international audience; Interdisciplinarity plays a leading part in the knowledge economy. Synonym of creativity, it is considered to be the driving force behind innovation and growth. At European level, interdisciplinarity is nowadays strongly incurred through continuous two key issues that seem to play an increasing role in European politics. Primarily Open Access to whom a number of beliefs is associated with them a positive impact on creativity, innovation and interdisciplinarity. It is also the funding of Cross-disciplinary research projects in European Framework Programmes for Research and Technological Development. What is the impact of these policies on practices of intellectual and interdisciplinary research practices? And to what extent open Access policies do they have a cognitive profit and are they reactive? The objective of this article is to examine these issues and to initiate some serious thinking about these subjective disregarding intention and ideological Discourses.; Interdisciplinarity occupies a key position in the knowledge economy. Synonymous with creativity, it is seen as a driver of innovation and growth. At European level, interdisciplinarity is now strongly encouraged through mainly two key issues which seem to play an increasing role in European policies. Firstly, open access, with which a number of beliefs are associated, including a positive impact on creativity, innovation and interdisciplinarity. Secondly, the funding of cross-cutting research projects in the European Framework Programmes for Research and Technological Development. What are the impacts of these policies on intellectual working practices and the conduct of interdisciplinary research? And to what extent do open access policies bring a cognitive gain and are they really meaningful? The purpose of this article is to examine these issues and to start reflection on these topics, leaving aside discourse of intent and ideology. ; International audience; Interdisciplinarity plays a leading part in the knowledge economy. ...
International audience Locations of wave energy converters (WECs) are, most of the time, determined in areas with the highest density of mean wave power while ignoring the temporal variabilities of the resource. The most energetic regions are, however, characterised by strong inter- and intra-annual variations of wave power that may impact the energy production and performances of devices. We investigated these influences by focusing on the generated power from three well-known WECs that reached the stage of full-stage testing: Pelamis, AquaBuOY and Wave Dragon. This evaluation was conducted in western Brittany, one of the most energetic area along the coast of France. In comparison with the available resource, the generated technical power was characterised by reduced annual and seasonal variations. These effects were particularly noticeable for Pelamis that exhibited a reduced intermittency in the energy output between the winter and summer periods. The most energetic conditions had furthermore a restricted contribution to devices power output, mainly related to events with energy periods between 10.5 and 12.5 s, and significant wave heights between 2.75 and 4.25 m. WECs performances exhibited finally strong variabilities, in winter, with monthly-averaged values of the capacity factor up to 65% for Wave Dragon.
Sciences Po Economics Discussion Papers Using an instrument based on a national contest in France determining researchers' location, we find evidence of peer effects in academia, when focusing on precise groups of senders (producing the spillovers) and receivers (benefiting from the spillovers), defined based on field of specialisation, gender and age. These peer effects are shown to exist even outside formal co-authorship relationships. Furthermore, the match between the characteristics of senders and receivers plays a critical role. In particular, men benefit a lot from peer effects provided by men, while all other types of gender combinations produce spillovers twice as small.
2007/2008 ; Gli anni Novanta sono stati un decennio di grandi trasformazioni geopolitiche: la fine della Guerra Fredda ha distrutto quello che Carlo Jean ha definito "l'elegante equilibrio" bipolare, un sistema internazionale che, dividendo il mondo in due blocchi, favoriva la semplificazione delle relazioni tra gli Stati, aumentando la prevedibilità dei loro comportamenti e assicurando, quindi, una sostanziale stabilità. Il mondo è ora alla ricerca di un nuovo equilibrio: l'esito finale della odierna fase di transizione è ancora in gran parte nebuloso, ma già costringe l'Italia ad un'approfondita riflessione sui propri interessi nazionali al fine di adeguare il suo sistema-Paese alle sfide poste dalla fine dell'era americana. Nei suoi primi cinquant'anni di esistenza, l'Italia repubblicana ha potuto sfruttare la rendita geopolitica dovuta alla sua particolare collocazione geografica, nel cuore del Mediterraneo, che la portava ad essere la frontiera del "mondo libero" rispetto a quello a guida sovietica; l'esistenza, inoltre, di un forte Partito Comunista ha fatto a lungo temere gli Stati Uniti che l'Italia potesse scivolare nel neutralismo, facendo crollare l'intero fianco sud dell'Alleanza. Tale situazione ha permesso all'Italia di sviluppare una politica estera disinvolta (tessendo, ad esempio, relazioni privilegiate con molti Paesi arabi, anche in contrasto con gli interessi e le posizioni degli Stati Uniti e delle ex potenze coloniali europee, come la Francia e la Gran Bretagna) e con obiettivi non sempre chiari e coerenti (anche se con risultati tutt'altro che disprezzabili). La caduta del Muro di Berlino ha fatto venire meno l'importanza strategica dell'Italia in chiave antisovietica e lo scenario internazionale, liberato dal conflitto tra Usa e Urss che "paralizzava" le relazioni tra gli Stati, si presenta ora più fluido e competitivo. Scopo del mio lavoro è stato quello di esaminare il "momento internazionale", evidenziandone le principali linee di tendenza attraverso le chiavi interpretative fornite dalle più importanti letture geopolitiche proposte negli ultimi anni, e di delineare, di conseguenza, le prospettive italiane nel breve e medio termine. Il lavoro è diviso i due parti: La prima parte analizza il contesto internazionale di inizio millennio, ancora alla ricerca di un equilibrio consono rispetto ai nuovi attori e ai nuovi rapporti di forza emersi negli ultimi decenni. La scarsa intelligibilità del mondo moderno è alla base della "rinascita della geopolitica", vista come un antidoto a quella sensazione di impotenza, emersa davanti a pericoli percepiti come immani e sconosciuti, che si sta impossessando del genere umano e che il sociologo Zygmunt Bauman ha definito "paura liquida" ( in particolare Bauman dice che "la paura più temibile è la paura diffusa, sparsa, indistinta, libera, disancorata, fluttuante, priva di un indirizzo o di una causa chiari; la paura che ci perseguita senza una ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente. Paura è il nome che diamo alla nostra incertezza, alla nostra ignoranza della minaccia, … di ciò che c'è da fare."). L'analisi geopolitica, infatti, può fornire una chiave interpretativa utile, come dice Franco Mazzei, a non "sperdersi nella foresta" delle odierne relazioni internazionali e far compiere ai soggetti geopolitici stessi scelte politiche maggiormente idonee a tutelare i propri (e, soprattutto, i "veri") interessi nello scenario di riferimento, senza farsi guidare dall'istinto e dalla paura. Dopo aver sottolineato l'importanza della geopolitica e dei suoi "tre sensi" – rappresentazione, rappresentanza, azione - (come li definisce Lacoste), mi sono occupato, attraverso l'analisi delle principali letture geopolitiche proposte negli ultimi anni, di tracciare le linee fondamentali del sistema internazionale ancora in fieri. E' emerso, innanzitutto, un quadro internazionale fluido, nel quale le condizioni sistemiche sono, almeno teoricamente, favorevoli alla emersione di relazioni maggiormente cooperative tra i soggetti geopolitici, gli Stati in particolare. La principale condizione sistemica, infatti, che, storicamente, favorisce l'instaurazione di un ordine internazione è legata ai grandi conflitti internazionali. In generale, come sostiene Filippo Andreatta, "… un grande conflitto ha generato ingenti costi in termini economici e di vite umane e rappresenta un forte stimolo ad evitarne altri in futuro. Un grande conflitto, inoltre, è in generale accompagnato dall'indebolimento degli equilibri internazionali e dalla minaccia che uno Stato riesca ad imporre il suo volere sugli altri. Per questi motivi, c'è una tendenza a trasformare una particolare pace, dopo la fine di uno specifico conflitto, in una pace generale che ponga fine, regoli o limiti i conflitti." I principali tentativi di costruzione di un ordine internazionale sono avvenuti quasi tutti all'indomani di una grande guerra: la Pace di Vestfalia è seguita alla guerra dei trent'anni e ai conflitti di religione, la Pace di Utrecht alla guerra di successione spagnola, la Pace di Vienna alle guerre napoleoniche e alla Rivoluzione Francese, Versailles e Yalta hanno chiuso le guerre mondiali. Anche alla Guerra Fredda, quindi, succederà un nuovo ordine e un differente sistema internazionale, che sarà espressione dei mutati rapporti di forza tra gli attori geopolitici. Si è dimostrato successivamente che la costruzione di un nuovo sistema e di un nuovo ordine internazionale è bloccata alle porte del futuro a causa del virus della "paura liquida" che si è impadronito del mondo dopo l'11/9. La breve esperienza unipolare a guida americana sembra, comunque, volgere al termine, come sottolineano, pur con accenti assai diversi tra loro, molti studiosi di geopolitica e di relazioni internazionali. Analizzare le conseguenze della fine dell'era unipolare e disegnare lo scenario (o meglio, le sue linee di tendenza) che dovrebbe succedere a quello che sta esaurendosi è un'operazione fondamentale per permettere di "pensare" l'Italia del futuro. La seconda parte, infatti, è dedicata ad analizzare le prospettive geopolitiche italiane all'inizio del XXI° Secolo, partendo dall'analisi delle costanti e dei fattori della "sua" geopolitica. Come già anticipato, l'Italia non ha ancora iniziato a discutere dei suoi interessi nazionali dopo la fine della Guerra Fredda; come afferma Enrico Serra, "… la protezione americana ha distolto dallo studio dei grandi problemi di politica estera, delle opzioni di fondo, della produzione dei rapporti di forza, in una parola, dei molti fattori che condizionano le scelte di una società .". L'Italia, quindi, va recuperata alla geopolitica dopo la fine della "dittatura" della Guerra Fredda. La complessità attuale concede all'Italia una gamma diversificata di opzioni geopolitiche, che esprimono allo stesso tempo occasioni e rischi. Per questo motivo, una riflessione "geopolitica" sull'Italia rappresenta, in sé, un interesse nazionale. Oggi, infatti, "la struttura geopolitica dello Stato va vista non in base alla sua conformazione geografica, ma piuttosto nella volontà nazionale, cioè nella auto percezione che ogni popolo ha della propria territorialità, intesa come valore emozionale collettivo, d'ordine nazionale, etico e religioso, in relazione con quella degli altri Stati". L'Italia, in un momento storico nel quale sembra consegnata ad un inevitabile declino economico e geopolitico, ha un estremo bisogno di una rotta da seguire, di recuperare il senso di appartenenza dei propri cittadini ad un Progetto Nazionale. La globalizzazione, l'entrata in scena di attori nuovi e di dimensioni gigantesche, la conseguente crisi del modello economico italiano, hanno creato negli italiani un senso di sfiducia e di paura verso il futuro del Paese. Esso, tuttavia, presenta potenzialità che, se utilizzate al meglio, possono rappresentare il cardine per un progetto geopolitico italiano vincente sul nuovo scenario globale. In tal senso l'ultima parte della tesi cerca di individuare le scelte geopolitiche più opportune per l'Italia dell'inizio del nuovo secolo, garantendo all'analisi, attraverso l'utilizzo di paradigmi interpretativi, la necessaria parsimoniosità (secondo Carlo Simon-Belli "una teoria - o una tesi – è parsimoniosa quando spiega una grande quantità di situazioni attraverso un numero limitato di concetti posti in relazioni logiche; senza parsimonia una tesi rischia di diventare più complessa della realtà che intende spiegare"). La parte conclusiva della tesi rende merito alla specificità delle studio geopolitico rispetto allo studio geografico e geografico - politico: la geopolitica, infatti, si interessa della politica del futuro; essa non focalizza il suo interesse sulle aree politiche in quanto tali, né sul loro funzionamento come entità autonome, né sull'influenza della politica sull'ambiente o sulla popolazione. Il ragionamento geopolitico, pur basandosi sull'oggettività dei dati (fisici, umani, statistici, ecc…) fornitigli dalla geografia, trascende il dato scientifico e oggettivo, soggettivizzandolo e incrociandolo con fattori che non sono geografici, come sono i sistemi di valori, una data visione filosofica del mondo, la percezione di sé e della propria cultura, civiltà o storia (a questo proposito Lacoste afferma che la geopolitica è una serie di drammi, nel senso primo della parola, ovvero come una rappresentazione di vicende fondate su elementi di conflitto, talvolta anche soltanto di natura simbolica). L'aspetto geografico rimane costantemente presente nell'analisi geopolitica: come opportunità e come condizionamento; come fattore di potenza e come condizione di vulnerabilità; come posta in gioco e come teatro. Le scelte, però, dipendono anche da altri fattori, come l'ideologia, il grado di consenso, la religione, la tecnologia disponibile, la cultura. In una parola, la geopolitica è egopolitica. Il progetto geopolitico che propongo per l'Italia, tenuto conto del contesto internazionale rappresentato nella prima parte della tesi, punta soprattutto sulla massima valorizzazione delle sue risorse umane, specie quelle più giovani e preparate, e sull'emergere di una nuova "coscienza internazionale" del Paese. Questo significa "pensare" un Italia nuova, più grande, più moderna: l'unica via possibile per salvare il Paese dal declino cui non è certamente destinata, ma verso il quale si sta avviando a causa di scelte politiche sbagliate o inadeguate rispetto alle esigenze dei "tempi moderni". Tra i grandi Paesi occidentali, l'Italia, che è stata la culla della civiltà occidentale moderna, appare tra i meno preparati ad affrontare le sfide dell'era globale, le cui caratteristiche impongono a tutti gli stati un radicale cambiamento, un nuovo modo di presentarsi e di pensarsi come soggetto geopolitico sulla scena internazionale. Come dice Francesco Sisci, già Direttore dell'Istituto di Cultura italiana a Pechino, "l'emergere della Cina (ma anche quello dell'India, del Messico, del Brasile, le potenze emergenti del sistema internazionale) impedisce all'Italia di continuare a traccheggiare nella sua deriva: o si cambia o si muore". Rinchiudersi, rinunciare a conoscere gli altri, rinunciare a preparare i propri cittadini ad acquisire nuovi strumenti di analisi, di comprensione e di percezione della realtà, sottrarsi alla globalizzazione non gioverebbe all'Italia, ma alla lunga ne peggiorerebbe la crisi. Bisogna, invece, "immaginare" un'Italia nuova, che sopravviva al nuovo secolo riformandosi e acquisendo una nuova "mentalità internazionale": tale riforma non può prescindere dalla radicale trasformazione della società nonché delle sue istituzioni, specie quelle con funzioni preminenti di rappresentanza del Paese all'estero. Questa nuova "mentalità internazionale" richiede che il Paese arricchisca, superandola, la sua eredità risorgimentale: quella di un'Italia prigioniera del suo "vantaggioso" ritardo e del suo isolamento politico e geopolitico, con una politica estera etero-diretta, non democratica perché non "maturata" all'interno del Paese, con un'identità più romanzata che realmente esistita/esistente. ; XXI