Failure to pay VAT and business crisis: case-law stringency and need for legislative amendments] Article 10 ter of Legislative Decree No 74/2000 punishes any person who fails to pay the value added tax by the deadline, regardless of the intent to evade. The Supreme Court adopted a strict interpretation, that doesn't give many chances of impunity to who fails to pay VAT because of business crisis. The paper highlights the imperfections of the case-law rigor and underlines the necessity of a legislative reform that changes the subjective element of this tax crime.
The paper analyzes the concept of going concern, as it emerges from the provisions dictated to overcome the crisis in companies and, in particular, from the perspective adopted in the new Code of Crisis and Insolvency, relating to the preservation of the company, the maintenance and recovery of the business, including through reorganization choices. Firstly, the reform legislation is framed in the context of European regulations and in comparison with those of other continental European countries, highlighting how it is based on a new approach to business crisis. Going concern is now a point of reference in management, the diligence of managers takes on a more specific connotation, they are required to prepare adequate accounting arrangements to prevent the state of crisis and maintain the business. The changes inevitably also affect the profiles of the managers' responsibility. The focus of the thesis is the verification of which reorganizational solutions are preferable in order to recover the going concern for companies in crisis and in what way the corporate reorganization can be a valid tool for the resolution of the failure. Moreover, the analysis focuses on the identification of the elements on which to calibrate the reorganization and the operations serving it, in order to assess the needs and characteristics of the individual company.
Il Volontariato nella Governance dei Servizi Sanitari Toscani: Dall'Aggregazione all'Integrazione di Modelli Sociali, Organizzativi ed Individuali Il fenomeno del Volontariato sta ricevendo progressivamente attenzione dagli studiosi di management, con particolare riferimento al ruolo che le Organizzazioni Non-profit (NPO) svolgono nella società moderna, oltre alla modalità con cui i cittadini si impegnano attivamente nel Terzo Settore al fine di far fronte ai cosiddetti 'fallimenti' dello Stato (government failures) e dei mercati (business failures). La letteratura di riferimento studia come la Società Civile sia in grado di fornire efficacemente i servizi socio-umanitari, rappresentando in tal modo un importante attore sociale al pari dell'Ente Pubblico, rappresentato dalle Istituzioni Governative (GOV), e del mercato, rappresentato dalle imprese ed i business commerciali (BUS). Nella presente ricerca il fenomeno del Volontariato è concettualizzato ed analizzato empiricamente attraverso tre prospettive – macro, meso, micro – le quali corrispondono alle tre sezioni della tesi di ricerca. A tal fine, abbiamo preso in considerazione l'area geografica della Regione Toscana, che rappresenta uno standard di riferimento ed eccellenza per l'implementazione da parte delle NPO di servizi socio-sanitari, in particolare nell'ambito dell'emergenza ed urgenza (Servizio 118). Infatti, il Terzo Settore toscano ha un'antica tradizione storico-culturale sviluppatasi fin dal Medioevo – la nascita della prima associazione di Volontariato fiorentina risale al 1244 – e durante i secoli è stato in grado di contribuire in modo significativo all'evoluzione del social welfare regionale, grazie all'implementazione di servizi socio-sanitari nei confronti della propria comunità locale. Quali sono le ragioni essenziali, le caratteristiche peculiari, e le leve strategiche che permettono il successo di tale realtà filantropica regionale? Per rispondere a tale domanda, abbiamo in primo luogo analizzato l'evoluzione storica delle interazioni istituzionali tra GOV e NPO toscane. Facendo riferimento alla letteratura di partnership ed alleanze strategiche, il focus è stato sul fenomeno delle partnership sociali cross-settoriali (CSSP – Cross-Sector Social Partnership), che si riferiscono ad alleanze strategiche tra i tre attori sociali, ossia lo Stato, le imprese for-profit ed il Terzo Settore, al fine di perseguire obiettivi sociali capaci di creare valore per la comunità di riferimento e soddisfarne le esigenze. La letteratura pertinente concettualizza tale fenomeno attraverso tre fasi, denominate 'formazione', 'implementazione', 'risultati'. Inoltre, tali fasi sono costituite da stage i quali a loro volta sono suddivisi in micro-processi. Uno dei gap della letteratura fa riferimento agli aspetti dinamici e contingentali che influenzano l'evoluzione delle CSSP in relazione a tali fasi, stage e micro-processi. Il nostro obiettivo è stato di contribuire a tale letteratura analizzando la specifica fase di 'implementazione' della partnership sociale cross-settoriale tra Regione Toscana e Associazioni di Volontariato, indagando l'evoluzione dei tre stage definiti 'selezione', 'design' e 'istituzionalizzazione'. Attraverso la metodologia della 'critical event analysis', abbiamo analizzato archivi storici, documenti, report, norme legislative, interviste con Presidenti e Direttori delle NPO toscane e responsabili della Regione Toscana, al fine di esaminare l'evoluzione della CSSP toscana negli ultimi 35 anni, ossia dal 1978 (creazione del Sistema Sanitario Nazionale) ai giorni d'oggi (2013-2015). Per tale livello 'macro' di analisi, è emerso come la partnership sociale sia stata caratterizzata dal cosiddetto 'isomorfismo coercitivo' il quale ha imposto alle Associazioni di Volontariato di adattarsi dinamicamente al contesto ambientale di riferimento per essere in grado di rispondere a pressioni contestuali esterne. Tali fattori hanno scaturito 5 principali criticità, ossia la legittimazione, il potere, la fiducia, l'identità, l'absorptive capacity, che sono evolute dinamicamente nel corso delle interazioni storiche tra i partner regionali. Nella seconda sezione della tesi abbiamo utilizzato una prospettiva 'meso', in particolare l'analisi di uno specifico modello di business e governance che sempre più caratterizza le organizzazioni non- profit, ossia il modello 'ibrido'. Tale modello fa riferimento alla compresenza di attività filantropiche/non-profit e commerciali/for-profit nella stessa organizzazione. Il fenomeno dell'ibridizzazione è sempre più un elemento significativo per le moderne realtà organizzative, poiché molte imprese sia for-profit che non-profit stanno sempre più convergendo verso un modello di 'impresa sociale', che sottolinea l'orientamento e l'attitudine imprenditoriale verso la responsabilità sociale delle strutture organizzative nei confronti di stakeholder e ambiente di riferimento. In particolare, tale fenomeno sta progressivamente caratterizzando le Associazioni di Volontariato toscane le quali devono organizzare innovativi modelli di business e governance al fine di essere autonome finanziariamente, divenendo così sempre più indipendenti dalle Istituzioni Governative e più sensibili ai bisogni di volontari e comunità locale. La letteratura ha individuato due tipologie di modelli ibridi, ossia il modello integrato e quello disintegrato, focalizzandosi in maniera marginale sulle possibili implicazioni manageriali. Al fine di contribuire a tale filone di letteratura, abbiamo effettuato un caso di studio multiplo analizzando tre NPO toscane 'ibride'. Grazie alla coding analysis delle interviste semi-strutturate effettuate con i Presidenti e i manager delle Associazioni di Volontariato, è stato possibile individuare implicazioni manageriali significative per tali realtà organizzative. In primo luogo, abbiamo concettualizzato una terza tipologia di modello di business e governance ibrido, ossia il modello semi-intergrato; in secondo luogo, abbiamo individuato sei categorie concettuali emerse dall'analisi che influenzano la gestione di tali realtà, ossia legittimità interna, legittimità esterna, scambi e flussi monetari, struttura organizzativa, perdita di identità, limiti alla crescita organizzativa. I risultati dell'analisi sottolineano come il modello ibrido integrato sia caratterizzato da alti livelli di criticità in riferimento ai limiti alla crescita; il modello disintegrato dal rischio di perdita identitaria; infine, il modello semi-integrato da criticità concernenti la legittimità interna e limiti alla crescita. La terza sezione della tesi fa riferimento ad una prospettiva 'micro', analizzando in primo luogo il concetto socio-antropologico del dono all'interno del contesto di volontariato; in secondo luogo, indagando le motivazioni psico-socio comportamentali dei volontari, oltre che le loro attitudini ed intenzioni comportamentali. In particolare, mentre il primo capitolo della sezione fa riferimento all'analisi concettuale del dono utilizzando importanti teorie antropologiche – come la Teoria del Dono di Marcel Mauss – il secondo capitolo presenta un'analisi empirica attraverso un modello ad equazioni strutturali (SEM – structural equation modeling), in grado di analizzare simultaneamente le relazioni ipotizzate tra significative variabili latenti delle attitudini, intenzioni e comportamenti dei volontari. Abbiamo utilizzato scale di questionari convalidati in letteratura e collezionato 379 questionari completati da volontari di 20 NPO toscane. Dopo l'analisi esplorativa fattoriale delle dimensioni oggetto di analisi – motivazioni (sociale, carriera, valori, conoscenza, protezione dell'io, avanzamento dell'io), atteggiamento verso l'organizzazione, religiosità, reciprocità positiva e negativa, intenzione a donare – abbiamo costruito un modello SEM e analizzato sia gli indici di significatività (modello di misurazione) sia le relazioni ed 'influenze' esistenti tra variabili (modello strutturale). Le principali implicazioni manageriali fanno riferimento alla capacità del management delle NPO di analizzare e conoscere i segnali relazionali emanati dai volontari, al fine di rispondere in modo appropriato ed incentivare lo sforzo di tali preziose risorse strategiche. Infatti, i volontari non rappresentano solamente il principale 'fornitore' di tempo, risorse, know-how e abilità per le Associazioni di Volontariato, bensì al contempo sono i beneficiari di gratificazione, soddisfazione e spirito associazionistico ottenuti dalla partecipazione all'organizzazione. In particolare, la dimensione di reciprocità insieme all'intenzione di donare sottolineano come la relazionalità sia un elemento cruciale per la gestione delle NPO, che presuppone una profonda conoscenza dei tratti psicologici dei volontari, oltre alle loro attitudini ed intenzioni comportamentali. Tali fattori sono importanti per rendere le Associazioni di Volontariato il veicolo sociale efficace in grado di rispondere ai bisogni della comunità locale e cercare di risolvere i 'fallimenti' dello Stato e dei mercati, grazie in modo particolare alle loro risorse più importanti, ossia i volontari. Voluntarism in the Governance of Tuscan Socio-health services: From the Aggregation to the Integration of Social, Organizational, and Individual Models The phenomenon of voluntarism is increasingly achieving attention by management scholars, specifically focusing on the role of Non-profit Organizations (NPOs) in modern society and the way citizens actively commit themselves in the Third Sector in order to cope with government and business failures. Pertinent literature questions how the organized Civil Society successfully provides human service delivery, thus traditionally representing an important societal actor along with both the Public Entity, represented at a local level by Governmental Institutions (GOV), and the market, represented by enterprises and for-profit business (BUS). In the present thesis, such a phenomenon has been conceptually and empirically analyzed following three perspectives, namely a 'macro', 'meso', and 'micro' perspective, which correspond to the three sections of the research. To this purpose, we chose an emblematic geographical area, the Region of Tuscany, which represents a paradigmatic excellence and national benchmark for the provision of emergency-urgency socio-health services. Actually, the Tuscan Third Sector has a historical and long-lasting tradition that started in the medieval period, precisely 1244 in Florence, and during the Centuries has significantly contributed to the evolution of regional welfare, especially by providing socio-health services to its own local community. What are the essential reasons, peculiar characteristics, and strategic levers that allow such a regional successful philanthropic reality? To answer this question, we firstly analyzed the historical evolution of the institutional interactions between regional GOV and Tuscan NPOs. Drawing on partnership and strategic alliances literature, we focused on the notion of cross-sector social partnership (CSSP), which refers to strategic arrangements between the three societal actors, namely GOV, BUS, and NPOs, aiming at social purposes. CSSP literature conceptualizes such arrangements through a tripartite framework which is composed by three phases, namely formation, implementation, and outcome of the social partnership. Further, each phase is characterized by stages which in turn are composed by micro-processes. However, scarce attention has been given to the analysis of evolving CSSP focusing on dynamic and contingent elements influencing and affecting such arrangements. We attempted to contribute to this stream of literature by choosing the implementation stage of the CSSP between Tuscan GOV and NPOs, and its three stages, namely selection, design, and institutionalization. By using critical event analysis, we examined historical archives, documents, reports, legislative frameworks, interviews with NPOs Presidents and Directors and GOV representatives, in order to assess the evolution of the Tuscan CSSP in the last 35 years, particularly from 1978 (the creation of the Italian NHS) to the present period (years 2013-2015). At this first 'macro' level of analysis, it emerged how the examined Tuscan CSSP has been characterized by an institutional 'coercive isomorphism' which imposed NPOs to adaptively respond to external pressures. These environmental factors resulted in five main CSSP internal outputs, namely legitimacy, power, trust, identity, and absorptive capacity, which dynamically evolve throughout the historical interactions between partners. In the second section of the thesis we used a 'meso' perspective, particularly the analysis of a specific business and governance model which is increasingly characterizing NPOs realities, the hybrid model. Such a model refers to the implementation of both for-profit and non-profit activities within a single organization. Hybridization is actually an important element in modern organizations, mainly because many for-profit enterprises and traditional NPOs are converging toward the so-called 'social enterprise' model, which stresses the socially responsible entrepreneurial mindset of modern management and organizational structures. Such a phenomenon is progressively characterizing Tuscan NPOs, which have to arrange innovative forms of business model in order to be financially autonomous and thus becoming, on the one hand, more independent of regional GOV and, on the other hand, more trustworthy toward its own volunteers and local community. Pertinent literature has individuated two types of hybrid business and governance models, namely the integrated and disintegrated ones, although few attempts have provided managerial implications for such hybrid arrangements. We attempted to contribute to this stream of literature by conducting a multiple case study of three Tuscan 'hybrid' NPOs. Specifically, the coding analysis of semi-structured interviews with NPOs Presidents and Directors resulted in significant managerial implications for these organizations. Firstly, we conceptualized a third hybrid business and governance model, the semi- integrated one; second, we individuated six conceptual categories affecting the hybridization phenomenon – internal legitimacy, external legitimacy, monetary exchange and flows, organizational structure, loss of identity, growth constraints. Interestingly, the integrated model resulted affected by high critical levels of growth constraints; the disintegrated model by risk of loss of identity; and, finally, the semi-integrated model by internal legitimacy and growth constraints. The third and final section of the thesis builds on a 'micro' perspective by firstly analyzing the socio- anthropological concept of the gift and donation in the voluntary context, and secondly investigating volunteers' motivations, attitudes, and behavioral intention to donate in order to deepen how these essential strategic resources of NPOs behave. While the first part of the section is a conceptual analysis of the notion of gift-giving building on anthropological theories (e.g. The Theory of the Gift by Marcel Mauss), the second part presents an empirical analysis using a structural equation model (SEM), which allowed to simultaneously assess the hypothesized relationships between important latent dimensions of volunteers' behavior, intention to donate, and attitude toward the NPO. Particularly, we used validated psychological and managerial scales and collected 379 questionnaires completed by Tuscan volunteers of 20 NPOs. After an exploratory factor analysis of the analyzed latent dimensions – volunteers' motivations (social, career, values, understanding, ego protection, ego enhancement), attitude toward charities, religiosity, positive and negative reciprocity, intention to donate – we implemented SEM procedure and evaluate both the 'measurement' model (fit indices) and the 'structural' model (hypothesized relationships) of the proposed constructs. Main managerial implications refer to the importance for NPO board to assess and understand volunteers' relational signals, in order to appropriately respond to and incentive such crucial strategic resources of the organization. Actually, volunteers represent not only the main 'provider' of time, resources, know- how, and ability for NPOs, but also and at the same time the main 'beneficiary' of gratification and satisfaction derived from being part of a committed philanthropic association. Particularly, the reciprocal dimension of volunteers' behavior, along with their intention to donate, stress how the relational element is important in the management of such realities, which presupposes a deep understanding of individual psychological traits, attitudes, and behavioral intention. Such elements make NPOs the effective and successful societal vehicles able to respond to community needs and to cope with government and market 'failures', thanks to their most precious resources, the volunteers.
The network contract, introduced into the Italian judicial system with the legislative decree February 10, 2009, n. 5 is a contract by which «more entrepreneurs pursue the aim of increasing, individually and collectively, their capacity for innovation and their competitiveness on the market and to this end they commit themselves, on the basis of a joint program of network, to collaborate in predetermined shapes and fields related to the exercise of their business, or to exchange information or services of an industrial, commercial, technical or technological nature or to exercise together one or more activities which belong to the scope of their business». It is a new legal judicial instrument designed by the legislature to renew the national economy and, in particular, the growth and the competitiveness of small and medium enterprises. The institute was founded as a response to the recent international crisis which has forced the companies to react and give a new impulse to the production system. To adapt themselves to this new requirement and operate in the national and international market, Italian companies have found in the contract a new form of aggregation through which they can achieve an entrepreneurial growth in terms of innovation and competitiveness, without having to resort to the establishment of a new legal entity. The first form of collaboration between companies was, in fact, that of the "industrial district" as socio-economic entity made up of a set of companies generally belonging to the same productive sector and located in determined and circumscribed area. Subsequently, the internationalization of companies and the globalization of markets has led to the failure of industrial districts and, at the same time, the emergence of business networks as a economic and legal phenomenon more complex. Business networks are characterized, in fact, by forms of association between two or more companies, independent from each other, which act in a coordinated way to make the small and medium enterprises more competitive in foreign markets. This form of aggregation, even promoted at European level with the "Small Business Act" of the European Commission, found a legal recognition in the new figure of the network contract, whose legal nature is still at the centre of a debate in doctrine.
This research aims to examine the prevention measures set against criminal and Mafia organizations and their economic expressions in the Italian system. When Mafia acts like an economic operator or business it is necessary to neutralize its power and the consequent negative effects on the legal society and market. In recent years, the Legislator is realizing that the best way to reach prevention is to attack the illegal properties of Mafia and remove the basis for their development. It is possible to use the same negative prevention measures (preventive seizure, confiscation and legal administration – articles 20, 24 and 34 D.lgs. nr. 159/2011) like instruments to reach positive prevention through a rehabilitation procedure for criminal companies and their re-integration to the legal marketplace. That action could create huge benefits for the people in terms of legality perception, welfare, employment, legal and free competition, etc. and promote an economic upturn of the legal business system. Despite this, our positive prevention model does not currently work whenever prevention measures are directed to the assets of companies. Confiscated companies very often collapse and default. Therefore our research investigates about the causes of this failure and, at the same time, looks for the factors that led to success in rare cases of restored companies. The job also analyses the latest works and studies on reform carried out by specialized commissions (led by Garofoli, Fiandaca, Bindi and Gratteri) and under ongoing discussion in Parliament with bills nr. 2134/2015, 1687/2014 and 1138/2013: they all seem to dedicate greater importance to the positive prevention policies. At the end, the results of the research allow the Author to propose some considerations in a future perspective about the renovation of the system of prevention against Mafia companies. The real goal of any effective prevention should be to develop the clout of recovered companies to improve the welfare of society and market. In order to do that, State should attack Mafia companies as dynamic and dangerous subject and not consider them as a collection of goods: the danger is connected to how they are managed by criminal people. Further to that, we might also conceive the prevention system to directly attack the companies as autonomous from their Mafia-connected owners.
In uno scenario caratterizzato da globalizzazione e forti scompensi nei sistemi dei mercato del lavoro, a svantaggio soprattutto dei giovani, la ricerca ha inteso approfondire il tema delle relazioni che intercorrono tra la condizione giovanile e le politiche del lavoro, tematizzando la questione dell'imprenditorialità giovanile. Questo fenomeno è stato osservato lungo alcuni vettori specifici relativi all'attitudine imprenditoriale, espressa in termini di opportunità percepite, capacità imprenditoriali, paura di fallire e intenzionalità a intraprendere, e della valenza dei legami sociali nelle dinamiche di avvio di lavoro autonomo. Al fine di sondare le opinioni di giovani imprenditori potenziali in merito al tema dell'imprenditorialità la survey è stata rivolta a un campione di giovani aspiranti imprenditori europei, coinvolti in percorsi di politica attiva del lavoro, ovvero iniziative educative, di orientamento e di sostegno all'imprenditorialità. Considerando le variabili del capitale umano, del capitale sociale e dello status famigliare e la loro influenza nei diversi percorsi di imprenditorialità giovanile, la ricerca ha voluto verificare alcuni possibili orientamenti sociali. La ricerca ha messo in evidenza che i giovani provenienti da contesti familiari con alti livelli di capitale umano e sociale tendono a esprimere un approccio imprenditoriale caratterizzato da fiducia in se stessi, apertura in termini di innovazione, utilizzando quindi il pieno potenziale dei legami deboli. Al contrario un basso status di famiglia appare come correlato ad una bassa autostima, mancanza di innovazione, limitate reti sociali, e meno prospettive in termini di successo imprenditoriale. ; Strong inequalities in the labour market characterize the current European scenario. In particular, many scholars maintain that young people are the losers of the globalization process. In this context, the research aims at deepening the relationship between young people and labour market policies addressed to youth entrepreneurship. This phenomenon has been observed along some specific vectors related to the entrepreneurial attitude expressed in terms of perceived opportunities, business skills, fear of failure and intent to undertake, and the relevance of social ties in the dynamics of self-employment and business creation. In order to collect the relevant information the research has addressed a survey to a sample of young aspiring European entrepreneurs, involved in active labour policies, i.e. education and training courses, vocational guidance, coaching measures and services supporting entrepreneurship. Considering variables regarding human capital, social capital and family status, and their influence in the different entrepreneurial paths of youth entrepreneurship, the research tried to design some possible social trends. The research has highlighted that young people coming from family contexts with high levels of human and social capital, tend to express an entrepreneurial approach characterized by self-confidence, openness in terms of innovation, thus using the full potential of weak ties. By contrast a low family status appears as correlated to a low self-confidence, lack of innovation, limited social networks, and less prospects in terms of entrepreneurial success.
Long-term trends suggest that Italy's current economic crisis is not the result of an unfavourable business cycle or of the global economic and financial crisis. Instead, Italy's crisis accompanied by persistent slow economic growth is above all the result of decade-long structural shortcomings and impediments. Many factors explain why and how Italy experienced sluggish economic growth and increasingly uncompetitive productivity over decades. The causes of Italy's economic crisis are deeply rooted in the past and strictly interconnected. These causes will be discussed and analysed in a historical perspective. While embracing free economic market principles firmly integrated Italy in an international setting leading to fast export-led economic growth in the 1950s and 1960s, the focus on export-led economic growth became a problem and impediment in the decades after that. Export-led growth favoured the consolidation of a productive system centred around small and medium-sized manufacturing firms, many of which are concentrated in Italy's north. Such firms needed low labour costs, cheap natural resources and energy to survive in an increasingly competitive international setting. Social cohesion and strong domestic consumption, in a setting of relatively low wages, was supported and indeed guaranteed by generous public expenditures. After the oil crisis of the 1970s up until the beginning of the 1990s, Italy was able to remain internationally competitive through the regular devaluation of the Italian lira. Today, due to Italy's Euro membership, this kind of adjustment is no longer possible. At the end of the 1980s, the converging path towards other European countries stopped. The burden of a rising public debt, the distorted composition of public expenditure, the decline of the country's manufacturing sector and insufficient investments into research and development had a negative and lasting impact on the country's competitiveness. But also failures coming from the institutional and political setting, the lack of a good ruling class, the inefficiency of the public administration and family ties, added to what is referred to as Italy "lost opportunities". A ruling class above all oriented at short-term profits instead of a long-term commitments and gains, was unable and unwilling to adopt the needed structural reforms. In order to restore Italian economic growth not only new and effective monetary and fiscal policies, but also and above all changes to Italy's administrative and industrial policies in order to reduce the various kinds of dualism are needed: dualism between the country's north and south, between industries using and not using advanced technology, between regular and temporary workers, between big and medium-small firms, between relatively protected old and not protected young workers. Reducing the above-mentioned dualism is imperative to promote investments in research, infrastructure and human capital and to reduce the dependence on energy imports, the youth unemployment rate and the increasingly growing inner-Italian inequalities and poverty. Adapted from the source document.
Le analisi per la selezione degli investimenti aziendali segnano uno dei momenti più critici per la vita di ogni azienda in quanto si è in procinto di scelte di impiego durevole del capitale disponibile in progetti rilevanti per l'impresa e che, solitamente, la condizioneranno per periodi non brevi. Nella prospettiva finanziaria, gli investimenti sono ricondotti ai fabbisogni finanziari che generano, ai flussi di cassa attesi e alle possibili variazioni dei livelli di rischiosità aziendale: in definitiva, ogni investimento interessa per l'apporto positivo al valore aziendale. Eventuali errori valutativi in fase di analisi dei progetti di investimento possono essere addirittura fatali per l'impresa: in caso di fallimento di un progetto, le risorse impiegate non sono facilmente recuperabili. La selezione degli investimenti aziendali, riguardino il rinnovo o l'acquisizione di nuovi cespiti industriali, commerciali o amministrativi, deve sempre avvenire secondo criteri e modelli di valutazione finanziari. I piani finanziari dell'impresa comunicati al mercato hanno già fissato le coordinate finanziarie nell'ambito delle quali il management deve muoversi (rendimento atteso proporzionale ai rischi quotati dai mercati; orizzonte di pianificazione e di impiego del capitale; struttura dell'attivo e struttura finanziaria; equilibri patrimoniali e finanziari di massima). In questo quadro, il capital budgeting conduce a decisioni operative (non più strategiche) e mira ad un uso razionale del capitale che è o sarà disponibile, nell'ambito di risultati attesi già ponderati e premi di rischio coerenti. Malgrado i vincoli sembrino stringenti, l'attività contribuisce alla creazione di valore aziendale quando, a parità di altre condizioni, si riesce ad individuare una specifica soluzione di investimento: particolarmente conveniente per il risparmio di risorse economiche che può generare rispetto altre combinazioni produttive; che richiede minori impieghi di capitale; che consente di generare più pingui flussi di cassa in ragione della maggiore qualità o produttività; in grado di contenere i rischi connessi all'uso più di altre soluzioni; dotata di tempi di obsolescenza prolungati rispetto alternative tecnologiche. Su tali specifici aspetti fanno luce corrispondenti famiglie di indicatori: indicatori di efficienza; indicatori di redditività economica; indicatori di durata di recupero degli esborsi; indicatori di rischiosità. Seguendo ciascun tipo di vantaggio, e rispettivo indicatore, la graduatoria degli investimenti preferibili – tra quelli comparabili e perciò alternativi – sembra essere molto chiara; talvolta però le indicazioni sono discordanti e ogni investimento ha diversi motivi di preferibilità. Così procedendo, la prassi operativa annovera, di fatto, l'uso di tecniche alternative di valutazione degli investimenti: occorre rendersi conto della valenza di ciascun suggerimento. Solo il valore attuale netto (VAN) è coerente con l'obiettivo fondamentale delle politiche di investimento: la massimizzazione del valore dell'impresa. Pur essendo il criterio elettivo per la selezione dei progetti di investimento nell'ambito del capital budgeting, in taluni casi specifici, il valore attuale netto risulta inapplicabile per la stima del valore delle opportunità di investimento. Si pensi agli investimenti richiesti dalla ricerca di nuovi prodotti. In molti casi non è possibile stimare la probabilità di successo della ricerca, e si può solo ragionare per estremi: la ricerca andrà a buon fine e l'impiego del capitale frutterà; conseguentemente l'investimento deve avere un valore finanziario. O non andrà a buon fine: quindi il capitate non frutterà, e l'investimento non ha alcun valore. Si tratta, quindi, di casi che richiedono investimenti connotati da totale incertezza rispetto all'esito; per questo motivo, si considerano solo i casi limite ammissibili razionalmente. Negli investimenti rischiosi si discute sul grado di successo e gli investimenti hanno un valore anche in relazione a situazioni di successo parziale. Nelle circostanze caratterizzate da una valorizzazione del capitale investito dipendenti dalla eventuale manifestazione di specifici eventi (contingency claims), la logica delle opzioni reali sembra poter essere utile: per tali ragioni rientra nei tools della capital budgeting analysis. ; he analysis for the selection of corporate investment mark one of the most critical moments in the life of every business as it is about choices of durable use of available capital in projects relevant to the company and that, usually, will condition for the periods not short. In the financial perspective, the investments are written down to the financial needs they generate, the expected cash flows and the possible changes in the levels of risk business: ultimately, every investment interests for the positive contribution to the business value. Valuation errors in the analysis of investment projects can even be fatal for the company: in case of failure of a project, the resources used are not easily recoverable. The selection of corporate investment, concern the renewal or acquisition of new assets, industrial, commercial or administrative, must always be in accordance with criteria and models of financial evaluation. The financial plans of the company disclosed to the market have already established the coordinates within which the financial management must move (expected return proportional to the risks listed by the markets, planning horizon and capital deployment, asset structure and financial structure equilibria and financial maximum). In this framework, the capital budgeting leads to operational decisions (non-strategic) and aims for a rational use of capital that is or will be available as part of the expected results already weighted and risk premiums consistent. Despite the constraints seem stringent, the activity contributes to the creation of business value when, in the same conditions, you can not find a specific investment solution: particularly convenient for saving resources that can generate than other productive combinations; requiring minor uses of capital; allowing you to generate more fertile cash flows due to the higher quality or productivity; able to contain the risks of using more than other solutions; with times of obsolescence prolonged than alternative technologies. Shed light on those specific aspects relevant families of indicators: indicators of efficiency; indicators of economic viability; life indicators recovery of disbursements; risk indicators. Following each type of benefit, and the respective indicator, the list of preferred investments - those between comparable and therefore alternative - seems to be very clear; But sometimes the signs are conflicting and every investment has several reasons preferable. Thus proceeding, the operational practice includes, in fact, the use of alternative valuation techniques of investment: we need to realize the importance of each suggestion. Only the net present value (NPV) is consistent with the fundamental objective of the investment policies: the maximization of the value of the firm. Although the election rules for the selection of investment projects within the capital budgeting, in certain specific cases, the net present value is inapplicable to estimate the value of the investment opportunity. Think of the investment required by the search for new products. In many cases it is not possible to estimate the probability of success of the research, and you can only think in extremes: the search will fail, and the use of capital will yield; consequently, the investment must have a financial value. Or will fail: thus will yield not happened, and the investment has no value. It is, therefore, of cases that require investments characterized by total uncertainty in the outcome; For this reason, they consider only the extreme cases eligible rationally. In risky investments discussed on the degree of success and investments have a value in relation to situations of partial success. In circumstances characterized by enhancement of capital invested by the employees any manifestation of specific events (contingency claims), the logic of real options seem to be useful for such situations is within the tools of capital budgeting analysis.
Trilateral regulation, based on relations among trade unions, employers (or their associations) and governments, is one of the main mechanisms of socio-economic regulation in Western countries since decades, as well as a cornerstone of the so-called European social model. Notwithstanding, work regulation without trade unions' involvement is an increasingly widespread reality, especially within innovative workplaces. This outcome gives credit to the "race to the bottom" and "globalization theories", which predict a general convergence towards a neo-liberal institutional setting, where there is no space for labour and work regulation is unilaterally set by firms. To examine what underlies trade unions' inclusion or exclusion from regulatory processes, this research focuses on an innovative business like the Factory Outlet Centre, a huge retailing complex with almost one thousand workers, mostly shop assistants. Actually, from an Industrial Relations perspective, it might not be the appropriate unit of analysis to test trilateral regulation's survival, given that its features, like being a greenfield and a multi-employers workplace full of several micro-firms, are usually associated to labour's under-representation. But the context matters too, and here Italy is the setting of analysis, which is a particularly fitted context, because it shows an "organized" system of industrial relations, where labour representation is traditionally rooted. Moreover, Italian legal framework on commerce has been recently reformed, moving several competencies to regional and local administrations. Within this frame, field work deepens eight Factory Outlet Centres evenly spread in four regions (Toscana, Emilia Romagna, Lombardia and Veneto), allowing the emergence of regional varieties, as the ones related to political sub-cultures. The working hypothesis is that innovative businesses rely on new ways to coordinate socio-economic activities that, challenging the old features of regulation, allow the first-mover to act as a rent-seeker, unless involved entrepreneurs, politicians and trade unionists reach a new compromise. So there are only two kinds of actors, "first-movers" and "subordinates", and three kinds of actions, unilateral, negotiated and cooperative. As far as our case-studies are concerned, first-movers are entrepreneurs who promote and develop retailing complexes such as Factory Outlet Centres; as well as local governments, which hold the legal authority to give planning permissions and retailing licenses to make them operate. Instead, subordinate actors are trade unions, firstly worried about the way to reply to others' strategies. As far as cooperation and opportunism are concerned, the former targets to positive-sum games, while the latter always conceives at least a loser. Thanks to an extended review of policy documents, sentences, local newspapers and twenty-two interviews, this research explains precisely why in few cases trade unions have been involved in the work regulation, while in the others such a triangulation has not been feasible, letting employers and local politicians set the rules. Indeed, a clear finding emerges from the empirical analysis. Whenever work regulation is decentralized at local level, employers and local administrators join together to exclude, unilaterally, trade unions from the deal, exchanging mutual favours and acting as perfect rent-seekers. On the contrary, insofar as a more centralized public actor actively intervenes, such as regional policy-makers or judges, cooperation permeates work regulation, including trade unions along with employers and local administrators, as also leading to positive repercussions on workers' well-being without undermining company's profitability. A straightforward demonstration of this dark side of decentralization comes from the Sunday openings issue. On one hand, Sunday openings and the related extension of working time have been allowed by local government and then imposed to workforce by management. On the other, whenever a regional control is still effective, the issue has been solved through an innovative form of industrial relations: collective bargaining at the "site" level, where the workers' counterpart is not their employer, usually a shop-keeper, but it is their workplace's manager, that is the Factory Outlet Centre's director. Here the deal is stroke because trade unions accept a flexible working time arrangement in return for compensations like wage increases and a space for unions' local section. Besides, the ways unions approached these innovative workplaces shed light on the Italian version of "trade unions' revitalization", which encompasses a mix of both organizing and servicing strategies. Basically, despite site-bargaining renovates unions' actions preserving their ability to mobilize workers, its fragility clearly stands out, due to the need of an increasingly rare supportive state. Once said so, the spread of bilateral agencies, despite often judged as a unions' failure and a betrayal to their collective mission, might be the best results currently achievable, at least to keep some power to influence counterparts and institutions. It goes without saying that such a line of reasoning assumes that these two efforts are not seen as mutual exclusive but, adequately set, self-reinforcing. Despite this research zooms a narrow phenomena like Factory Outlet Centres, it aims at contributing to the huge academic debate regarding institutional change, here interpreted in relation to regional models of industrial relations. Among the four regions observed, Toscana and Veneto are in line with their institutional paths, respectively, a neo-corporatist and a neo-conservative one. Vice versa, Lombardia and Emilia Romagna are getting ahead of an institutional change: a bit more labour-friendly the former, in respect to its pluralist point of departure, and a much less labour-friendly the latter, a counter-intuitive outcome considering its progressive tradition and its actual approach inspired to social dialogue. The results open to further researches, specially on different workplaces within the context already considered, Italy, in order to confirm or to controvert such trends; as well as on different contexts but within the same workplace, Factory Outlet Centre, in order to find out similar or different outcomes. As demonstrated in this work, business innovation has strong implications for the future of trilateral work regulation, whose directions are not predictable, depending both on actors' strategies and institutional settings. Obviously, any further deepening of such mechanisms is welcomed.
The increasing scarcity of public funds, as well as the continued efforts in improving the quality and efficiency of public services, have made the public-private partnership a legal-economic scheme more attractive both for States and for industry stakeholders. Indeed, PPPs, which were developed initially because of the public budgetary constraints, have subsequently proved its suitability in allowing the retrieval of additional resources to those strictly necessary for the basic realization of projects of general interest and to operate efficiencies of the system. From this point of view they can be considered an effect of economic globalization which identifies the increasing costs that systems must support to compete into a competitive economic arena. EU Member State Governments do not seem to longer regard themselves as having a purely national dimension in an internationalized context where every entity is more inclined to act like a market player (1) (Osborne S. P., Public–private partnerships: theory and practice in international perspective, Routledge, London, 2003), nevertheless citizens demand public services with higher quantity and quality despite being willing to pay for them a consistently lower price. As detailed in this work, the European Union does not expressly provides a definition of public-private partnership, indeed all forms relate to the works, services, supplies, shall be "positively" included in the public procurement legislation. In particular, the trend towards establishing PPPs in research & development occurred and increased in various contexts to address market failures and to benefit of different spillover effects. In comparison with other policy instruments pursuing similar goals, this one respond better to the latest trends in research and innovation processes, i.e. increased scientific content of technological development, increasing dependency on external knowledge for innovation generation, changing business R&D strategies (e.g. open innovation) and rapidly evolving social needs (2) (Guinet, J., (2005), 'Public-Private Partnerships for Research and Innovation. The experience of OECD countries', Science and Technology Policy Division, OECD, Paris (unpublished paper)). The cases analyzed, both the "JTIs" (Joint Technology Initiatives) and the "cPPPs" (Contractual Public Private Partnerships) constitute absolute specificities in the PPP general domain, first for the intrinsic characteristics of the scientific & technological research (long-term nature of returns and uncertainty of outcomes), secondly because the public operator does not act in order to obtain or provide public goods but for the pursuit of its institutional goals, such as public scientific research. They cannot be considered totally as public-private partnerships at least in terms of positive law, but our cases fall down in the atypical scheme as referred for the first time by the European Commission guidelines in 2003 when the different major categories were outlined involving more or less private sector involvement (3) (DG Regional Policy: guidelines for successful public-private partnerships, March 2003). Moreover, the private component is identified, as in classic ppp cases, not by means of public evidence but on the basis of a political-strategic selection. Original goals of this work is to make a useful reconstruction of all the European Commission PPPs in research & innovation, focusing on the behavior and performance of three cases of contractual PPPs under the framework program FP7 and Horizon 2020 managed by directorate D (Industrial Technologies) of DG Research & Innovation (RTD) in which I have been professionally involved as civil servant for the years 2014 and 2015. Due to the fact that few of the projects funded have not yet been completed and the research outputs are not yet definitive, the analysis has been carried through a qualitative approach obtaining qualitative indicators extrapolated by the previous assessments done by the Commission, primary internal department sources and successful ended projects with high impact results, unstructured interviews. The research objective is to explain their ability to be attractive for the private sector and to be an effective tool to reach the EU policy targets compared to the "no PPP option", for instance the standard framework programme (FP7 and Horizon 2020). The aspect of the "attractiveness" in particular is missing in the literature of the research PPPs elaborated, therefore this work hopes to give a contribution, even if minimum, to the efforts currently in place in the academic and management community to design and configure and ideal PPP framework for effective interaction between public institutions and market players which shall feed the service of scientific and technological research targets established at European Union policy level.
Il divieto dei patti successori è stato oggetto di forti critiche sia in passato che in tempi più recenti, da ultimo le recenti riforme legislative hanno introdotto il nuovo istituto del Patto di Famiglia ed il trust, che per gli operatori hanno dischiuso nuove ciance di contrattualistica in ambiti c.d. para successori. Il progetto di ricerca prende si le mosse dal divieto dei patti successori, "formalmente" a tutti ben noto ma, attraverso le considerazioni svolte dalla dottrina più risalente, muove verso la disamina tra tutti gli altri istituti che si trovano in quella c.d."zona grigia", di confine, tra la nullità e la liceità del contratto avente ad oggetto disposizioni non "mortis causa"vietate, ma "post mortem"e/o "transmorte". Lo studio di istituti quali il contratto di donazione "mortis causa" ed il contratto di mantenimento saranno affrontati attraverso le più recenti posizioni dottrinali e giurisprudenziali, per vagliare non solo l'attualità o l'anacronisticità del divieto de quo, ma anche per verificare gli strumenti a disposizione del privato in alternativa al testamento, per regolare la propria successione. Fine ultimo del presente lavoro è quello di analizzare il tema del "trapasso generazionale dell'impresa", alla luce della recente riforma del divieto dei patti successori, che ha introdotto il nuovo istituto del Patto di Famiglia, da molti salutato come l'ennesima occasione mancata del legislatore. A tal fine anche attraverso la riforma del diritto societario che, con i rinnovati sistemi di amministrazione e con l'accrescimento dell'autonomia privata arricchito della possibilità di creare degli statuti sociali ad hoc ( la deroga espressa contenuta nell'art. 2355bis, terzo comma, all'art. 458 del codice civile) offre dei validi strumenti atti a tutelare l'integrità del patrimonio aziendale, preservandolo dal rischio di disgregazione da un lato e, consentendo la continuazione dell'attività imprenditoriale nonché il mantenimento del controllo in capo all'imprenditore, dall'altro. Brevi cenni saranno svolti, infine, alla luce dei nuovi trends contrattuali, ma di recente acquisizione e studio, sui vari tipi di Trusts e su alcune esperienze di diritto comparato, quali il patto di famiglia olandese ed il contratto successorio svizzero. --- The prohibition of mutual wills was the subject of strong criticism in the past and in more recent times, most recently the recent legislative reforms have introduced a new institute of the Family Agreement and the Trust, and the industry have opened up new nonsense of contracts in para successors areas. The research project will take the moves from the prohibition of mutual wills, "formally" well known to all, but through the considerations of the doctrine dates back more, moves the discussion of all other institutions that are in the so-called "gray zone "border between the void and the legality of the contract for the provisions do not" mortis causa "banned, but" post mortem "and / or" "transmorte". The study of institutions such as the contract of donation "upon death" and the maintenance contract will be addressed through the most recent case law and doctrinal positions, to consider not only the timeliness by the ban, but also to check the tools available to the private alternative to a will, to adjust his own succession. The ultimate goal of this study is to analyze the theme of "passing of the generation" in the light of the recent reform of the prohibition of mutual wills, which introduced the new institute of the Family Agreement, hailed by many as yet another opportunity failure of the legislature. To this end, including through the reform of company law, with the renewed management systems and the growth of private enriched the possibility of creating ad hoc statutes (the express derogation contained in Art. 2355bis third paragraph , art. 458 of the Civil Code) offer valid tools to protect the integrity of corporate assets, protecting them from the risk of disruption on the one hand and allowing the continuation of business as well as maintaining control in the hands of all ' entrepreneur on the other. Brief will be carried out, finally, in the light of the new trends of contract, but of recent acquisition and study the various types of trusts and some experience of comparative law, which the family pact Dutch and Swiss contract of inheritance.
This doctoral thesis aims to reconstruct the political, economic and social of the events linked to the Sardinian industrial planning, with specific attention to the mining sector, in a period of time that fits the end of World War II until the nineties of the twentieth century. The multiplicity of public and private archival sources and press gave rise to a complex research of different archives and libraries present time on the territory of Sardinia and Rome. In particular, we analyzed the cards of these archives: the Sardinian Regional Council Historic Archive (Cagliari), the Archive of Filcem (Iglesias), Historical Archive Mining Igea Spa (Iglesias), Historical Archive Eni (Rome-Pomezia ), Central State Archive (Rome), Historical Archive of the CISL Sarda (Cagliari), on the basis of the parliamentary records produced by the Chamber of Deputies and the Senate. The method of comparison among political extracting documents, economic and trade union allowed to have a bigger picture and capable of restoring the complex historical issues that have given rise to the story of mining in Sardinia in the late twentieth century. My research, through an analysis of the bibliographic and archival materials, has focused on industrial policy, due to the experience of the "Revival Plan" and the subsequent intervention of the national and regional level public sector in favor of the Sardinian mining. The first chapter of the thesis provides an overview of the role played by the mining policies provided by Revival Plan in the processes of development after World War II up to the dynamic processes that led to the advent of the initiative public during the period between the late sixties and early seventies. The history of the Sardinian economic development and policies aimed at relaunching the mining sector, as is clear from the analysis of archival documents and works of contemporary historiography, is fully part of economic planning in the actions taken by the central and regional institutions to allow the re-launch economically depressed structures in the South. The issues socio-economic backwardness of the island and the stagnation of regional industrial structures, as in the case of the mining sector, had raised public awareness on the problems of the island's economic structure, highlighting the need for economic planning that basasse on the industrial development of the territory. Faced with this scenario, the political and trade union circles islanders after World War II supported a platform of demands for "economic and social revival of Sardinia" that, based on the treatises of Article 13 of the special statute of Sardinia (26 February 1948), It was to contribute to the development of economic structures of Sardinia across the planner action of central and regional institutions. The reports provided by the trade unions and the documentation kept at the Historical Archives of the Regional Council of the rest to highlight ways in the mining sector vigesse a very precarious socio-economic situation, which could conflict with the preparation of a program of development based on the intervention of the initiative public. Within this scenario, the action of the Sardinian politicians and trade unions, in the second half of the forties and until the approval of Law No. 588, contributed to the involvement of mining activities in the area planning phases of the Plan rebirth, since in their view represented the premise for achieving socio-economic development under Article 13, and the subsequent Sardinian mining industry growth in the economic scenario of the national / local level. The timing and modalities of implementation of the Revival Plan, nevertheless, negatively engraved on expectations of mining areas fulfilling commitments under Article 13 of the Special Statute. An analysis of labor relations and in the acts of the Regional Council of Sardinia emerges as trade unions and political leaders of the opposition parties stigmatizzassero delays of regional and national institutions, which in their judgment penalizing the industrial policies designed to raise industry regional mining. The sixties, though they were marked by the approval of Law No. 588 and the preparation of a series of measures for the expansion and the consequent restructuring of the sector Metal (as in the case of the regional decision of March 1968 which established the Ente mining Sardo), were instead characterized by a deepening crisis of the mining areas and the failure of the objectives of the "Revival Plan" ,. Despite the establishment of development programs for metallic mineral products, the analysis of the bibliographic and archival complex revealed that the absence of an adequate industrial policy by national Governments and Regional had penalized the nature objectives socio- provided for by the economic Revival Plan and aggravated the precarious conditions of the mining sector, which at the end of the sixties will be marked by a progressive advertising. In this regard, the contributions produced by contemporary historiography and archival sources made it possible to provide an overview on the guidelines of mining policies in the season of the "Revival Plan" and placed in evidence the limits of economic planning pursued in the course of the sixties and the criticality of the relationship between national and regional bodies. The system of relations between the State and the Region, in this scenario, will be a key element in the interventions in support of the mining industry, whose consequences (political, economic and social) they recorded substantially in the economic dynamics of the seventies.In the second chapter, after providing an in-depth analysis on the mining policies of the local area / national aftermath of the publicity of the mining sector, I tried to reconstruct the process that would have marked the phases of the public initiative, pausing on policies industrial assumed by national and regional institutions during the seventies. During the conference of Grosseto (1970), Florence (1972) and Cagliari, political and trade union circles of national and regional level had argued that the public sector action could represent a growth factor for the development of the mining sector of the island. Industrial processes put in place by EMSA dall'Egam and constituted in this regard an important milestone for the relaunch of the mining industry and occupational island, even though the policy measures of the national / regional level could not provide solutions to the crisis mining industry. Regional and state authorities, as the analysis of archival documents and literature produced during the decade between the end of the seventies and the eighties, did not intervene in a unified manner, a circumstance that caused numerous conflicts of competence which caused a expenditure of financial resources and that there was a reorganization of the productive activity and a resolution of social and business problems. The industrial policy decisions taken at the end of the seventies, in relation to the acts produced by the Regional Council and the trade unions belonging to the CGIL and CISL, were marked by the rescue and by the advance of the mining activities of the Eni group, which in fact accentuated the dependence of the regional industrial system from the system of State holdings, Following the approval of Law 279/1978, Eni took over the liquidator Committee of Ex Egam society and strove to the restructuring of the mining sector, with the establishment of the Equity Mining and Metallurgical Company (Samim), where the confluence of part of Mining companies belonging to the Ente Sardo (PiomboZincifera Sarda) and all'Egam (Ammi Sarda and Sogersa). The late seventies and early Eighties marked a stage where the doubts and uncertainties continued to demand payment in the sector Metal Sulcis-Iglesias and the consequent challenge to the system of companies with public participation, taking a function of rescue of marginal businesses and financially distressed. In the third and final chapter I finally analyzed the public final stages of the intervention of State Holdings through the Eni group initiative until disposal of the mining sector and the consequent industrial conversion of mining areas. Through the study of the testimonies contained in the local newspapers and the memories of the major trade union leaders of the period, I was able to rebuild the profile of the mining disputes within the mining companies and Samim and Sim up to the progressive abandonment of the metalliferous resources from public groups they had to provide for the restructuring of the metal mines of Sulcis- Iglesiente and Guspini. Examination of Historical Archive documentation of the CISL Sarda and Central State Archives and newspaper it was possible to detect a new heightened interest of national, regional and trade unions on the problems of the mining area, aimed at a revival of the mining sector local through the allocation of substantial funding and the provision of a series of legislative measures, such as the national mining law 752/1982, aimed at the exploitation of mineral resources in respect of the supply of domestic raw materials. Within this context, the restructuring of the mining sector and the consequent downsizing of the workforce employed in the Sulcis, following the industrial policies adopted by Eni, caused the resumption of the platform of demands on the political and regional trade union front, with the aim of respond to the dismantling of the mining and non-compliance of the national government and the State holdings. Within this dramatic scenario, the financial situation of the Samim brought to light the public failure of the initiative in the development policies of the Metal area of Sulcis-Iglesiente. Facing the collapse of the mining sector they isolate the provident Eni Group demerged Samim in 1986, dividing it into two parts and forming the Italian Mines Company (Sim) for the mining sector and New Samim for the metallurgical industry, with the aim to separate the "losing" sectors from the sectors in which Eni active prospects could return from an industrial point of view. Despite measures taken by Eni, the state and regional intervention experience in the mining sector had its epilogue in the nineties, when it began the gradual disposal of mining and started the process of environmental rehabilitation of mining areas characterized from disused mining activities or undergoing decommissioning. In the second half of the nineties ended the programmatic experience Mining Ente Sardo, a factor that gave way to the launching of regional and national legislative measures aimed at revitalizing, remediation, and historical and cultural development of the regional mining heritage by Igea Company SpA and of the Geo-mining Park.
2008/2009 ; 1. Il mercato finanziario ed il risparmio costituiscono valori costituzionalmente significativi, data l'importanza che rivestono per il tessuto economico e finanziario di un Paese, tanto più in un'economia globalizzata, come quella contemporanea, sempre più caratterizzata da un processo di finanziarizzazione della ricchezza. L'assetto normativo e regolamentare, che deve presiedere al funzionamento del mercato ed alla gestione del risparmio, è storicamente caratterizzato dal tentativo di ricercare un equilibrio tra due opposte esigenze: da una parte, quella di evitare il rischio di un'ipertrofia normativa e di un conseguente eccessivo soffocamento del mercato; dall'altra, quella di offrire ai risparmiatori un livello di protezione qualitativamente sufficiente per preservare la fiducia che gli stessi ripongono nell'integrità e nel corretto funzionamento del mercato stesso. Muovendo dalla consapevolezza che l'attività di intermediazione finanziaria deve essere promossa e valorizzata perché essenziale allo sviluppo di una moderna economia di mercato ma che, per la sua intrinseca fragilità e connaturata rischiosità, non può essere integralmente lasciata alla mercé delle dinamiche di quest'ultimo, necessitando invece di un intervento di eteroregolamentazione finalizzato alla protezione di interessi individuali e collettivi previamente selezionati. 2. A partire dagli anni novanta l'ordinamento dei mercati finanziari è stato interessato dal succedersi di vari interventi normativi, da ultimo quelli operati con le leggi n. 62 e n. 262 del 2005. Nel complesso, si è trattato di una produzione normativa tumultuosa e disorganica, sovente emanata sull'onda dell'emergenza per reagire ai ripetuti fenomeni di "abuso del risparmio e dei risparmiatori" che hanno duramente colpito la finanza italiana ed internazionale nell'ultimo decennio (si pensi, solo per citarne alcune, alle vicende Enron, Cirio, Parmalat, Giacomelli, Lehman Brothers ecc.). In questo frenetico ed estemporaneo procedere normativo, un ruolo di primo piano è stato svolto dal diritto penale, per la tendenza, ormai radicata, del legislatore nazionale di affidare la tutela del risparmio alla presunta forza deterrente della sanzione penale, spesso usata in chiave espressiva o simbolica, in una sorta di delega permanente conferita allo strumento penalistico a fungere da principale, se non spesso esclusivo, rimedio alla crisi del sistema finanziario ed ai fenomeni di dispersione della ricchezza. Si tratta, all'evidenza, di una visione miope e destinata all'insuccesso, prova ne siano i ripetuti tentativi di riforma occorsi nell'ultimo ventennio, dettati più dall'improvvisazione che da una logica di razionalità sistematica, tutti nel segno di un infittimento del corpo normativo e di una revisione al rialzo dei limiti edittali e tutti clamorosamente e prevedibilmente incapaci di impedire il verificarsi di casi di vero e proprio saccheggio e distruzione del risparmio gestito. La situazione è resa ancor più grave dal fatto che i tanti - troppi - fatti di dispersione della ricchezza dei risparmiatori non possono più essere considerati come scandali finanziari isolati, come semplici big apples, rappresentando, invece, l'espressione ed il risultato di una crisi di sistema che colpisce le fondamenta dell'ordinamento e della struttura finanziaria internazionale. Facendo apparire quanto mai illusoria l'idea di reagire affidandosi alle virtù salvifiche del mercato terapeuta di se stesso ed erronea la soluzione di continuare nel solco di un irrigidimento estemporaneo della normativa penalistica e della relativa cornice sanzionatoria, senza che ciò venga accompagnato da una diagnosi attenta ed analitica dei mali del sistema e da una ricognizione altrettanto puntuale dei rimedi da adottare. Quale, allora, la via d'uscita? 3. Quella di avviare, nell'immediato, un importante processo di riforma dell'ordinamento finanziario, facendolo precedere da una riflessione di fondo sul tipo di mercato finanziario che si intende prediligere: un mercato dove prevale, in termini assoluti e senza mediazioni, la necessità di una difesa del singolo risparmiatore, che si realizza garantendo un mercato contraddistinto da una tendenziale parità di condizioni tra gli investitori e da una tutela indistinta e piena delle funzioni di vigilanza, la quale verrebbe assicurata sanzionando le violazioni e le inosservanze a canoni positivi spesso solo formali od organizzatori? Oppure, un mercato inteso prioritariamente come luogo di libero scambio di informazioni e di capitali, che ha in sé e che vive e si nutre della speculazione, salvaguardandone nel contempo la fiducia, la trasparenza e l'integrità mediante la repressione di (e solo di) quei comportamenti di abuso che esauriscono il loro contenuto in una dimensione esclusivamente speculativa? L'attuale diritto del mercato finanziario risulta sostanzialmente conformato al primo dei due modelli sopra indicati: le regole sono spesso il frutto di interventi estemporanei e disorganici, dettate più dall'improvvisazione che da una logica di sistema, in ogni caso formalmente (ma con scarsa effettività pratica) finalizzate a reprimere - spesso stabilendo pene severe e con un uso frequente della strumentazione penalistica - quei comportamenti ritenuti lesivi della parità di condizioni tra gli investitori o di mera trasgressione a prescrizioni di natura prettamente formale ed organizzatoria. La realtà è dunque quella di un corpo normativo che, spesso in nome di un'eguaglianza fra gli investitori o di una simbolica ed eticheggiante difesa del risparmiatore, fa un uso massiccio della sanzione penale per reprimere comportamenti che, il più delle volte, si esauriscono in mere violazioni formali e di canoni organizzativi, esercitando una scarsa efficacia preventiva, com'è dimostrato dalla frequenza con cui si sono verificati, solo a guardare gli ultimi anni, scandali finanziari con gravi danni per i risparmiatori. E tutto questo viene realizzato avvalendosi (e piegando) il diritto penale ad un uso spesso simbolico, eticheggiante, puramente organizzatorio. 4. Si ritiene, invece, quanto mai necessario procedere verso un sistema normativo idoneo a perseguire il fine ultimo di ogni realtà giuridica posta a protezione del mercato finanziario: coniugare efficacemente l'esigenza che il Paese benefici di un mercato libero, non ingessato, capace di attrarre i capitali e gli investimenti a sostegno del circuito produttivo, con la necessità, altrettanto fondamentale, che di quel mercato venga garantito il buon funzionamento, la trasparenza dell'informazione che in esso circola e dunque, in ultima istanza, la fiducia dei risparmiatori. Allontanando ogni istanza egualitaristica ed accettando la speculazione come condizione di esistenza del mercato stesso. Inquadrato l'obiettivo - dovendosi ritenere ormai abbandonata l'idea del mercato quale esclusivo terapeuta di se stesso e presidio migliore della stabilità finanziaria - il suo conseguimento richiede un serio e ponderato processo di ristrutturazione delle regole del gioco poste a presidio del buon funzionamento e dell'integrità del mercato, muovendo lungo alcune direttrici di fondo. 5. Una prima linea guida è nel senso di un definitivo abbandono della strada dell'ipertrofia penalistica, lastricata di norme dalla scarsa effettività pratica e che spesso si esauriscono nel punire mere disfunzionalità organizzative, dando vita ad illeciti di pura disobbedienza in nome di un'idea di funzionalizzazione dell'attività d'impresa. Vi è, dunque, la contingente necessità di porre termine ad una stagione, durata oltre un ventennio, che ha visto la giustizia penale svolgere un ruolo di supplenza rispetto alle lacune dell'ordinamento societario, della giustizia civile, del modello di vigilanza sull'operato degli intermediari, alimentando sovente delle tensioni rispetto ai principi cardine del diritto penale - in primis quelli di frammentarietà, tassatività ed offensività. L'opera di rifacimento delle regole del gioco deve dunque tendere, anzitutto, a restituire al sistema penale degli intermediari finanziari i crismi dell'effettività dei precetti e della coerenza con i principi generali del diritto penale e, da ultimo, la capacità di concorrere efficacemente alla diffusione e al mantenimento di un nucleo condiviso e fondante di valori in materia di gestione del risparmio collettivo. Vanno dunque superati i tradizionali limiti che oggi affliggono il diritto penale del mercato finanziario: l'antisistematicità, vale a dire le disarmonie e le ingiustificate differenze di contenuto e sanzionatorie intercorrenti tra fattispecie relative a settori diversi del mercato finanziario, mediante la creazione di figure di reato omogenee e tendenzialmente comuni ai vari segmenti del risparmio gestito; la tensione con i principi di necessità e sussidiarietà della pena: la sanzione penale dovrebbe essere l'extrema ratio, l'ultima spiaggia cui ricorrere, mentre nel nostro Paese da tempo sembra che sia anche l'unica spiaggia su cui si gioca la difesa del risparmio e degli interessi ad esso strumentali; il basso livello di osservanza dei canoni di tassatività ed offensività, a causa della formulazione spesso vaga ed indefinita delle fattispecie incriminatrici, anche a causa di continui rinvii a qualificazioni extrapenali, e della tendenza ad arretrare la linea di tutela disancorandola da elementi di concreta lesività e costruendola più su finalità di promozione etica che su interessi giuridici aventi i crismi della materialità e dell'afferrabilità, propri dell'oggetto giuridico nella sua c.d. concezione realistica. Ciò che, però, condiziona a monte la riforma del sistema penale finanziario - e con essa la scelta di selezionare i comportamenti da reprimere penalmente – è l'interrogativo su quali siano o, meglio, dovrebbero essere gli interessi giuridici oggetto di tutela nel diritto penale finanziario. 5.1. Analizzando la fattispecie dell'insider trading, erroneamente considerata l'architrave portante del diritto penale degli intermediari finanziari, sono state esaminate le diverse correnti di pensiero che hanno trovato origine attorno al problema dell'individuazione degli interessi giuridici, meritevoli di tutela, nei quali si declina il bene o valore superiore e costituzionalmente rilevante del "risparmio": dall'istanza egualitaristica della parità conoscitiva tra gli investitori al dovere di riservatezza facente capo agli esponenti aziendali delle società emittenti; dalla tutela della trasparenza informativa all'opinione, oggi prevalente, che identifica l'interesse tutelato - forse in parte confondendolo con la ratio puniendi - riassumendolo nella formula nota, ma vaga ed indeterminata, del "buon funzionamento, dell'integrità e dell'efficienza del mercato". E' fuor di dubbio che l'eguaglianza informativa, la trasparenza, la liquidità, la stabilità degli intermediari, l'efficienza ed il buon funzionamento del mercato finanziario rappresentano valori ed ideali da perseguire e difendere, ma essi si sostanziano in obiettivi etico-moralistici ed in valori macroeconomici privi di quei requisiti di materialità, afferrabbilità, consolidamento, tali da poter essere fatti oggetto di un giudizio di meritevolezza e di necessità della pena e quindi assurgere al rango di effettivi beni giuridici di una fattispecie di reato. A patto, dunque, di non voler aderire alla tesi che qualifica la norma penale sull'i.t., al pari anche di altre norme del diritto penale finanziario, come "norme manifesto" - che stabiliscono divieti al solo fine di convincere il risparmiatore del fatto che il mercato è pulito e trasparente, assolvendo dunque ad una funzione di promozione etica del mercato, invero estranea al diritto penale -, non resta che ricercare aliunde il bene protetto da assurgere ad oggettività giuridica del sottosistema del diritto penale degli intermediari finanziari. 5.2. Un primo elemento su cui costruire le fondamenta di un valido percorso argomentativo è l'osservazione secondo cui il mercato finanziario, alla stessa stregua di altri interessi o valori di ampio respiro quali l'economia o il territorio o l'ambiente, non è oggetto di tutela ma oggetto di disciplina. L'affermazione sta a significare che il mercato finanziario è un luogo nel quale convergono interessi di varia natura, individuali e collettivi, tra loro talora convergenti, talaltra contrastanti: gli interessi delle imprese, dei piccoli risparmiatori, degli operatori od investitori professionali, ma anche l'interesse collettivo alla tutela del risparmio che rappresenta una risorsa indispensabile per lo sviluppo del Paese. La struttura funzionale del mercato, per definizione basata sullo scambio ed avente come sua componente ineliminabile il fattore "rischio" e la correlativa dimensione speculativa, non è in grado a priori di regolare la coesistenza, il bilanciamento o la prevalenza dei vari interessi che vi si rappresentano. Di qui, la necessità che il legislatore stabilisca delle regole volte a disciplinare il funzionamento del mercato sotto vari profili: accessibilità degli operatori ed intermediari, negoziabilità dei prodotti, organizzazione delle contrattazioni, circolazione dei flussi informativi ecc… Ecco, allora, che se il mercato è oggetto di una disciplina che ne regolamenta l'uso ed il funzionamento, dettando delle regole del gioco, il diritto penale del mercato finanziario altro non è che la sanzione della violazione delle "regole del gioco". 5.3. Il secondo passaggio del ragionamento, consequenziale al primo, consiste allora nel comprendere quali regole del gioco, tra le tante che compongono la disciplina positiva del mercato finanziario, possano o necessitano di essere presidiate anche da una sanzione penale e quali, invece, possano e debbano beneficiare solo di tutele extrapenali per l'impossibilità di rinvenire delle oggettività giuridiche ad esse sottostanti, meritevoli di ricevere una copertura penalistica. Risulta a questo punto evidente che l'unico criterio capace di fondare validamente una selezione di tal fatta è rappresentato dall'esistenza di un interesse giuridico meritevole di tutela penale, vale a dire di un bene che abbia un contenuto valoristico autonomo e che non si confonda nei valori generali ed etici più volti menzionati, né tanto meno nello scopo della norma, e che presenti quelle caratteristiche di afferrabilità e consolidamento sociale tali da poterne apprezzare la fondazione materiale. 5.4. Ad avviso di alcuni commentatori ed anche di chi scrive, l'interesse giuridico che qualifica (o che dovrebbe qualificare) l'intero settore del diritto penale degli intermediari finanziari, rappresentandone il vero fulcro normativo, è dato dalla relazione tra la tutela dell'interesse ad una corretta allocazione del risparmio e la tutela delle funzioni delle autorità di vigilanza. Più precisamente: la funzione di vigilanza e di controllo del mercato, svolta da varie autorità nei diversi segmenti ma concettualmente riconducibile ad unità, è l'elemento specializzante e coessenziale del diritto penale finanziario. Ciò posto, l'intervento di penalizzazione è legittimo solo laddove la tutela delle funzioni di vigilanza è strumentale all'osservanza di quelle regole del gioco poste a protezione delle esigenze nelle quali si estrinseca la tutela del risparmio e dei valori ad esso connessi e consequenziali: l'interesse privatistico del risparmiatore ad una corretta allocazione del risparmio e l'interesse pubblico alla stabilità e protezione del mercato finanziario da fattori esogeni di disturbo che ne possano compromettere la funzione di insostituibile fattore di produzione e sviluppo quali, ad esempio ed in primis, il riciclaggio di danaro di provenienza illecita. L'epicentro del diritto punitivo degli intermediari finanziari è pertanto rappresentato dalle funzioni di vigilanza e dalla tutela delle stesse. Vi è dunque una relazione strettissima tra le disfunzioni della vigilanza e l'instabilità del mercato, a conferma che la tutela del risparmio filtra e passa attraverso la tutela della vigilanza. Il risparmio, dunque, anche quando non viene direttamente ed immediatamente raggiunto dall'offesa racchiusa nel fatto incriminato, costituisce pur sempre la "fonte di legittimazione sostanziale" dell'avanzamento dell'intervento penale verso le "strutture" e le "funzioni" della vigilanza. La tutela del valore costituzionale del risparmio permette, dunque, al modello di anticipazione della tutela sul piano delle funzioni di vigilanza di superare indenne il giudizio di bilanciamento: posto a confronto con il risparmio, il principio di offensività deve cedere le posizioni necessarie per realizzare una tutela del primo che sia razionale ed efficace. Si ritiene pertanto non azzardato affermare che la tutela delle funzioni di vigilanza rappresenta o, meglio, dovrebbe rappresentare, l'oggetto giuridico dell'intero micro-sistema del diritto penale finanziario. Salvo poi far assumere alla stessa un sostrato materiale più concreto ed una più evidente afferrabilità sociale laddove essa è destinata ad operare, vuoi nella tutela dell'interesse privatistico alla corretta e conforme allocazione del risparmio, vuoi nella tutela dell'interesse pubblicistico alla difesa del mercato da fenomeni di criminalità organizzata o, comunque, da pratiche manipolatorie che ne distorcono i meccanismi di funzionamento. Un'impostazione, quella sopra esposta, estranea agli schemi del diritto penale classico, per cui l'oggetto giuridico è sempre identificato in beni socialmente riconosciuti e coincidenti con interessi individuali della persona. Si tratta, tuttavia, di un'opzione valida sotto il profilo sistematico ed assiologico, atteso che il diritto penale moderno è da tempo attraversato da un processo di smaterializzazione dell'oggetto giuridico e dalla contemporanea utilizzazione della strumentazione penalistica per la tutela della funzionalità dei meccanismi di intervento dello Stato e della pubblica amministrazione in diversi campi, per lo più in quelli condizionati dall'evoluzione tecnologica e degli assetti sociali e caratterizzati dalla presenza di interessi adespoti e collettivi: la salute, l'ambiente, senza dubbio l'economia, la finanza ed il risparmio. E' indubbio, da un lato, che la tutela (anche penale) delle funzioni di vigilanza è condizione indispensabile ed irrinunciabile per assicurare una protezione efficace del mercato finanziario e del risparmio e, dall'altro, che le tradizionali forme di tutela del patrimonio si rivelano, all'evidenza, insufficienti allo scopo. Ma, d'altro canto, è parimenti vero che non è accettabile quella fuga dalla concezione realistica del bene giuridico (e dalla sua insopprimibile funzione di limite al legislatore), che si è ormai sovente verificata ogni qualvolta sono state coniate delle figure di reato nelle quali si punisce la mera inosservanza di norme di organizzazione e non di fatti socialmente dannosi, scambiando gli oggetti di tutela penale con le rationes di tutela, il tutto in nome di esigenze di controllo efficientista del sistema. E' innegabile che il diritto penale svolge un ruolo di coesione e di credibilità dell'ordinamento giuridico nel suo complesso e che di esso si tende spesso a fare un uso c.d. "interventista" e "simbolico", caricandolo di un compito di profilassi della società e di una funzione di rassicurazione sull'efficienza e moralità del sistema normato. Questo è accaduto anche e soprattutto nel campo dei reati economici ed in materia di tutela del risparmio e del mercato. In sé, quella di assumere ad oggetto di tutela penale un'attività o funzione giuridicamente autorizzata - nella fattispecie la funzione di vigilanza - è una scelta necessitata, se si vuole assegnare una protezione efficace a beni di interesse collettivo, ma al tempo stesso compatibile con i canoni del diritto penale, a patto che si tratti di attività giuridicamente regolate dietro la cui lesione o messa in pericolo sia possibile cogliere ed afferrare la dimensione sociale e materiale dell'interesse tutelato e la concretizzazione dell'offesa ad esso arrecata. Declinando l'assunto, in tanto la tutela penale delle funzioni di vigilanza del mercato è compatibile con la concezione realistica del bene giuridico solo in quanto la sfera repressiva riguardi esclusivamente comportamenti che siano materialmente afferrabili e di cui si possa cogliere la dannosità sociale: ciò che, ad avviso di chi scrive, si verifica allorché la violazione delle regole del gioco si traduca in una situazione di danno o di pericolo per l'interesse del risparmiatore alla corretta allocazione del risparmio e per l'interesse pubblico alla protezione del mercato da fattori esterni di pregiudizio. In difetto di queste condizioni, l'intervento penale si espone al rischio di creare illeciti di pura trasgressione, di tutelare non vittime ma meri obiettivi di organizzazione od istanze socio-politiche di eticità ed efficienza del sistema, addivenendo, per questa strada, alla costruzione di un assetto normativo compatibile con una concezione c.d. metodologica del bene giuridico, vanificando così le garanzie formali e sostanziali proprie della concezione realistica ed affidando alla norma penale una funzione meramente sanzionatoria, destinata, non a punire comportamenti di danno o di pericolo, bensì a rafforzare, col deterrente penale, una disciplina preventiva e di organizzazione già strutturata dal diritto privato o dal diritto amministrativo. 5.5. Tanto premesso, occorre ritornare alla questione posta, osisa quella di identificare, alla luce dell'oggettività giuridica sopra configurata, quali "regole del gioco", facenti parte della disciplina del mercato finanziario, debbano essere presidiate da una sanzione penale. In questo senso può aiutare la suddivisione operata dal Padovani tra regole poste a garanzia della neutralità del mercato finanziario e regole poste a tutela della identità del medesimo: il primo gruppo di regole è costituito da presidi organizzativi e da tecniche operative volte a delimitare il perimetro del gioco, affinché il mercato si ponga come strumento neutrale rispetto a tutti gli attori interessati e determini, per questi, pari opportunità e condizione di partenza (si pensi alle regole che disciplinano l'accesso degli intermediari a certi ambiti di operatività, alle autorizzazioni alla prestazione di certi servizi o, ancora, alle norme che prescrivono limiti nella gestione degli investimenti, a quelle che sanzionano il mancato o non corretto invio delle segnalazioni di vigilanza ecc); il secondo gruppo di regole è funzionale ad assicurare l'identità del gioco stesso, ossia a garantire che questo non sia truccato, cioè a dire contaminato da forme e comportamenti di abuso che possono determinare un'indiscriminata ed ingiustificata distribuzione del rischio tra gli operatori (vi rientrano il comportamento penalmente sanzionato di chi manipola il mercato diffondendo notizie false su determinati strumenti finanziari, il fenomeno del riciclaggio nel mercato di danaro di provenienza illecita, per molti Autori anche la condotta di insider trading). L'opinione largamente dominante tra gli studiosi del diritto penale è quella per cui ambedue i gruppi di regole sopra menzionati meritano di essere assistiti da un presidio penale. Ciò, anzitutto, sotto il profilo della proporzione in quanto, se è pur vero che queste regole realizzano, per lo più, una tutela anticipata rispetto alla possibile produzione dell'evento lesivo, è anche vero che esse dispiegano la loro utilità proprio nel pervenire ad una neutralizzazione tempestiva dei possibili effetti dannosi e pregiudizievoli di una determinata condotta. Secondariamente, il giudizio di favor trova poi conferma anche sul fronte della sussidiarietà od extrema ratio, in considerazione della mancanza di valide alternative sanzionatorie, adducendo la necessità di una tutela preventiva e forte a difesa del buon funzionamento, dell'efficienza e dell'integrità del mercato, che solo il deterrente penalistico è in grado di offrire. 5.6. Si ritiene di discostarsi in parte dalla soluzione generalmente condivisa e di proporre una riforma del diritto penale finanziario che, muovendo da una ricostruzione dell'oggettività giuridica e recuperando una dimensione rafforzata dei canoni di proporzione, sussidiarietà e tassatività, pervenga ad un assetto regolamentare ispirato alle seguenti linee guida: - il ricorso alla sanzione penale solo come presidio alla violazione delle regole poste a tutela della c.d. identità del gioco, preferendo mezzi sanzionatori alternativi con riferimento all'inosservanza delle regole poste a tutela della c.d. neutralità del mercato; per queste ultime, infatti, la sanzione penale è sproporzionata e priva di una reale efficacia deterrente, venendo a configurarsi illeciti penali di stampo meramente organizzatorio, che si sostanziano in una tutela eccessivamente anticipata rispetto alla possibile lesione dell'interesse privatistico alla corretta allocazione del risparmio. E' indubbio che l'accertamento della violazione di queste regole dipende dal corretto e tempestivo esercizio dei poteri attribuiti agli organi di controllo e vigilanza, di tal guisa che, con la sanzione criminale, si vuole che anche la possibilità di accertamento risulti anticipata rispetto ad ogni eventuale futuro evento lesivo. Ma, così ragionando, si arriva a piegare lo strumento penale ad una funzione, per così dire, sostitutiva della tempestività dell'esercizio delle funzioni di vigilanza: altrimenti detta, si rafforza la (supposta) funzione specialpreventiva della pena per compensare le lacune ed i ritardi di un sistema di vigilanza sull'operato degli intermediari. Siffatto modus operandi si rivela, prima di tutto, inutile perché non perviene ad alcun risultato sul terreno della prevenzione, che richiede per contro di rivedere il modello di vigilanza prefigurando meccanismi di costante dialogo tra gli organismi di controllo e i soggetti vigilati, così da favorire una sorta di accompagnamento dei secondi ad opera dei primi, condizione indefettibile per garantire la neutralità del mercato finanziario rispetto agli interessi in gioco, Dall'altro, si dimostra in contrasto con i principi di offensività, proporzionalità e sussidiarietà, atteso che si tratta di fattispecie formali od organizzatorie rispetto alle quali non è dato rintracciare un oggetto giuridico consolidato ed afferrabile e che, in più, esprimono un grado di lesività tale da giustificare il ricorso alla meno severa e più duttile sanzione amministrativa. - l'introduzione di una nuova fattispecie di infedeltà patrimoniale, la cui mancanza nel vigente ordinamento è il riflesso di un evidente stato di contraddizione, incoerenza e lacunosità dell'attuale assetto del sistema penale finanziario, posto che oggi si sanzionano, con pene anche gravi, comportamenti che violano mere regole di organizzazione spesso prive di un'effettiva carica offensiva, oppure si promuovono crociate verso fenomeni la cui lesività è tutta da dimostrare (il riferimento è all'insider trading), nel mentre manca una fattispecie ad hoc idonea ad incriminare quella variegata e complessa serie di comportamenti con cui, sempre più diffusamente, gli emittenti o gli intermediari/gestori realizzano vere e proprie forme di abuso a danno dei risparmiatori. Si è detto che il nucleo centrale della tutela penale del mercato finanziario è rappresentato, oltre che dall'interesse pubblicistico di difendere il mercato da fenomeni criminali provenienti da fattori esterni, dall'interesse del singolo risparmiatore/investitore ad un'allocazione e gestione del proprio risparmio fedele al mandato fiduciario conferito, alle disposizioni di legge e ai principi di prudenza, stabilità ed integrità patrimoniale e buona fede. Non potendo applicare lo statuto penale della pubblica amministrazione alle banche, e tanto meno ad altri intermediari, non resterebbe che ricondurre quei comportamenti ai paradigmi della truffa ex art. 640 c.p. e dell'appropriazione indebita ex art. 646 c.p., con tutti i limiti che ne derivano, trattandosi di figure generaliste e spesso inadatte a dare copertura a fatti molto specifici e dal complesso tecnicismo. S'impone, a questo punto, la necessità, già espressa dal Pedrazzi, di introdurre nell'ordinamento la figura autonoma del reato di infedeltà patrimoniale, capace di reprimere, non solo quei comportamenti nei quali è evidente l'appropriazione di un vantaggio patrimoniale a danno di un terzo, ma anche quelle condotte caratterizzate da una connotazione in termini di rischio eccessivo od anomalo dell'operazione perfezionata, oltre i limiti del mandato fiduciario ovvero per gestione infedele o in conflitto di interessi. - la configurazione di una soluzione ad hoc per il fenomeno dell'insider trading che, nonostante si possa ascrivere al gruppo di regole poste a presidio della c.d. identità del mercato, si ritiene necessiti di essere depenalizzato in difetto di un solido fondamento socio-economico sottostante all'attuale divieto, prevedendo, per converso, l'adozione di presidi infrasocietari nell'ambito del rapporto privatistico insider/emittente. 6. Al di là delle divisioni che emergono dal dibattito sull'individuazione dell'interesse giuridico protetto dalla fattispecie di incriminazione dell'insider trading, si registra un generale favor per l'opzione penale, sostenendo che il rango dell'interesse da proteggere e la gravità dell'offesa giustificano l'impiego dello strumento penalistico alla luce dei due criteri che devono guidare la scelta della sanzione penale: la proporzionalità e la sussidiarietà. 6.1. Si ritiene di dissentire dall'opinione comune, prima di tutto per la mancanza del connotato della dannosità sociale del fenomeno, capisaldo del garantismo illuminista che esprime l'istanza per cui la legge penale deve punire solo quei comportamenti che effettivamente turbino le condizioni di una pacifica coesistenza e che siano avvertiti dalla collettività come generatori di danni ad interessi significativi e meritevoli di protezione. Anche se ad avviso dei più è dato registrare, oggi, un consenso sociale sulla repressione della pratica de qua, si ritiene quanto meno legittimo porre in dubbio che il fenomeno dell'insider trading sia davvero sentito come socialmente dannoso dalla generalità dei consociati. Basti porre mente al fatto che la diffusione della pratica dell'i.t. nei mercati finanziari non sembra avere affatto minato la fiducia degli investitori, se si guarda all'evoluzione che ha caratterizzato i mercati azionari nell'ultimo ventennio. Si è, invece, dell'opinione che la società avverta fortemente la necessità di colmare il vuoto di tutela che esiste avverso quelle forme di indebita sottrazione e sperpero della ricchezza risparmiata, poste in essere da intermediari ed operatori che agiscono secondo logiche poco trasparenti e permeate da situazioni di conflitto di interesse, mentre non appare per nulla diffusa nell'opinione pubblica la convinzione circa l'immoralità della pratica di insider trading, di cui spesso non si conosce neppure il significato. 6.2. Ritornando sulla vexata quaestio della ricerca del bene giuridico offeso dall'i.t., si è detto che l'opinione dominante fra gli interpreti, sostenuta dai Considerando del legislatore comunitario e dalle dichiarazioni di intenti di quello nazionale, è nel senso di qualificare l'insider trading alla stregua di un reato plurioffensivo, lesivo di interessi generali dell'economia quali la fiducia degli investitori, il buon funzionamento e l'efficienza del mercato, la trasparenza, la potenziale parità di condizioni tra gli investitori ecc… I commentatori si dividono dando prevalenza ora all'uno ora all'altro dei valori testé menzionati, ma le loro posizioni convergono nel ritenere che l'interesse da difendere non vada ricercato nella sfera privatistica della società emittente o del privato controparte dell'insider, quanto in un interesse generale e collettivo, adespota, riferibile alla regolarità del mercato mobiliare nel suo insieme, declinata talora in termini di efficienza, liquidità e buon funzionamento, talaltra in termini di parità di condizioni, ovvero ancora adducendo la lealtà e l'eticità delle contrattazioni e l'immagine di un mercato pulito e trasparente quale stimolo agli investimenti. La sussistenza di un interesse generale di ampia e significativa portata e di rilievo costituzionale, unitamente alla riconosciuta inefficacia delle sanzioni extrapenali, conduce dunque la maggioranza degli interpreti a ritenere che la scelta repressiva dell'i.t. è coerente con i canoni di proporzione e sussidiarietà: se in forza dell'art. 47 Cost., la Repubblica incoraggia il risparmio, l'insider trading lo scoraggia, frustrando l'aspettativa dei risparmiatori ad un comportamento leale e trasparente degli operatori. 6.3. La tesi sopra esposta, nonostante incontri il sostegno del pensiero dominante tra gli interpreti e della volontà della maggior parte dei legislatori europei e non, risulta per una serie di argomentazioni poco convincente ed in parte anche incoerente con il sistema. In primo luogo, occorre ricordare che il fondamento economico del divieto di i.t. è tutt'altro che dimostrato. L'analisi delle diverse scuole di pensiero, riportata nel capitolo che precede, rende alquanto evidente la mancanza di un chiaro fondamento politico e socio-economico del divieto o della liceità dell'insider trading. La legislazione penale sull'i.t. sembra quasi assumere un connotato di autoreferenzialità e di status symbol: punisce il fenomeno perché rappresenta una pratica costante e diffusa nei mercati finanziari, perché è sanzionata nella maggior parte dei paesi, perché così facendo il legislatore è messo nelle condizioni di reagire ai ripetuti scandali finanziari e lanciare un messaggio forte sulla pulizia e moralità del mercato, veicolate attraverso le etichette del buon funzionamento, della trasparenza e dell'efficienza del mercato stesso. Certo è che si tratta di espressioni generiche e tautologiche che non possono rappresentare la motivazione sociale ed economica della scelta punitiva. Un punto fermo dell'indagine è quello per cui l'informazione rappresenta una componente essenziale per l'efficienza del mercato: maggiore è la quantità e la qualità dell'informazione disponibile, più il mercato si caratterizza per una facile convertibilità dei titoli negoziati, e più le quotazioni di questi ultimi ne rapprentano il reale valore intrinseco, sicché il giudizio di ammissione o di riprovevolezza del comportamento dell'insider dipende dalla verifica se lo sfruttamento di notizie riservate contribuisce o meno all'efficienza del mercato, se accresce o pregiudica l'efficienza informativa del mercato. Sul punto non vi sono chiare evidenze scientifiche sul fatto che l'uso di informazioni riservate pregiudichi la trasparenza del mercato, impedendogli di perseguire l'efficienza informativa. Un secondo motivo di riflessione è che la scelta di reprimere il fenomeno dell'i.t. non può addivenire al risultato di ingessare il mercato privandolo del contributo essenziale dato, alla propria efficienza informativa, dall'attività di ricerca, studio ed analisi. Se, come si ritiene, si deve privilegiare una concezione del mercato come luogo la cui funzione principale è quella di elaborare e produrre informazioni che si riflettano sul meccanismo di determinazione dei prezzi per favorire, in ultima istanza, l'investimento del risparmio nel capitale delle imprese, ne consegue che va incoraggiato il lavoro degli analisti che producono e divulgano informazioni, anche consentendo loro di sfruttare economicamente dette informazioni perché altrimenti verrebbe a mancare lo stimolo alla ricerca, all'analisi ed alla diffusione delle stesse. L'attività di produzione, diffusione e sfruttamento delle informazioni va difesa ed incentivata rappresentando l'ossatura del mercato finanziario, che deve pertanto rifuggire da ogni mozione di livellamento informativo e di concorrenza perfetta tra gli investitori propria del market egualitarism, riconoscendo invece che la speculazione - intesa come ricerca di un profitto eccedente quello medio di mercato - è la caratteristica saliente ed ineliminabile di ogni sistema finanziario basato su un'economia di scambio. 6.4. Resta, sullo sfondo, l'unico possibile profilo di criticità che si ritiene possa anche esaurire un'eventuale ragione incriminatrice: è giusto riconoscere il diritto di sfruttare economicamente le price sensitive anche a coloro che non hanno contribuito alla loro produzione ed analisi, ma che ne sono venuti a conoscenza in modo occasionale ed estemporaneo, in virtù della carica societaria ricoperta all'interno della società emittente? La logica, prima che il diritto, ci porta ad affermare che il possessore di informazioni privilegiate ha il diritto di utilizzarle se, per ottenerle, ha sopportato un costo di produzione tanto da esserne divenuto proprietario (è il caso degli analisti finanziari), mentre i managers e gli altri insiders aziendali non possono considerarsi acquirenti dell'informazione essendone entrati in possesso in modo del tutto casuale ed in virtù della sola carica ricoperta. Di qui la conclusione per cui l'obiettivo di una regolamentazione anti insider trading (a livello non solo penale) deve essere il contenimento e il contrasto di quelle forme di speculazione abusiva originate dall'approfittamento di una situazione di superiorità informativa, che ricorrono nel solo caso in cui l'informazione riservata sia stata acquisita senza sostenere alcun costo e solo attraverso un collegamento privilegiato con la società emittente. Resta tuttavia l'interrogativo di fondo se lo strumento, per così dire di contenimento e di contrasto a pratiche di siffatta natura, debba essere rappresentato dalla sanzione penale. Il quesito merita una risposta negativa, per una ragione prima fra tutte: l'impiego della strumentazione penalistica deve escludersi ogni qual volta il divieto non presenti un chiaro ed evidente fondamento economico e faccia difetto l'esistenza di un determinato ed afferrabile oggetto giuridico. Non solo, infatti, il divieto di i.t. non è sorretto da una lucida motivazione economica, anche per la debole confutazione che si è fatta degli argomenti che sostengono gli effetti benefici dell'i.t. sul mercato, ma nella fattispecie incriminatrice non è dato neppure rintracciare un bene giuridico materialmente afferrabile e socialmente consolidato. Non è un caso che, nelle intenzioni del legislatore, il divieto di i.t. miri a sanzionare il comportamento ritenuto immorale di chi lo tiene (unfairness), allo scopo di rassicurare gli investitori sulla eticità e correttezza delle contrattazioni di borsa ed incoraggiarli così ad operare. Salvo poi chiamare in causa, nel tentativo di conferire un'oggettività giuridica ad una scelta incriminatrice decisa a priori prescindendo da essa e per obiettivi che attengono al piano dell'etica e della moralità, interessi generali connessi al buon funzionamento ed all'efficienza del mercato, alla sua trasparenza, alla parità di condizioni tra gli investitori che, pur rappresentando valori positivi da promuovere e da difendere, restano pur sempre obiettivi etico-moralistici privi di quei requisiti di materialità, afferrabbilità, consolidamento, tali da poter essere fatti oggetto di un giudizio di meritevolezza e di necessità della pena. 6.5. Ritornando all'impostazione concettuale da cui siamo partiti, si è detto, in chiave riformatrice, che la struttura del sistema penale degli intermediari finanziari dovrebbe essere rappresentata dalla tutela delle funzioni di vigilanza, limitando tuttavia il ricorso alla sanzione penale ai casi in cui detta tutela è prodromica a difendere, o l'interesse del risparmiatore ad una corretta allocazione delle risorse patrimoniali affidate in gestione, o l'interesse pubblico a proteggere il mercato finanziario da fattori esogeni di disturbo ed alterazione. Il fenomeno dell'i.t. non si pone in relazione di danno o di pericolo con nessuno dei due interessi succitati. Non con l'interesse pubblicistico atteso che, a differenza del riciclaggio e dell'aggiotaggio, dell'i.t. non è stata affatto provata la sua dannosità per il mercato, se non adducendo motivazioni di ordine etico e morale che tuttavia, quando rappresentano il solo fondamento del divieto, piegano il diritto penale ad una funzione simbolica, pedagogica ed eticheggiante, estranea alla cornice costituzionale dell'ordinamento. Tanto che la vigente norma penale di incriminazione dell'i.t. è stata qualificata da alcuni esponenti della dottrina come una "norma manifesto", che vieta perché deve convincere il risparmiatore del fatto che il mercato è pulito, trasparente, è un luogo in cui le contrattazioni avvengono lealmente. Si dirà di più. Con la riforma del 2005 il legislatore, se per un verso si è spinto fino a prevedere una sanzione draconiana per il fatto di i.t., per altro verso è pervenuto alla decisione di depenalizzare i fatti di i.t. compiuti dai c.d. insiders secondari. Ma se l'obiettivo di fondo è quello di difendere l'integrità, l'efficienza e il buon funzionamento del mercato finanziario e la fiducia dei risparmiatori, perché depenalizzare dei fatti comunque muniti - se ci si pone nell'ottica, non condivisa da chi scrive, del legislatore - di quelle potenzialità aggressive tali da meritare comunque una risposta sanzionatoria penale? La depenalizzazione di siffatta forma di insider trading (c.d. tippee e tuyautage trading) è infatti sufficiente ad ingenerare il dubbio su quale sia l'oggetto giuridico che il legislatore intende tutelare: va sempre ravvisato nella trasparenza, nell'efficienza e nel corretto funzionamento del mercato finanziario e nella fiducia degli investitori sull'integrità del medesimo (ma se così fosse, non si coglie il perché della non punibilità di chi, assunte informazioni privilegiate da soggetti qualificati, le diffonde e le usa a proprio profitto: condotta, questa, al pari delle altre, capace di pregiudicare il bene ultimo della trasparenza e integrità del mercato), oppure - più modestamente - la volontà legislativa è quella di punire chi è tenuto a doveri fiduciari di riservatezza per la posizione ed il ruolo qualificato rivestito all'interno (o nei confronti) della società emittente? Si ritiene meritevole di accoglimento la seconda ipotesi. La parziale abolitio criminis realizzata sul previgente art. 180 D.lgs. n. 58/1998 ha comportato un parziale mutamento dell'interesse tutelato dalla fattispecie in esame, perché, riducendo l'ambito di rilevanza penale della fattispecie - ossia abolendo l'ipotesi del c.d. tippee trading -, ha ridisegnato i contenuti dell'interesse tutelato, identificandolo più nella lesione di un interesse privatistico rappresentato dall'inosservanza di un dovere fiduciario tra l'insider e la società emittente, piuttosto che nella difesa di un interesse pubblicistico - in ogni caso a parere di chi scrive poco afferrabile - costituito dall'integrità dei mercati e dalla fiducia degli investitori, istituzionali e non. Ma se così è, ci sembra del tutto sproporzionato, oltre che in spregio al canone di sussidiarietà, il ricorso alla sanzione penale. 6.6. Del pari, non sembra condivisibile l'assunto secondo cui l'i.t. rappresenterebbe unaa minaccia per l'interesse del risparmiatore alla corretta allocazione dei propri investimenti, giustificando il ricorso alla sanzione penale in ragione della lesione che il fenomeno de quo arrecherebbe al patrimonio conoscitivo dell'investitore. Il mercato finanziario è senza dubbio un luogo giuridico che va regolamentato e dove l'informazione esercita un ruolo fondamentale. L'efficienza allocativa del mercato presuppone la sua efficienza informativa. Quest'ultima richiede che gli investitori possano poter contare sulla massima quantità possibile di informazioni, che queste vengano diffuse e fatte circolare nella maggiore quantità e con la maggiore tempestività possibili. Il mercato finanziario è profondamente influenzato dalle informazioni e dal sentiment sui più svariati temi macro e micro economici, relativi al sistema Paese come alla singola società emittente, capaci di incidere ed impattare sull'andamento borsistico di un determinato titolo. E questo perché l'investimento nel mercato finanziario è sostanzialmente speculazione e - per citare Keynes nella sua Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta - "la speculazione è la capacità di scoprire cosa l'opinione media ritiene che l'opinione media sia". I canali attraverso i quali l'informazione viene reperita, elaborata, creata, analizzata e poi diffusa, sono tanti e diversi, la loro efficacia è legata a così tante variabili - costi di investimento sostenuti per l'attività di ricerca e studio, capacità di analisi ecc. - che il configurarsi di situazioni di vantaggio o svantaggio informativo è condizione fisiologica propria del mercato e della sua dimensione speculativa e competitiva, tanto da rifiutare ogni logica propria della teoria del c.d. market egualitarism. Nel caso dell'insider trading, come detto, la sola nota di criticità che può legittimare un intervento sanzionatorio è data dall'ipotesi in cui il vantaggio informativo viene conseguito sfruttando, abusando della posizione fiduciaria rivestita in seno alla società emittente e, quindi, senza sostenere i costi correlati all'acquisizione o alla produzione dell'informazione. In tale ipotesi, l'asimmetria informativa non è il risultato dell'opera di ricerca di un analista, ma di una forma vera e propria di abuso funzionale ad una successiva speculazione, non compensata da un investimento iniziale. Appare pertanto corretta la distinzione tra informazioni ottenute sostenendo costi di investimento ed informazioni conseguite a costo zero in virtù di una rendita di posizione: le prime devono essere sottratte all'obbligo di disclosure; per le seconde è corretto stabilire un divieto di utilizzo perchè, se utilizzate e sfruttate, realizzerebbero una ripartizione dei costi economicamente inefficiente, favorendo lo speculatore, a discapito di chi l'informazione l'ha prodotta. Ora, se non si può non convenire sul fatto che le informazioni del secondo tipo non possano essere utilizzate e che dunque debbano essere eliminate o neutralizzate le asimmetrie informative che non sono espressione di un'attività di ricerca e di investimento, si è per contro scettici sull'utilità del ricorso alla sanzione penale per perseguire tale obiettivo. Un punto fermo del percorso logico-argomentativo che si intende sviluppare è il seguente: scevri dalle enunciazioni di principio a sfondo etico-moralistico, il solo ed unico schema economico cui poter ricondurre il divieto di i.t. è quello dell'asimmetria informativa e degli effetti che la stessa - nell'ipotesi in cui sia il risultato di una speculazione abusiva e non di un investimento - può produrre sul piano allocativo e distributivo delle risorse. Gli effetti distorsivi generabili da un dislivello informativo, frutto di una condotta di abuso di posizione, sono sostanzialmente due. Da una parte, quello che porta i risparmiatori/investitori a richiedere un rendimento più elevato a fronte di un rischio che aumenta oltre la normale alea dell'investimento, appunto in ragione della presenza di un fattore estraneo allo stesso rappresentato dall'esistenza di una superiorità informativa, dall'agire di operatori insider. Dall'altra, quello per cui la pratica di insider trading è un modo per estrarre benefici privati sfruttando informazioni di proprietà della società emittente, fenomeno tanto più negativamente impattante sull'immagine del mercato quanto più questo sia composto da società proprie di un capitalismo familiare con meccanismi di governance sbilanciati a favore degli azionisti di controllo. Di qui, la considerazione per cui troppo insider potrebbe nuocere al mercato ed il conseguente auspicio che il fenomeno venga regolato al fine di contenere o neutralizzare i due effetti negativi che ne possono derivare. Poiché entrambi i succitati effetti vedono come danneggiato finale la società emittente, la quale è la sola proprietaria delle informazioni price sensitive, ecco allora che la questione relativa alla regolamentazione dell'insider trading diventa una questione di regolamentare l'uso dei diritti di proprietà sull'informazione. L'assunto poggia su due presupposti meritevoli di adeguata verificazione. 6.7. Il primo è che l'informazione è un bene economico, idoneo ad essere sfruttato economicamente da chi ne è proprietario. Non possiamo certo trascurare l'antico ed ancora non sopito dibattito sulla natura giuridica del bene "informazione", in particolare se questa sia qualificabile come bene privato o come pubblico. Secondo una prima teoria, l'informazione è un bene pubblico che non può essere oggetto di proprietà privata, configurandosi come un bene indivisibile e non escludibile: l'indivisibilità sarebbe legata al fatto che ogni individuo può utilizzare l'informazione senza sostenere alcun costo aggiuntivo; la non escludibilità discederebbe dalla difficoltà di circoscrivere la cerchia dei soggetti che se ne possono appropriare, ovvero dalla difficoltà di apporre vincoli di riservatezza. Sul versante opposto si schierano quegli economisti che sostengono la divisibilità e l'escludibilità dell'informazione, ritenendo che l'accesso al bene può essere circoscritto e che, pertanto, è possibile appropriarsi a pagamento dei suoi vantaggi, acquisendone così la titolarità prima che l'informazione diventi pubblica. E' chiaro che il riconoscimento al bene informazione di una natura pubblica o privata si riflette sulla definizione dell'assetto regolamentare che ne deve disciplinare la produzione, l'uso e la divulgazione. Se aderissimo alla tesi liberista - per cui l'informazione è un bene che può essere fatto oggetto di proprietà privata -, addiverremo a respingere qualsivoglia intervento esterno di regolamentazione dei meccanismi di produzione e circolazione dei flussi informativi, che i sostenitori di questa tesi ritengono controproducenti perché aventi l'effetto di scoraggiare la produzione di nuove informazioni, riducendo in tal modo il contributo dell'informazione al miglioramento della capacità segnaletica dei prezzi. Se, per contro, riconoscessimo all'informazione la qualifica di bene pubblico, si dovrebbe ammettere un impianto regolamentare ispirato alla logica del market egualitarism, caratterizzato da obblighi di disclosure e dal divieto di insider trading in capo agli operatori. Una posizione intermedia è quella per cui l'informazione è un bene privato che, tuttavia, genera delle esternalità, degli effetti aventi ricadute su soggetti esterni e sul mercato in generale, assommando in sé - il riferimento è nello specifico all'informazione societaria - esigenze di riservatezza (proprie del soggetto proprietario che quelle informazioni ha creato e prodotto) ed obblighi di trasparenza verso il mercato a tutela della comunità di investitori. Di qui la necessità di predisporre un sistema di regole che possa contemperare questi due termini del contendere. Con il risultato, innanzitutto, di ammettere che chi crea e produce l'informazione risulti anche assegnatario esclusivo del diritto di sfruttarne economicamente il contenuto (un diritto che non può essere negato, pena l'inefficiente allocazione delle risorse ed il conseguente scoraggiamento dell'attività di analisi e ricerca, condicio sine qua non per un mercato finanziario efficiente e trasparente). Prevedendo, in secondo luogo, un sistema di tutele per il proprietario dell'informazione e per il mercato in generale, avverso quelle possibili esternalità negative derivanti da comportamenti di terzi che, abusando della posizione rivestita, facciano un uso scorretto dell'informazione price sensitive. 6.8. Quanto al secondo presupposto, si è sostenuto che i diritti di uso e sfruttamento delle informazioni devono essere assegnati a chi quelle informazioni le ha create attraverso un'attività di ricerca ed analisi ovvero, nel caso di informazioni già esistenti in seno alla società emittente, a questa stessa. Non si può d'altronde negare che gli effetti negativi dell'i.t., poco sopra delineati, vanno ad impattare proprio sulla società emittente in termini di deprezzamento del pricing del relativo titolo quotato, che, proprio perché sospettato di essere oggetto di operazioni insider, vedrà gli investitori disposti ad acquistarlo solo a fronte di un premio aggiuntivo (implicitamente espresso nella disponibilità ad acquistare a prezzi che scontino l'effetto insider). L'informazione, però, a differenza degli altri beni che vengono prodotti e consumati, viene scoperta, e quindi diffusa, tramite la trasmissione o divulgazione al mercato, la quale, tuttavia, se da un lato incrementa il livello informativo del mercato e dunque la sua efficienza, dall'altro riduce le opportunità di profitto per chi ha creato quell'informazione. In altri termini: la divulgazione del bene-informazione è, al tempo stesso, fattore di trasparenza ed efficienza allocativa del mercato e disincentivo alla produzione delle informazioni, perché riduce in capo a chi le ha prodotte la possibilità di estrarne profitto. Da questo tratto peculiare dell'informazione nasce una sorta di conflitto, di trade off tra produzione ed uso dell'informazione: la regolamentazione di questo trade off, si ritiene, debba rappresentare l'obiettivo esclusivo di una normativa anti-insider. Un obiettivo che si ritiene debba essere perseguito per mezzo di un sistema regolamentare fondato su alcuni punti chiave: i diritti di proprietà sul bene informazione devono essere assegnati alla società emittente ovvero a chi, sostenendo costi di investimento e di ricerca, ha creato e prodotto l'informazione; una ridefinizione della normativa sulla trasparenza societaria, che sappia più efficacemente coniugare l'esigenza dell'emittente di tutelare istanze di riservatezza e l'interesse del mercato alla divulgazione delle informazioni; obbligare le società emittenti a dotarsi al proprio interno di processi operativi finalizzati alla mappatura delle informazioni e alla disciplina sull'uso, sulla trasferibilità e sulla divulgazione delle medesime, acconsentendo che il diritto allo sfruttamento economico di esse venga trasferito esclusivamente a managers e dipendenti della società e non a soggetti terzi, perché questo impedirebbe di esercitare un controllo sull'uso del flusso informativo e sulla profittabilità dell'attività (autorizzata) di insider. Quanto, infine, all'aspetto repressivo, si ritiene che qualsivoglia forma di sfruttamento non autorizzato di informazioni societarie, ovvero con modalità difformi dal sistema adottato di compliance aziendale, dovrebbe esporre l'autore della violazione a sanzioni di tipo civilistico a tutela della società e dei suoi azionisti ma anche del mercato in generale, abbandonando in questo modo lo strumento penalistico. Si ritiene, a tale riguardo, che il diritto degli investitori ad operare in un mercato integro possa trovare adeguata ed efficiente tutela, non nella sanzione penale - per i limiti e le tensioni che la caratterizzano - , quanto piuttosto in rimedi privatistici esperibili nei confronti dell'insider dalla società emittente, tanto nell'interesse proprio e dei suoi azionisti (per il danno che il comportamento insider reca all'immagine della società e per l'impatto sull'andamento del titolo in termini di liquidità, pricing e percezione di una sua maggiore rischiosità), quanto anche nell'interesse del mercato e dei risparmiatori quale ente esponenziale che più rappresenta l'interesse diffuso alla stabilità del mercato, alla sua efficienza (intesa primariamente come remunerazione delle sole informazioni privilegiate ottenute sostenendo un costo di investimento e non per mero abuso di posizione) e al fairness (per la funzione di rassicurare gli investitori sulla trasparenza ed il buon funzionamento del mercato). Facendo peraltro coesistere sanzioni amministrative irrogabili dagli Organismi di vigilanza, sia nei confronti delle società emittenti e degli esponenti aziendali per inosservanza dei sistemi interni di compliance disciplinanti la produzione e l'uso delle informazioni sensibili, sia nei confronti degli autori di condotte di tipping e tuyautage. In conclusione, muovendo dall'assunto secondo cui lo scopo di una disciplina sull'insider trading deve essere identificato nella prevenzione e nel contrasto di quelle forme di abuso di situazioni di vantaggio informativo, e comprovata l'ineffettività e difformità costituzionale della via penale, non resta che accogliere la soluzione che impone, in primis, di revisionare i meccanismi societari di produzione, uso e divulgazione delle informazioni price sensitive, in nome di una maggiore trasparenza sulla titolarità del diritto di sfruttamento delle stesse e di una maggiore responsabilizzazione degli amministratori, agendo sul piano della corporate governance e sui programmi di compliance aziendale. In secundis, combinando un enforcement fatto di sanzioni e rimedi civilistici (nei termini meglio specificati nel prosieguo) esperibili dall'emittente nei confronti dei soggetti insiders, nonché di sanzioni amministrative irrogabili dagli Organismi di vigilanza contro l'emittente (per la mancata inosservanza dei programmi di compliance sull'uso delle informazioni societarie) e gli insiders societari e non, all'esito di un'attività di indagine e di controllo che si auspica possa essere rafforzata e resa più incisiva. Nella convinzione che la pratica di i.t. lede in modo diretto la società emittente deprezzandone il titolo e gli investitori che su quel titolo operano e che potrebbero risultare danneggiati dal dislivello informativo, di talché l'unico rimedio efficiente per il contenimento di siffatta pratica è quello di prevedere, a carico dell'insider autore della condotta di abuso, un costo aggiuntivo (dato ad es. ma non solo dalla restituzione del profitto conseguito sfruttando la notizia riservata) tale da rendere l'abuso, se scoperto, economicamente inutile o addirittura svantaggioso. Nella convinzione che la maggiore responsabilizzazione di chi riveste posizioni di vertice all'interno delle società emittenti, congiuntamente all'adozione di un sistema di autodisciplina che renda trasparente l'uso delle informazioni rilevanti e l'assegnazione dei vantaggi insiti nel loro sfruttamento, costituisca il maggior antidoto all'opacità ed all'inefficienza del mercato. 7. Occorre poi prendere contezza del fatto che qualsivoglia progetto di riforma dell'ordinamento finanziario e di revisione degli strumenti di tutela del risparmiatore che si intenderà mettere in cantiere, non porterà i risultati attesi, se non sarà accompagnato da quel plesso di riforme dei vari apparati tangenti e complementari all'organizzazione del mercato finanziario: la riforma dell'amministrazione della giustizia per assicurare, anche istituendo una magistratura specializzata, tempi rapidi nell'accertamento degli illeciti e nell'irrogazione delle sanzioni; nuove regole in materia di informazione societaria al fine di migliorare la trasparenza informativa; l'introduzione di sistemi di governance più chiari ed indipendenti, capaci di presidiare e risolvere le tante, troppe, situazioni di conflitto di interesse di cui oggi è intrisa la catena dell'intermediazione finanziaria e che rappresentano, ad un tempo, la molla dell'agire economico nel mercato capitalistico e la principale causa di disgregazione e polverizzazione di ricchezza; regole chiare sulla circolazione dei prodotti finanziari; un ridisegno generale dei sistemi di controllo, vigilanza e di revisione contabile all'interno delle società di intermediazione del risparmio; da ultimo, ma non certo per ordine di importanza, un intervento correttivo della disciplina del c.d. falso in bilancio, che rappresenta a tutti gli effetti un presidio a tutela del risparmiatore. Senza queste riforme complementari, anche una buona legge di riforma del mercato finanziario non coglierebbe appieno il risultato sperato. E' chiaro, infatti, che il mercato, come pure il suo grado di efficienza e trasparenza, sono il risultato della convergenza di una pluralità di fattori, esogeni ed endogeni, che agiscono su piani diversi ed incidono su differenti meccanismi di funzionamento del mercato stesso, cercando il non facile equilibrio tra i valori in gioco. 8. La ri-configurazione di un nuovo assetto di regolamentazione del mercato finanziario è condizione necessaria ma non sufficiente per alimentare un processo di prevenzione generale e di orientamento dei modelli comportamentali, che possano rappresentare un efficace argine al dilagare dei fenomeni di market abuse e di market failure. Serve, in parallelo, anche un processo di revirement culturale che porti ad una sorta di rifondazione etica della business comunity, nella consapevolezza che anche il migliore sistema normativo non ha presa sulla realtà effettuale, se questa non è a priori innervata da un insieme di regole etiche generalmente condivise. Il contesto attuale mostra un mercato finanziario caratterizzato dall'assenza di regole di condotta e di principi tali da costituire un governo etico, prima che giuridico, al lavoro dei suoi operatori. La grande ondata di deregolamentazione finanziaria che si è avuta nell'ultimo decennio ha favorito il dilagare dei conflitti di interesse in cui si trovano ad operare gli intermediari finanziari. Si pensi, per fare qualche esempio tra i tanti, al caso delle banche che hanno collocato ai propri clienti titoli tossici presenti nel loro portafoglio, al fine di dismetterli evitando perdite già prevedibili al momento del collocamento; agli effetti perversi del sistema degli incentivi ai vari operatori presenti nella catena dell'intermediazione finanziaria, che hanno favorito la diffusione di pratiche ad elevato rischio pur di conseguire l'obiettivo di lauti compensi; senza dimenticare il caso delle società di rating che hanno senza dubbio concorso a favorire l'occultamento di situazioni di difficoltà, attribuendo giudizi "a tripla A" a società che di lì a poco sarebbero state dichiarate fallite. La cultura di illegalità diffusa e di abuso di cui oggi è permeato il sistema del risparmio gestito va contrastata, non con norme cariche di una minaccia sanzionatoria severissima ma con bassa probabilità di trovare un'effettiva ed efficace applicazione, bensì con una revisione normativa ad ampio spettro, funzionale ad assicurare maggiore trasparenza nei meccanismi di corporate governance, razionalizzazione e rafforzamento del sistema dei controlli interni ed esterni alle società. Una considerazione è d'obbligo: la causa prima dei tanti, troppi, dissesti finanziari che hanno provocato nell'ultimo ventennio una dispersione gigantesca di ricchezza collettiva è da individuare nei conflitti di interesse di cui è profondamente permeato l'ordinamento societario, finanziario ed istituzionale, tanto da far affermare, all'illustre Guido Rossi, che "il risparmio di massa galleggia letteralmente sui conflitti di interesse e la sua salvaguardia dipende, anzitutto, dalla corretta impostazione di tali conflitti, la cui esistenza è peraltro fisiologica all'agire economico". Occorre pertanto ripartire dal male oscuro dell'ordinamento finanziario, lavorando ad una revisione dei meccanismi di corporate governance, dei processi decisionali interni alle società, troppo spesso affidati ad amministratori che agiscono alla stregua di monarchi assoluti, al di sopra ed a prescindere da ogni forma di controllo. Nel procedere in quest'opera di riscrittura delle regole del gioco, è corretto immaginare che il primo intervento del diritto nell'ambito economico e dell'impresa debba avvenire sul piano della prevenzione, avvalendosi degli strumenti propri del diritto civile, del diritto amministrativo e dell'autoregolamentazione. Arrivando, per questa strada, alla configurazione di un diritto penale minimo ma efficace e severo, nel sanzionare quei comportamenti ritenuti immediatamente offensivi di quegli interessi meritevoli di protezione, perché in diretta e stretta relazione con la tutela della funzione di vigilanza, epicentro del complesso normativo a difesa del risparmio. ; XXI Ciclo ; 1972