Barcelona con el fin de abrir la ciudad al mar. Siguiendo con la marca Barcelona fue reinventada y trata de las transformaciones urbanas que se desarrollaron desde la democracia, con el fin de convertir a la ciudad en una metrópolis moderna, como un modelo Barcelona.
En el mismo país, Paz Balibrea (2004), efectuó una investigación sobre el concepto de modelo de Barcelona. Indica que la idea es utilizada de forma dominante en los círculos internacionales de urbanistas, arquitectos, geógrafos, sociólogos, políticos municipales y expertos en políticas culturales, para definir lo que llama una estrategia de regeneración urbana redefinida. Considera que el modelo Barcelona es positivo y se considera como un gran éxito de las resoluciones urbanísticas adoptadas en diseño y arquitectura tenidas como de alta calidad formal y estética. Se propuso hacer un recorrido crítico por la historia del modelo hasta esos momentos, y muestra que el consenso entregado y/o apático que ha caracterizado la actitud de la mayoría de los ciudadanos ante su ciudad y especialistas ante su objeto de estudio manifiesta que existen signos de resquebrajamiento.
Su aporte proviene de la historia y la crítica cultural por lo cual integró dos elementos de análisis en el debate crítico sobre la ciudad, aunque los presenta por separado, se necesitan mutuamente en la argumentación. Uno es la importancia del estudio de la cultura como eje transversal que recorre y da sentido a las transformaciones que constituyen el modelo de Barcelona, y el otro elemento a consideración es su hipótesis, que propone la utilidad crí- tica de distinguir los conceptos de modelo y marca, a la hora de definir la naturaleza de las transformaciones urbanísticas de la ciudad, a su entendimiento y uso desde la transición.
La investigadora se basa en que para construir la imagen modelo de Barcelona, el cine hizo un gran aporte en el modelo de construcción de Barcelona. Por ello en la medida en que escogió seis películas de directores españoles, norteamericanos y europeos, el cine pertenece a las industrias culturales que en los últimos años han aportado al desarrollo de dicho modelo. Indica que Barcelona ha experimentado un crecimiento exponencial desde la segunda mitad de los años noventa. En la ciudad se incorporó un organismo institucional que da soporte a la idea de introducir, el poder de la difusión de la imagen en la ciudad, por medio de espectáculos gratuitos en salas de cines públicas. Lo que crea uno de los medios más eficaces de propaganda infundada en la ciudad y su gran difusión se convierte en un agente ideológico, capaz de contribuir eficazmente en la construcción de un modelo a seguir.
Luego del análisis de las películas de varios directores, la investigadora hace énfasis en que no todas las muestras de cine pueden crear un modelo eficaz, he indica que los aspectos más progresistas en el origen del modelo Barcelona, que provenían de configuraciones socio-políticas catalanas y españolas heredadas del empuje del fin de la dictadura, no deben llevar a los ciudadanos ni a la negación, ni a la nostalgia de su existencia, ya que desde y gracias a aquella época, Barcelona tiene elementos urbanismo democratizante e integrador que siguen presentes en el espacio social y constituido de la ciudad.
La ciudad se regeneró bajo la premisa de conectar la nueva urbanidad con una memoria colectiva arquitectónica muy parcial, de la gran burguesía catalana de la que muchos de los agentes del modelo Barcelona eran, en definitiva, herederos; por no hablar de cómo la agenda terciaria impuesta sobre la ciudad, desvirtúa y resignifica, pero no hace desaparecer lo más socialmente progresista del modelo, vaciándolo en marca. Es por ello que deduce que el modelo ha muerto ahogado por las imposiciones de la marca. Sin embargo, aduce que se recuperó el concepto de modelo como una particular forma de entender la relación con el espacio urbano que consiste en afirmar el derecho de todos los ciudadanos a la ciudad.
Richard Eugenie (2008), expone un tema que no tiene que ver con la marca ciudad, pero aborda un punto que es significativo para el proyecto de investigación, con un tema titulado Álvaro Uribe: la comunicación por la imagen. Principios de marketing político. Menciona que en Colombia en cercanías de los procesos de elección presidencial en el año 2006, Álvaro Uribe Vélez, se lanzaba a la reelección. Los habitantes de Colombia tenían al candidato presidencial como un personaje de imagen política bien fuerte por la construcción sólida a través de los medios de comunicación, en la que se aplicó una campa- ña permanente haciendo uso de los medios de comunicación masivos a su alcance tanto tradicionales, audiovisuales y directos con una posición que lo privilegiada a pesar de las garantías que ofrece la Ley colombiana. Su campaña se dividió en dos etapas en la cual la primera fase, se recolectaron testimonios por parte de los colombianos en apoyo a Uribe haciendo notar en apoyo popular para luego ser utilizados con fines electorales, en su segunda fase se procede a crear la estrategia de comunicación visual para los afiches de campaña, a través del website www.adelantepresidente.com en la que los votantes podían elegir la imagen de campaña por medio de votación. La importancia en el uso de todos estos medios influyeron en la agenda mediática en los meses siguientes, el autor afirma que la construcción de todas estas estrategias construyeron un amplio dispositivo de persuasión a los futuros electores. Es por ello que Eugenie (2008), propone en su investigación un estudio semiológico de los afiches de campaña, para apreciar el alcance que tuvieron las herramientas de marketing político, para explicar el éxito obtenido por el actor político durante el 2002 y la facilidad con la que logró ser presidente en el 2006, examinando las imágenes de campaña en cinco etapas, para lo cual analizó la construcción del sentido de la imagen, las relaciones interpersonales, el relato, modalidades de acción y por último pero no menos importante las pasiones y sensaciones que producían los mensajes en la población. En su análisis de las imágenes reconoce todos los elementos gráficos contenidos en el afiche de campaña en el que destaca la construcción de la imagen en cuanto a simbologías y en la discursiva aplicada en el texto. En todas las etapas de su investigación de la imagen campaña presidencial de Uribe, el autor concluye con que todos los elementos gráficos no fueron puestos por casualidad, ya que la conformación de los mismos construye una realidad que resalta los valores del actor político.
Por otro lado Leyvi Castro Martínez (2012), estudió el caso el caso del presidente Barack Obama, a través de las técnicas del marketing político utilizadas en los medios de comunicación directos, como son las redes sociales, website, mensajes de texto, correo electrónico, etc., con el fin de llegar a más adeptos logrando posicionar al candidato como un producto a partir de toda la constante mediatización, logrando consolidar el voto duro e incursionando en una nueva forma de hacer política.
En el estado de la cuestión realizado se da cuenta de la ausencia de trabajos que aborden la problemática especifica de este proyecto, por tanto se cree que con el desarrollo de esta investigación se contribuirá, a la construcción de una marca ciudad que cumpla con los objetivos que se deben tener para crear una marca que aporte a la edificación de nuevas marcas. Con los interrogantes abiertos en este proyecto de investigación, sobre el tema específico de la marca ciudad de Buenos Aires con las siguientes preguntas ¿en qué punto la marca ciudad de Buenos Aires se unifica con la marca partidaria del "PRO"? y ¿qué efectos tiene la mediatización de un actor político en una marca pública?
Si bien en los trabajos mencionados se abordan las estrategias para la construcción de una marca ciudad y el desarrollo que se ha venido proyectando, muy poco se tiene en consideración acerca del tipo de estrategia que usan los administradores o coordinadores políticos, para el tratamiento del sello marcario de la ciudad Autónoma de Buenos Aires.
Línea temática
Esta investigación se encuentra enmarcada en dos líneas temáticas: 1) Medios y estrategias de comunicación. 2) Diseño y producción de objetos, espacios e imágenes.
Además está como objeto el estudio la marca de la Ciudad Autónoma de Buenos Aires entre el periodo (2007-2015) con el fin de evidenciar una estrategia de marketing político, en el concepto de una marca ciudad unificando la comunicación pública con la comunicación partidaria.
Lo que Brindará soporte a nuevas investigaciones y tratamientos de futuras marcas, en las que la ideología política no intervenga en su totalidad para el desarrollo y creación de las mismas, así de esta forma pueden evolucionar durante cada período de gobierno y continúe siendo administrada por el siguiente gobierno que la dirija.
Orden de trabajo y justificación
Capítulo I: La Comunicación Política desde los medios de comunicación masivos.
En este capítulo, se aborda el tema en referencia al papel que ejercen los medios de comunicación masivos en la comunicación política. Iniciando en la diferenciación entre lo público y lo partidario, para posteriormente dejar en claro la marca pública, la marca partidaria y la vinculación que estas tienen en la participación con los habitantes, como un comportamiento democrático por parte de las políticas públicas de los gobiernos pertinentes. A su vez en este capitulo se pone en contexto, acerca de la comunicación masiva y la persuasión que esta ejerce en el elector dando paso a la opinión pública y la transformación que sufre con los medios de comunicación masivos (llamada opinión publicada), la cual interviene en la agenda setting de los actores políticos y por medio de ésta se da la construcción de la imagen de la realidad social, que puede persuadir al elector de forma directa o indirecta sobre su entorno social.
A modo de cierre, para este capítulo se presentan las campañas políticas en la Argentina y la participación de la prensa en los gobiernos democráticos, a comienzos del año 1983, como un proceso de vinculación de los medios de comunicación masivos con la política.
Capítulo II: Estrategias de marketing político.
En este capítulo se exponen las estrategias que se despliegan en el marketing político para la comunicación electoral, en el que se definen las nociones de esta disciplina, mencionando términos como construcción de la imagen política y como afecta ésta en la percepción del elector. Diferenciación entre marketing comercial y marketing político. Candidato y posicionamiento que definen el papel del candidato y la importancia del posicionamiento en el marketing político, el discurso en la disciplina mencionada y cómo funciona en las estrategias de campaña. A su vez se nombran las características de la publicidad política y las campañas electorales. Asimismo las herramientas del marketing político entre las que destacan las herramientas tradicionales, audiovisuales y de marketing directo, por último el elector y rol en el centro de todas estrategias que se mencionan.
Capítulo III: Construyendo la marca en la ciudad.
En este capítulo se define el concepto de marca e introduce al término de marca ciudad, qué es, y la importancia de sus públicos tanto interno como externo, el funcionamiento de las marcas de ciudad y por medio de quién se gestionan, la construcción de las marcas territoriales como un término que también se les da a estas estrategias de sello marcario, el city-marketing y sus estrategias en la marca ciudad, estrategias de reconstrucción de marcas que apostaron por la reconstrucción desde lo social para posteriormente fortalecerse en su estrategia marcaria, casos que han transcendido como: Berlín, Barcelona, Curitiba y Medellín al mismo tiempo que se hacen referencia de dos casos de comunicación de sello marcario en Argentina, ya que el caso de estudio se sitúa en el país mencionado.
Capítulo IV: Desarrollo Metodológico.
En este capítulo se desarrollan las herramientas metodológicas del tema de investigación que es de tipo descriptivo y de carácter cualitativo, en el cual se desarrollarán entrevistas en profundidad y un análisis de contenido de los elementos de comunicación de la marca pública con la marca partidaria, con lo que se busca comprobar la hipótesis y los objetivos de la investigación.
Introducción El actual desarrollo y crecimiento de las ciudades, crea la necesidad de que la ciudad no sólo sea un espacio en el que residan sus habitantes sino un lugar en el que se ven plasmados los cambios que surgen en ella; es por ello que constantemente se implementan fuentes para el turismo y la exportación de productos que generen el crecimiento económico. Debido a esto y como contribución al desarrollo, se crean estrategias de comunicación visual para representar una ciudad por medio de un sello que la identifique y diferencie de otras locaciones de su región y del planeta. En la Ciudad Autónoma de Buenos Aires, teniendo en consideración a los tres últimos jefes de gobierno, partiendo desde el periodo del año 2000 al 2015 se ha intentado establecer una marca ciudad, que en todos los casos, ha terminado siendo interpretada por sus ciudadanos como una marca política. Desde la gestión de Aníbal Ibarra (2000-2003), siendo reelecto durante el siguiente período el cual no logró terminar ya que fue destituido de su cargo por un juicio político en marzo del 2006, manejó la marca ciudad con los colores de su partido de gobierno, Frente Progresista Popular. Época en que en el cual la ciudad se vistió con los colores naranja y negro y cuyo signo distintivo se reconoció como "gobBsAs" desplegada por toda la ciudad. Luego de la destitución de Ibarra asume la gestión de gobierno, Jorge Telerman haciendo leves cambios en la marca que se había instaurada por el líder anterior, por razones de tiempo. Su marca la cual fue considerada un sello marcario multicolor con el nombre "a+BA" y trabajó bajo el claim "actitudBsAs". A su vez Mauricio Macri quien fue electo como jefe de gobierno por dos ocasiones entre el (2007-2015), impulsó una nueva propuesta de marca ciudad, desde su primer periodo con los colores de su partido de gobierno Propuesta Republicana (PRO), la cual fue y ha sido impulsada durante el período mencionado por la agencia de publicidad Don, dando los primeros pasos con el claim "Haciendo Buenos Aires" hasta su evolución final que es "En todo estás vos". Según el manual de identidad corporativa de la marca ciudad de Buenos Aires "El nuevo claim de la ciudad proviene de la evolución del anterior 'Haciendo Buenos Aires'. 'En todo estás vos' significa que cada plan de gestión, cada obra realizada o cada evento que se haga, está hecho pensando en cada uno de los vecinos" (Manual de normas / de identidad visual institucional, 2014, p. 51). Entonces para su manual de identidad corporativa la marca ciudad, está trabajada pensando en cada uno de sus habitantes, es por ello que se los incluye en su comunicación. A partir de los análisis que se exponen durante la introducción de este tema de investigación, lo que se busca es analizar la marca ciudad de Buenos Aires como una estrategia de gobierno, para hacer difusión política durante todo el periodo del proceso ejecutivo. Planteamiento del problema Una marca ciudad, es una estrategia de marketing y comunicación para posicionar una ciudad como un lugar turístico y atraer la inversión interna como extranjera. Trabaja como un elemento de identificación, creando un certificado de calidad de un producto o servicio. Estas marcas son administradas o dirigidas por municipios o instituciones públicas trabajando en conjunto con sus habitantes y empresas privadas. La ciudad de Buenos Aires desde el año 2007 cuenta con una nueva marca, siendo una ventaja competitiva, considerando la efectividad que han tenido otras ciudades en el mundo que han desarrollado su activo intangible más preciado. Dicha marca es dirigida por el gobernador de la ciudad Mauricio Macri. El autor de la investigación antes de visitar la Capital Federal de Argentina, observó a través de la televisión pagada, un spot promocional de la ciudad de Buenos Aires invitando al turista a conocerla. En dicho spot que tenía como fondo de la canción de Palito Ortega "un muchacho como yo" en el cual aparecía el gobernador de la ciudad Mauricio Macri, haciendo una invitación para Buenos Aires como la ciudad de todos, por su diversidad cultural y su gente, llamando mucho la atención del autor, por esta estrategia de marketing turístico de ciudad. Al llegar a Buenos Aires lo que más le llamo la atención fueron los colores amarillo y negro que se utilizaban en la marca, llevándolo a generarse una primera pregunta que fue ¿por qué del uso de estos colores? A su vez, al indagar entre los habitantes de la Capital Federal, la percepción de casi todos a los que se le consultó desde su punto de vista empírico fue que era una propaganda política del (PRO). Fue a partir de ello, que surgió la iniciativa de analizar la marca ciudad de Buenos Aires como una estrategia de gobierno, para hacer propaganda política durante todo el periodo del proceso ejecutivo, haciendo presencia del actor político y sus obras en la ciudad a manera de comunicar a los ciudadanos aquí "en todo estoy yo" en vez de su claim que dice "en todo estás vos". Es por esto, que durante el proceso de esta investigación se vincula a la marca ciudad de Buenos Aires como una estrategia de marketing de ciudad para posicionar a su actor principal, que en este caso es el gobernador. Siendo así que en este sentido se lo puede definir como marketing político a la "(…) disciplina orientada al estudio de los procesos de los intercambios entre las entidades políticas, su entorno, y entre ellas mismas, con particular referencia al posicionamiento de estas entidades y sus comunicaciones". (Carlín, 2006, p. 7). Lo que se busca por medio del marketing político es posicionar a un actor electoral, para ganar adeptos a una ideología política y conseguir a través de los ellos un lugar en el manejo político de un sector de la población. Este tema de investigación examina la comunicación gráfica de los contenidos de la marca ciudad de Buenos Aires "en todo estás vos" desde el período 2007 al 2015, con el fin de diferenciar una estrategia de marketing político con el concepto de una marca ciudad en la que la participación política no se vea reflejada en su totalidad con la identidad de la marca. Por lo que surge la pregunta de investigación que es: ¿en qué punto la marca ciudad de Buenos Aires se unifica con la marca partidaria del "PRO"? y si es posible contestar también ¿qué efectos tiene la mediatización de un actor político en una marca pública?, razón por la cual entre sus principales objetivos generales está, indagar la función de la marca ciudad de Buenos Aires (2007-2015) y su vinculación como una marca partidaria. Asimismo, evaluar la participación del actor político en ésta marca ciudad y cómo afecta la mediatización en un proceso de campaña. Sus objetivos específicos tratan de establecer la vinculación de la comunicación pública con la comunicación partidaria; establecer los principios que fundamentan el diseño y propuesta de la marca ciudad Buenos Aires; relacionar los elementos de la comunicación gráfica de la marca ciudad con las estrategias de marketing político del "PRO"; fundamentar cómo a través de una comunicación pública se puede persuadir a los habitantes. Por lo que se propone como hipótesis que: El partido "Propuesta Republicana" "PRO" identificó los elementos de diseño y comunicación gráfica de la marca ciudad de Buenos Aires (2007-2015) con una estrategia de marketing político, y de este modo unificó la comunicación partidaria con la comunicación pública. Estado de la cuestión Esta investigación surge en la Ciudad Autónoma de Buenos Aires, con respecto al uso de la marca ciudad Buenos Aires "en todo estas vos". El gobernador Mauricio Macri está al frente de la marca ciudad y su comunicación, en los distintos eventos realizados por la gobernación de la Ciudad. Manuel Cruz (2013), menciona que las ciudades no son sólo poblaciones, infraestructuras a la orilla de un río o a la cercanía del mar, las sociedades se conforman a partir de la participación de los habitantes; el lenguaje coloquial, las costumbres, la forma de habitar, la cultura, forma parte de una ciudad. Con todo esto se puede construir una marca que afiance en su estructura, una esencia de lo que es y la representa. Una marca ciudad es una herramienta utilizada por los países y ciudades por medio de sus gobiernos, para impulsar la economía, turismo e inversión en el sector público y privado y así poder mostrar todos sus atributos ante el mundo. La obsolescencia de ciertas herramientas de la administración pública local, lleva la mirada hacia nuevas formas de gestión de lo público donde se expone la necesidad de integrar al ciudadano a dicho esquema. Con base en un recorrido por los tres momentos de la marca de ciudad, donde se aportan los ingredientes básicos para el desarrollo exitoso de esta herramienta, nos concentramos en la participación de la ciudadanía como una herramienta insoslayable. (Paz, 2008, p. 184). Una marca ciudad es un canal en el que se ve reflejada la participación de la ciudadanía. Entre los distintos tipos de uso que se puede tener de ella, ya sea en eventos en la ciudad en los cuales se hace una gran presencia de marcaría, fundaciones públicas, espectáculos públicos, eventos culturales, lo cual crea posicionamiento en los usuarios del sello marcario de ciudad. La socióloga y publicitaria Capurro (2006) se refiere a la Marca Ciudad como una necesidad de diferenciación no sólo en infraestructura sino también en valores. Añade que las infraestructuras no dejan de ser importantes pero se las da por supuestas en el desarrollo de la misma, pues una marca ciudad logra materializar los intangibles y competir por captar iniciativas que creen mejores oportunidades en sus ciudadanos. El estudio en Argentina de la marca ciudad se ha desarrollado en la provincia de Buenos Aires, ha tomado en cuenta procesos exitosos como la Marca Tandil y Villa Gesell, donde se hace un estudio de las características, fortalezas y debilidades que se adquieren en los procesos en las ciudades argentinas, visto en tres pasos de análisis: creación, implementación y comparación de otras marcas. En la Universidad Nacional del Centro de la Provincia de Buenos Aires, Calvento y Colombo (2009), desarrollaron una investigación sobre la marca ciudad. Plantean que la marca ciudad es definida como una estrategia de gestión de imagen, que ha sido desarrollada en algunas ciudades importantes del mundo e indican que las marcas son administradas y coordinadas por políticas públicas, por el estado subnacional, es decir, por la unidad institucional o nivel del Poder Ejecutivo, componente de un gobierno en un Estado Nacional, como son sus ciudades, municipios, regiones u otros poderes locales. En su estudio comparan a las ciudades de Tandil y Villa Gesell, donde se señala que la marca de Villa Gesell se presenta muy sólida y sigue una metodología consistente con la creación de la marca país Argentina, e indican que mientras que la marca Tandil ha tenido éxito, sufre de fuertes críticas que la muestran como una marca que no hace referencia a la ciudad sino que establece una conexión entre la marca y el gobierno del intendente. A su vez, Lorenzo y Calvento (2011) investigaron que la marca ciudad de Tandil, no se encuentra parcialmente definida por su marca turística, y que no cuenta con una gestión marcaria integral, que complete y difunda otros aspectos igualmente relevantes de la misma. Indican que la marca Tandil, no posee una orientación estratégica ya que no define sus atributos y no cuenta con los elementos de marketing de ciudades, para promover y generar diferenciación y posicionamiento integral tanto a nivel provincial regional, nacional e internacional. Hacen referencia a que desde hace algunos años se promueve un proyecto marcario, bajo el lema "Tandil, lugar soñado" el cual está bien posicionado, sin embargo, son acciones enfocadas al turismo y sus precedentes se encuentran exclusivamente relacionados al sector, olvidando hacer referencia a sus valores, su identidad, su gente, su cultura, su educación, sus empresas o su potencial económico y productivo. A partir de la metodología manejada por las autoras. Utilizaron como herramienta, las encuestas para generar respuestas en su investigación, a través de 25 temas claves que vinculan a la ciudad con el fin de relevar la imagen interna de Tandil, lo que les permitió lograr un análisis estratégico de la imagen interna y externa, y el reposicionamiento de la ciudad a nivel nacional, pero sin embargo a nivel internacional la imagen sigue siendo un poco difusa, y es conocida sólo por algunos países en lo que respecta a logros de personalidades tandilenses reconocidas en el exterior. El proceso de desarrollo de la marca Mar Del Plata ha tenido un significativo crecimiento en el posicionamiento turístico y ha construido una fidelización de esta, ya que para los argentinos es uno de sus principales destinos turísticos en la época de verano. En la Universidad Nacional De Mar Del Plata, Biasone (2010) realizó el estudio del caso de la marca Mar Del Plata para reposicionarla. Allí indica que el sello marcario se puso en marcha en el año 1996 con un eslogan que contenía un lenguaje coloquial y amistoso. La investigadora plantea que su estudio es de tipo exploratorio y descriptivo, ya que el abordaje de su tema se realiza desde la comunicación institucional turística, a modo que permita conocer las causas que confluyeron y dieron origen a la marca como destino turístico. En su abordaje relata la creación, la evolución y el posicionamiento de la marca Mar Del Plata. El trabajo de los investigadores: Fernández, Madoery, Gaveglio, Angelone, del Huerto Romero, en la Universidad Nacional de Rosario (1997), se basa en una estrategia que resalta la importancia de la competitividad territorial, por lo que hacen uso del marketing territorial o marketing de ciudades como una maniobra para definir la segmentación y el posicionamiento de la marca en la ciudad de Rosario. Fernández y Paz en la Universidad Nacional de Quilmes (2005), realizaron un estudio que trata sobre el marketing de ciudades hacia una política pública de diseño y gestión de los signos de identificación de la ciudad. Comienzan haciendo una introducción desde los años 1990, como producto de una combinación de factores socioeconómicos, las modalidades de gestión urbanas experimentaron transformaciones que representaron un gran cambio en el desarrollo de las ciudades, en gran parte de características irreversibles. Aducen que en el marco de las reformas estructurales practicadas y el retiro del aparato estatal de la escena de las políticas sociales y protagonismo económico de las tres ultimas décadas, las estrategias de intervención han cambiado radicalmente, las exigencias actuales en materia de gobernabilidad, competitiva y calidad de vida, en ese sentido las políticas públicas orientadas a crear y fortalecer o reinstalar la marca de territorio se presenta como un poderoso activo de la gestión contemporánea en el camino del desarrollo de una imagen pública, interna y externa, de aceptación en referencia a la ciudad o región. En su trabajo investigativo se analizan dos de los procesos, que ellos plantean como relevantes al momento de indagar en las causas y consecuencias de las transformaciones del sistema urbano mundial. Como primer punto proponen la adopción de nuevos enfoques de planificación y gestión urbana. En particular consideran el diseño de la imagen y los procesos de construcción de identidad en la definición de estrategias de desarrollo urbano. El segundo punto se centra en las nuevas demandas de saberes e instrumentos que participen a fortalecer los procesos de diseño y gestión de marca desde un enfoque que incorpore la creatividad e imaginación ciudadana a los conocimientos especializados de los técnicos en diseño y comunicación. A modo de conclusión de toda su investigación, postulan la necesidad de ir más allá de los límites que se ha propuesto originalmente el marketing de ciudades con un enfoque de gestión urbana, ya que en este sentido se intenta ampliar las fronteras del campo de intervención del enfoque de marketing de ciudades en dirección a las problemáticas que consideran propias de la publicidad y la comunicación. En su artículo, los investigadores abordan una de estas dimensiones, la marca ciudad diseño de las marca territoriales, debe ingresar en las agendas de políticas públicas, como una estrategia de fortalecimiento de los rasgos identitarios de las ciudades y regiones, con el objetivo de promover la localización de actividades productivas e intensificar los flujos turísticos. La marca ciudad es una herramienta para potenciar la devoción cívica de los actuales habitantes, y difundir las bondades de una ciudad entre potenciales residentes, para así enfrentar con éxito los desafíos complejos propios de la realidad urbana, incentivando la necesidad recurrir a enfoques que permiten activar el potencial creativo, que existe en todos los ámbitos de la vida urbana, de manera tal que los actores locales y ciudadanos se transformen en co-creadores de su futuro, fortaleciendo el desarrollo de la marca que se quiere para el futuro; mencionan que la gestión de marca para ciudad y su objetivo prioritario, es fomentar procesos de creación comunitaria de marca y valor de marca, donde se alcance a diseños consensuados de logo y eslogan en términos de un atributo o conjunto de atributos de identidad territorial. Rodrigues L. (2010) investigó, el marketing territorial en el contexto del subdesarrollo: el caso de la periferia de la región metropolitana de Rio de Janeiro - Brasil. Su estudio se basa en la competencia, entre las ciudades asociadas a los efectos del proceso de globalización sobre el territorio, donde resalta que no quedan dudas sobre la incorporación del marketing territorial como una herramienta potente, para complementar el desarrollo de las ciudades. Sin embargo, cuestiona que las herramientas estratégicas que tuvieron éxito en las ciudades de países de gran economía como países europeos, sean aplicables en las circunstancias a las especificidades de un entorno territorial sudamericano, por lo que analiza bajo una perspectiva crítica las contribuciones teóricas de tres investigaciones de marketing territorial, para ser adaptadas a la realidad de las ciudades subdesarrolladas situadas a la periferia de la región metropolitana de Río de Janeiro. Cordeiro Braga y Veiga Shibaki (2010), analizan y evalúan cómo los elementos turísticos de una metrópolis, en este caso, la avenida Paulista se destaca como un ícono turístico y se fortalece por el turismo de negocios. Plantean que el desarrollo de su investigación se divide en cuatro ejes fundamentales para su estudio que son el turismo urbano, metropolitano, de negocios y marketing de ciudades, este último favoreció la realización de un estudio exploratorio de los datos secundarios obtenidos, en documentos de organismos y asociaciones relacionadas con la gestión turística en São Paulo. Señalan que incluyeron en su estudio datos ganados en el trabajo de campo de los establecimientos comerciales, elementos culturales, información sobre la estructura hotelera y los atractivos ubicados en la avenida, de esa forma pudo probarse que el carácter del ícono, facilita la difusión de la oferta turística en la región. Any Brito Leal Ivo (2011), estudió la intervención urbanística y la creación de ciudades en el mundial de fútbol Brasil 2014. En su artículo discute cómo las intervenciones contemporáneas de remodelaciones urbanas intensas y legitimadas han contribuido para la construcción de marca país, y su impacto en la ciudad y espacios, indica que los grandes eventos se convierten en nuevas estrategias de intereses económicos nacionales en un ámbito global, y las intervenciones urbanas pasan a ser clave, para la re significación de la nación en ese contexto. Quien hace una definición entre marca de producto y marca país, donde la marca producto se asocia a gestión de venta y creación simbólica de producto, mientras que marca ciudad, se relaciona o se puede aplicar al marketing de ciudades y se refiere a la comercialización de un lugar para diversos turistas, inversionistas directos, habitantes y mercado de exportación de profesionales. La investigadora afirma que en ese caso las ciudades se toman como bienes de consumo inmersas en el turismo, la cultura y el entretenimiento entre otros sectores del mercado. Asimismo, pone como ejemplo a ciudades que se venden como productores en sectores públicos y privados de la industria turística nacional e internacional en la que nombra a Salvador en Brasil y Barcelona en España. Indica que según la definición de Simon Anaholt, el mayor desafío para la construcción de la imagen nacional fuerte y competitiva, es conseguir que las diversas formas de divulgación y los agentes, como los actores políticos produzcan mensajes coherentes y uniformes sobre el país, tanto para el público interno como externo, a fin de que las políticas se dirijan a transformar el país según esa imagen diferencial en el mercado mundial. Durante su proceso de desarrollo menciona que pensar en estado nación según marca país, es redefinir el estado como una corporación inmersa en el mercado contemporáneo, fuera del sentido político. Concreta de la misma manera que el estado estaría fundando gradualmente sus estrategias sobre el desarrollo de esos nuevos prototipos del mercado. Haciendo un análisis de varios autores, Any Brito Leal Ivo (2010), plantea una hipótesis que sostiene que la adopción de nuevos valores en el mercado, como valores nacionales y los daños en los procesos políticos puede ir en varias direcciones, desde un vacío en la imagen creada y la realidad, hasta la dominación y direccionamiento de las políticas culturales. Añade que el Mundial de Fútbol 2014, en Brasil, consolida una nueva imagen del país y que es –"El Brasil que despega"– en el escenario global. Ya que el mundial es un evento de gran importancia que se ajusta a la mecánica de gestión con reputación nacional, que posibilita que los juegos tengan sedes en diferentes ciudades del país, afirma que más allá del marketing de lugares, se construye también una idea de Brasil de acuerdo en expectativas distintivas y se refiere, al intento de forjar elementos claramente identificables, como representaciones visiblemente reconocidas como brasileras, mediante las ciudades escogidas y presentadas como la cara de Brasil. Agrega que la intención del gobierno brasileño va más allá de ser sede del Mundial 2014 y recibir a los turistas, ya que el evento construye un proceso para el futuro próximo, mostrando la modernización nacional, su capacidad y su fuerza económica, convirtiéndose en proyecto legítimo que busca una nueva posición del país en la geopolítica mundial. Como conclusión indica que la grandeza y la intensidad del volumen de obras se imponen como objetivo no sólo por el rito y el impacto simbólico de las noticias, sino por los negocios involucrados. La ciudad se libera de las ataduras de la regulación de las leyes, paradójicamente, los nuevos instrumentos legales favorecen la permisividad del uso del espacio urbano y el avance de los intereses particulares sobre los colectivos, así el desarrollo del evento trae nuevos cuestionamientos a la construcción y trascendencia del espacio urbano y la ciudad en la búsqueda desenfrenada de forjar una ciudad global. En la Universidad de Palermo, Vélez Jaramillo (2008), realizó una tesis titulada: Los circuitos culturales en la construcción de marca ciudad. Caso Medellín. Su estudio se refiere a la construcción de marca en Medellín. Menciona que para el trabajo de desarrollo de una marca ciudad es necesario contar con un equipo de profesionales en varios campos como arquitectos, administradores, sociólogos, empleados del sector publico, diseñadores, comunicadores, que tratan en última instancia, en la elaboración de una propuesta en la que se deben considerar una serie de cuestiones, en lo que refiere al diseño. De acuerdo a los estudios en que se basó, divide al trabajo en cuatro ramas, el diseño de lo simbólico y la comunicación visual, el diseño de materiales para la industria, el diseño de actividades y servicios programados en lo que respecta al uso de espacios públicos para eventos y relaciones públicas, y el diseño de sistemas y entornos físicos, en el que se refiere a la arquitectura y diseño forestal en áreas verdes. Indica que además del trabajo interdisciplinario debe destacarse la importancia del Estado, no sólo en cuanto a la financiación del proyecto, sino más bien para el despliegue de políticas entre las cuales puede ubicarse el crecimiento de una marca ciudad en la integración de los sectores privados. El enfoque que aporta con su trabajo desde el diseño contempla conceptos tales como marca, submarca y marca ciudad, relacionados con otros conocimientos como es consumo cultural y política cultural, no obstante hace énfasis en que hará proyección de los circuitos culturales de la ciudad de Medellín. Así, plantea como hipótesis que el desarrollo de los circuitos culturales opera como elemento clave para la integración y la dinámica entre las submarcas que conforman la marca ciudad. Entre sus objetivos plantea definir los conceptos de marca, identidad de marca, y marca ciudad, como una aproximación a las manifestaciones culturales en la ciudad antes mencionada. Señala que el relevamiento de actividades culturales durante el segundo semestre de 2006 y el primer semestre del 2007, comprendió un período en el que comenzó a desarrollarse un plan de mercadeo en la ciudad 2006 - 2016 auspiciado por la Alcaldía de Medellín. En ese sentido según afirma, debe destacarse el papel impulsor del estado municipal, los cambios en el desarrollo urbano registrados en la ciudad durante el año 2000, configurando el contexto en el cual el estado ha trabajado en el espacio público, como política de integración ciudadana y democratización del acceso y la participación en la vida cultural para los diversos sectores de la sociedad, en relación con el panorama de las actividades culturales, que actualmente se observan en Medellín. Su propuesta consiste en una serie de circuitos culturales para la ciudad, para hacer visible los lugares y establecer conexión entre ellos y principiar posibles recorridos a través de distintos medios: sistema de señalización, publicación de mapas y guías impresas, desarrollo y actualización permanente de su sitio web, resulta imprescindible una mirada analítica más amplia y contextual sobre la ciudad, en el espacio en el que se despliegan las actividades culturales. Señala que en su trabajo investigativo, su hipótesis hizo hincapié en el carácter interdisciplinario que implica la construcción de una imagen marcaria. Uno de sus objetivos contempló el diseño de los conceptos de marca, submarca y marca ciudad, presentó toda unaserie de consideraciones al concepto de marca y a la construcción de una marca ciudad y otros elementos que componen submarcas y circuitos culturales relacionando otros conceptos mencionados como consumo y política cultural. Consideró pertinente para el caso de Medellín la construcción de marcas alternas en la imagen marcaria de la ciudad que agrupen diferentes áreas de trabajo o de interés: educación, turismo, cultura, servicios sociales, salud y espacio público. En participación del sector público y privado, ya que por medio de las marcas alternas ayudan a estructurar y clasificar la oferta y servicios ofrecidos por ambos sectores. Por su parte, Miguel Badillo (2010), realizó una investigación de City-marketing en ciudades intermedias: caso Palmira - Colombia. Su estudio plantea que se basa específicamente en su etapa de diseño, ya que su proyecto surgió de la necesidad de generar acciones diná- micas y metodológicas, a fin de implementar un mecanismo que permita el diseño de un instrumento de gestión y promoción de la ciudad. La población de su estudio se integró con habitantes de la ciudad, visitantes y dirigentes de diversos sectores del Valle del Cauca en Colombia. La metodología empleada se basó en un estudio documental y el uso de instrumentos, cualitativos y se apoyó en cartografías urbanas, estudio de imaginarios y mediciones cualitativas de comunicación publicitaria, por lo cual para su realización, el investigador estableció un eje conceptual para la implementación de un plan de city-marketing en Palmira y una segunda fase donde desarrolló la sensibilización, la caracterización de la ciudad, los lineamientos estratégicos y los parámetros para la construcción de la marca y el diseño del plan de comunicación. Su proyecto inició en el año 2003 donde a través del Centro Integrado para el Desarrollo de la Investigación (CIDI), conjuntó con un equipo de estudiantes liderados por un docente, quienes estructuraron el proyecto plataforma de posicionamiento Palmira hasta el 2006. Luego pasa al programa de publicidad y es continuado por un nuevo grupo de estudiantes dirigidos por una docente quienes estructuran la primera fase que es la auditoría de la imagen Palmira, para el desarrollo de un proyecto de citymarketing. Menciona que durante el año 2007 el grupo de investigación publicitaria retomó el tema y realizó una investigación documental, partiendo de los resultados que existían en la misma universidad de estudios anteriores, tomando en cuenta un tema de gran importancia para su caso, por lo cual el investigador indica que la primera fase fue la visualización del tema. En el año 2009 se avanzó en una segunda fase, que fue el proceso de oficialización, donde trabajó en una propuesta integrada como parte de las diversas acciones que el actual gobierno implementaría en el plan de desarrollo. En la Universidad de Palermo, Carlos Calle (2008), desarrolló un estudió basado en la marca ciudad de Cuenca como un elemento de participación social. Su estudió está basado en la ciudad de Cuenca que es la tercera ciudad más importante del Ecuador y para ello en su introducción se refiere al actual contexto de la globalización que propicia nuevos escenarios, para la comunicación, las exportaciones y el turismo, por lo cual en la ciudad antes mencionada a través de su alcalde se implementó una estrategia de marca ciudad, que comprende un elemento gráfico identificador y una campaña de posicionamiento como punto turístico enfocado en un diferenciador que posee ya que es patrimonio cultural de la humanidad, compuesto por elementos tangibles e intangibles. Para ello se enfoca en establecer un concepto más claro de marca ciudad, analizando a la misma desde el acoplamiento de la globalización y la mundialización para tomarla como herramienta para fomentar la participación social. Analiza la implementación y promoción de la marca estudiada y su contribución en el marco del turismo, ya que en su trabajo se ejecuta un estudio estructural de los principios que conforman la marca ciudad y su relación con el diseño, su importancia, su interacción con el desarrollo diario de la ciudad. Resalta la importancia de un sello marcario para la misma, dirigiéndose al municipio con miras a mejorar el uso y la actual promoción de la propuesta para reconocerla como un instrumento social que contribuya a la mejor calidad de vida. En su hipótesis plantea desarrollar una estrategia mucho mejor de lo que funcionaba hasta el 2005, donde no se cumplía lo que tenia que dar de una Marca Ciudad, para lo cual piensa posicionarla e instaurarla como herramienta comunicativa real; como elemento gráfico y no como símbolo. Para posicionar a la ciudad de Cuenca como un destino turístico debido a que en la ciudad el turismo representa un rubro muy importante, ya que según menciona existe un estudio que afirma que un 51,7% del ingreso económico proviene del turismo. A través de la investigación se trata no sólo de explotar la parte turística sino también la comercial y lograr la integración de la ciudadanía para el desarrollo de la marca ciudad. Como aporte se integra su estudio para mejorar la promoción de la propuesta para reconocer la marca ciudad como instrumento social. En España, Sánchez Moya (2010), efectuó una tesis sobre Barcelona y Estambul y la imagen de la ciudad como valor de cambio. Introduce el tema haciendo una introducción breve al concepto de marca ciudad y su importancia, para luego introducir al lector en la concepción de marca Barcelona. Afirma que los proyectos que se han llevado a cabo en la ciudad la han transformado en una marca. Como prueba de esa transformación aduce que la película de Woody Allen que se filmó en la ciudad de Condal, se presentó simplemente como "Vicky - Cristina Barcelona" entendiéndose la palabra Barcelona como un modelo de ciudad, como una marca. Mediante una construcción visual del territorio, Barcelona se presenta a través de distintas marcas, con la intención de atraer turistas y capital extranjero a la ciudad. En su estudio escogió tres de las marcas de Barcelona que estuvieron presentes durante las cuatro últimas décadas, desde principio de los años 1980 hasta el año 2010. Comienza por hacer el análisis de la marca Barcelona Mediterránea, explicando el concepto que da inicio al nombre para el desarrollo de la misma, como una ciudad mediterránea donde explica brevemente los proyectos que se llevaron a cabo en el litoral de Barcelona con el fin de abrir la ciudad al mar. Siguiendo con la marca Barcelona fue reinventada y trata de las transformaciones urbanas que se desarrollaron desde la democracia, con el fin de convertir a la ciudad en una metrópolis moderna, como un modelo Barcelona. En el mismo país, Paz Balibrea (2004), efectuó una investigación sobre el concepto de modelo de Barcelona. Indica que la idea es utilizada de forma dominante en los círculos internacionales de urbanistas, arquitectos, geógrafos, sociólogos, políticos municipales y expertos en políticas culturales, para definir lo que llama una estrategia de regeneración urbana redefinida. Considera que el modelo Barcelona es positivo y se considera como un gran éxito de las resoluciones urbanísticas adoptadas en diseño y arquitectura tenidas como de alta calidad formal y estética. Se propuso hacer un recorrido crítico por la historia del modelo hasta esos momentos, y muestra que el consenso entregado y/o apático que ha caracterizado la actitud de la mayoría de los ciudadanos ante su ciudad y especialistas ante su objeto de estudio manifiesta que existen signos de resquebrajamiento. Su aporte proviene de la historia y la crítica cultural por lo cual integró dos elementos de análisis en el debate crítico sobre la ciudad, aunque los presenta por separado, se necesitan mutuamente en la argumentación. Uno es la importancia del estudio de la cultura como eje transversal que recorre y da sentido a las transformaciones que constituyen el modelo de Barcelona, y el otro elemento a consideración es su hipótesis, que propone la utilidad crí- tica de distinguir los conceptos de modelo y marca, a la hora de definir la naturaleza de las transformaciones urbanísticas de la ciudad, a su entendimiento y uso desde la transición. La investigadora se basa en que para construir la imagen modelo de Barcelona, el cine hizo un gran aporte en el modelo de construcción de Barcelona. Por ello en la medida en que escogió seis películas de directores españoles, norteamericanos y europeos, el cine pertenece a las industrias culturales que en los últimos años han aportado al desarrollo de dicho modelo. Indica que Barcelona ha experimentado un crecimiento exponencial desde la segunda mitad de los años noventa. En la ciudad se incorporó un organismo institucional que da soporte a la idea de introducir, el poder de la difusión de la imagen en la ciudad, por medio de espectáculos gratuitos en salas de cines públicas. Lo que crea uno de los medios más eficaces de propaganda infundada en la ciudad y su gran difusión se convierte en un agente ideológico, capaz de contribuir eficazmente en la construcción de un modelo a seguir. Luego del análisis de las películas de varios directores, la investigadora hace énfasis en que no todas las muestras de cine pueden crear un modelo eficaz, he indica que los aspectos más progresistas en el origen del modelo Barcelona, que provenían de configuraciones socio-políticas catalanas y españolas heredadas del empuje del fin de la dictadura, no deben llevar a los ciudadanos ni a la negación, ni a la nostalgia de su existencia, ya que desde y gracias a aquella época, Barcelona tiene elementos urbanismo democratizante e integrador que siguen presentes en el espacio social y constituido de la ciudad. La ciudad se regeneró bajo la premisa de conectar la nueva urbanidad con una memoria colectiva arquitectónica muy parcial, de la gran burguesía catalana de la que muchos de los agentes del modelo Barcelona eran, en definitiva, herederos; por no hablar de cómo la agenda terciaria impuesta sobre la ciudad, desvirtúa y resignifica, pero no hace desaparecer lo más socialmente progresista del modelo, vaciándolo en marca. Es por ello que deduce que el modelo ha muerto ahogado por las imposiciones de la marca. Sin embargo, aduce que se recuperó el concepto de modelo como una particular forma de entender la relación con el espacio urbano que consiste en afirmar el derecho de todos los ciudadanos a la ciudad. Richard Eugenie (2008), expone un tema que no tiene que ver con la marca ciudad, pero aborda un punto que es significativo para el proyecto de investigación, con un tema titulado Álvaro Uribe: la comunicación por la imagen. Principios de marketing político. Menciona que en Colombia en cercanías de los procesos de elección presidencial en el año 2006, Álvaro Uribe Vélez, se lanzaba a la reelección. Los habitantes de Colombia tenían al candidato presidencial como un personaje de imagen política bien fuerte por la construcción sólida a través de los medios de comunicación, en la que se aplicó una campa- ña permanente haciendo uso de los medios de comunicación masivos a su alcance tanto tradicionales, audiovisuales y directos con una posición que lo privilegiada a pesar de las garantías que ofrece la Ley colombiana. Su campaña se dividió en dos etapas en la cual la primera fase, se recolectaron testimonios por parte de los colombianos en apoyo a Uribe haciendo notar en apoyo popular para luego ser utilizados con fines electorales, en su segunda fase se procede a crear la estrategia de comunicación visual para los afiches de campaña, a través del website www.adelantepresidente.com en la que los votantes podían elegir la imagen de campaña por medio de votación. La importancia en el uso de todos estos medios influyeron en la agenda mediática en los meses siguientes, el autor afirma que la construcción de todas estas estrategias construyeron un amplio dispositivo de persuasión a los futuros electores. Es por ello que Eugenie (2008), propone en su investigación un estudio semiológico de los afiches de campaña, para apreciar el alcance que tuvieron las herramientas de marketing político, para explicar el éxito obtenido por el actor político durante el 2002 y la facilidad con la que logró ser presidente en el 2006, examinando las imágenes de campaña en cinco etapas, para lo cual analizó la construcción del sentido de la imagen, las relaciones interpersonales, el relato, modalidades de acción y por último pero no menos importante las pasiones y sensaciones que producían los mensajes en la población. En su análisis de las imágenes reconoce todos los elementos gráficos contenidos en el afiche de campaña en el que destaca la construcción de la imagen en cuanto a simbologías y en la discursiva aplicada en el texto. En todas las etapas de su investigación de la imagen campaña presidencial de Uribe, el autor concluye con que todos los elementos gráficos no fueron puestos por casualidad, ya que la conformación de los mismos construye una realidad que resalta los valores del actor político. Por otro lado Leyvi Castro Martínez (2012), estudió el caso el caso del presidente Barack Obama, a través de las técnicas del marketing político utilizadas en los medios de comunicación directos, como son las redes sociales, website, mensajes de texto, correo electrónico, etc., con el fin de llegar a más adeptos logrando posicionar al candidato como un producto a partir de toda la constante mediatización, logrando consolidar el voto duro e incursionando en una nueva forma de hacer política. En el estado de la cuestión realizado se da cuenta de la ausencia de trabajos que aborden la problemática especifica de este proyecto, por tanto se cree que con el desarrollo de esta investigación se contribuirá, a la construcción de una marca ciudad que cumpla con los objetivos que se deben tener para crear una marca que aporte a la edificación de nuevas marcas. Con los interrogantes abiertos en este proyecto de investigación, sobre el tema específico de la marca ciudad de Buenos Aires con las siguientes preguntas ¿en qué punto la marca ciudad de Buenos Aires se unifica con la marca partidaria del "PRO"? y ¿qué efectos tiene la mediatización de un actor político en una marca pública? Si bien en los trabajos mencionados se abordan las estrategias para la construcción de una marca ciudad y el desarrollo que se ha venido proyectando, muy poco se tiene en consideración acerca del tipo de estrategia que usan los administradores o coordinadores políticos, para el tratamiento del sello marcario de la ciudad Autónoma de Buenos Aires. Línea temática Esta investigación se encuentra enmarcada en dos líneas temáticas: 1) Medios y estrategias de comunicación. 2) Diseño y producción de objetos, espacios e imágenes. Además está como objeto el estudio la marca de la Ciudad Autónoma de Buenos Aires entre el periodo (2007-2015) con el fin de evidenciar una estrategia de marketing político, en el concepto de una marca ciudad unificando la comunicación pública con la comunicación partidaria. Lo que Brindará soporte a nuevas investigaciones y tratamientos de futuras marcas, en las que la ideología política no intervenga en su totalidad para el desarrollo y creación de las mismas, así de esta forma pueden evolucionar durante cada período de gobierno y continúe siendo administrada por el siguiente gobierno que la dirija. Orden de trabajo y justificación Capítulo I: La Comunicación Política desde los medios de comunicación masivos. En este capítulo, se aborda el tema en referencia al papel que ejercen los medios de comunicación masivos en la comunicación política. Iniciando en la diferenciación entre lo público y lo partidario, para posteriormente dejar en claro la marca pública, la marca partidaria y la vinculación que estas tienen en la participación con los habitantes, como un comportamiento democrático por parte de las políticas públicas de los gobiernos pertinentes. A su vez en este capitulo se pone en contexto, acerca de la comunicación masiva y la persuasión que esta ejerce en el elector dando paso a la opinión pública y la transformación que sufre con los medios de comunicación masivos (llamada opinión publicada), la cual interviene en la agenda setting de los actores políticos y por medio de ésta se da la construcción de la imagen de la realidad social, que puede persuadir al elector de forma directa o indirecta sobre su entorno social. A modo de cierre, para este capítulo se presentan las campañas políticas en la Argentina y la participación de la prensa en los gobiernos democráticos, a comienzos del año 1983, como un proceso de vinculación de los medios de comunicación masivos con la política. Capítulo II: Estrategias de marketing político. En este capítulo se exponen las estrategias que se despliegan en el marketing político para la comunicación electoral, en el que se definen las nociones de esta disciplina, mencionando términos como construcción de la imagen política y como afecta ésta en la percepción del elector. Diferenciación entre marketing comercial y marketing político. Candidato y posicionamiento que definen el papel del candidato y la importancia del posicionamiento en el marketing político, el discurso en la disciplina mencionada y cómo funciona en las estrategias de campaña. A su vez se nombran las características de la publicidad política y las campañas electorales. Asimismo las herramientas del marketing político entre las que destacan las herramientas tradicionales, audiovisuales y de marketing directo, por último el elector y rol en el centro de todas estrategias que se mencionan. Capítulo III: Construyendo la marca en la ciudad. En este capítulo se define el concepto de marca e introduce al término de marca ciudad, qué es, y la importancia de sus públicos tanto interno como externo, el funcionamiento de las marcas de ciudad y por medio de quién se gestionan, la construcción de las marcas territoriales como un término que también se les da a estas estrategias de sello marcario, elcity-marketing y sus estrategias en la marca ciudad, estrategias de reconstrucción de marcas que apostaron por la reconstrucción desde lo social para posteriormente fortalecerse en su estrategia marcaria, casos que han transcendido como: Berlín, Barcelona, Curitiba y Medellín al mismo tiempo que se hacen referencia de dos casos de comunicación de sello marcario en Argentina, ya que el caso de estudio se sitúa en el país mencionado. Capítulo IV: Desarrollo Metodológico. En este capítulo se desarrollan las herramientas metodológicas del tema de investigación que es de tipo descriptivo y de carácter cualitativo, en el cual se desarrollarán entrevistas en profundidad y un análisis de contenido de los elementos de comunicación de la marca pública con la marca partidaria, con lo que se busca comprobar la hipótesis y los objetivos de la investigación.
[ES] Ha pasado un año más en el que al frente de este Consejo Superior de Investigaciones Científicas, y junto a todos vosotros, hemos seguido trabajando para situar la ciencia de calidad y el desarrollo tecnológico de este país en el lugar que merece. El año 2010 fue el año de comienzo de un nuevo Plan de Actuación, el 2010-13, que, como el Plan de Actuación anterior 2006-09, fue evaluado en su totalidad por científicos externos a la institución. En esta ocasión, el Plan de Actuación incluye a todas las unidades funcionales del CSIC, siendo la primera vez que esto ocurre con una institución de investigación de similares características. Además, el nuevo Plan de Actuación introduce elementos de medición de cumplimiento de objetivos no contemplados en el Plan de Actuación anterior, como la calidad de las publicaciones, la comunicación de la ciencia y la internacionalización. En este escenario de cambio en los indicadores de cumplimiento de objetivos del Plan de Actuación, que hace más exigente la obtención de resultados, el CSIC debió de afrontar, como el resto de los OPIs, un descenso notable de los presupuestos derivado del marco presupuestario restringido impuesto por la Administración General del Estado. A pesar de ello, y como puede comprobarse en los datos de esta Memoria, la actividad de las áreas científico- técnicas creció en todos los indicadores de cumplimiento de objetivos marcados en el Plan de Actuación 2010-13, e incluso se han alcanzado valores superiores a los previstos. Esto refleja, de una parte, que la inversión realizada en investigación en años anteriores ha dado sus frutos y, de otra, que la voluntad de esfuerzo incluso en un amenazante escenario económico sigue viva. Durante el año 2010 se celebró el Año Internacional de la Biodiversidad, declarado por la UNESCO, y el CSIC se unió a esta celebración con múltiples actos e iniciativas, además de sólidos programas de investigación, entre los que cabe destacar, por su magnitud y trascendencia científica, el Proyecto Consolider Malaspina, integrado por más de 200 investigadores a nivel nacional y liderado por el CSIC. El proyecto comenzó en ; diciembre de 2010 con la salida de los buques Hespérides y Sarmiento de Gamboa, en una expedición que recrea el viaje de Alejandro Malaspina en el siglo XVIII, y que tiene como objetivo general estudiar el impacto del cambio global en el océano profundo. El CSIC lidera además desde 2010, entre otros, programas europeos de Capacidades e Infraestructura (EcoGenes Adapting to Global Change), destinados a reforzar la institución en las áreas de Genómica, Modelación Ecológica y Ecofisiología en relación con el cambio global. Pero el año 2010 marcó un hito no sólo en el área de la biodiversidad, sino también en el campo de la física de partículas, ya que fue durante este año cuando se registraron las primeras colisiones del LHC a TeV de energía en centro de masas, con la participación destacable de investigadores del CSIC en el análisis de datos relativos a estas primeras colisiones. Además, el CSIC lidera desde 2010 el Proyecto Consolider MultiDark, cuyo objetivo es contribuir a la identificación y detección de la materia oscura del universo. En el campo de la Astrofísica, el CSIC firmó en diciembre de ese mismo año, con la institución alemana Max-Planck- Gesellschaft, una adenda al convenio de colaboración entre ambas instituciones para el Observatorio Astronómico de Calar Alto en Almería hasta 2018, con el que se inicia la construcción de un nuevo instrumento de observación destinado a la búsqueda de exoplanetas de tipo terrestre. Sería imposible enumerar aquí todos los hitos científicos del año 2010 en que el CSIC ha estado involucrado, llevando el liderazgo en muchas ocasiones. Una institución que abarca más de 130 centros e institutos tiene el deber de contribuir significativamente al avance de la ciencia y estar presente en las actividades de relevancia nacional e internacional. Para ello, concentra capacidades y masa crítica investigadora como ha hecho en el 2010, año en que se ha aprobado el Reglamento de funcionamiento del Centro de Ciencias Humanas y Sociales de Madrid, que agrupa el 70% de la investigación que se realiza en el área de Humanidades y Ciencias Sociales. Institutos emblemáticos como la Escuela de Historia y Arqueología de Roma, ha celebrado en 2010 el centenario de su creación. Además, se han puesto en marcha las instalaciones de los nuevos Centros de Física Teórica y Matemáticas, y el Instituto de Investigación en Ciencias de la Alimentación en el campus de la UAM, y se han creado el Instituto de Hortofruticultura Subtropical y Mediterránea y el Instituto de Ciencias del Patrimonio. Por otra parte, la presencia del CSIC en los Campus de Excelencia Internacional (CEI) se ha incrementado en 2010 con la aprobación de 10 nuevos CEI, que se suman a los 9 aprobados en 2009 y en los que el CSIC figura como socio promotor y/o colaborador, corroborando que la cooperación con las universidades avanza por el camino correcto de integración efectiva y de excelencia. Nuestra institución, ya centenaria, se compone de un personal comprometido con la ciencia y convencido de que, incluso en circunstancias económicas adversas como las que dieron la cara en 2010, merece la pena seguir apostando por la generación de conocimiento y su transferencia a la sociedad como motor de desarrollo y recuperación económica. Gracias a todos por el esfuerzo realizado y por mostrar claramente nuestra vocación de que esta institución siga ocupando el lugar de relevancia y competencia que siempre la ha caracterizado. ; [EN] Another year has gone by during which we, at the helm of the Spanish National Research Council (CSIC), and all of you have pulled together and continued working towards putting this country's quality science and technological development in its rightful place. The year 2010 saw the start of the new Action Plan 2010-13 which, like the previous Action Plan 2006-09, was fully assessed by scientists external to the institution. This time round the Action Plan includes all CSIC functional units, this being the first time it caters for a research institution with such characteristics. Furthermore, the new Action Plan includes elements designed to measure the achievement of objectives, such as the quality of publications, science communications and internationalization, something that the previous Action Plan did not contemplate. Within this scenario incorporating new indicators to assess the achievement of goals outlined in the Action Plan, thus placing greater emphasis on the attainment of results, the CSIC has also had to cope with substantial budgetary cutbacks imposed by Central Government, as have other National Research Institutions. Notwithstanding, as evident from the data presented in this Report, our activity in scientifictechnical fields rose for all performance indicators assessing achievement of the goals set in the 2010-13 Action Plan, attaining even higher values than expected. This reflects, firstly, that investment in research in past years has paid off and, secondly, that even in this ominous economic scenario, our willing endeavour is still very much alive. The year 2010 was declared "International Year of Biodiversity" by UNESCO, and the CSIC joined in the celebration by holding numerous events and initiatives, as well as running important research programmes. Among these, the Consolider Malaspina Project should be highlighted for its scale and scientific impact, involving over 200 researchers nationwide and directed by the CSIC. The project began in December 2010 ; when the research vessels Hesperides and Sarmiento de Gamboa set out on an expedition to retrace the voyage made by Alejandro Malaspina in the eighteenth century, with the general aim of studying the impact of global change on the deep ocean. Since 2010 the CSIC has also been leading, among others, European Infrastructure and Capacities programmes (EcoGenes Adapting to Global Change), designed to strengthen the institution in the areas of Genomics, Environmental Modelling and Ecophysiology in relation to global change. Not only did 2010 mark a milestone in the area of biodiversity, but also in the field of particle physics as this year also witnessed the first collisions in the LHC of centre-of-mass energy of TeV, with the direct involvement of CSIC researchers, who participated in analysing the data on these first collisions. Furthermore, since 2010 the CSIC has been directing the Consolider MultiDark Project, which aims to contribute to the identification and detection of dark matter in the universe. Also in the field of astrophysics, in December 2010, the CSIC and the German Max-Planck-Gesellschaft institute signed an addendum to the cooperation agreement between both institutions regarding the Calar Alto Astronomical Observatory in Almeria, in force until 2018. Accordingly, construction will begin of a new observational instrument designed to search for Earth-like exoplanets. It would be impossible to list all the scientific achievements in which the CSIC has been involved or has directed in many cases, during 2010. An institution that encompasses over 130 centres and institutes is bound to make a significant contribution to the advancement of science and to play a role in activities of both national and international relevance. So doing, research capacity and critical mass have been consolidated in 2010, the year in which Regulation was passed concerning operating guidelines of the Area for Humanities and Social Sciences in Madrid; an area which now comprises 70% of the research conducted within the aforementioned Area. The year 2010 has also seen the 100th anniversary celebration of flagship institutions, like the Escuela de Historia y Arqueología de Roma (Spanish School of History and Archaeology in Rome). Moreover, new facilities are up and running to house the Centres for Theoretical Physics and Mathematics, and the Food Science Research Institute on the UAM campus. This year has also witnessed the creation of the Instituto de Hortofruticultura Subtropical y Mediterránea (In¬stitute of Mediterranean and Subtropi¬cal Horticulture and Fruit Growing) and the Instituto de Ciencias del Patrimonio (Institute of Cultural Heritage Sciences). What is more, the CSIC's presence in the Campus of International Excellence (CIE) has grown in 2010 with the approval of 10 new CIEs, in addition to the nine approved in 2009, and in which the CSIC is listed as sponsoring partner / collaborator. This verifies that our cooperation with universities is moving in the right direction, attaining actual integration and excellence. Our century-old institution embraces a workforce committed to science, who believes that -even in adverse economic circumstances like those arising in 2010- it is worth continuing to invest in generating knowledge and transferring know-how to society, as it is a driving force of development and economic recovery. I wish to thank everyone for their effort and for showing clear commitment to our organization, which continues to hold the place of relevance and competence that has always been its hallmark. ; Peer reviewed
La cultura e l'arte sono due indiscutibili e consolidati temi di ricerca delle discipline umanistiche e filosofiche e, dall'inizio del XX secolo, anche della sociologia. La scienza economica, al contrario, ha indirizzato i suoi sforzi conoscitivi in questi ambiti soltanto in tempi recenti, essendosi vista prima costretta ad affrontare e a sopraffare le frequenti accuse di indebite invasioni di campo. La vicinanza tra questi settori disciplinari, tuttavia, è ormai dimostrata e la loro trattazione congiunta è prerogativa della cosiddetta economia dell'arte e della cultura, branca di recente istituzione dell'economia politica. A ben vedere, il dibattito accademico si è placato grazie anche alla constatazione che la scienza economica non mira ad entrare nel merito dei giudizi culturali ed estetici, bensì a prenderne atto. Nonostante ciò, se analizziamo i contributi scientifici dell'economia dell'arte e della cultura, anche quelli più recenti, che non risalgono ad oltre un decennio fa, possiamo notare che la maggior parte di essi esordisce spiegando quanto sia azzardato trattare congiuntamente siffatte tematiche. Roberta Comunian, nel suo articolo Investimenti culturali delle imprese e sviluppo locale, è del parere che, attualmente, a numerosi accademici appaia molto più improbabile riuscire ad associare la cultura e l'arte al concetto di competitività. Anche in questo caso, il dibattito scientifico, sebbene ancora agli esordi, è principiato e ha perfino dimostrato che le azioni imprenditoriali volte a promuovere la cultura e l'arte possono avviare un circolo virtuoso che contribuisce ad accrescere la competitività dell'azienda nei suoi mercati e la competitività del territorio. A nostro avviso questi argomenti di ricerca si rivelano estremamente stimolanti anche in relazione al Bel Paese, depositario di uno dei più ragguardevoli patrimoni artistico-culturali al mondo. È appurato che queste "ricchezze" rappresentino delle vere e proprie risorse strategiche per alcuni comparti produttivi, primi fra tutti quelli della moda e del design, oltre che per il turismo. Il merito di simili fruttuose interazioni è da riconoscere persino alle città. Difatti, sin dalle loro origini più antiche, esse hanno assunto la veste di centri di attività culturali ed economiche, dimostrando l'apprezzabile capacità di generare cultura sotto forma di arte, idee, stili e comportamenti e di contribuire al raggiungimento di alti livelli di innovazione e di crescita economica, anche se non sempre o necessariamente in modo simultaneo. Per di più, è necessario rilevare che il XXI secolo è iniziato contraddistinto da una forte e marcata convergenza tra la cultura e lo sviluppo economico. Lo stesso sistema capitalistico sta vivendo una fase in cui i significati culturali dei suoi output assumono sempre più la valenza di componenti critici, se non addirittura dominanti, delle strategie produttive ed il patrimonio di conoscenze umane, nella sua complessità, è sempre più soggetto a mercificazione. Con siffatto termine ci riferiamo sia alla generalizzata trasformazione degli elementi della cultura in beni di largo consumo, sia all'accorpamento di un surplus di tipo simbolico-culturale, comunque estetico, in qualsivoglia tipologia di prodotto. Alla luce dello scenario appena delineato, il principale obiettivo che ci siamo preposti in questa tesi dottorale è stato quello di indagare le decisioni d'investimento in arte contemporanea assunte dalle aziende private che svolgono, quale oggetto sociale, una qualsiasi attività economico-produttiva non attinente il comparto artistico-culturale. Per soddisfare tale esigenza conoscitiva, ci siamo posti dei sub obiettivi che, come evidente, hanno orientato la trattazione dei capitoli sviluppati. Il presente lavoro è riconducibile al filone di ricerca concernente gli investimenti culturali delle aziende, ma si contraddistingue per aver concentrato la sua attenzione su un settore ben distinto delle industrie culturali e creative: l'arte contemporanea. Prendendo le mosse da alcune recenti indagini condotte dal Sistema Impresa e Cultura (che rivelano come in Europa il numero delle aziende che investono risorse in cultura aumenti progressivamente anno dopo anno) e da un'innata passione personale per l'arte, ci siamo prefissati di investigare e spiegare il comportamento di quelle "illuminate" aziende che, provviste di una spiccata capacità innovativa, considerano l'arte contemporanea un vero e proprio asset strategico: "vera e propria risorsa competitiva in grado di costruire un'identità forte e riconoscibile, di qualificare le relazioni all'interno e all'esterno dell'impresa, di produrre benefici per il territorio e la collettività". La tesi, che reca il titolo "Il rapporto tra il sistema azienda ed il sistema dell'arte contemporanea. Lo studio di un caso", si compone di quattro capitoli. L'argomento della tesi è stato scelto con il proposito di assecondare un personale ed insolito interesse di ricerca, che ci ha incoraggiato ad approfondire aspetti prima del tutto ignoti. Al riguardo, con una propensione puramente esplorativa, nel primo capitolo siamo voluti risalire, attraverso l'analisi di un'influente letteratura internazionale e nazionale, ai prodromi della trattazione congiunta dei temi dell'arte e dell'economia. Dopo aver appreso che diversi grandi maestri del pensiero economico, quali Adam Smith, John M. Keynes, John K. Galbraith, William J. Baumol e William G. Bowen, hanno segnato la nascita e la consacrazione dell'economia dell'arte, abbiamo voluto comprendere se, ed eventualmente come, il management ha analizzato, attraverso le sue chiavi di lettura, questioni attinenti il mondo dell'arte. Siamo pervenuti alla conclusione che, anche in questo settore disciplinare, si stanno progressivamente gettando le basi per la nascita di una nuova disciplina: l'arts management. Per contro, l'economia aziendale non ha prodotto ad oggi contributi tali da lasciare intuire un suo sistematico interesse per l'arte. Tuttavia, richiamando alla mente la definizione giannessiana di azienda, abbiamo apportato alcune motivazioni volte a rilevare che la pratica artistica può irrompere in quella aziendale quale ottimo incitatore di innovazione, non soltanto in momenti in cui tutto sembra operare secondo le logiche del business as usual, ma anche in periodi, come quello che attualmente stiamo vivendo, caratterizzati da continue e frenetiche trasformazioni. Il secondo capitolo è teso ad investigare il sistema dell'arte contemporanea, riconducibile, a nostro avviso, al concetto porteriano di cluster. Nello specifico, ci riferiamo al complesso di soggetti, pubblici e/o privati, d'influenza variabile, tra loro intimamente interconnessi, che offrono, a fini commerciali e/o culturali, ed in organizzazioni ad hoc, beni di lusso ad elevato contenuto simbolico idonei ad appagare un bisogno estetico e culturale che il compratore manifesta in occasione dell'impiego del suo potere d'acquisto. Al riguardo siamo ricorsi alla nozione economico-aziendale di filiera, ma prospettando una personale esposizione delle fasi generatrici di valore nell'industria dell'arte contemporanea: la produzione, la vendita, l'esposizione-valorizzazione e l'acquisto. Nel corso della trattazione abbiamo inoltre adottato una duplice focalizzazione: oltre ad analizzare le peculiarità delle suddette operazioni, ci siamo interessati di fare emergere le strategie di comportamento degli attori che, in ognuna di esse, rivestono il ruolo di protagonisti. Una volta chiarite le dinamiche del comparto dell'arte contemporanea, nel terzo capitolo sono state indagate le sue relazioni con il sistema azienda. Ci siamo persuasi che l'azienda privata avente quale oggetto sociale un'attività non artistica, oltre a posizionarsi "a valle" della sopraindicata filiera, in veste di acquirente finale di opere d'arte, può assumere, all'occorrenza, la veste di produttore, distributore, espositore/valorizzatore di arte contemporanea. A tale proposito, sono stati analizzati i principali modelli d'investimento in arte contemporanea e le ripercussioni che questi hanno la capacità di produrre, seppure attraverso modalità ed intensità diverse, all'esterno e all'interno della compagine aziendale. Alla luce della ricerca effettuata nei capitoli precedenti, volta ad indagare come un'azienda possa "teoricamente" collocarsi nelle diverse fasi della filiera dell'arte contemporanea, attraverso variegate tipologie d'investimento (mecenatismo, sponsorizzazione, partnership, ecc.) e per svariate motivazioni, ci siamo relazionati con una realtà aziendale locale promotrice di progetti artistici contemporanei, per investigarne l'effettivo comportamento. Il quarto capitolo accoglie il disegno, il rapporto e gli esiti della ricerca empirica. Una volta chiariti l'obiettivo principale ed i sub obiettivi della ricerca, le indagini sono state condotte in ossequio ad un approccio metodologico di tipo misto: al contempo deduttivo ed induttivo. Il compito affidato all'economia aziendale, sin dai suoi albori, è quello di spiegare il comportamento delle aziende, al fine di orientarle verso propositi coerenti con la loro funzione. Le aziende sono dei soggetti economici attivi dotati di potere decisionale, il cui agire è fortemente influenzato, ma non determinato totalmente, dall'ambiente. La metodologia di ricerca assume un'importanza strategica perché insegna il modo in cui si può acquisire e creare la conoscenza di siffatte entità. Ne deriva che "se il metodo rappresenta la via da seguire per arrivare a determinati risultati, allora esso è complesso, formato da tanti procedimenti a seconda degli aspetti e non è di per sé né soltanto induttivo, né soltanto deduttivo, ma scaturisce da ambedue queste tendenze di ragionamento congiunte ed intrecciate in un procedimento logico globale". La fase deduttiva è predominante nei primi tre capitoli. Per dare risposta agli obiettivi di ricerca, che ci siamo in essi prefissati, è stata posta in essere un'approfondita ricognizione della letteratura, nazionale ed internazionale. Più specificatamente, sono stati analizzati i contributi scientifici attinenti l'economia aziendale ed il management. Tuttavia, considerando l'inconsueto argomento della ricerca, è stato necessario, se non fondamentale, ricorrere a settori disciplinari attigui (quali l'economia dell'arte, l'arts management, il marketing, l'economia e gestione delle imprese) oltre ai contributi di esperti dell'industria dell'arte contemporanea, appartenenti non soltanto al mondo accademico ma anche a quello professionale. Infatti, anche in questa parte del lavoro, si sono dimostrate chiarificatrici le interviste rilasciate dagli informatori chiave del case study oggetto di trattazione dell'ultimo capitolo. Nel quarto capitolo è predominante l'approccio induttivo della ricerca. Alla luce di quanto emerso dalla rassegna della letteratura, è stata studiata una realtà aziendale, per indagare come, effettivamente, nella pratica, il sistema azienda possa relazionarsi con quello dell'arte contemporanea. È evidente, la ricerca risente di alcuni limiti. Nonostante lo studio del caso singolo sia stato condotto al fine di investigare un fenomeno sociale inconsueto, disorganicamente affrontato in letteratura, i risultati cui siamo pervenuti non sono generalizzabili indiscriminatamente. Il contributo innovativo del nostro lavoro è ravvisabile nella trattazione congiunta di molteplici aspetti eterogenei e multidisciplinari che, comunque, trovano la loro ragione d'essere nell'azienda. L'argomento è esso stesso innovativo in quanto ad oggi scarsamente dibattuto, anche se, a nostro avviso, nel mondo accademico e professionale, si stanno gettando le basi per la diffusione di una seria ed ampia riflessione sul valore della cultura e dell'arte per l'azienda e la sua classe dirigente.
Congreso realizado los d?as 19, 20 y 21 de abril de 2016 en el Campus de Madrid de la Universidad Rey Juan Carlos ; ISBN: 978-84-697-7346-8 ; En una ?poca de crisis como la que nos est? tocando vivir, el conocimiento objetivo y honesto de la historia se convierte en una herramienta imprescindible para entender los acontecimientos que se viven, y sobre todo para luchar contra la sinraz?n de quienes quieren utilizar tan noble disciplina al servicio de intereses individuales y torticeros. Por lo anterior, que un grupo de estudiantes se acercase a m? cuando era la Coordinadora del Grado de Historia para proponerme la realizaci?n de un Congreso en el que desde distintas y amplias perspectivas se estudiase la historia con may?sculas, y se diese la oportunidad a los j?venes investigadores de presentar sus trabajos en esta disciplina, sin m?s exigencia que la de realizar un trabajo cient?fico de calidad, me pareci? una gran idea que no dud? en apoyar desde el primer momento. Corr?a entonces el mes de diciembre de 2015. Una vez obtenidos los permisos correspondientes de las autoridades acad?micas, los alumnos se pusieron a trabajar con la idea de poner en marcha un Congreso que entrara a formar parte de la historia de una titulaci?n que, gracias a la labor de profesores, coordinadores y alumnos, iba creciendo y consolid?ndose como una primera opci?n a tener en cuenta para los futuros historiadores a la hora de elegir la universidad en la que formarse. Despu?s de meses de arduo trabajo y muchas horas empleadas en la puesta en marcha del Congreso, ?ste se hizo realidad los d?as 19, 20 y 21 de abril de 2016 en el Campus de Madrid de la Universidad Rey Juan Carlos. El peso del trabajo, con el apoyo de otros compa?eros, lo soportaron los alumnos Paula Mar?a de la Fuente Polo, Marina Perruca Gracia y Javier Rodr?guez Abeng?zar, quienes, junto conmigo, han coordinado la edici?n de las actas que ahora presentamos. El Congreso se organiz? en seis sesiones tem?ticas que abarcaron Prehistoria, Arqueolog?a e Historia de Am?rica, Historia Antigua, Historia Medieval, Historia Moderna, Historia Contempor?nea e Historia del Mundo Actual. En cada una de ellas se cont? con la presencia de un reconocido especialista en la materia. As?, por el escenario del Congreso pasaron los historiadores, Javier Baena Preysler (UAM), Juan Luis Blanco (UAM), Joaqu?n G?mez-Pantoja Fern?ndez-Salguero (UAH), Enrique Cantera Montenegro (UNED), Jos? Mar?a de Francisco Olmos (UCM), Alfredo Florist?n Imicoz (UAH), Alfredo Alvar Ezquerra (CSIC), Miguel ?ngel Bunes Ibarra (CSIC), Ricardo Mart?n de la Guardia (UVA), Guillermo P?rez S?nchez (UVA) y la clausura del Congreso estuvo a cargo de Juan Pablo Fusi Aizpurua (UCM). Asimismo, contamos con la presencia de otros especialistas como Javier Borrego Borrego, abogado espa?ol ante el Tribunal de Derechos Humanos de Estrasburgo, Elena Perib??ez Blasco, Responsable del Programa URJC de Derechos Humanos, Antonio Nadal P?rez, Subdirector de Patrimonio Hist?rico-Cultural del Instituto de Historia y Cultura Militar y el Sr. Jos? Ignacio Mart?nez de Lagos Beitia, Subdirector de Estudios Hist?ricos del Instituto de Historia y Cultura Militar. Adem?s, nos acompa?aron la Asociaci?n Espa?ola de Pintores y Escultores, la Fundaci?n Maxam y la Asociaci?n Gradiva. A todos ellos, desde estas l?neas, queremos dar nuestro m?s sincero agradecimiento, pues gracias a su presencia el Congreso se convirti? en una tribuna del saber y del intercambio de conocimientos en la que todos los participantes y asistentes disfrutaron de unas conferencias de alt?simo nivel. En el apartado de comunicaciones, se recibieron un total de 174 propuestas, de las que fueron aceptadas 120, de las que finalmente se presentaron 111. Las comunicaciones se distribuyeron a lo largo de los tres d?as en funci?n de su ?mbito temporal y tem?tico. De todas ellas, se escogieron las mejores, que son las 60 que integran el volumen que tenemos el honor de prologar. Tampoco podemos olvidar en nuestro reconocimiento a los profesores del Grado de Historia, con ellos tenemos tambi?n una deuda impagable, pues conformaron el Comit? Acad?mico del Congreso y fueron los encargados de revisar todas las propuestas y posteriores comunicaciones que se aceptaron en las distintas sesiones. Tambi?n corri? a cargo de ellos la importante y gratificante labor de presentar a los distintos conferenciantes, as? como la presidencia de las mesas de debate y presentaci?n de los trabajos de investigaci?n. En este sentido, quiero destacar la labor de lectura y revisi?n llevada a cabo por los profesores Cristina Del Prado Higuera, Isabel Luisa Enciso Alonso-Mu?umer, Ana Garc?a Barrios, Juan Andr?s Garc?a Mart?n, Agust?n Mart?nez Pel?ez, Pablo Ozc?riz Gil, Isabel Mar?a Pascual Sastre, Ra?l Ram?rez Ruiz, Elena S?nchez de Madariaga, Ana Pilar Vico Belmonte y Gonzalo Vi?uales Ferreiro. Sin su trabajo, este volumen no ser?a posible. Justo es nombrar tambi?n a los miembros de la Asociaci?n de Periodismo Eco de la Universidad Rey Juan Carlos, quienes cubrieron el Congreso de forma ?ntegra, y realizaron la grabaci?n, fotograf?as, mantenimiento de las redes sociales y las entrevistas a los ponentes. En el plano institucional, agradecemos el apoyo recibido por la Decana de la Facultad de Ciencias Jur?dicas y Sociales, Pilar Laguna S?nchez, que desde el principio crey? en esta actividad y la defendi? incondicionalmente. De igual modo, dar las gracias al Director del Departamento de Ciencias de la Educaci?n, Lenguaje, Cultura y Artes, Ciencias Hist?rica-Jur?dicas y Human?sticas y Lenguas Modernas, Miguel ?ngel Esparza, quien tambi?n nos brind? su ?nimo y aliento. No podemos olvidar tampoco a las m?ximas autoridades de la Universidad, quienes nos dieron la posibilidad de realizar esta actividad al amparo de la misma, as? como al actual equipo rectoral y al servicio de publicaciones, sin los cuales este libro de actas hoy no estar?a en las manos del lector. En cuanto a los asistentes, hubo un total de 41 inscritos que proven?an de diferentes universidades y centros que abarcan toda la geograf?a espa?ola y otros pa?ses del extranjero, como Albania, Argentina, Ecuador y Portugal. Por ?ltimo, no podemos dejar de mencionar la implicaci?n, participaci?n y asistencia de numerosos alumnos de la titulaci?n de historia y de los dobles grados, as? como de antiguos egresados, que participaron en las sesiones.
Il processo di cambiamento in ambito societario, per la odierna S.r.l., ha avuto inizio con la direttiva contenuta nell'articolo 3 comma 1 lettera a della legge delega del 3 Ottobre 2001 n.366. I principi cardine della riforma prevedevano la creazione di un autonomo ed organico complesso di norme distinto dal modello delle S.p.A., su cui la s.r.l. era ampiamente se non esclusivamente modellata nel periodo ante-riforma. Il legislatore delegato ha inteso rafforzare le possibilità di articolazione dell'organizzazione interna affrancando la srl dal modello azionario e optando per contro per un modello sotto più profili flessibile e connotato in senso più personalistico. Con il d.lgs. 6/2003 di riforma del diritto societario, entrata in vigore nel 2004, la normativa delle S.r.l. è stata riscritta e revisionata, così da non essere più mutuata alle norme delle S.p.A., venendo allora a rappresentare quell'autonomo e distinto organico di norme auspicato dalla direttiva del 2001. Secondo autorevoli interpreti, l'odierna S.r.l. non ha raggiunto il modello sperato: certo si è resa autonoma, ma pur sempre sulla falsariga della disciplina delle S.p.A. Nelle società per azioni, il socio azionista è spesso un semplice investitore che segue passivamente la vita sociale, mentre nella nuova società a responsabilità limitata i soci sono attivi protagonisti e fautori. Il risultato raggiunto è che se prima meritava l'appellativo di piccola società per azioni, adesso è un ibrido tra i modelli personalistici e capitalistici, con un'ampia autonomia negoziale che può risolvere molti silenzi e lacune del legislatore, ma non tutti. Il fine del Legislatore quale era e quale è tuttora? Da un'analisi del panorama economico e culturale italiano, emerge che la maggior parte delle imprese sono di piccole e medie dimensione; tradizionalmente il modello di company che appartiene alla nostra cultura è caratterizzato da un ristretto numero di soci e lavoratori, spesso anche coincidenti con membri della famiglia. Le società di persone sono molto comuni nella realtà economica per dimensione e costi, ma come contrappeso sono aggravate dalla responsabilità illimitata con la quale i soci rispondono con il loro patrimonio personale; le società di capitali godono di una responsabilità limitata ma presentano costi maggiori. Così, il legislatore ha cercato di ritagliare una posizione intermedia, da alcuni definita una piccola società di persone a responsabilità limitata. Quindi il legislatore ha dato alla S.r.l. un ruolo centrale nella disciplina societaria, al fine di predisporre un modello finalmente idoneo a rappresentare la realtà economica ricercata. La grande innovazione della riforma è l'ampia libertà e forse fantasia con cui si può plasmare il sistema di governance, la distribuzione di competenze tra i soci e l'organo amministrativo. Inoltre sono stati introdotti i titoli di debito ed i conferimenti d'opera e servizi così da enfatizzare la natura di elasticità tra il modello corporativo e personalistico. Con la legge 99/2013 si è introdotto la possibilità di costituire S.r.l. in forma semplificata con capitale sociale in misura inferiore ad euro 10.000, pari almeno ad 1 euro, con conferimenti esclusivamente in denaro. La società a responsabilità limitata, regolata dagli art. 2462-2483 (35 articoli contro 192 della S.p.A.), appartiene alla famiglia delle società di capitali, nella quale per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il proprio patrimonio, ma al contrario del modello azionario, le quote di partecipazione non possono essere rappresentate da azioni, né circolare come titoli di credito o formare oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari. L'attuale normativa permette alle S.r.l. di emettere titoli di debito a determinate condizioni (questi titoli sono funzionalmente assimilabili alle obbligazioni della S.p.A.), permettendo così la raccolta di capitale di prestito e al contempo approntando correttivi a tutela dei risparmiatori (sebbene ad oggi l'istituto sia rimasto un sostanziale fallimento – come anche il conferimento d'opera e servizi – dati gli alti "costi"). Il sistema di amministrazione e controllo segue il modello tradizionale, ossia partendo con la tripartizione assemblea-organo amministrativo-collegio sindacale, appartenente alla S.p.A., con la possibilità di personalizzare l'identità societaria, in virtù dell'autonomia statutaria di questo modello particolarmente elastico. Parte della dottrina ritiene che non siano applicabili i modelli monistico e dualistico alla S.r.l., anche se forse non è corretto precludere tali opzioni, vista la natura ibrida che si muove tra i due estremi personalistici e corporativi. Bisogna poi osservare che gli amministratori – se l'amministrazione è pluripersonale – possono decidere secondo diverse modalità, dato il maggior spazio riconosciuto all'autonomia statutaria. Nel terzo comma dell'art. 2475 si stabilisce che " Quando l'amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione. L'atto costitutivo può tuttavia prevedere, salvo quanto disposto nell'ultimo comma del presente articolo, che l'amministrazione sia ad esse affidata disgiuntamente oppure congiuntamente; in tali casi si applicano, rispettivamente gli articoli 2257 e 2258". Modelli di amministrazione possibili sono dunque: - Congiuntiva: è necessaria la partecipazione di tutti gli amministratori per la presa di determinate decisioni. In questo caso, la ponderazione delle decisioni del gruppo è certamente un importante strumento di tutela della società, soci e terzi, ma ha un alto costo, la rigidità che potrebbe andare ad incidere sull'efficienza dell'esercizio dell'attività d'impresa. - Disgiuntiva: ciascun amministratore può decidere il compimento degli affari sociali e, quindi poi, se fornito di potere rappresentativo, spendere il nome ed agire per la società, senza che ci sia una riunione formale degli altri componenti del Cda. Questo potrebbe creare senz'altro perplessità, aprendo il varco ad azioni opportunistiche a discapito degli interessi sociali e a favore degli interessi personali di chi agisce. La norma tutela allora la società con l'esercizio del potere di veto prima che si compia l'azione potenzialmente pregiudizievole e lascia la decisione all'assemblea dei soci; in mancanza di tempestività, saranno utili gli strumenti di responsabilità civile del diritto comune o ancora meglio l'autonomia statutaria potrebbe prevedere strumenti di reazione ad hoc. - Collegiale: questo è il metodo tradizionale per eccellenza, richiede che la volontà dei componenti del Cda si manifesti in modo contestuale, nello stesso spazio e tempo, prevedendo un apposito iter di convocazione e formalità nella presa delle decisioni ed infine delibera, in analisi si può definire tale inter, una decisione matura, perché si prevede un autentico dibattito e presa di decisione. - Collegialità attenuata, se previsto dall'autonomia statutaria è esercitabile il voto espresso per iscritto e consultazione scritta, in modo chiaro così da salvaguardare la certezza degli atti. Dall'articolo 2475 c.c. si evince che l'amministrazione congiuntiva, disgiuntiva e a collegialità attenuata, non possono operare per alcune decisioni, per le quali evidentemente il legislatore ha ritenuto che le forme della collegialità piena dovessero essere non negoziabili. Se poi si volge lo sguardo alle materie di competenza inderogabile dei soci, l'art. 2479 riserva ai soci le seguenti decisioni: - l'approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili - la nomina degli amministratori, sindaci, del presidente del collegio sindacale e del revisore - le modifiche dell'atto costitutivo - operazioni che comportano sostanziali modifiche dell'oggetto sociale o rilevanti modifiche dei diritti dei soci Inoltre l'atto costitutivo può ulteriormente dilatare le materie di competenza dei soci. E, anche in difetto di clausola statutaria ad hoc, i soci possono appropriarsi della competenza decisionale in ordine a ulteriori materie di rilievo gestorio, purché l'impulso provenga da tanti soci che rappresentino un terzo del capitale sociale. Farebbero invece eccezione – almeno se si accede alla più diffusa interpretazione dell'art. 2475, ult. co., c.c. – le seguenti materie di competenza inderogabile dell'organo amministrativo: - la redazione del progetto di bilancio - la redazione dei progetti di fusione e scissione - la decisione di aumenti di capitale sociale ai sensi dell'art. 2481. Anche con tutti i principi spesi della relazione ministeriale e riforma, la S. r.l. non è riuscita ad avere tutto un corpo di norme suo ed autosufficiente, ci sono continui rinvii ed integrazioni-interpretazioni alle norme sulla S.p.A., in confronto esaustive. Purtroppo il compito più difficile è saper interpretare i silenzi e lacune volontarie o non che il Legislatore ci pone nel corpo normativo, dato che l'autonomia statutaria – per quanto rafforzata dopo la riforma del 2003 – non è certo senza limiti. Sorgerebbe quasi il dubbio dell'esistenza di un binomio autonomia statutaria - problemi interpretativi, che metterebbe a rischio la bontà delle aspettative della riforma . Probabilmente, se la estrema flessibilità concessa al modello in esame e la centralità del socio fossero state regolamentate o fossero state poste linee di confine più sicure, di certo il risultato sarebbe stato diverso. Tra i tanti problemi aperti dalla riforma, a lungo oggetto di dibattito ma forse di recente avviato a soluzione, c'è la questione dell'applicabilità dell'art. 2409, previsto per la S.p.A., e per estensione ampiamente utilizzato ante e post riforma per la S.r.l. Nel corpo normativo, il legislatore non ne ha fatto esplicito riferimento. Sorge dunque il problema di interpretare il silenzio del legislatore. La questione era stata sollevata dal Tribunale di Tivoli, il quale, ai sensi degli artt. 3 e 24 della Costituzione, poneva in dubbio la legittimità costituzionale degli artt. 2409 e 2476 c.c., nella parte in cui non consentono l'utilizzo dello strumento del controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. nelle srl dotate di collegio sindacale, strumento invece reso disponibile dalla legge 91/81 nelle srl aventi a oggetto attività sportive. La Consulta, pur dichiarando la questione di costituzionalità sollevata manifestamente inammissibile, esprime in motivazione ampie aperture sull'ammissibilità del controllo giudiziario. La Corte Costituzionale ha tuttavia ammesso, in un obiter dictum, che l'attuale dettato normativo non esclude l'estensione della procedura di controllo giudiziario alle s.r.l. munite di collegio sindacale e su richiesta dei sindaci, in caso di gravi irregolarità imputabili agli amministratori. Per contro la Cassazione ha affermato, che nell'ambito di una s.r.l. obbligata alla nomina del collegio sindacale, non è applicabile l'art. 2409 per il controllo giudiziario della s.p.a. Quindi l'intento del legislatore, accentrando il ruolo e poteri del socio, porta alla privatizzazione del controllo interno, in favore di ciascun socio o del collegio sindacale. Un altro aspetto riguarda il potere di controllo dei soci non amministratori, nello specifico se il diritto di ispezione e di consultazione dei libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione comprenda anche la facoltà di estrarne copia. Tale interrogativo resta ancora senza risposta, in linea di massima deve essere tutelata la riservatezza dei documenti della società; di conseguenza anche la segretezza deve essere rispettata a tutela degli interessi sociali, a pena – tra l'altro – di responsabilità. Tra i diritti riconosciuti al socio non amministratore, vi è il diritto "di consultare anche tramite professionisti di loro fiducia", dal professionista abilitato, da cui è ragionevole attendersi il rispetto della segretezza e il rispetto della diligenza richiesta dall'incarico affidatogli. La sovrapposizione delle competenze e ruoli tra amministratori e soci, e le conseguenti ingerenze (oltreché i possibili abusi o violazioni), potrebbero trovare soluzione con la nomina di amministratori non soci, se previsto nell'atto costitutivo, anche se in tema di azione di responsabilità in caso di conflitti di interessi o comportamenti opportunistici manca una visione chiarificatrice per i vari orientamenti. In questa sede, saranno analizzati i profili più rilevanti in ordine al tema del conflitto di interessi ex art. 2475 ter c.c. Seguirà la trattazione degli aspetti salienti, sul piano teorico e sul piano pratico, relativi alla responsabilità degli amministratori e ai poteri di controllo dei soci ex art. 2476 c.c. Si tratta di temi che hanno creato non poche perplessità in dottrina e giurisprudenza, a fronte di silenzi e lacune del legislatore. Di questo si darà conto nelle pagine che seguono.
Impactos y desafíos para el ordenamiento territorial de Santa Rosa de Cabal, asociados a los nuevos proyectos de Infraestructura de Conectividad Regional que inciden en la Ecorregión Cafetera y en particular sobre la conurbación del Eje Cafetero, considerando los modos de transporte terrestre, fluvial y aéreo. Esta presentación, a nombre de la Sociedad de Mejoras Públicas Manizales y de la Universidad Nacional de Colombia, para el evento sobre el POT realizado en el Auditorio Pascual López López de dicha ciudad de Risaralda, el viernes 17 de Abril de 2015
Este trabajo investiga sobre los fundamentos legislativos y socioculturales que estuvieron presentes en la formación de las matronas dentro del ámbito universitario español, y más concretamente en el distrito universitario de Zaragoza, entre 1857 y 1978. En el momento en que comienza la formación de matrona en la universidad, este colectivo profesional se encargaba de la asistencia de los partos en los hogares. Pero a comienzos del siglo XX, la atención al nacimiento se traslada al hospital, surge el comienzo del protagonismo médico en la parcela asistencial para la reproducción. A partir de ese momento, las estudiantes de matronas sufrieron un cambio en la construcción cultural asociada al nacimiento, sobre el que se adscribía una identidad masculina. La autoridad estaba representada por los tocólogos y esta asistencia se asociaba al uso de nuevos instrumentos obstétricos y la medicalización del nacimiento. Objetivos: Conocer los fundamentos legislativos y socio-culturales de las enseñanzas académicas de las matronas en el Distrito Universitario de Zaragoza desde 1857 hasta 1978. Analizar la trayectoria legislativa publicada en España en referencia la formación de la profesión de matrona. Describir los textos o manuales formativos de las matronas en ese periodo y analizar el contenido de los textos o manuales formativos, más representativos, con el fin de reconocer la heteroidentidad de las matronas, expresada en los mismos a través de sus autores médicos. Analizar las particularidades en la institucionalización de la enseñanza oficial de las matronas en el distrito universitario de Zaragoza y describir el perfil académico y socio-demográfico del alumnado de los estudios de matrona en el distrito universitario de Zaragoza. Metodología: Para la búsqueda y análisis de los manuales formativos de las matronas, se consultaron los catálogos de la Biblioteca Nacional de España (BNE), el Catálogo Bibliográfico del patrimonio Histórico Español, la Red de Bibliotecas Universitarias Españolas (REBIUN), la Biblioteca de Historia de las Ciencias de la Salud de la Fundación Uriach y las Bases de datos de ISOC e IME pertenecientes al Centro Superior de Investigaciones Científicas. Para la investigación sobre los fundamentos legislativos se organizó y analizó la información contenida en cada una de las disposiciones legales publicadas en relación a la formación de las matronas en la Gaceta de Madrid y el Boletín Oficial del Estado. Y para la investigación sobre las alumnas aspirantes a matronas en el distrito universitario de Zaragoza, se consultaron los fondos del Archivo Histórico de la Universidad de Zaragoza y el Archivo Administrativo de la Universidad de Zaragoza. Resultados y Discusión: Los cuatro textos utilizados para un análisis de contenido sobre los fundamentos socioculturales, desde el primero del doctor Alonso Rubio de 1866, hasta el cuarto del doctor Orengo (1949/1974), nos han permitido ver como hay ido cambiando la concepción de las Matronas por la Medicina Obstétrico-ginecológica. Mientras que en la obra de Alonso Rubio, la responsabilidad de los partos normales recaía en las matronas y debían tener conocimientos para en ocasiones ocuparse de los distócicos. La obra del doctor Vidal Solares, publicada en el 1900, tiende a demostrar la hegemonía médica respecto al proceso reproductivo. Y la obra del doctor Torre Blanco, publicada en 1925, intentaba anular a la profesión de matrona y proponía un cambio en el título de matrona por otra designación, redefiniendo las funciones de este colectivo profesional. Según este autor, debía tender a una labor similar a la que haría una enfermera especializada en partos o auxiliar. Igual sucede con el manual del doctor Orengo, publicado por primera vez en 1949, en el que se normaliza el aprendizaje para el parto hospitalario. En los manuales, se ven los discursos de género asociados al contexto histórico patriarcal. Del primero al último se ve una progresiva estructura jerárquica o iatrocentrismo, en la atención al parto y en temas ginecológicos. En nombre de la ciencia y el saber, los médicos eran autoridad inquebrantable, mientras que los conocimientos propios de las matronas eran los de una mera auxiliar del médico. Si bien, ellas en medios rurales podían incluso atender partos distócicos. Al final de nuestro periodo de estudio, la heteroidentidad que enseñaban, estaba indiscutiblemente asociada a la de "asistentes del médico en la clínica" donde las matronas se limitaban a cumplir órdenes médicas. En el hospital las mujeres y las matronas aprenden a ser sumisas y obedientes frente a los avances médicos y la autoridad que representaron sus profesores. La legislación analizada sobre la Carrera de Matronas en España, nos permite afirmar que la formación de las matronas como titulación universitaria, se inició en el año 1857, año de la Ley de Instrucción Pública, que consideró el título de Matrona, oficialmente dentro de las Facultades de Medicina en España. Y así se mantuvo durante todo nuestro periodo de estudio hasta 1978. Las disposiciones legales analizadas, entre 1857 y 1978, nos informan con detalle sobre estas enseñanzas. Los estudios tuvieron una duración de dos años; o un año como especialidad, tras los tres años de estudios de ATS (1957). Hubo una excepción, con cursos de uno año, durante la Guerra Civil Española (1936 y 1937). Las prácticas, siempre se dieron en una clínica de maternidad que cumplía los requisitos aprobados por la Universidad. La enseñanza se fue alternando entre, enseñanza oficial y/o libre. La evaluación en todo momento, consistió en la superación de una prueba o examen de reválida teórico-práctica, ante un tribunal examinador de la respectiva Facultad de Medicina; tanto en los estudios oficiales como en lo libres. El Distrito Universitario de Zaragoza (1857-1978), incluía las provincias de: Navarra, Zaragoza, Huesca, Teruel, Soria y La Rioja. En Zaragoza, existieron tres escuelas para la formación universitaria de matronas. La primera comenzó en 1878, asociada a la Facultad de Medicina de Zaragoza, y tuvo vigencia hasta el año 1955. La segunda escuela, como escuela para la especialidad de ATS (Matrona), nació en 1958 y estuvo vigente hasta el año 1968. Y finalmente, se abrió una segunda escuela en 1976, también para la titulación de especialista, que duró dos cursos, hasta 1978. En Navarra se abrió escuela en 1958 y en Soria en 1974. Las alumnas de la Carrera de matrona entre 1878 y 1978 fueron 985. Mujeres principalmente, entre 20 y 30 años, que procedían de zonas rurales y elegían un tipo de estudios no oficial; en los primeros 50 años, la mayoría de Navarra. Entre los años 1904 y 1958, fueron aumentando las alumnas urbanas, que eran algo más jóvenes, entre 15 y 20 años y la mitad eligieron la modalidad de estudios oficiales con asistencia durante dos años a clases teóricas y prácticas, en la Universidad de Zaragoza. En este periodo (1904-1958), se matricularon la mayoría de hombres para optar al título de Matrona; en el 79% de los casos poseían una doble titulación de Practicante y Matrona. Entre 1958 y 1979, se dio un menor número de alumnas para los estudios de matrona en la Universidad de Zaragoza. Debían ser tituladas como ATS, estando entre los 20 y 29 años. En la última escuela, en un mayor porcentaje, eran procedentes de lugares más alejados como Guipúzcoa, Guadalajara y Almería. Conclusiones: Los manuales formativos nos han permitido ver cómo ha ido variando la heteroidentidad de las matronas, principalmente construida desde la medicina especializada en obstetricia. En los manuales se entrevén los discursos de género y la progresiva estructura jerárquica o iatrocentrismo en la atención al parto. Al final de nuestro periodo, en la clínica, las parturientas y las matronas deben ser sumisas frente a los avances y la autoridad que representaban sus profesores. La formación como titulación universitaria se inició en 1857, año y se mantuvo dentro de las Facultades de Medicina españolas a lo largo de todo nuestro periodo de estudio. La legislación intentó organizar unos estudios con formación práctica que no se dieron hasta el Reglamento de 1904. Y estos fueron modificados con la apertura de los estudios de la especialidad de ATS en obstetricia (Matrona) a partir del 1957. La especialización de matrona, para los ATS femeninos en exclusiva; entre los años 1958 y 1976 dio lugar a la apertura de 12 escuelas en España. En Zaragoza, existieron tres escuelas para las matronas. La escuela de Navarra y Soria también pertenecían al distrito universitario. Las alumnas matriculadas en el distrito universitario zaragozano eran mujeres jóvenes que llegaban de zonas rurales y casi en la mitad de los casos realizaron estudios oficiales. Los alumnos varones tuvieron una escasa representación, eran practicantes en su mayoría y principalmente aparecen entre los años 1939 y 1943. En el periodo que comienza en 1958, las escuelas de ATS especialistas (Matronas) de esta universidad, contaron con un escaso número de matriculadas.
Il tema di questa ricerca è la ricostruzione della rete di relazioni stabilite in Italia da Theodor Mommsen tra il 1844 e il 1870 con studiosi e istituzioni attraverso la corrispondenza che lo storico tedesco intrattenne con coloro che, direttamente o indirettamente, collaborarono con lui nella realizzazione del Corpus Inscriptionum Latinarum. Il 1844 è l'anno della prima venuta nella penisola del giovane Mommsen, che aveva appena conseguito il dottorato presso l'Università di Kiel, l'ateneo dove si era anche laureato. Cittadino danese, in quanto nato a Garding, una cittadina dello Schlesig- Holstein allora appartenente alla Danimarca, Mommsen era titolare di un Reisestipendium biennale assegnatogli dal governo su raccomandazione dell'università di Kiel, per completare la sua raccolta di fonti giuridiche romane. Il mio scopo ufficiale è la nuova edizione dei monumenta legalia di Haubold con testo riveduto e ampio commento; lei vede che i confini del mio piano sono abbastanza ristretti e quindi praticabili e che mi rimane tempo a sufficienza [.]. Genova, Firenze, Roma e Napoli sono i punti in cui senz'altro mi condurrà il mio piano di viaggio; oltre al mio preciso scopo, penso di fare qualche interessante bottino epigrafico. In questo, conto particolarmente sul suo amichevole aiuto; lei non pianterà in asso il suo allievo nell'epigrafia. La mia intenzione è di rivolgermi anzitutto all'Accademia di Berlino, che certamente appoggerà il mio progetto, se lei lo raccomanda. Così scriveva Mommsen al suo maestro e mentore Otto Jahn, appena ricevuta la notizia che la sua domanda di sovvenzione per un viaggio di studio in Italia era stata accolta: parole che esprimono senza ombra di dubbio le intenzioni e i progetti – sia immediati sia a più lungo raggio – del giovane giurista, niente affatto desideroso di dedicarsi alle professioni legali, bensì propenso a intraprendere la ricerca storica ed epigrafica e, come si vedrà, la carriera universitaria. Tuttavia, benché al momento di iniziare quello che sarà il 'primo' viaggio nella penisola Mommsen nutrisse già verso l'Italia e l'antichità romana interessi molto forti, questi ancora non erano precisamente delineati. Mommsen giunge in Italia alla fine del novembre 1844, dopo un soggiorno di due mesi in Francia, con tappe a Parigi – dove soggiorna oltre un mese –, Lione, Montpellier, Nîmes, Marsiglia; da qui il 23 novembre si imbarca per Genova. Dopo alcuni giorni di permanenza in Liguria, attraverso la Toscana, giunge negli ultimi giorni dell'anno a Roma, dove, grazie all'appoggio dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica e alla collaborazione di Wilhelm Henzen, farà base per tutta la durata del soggiorno che si concluderà alla fine del maggio 1847, con frequenti e lunghi trasferimenti in altre regioni, prevalentemente a Napoli e nell'area meridionale. Fino a quel momento gli interessi di Mommsen si erano orientati per lo più allo studio delle istituzioni romane e avevano portato alla pubblicazione di due opere, il De collegiis et sodaliciis Romanorum e il Die romischen Tribus in administrativer Beziehung, che lo avevano fatto conoscere presso gli specialisti italiani – soprattutto la prima, scritta in latino, la lingua della «repubblica delle lettere». Si è visto quali fossero i reali progetti di vita del neodottorato giurista: tuttavia, benché la raccolta di iscrizioni latine rientrasse nelle sue prospettive di studio, gli giunse inaspettata, mentre era in Italia, la proposta di divenire coordinatore del progetto di un corpus epigrafico inizialmente promosso dal filologo danese Olaus Christian Kellermann. Il progetto languiva dopo la morte di Kellermann, avvenuta il 1° settembre del 1837 a Roma, ed era fallito anche l'analogo e pressoché contemporaneo progetto francese. Allo stesso tempo viene inoltre prospettato a Mommsen di assumere la cattedra di materie giuridiche a Lipsia. Entrambe le proposte – alle quali non poteva che rispondere positivamente – nell'immediato spiazzano il giovane e ambizioso ricercatore e imprimono alla sua vita un indirizzo diverso dal previsto. A quel punto, i cambiamenti intervenuti rispetto al piano iniziale agiscono da moltiplicatori dell'interesse di Mommsen per la filologia e per le fonti epigrafiche e dal soggiorno italiano nascono, oltre agli interventi e alle periodiche rassegne per il bollettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica, tra cui le Iscrizioni messapiche, gli Oskische Studien e gli studi pubblicati dopo il rientro in Germania, in particolare le Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae. Secondo la testimonianza del suo allievo Christian Schüler, Mommsen, nel giorno del suo sessantesimo compleanno, avrebbe detto di quel suo viaggio: «Der Jurist ging nach Italien – der Historiker kam zurück». Una battuta efficace, senza dubbio, ma forse eccessivamente tranchant: dopo la morte di Mommsen, non pochi tra quanti ne hanno tracciato la biografia hanno messo in luce il peso determinante della sua formazione giuridica nello studio dell'antichità romana e nelle stesse indagini epigrafiche. Dalla permanenza in Italia, come è evidente, è derivata la messa a fuoco dell'area napoletana come microcosmo rappresentativo di tutte le questioni che attengono in realtà alla nascita della moderna disciplina archeologica e al contempo alla capacità delle istituzioni – culturali, universitarie – di gestirsi, di organizzare gli studi e di confrontarsi con le proprie e più profonde radici culturali: tutte questioni rese tanto più cruciali dalle condizioni politiche dell'Italia, in parte paragonabili a quelle della Germania preunitaria. Le questioni erano tutte in nuce già nei primi contatti di Mommsen con i corrispondenti italiani e si manifestarono con particolare evidenza con gli studiosi dell'area napoletana. La carriera universitaria a Lipsia subì una battuta d'arresto nel 1851, anno in cui Mommsen fu costretto a dimettersi per essersi compromesso con la partecipazione ai moti del '48; tra il 1854 e il 1856 venne portata a termine, insieme con altri importanti studi di filologia, la Römische Geschichte e, soprattutto, l'impegno per il Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL) assunse una crescente e assoluta preminenza nell'attività – e, si potrebbe dire a buon diritto, nella vita – di Mommsen. Il termine ad quem del periodo fatto oggetto della mia ricerca, il 1870, momento cruciale nella storia politica europea perché segna l'unificazione politica della Germania e il compimento dell'unità italiana con l'annessione di Roma, è significativo anche per Mommsen, per i suoi interessi e i suoi rapporti con l'Italia stessa, poiché a partire da quel momento si avviarono profonde trasformazioni nella politica culturale dei due paesi e si definirono le sorti future delle "due patrie". In Italia a completamento dell'unificazione tornano sul tappeto i nodi critici dell'organizzazione degli studi e, si può dire, degli stessi fondamenti della identità nazionale. Sono efficaci le parole che Mommsen rivolge a Gian Carlo Conestabile Della Staffa in una lettera del 1873, indicando tra le «piaghe d'Italia», non ultimo quel quotidiano deperimento degli studii classici ed archeologici che pur per voi sono anche patrii, e quanto questo deperimento impoverisce l'intelligenza della vostra nazione, creata larga e grande, come chi togliesse all'uomo maturo i ricordi della casa paterna e della bella sua gioventù. Ed io che conosco l'Italia da trent'anni e che l'amo come era e come è con tutti i suoi difetti, non posso nascondermi che, se sotto quasi tutti gli altri rapporti vi vedo un bel progresso, gli studii classici fanno un'eccezione assai triste e che nell'Italia del 1873, nell'Italia felicemente risorta noi altri poveri pedanti pur cerchiamo invano, non già l'Italia del 1843, ma bensì l'Italia dell'Avellino, del Furlanetto, del Cavedoni, del Borghesi. Il percorso inizia dal punto di approdo, cioè dal 1870, e prosegue, à rebours, con due capitoli che abbracciano il primo gli anni 1844-1847, il secondo il decennio successivo, cioè il periodo che corre tra la prima venuta in Italia di Mommsen e la data di pubblicazione dell'ultimo volume della prima edizione italiana della Storia romana: si tratta di un arco di tempo finora poco considerato dagli studi che hanno messo a fuoco soprattutto il Mommsen compilatore del CIL e molto meno l'autore della Römische Geschichte. In realtà è proprio in questo periodo che ha inizio l'ultradecennale legame dello studioso tedesco con l'Italia e la nascita di quella rete con i sodali italiani che avrebbe reso possibile la costruzione del CIL. Si tratta di rapporti che ebbero origine da una conoscenza diretta fatta durante il primo e i successivi viaggi e si consolidarono poi attraverso un fitto scambio epistolare finalizzato al reperimento delle fonti per il CIL. Successivamente ai capitoli riguardanti i rapporti con i corrispondenti italiani tra il 1844 e il 1857, l'indagine si concentra sul periodo 1847-1857, denso di eventi politici che, come si è accennato, influiranno decisivamente sulla vita di Mommsen: si intensificano, in questi anni i rapporti con l'Italia, estendendosi dalle regioni meridionali – oggetto delle ricerche che avevano portato alla pubblicazione delle Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae – alle regioni del nord-est a dominazione austriaca. Infine, la parte relativa agli anni 1857-1870 approfondirà, attraverso i percorsi paralleli della costruzione del CIL e dell'unificazione italiana, le relazioni di Mommsen con il contesto istituzionale italiano. In questo periodo Mommsen si immerge, totalmente e letteralmente, nel lavoro per il CIL e, in conseguenza di questo, nell'Italia e nelle sue istituzioni a cavallo dell'unificazione politica. L'esperienza risente inevitabilmente del contesto politico-amministrativo con il quale lo studioso e i suoi corrispondenti e amici devono confrontarsi per condurre a termine la loro impresa ed è in questa fase che si inaugura uno stretto confronto con gli uomini delle istituzioni, i quali prendono a riconoscere in Mommsen uno dei loro interlocutori di maggior peso. È importante sottolineare il fatto che Mommsen ha sempre nutrito forti interessi per la vita politica, fin da quando la partecipazione alla mobilitazione del 1848 gli era costata la perdita della cattedra di cui era titolare a Lipsia. Successivamente aveva fatto parte, schierandosi con l'ala progressista liberale, sia del Parlamento prussiano tra il 1863 e il 1879 sia del Reichstag dal 1881 al 1884. Eppure, nel 1870, l'esponente illustre del partito liberal-progressista e fiero oppositore di Bismarck si schiera toto corde con la politica nazionalista della Prussia, divenuta capofila dell'unificazione tedesca: un orientamento sostenuto in alcuni interventi pubblicati sui giornali italiani che ebbero un'eco potente in tutta Europa e provocarono forti reazioni sia nelle fila degli intellettuali francesi (famose quelle di Numa Fustel de Coulanges ed Ernest Renan, tra gli altri) sia nel dibattito pubblico in Italia, anche perché veicolate dalla stampa di tutti gli schieramenti politici. Mommsen era stato osservatore costante e partecipe della situazione politica italiana e aveva seguito il processo di unificazione con profonda empatia, sia per le analogie con la situazione tedesca, sia per le aspettative da lui nutrite di una "rigenerazione" degli studi classici e delle istituzioni culturali grazie alle trasformazioni indotte dall'unità politica e dalla nascita dello uno stato liberale. Il lavoro ha l'obiettivo di illustrare le forme di collaborazione attuata da Mommsen in Italia per la realizzazione del grande progetto cooperativo del CIL principalmente attraverso le corrispondenze inviate a Mommsen dagli studiosi italiani. La ricerca, perciò, ha preso le mosse dal censimento dei mittenti italiani di Mommsen ed è proseguito con la consultazione delle relative lettere presenti nel Nachlass Mommsen della Staatsbibliothek di Berlino. Oltre alle 'carte Mommsen' (corrispondenza, diario di viaggio in Italia e altro) presenti nella Staatsbibliothek, la ricostruzione del contesto non ha potuto non tenere in conto la documentazione presente nell'archivio del Corpus Inscriptionum Latinarum conservato presso l'Akademie der Wissenschften di Berlino, responsabile del grande repertorio, tuttora in corso di pubblicazione. Alle vicende del Nachlass dal momento in cui furono depositate dagli eredi presso le istituzioni bibliotecarie della Berlino imperiale di inizio Novecento, all'attuale sistemazione nella capitale della Germania unificata e alle trasformazioni subite dal CIL e dall'Accademia delle Scienze dopo la seconda guerra mondiale è dedicato uno specifico capitolo del lavoro, nella consapevolezza che in ogni ricerca non solo vanno accuratamente considerate le "fonti della storia", ma che anche la "storia delle fonti" svolge un suo specifico e cruciale ruolo. La ricerca si concentra sui mittenti italiani di Mommsen, e su come una cerchia di intellettuali e di responsabili delle istituzioni, che si amplia progressivamente negli anni per effetto della sempre più intensa attività di Mommsen nella raccolta delle testimonianze epigrafiche, risponda alle sollecitazioni dello studioso e rappresenti uno spaccato del dibattito culturale e, al tempo stesso, delle difficoltà e contraddizioni che le classi dirigenti italiane si trovarono ad affrontare sul terreno dell'organizzazione degli studi. La raccolta delle lettere inviate da Mommsen ai suoi collaboratori italiani è da tempo al centro di uno specifico progetto che ha dato luce a una estesa pubblicazione curata da Marco Buonocore, le Lettere di Theodor Mommsen agli italiani: la mia ricerca, si parva licet, integra in parte il quadro degli scambi epistolari di Mommsen con una specifica attenzione dedicata alle lettere inviate a Mommsen dai suoi corrispondenti italiani, che sono state finora meno valorizzate, con poche eccezioni, quale il carteggio di Pasquale Villari, che si collocano tuttavia in gran parte nell'ultimo trentennio del XIX secolo, quando, nell'Italia unita, lo studioso tedesco era famoso e particolarmente stimato dal mondo della cultura e delle istituzioni italiane. Molto meno considerate, invece, le relazioni che Mommsen fresco di laurea (ma già ambizioso e consapevole dell'impegno della propria ricerca) intraprende con un'Italia ancora in fieri, alla quale si accosta con un misto di ammirazione per le antiche vestigia e l'immenso patrimonio archeologico e di malcelato terrore per le condizioni di arretratezza della 'prigione esperia', come la definisce nel suo diario di viaggio. La prima tessitura di queste relazioni e l'accoglienza di Mommsen da parte degli italiani viene soprattutto sottolineata dalla mia ricerca, che si concentra non tanto sui dettagli "epigrafici" della collaborazione prestata a Mommsen dagli italiani quanto piuttosto sul terreno dal quale si svilupparono tali rapporti, fortemente condizionati, sotto il profilo istituzionale, dalla divisione della penisola e dalle dinamiche politico- amministrative interne agli stati preunitari. Indubbiamente, fin dal primo soggiorno si radica in Mommsen quell'attaccamento all'Italia che, negli anni successivi, si sarebbe espresso nel rimpianto di non essersi potuto trasferire stabilmente nella sua patria elettiva e nel riconoscere negli italiani quei tratti di gentilezza e di tolleranza, che ancora sottolineava a Pasquale Villari con lettera del 30 gennaio 1903, viceversa del tutto assenti nel popolo tedesco. Molte delle sue lettere costituiscono un vero e proprio spaccato della società di specifiche aree geografiche italiane; sono fonte preziosa per determinare – con ricchezza di particolari del tutto sconosciuti – la storia culturale, il dibattito scientifico, il tessuto sociale ed umano della nostra Italia di secondo Ottocento; ci consentono di calarci con sensibilità e rispetto nelle pieghe della storia locale, dialogando con i fatti, antichi e recenti, di modellare una scandita e precisa ricostruzione storico-culturale. Uno strumento, quindi, assai utile per tracciare a tutto tondo la sua presenza in Italia, il suo interesse verso l'Italia, le sue priorità scientifiche che scaturivano dallo studio delle irripetibili bellezze storiche e artistiche che il suolo nazionale generosamente gli concedeva; e, di converso, esso ci dà l'opportunità a tutti noi di seguire con maggiori dettagli quelle personalità italiane che caratterizzarono, ciascuno con il proprio spessore, il dibattito culturale della seconda metà dell'Ottocento. Condividevano – Mommsen e gli italiani – gli stessi interessi di studio, le stesse aspettative politiche, lo stesso 'linguaggio'? Fino a che punto – uomini e istituzioni –furono coinvolti dai progetti di Mommsen? E fino a che punto l'attività di Mommsen nel Corpus Inscriptionum Latinarum e nei Monumenta Germaniae Historica può rappresentare una cartina di tornasole delle trasformazioni in atto nel cuore dell'Ottocento in un paese che si apprestava, tra fughe in avanti e pesanti arretramenti, a raggiungere la propria unità politica? Questi gli interrogativi sottesi alla ricerca, che hanno orientato le mie scelte nella vastissima area delle fonti epistolari mommseniane.
Editorial Aniversario y balance Por una renovación de la agenda historiográfica de las izquierdas Colectivo Editor Se han cumplido veinte años ya de aquel viernes 3 de abril de 1998 en que el CeDInCI abriera por primera vez sus puertas en el barrio porteño de Almagro. Poco antes de la universalización del correo electrónico, y a través del antiguo sistema de invitación por tarjeta de cartón, del rumor boca a boca y el llamado telefónico, más de doscientos asistentes desbordaron la vieja casa de la calle Sarmiento cuando todavía olía a pintura fresca. Más de la mitad de los concurrentes debió esperar en la calle a que salieran los primeros para poder ingresar. ¿Qué fue lo que convocó en aquellos años de reflujo de las izquierdas y de apogeo del menemismo a las más diversas figuras de la cultura argentina, desde David Viñas a Juan José Sebreli, desde Emilio J. Corbière a Mary Feijóo, desde José Sazbón a Abel Alexis Lattendorf? Sin lugar a dudas, la expectativa de que, finalmente, un centro de documentación concebido a la manera de las modernas instituciones europeas pudiera recoger en un espacio único y plural el patrimonio documental de los movimientos sociales y las izquierdas que hasta entonces se dispersaba, y a menudo se perdía. Sin embargo, esa fundación no vino, como suele decirse, a "llenar un vacío". Fue necesario librar a lo largo de los años una verdadera batalla cultural para introducir en la agenda pública y en la agenda social el concepto de patrimonio documental. Para entonces, cuando el primero de estos términos era apenas un sinónimo de patrimonio arquitectónico, el legado documental era una noción carente de sentido. En lo que a la cultura de izquierdas respecta, los fondos personales de militantes, dirigentes, sindicalistas, escritores y editores, o los acervos de pequeñas organizaciones políticas y sociales se volatilizaban; y con ellos, la posibilidad de escribir la historia de las izquierdas, de los movimientos sociales, de las clases subalternas. La fundación del CeDInCI conjuró para siempre aquel desdén, aquel olvido. Desde ese abril de 1998 su acervo creció exponencialmente. Veinte años después, se contabilizan con nombre y apellido casi dos mil donantes. A pesar de su fragilidad institucional —apenas una asociación civil sin fines de lucro, gestionado por un equipo de una decena de profesionales—, el CeDInCI apareció a lo largo de estos años como un espacio que ofrece a los donantes garantías de transparencia, estabilidad y pluralidad. La modernización que propuso el CeDInCI en el terreno bibliotecológico, hemerográfico y archivístico vino estrechamente ligada a una propuesta de renovación historiográfica. Poner a disposición de los investigadores un acervo documental cuantioso, rico y diverso era condición necesaria pero no suficiente para una actualización de los estudios sobre las izquierdas. Recordemos brevemente aquel contexto. Para fines del siglo XX el estudio de las izquierdas estaba fuera de la agenda historiográfica. La historia obrera, una de las ramas que se había desprendido de la historia social a mediados del siglo XX, había quedado reducida a un rol residual, apenas cultivada por un porfiado puñado de historiadores, entre los que sobresalía la figura tutelar de Alberto Pla, fallecido en 2008. El cierre del CICSO (un centro de investigación fundado en 1966 que había producido una obra colectiva de referencia a comienzos de la década de 1970),[1] la dispersión de sus investigadores más reconocidos y la donación de su archivo a una institución tan poco previsible como la SADE (Sociedad Argentina de Escritores) constituían un síntoma elocuente de aquel fin de ciclo. Algunos de los historiadores obreros más jóvenes apelaban por entonces a la renovación que había conocido la historiografía inglesa desde la década de 1960, pero a menudo sus referencias a las obras de un E. P. Thompson fueron, antes que un índice de lecturas fructíferas o una puesta en acto de sus aportes teórico-conceptuales, verdaderos modelos de citas de autoridad.[2] Mientras estos historiadores obreros resistían desde un paradigma historiográfico francamente conservador (una teoría de la clases sociales y de su conciencia de corte leninista, una reificación del conflicto social y una metodología positivista de recolección "objetiva" de "datos"), la historiografía conocía una renovación vertiginosa a escala global, que socavaba incluso muchos de sus supuestos epistemológicos. Desde el impacto del "giro lingüístico" hasta al correspondiente al "giro material" (por no hablar del más reciente "giro reflexivo"), tanto la microhistoria, la historia de las mujeres, la historia de lo cotidiano, la historia de la sexualidad, la historia social de la cultura como la nueva historia política conmovían los cimientos de la profesión, despertaban la vocación de los nuevos historiadores y reorientaban incluso los intereses muchos investigadores formados. De modo que para fines de la década de 1990 la mayor parte de los miembros del PEHESA,[3] un centro fundado en 1977 a comienzos de la última dictadura militar y que había venido a modernizar los estudios de historia social, habían abandonado la historia obrera stricto sensu. Si bien durante algunos años prosiguieron los trabajos de Silvia Badoza sobre la Sociedad Tipográfica Bonaerense, los de Mirta Lobato sobre las obreras de los frigoríficos de Berisso, los de Juan Suriano sobre el anarquismo argentino o los de Ricardo Falcón sobre la formación de la clase obrera en la segunda mitad del siglo XIX, buena parte de los investigadores fueron atraídos enseguida por otras demandas historiográficas. Suriano fue desplazando sus intereses desde el movimiento obrero anarquista hacia la cultura libertaria.[4] Leandro Gutiérrez —el principal inspirador de la historia y la cultura obrera, y su último cultor a tiempo completo, fallecido en 1992—, había iniciado junto a Luis Alberto Romero un desplazamiento de su objeto hacia los que entonces se designaban como "sectores populares".[5] Significativamente, la obra que reunía gran parte de los trabajos maduros de historia social y obrera de esa generación —nos referimos a Jeremy Adelman (ed.), Essays in Argentine Labour History 1870-1930— no encontró un editor en la Argentina.[6] Si la historia de la clase obrera se veía progresivamente desplazada de la renovada agenda historiográfica de fin de siglo, la historia de las corrientes de izquierda que no se encuadraba en lo que entonces llamábamos "historias oficiales", seguía siendo cultivada casi exclusivamente por el periodismo de investigación. La popularidad que gozaron en los años '80 y '90 las contribuciones sobre anarquismo, socialismo, comunismo y nueva izquierda de figuras como Osvaldo Bayer, Emilio J. Corbière, Isidoro Gilbert y María Seoane contrastaban con la reticencia de la historiografía académica frente a estos objetos. Sólo unas pocas obras clave nacidas entre esas dos décadas vinieron a dar una nota discordante en ese clima académico: nos referimos a Una modernidad periférica: Buenos Aires 1920 y 1930 (1988) de Beatriz Sarlo, Nuestros años sesentas. La formación de la nueva izquierda intelectual en la Argentina (1956-1966) (1991) de Oscar Terán, e Intelectuales y poder en Argentina en la década del sesenta (1991) de Silvia Sigal. Aunque respondían más a ejercicios de balance histórico por parte de intelectuales formados en las décadas pasadas que a la agenda académica de esos años, estas obras iban a abrir una brecha en la renovación historiográfica nacida con el nuevo siglo. Fue en ese contexto de innovación al mismo tiempo que de profesionalización de la historiografía argentina, que el CeDInCI postulaba en torno a 1998, además de la necesidad de un acervo documental, una agenda historiográfica para el estudio de las izquierdas y de las clases subalternas. Por supuesto, ya la propia organización de un centro que reuniera en forma integral y al mismo tiempo diferenciada áreas de biblioteca, hemeroteca y archivo, hablaba de una renovación respecto de las antiguas bibliotecas donde estas áreas solían estar confundidas. La hemeroteca adquiría en este proyecto un lugar central, poniendo a disposición de los investigadores un universo revisteril mucho más denso, diverso y proteico que el de las pocas revistas canónicas que había consagrado la historia literaria en el siglo XX. El archivo, centrado en los fondos de militantes, escritores y editores, venía a ofrecer un corpus hasta entonces apenas transitado por la historiografía. La novedad no estaba tanto en la diversidad de los soportes ofrecidos, como en el orden con que fueron organizados y presentados. La organización y la catalogación misma de los libros, los folletos, los afiches, los periódicos, las revistas, las cartas privadas, fueron concebidas desde un inicio para propiciar una historia renovada y multidimensional de las izquierdas. Borges decía que el orden de una biblioteca era un modo silencioso de ejercer la crítica. Para nosotros, el catálogo excedía su dimensión técnica, el orden de las piezas respondía a una perspectiva de la historia, el tesauro a un universo conceptual, la descripción se comprometía con la investigación. También el propio nombre de la institución, con su referencia expresa no a "la izquierda" lisa y llana, sino a una "cultura de izquierdas", sugería además de la pluralidad todo un abanico de dimensiones materiales, simbólicas e imaginarias de social y de lo político que connotaba el término cultura, excediendo con creces la clásica historia institucional centrada en pasar revista de los congresos, analizar la corrección de los discursos de los dirigentes y en contabilizar la cantidad de obreros que el partido controlaba entre los marítimos o los ferroviarios. El lanzamiento del CeDInCI fue acompañado de una serie de libros y de artículos de carácter programático elaborados por algunos de sus fundadores que en poco tiempo era asumida y enriquecida por una nueva camada de historiadores.[7] A contrapelo de un clima historiográfico en el que Marx y el marxismo eran sacrificados en el altar del "fin de las ideologías", esos textos, al mismo tiempo que celebraban la profunda renovación historiográfica en curso, se esforzaban en mostrar el estímulo intelectual y el provecho historiográfico que ofrecían ciertas figuras y conceptos forjados por el marxismo crítico de un Gramsci o un Benjamin, así como por historiadores marxistas extraacadémicos olvidados como Issac Deutscher, Arthur Rosenberg o Fernando Claudín. Pugnaban, asimismo, por mostrar los signos de renovación de la historia social británica a los que la academia argentina comenzaba a darle la espalda —desde los estudios clásicos de Eric Hobsbawm, E.P. Thompson y Raymond Williams hasta los de Raphael Samuel, Perry Anderson y Gareth Stedman Jones—, la innovación historiográfica que había representado en las décadas de 1970 y 1980 la obra de figuras como Robert Paris, Georges Haupt y Franco Andreucci para la historia del marxismo y las internacionales obreras, así como los aportes contemporáneos de la sociología de la cultura (Pierre Bourdieu y su escuela) y la sociología de los intelectuales revolucionarios (Michael Löwy). La nueva historia de las izquierdas y de las clases subalternas incluía y al mismo tiempo excedía la historia partidaria, la historia obrera o la historia del mundo del trabajo. Proponía, por ejemplo, otras claves para repensar la dimensión institucional (desde el socioanálisis de René Lourau y Georges Lapassade hasta la teoría foucaultiana de los micropoderes, pasando por la dimensión imaginaria teorizada por Cornelius Castoriadis),[8] incorporaba la perspectiva de género y el concepto de vida cotidiana para repensar las subjetividades militantes, dialogaba con los aportes conceptuales y metodológicos de la sociología cultural, de la historia intelectual y la historia del libro y la edición para reconsiderar dimensiones claves de la cultura de izquierdas, hasta entonces apenas exploradas en nuestro país por unos pocos estudios pioneros, como los de Dora Barrancos. El CeDInCI promovió un diálogo productivo de la historia de las izquierdas con la nueva historia intelectual, menos atento a ciertas prescripciones de la Escuela de Cambridge de Skinner y Pocock —sobre todo las que parecen "querer apresar las ideas de una época en sus marcos lingüísticos"[9] — que a las vertientes que ponen en el centro los soportes materiales de los procesos históricos de la cultura, aquellos que se resisten a ser simplemente reducidos a texto. Comprometida en un proyecto de historización radical de las ideas, Políticas de la Memoria promovió estudios y debates sobre la problemática de la recepción y la circulación internacional de ideas y saberes, poniendo sobre todo de relieve los problemas de "traductibilidad", los "desvíos" y "malentendidos" propios de las "ideas fuera de lugar". Dentro de la renovación que conoce la historia de los intelectuales, nuestra revista atendió antes que nada a la dimensión relacional de la historia social de la cultura, prestando especial atención a las redes intelectuales, las redes editoriales y las redes revisteriles. Siguiendo estas líneas, fue plataforma de difusión de diversos referentes de esa renovación historiográfica como Enzo Traverso, Bruno Groppo, Perry Anderson, Christophe Prochasson, Daniel James, Judith Revel, Roberto Schwarz, Ricardo Melgar, Claudio Batalha, Ricardo Piglia, Giselle Sapiro, Jean-Yves Mollier, Vivek Chibber, Philippe Artières y Dominique Kalifa, entre muchos otros. Una política de edición que anticipó y complementó una revista hermana del CeDInCI como El Rodaballo, menos acotada al campo historiográfico y más abierta a los debates intelectuales, que dio a conocer entre 1994 y 2006 textos inéditos en español de Toni Negri, Michael Hardt, Perry Anderson, Robin Blackburn, Michael Löwy, Boris Kagarlitsky, Nancy Fraser, Judith Butler, André Gorz, John Holloway, Frédrik Jameson, Robert Castel, Daniel Bensaïd, Richard Greeman, Terry Eagleton, Etienne Balibar, Régis Debray y René Lourau, entre muchos otros. Con el apoyo de estas renovadas lecturas, Políticas de la Memoria garantizaba la puesta en circulación de un amplio espectro de problemas referidos al mundo de la cultura de izquierdas en Argentina, Latinoamérica y Europa; participando, de este modo, de diferentes y entrecruzadas agendas historiográficas, debates político-académicos y temas de marcada recurrencia entre historiadores y cientistas sociales. A partir de la publicación de artículos, dossiers e intervenciones se abordaron cuestiones como la recepción argentina de Marx y la configuración de una cultura marxista en nuestro país, la formación y las derivas del socialismo argentino, las vicisitudes del anarquismo en América Latina, la historia intelectual del comunismo latinoamericano, el sindicalismo y sus diversas corrientes ideológicas, el antiimperialismo en los albores del siglo XX, el indigenismo y los latinoamericanismos, los intelectuales y su relación con la política revolucionaria, los avatares del trotskismo en la Argentina, del peronismo de izquierda, de las "nuevas izquierdas" y de los grupos armados a nivel continental. Asimismo, Políticas de la Memoria dio lugar a debates recientes sobre la historia europea contemporánea (guerras mundiales, revolución rusa, totalitarismos, guerra fría), ofreciendo estudios referidos al desarrollo de los partidos socialistas y comunistas a nivel mundial y a la historia de las Internacionales Obreras. La historia del marxismo europeo y latinoamericano ocupó en sus páginas un lugar sostenido, lejos tanto del desdén de la historia académica como de los abordajes trillados de los órganos semipartidarios. La serie sobre las sucesivas "crisis del marxismo", aún en curso de publicación, ofreció textos hasta entonces inéditos en español de Masaryk, Sorel, Croce, Gentile y Mondolfo, así como los sustantivos estudios introductorios de Daniel Sazbón, Miguel Candioti y Horacio Tarcus. Finalmente, debemos destacar al anuario como uno de los pioneros en la difusión de estudios y debates sobre los movimientos feministas y sobre la cuestión sexo-genérica en la cultura de izquierdas. En la construcción sostenida de esta singular agenda de temas y de problemas, no fue menor la exhumación de documentos inéditos (piénsese en la correspondencia cruzada entre Ingenieros, Darío y Lugones, en las cartas de Simón Radowitzky a Salvadora Medina Onrubia, en la correspondencia de Mario R. Santucho con Carlos Astrada, en la de José Aricó con Héctor P. Agosti, o en las Actas del Comité Obrero de 1890) así como la incorporación de trabajos que reconstruyen la trayectoria biográfica, política e intelectual de figuras clave en la historia de las izquierdas, como Germán Avé-Lallemant, Virginia Bolten o Ernesto Laclau. Por su parte, la publicación de reseñas críticas, fichas de libros y de revistas que ofrece cada año Políticas de la Memoria —secciones que fueron engrosándose hasta formar parte constitutiva del anuario—, constituyen un insumo fundamental de actualización bibliográfica para cualquier interesado en el mundo de las izquierdas. Pero el aporte de Políticas de la Memoria a los estudios sobre la cultura de izquierdas no es simplemente temático. Su contribución tampoco se resume en la incorporación y en la difusión de autores y de obras de reconocimiento internacional. El anuario interviene en el debate de ideas y se interesa por diferentes perspectivas historiográficas: a su modo, ha formado parte del cultivado campo de la historia intelectual argentina y latinoamericana, ha mostrado un interés sostenido pero también crítico por los modos en que a menudo se cultiva la historia reciente, dando lugar a debates sobre la relación entre historia y memoria, y señalando las potencialidades y los límites de la historia oral. Políticas de la Memoria ha sido pionera en difundir nuevas corrientes de investigación dedicadas a la historia del libro y la edición, a las políticas de archivo y a la relación entre historia cultural y nueva historia política. El mero enunciado de los ejes temáticos con que fueron convocadas las sucesivas Jornadas de Historia de las Izquierdas del CeDInCI a lo largo de los últimos 20 años ofrece un índice ilustrativo de su programa historiográfico, tal y como se fue desplegando a lo largo del tiempo: "Exilios políticos latinoamericanos y argentinos" (2005); "Prensa política, revistas culturales y emprendimientos editoriales de las izquierdas latinoamericanas" (2007); "¿Las 'ideas fuera de lugar'? El problema de la recepción y la circulación de ideas en América Latina" (2009); "José Ingenieros y sus mundos" (2011); "La correspondencia en la historia política e intelectual latinoamericana" (2013); "Marxismos latinoamericanos. Tradiciones, debates y nuevas perspectivas desde la Historia cultural e intelectual" (2015); "100 años de Octubre de 1917: Peripecias latinoamericanas de un acontecimiento global" (2017). El estudio de Juan Maiguashca incluido recientemente en Marxist historiographies. A global perspective tomaba justamente a las Jornadas del CeDInCI como un índice de la renovación historiográfica latinoamericana de izquierdas posterior a los años de la "crisis del marxismo".[10] El historiador ecuatoriano, actualmente profesor de la Universidad de York, Canadá, ofrecía un cotejo entre los que identificaba como los dos polos paradigmáticos de la renovación del marxismo historiográfico de inicios de siglo: la revista mexicana Contrahistorias. La otra mirada de Clío, que fundó en 2003 Carlos Antonio Aguirre Rojas, y las jornadas bianuales del CeDInCI. Maiguashca reconocía como notas distintivas del caso argentino la creciente voluntad de exceder los límites de la historia nacional para abrazar un horizonte latinoamericano; la consolidación de un espacio de diálogo que vino a reemplazar "las actitudes solipsistas de antaño"; el rigor en el tratamiento y el citado de las fuentes; la apertura hacia los diversos marxismos y más allá de los marxismos; y la ampliación del universo de la cultura de izquierdas hacia problemáticas antes negadas o desconocidas como el feminismo, los movimientos sociales o la memoria histórica. "La preocupación obsesiva con las clases se ha ido y los participantes están comenzando a explorar con una mente abierta las importaciones analíticas de otras variables: etnia, género, territorio, entre otros".[11] Además de sus jornadas bianuales, el CeDInCI organizó o promovió la coorganización de encuentros académicos sobre campos de estudio más amplios, como los Coloquios Argentinos de estudios sobre el libro y la edición (2012, 2016 y 2018), los Encuentros de Investigadore/as del Anarquismo (2007, 2009, 2011, 2013 y 2015), el Primer Congreso de Investigadorxs sobre Anarquismo (2016), o las Jornadas de Archivo (2015 y 2017) así como el Encuentro nacional de Teoría Crítica José Sazbón (Rosario, 2010), las Jornadas Internacionales José María Aricó (Córdoba, 2011) y las Jornadas A 100 años de la Reforma Universitaria. Historia, Política, Cultura (Rosario, 2018). Además, en los últimos años, se han creado en el marco del CeDInCI dos nuevos espacios específicos que han mancomunado archivo e investigación. Primero, el Programa de Investigación del Anarquismo que animó, junto a otros colegas, un proceso de intercambio que culminó con la organización del Congreso de 2016 cuya continuidad, en un Segundo Congreso Internacional de Investigadorxs del Anarquismo, se celebrará en Montevideo en 2019. A su vez, en el año 2017 se creó el Programa de memorias políticas feministas y sexogenéricas que, con una notable Colectiva asesora, lleva adelante un intenso trabajo de recuperación, preservación y disposición a la consulta pública de un invaluable material que se encontraba en riesgo de pérdida, disperso o inaccesible. Finalmente, el CeDInCI fue parte activa de las sucesivas Jornadas de Trabajo sobre Historia Reciente, librando batallas, desde sus primeras manifestaciones en el año 2003 y hasta el presente, a favor de esa historia crítica que se resiste a ser avasallada por la memoria; el CeDInCI protagonizó asimismo las primeras manifestaciones pluralistas de los Congresos de Historia Intelectual Latinoamericana (CHIAL) realizados en Medellín (2012) y Buenos Aires (2014), tomando luego prudente distancia de un espacio que fue adquiriendo en México (2016) y más gravemente en Santiago de Chile (2018) contornos elitistas y conservadores. * * * A lo largo de estos 20 años, la producción historiográfica sobre las izquierdas conoció una expansión inédita, no sólo en nuestro país sino en toda América Latina. En los textos programáticos de la década de 1990 que anunciaban el nacimiento del CeDInCI, la bibliografía argentina sobre las izquierdas apenas superaba una carilla. Hoy contamos con una masa de estudios sobre el anarquismo, el socialismo, el reformismo universitario, el comunismo, el antifascismo, el trotskismo, el peronismo revolucionario y las diversas expresiones de la nueva izquierda que se ha tornado prácticamente inabarcable. El espectro tradicional de las izquierdas se fue complejizando con la indagación focalizada en ciertos cruces, préstamos e hibridaciones poco antes impensados, como los "anarcobolcheviques" o los "comunistas liberales". A su vez, estas corrientes son atravesadas diagonalmente por estudios innovadores sobre los intelectuales revolucionarios, las políticas editoriales, la prensa y las revistas, el papel de las juventudes, el rol de las mujeres militantes, las micropolíticas, las prácticas sexuales y las biopolíticas de las organizaciones de izquierda. El CeDInCI acompañó y contribuyó a modelar este vasto proceso de producción con su acervo siempre enriquecido, con sus jornadas y sus seminarios de posgrado, con su revista Políticas de la Memoria, con sus ediciones de fuentes y sus diccionarios biográficos. Basta repasar los centenares de agradecimientos que muchos investigadores estampan en las primeras páginas de sus tesis o de sus libros para reconocer al menos el umbral más básico de esta deuda. Además, las obras que fueron elaborando los propios hacedores del CeDInCI se han ido instalando como referencias en el campo de estudios sobre las izquierdas en Argentina y América Latina. Ahora bien, el CeDInCI ha sido apenas un propiciador de este campo. El notable dinamismo desplegado en la Argentina de los últimos veinte años ha respondido a demandas múltiples y diversas. Una de las mayores fue la que podríamos llamar la "demanda de verdad" respecto de la militancia revolucionaria de los años '60 y '70 así como de las condiciones de su represión y su derrota. Poco antes, la "demanda de justicia" propia del movimiento de derechos humanos tendía a poner a los sujetos de la política en el lugar de víctimas de la represión. En un segundo momento, el periodismo de investigación y la historiografía académica después, vinieron a reponer a esos sujetos en su condición de militantes. El auge de estudios sobre la militancia de las dos décadas de gran movilización social y radicalidad política (1955-1976) tuvo un efecto dinamizador sobre otras experiencias y otras figuras militantes de pasados algo más remotos. Esta demanda social de "verdad" fue inicialmente satisfecha por un periodismo de investigación abiertamente tensado por sus posicionamientos políticos, desde las contribuciones de Isidoro Gilbert y María Seoane hasta las de Ceferino Reato y Tata Yofre. En el campo específicamente historiográfico, algunas de las primeras respuestas surgieron de una cierta perspectiva académico-militante, de espíritu defensivo y reivindicativo, cuyo afán por exhumar documentos o recabar testimonios que probaran las correctas posiciones de las izquierdas en el pasado, o bien su profunda implantación social e incluso la aprobación social de sus acciones militares, los empujaba de modo concomitante a invisibilizar sus límites, a desproblematizar sus dilemas y a sublimar sus fracasos. En buena parte de esta literatura, la perspectiva historiográfica quedaba, así, capturada por el sistema de creencias de los propios actores que estudiaba. Estas formas de teleología obrera y de sobrepolitización de la historia apenas si se vieron neutralizadas por las exigencias de profesionalización propias de fines del siglo XX. Ciertamente, el ciclo de estudios sobre las izquierdas coincidió con un profundo proceso de profesionalización de las ciencias sociales y las humanidades que tuvo lugar a lo largo de estos veinte años: esto es, la significativa ampliación de cupos de ingreso a carrera de investigador de CONICET; la gran expansión de becas de especialización e investigación en universidades y diversas entidades científicas y académicas; y la proliferación de espacios de formación, producción y circulación de saberes disciplinares. Este proceso significó, sin duda, una necesaria y justa democratización del universo académico, fundamentalmente en lo relativo al establecimiento de condiciones materiales para la producción intelectual. Sin embargo, la normativización y objetivación —la más de las veces cuantitativa— de los criterios de acreditación, evaluación y legitimación del quehacer intelectual implicaron en contrapartida una penalización a la historiografía más elaborada, crítica y original. La producción en serie de papers y artículos en los que prima la descripción —a veces minuciosa o erudita, otras no tanto— por sobre la interrogación y la construcción de objetos-problema; las escrituras que en su afán de productividad han abandonado todo debate, toda pretensión teórica o cuanto menos reflexiva, es la que predomina hoy en nuestros campos disciplinares. La cuestión excede con creces, por supuesto, a la historiografía de izquierdas, pero es ésta la que nos interesa aquí. Este sistema cuantitativo de evaluación y legitimación ha sido incluso perfectamente funcional para el crecimiento de esas versiones de la historia obrera tradicional o de la historia partidaria, permitiéndoles acomodarse perfectamente a unas reglas que exigen alta productividad antes que problematización de los objetos y avances reales en la construcción social del conocimiento histórico. El balance de conjunto de la producción de estos últimos veinte años sobre las izquierdas aún está por hacerse. Aquí sólo quisimos avanzar en algunos señalamientos que hacen al específico posicionamiento del CeDInCI, entre los riesgos de partidización de la historia reciente, por un lado, y ciertas derivas elitistas y despolitizadoras de la nueva historia intelectual, por otro. Nos propusimos incitar a un debate colectivo que sirva como balance de lo producido y como actualización de una agenda historiográfica para el estudio de las izquierdas, que tal como había sido formulada veinte años atrás, ya ha quedado en cierto modo realizada, y por lo tanto anticuada. El aniversario, además de la congratulación, puede ser una excelente oportunidad para barajar y dar de nuevo, para debatir colectivamente cuál es hoy el mapa de la historiografía de izquierdas; cuáles sus dispositivos teórico-metodológicos y sus redes conceptuales más destacadas; cuáles sus imbricaciones y apuestas político-intelectuales; cuáles son sus tensiones; qué tradiciones político-ideológicas se perpetúan en las escrituras actuales; cuáles han sido desechadas, cuáles olvidadas, cuáles actualizadas; cuáles son sus puentes, cuáles sus distancias con el espacio más general de la memoria. Incluso cabe preguntarse: ¿Puede hablarse de un campo de estudio de las izquierdas?, o incluso: ¿qué sería hoy una historiografía de izquierdas? Para ello, invitamos a colegas y amigos a participar de las próximas Xas Jornadas de Historia de las Izquierdas Dos décadas de historia de las izquierdas latinoamericanas. Aniversario y balance, los días 20, 21 y 22 de noviembre de 2019. Beba Balvé, Miguel Murmis, Juan Carlos Marín, Lidia Aufgang, Tomás J. Bar y Roberto Jacoby, Lucha de calles, lucha de clases. Elementos para su análisis (Córdoba, 1961-1969), Buenos Aires, La Rosa Blindada, 1973. ↑ Tan sólo a modo de ejemplo: en sentido opuesto a la expresa declaración de su autor, el enfoque de Oposición obrera a la dictadura (Buenos Aires, Contrapunto, 1988) de Pablo Pozzi era escasamente thompsoniano. Lejos de tomar la dimensión de la experiencia como constitutiva de la clase obrera, no hacía más que evaluar las prácticas de resistencia obrera construidas empíricamente con el rasero de una conciencia de clase previamente establecida (en un sentido, justamente, pre-thompsoniano). ↑ Programa de Estudios de Historia Económica y Social Americana. ↑ Juan Suriano, Trabajadores, anarquismo y Estado represor : De la Ley de Residencia a la Ley de Defensa Social (1902-1910), Buenos Aires, CEAL, 1988; y Anarquistas. Cultura y política libertaria en Buenos Aires. 1890-1910, Buenos Aires, Manantial, 2001. ↑ Leandro Gutiérrez, Luis Alberto Romero, "Los sectores populares y el movimiento obrero: un balance historiográfico", en Sectores populares. Cultura y política, Buenos Aires, Sudamericana, 1995. ↑ Jeremy Adelman (ed.), Essays in Argentine Labour History 1870-1930, Londres, Macmillan Press, 1992, incluyó estudios de Juan Suriano, Hilda Sábato, Silvia Badoza, Mirta Lobato, Ofelia Pianetto, Ruth Thompson, Colin M. Lewis, Eduardo A. Zimmermann, Leandro H. Gutiérrez, Luis Alberto Romero y el propio Jeremy Adelman. ↑ Horacio Tarcus, El marxismo olvidado en la Argentina: Silvio Frondizi y Milcíades Peña, Buenos Aires, El Cielo por Asalto, 1996; Horacio Tarcus, Mariátegui en la Argentina, o las políticas culturales de Samuel Glusberg, Buenos Aires, El Cielo por Asalto, 2001; H. Tarcus, J. Cernadas y R. Pittaluga, "Para una historia de la izquierda en la Argentina. Reflexiones preliminares", en El Rodaballo nº 6/7, Buenos Aires, otoño/invierno 1997, pp. 28-38; Íbid., "La historiografía sobre el Partido Comunista de la Argentina: un estado de la cuestión", en El Rodaballo. Revista de política y cultura nº 8, Buenos Aires, otoño/invierno 1998, pp. 31-40. ↑ Horacio Tarcus, "La secta política. Ensayo acerca de la pervivencia de lo sagrado en la modernidad", en El Rodaballo. Revista de política y cultura, nº 9, Buenos Aires, verano 1998/99, pp. 13-33. ↑ Enzo Traverso, La historia como campo de batalla, Buenos Aires, Fondo de Cultura Económica, 2012, pp. 22; véase una crítica semejante en el estudio de Michael Heinrich que ofrecemos en este mismo número. ↑ Q. Edward Wang and Georg G. Iggers (eds.), Marxist historiographies. A global perspective, New York, Routledge, 2016. El estudio de Juan Maiguashca apareció inicialmente como "Latin American Marxist History: Rise, fall and resurrection", en Storia della Storiografia nº 62, Pisa, 2012, pp. 105-120. Hay una versión española de Isabel Mena: "Historia marxista latinoamericana: nacimiento, caída y resurrección", en Procesos. Revista ecuatoriana de historia nº 62, Quito, segundo semestre 2013, disponible en: http://revistaprocesos.ec/ojs/index.php/ojs/article/view/6/24 ↑ Juan Maiguashca , "Historia marxista latinoamericana: nacimiento, caída y resurrección", op. cit., p. 106. ↑
La biblioteca provinciale: l'utente e i servizi: IV convegno nazionale, Pescara, 28-29 settembre 2000, a cura di Dario D'Alessandro. Roma: AIB, 2001. 181 p. ISBN 88-7812-074-X. Eur 18,07.A volere sintetizzare in due parole il salto di qualità compiuto dagli organizzatori nel concepire il quarto convegno nazionale pescarese, di cui anche quest'anno l'Associazione pubblica gli atti, potremmo dire: l'utente, finalmente. I precedenti incontri sulle biblioteche provinciali - che il presidente dell'AIB Poggiali definisce un «tentativo di tipologia», mentre il curatore del volume ha cercato a più riprese di delinearne un profilo istituzionale e ne ha promosso il coordinamento - erano stati dedicati al ruolo e alla funzione pubblica, alle forme di gestione e alla formazione professionale, all'accesso alla professione e alle dotazioni organiche. Avere questa volta incentrato i lavori del convegno sui servizi al pubblico (istanza, per la verità, non del tutto trascurata nei convegni degli anni precedenti) ci pare abbia contribuito enormemente, mi si perdoni l'espressione un po' canzonatoria, a "sprovincializzare" i contenuti del dibattito, sottraendolo al rischio di arenarsi nelle secche delle disposizioni contrattuali, di agitarsi nelle acque torbide dei pasticci legislativi che da sempre caratterizzano il nostro settore, di ruotare su se stesso in cerca di un'alchimia amministrativa o gestionale che da sola, come il genio della lampada, sia in grado di avverare magicamente ogni probo desiderio del bibliotecario professionale e progressivo.Finalmente, l'utente. La ragion d'essere delle biblioteche comunali, provinciali, consortili, regionali, statali, nazionali, o di quel che volete. Bibliotecari e amministratori, riuniti nella biblioteca provinciale "Gabriele D'Annunzio" di Pescara, che ricominciano a discutere dall'inizio, cioè avendo come focus il pubblico della biblioteca pubblica. E allora ben venga l'appello iniziale per la modifica dell'art. 2 della legge n. 248/2000 (diritto d'autore), ben vengano i continui richiami alle nuove Guidelines dell'IFLA e alla professionalità degli operatori da parte di Igino Poggiali (La biblioteca al servizio dello sviluppo del territorio) e degli altri relatori, benvenuto l'invito di Alberto Petrucciani (Nuovi servizi e uguaglianza di accesso) a considerare la necessità di transitare con coraggio dalla biblioteca "aperta a tutti" a quella "rivolta a tutti", secondo il discrimine qualitativo esistente tra il principio dell'uguaglianza di accesso e la logica dell'equità di servizio (in proposito, Petrucciani dimostra in modo convincente l'attualità di alcune indicazioni contenute in un volume pubblicato dall'AIB quasi quarant'anni fa: La biblioteca pubblica in Italia: compiti istituzionali e principi generali di ordinamento e funzionamento). Dario D'Alessandro nella Premessa correttamente individua nella cooperazione lo strumento per potere garantire un servizio davvero soddisfacente a tutti gli utenti delle biblioteche pubbliche italiane, da Asti a Trapani (distanza in termini biblioteconomici ancora tutt'altro che accorciata, attenzione ai facili ottimismi!). Giovanni Di Domenico (La dimensione provinciale della cooperazione) avverte che il successo del cooperare non può prescindere da una preliminare ristrutturazione organizzativa che abbracci in modo complessivo gli utenti, il personale, i processi, gli ambienti operativi e le tecnologie, i modelli organizzativi e quelli gestionali, trasformando così le reti tra biblioteche, da semplici aggregazioni mirate a condividere risorse documentarie, in sistemi orientati allo sviluppo della conoscenza e del sapere organizzativo, secondo moderni principi di knowledge management. Occorre peraltro valutare i servizi e misurare i livelli di user satisfaction, per riorientare costantemente la programmazione. Anche Giambruno Ravenni (Ripensare i sistemi bibliotecari: l'esperienza toscana e le reti provinciali), descrivendo lo scenario in Toscana all'indomani della nuova legge regionale, traccia una prospettiva di cooperazione non limitata alla catalogazione condivisa, ma che dovrebbe estendersi, come nel 1989 sosteneva Diego Maltese, citato da Ravenni nel suo intervento, alla «partecipazione di tutte le biblioteche del sistema alle risorse di ciascuna, intendendo come risorse il personale, i processi, le idee, i materiali, i mezzi che fanno la sostanza di una biblioteca», secondo standard e livelli di integrazione che trovano la loro naturale forma di comunicazione all'utente in una carta dei servizi di rete. Un esempio di cooperazione all'estero, relativo alle biblioteche delle regioni autonome nello Stato federale austriaco, viene illustrato da Karin Heller (La Landesbibliothek in Austria: compiti e servizi), e fa riferimento ad attività di amministrazione del deposito legale, conservazione per la documentazione storica a livello locale, organizzazione di esposizioni, sviluppo di raccolte speciali, redazione di bibliografie regionali, formazione di cataloghi collettivi, gestione di gruppi di lavoro per attività coordinate. Un breve excursus legislativo di Giovanni Lazzari (Biblioteca della provincia, Biblioteca della Provincia) conferma l'identità sospetta delle biblioteche provinciali, in bilico tra servizio pubblico di base e struttura specializzata di supporto all'attività amministrativa dell'ente Provincia; ma tale mission duplice - e apparentemente contraddittoria - potrebbe trovare il suo momento unificante nei compiti legati alla programmazione e alla gestione di servizi bibliotecari territoriali di area sovracomunale (come qualche spiraglio aperto dalla recente normativa sugli enti locali lascia sperare). Completano la prima parte del volume gli interventi di Simonetta Buttò (Editoria come servizio della biblioteca), la quale si sofferma su quel particolare tipo di comunicazione con l'utente rappresentato dall'editoria istituzionale, per metterne in risalto gli aspetti funzionali alla soddisfazione del pubblico (e cioè: chiarezza, aggiornamento, esattezza e precisione), e di Dario D'Alessandro (Come ci vedono gli altri: il cinema e i servizi di biblioteca), impegnato in una veloce "zoomata" a carattere tematico sul mondo bibliotecario visto attraverso il grande schermo (con saporiti accenni a scene legate alla classificazione, al prestito, alla consultazione, all'uso di Internet e così via).Seguono tre tavole rotonde aperte alla discussione dei responsabili di biblioteche. Nel corso della prima (La qualità dei servizi delle biblioteche provinciali e consorziali), Vittoria Bonani, Angela Costabile, Francesco Lullo e Giovanni Battista Sguario (intervenuti rispettivamente per le biblioteche provinciali di Salerno, Potenza, Chieti, e per la consorziale di Viterbo) fanno emergere diverse problematiche, tra cui il ruolo della promozione culturale sul territorio, l'organizzazione delle risorse umane, l'ipotesi di gestione di una biblioteca provinciale e del relativo sistema bibliotecario attraverso la forma dell'Istituzione (è il caso della "De Meis" di Chieti), i criteri di valutazione dei servizi. Nella seconda (I servizi della biblioteca provinciale e consorziale tra innovazione e trasformazione) Anita Bogetti, Tonino Cugusi, Carmela Di Mase, Vincenzo Lombardi, Donatella Porcedda Mitidieri e Agostino Rocco affrontano molti dei temi del cambiamento (l'utilizzo ottimale e consapevole delle nuove tecnologie; il rapporto tra programmazione dei servizi e analisi dei bisogni della comunità di riferimento; la multimedialità; la definizione di indicatori di riferimento per lo sviluppo; la cooperazione in SBN) calandoli nella propria realtà istituzionale, da Asti a Nuoro, da Matera a Campobasso, da Gorizia a Isernia.L'ultima tavola rotonda (La biblioteca provinciale e consorziale tra servizio all'ente e servizio al territorio), con i contributi di Ubaldo Augugliaro, Carmela Caravetta, Ester Grandesso Silvestri, Lorena Pesaresi, Enrico Sorrentino, completa la rassegna delle esperienze locali. Il lettore si trova così testimone degli sforzi innovativi e delle potenzialità, ma anche dei numerosi problemi legislativi, amministrativi e territoriali ancora irrisolti, a Trapani come a Cosenza, a Cagliari come a Perugia o a Roma.Rimane, in conclusione, la sensazione, purtroppo consueta quando si parla di biblioteche pubbliche italiane, della denuncia, talvolta manifesta, talvolta più sotterranea o meno consapevolmente espressa da parte dei bibliotecari, di un quadro istituzionale tremendamente confuso, di un approccio ai temi e ai problemi professionali da parte degli stakeholder ancora disordinato e pieno di compromessi e, in generale, di un patrimonio di risorse umane e documentarie sottoutilizzato. Per questo l'approccio che parte dall'utente non dovrebbe mai essere lasciato in secondo piano, trattandosi dell'unica forma mentis adottabile se si vuole intraprendere con convinzione il cammino verso quel modello, da noi tanto invidiato, della public library, che ricordiamo echeggiava anche nel titolo di uno dei convegni di Pescara qualche anno fa.
El trabajo se presenta en dos versiones, la primera de ellas escrita en asturiano y la otra su equivalente en castellano. Su estructura consiste en una Introducción, tres grandes bloques, que se subdividen a su vez en cuatro, ocho y cinco capítulos respectivamente, un Epílogo que se subdivide en otras dos, y finaliza con las Conclusiones del trabajo, un resumen de la Bibliografía empleada y algunos Anexos con información complementaria. En la Introducción se expone el objeto, las fuentes, la metodología y los objetivos y propósitos del trabajo. Para ello, partiendo de modelos propios en parte de la Historia Contemporánea, se analiza en primera instancia lugar el valor de la tradición asturiana teatral como modelo, y en consecuencia, se realiza un recorrido cronológico por los intentos, más o menos exitosos, de constituir un Corpus Teatral Asturiano que están plasmados en diversos artículos, documentos o estudios, y de determinar, a partir de todo ello, cuáles son las discusiones y consensos que alimentan este proceso a lo largo del tiempo. En segundo lugar, se intenta dilucidar hasta qué punto el teatro asturiano podría llegar a ser un elemento vertebrador de una hipotética nacionalidad asturiana, analizando su relación con el territorio donde se desenvuelve y localizando las estructuras organizativas que genera, y por supuesto, asumiendo las diferentes consideraciones que suscita el empleo de la llingua asturiana respecto al teatro en diversos grupos de opinión. Para finalizar esta Introducción, se precisan los conceptos de Teatro Nacional Asturiano y de Corpus como conceptos alrededor de los cuales girará toda la exposición, y asimismo se establece el período temporal dentro del que se enmarca principalmente el estudio, que corresponde al período 1985-2014. Todo ello permite realizar un repaso somero por la metodología que se va a seguir para elaborarlo, teniendo en cuenta que se trata de una propuesta con un carácter bastante poliédrico. En definitiva, en la Introducción se establecen las cuestiones de índole general a resolver, esto es, el saber hasta qué punto el Teatro Asturiano, pasándolo por el filtro del Análisis Sociocultural, puede poseer una identidad propia como hecho cultural diferenciado; si se puede considerar en él un desarrollo determinado relacionado con el territorio donde tiene lugar y si, en consecuencia, constituye un patrimonio con la suficiente entidad como para que pueda constituir un sujeto de estudios, análisis o acciones posteriores. Asimismo, y desde un punto de vista inverso, se cuestiona si las Artes Escénicas son un instrumento válido para extraer conclusiones sobre la sociedad que lo alberga. Tras esta Introducción, el trabajo se articula en tres grandes bloques. El primero de ellos lleva por título Los principios básicos de la actividad teatral en Asturies, y en él se plantea un somero repaso a los inicios de la actividad escénica en el territorio del Principado, requisito fundamental para poder desarrollar todo el estudio posterior. A su vez, este primer bloque se subdivide en cuatro epígrafes. El primero de ellos, titulado Los Principios básicos de la actividad escénica. Formas etnodramáticas en Asturias, se dedica al Etnodrama o teatro ritual, y para ello se establece un marco conceptual con el que se pretende ubicar teóricamente la práctica etnodramática dentro de una actividad teatral no vinculada de manera directa con el hecho literario. En este sentido, se analiza documentación proveniente tanto de la teoría de la interpretación como de otros estudios, casi todos de orden antropológico, sobre este tipo de representaciones. Se analiza seguidamente la naturaleza de las mismas y se examinan los diferentes etnodramas que se dan hoy en Asturies, prestando atención especialmente a sus personajes y puesta en escena, concluyendo principalmente que el sujeto activo de estas escenificaciones a lo largo del tiempo y lo que confiere una unidad a todas ellas es por un lado el propio ejecutante, y por otro la necesidad humana primaria y ancestral de expresar estados de ánimo o sentimientos. A continuación, en el epígrafe El caso de Miranda y su comparación con Asturies se cotejan los etnodramas anteriores con las figuras rituales y teatro popular de la Tierra de Miranda en Portugal, estableciendo tras ello algunas conclusiones respecto a un posible origen, estética y evolución comunes, y se propone una sencilla cronología de este tipo de escenificaciones en el ámbito territorial estudiado, ubicando todo ello, a su vez, en un contexto mucho más amplio como es el europeo. En la tercera parte del primer bloque, La persistencia de las formas etnodramáticas y la actividad teatral actual, se intenta analizar cuál es el efecto y presencia real de la práctica etnodramática en el presente, y posteriormente se elabora una reseña de diferentes artistas y trabajos que tienen que ver con el hecho ritual, aunque no partan específicamente de la tradición popular asturiana. Y en el cuarto epígrafe, El arraigo del teatro asturiano y las estructuras sociales en la Ilustración, se indaga sobre el reflejo real que pudo haber tenido este complejo movimiento en la práctica teatral asturiana; a partir de algunos de los planteamientos teóricos de sus élites, se analiza la obra y propuestas de determinados personajes destacados de la época respecto a la praxis dramática, y se profundiza sobre los efectos que posteriormente generaría la Ilustración en la actualidad, tanto en el ámbito educativo como en el meramente artístico. Se ubican, en consecuencia, algunos ejemplos concretos de documentos, obras dramáticas o espectáculos tanto dentro del Corpus como en las categorías antes definidas de Teatro Nacional Asturiano o Teatro hecho en Asturies. En el segundo gran bloque, Agentes sociales y actores de la actividad teatral, partiendo de la figura del artista o ejecutante como sujeto protagonista del hecho dramático, se incide sobre su mundo relacional y su función social, además de analizar sus modos de asociación y de transmisión de valores. Se intenta discernir en un principio y a partir de la Teoría del Etiquetaje, relativa al fenómeno de la desviación social, si el colectivo de personas que se identifica con las Artes Escénicas puede constituir un subgrupo social diferenciado. A ello contribuye un análisis enfocado desde varios puntos de vista, inspirados a su vez en el trabajo de Flora Davis, que será el que articule, a grandes rasgos, todo el bloque. Se subdivide en nueve capítulos. En el primero de ellos, La acción dramática y lo grotesco, se estudia la función y percepción de lo grotesco relacionado con las Artes Escénicas a través de un sucinto estudio cronológico, del que se extrae que lo grotesco --entendido como la deformación significante de una forma conocida y reconocida como norma-- es una constante que acompaña al artista y al hecho escénico desde siempre, aportando evidentemente a su comportamiento e imagen pública una connotación marginal y no convencional respecto a lo socialmente admitido. A continuación, en El oficio de los actores, las conductas desviadas se indaga en la interrelación del subgrupo de personas vinculadas a las Artes Escénicas con otros grupos tradicionalmente considerados desviados, como pueden ser el de las prostitutas, los homosexuales, los vagabundos, los locos o los ladrones. Los límites corporales y síquicos del o la propia ejecutante y los de la actividad escénica son explorados respectivamente en el tercer capítulo: El oficio del actor. La educación del cuerpo, y en el cuarto: La voluntad y el ejercicio del carácter en el ejercicio dramático, para proseguir en el quinto: Los actores como colectivo. Sociabilidad y estructuración asociativa, situando al colectivo laboral del sector del Arte Dramático como subgrupo específico afecto a la marginalidad, la censura y a la politización de su trabajo en el contexto de la sociedad actual y, de modo particular, dentro del conjunto de trabajadores. Como continuación lógica, el capítulo sexto de este primer bloque, Teatro asturiano y género, se centra en las relaciones de género como forma primaria de asociación del ser humano. A partir de su examen, y basándose en que las relaciones de género son un instrumento válido para el estudio de la sociedad en general, se extraen datos referidos particularmente a la historia del teatro en Asturies, a la obra de autoras reconocidas en este campo, y a certámenes, publicaciones, puestas en escena y otra documentación diversa que tengan que ver con una visión de género. Además se clasifica todo ello según los parámetros antes establecidos de Teatro Nacional Asturiano, teatro profesional y teatro hecho en Asturies. En definitiva, se llega a la conclusión a través de todo ello de que el teatro, en términos generales, constituye un instrumento válido para el reconocimiento de la lucha por la liberalización de la mujer (y de otros colectivos como podrían ser los conocidos por LGTB, aunque no en la misma medida ni de la misma forma) y también para la visibilización social de sus problemas. En el siguiente capítulo, Educación, la herencia de valores, se analiza el efecto en el sector y en la sociedad de la transmisión de valores propios del grupo que los genera, tomando como referencia el desarrollo de la educación tanto no formal como formal en el período y ámbito escogidos, que es el asturiano en la época del profesionalismo escénico; de todo ello se extrae que el poder político mantiene en términos generales una actitud poco comprometida con el desarrollo de esa transmisión de valores, y que ello desemboca en la deficitaria construcción y delimitación de un sector escénico asturiano cohesionado y diferenciado. El octavo capítulo, Capital Social y Asociacionismo en el Teatro Profesional Asturiano. Desde los orígenes a la formación de la Unión de Actores de Asturias, se realiza un somero repaso a lo que había constituido el movimiento asociativo dentro de las Artes Escénicas hasta el momento en que se crea la Unión de Actores de Asturias, hecho que se puede identificar con los inicios del profesionalismo escénico en la Comunidad. Tomando esta referencia, en el noveno capítulo, La irrupción de las compañías profesionales. Su organización y la presión sobre las instituciones asturianas, se indaga en la dimensión del capital social que fue capaz de generar el sector de las Artes Escénicas hasta la actualidad, que si bien podría haber sido mayor y seguramente lo será en un futuro próximo, da la impresión, al menos, de estar bien armado y la de conferir una estructura definida al sector. Esto muestra su capacidad de generar confianza social dentro del mismo, y, además, constituye una garantía de la efectividad de la presión y representación del colectivo ante los correspondientes órganos de gestión y gobierno, sobre todo en comparación con otros sectores artísticos como los músicos o artistas plásticos que desarrollaron menos evolución en este sentido. Profundizando en la percepción que de la actividad escénica puede existir en la sociedad, dentro del ámbito territorial y temporal propuesto, el tercer bloque del trabajo, La actividad dramática y su demanda social, se inicia con una aproximación a lo que puede constituir la memoria colectiva del teatro en Asturies abordada desde dos puntos de vista. El primero de ellos viene referido a los lugares de memoria, dentro de los cuales pueden diferenciarse a su vez dos tipologías: por un lado los que albergan o albergaron actividad escénica, analizados en el capítulo primero de este bloque tercero; y por otro la memoria institucionalizada, esto es, los reconocimientos y homenajes que figuran en el nomenclátor urbano, la estatuaria o en las denominaciones de entidades de diversos tipos, y que se recogen en el segundo capítulo. En el tercer capítulo, La memoria colectiva asturiana en los espectáculos y obras dramáticas, se propone un recorrido en sentido inverso al del capítulo anterior y se indaga sobre la presencia de la historia y memoria colectiva de Asturies como Comunidad dentro de la literatura dramática basándose en el estudio de algunos ejemplos concretos. A partir de ambos planteamientos se evidencian, por una parte, las huellas del teatro asturiano que persisten dentro de la memoria colectiva de la Comunidad, desde un punto de vista cronológico y fundamentado en homenajes a personas o entidades que se pueden ubicar en el contexto de las etapas más importantes por las que ha atravesado la escena astur, desde el teatro ritual al costumbrismo o al teatro en la actualidad. Y por la otra parte, se demuestra que es posible construir un relato basado en los episodios más importantes de la historia de Asturies como tal comunidad a partir del tratamiento de los mismos en algunos textos dramáticos y puestas en escena. Se explora y analiza en el cuarto capítulo de este bloque, Proyección social en los medios de comunicación. Boletines y revistas, la presencia de las Artes Escénicas dentro de los medios de información escritos, referida principalmente a boletines y revistas, y en el quinto capítulo se realiza idéntico proceso pero en lo que respecta a medios de información masivos, periódicos y ediciones diversas, a fin de determinar algunas de las relaciones de este subgrupo de las Artes Escénicas con el Poder; y además, con la intención de establecer algunas conclusiones sobre la propia sociedad que lo alberga, y también con la de deducir la consideración en que se tiene dentro de ella al colectivo escénico. Este acercamiento al reflejo de las Artes Escénicas escrito en las páginas de los medios de comunicación y publicaciones correspondientes ilustra perfectamente, en definitiva, todo el proceso de la profesionalización e institucionalización del teatro que se ha venido dando durante el período estudiado (1985-2014). Indefectiblemente, para tatar de obtener una visión lo más ajustada posible a la realidad del fenómeno del teatro asturiano en relación con el entorno social que lo alberga, hay que plantear la cuestión en términos de política y concretamente de política cultural. En consecuencia, y ya para finalizar el trabajo, en el Epílogo se realiza, en primera instancia, dentro del capítulo El entramado institucional y sus problemas actuales, una exposición de un mínimo marco teórico al respecto de los conceptos de cultura y de política cultural, y a continuación, un repaso a las diferentes políticas culturales que se desarrollaron y desarrollan en Asturies durante el período planteado, así como a algunos de los efectos que produjeron en la profesión y en la sociedad. Si bien la actividad profesional que se analiza en este trabajo no depende directamente del éxito de público ni de la taquilla, ya que su principal cliente es la Administración que, como es sabido, trata con ello, en teoría, de hacer llegar la actividad escénica a todos los habitantes del territorio de la Comunidad, se puede colegir tras un recorrido por las diferentes acciones de política cultural que afectan a la actividad escénica, y a partir de los datos recabados en cuanto a presupuestos la tendencia a la baja en el número de representaciones y por ende en la actividad de las compañías y en la de los propios artistas. En el segundo capítulo de este cuarto bloque, Un inquietante balance, se analizan los meta-objetivos de las políticas culturales que, respecto al teatro y las artes escénicas desarrollan las distintas Administraciones en el ámbito autonómico y local, y un repaso por las distintas propuestas que hasta el momento y acerca del objeto de estudio se realizaron a través de agentes sociales como los partidos políticos. El resultado concreto de todo ello, constatable a partir de los datos aportados, es la práctica desaparición o residualidad de la actividad escénica profesional, toda vez que parece que se rompe en estos tiempos el paradigma de la cultura como bien público, lo cual aboca asimismo a cerrar el ciclo natural de existencia de este tipo de actividad escénica profesionalizada. Por consiguiente, los conceptos de Corpus y Teatro Nacional Asturiano que aquí se vienen manejando de manera trasversal funcionan como correa de trasmisión y permiten, por ello, establecer una unidad a todo el trabajo. Ambos se definen en la Introducción tras un breve recorrido por iniciativas o propuestas anteriores. Junto a ello, se aporta la propuesta de ubicación espacio-temporal del estudio, que viene precedida a su vez de un somero repaso a la actividad escénica previa a la que se pretende estudiar, en especial lo concerniente al Teatro Ritual y al del tiempo de la Ilustración, donde también se perfila un ámbito de lo escénico no limitado a lo meramente literario. El enfoque global del estudio, por tanto, viene dado por la figura del ejecutante, que funciona como sujeto de todo planteamiento escénico, y sobre el cual se exploran sus límites en el orden social, físico, psíquico o psicológico, a fin de obtener una imagen precisa de la percepción que se tiene del artista y su oficio en la sociedad actual. A continuación, intentando seguir una progresión lógica, se analiza su campo relacional más inmediato como tal protagonista del hecho dramático, y se extraen datos y conclusiones a partir, en primera instancia, de la cuestión de género, prosiguiendo por el capital social que genera el sector y la trasmisión de valores a través de la enseñanza tanto formal como no formal. Para finalizar el recorrido, se intenta determinar el efecto que produce el colectivo afecto a las Artes Escénicas en la sociedad a partir de la huella que queda marcada en la memoria colectiva de la misma, así como en cuanto a la presencia que mantiene en los medios de comunicación y en la capacidad de la que dispone para generar políticas y estructuras de gobierno propias. Evidentemente este análisis sobre un sujeto determinado pero realizado desde puntos de vista tan diferentes genera una prolija documentación sobre el fenómeno a estudiar, y se ordena aquí según parámetros provenientes, en parte, de la Historia Contemporánea; y aunque el resultado y la primera intención del trabajo es formular una propuesta de organización de un Corpus dentro de las muchas posibilidades que tiene de realizarse sobre un asunto tan amplio como las Artes Escénicas (aunque limitadas al espacio y tiempo propuestos), éste permite, además, plantear algunas conclusiones al respecto. En principio, y aunque no difiera en exceso del que se desarrolla en otros territorios, se delimita lo que supone el concepto de Teatro Nacional Asturiano, como categoría diferenciada, por ejemplo, del teatro hecho en Asturias, menos restrictiva que la anterior. Un segundo círculo incluido en el anterior vendría a ser el que corresponde a la profesionalización de los ejecutantes y las entidades que conforman para poder llevar a cabo su cometido, y que tiene lugar en el territorio y periodo indicados, como fenómeno específico y singular dentro de la microhistoria del Teatro y las Artes Escénicas asturianas. Y a modo de tercer círculo, habría que establecer una especial atención sobre el papel que tiene la llingua asturiana en la definición y desarrollo del Teatro Nacional Asturiano y del teatro profesional, aunque sea un hecho que no afecte a la generalidad del teatro hecho en Asturies. De esta forma, y dicho muy en términos generales, se intenta delimitar el espacio que corresponde a las Artes Escénicas asturianas dentro de lo académico, lo social y lo político; y a su vez se propone una sistematización de ese espacio a partir de parámetros provenientes en este caso del Análisis Sociocultural, que facilita además el que pueda constituirse a partir de fuentes y cruces de datos muy diversos, de una forma abierta y en constante construcción. Ello permite parangonar el fenómeno de las Artes Escénicas en Asturies con la evolución del mismo que se registra dentro de otras comunidades y territorios basándose en las aportaciones, consensos y disensos que fue generando en sus diversas etapas y facetas; y en definitiva, intenta humildemente contribuir al conocimiento, partiendo de forma contrastada y razonada desde lo meramente específico o particular a lo universal.
1.- Introducción El escritor francés Alexis de Tocqueville merece el lugar destacado que tiene entre los teóricos políticos del siglo XIX. Autor de diversos textos, fue "La Democracia en América", publicado en 1840, la obra que, en parte por su notable calidad y en parte por ser históricamente oportuna, dio a Tocqueville una amplia notoriedad, incluso más allá de los estrechos círculos académicos. No es para menos. En ella, Tocqueville ofrece uno de los estudios más extensivos, profundos e intelectualmente afinados que se hayan escritos sobre el funcionamiento de la democracia en los Estados Unidos. De hecho, tan atinado resultó ser su estudio que muchas de las características que Tocqueville describió de la democracia norteamericana son plenamente reconocibles en los Estados Unidos contemporáneo.El hecho de que haya logrado retratar a la democracia norteamericana con tanta exactitud cobra su real dimensión en la medida en que tomamos en cuenta el particular contexto en el que el autor escribió.En ese sentido, es de recordar que mientras Estados Unidos había optado tempranamente por la democracia y el republicanismo, Europa todavía se debatía entre la Revolución y el Ancien Régime. En el Viejo Continente, la democracia, más allá de algunos casos contados y algunos efímeros ensayos, como el holandés, era un régimen político que se conocía y se estudiaba básicamente en el papel. Y ello es peculiarmente cierto sobre todo a partir de la Ilustración que, en el marco de su enciclopedia y de su compromiso político con la igualdad y libertad, había impulsado un gran número de estudios sobre las distintas formas de gobierno, especialmente sobre la democracia. Aunque para el siglo XVIII la preocupación intelectual por la democracia era de una envergadura jamás vista, el problema de cómo éste régimen político, que en la historia de la humanidad había sido bastante excepcional y que sólo había florecido plenamente en Atenas, podía adaptarse a la Europa de la época, con lo que ésta tenía de plural y compleja, era un misterio con el que sólo los filósofos más radicales del Iluminismo, como los Diderot, los d'Holbach, los Reynal o los Helvétius, se animaron a especular.En ese contexto, y a tan sólo unas pocas décadas después del Iluminismo, se daba la oportunidad inédita y privilegiada de dejar el papel a un lado y estudiar el funcionamiento de un régimen democrático de "carne y hueso", instalado en plena Modernidad. En efecto, del otro lado del Atlántico, los Estados Unidos se convertían en el primer país en la historia moderna en optar por la democracia republicana como régimen político. La independencia estadounidense era para ilustrados y liberales ése hijo esperado, como el que la Francia revolucionaria había soñado ser y no había podido concretar, y al que, por ello mismo, debía seguirse de cerca y con especial atención.Pero el peculiar caso americano no despertaba expectativa sólo del lado de los revolucionarios, liberales e ilustrados. También lo hacía del lado de los anti-democráticos y abogados del Antiguo Régimen. Tanto para sus defensores como para sus detractores, la experiencia democrática de los Estados Unidos era una suerte de ensayo de laboratorio que ayudaría a despejar todas las dudas acerca de los males y las bondades, las virtudes y los vicios de la democracia como régimen político universal.En ese marco, Tocqueville se propondrá escribir una obra con el cometido de arrojar luz sobre las ventajas y desventajas de ese régimen. La obra de Tocqueville estará imbuida de un espíritu de expectativa e incertidumbre, de entusiasmo y escepticismo en la medida en que, como señalásemos, la democracia era un régimen conocido solamente ya fuera en la teoría o a través de experiencias bien remotas en el tiempo. Es así que se volcará a explorar la ingeniería institucional de la democracia, sus tensiones internas, su impacto y relación con la sociedad civil y, haciendo un ejercicio temprano de política comparada, la contrastará con el Antiguo Régimen.Es de recibo señalar que, dado el origen francés del autor, la obra se piensa desde y para la problemática francesa de la época, que aún tenía un porvenir incierto. Lo que quiere presentar Tocqueville es una "radiografía" de la democracia estadounidense que aporte sensatez y respaldo empírico a la encendida discusión política que estaba teniendo lugar en su propia tierra.2.- Los "puntos de partida" socio-históricos de NorteaméricaEn general, "La Democracia en América" presenta un fuerte tono legalista. En tanto aristócrata liberal, la preocupación de Tocqueville está dominada por analizar el arreglo institucional y jurídico de la democracia norteamericana; una preocupación que seguramente heredó del influyente "Espíritu de las leyes" de Montesquieu. Es así que Tocqueville dedica una buena parte de su obra al estudio de las instituciones, su diseño y articulación con los otros organismos, su funcionamiento interno, sus competencias y su interacción con la sociedad civil. De particular interés le resultaba a Tocqueville el estudio de las instituciones federales, dado que el federalismo a la americana era un fenómeno totalmente nuevo para la concepción jurídica de la época. Esta deconstrucción y análisis legalista de las instituciones quizás sea de las partes más teóricas del libro y puede resultar un poco densa para quien no esté familiarizado con el vocabulario técnico.Desde el inicio, Tocqueville deja en claro que, como el título mismo de su texto lo indica, realizará el estudio, no de cualquier democracia, sino de una democracia en particular: la democracia en América. El hecho de reconocer que la democracia tiene un modo de ser específico en los Estados Unidos, revela que, de alguna forma y al menos en esta primera parte de su texto, el autor es consciente de que más allá de que la democracia es un régimen de alcance universal, como toda creación humana, también está ligada a la constitución cultural e histórica de un pueblo o de una nación en particular. Dicho de otro modo: para Tocqueville, atendiendo a la fisonomía cultural del pueblo americano, los males o bondades de la democracia americana no tienen por qué ser los males o bondades de la democracia en sí o viceversa. De allí que, primeramente, el autor se avoque a rastrear los principios culturales y económicos que caracterizaron a las trece colonias originarias y su impacto sobre la constitución política estadounidense, una vez alcanzada la independencia de Inglaterra y de la concreción de la Federación.Como dice Tocqueville, el pueblo norteamericano tenía para el investigador político y social una ventaja fundamental: "América es el único país que ha permitido asistir al desarrollo natural y tranquilo de una sociedad, y en el que se ha podido precisar la influencia del punto de partida en el futuro de los Estados". Aunque señala muchos más, aquí veremos tres de esos "puntos de partida" histórico-sociales de Norteamérica que, a juicio de Tocqueville, marcarán su desarrollo político de forma considerable. La esclavitudPara Tocqueville, en los Estados Unidos existen dos "brotes" sociales distintos que pautaron la evolución de ése país: uno en el Norte y otro en el Sur. La variable que determinará una diferencia notoria entre esas dos regiones, en términos políticos, culturales y económicos, es, nada menos, que la introducción de la esclavitud.La esclavitud fue introducida tempranamente en el Estado de Virginia, primera colonia inglesa fundada en 1607. En un principio, ella servía a la vertiginosa búsqueda de oro y plata impulsada por varios países europeos que procuraban enriquecerse de esa manera. Así, el afán de lucro rápido, y no un principio abstracto o ideal, marcó desde el inicio el carácter del Sur. A ello debe sumarse que ésos emigrantes eran más bien gente aventurera, con poca educación y de escasos recursos.Con la introducción de la esclavitud, argumenta Tocqueville, se generó entre los habitantes del Sur ocio y un desdén por el trabajo en aquellos hombres que se descansan en el trabajo del otro, apagando la inteligencia y generando, en contrapartida, ignorancia y orgullo. El resultado natural de ello es la gestación de una cultura de carácter más conservador en política, puesto que tenderá a bregar por ése status quo que le favorece, y obviamente de menor empuje económico; algo que, valga decir, caracterizará no sólo a Virginia sino a la mayoría de los Estados del sur, que compartieron con ésta más o menos las mismas características.Algo completamente diferente, empero, sucedió en el Norte, sobre todo con la colonia de Nueva Inglaterra. Allí, en contraste con el Sur, los emigrantes provenían de clases acomodadas y bien educadas. No era la necesidad lo que los obligaba a cruzar el Atlántico, sino que era, en palabras de Tocqueville, "el triunfo de una idea", de un ideal religioso y/o político, su principal motivación. Quería crear un nuevo mundo. De ese modo, y aunque con el mismo "background" británico que en el Sur, el Norte tomará un curso distinto en la medida en que optará por afiliarse al liberalismo y abolir la esclavitud rápidamente, ahorrándose así todos los males vinculados a ella.Estas dos culturas distintas engendradas en el seno de la nación norteamericana son las que sin duda estarán detrás de la guerra civil de 1861. La educaciónUn segundo punto de partida en la historia americana es el de la educación. Precisamente porque en su mayoría los habitantes de la nación habían emigrado de su país de origen por razones económicas, Tocqueville advierte que en América predomina un nivel socio-económico medio-bajo o bajo. Dado que la necesidad económica pauta su vida, los ciudadanos de América se caracterizan por lanzarse tempranamente al estudio del primer oficio que les sea económicamente más redituable. En América, no se estudia porque se busca el desarrollo intelectual; es más, el concepto mismo es bastante raro entre los americanos, sino, antes bien, porque se quiere progresar materialmente. Del mismo modo, cuando lo que se elige no es un oficio, sino una ciencia, se elegirá aquella que haya demostrado tener una mayor utilidad. En ese sentido, dirá Tocqueville, que en ese país norteño "Se elige una ciencia como se elige un oficio".En América, dice Tocqueville, las personas, al contrario de lo que sucede en Europa, se dedican al estudio desde temprano, con la esperanza de lograr el ascenso social mediante el dominio de una profesión. En consecuencia, apunta Tocqueville, durante los años de estudio, los estudiantes son muy jóvenes y cuando llegan a la madurez, y con ella al tiempo libre, el interés por el conocimiento, así como el mismo entrenamiento intelectual requerido para ello, se extinguen o enfrían. Es así, dirá Tocqueville, que en los Estados Unidos impera un nivel de conocimientos medios.Quizás, y aquí nos apartamos explícitamente del texto, sea ése tiempo ocioso el que esté detrás de la emergencia de una gigantesca industria del entretenimiento que, tanto en los Estados Unidos como en otros países, se ha logrado constituir en un sector considerable de la economía contemporánea. Sin embargo, y más allá de ello, tal vez más alarmante, advierte Tocqueville, sea el hecho de que ésa situación genera que el conocimiento no sea visto como un placer en sí mismo, que alimenta el espíritu y posibilita el desarrollo personal, sino como un instrumento, siempre supeditado a algún otro fin último y superior.Precisamente aquí, y permítasenos el excurso, Tocqueville está atestiguando el nacimiento de un fenómeno que verá su desarrollo pleno para las postrimerías del siglo XX. En la medida en que se masifica y se alía con la industria, la ciencia, poco a poco, se va deslindando del ideal racional-humanista construido por el Renacimiento y reforzado por "Las Luces" y comienza a legitimarse a partir de su rendimiento práctico, es decir, en tanto productora de conocimientos aplicables. Esto evidencia un proceso por el cual el conocimiento se subordina exclusivamente a la acumulación económica; algo que remembra lo que el filósofo posmoderno Jean-François Lyotard conceptualizó como "principio de performatividad". Seguramente haya sido esa condición social y económica humilde la que favoreció la prematura aparición en los Estados Unidos de los primeros síntomas de esa nueva "ciencia posmoderna" que, hay que señalar, no será patrimonio exclusivo de ése país sino del Occidente entero y más allá. La religiónNinguna descripción sobre los orígenes de los Estados Unidos estaría completa sin hacer referencia al punto de partida religioso. En ese respecto, Tocqueville señala que la religión en América atraviesa todos los sectores de la sociedad, moldeándola.La primera cosa que sorprende a Tocqueville con respecto a la religión, es el hecho de que el cristianismo (si es que se puede hablar de "el" cristianismo) de Estados Unidos es aliado natural de la libertad y de la igualdad, exactamente lo contrario de lo que sucede en la Europa continental. Según Tocqueville, dos son elementos que contribuyen a ello.En primer lugar, el autor explica que ese gusto por la libertad e igualdad que caracteriza a la religión en América procede en parte de un "trauma histórico". En efecto, los colonos que ocuparon el territorio norteamericano eran principalmente personas que habían sufrido confiscaciones y persecuciones por temas religiosos en su madre patria, ya fuera Escocia, Inglaterra o inclusive Francia. Esa mala experiencia que vivieron en sus países natales imprimió en esos colonos fundadores de Estados Unidos una desconfianza con el Estado y, más genéricamente, contra todo poder no sometido a mecanismos de contralor. Ello se traducirá en una cultura que concentrará sus esfuerzos en prescindir del poder gubernamental, que será especialmente recelosa con la propiedad privada y que instrumentará un arreglo institucional con miras a reducir el ratio de acción del Estado al mínimo indispensable.En segundo lugar, que el cristianismo de América sea solidario con la libertad e igualdad responde también al hecho de que en la propia doctrina religiosa habitan elementos favorables a dichos principios. En efecto, como pone de relieve Tocqueville, en esa región del planeta, la religión no es simplemente una doctrina que regula la vida espiritual de quien a ella adhiere; es mucho más. Para Tocqueville, entraña también determinadas consecuencias políticas, en tanto defiende a capa y espada la noción de individuo, de contrato social y de respeto por los derechos y deberes de aquellos que lo consignan. Oportunamente recuerda el famoso episodio de 1620 en donde los emigrantes, en su mayoría puritanos, recién llegados a tierras norteamericanas, deciden hacer un acta, a modo de "primera constitución", mediante la cual se comprometen, ante sí mismos y ante Dios, a constituirse como una sociedad política, procurando respeto y sumisión por la ley y los magistrados.Más aún, Tocqueville remarca que "El puritanismo […] en muchos puntos se identificaba con las teorías democráticas y republicanas más radicales." Ello se explica porque, entre otras cosas, éste favorecía la idea de que la fuente ulterior del poder de los gobernantes radica en la voluntad popular, más que en una delegación divina directa. A su vez, el puritanismo predicaba que ese poder debía ser depositado a representantes, elegidos mediante un sistema electivo. A propósito, Tocqueville destaca cómo para la mitad del siglo XVII en el pequeño y religioso Estado de Connecticut es constatable el espíritu democrático y republicano. Allí no sólo son los representantes de los ciudadanos quienes formulan las leyes, sino que los ciudadanos son absolutamente todos, no un grupo simbólico y privilegiado como sucedía en Grecia. Del mismo modo, apunta como principios básicos como la intervención del pueblo en los asuntos públicos, la responsabilidad de los gobernantes y la libertad individual, que los europeos no incorporarán sino hasta muy tarde, ya estaban contemplados en las leyes de Nueva Inglaterra. Es así, dice Tocqueville, como "[…] aunque en otros lugares se hicieron a menudo la guerra, vinieron, en América, a incorporarse en cierto modo el uno al otro y a combinarse maravillosamente. Me refiero al genio religioso y al genio de la libertad."Este peculiar complicidad que la religión establece con la política, favoreciendo la democracia y la república no es menor, puesto que Tocqueville, en el fondo, lo que nos está diciendo es que, en América, no fue tanto un análisis racional, como promulgó la Ilustración, acerca de cuál es la mejor forma de gobierno, el que determinó a la democracia como el mejor régimen sino más bien el "instinto" religioso del pueblo norteamericano.Más allá de ello, Tocqueville identifica en la sociedad norteamericana otra característica distintiva. Por su génesis religiosa, dice, los ciudadanos americanos, sea consciente o inconscientemente, prefieren dejar el gobierno de la sociedad en manos de la sociedad y de la cultura más que en las del gobierno propiamente dicho. Tocqueville habla de que existe en América una especie de reflejo auto-organizativo que busca regular a la sociedad desde adentro mismo y que tiende a excluir la intervención del Estado. Es cierto que en América hubo y hay leyes absurdas y tiránicas, dice Tocqueville, pero también es verdad que a menudo las leyes sociales, esas que no tiene el poder público detrás, son mucho más severas. Es así que al individuo se le da mucha latitud jurídica, con leyes que tal vez no gobiernan más allá de lo necesario, pero muy poca latitud cultural. La sociedad, a través de numerosas y más variadas organizaciones, busca cuidar que los individuos no traspasen los estrechos límites de lo que se ha establecido como lo justo. En otras palabras: es por medio de una moral rígida y poco tolerante, de inobjetable raíz puritana, entonces, que la sociedad logra auto-regularse y garantizar su independencia del poder político.Estudiados los "puntos de partida" socio-históricos de la sociedad norteamericana y su relación con la democracia, en el próximo número nos enfocaremos a abordar el peculiar análisis que Tocqueville hace de la igualdad democrática, sus pros y sus contras, su articulación con el Estado y la sociedad y sus consecuencias para la libertad y los derechos individuales. Sobre el autorProfesor Depto. de Estudios Internacionales.FACS. Universidad ORT Uruguay.
What is the difference between a library and a company? This question has given rise to a heated debate, with numerous points of view.However, it is indisputable that while the former moves within the ambit of culture and the limbo of the public body, the latter is subject to the laws of the market. If we then add the legitimate, admirable aspiration of local libraries to continue to promote society's cultural democratisation, these two positions appear irreconcilable. These are the considerations underlying the present project vision of the Consorzio Sistema bibliotecario nord-ovest (North-west Library System Consortium).The consortium, which is based at Novate Milanese and was established in 1997 on the ashes of the CBS (Library Services Centre, 1983-1986), and Intersistema bibliotecario (Library Intersystem, 1986-1996), is taking its first steps in the increasing turbulent and varied panorama of public libraries and of Italy's public administration. In this climate of great legislative, technical and scientific innovation, the member administrations chose to create not a services consortium, but rather a special company with economic, entrepreneurial importance. Combined with the climate of great change found in public bodies for some years now, this allows the Consortium to take a fresh view of the world of libraries, experimenting innovative solutions which in some cases infuriate the librarian community but whose final objective is the conscious and, as far as feasible, financially autonomous management of the services. There is in fact a consensus that value means freedom, independence and autonomy from third parties in one's own choices.The concepts the consortium seeks to develop have been "borrowed" from corporate economics and management and re-worked for the reality of the local libraries. How-ever, the intent is not to deny the role and primary function of the public and local libraries, as defined in the Unesco Manifesto and by professional laws and literature, but instead to ascertain if the public local library can now also occupy new, still to be experimented ambits.The consortium has sought to think differently, to establish the possibility of passing from theory inspired by economic and managerial logics to practical realisation. At times, it was solely an exercise, i.e., of learning to think of the library as a company which is therefore subject to all the laws, often harsh, which determine its survival on the market. Considerable importance has therefore been given to the economic concept of innovation, i.e., to the fact that, even when scarce, resources can be used with techniques and methodologies that multiply their usefulness. The underlying philosophy is that the Consortium no longer belongs to the ambit of the public body, understood as a secure place where it is difficult even to realise that the wrong strategy has been followed, because of the absence of checks: those who make mistakes do not pay for them.The "exercise" was not an end in itself, because sooner or later, above all in situations of economic crisis, it is perhaps necessary to actually conclude the metamorphosis from public body to private company.The paper first illustrates the "progress" of the Consortium's activities and continues with a series of hypothetical reasonings and points for further discussion vis-à-vis the various innovative possibilities espied. Some diagrams which describe the Consortium's data, history and institutional set-up are also included to facilitate comprehension. ; Che differenza c'è tra una biblioteca pubblica e un'azienda? La domanda è causa di un dibattito appassionato, dai molteplici risvolti e punti di vista. Un elemento che però è sembrato indiscutibile al Consorzio Sistema bibliotecario nord-ovest è che nel primo caso ci si muove nell'ambito dell'ente pubblico, mentre nel secondo, se si vuole esistere, si deve sottostare alle leggi del mercato. Il Consorzio, con sede a Novate Milanese, si è sviluppato su un progetto di cooperazione tra biblioteche a partire dal 1983 ed è approdato all'attuale forma istituzionale nel 1997. La scelta delle amministrazioni aderenti non è stata quella di creare un consorzio di servizi, ma un'azienda speciale con rilevanza economico-imprenditoriale. L'obiettivo finale è la gestione consapevole e, per quanto possibile, autonoma in senso finanziario, dei servizi, basata sulla convinzione che economicità significhi libertà, autonomia, e non dipendere da terzi nelle proprie scelte.I concetti utilizzati sono stati "presi in prestito" dall'economia aziendale e dal management di impresa e rielaborati rispetto alla realtà delle biblioteche di base. Non si è inteso però in alcun modo negare il ruolo e la funzione primaria della biblioteca pubblica di base, come definito dal Manifesto Unesco, dalle leggi e dalla letteratura professionale: si è inteso invece verificare se la biblioteca pubblica di base può ora occupare anche nuovi ambiti, non ancora sperimentati.Si è trattato a volte anche solo di un esercizio, cioè di imparare a pensare alla biblioteca come a un'azienda, che debba quindi sottostare a tutte le leggi, spesso feroci, che determinano la sua sopravvivenza sul mercato.Grande importanza si è data quindi al concetto economico di innovazione, cioè al fatto che le risorse, anche quando scarse, possono essere usate con tecniche e metodologie che ne moltiplicano l'utilità. L'"esercizio" non è stato fine a se stesso, poiché prima o poi, soprattutto in situazioni di crisi economica, forse ci si troverà costretti a concludere davvero la metamorfosi da ente pubblico ad azienda privata.L'attuale livello di attività del Consorzio si innesta sull'importanza della massa critica raggiunta, costituita dall'ampiezza del territorio interessato (288 Kmq), dal numero di abitanti coinvolti (681.000) e dal notevole numero di biblioteche aderenti (37). Il numero degli abitanti non è il solo elemento importante per poter pensare a nuove strategie. Ciò che fa la differenza è probabilmente la forma giuridica innovativa del Consorzio, cioè lo statuto di azienda speciale, che coniuga partecipazione e flessibilità: le regole sono diverse da quelle in vigore nella pubblica amministrazione.Per quanto concerne gli acquisti, la direzione del Consorzio si sta orientando verso il coordinamento degli acquisti, che si ispiri a due concetti ritenuti fondamentali: l'investimento produttivo e l'acquisto consapevole. Ci si sta domandando quando l'acquisto di un libro, o meglio di un documento, può essere ritenuto un investimento produttivo. Non si può più in alcun modo prescindere dalla doverosa preoccupazione di gestire le risorse in modo economico e funzionale agli interessi del proprio cliente, cioè l'utenza sia reale che potenziale. L'azienda/consorzio, pensando come in un'impresa privata, è consapevole dell'importanza del principio di razionalità economica, prioritario per la sua sopravvivenza: è quindi d'importanza vitale un uso ottimale delle risorse, evitando nel modo più assoluto forme di spreco. Si è così orientata la riflessione dall'acquisto coordinato all'acquisto consapevole, progettando a questo proposito strumenti adatti ad aiutare nella decisione. La scelta ritenuta più opportuna è la progettazione e lo sviluppo di strumenti software, che si richiamino ai "sistemi esperti", intesi come strumenti informatici di ausilio all'assunzione di decisioni. Sarebbero centralizzate solo alcune attività "stupide" rispetto agli acquisti, quali alcune procedure amministrative, il trattamento del libro, la produzione di etichette, cioè la parte meno professionale del lavoro.Per quanto concerne la catalogazione, si ritiene che i tempi siano maturi per la nascita di un'agenzia anche privata, che effettui la catalogazione delle novità, in collaborazione con distributori librari. Per tutti i documenti che sono in commercio e non sono novità, la rete SBN e altre reti possono supplire al servizio di catalogazione in proprio. Si è inoltre convinti che occorra effettuare una profonda riflessione sull'ambito della catalogazione semantica, rispetto alla produzione di abstracts, all'indicizzazione e alle possibilità innovative che in questi ambiti può offrire l'informatica.Per quanto concerne la gestione del patrimonio e la sua messa a disposizione, si sta riflettendo sull'applicazione del modello tedesco della biblioteca a tre livelli al territorio del Consorzio e si stanno analizzando le possibilità di distribuzione dei documenti offerti dalla tecnologie. Si sta pensando di far ricorso a strumenti di valutazione che facciano riferimento alla valutazione in itinere.Per quanto concerne invece i nuovi ambiti in cui il Consorzio sta pensando di sperimentarsi, essi riguardano tre differenti aree:A) Servizi tipici - core business B) Canale avente una duplice articolazione: a) pubblicitario b) di vendita di prodotti e serviziC) Economie di scala e di servizi. Nell'ambito dei servizi tipici (core business) si sta affrontando il tema del reference evoluto, quello della business information e il dibattito sui servizi a pagamento.Un altro aspetto che si sta prendendo in considerazione è quello della vendita della capacità del Consorzio di organizzare l'informazione ad altri soggetti economici, quali librerie, videoteche, negozi di musica: il Consorzio sta teorizzando di utilizzare le biblioteche aderenti nella loro potenzialità di canale. Si stanno cercando per questo soluzioni amministrative e giuridiche adatte. Quello che può cambiare il grado di interesse dei potenziali collaboratori è la notevole dimensione territoriale assunta dal Consorzio. In questo senso, in continuità con quanto illustrato precedentemente, le biblioteche possono aspirare a raggiungere una dimensione tale da renderle massa critica rilevante ai fini degli investimenti pubblicitari. Che in strutture culturali possano convivere con reciproco vantaggio aspetti "intellettuali" e aspetti "commerciali" è comunque già dimostrato dalla felice esperienza degli shops nei musei e nelle gallerie d'arte.