In seguito agli eventi dell'undici settembre è apparso chiaro come il concetto di globalizzazione avesse definitivamente cessato di applicare i propri ideali di libera circolazione agli individui. Si è assistito ad un irrigidimento delle normative sulla migrazione –di qualsiasi natura essa sia- e dei confini, inclusi quelli europei e soprattutto quelli del Regno Unito. Questa chiusura, in combinazione con il sorgere di nuovi e ulteriori conflitti e tensioni in Medio Oriente e sul continente Africano negli ultimi dieci anni, ha alimentato una nuova ondata migratoria gestita spesso con un totale disprezzo dei diritti umani. Le espressioni "crisi dei rifugiati" ed "emergenza migranti", che negli ultimi vent'anni sono diventate sempre più popolari e familiari, hanno saturato l'opinione pubblica, manipolando i numeri e la natura dei migranti coinvolti e alimentando la popolarità di movimenti populisti e nazionalisti che hanno fatto leva sulla xenofobia per rinsaldare il proprio elettorato. In un circolo vizioso, l'aumento del sentimento nazionalista e individualista nelle politiche dei singoli paesi dell'Unione ha indebolito l'Europa stessa, i cui rappresentanti mostrano reticenza nei confronti di iniziative che trattano di argomenti impopolari come l'accoglienza dei migranti extracomunitari. La cosiddetta "Brexit" rappresenta il culmine di questi processi di distacco dall'Europa e di rafforzamento dei confini. Nel Regno Unito del terzo millennio il teatro si trova in prima linea quando si tratta di puntare un faro e mettere in scena, letteralmente, le storie delle minoranze e degli oppressi. Il teatro ha la possibilità di rispondere a questo tipo di istanze più velocemente rispetto ad altri ambiti artistici e, al contempo, ha ormai sfoderato un repertorio pressoché infinito di forme, stili e modalità espressive con cui dare voce a chi spesso viene considerato invisibile dalla società. All'interno di questo panorama variegato è scontato che alcune forme di storytelling e alcune dinamiche si cristallizzino e acquistino popolarità, ed è altrettanto vero che farsi portavoce di questo genere di storia nasconda numerose insidie dal punto di vista tematico, estetico e anche etico. È giusto o necessario mettere in scena il vissuto di chi migra in virtù della sua possibile carica empatica? Come si approccia il teatro alla volontà di integrarsi di chi riceve asilo nel Regno Unito, o alla sua mancanza? Che conseguenze ha avuto l'istituzione di centri di detenzione sul suolo britannico, e come si rispecchiano nella psiche dei personaggi che li abitano? E ancora, come viene rappresentata la governance by debt che spesso accomuna la vita di nativi e migranti? L'obiettivo di questo lavoro è esaminare i diversi approcci alla refugee story proposti all'interno del panorama teatrale britannico, sia dal punto di vista tematico che formale. Verranno isolate alcune tematiche e problematiche fondamentali utili a contestualizzare la messa in scena delle migrazioni contemporanee. A questo scopo saranno esaminate tre pièce scritte prima del 2015 -The Bogus Woman di Kayd Adshead, Credible Witness di Timberlake Wertenbaker e I Have Before Me a Remarkable Document Given to Me by a Young Lady From Rwanda di Sonja Linden- e tre scritte dopo il 2015 -How to Hold Your Breath di Zinnie Harris, Lampedusa di Anders Lustgarten e The Jungle di Joe Robertson e Joe Murphy. L'approccio diacronico all'analisi nasce dalla volontà di approfondire un'eventuale ripercussione sul panorama teatrale dell'ipervisibilità mediatica e della strumentalizzazione politica e sociale dei migranti in seguito al picco di sbarchi del 2014 e della reazione dell'opinione pubblica alla circolazione virale della fotografia del cadavere di Alan Kurdi, un bambino curdo di tre anni annegato durante la traversata sulla rotta mediterranea. As a society, after the 9/11 attacks we have witnessed a decisive tightening of the rules concerning every kind of migration and the strengthening of borders all over Europe, especially in the United Kingdom. This, in addition to the ever-growing tensions and conflicts in the Middle East and on the African continent fuelled a new influx of migrants which has often been handled in complete defiance and disdain for human rights. The expression "refugee crisis" has become more and more relevant and widespread in the past twenty years, hijacking the feelings of the public and manipulating both the numbers and the character of those who migrate, contemporarily feeding into xenophobic sentiments which have been then exploited by populist and nationalist political movements all over the West. Fuelling nationalist and individualistic fears creates a vicious cycle and weakens the European Union, whose representatives are reluctant to show support towards unpopular topics such as hospitality and the relocation of asylum seekers. "Brexit" has represented the climax and extremization of these anti-European sentiments and the consequent strengthening of its borders. Entering the third millennium, British theatre has rooted itself firmly in the civil rights movement's frontlines, giving a voice to those who are discriminated and oppressed. Compared to other artistic mediums, theatre tends to generate a much quicker response to pressing social issues, all while being able to count on a vast repertoire of modes, styles and formats to stage the stories of those who are often invisible and unheard. It goes without saying that, in this vast and comprehensive narrative landscape, certain storytelling devices and dynamics are bound to solidify and become more popular than others. It is also true that bearing witness and staging this kind of stories comes with a whole set of risks from a thematic, aesthetic, and ethical point of view. For example, is it fair, or necessary, to dramatize the life of refugees to elicit an empathic response from the public? How does theatre portray migrants' individual approaches to integration or lack thereof in a host country? Which consequences did the establishment of detention centres in the UK have on its detainees, and how did this common experience filter into the life and psyche of the characters on stage? Also, considering how the practice of governance by debt constitutes a common experience among both migrants and hosts, how has it been used as a narrative device in theatre? The aim of this work is to examine different approaches to the "refugee story" within British theatre, both from a thematic and a stylistic point of view. I will focus on key topics and problems which offer a good representation of the genre by analysing a total of six plays, which I will divide into two categories. Three plays have been written and performed before 2015 -The Bogus Woman by Kayd Adshead, Credible Witness by Timberlake Wertenbaker and I Have Before Me a Remarkable Document Given to Me by a Young Lady From Rwanda by Sonja Linden- e three during or after 2015 -How to Hold Your Breath by Zinnie Harris, Lampedusa by Anders Lustgarten and The Jungle by Joe Robertson and Joe Murphy. This diachronic approach is intended to show a possible correlation between the sudden hypervisibility of asylum seekers after a rapid increase in their numbers in 2014, as well as the public uproar following the viral sharing of a picture of the corpse of three-year-old Kurdish migrant Alan Kurdi, and the changes in the onstage representations of refugee stories.
Dopo l'8 settembre 1943, migliaia di giovani scelsero di aderire alla re-pubblica sociale italiana e, durante la transizione dal fascismo alla re-pubblica, molti di loro furono processati per collaborazionismo con i te-deschi. Poiché molti dei giovani imputati erano minorenni dal punto di vista penale, la maggior parte dei processi nei loro confronti riguardò il tema dell'imputabilità, la cui sussistenza, ai sensi dell'art. 98 c.p., doveva es-sere valutata dal giudice in relazione alla capacità di intendere e di volere. Mentre, nei primi mesi successivi alla liberazione, la sezione speciale della corte di cassazione di Milano confermò in genere le sentenze delle corti d'assise straordinarie che dichiaravano i minori capaci di intendere e di volere (e dunque li condannavano, limitandosi a diminuire la pena come prescritto dall'art. 98 c.p.), nel corso del 1946, la seconda sezione della corte di cassazione iniziò ad annullare le sentenze di condanna, attribuendo rilevanza alla propaganda fascista che aveva influito sulla capacità di intendere e di volere dei minori, secondo la tendenza ad atte-nuare il rigore repressivo nei confronti del reato di collaborazionismo che ha caratterizzato la giustizia di transizione italiana ; Even thought, over the last decades, many studies have been devoted to the issue of the Social Italian Republic, various aspects concerning the consent to republican Fascism are still awaiting full investigation, in par-ticular as far as regards young people. As a matter of fact, after the armistice with the Allied was announced on September 8th 1943, thousands of young boys joined the army of the Republic of Salò, thus continuing the alliance with the Germans. Also many young girls actively collaborated with the occupying German armed forces and the German puppet Republic of Salò. After the Liberation Day, many young people that had fought at the side of Republic of Salò and against the Resistance were charged with col-laboration with the Germans. The decree n. 159 of 27th July 1944, which consolidated the former en-actments on the subject into one law, punished collaborators according to the Military Penal Code of 1941 (even if not members of the armed forces), which in these cases called for the death penalty or lengthy prison sentences. The decree n. 142 of 22nd April 1945, which specifically addressed the crimes of collaboration committed during the German military occupa-tion of Northern Italy, established special court of assize. Though in the-ory they were expected to have fully performed their duties witghin six months, in practice they continued to sentence for two years as a spe-cial section of ordinary assize courts. Their sentences could be appealed in the special section of the Court of Cassation established in Milan, and subsequently in the Court of Cassa-tion in Rome after the Court in Milan was abolished. The special courts of assize were composed of a professional judge as a president and four jurors selected by the National Liberation Commit-tee, which, in addition, could choose prosecutors from a pool of anti-Fascist lawyers. It is important to keep in mind that on the one hand, transitional legisla-tors were not confident in the ordinary judiciary, which was still consid-ered linked to Fascism, and that on the other hand, special court of as-size guaranteed popular participation in the administration of justice. When it became apparent that the goal of achieving democracy was emerging in Italy's post-war society, it was up to the judges to strike a balance between punishing past offenses and obtaining future ap-peasement. It is a well-known fact that, during the changeover from Fascism to re-public Italian, judges (in particular the second section of the Court of cassation) progressively adopted a less rigorous attitude towards collab-orators. These results have been generally blamed on the fact that, on the whole, the judiciary had not been purged after the fall of Fascism, which in turn meant that sanctions against Fascism were not enforced. What about the decisions as far as regard young people charged with collaboration with the Germans? What were the reasons given by the judges to condemn or acquit them? And what the arguments used by the defendants and their lawyers against the charge of collaboration? Most of the trials against young people regarded the criminal responsi-bility of the juveniles. Between the 19th and the 20th centuries, the discipline of responsibility of minors based on balancing between juvenile delinquency and the immaturity of youth. The Penal Code of 1889 considered minors aged nine to fourteen re-sponsible if they had acted with "discernment" (art. 54). As far as the Court of Cassation was concerned, the discernment of minors was not identified in their ability to recognize the moral gravity of the offense, as the liberal doctrine had suggested, but rather in their ability to rec-ognize that such conduct was in violation of penal law. The elimination of the concept of discernment in the Fascist Penal Code did little to resolve the doubts of the courts. The Penal Code of 1930 re-quired judges to evaluate the "mental capacity" of minors aged four-teen to eighteen (art. 98). Judges thus continued to demand that a mi-nor's maturity fit the crime, taking into account their physical and moral development, in addition to their relationships and their social, cultural and economic background. It is important to keep in mind that, as ruled by the special section of the Court of Cassation on the matter of collaboration with Germans, special court of assizes had exclusive jurisdiction also over minors, despite the fact that a juvenile court had been in operation since 1934. At first, special court of assize considered the juveniles responsible for the crimes of collaboration with Germans, but the punishment was miti-gated according to art. 98 c.p. and the special section of the Court of cassation generally confirmed the judgements. The second section of the Court of cassation, instead, used to annul the sentences that considered the young people responsible for collabora-tion with Germans on the ground that judges had failed to provide the reasons of their judgements about the responsibility of minors and re-quired that the evaluation of a minor's mental capacity had to be relat-ed to the crime committed, especially if it was of a political nature. In particular, according to the arguments of the defence lawyers, the Court of Cassation ruled that judges had to consider that young people generally were not able to understand the wrongfulness of acts of col-laboration, because of the Fascist propaganda. We have to keep in mind that in explaining the general amnesty of 1946, even the minister of justice Togliatti pointed out how difficult it had been for young generations to distinguish right from wrong during the Fascist period because of the discipline imposed by the regime. Doctrine agreed with jurisprudence in ruling that the responsibility of minors was to be evaluated less severely with regard to political crimes such as collaboration with the Germans, considering this approach to sentencing would help foster the peace process and educate the Italian youth that had been involved in the dramatic experience of the Civil War.
This thesis focuses on Lombard Southern Italy during the early middle ages and it analyses the history of political and social conflicts between the eighth and ninth century, taking into account the transformation of Lombard political power and social practices in this area. Starting from the eight-century judicial sources, this work explores political and social competition in the Beneventan region by taking into account its geographical position at the center of the Mediterranean see. Southern Italy was considered as a periphery, and sometimes as a frontier, by both the Carolingian and Byzantine empires, and endured almost a century of Muslims' attempts to conquer the peninsula. The first chapter focuses on the ducal period and investigates the formation and consolidation of the duke of Benevento's political authority before 774. During the seventh and eight centuries, the dukes developed a military and political autonomy in Southern Italy. This was due to the geographical position of the Duchy of Benevento in the Lombard Kingdom: it was far from Pavia, the king's capital city, and it was relatively isolated from other Lombard territories. Since a dynasty was established here as early as the seventh century, these dukes developed a strong and precocious political consciousness. As a result, they were particularly concerned with the formal representation of their authority, which is early attested in both coinage and diplomas. In this chapter, the analysis of the eight-century judicial records opens two important perspectives on the duke of Benevento's practices of power. Firstly, judicial assemblies were one of the most important occasions for the duke to demonstrate and exercise his authority in a public context. In contrast to all other Lombard dukes, who rendered judgement together with a group of officers, the duke of Benevento acted alone before the competing parties. By behaving exactly as the Lombard king would in Pavia, the duke was able to utilise the judicial domain as a sort of theatre in which to practice, legitimise and represent his own public authority in front of the local aristocracy. Secondly, the analysis of seven judicial case-studies suggests that the duke was not simply the sole political authority in Benevento but also the leading social agent in the whole Lombard southern Italy. Almost all the disputes transmitted by the twelfth-century cartularies implied a ducal action, donation or decision in the past, which became the main cause for later conflicts between the members of the lay élite and the monastic foundations of the region. Consequently, the analysis of judicial conflicts reveals more about the duke of Benevento's strategies and practices of power than about the lay and ecclesiastical élites' competition for power. Since there are no judicial records between 774 and the last decade of the ninth century, both conflicts and representations of authority in Lombard Southern Italy are analysed through other kinds of sources for this period. Chronicles, hagiographies, diplomas, and material sources are rich in clues about political and social competition in Benevento. By contrast, the late-ninth-century judicial records transmitted by cartularies and archives are quite different from the eighth-century documents: they have a bare and simple structure, which often hides the peculiarities of the single dispute by telling only the essentials of each conflict and a concise final judgement. In contrast to the sources of the ducal period, the ninth- and tenth-century judicial records often convey a flattened image of Lombard society. Their basic structure certainly prevents a focus on the representation of authority and the practices of power in southern Italy. On the contrary, these fields of inquiry are crucial to research both competition within the Beneventan aristocracy during the ninth century, and the relationship between Lombards and Carolingian after 774. After the fall of the Lombard Kingdom in 774, Charlemagne did not complete the military conquest of the Italian peninsula: the Duchy of Benevento was left under the control of Arechis (758-787), who proclaimed himself princeps gentis Langobardorum and continued to rule mostly independently. The confrontation and competition with the Frankish empire are key to understanding both the strengthening of Lombard identity in southern Italy and the formation of a princely political authority. The second account the historiography on the Regnum Italiae, the third section of this chapter focuses precisely on the ambitions of Louis II in Southern Italy and it analyses the implication that the projection of his rulership over this area had in shaping his imperial authority. Despite Louis II's efforts to control the Lombard principalities, his military and political experience soon revealed its limits. After the conquest of Bari in 871, Prince Adelchi imprisoned the emperor in his palace until he obtained a promise: Louis II swore not to return to Benevento anymore. Although the pope soon liberated the emperor from this oath, he never regained a political role in Southern Italy. Nevertheless, his prolonged presence in the region during the ninth century radically changed the political equilibrium of both the Lombard principalities and the Tyrrhenian duchies (i.e. Napoli, Gaeta, Amalfi). The fourth section focuses firstly on the competition between Louis II and Adelchi of Benevento, who obstinately defined his public authority in a direct competition with the Carolingian emperor. At the same time, the competition within the local aristocracy in Benevento radically changed into a small-scale struggle between the members of Adelchi's kingroup, the Radelchids. At the same time, some local officers expanded their power and acted more and more autonomously in their district, such as in Capua. When Louis II left Benevento in 871, both the Tyrrhenian duchies and the Lombard principalities in Southern Italy were profoundly affected by a sudden change in their mutual relations and even in their inner stability. The competition for power and authority in Salerno and Capua-Benevento also changed and two different political systems were gradually established in these principalities. Despite the radical transformation of internal competition and the Byzantine conquest of a large part of Puglia and Basilicata at the end of the ninth century, the Lombard principalities remained independent until the eleventh century, when Southern Italy was finally seized by Norman invaders. // --- // RIASSUNTO: La presente tesi si occupa dell'Italia meridionale longobarda durante l'alto medioevo e analizza la storia dei conflitti politici e sociali tra l'VIII e il IX secolo tenendo in considerazione le trasformazioni del potere politico longobardo e delle pratiche sociali in quest'area. Partendo dalle fonti giudiziarie di secolo VIII, questa tesi esplora dunque la competizione politica e sociale nella regione beneventana senza prescindere dalla sua posizione al centro del Mediterraneo. L'Italia meridionale fu considerata una periferia, talvolta una vera e propria frontiera, sia dall'impero carolingio sia da quello bizantino, e resistette per oltre un secolo ai tentativi musulmani di conquistare la penisola. Il primo capitolo si occupa del periodo ducale e indaga la formazione e il consolidamento dell'autorità politica del duca di Benevento prima del 774. Durante i secoli VII e VIII, i duchi svilupparono un'ampia autonomia militare e politica in Italia meridionale. Ciò era legato alla posizione geografica di Benevento nel quadro del regno longobardo: il ducato era lontano da Pavia, la capitale del re, ed era relativamente isolato dagli altri territori longobardi. I duchi di Benevento svilupparono una forte e precoce coscienza politica, forse anche in conseguenza dello stabilirsi di una dinastia al potere già a partire dal VII secolo. Essi erano conseguentemente particolarmente interessati nella rappresentazione formale della loro autorità pubblica, che è attestata precocemente sia nella monetazione sia nei diplomi. L'analisi dei documenti giudiziari di secolo VIII apre due importanti prospettive di ricerca sulle pratiche del potere nel ducato beneventano. In primo luogo, le assemblee giudiziarie erano per il duca una delle occasioni più importanti per dimostrare e esercitare la sua autorità in un contesto pubblico. Contrariamente agli altri duchi longobardi, che vagliavano le ragioni della disputa ed emettevano un giudizio insieme a un gruppo di ufficiali, quello beneventano agiva da solo di fronte alle parti. Comportandosi allo stesso modo dei sovrani longobardi a Pavia, il duca utilizzava l'ambito giudiziario come una sorta di teatro in cui praticare, legittimare e rappresentare la sua autorità pubblica di fronte all'aristocrazia locale. In secondo luogo, l'analisi di sette casi giudiziari permette di ipotizzare che il duca non fosse solo l'unica autorità politica a Benevento, ma anche il principale agente sociale in tutto il Mezzogiorno longobardo. Tutte le dispute riguardanti il secolo VIII e trasmesse dai cartulari del secolo XII implicano infatti un'azione del duca, una donazione o una decisione nel passato che in seguito diventa causa di conflitto tra i membri dell'élite laica e le fondazioni monastiche della regione. Conseguentemente, l'analisi dei conflitti giudiziari è capace di rivelare molto di più sulle strategie e le pratiche del potere dei duchi di Benevento che sulla competizione per il potere nelle élite laiche ed ecclesiastiche della capitale e del territorio. Poiché non vi sono documenti giudiziari riguardanti il periodo che va dal 774 alla fine del secolo IX, sia la conflittualità sia la rappresentazione dell'autorità pubblica nell'Italia meridionale longobarda sono analizzate per il periodo successivo attraverso altre tipologie di fonti. La cronachistica, i testi agiografici, i diplomi principeschi e le fonti materiali sono infatti ricchissimi di elementi sulla competizione politica e sociale a Benevento. I documenti giudiziari del tardo secolo IX trasmessi dai cartulari e dagli archivi meridionali sono però molto differenti dai documenti di secolo VIII. Essi presentano una struttura semplice e formalizzata, che spesso nasconde le peculiarità della singola disputa esprimendo solo l'essenziale di ciascun conflitto insieme ad un coinciso giudizio finale. Contrariamente alle fonti del periodo ducale, i giudicati dei secoli IX e X offrono spesso solamente un'immagine appiattita della società longobarda. La loro struttura e il loro contenuto formalizzato impediscono pertanto di portare avanti un'indagine della rappresentazione dell'autorità e delle pratiche di potere longobardo in Italia meridionale. Questi temi rimangono invece centrali per una ricerca sulla competizione all'interno dell'aristocrazia beneventana durante la metà del IX secolo e sulla relazione tra Longobardi e Carolingi dopo il 774. 8 Dopo la caduta di re Desiderio nel 774, Carlo Magno non completò la conquista militare della penisola italiana: il ducato di Benevento fu lasciato al controllo di Arechi (758-787), che nello stesso anno si proclamò princeps gentis Langobardorum e continuò a regnare in Italia meridionale pressoché indipendentemente. Il confronto e la competizione con l'impero franco sono una delle chiavi per comprendere sia il rafforzamento dell'identità longobarda in Italia meridionale sia la formazione dell'autorità politica principesca. Il secondo capitolo si concentra precisamente sulla transizione dal ducato al principato di Benevento e sul conflitto con i Carolingi tra il secolo VIII e IX. Da un lato Carlo Magno utilizzò il titolo di rex Langobardorum, implicando con quest'ultimo un'autorità politica che si estendeva sull'intero regno longobardo, quindi anche su Benevento. Dall'altro lato, Arechi present sè stesso come l'erede della tradizione longobarda agendo come un vero e proprio sovrano longobardo, totalmente autonomo, in Italia meridionale. Ciononostante, le relazioni tra il principe di Benevento e il re franco rimasero ambigue fino alla sottomissione formale di Arechi nel 787. Una nuova autorità politica, quella principesca, fu plasmata tra 774 e 787 sia in continuità con la tradizione beneventana di autonomia politica sia in opposizione a quella dei sovrani carolingi. La monetazione e i diplomi insieme con l'attività edilizia ebbero un ruolo di primo piano nel dare forma e affermare questo nuovo tipo di autorità politica in Italia meridionale. La seconda e la terza sezione del capitolo si concentrano specificatamente sul progetto politico di Arechi e di suo figlio, Grimoaldo III (787-806). Le fondazioni monastiche di Santa Sofia di Benevento e San Salvatore in Alife furono al centro della strategia di distinzione messa in atto da Arechia prima e dopo il 774. La storiografia ha già da tempo individuato la somiglianza tra la fondazione regia di San Salvatore di Brescia e quella di Santa Sofia di Benevento. Tuttavia, Santa Sofia è stata identificata non solo come una fondazione familiare ma anche come il "santuario nazionale dei longobardi" in Italia meridionale. Prendendo in considerazione il progetto politico di Arechi e la rappresentazione della sua autorità pubblica, la seconda sezione del secondo capitolo si pone come obiettivo quello di riconsiderare sia la dimensione familiare e politica sia il ruolo religioso di Santa Sofia nel principato di Benevento. La stessa sezione analizza anche la ri-fondazione della città di Salerno, che ebbe un ruolo davvero rilevante nel dare forma all'autorità politica di Arechi. Dopo il 774, Salerno divenne sostanzialmente una capitale alternativa a Benevento, in cui il principe poté rappresentare il suo nuovo ruolo politico in Italia meridionale in una cornice differente. Le ricerche archeologiche relative all'area del palazzo salernitano, del quale è sopravvissuta solamente la chiesa di San Pietro a Corte, hanno rivelato alcune importanti caratteristiche della rappresentazione pubblica a Salerno: l'autorità politica di Arechi intendeva combinare la tradizione longobarda con una dimensione locale e anche con il passato classico. Inoltre, sia Arechi sia Grimoaldo III affidarono a Salerno – e non a Benevento – la propria memoria familiare decidendo di essere seppelliti nella cattedrale di questa città. Una delle più importanti opere cronachistiche del Mezzogiorno longobardo, il Chronicon Salernitanum, pone peraltro in evidenza come la città di Salerno abbia conservato fino al secolo X (e oltre) la memoria della prima dinastia principesca nonché quella della nascita del principato longobardo, integrandola come parte della propria identità cittadina. Tra i secoli VIII e IX, le due abbazie più prestigiose dell'Italia meridionale longobarda – San Benedetto di Montecassino e San Vincenzo al Volturno – si ritrovarono nella zona di frontiera con i territori ora sotto l'autorità carolingia e furono gradualmente influenzate dal nuovo quadro politico. Entrambe le fondazioni incrementarono il loro prestigio durante il periodo di instabilità che seguì la conquista franca del regno longobardo (774-787). A cavallo tra i secoli VIII e IX i monasteri di Montecassino e San Vincenzo agirono in modo ampiamente autonomo, relazionandosi sia con le autorità politiche carolingie sia con la società e le autorità longobarde. In alcuni casi ciò portò a delle tensioni e a dei conflitti aperti all'interno delle comunità monastiche, come nel caso dell'indagine a carico dell'abate Poto di San Vincenzo al Volturno. L'ultima sezione del secondo capitolo si concentra su queste due comunità monastiche e su come si rivolsero alla protezione carolingia come una delle possibilità per attraversare questo periodo di incertezza politica mantenendo un ruolo prestigioso e rilevante. La relazione con i sovrani carolingi coesistette comunque sempre con il legame con la società longobarda, che rimase una parte essenziale nella vita e nella memoria dell'abbazia. Fu però solo alla fine del secolo VIII che queste fondazioni iniziarono a ricevere un numero di donazioni davvero ragguardevole da parte 9 longobarda. Dal canto loro i sovrani franchi cercarono di diventare il punto di riferimento politico per quest'area di frontiera conferendo diplomi di conferma e immunità a entrambe le abbazie, diplomi che in Italia meridionale avevano però un ruolo prevalentemente performativo: essi creavano, rappresentavano e memorializzavano l'autorità pubblica e il prestigio di coloro che emettevano questi documenti e di coloro che li ricevevano. La relazione instaurata da Carlo Magno e dai suoi successori con questi monasteri ebbe però conseguenze sul lungo termine sull'immagine che le comunità intesero dare di sé, che gradualmente si spostò dal passato longobardo al prestigio dei sovrani carolingi, quindi dell'impero. Dopo la morte di Arechi nel 787, gli ambasciatori longobardi richiesero il ritorno a Benevento di suo figlio, Grimoaldo, che era tenuto in ostaggio alla corte carolingia. Carlo Magno impose però due condizioni a questo proposito: i Longobardi meridionali dovevano tagliarsi barba e capelli ovvero liberarsi dei loro tratti identitari, e includere il nome del re franco nella monetazione e nella datazione dei diplomi. Grimoaldo III mise in atto quest'ultima richiesta, ma dopo un breve lasso di tempo iniziò a comportarsi come un sovrano indipendente. Le campagne militari condotte dal Pipino, figlio di Carlo Magno e re d'Italia, non riuscirono a portare il principato di Benevento sotto l'autorità franca e l'interesse dei Carolingi verso l'area scemò, perlomeno temporaneamente. L'Italia meridionale poté dunque rafforzare la propria identità longobarda e portare avanti politiche autonome. Il terzo capitolo si concentra sulla competizione politica all'interno dell'aristocrazia beneventana durante la prima metà del secolo IX. Dopo l'accordo con i Carolingi dell'812, l'élite locale rafforzò la propria posizione nella capitale espandendo la propria influenza sul palatium del principe. probabilmente, i membri dell'aristocrazia beneventana non intesero mai ottenere il titolo principesco per sé, almeno non in questo periodo. Essi preferirono cercare di influenzare le scelte del principe così da ottenere uffici pubblici e rendite, che avevano l'obiettivo di confermare lo status sociale dei membri dell'élite, di mantenere e di espandere il loro potere nel cuore del principato. La prima sezione si occupa del principato di Grimoaldo IV (806-817) e sottolinea la debolezza dell'autorità pubblica di quest'ultima a fronte delle pressioni e delle ambizioni dell'aristocrazia locale. Una congiura pose fine al suo regno nell'817, ma la competizione all'interno dell'élite beneventana continuò anche durante i principati di Sicone (817-832) e Sicardo (832-839), diventando peraltro più violenta. La seconda sezione di questo capitolo ha l'obiettivo di identificare le strategie familiari e la rete di relazioni attivata da questi due principi allo scopo di rafforzare il loro potere politico su Benevento e di bilanciare le aspirazioni delle aristocrazie locali. Il legame familiare di Sicardo con uno dei più importanti gruppi parentali di Benevento, quello dei Dauferidi, creò indubbiamente un'asimmetria significativa nell'arena politica dell'Italia meridionale longobarda. il suo matrimonio con Adelchisa fu cruciale nello stabilizzare il suo potere e anche nel legittimare la sua autorità nella capitale. Il sistema di alleanze di Sicardo cambiò però radicalmente le modalità della competizione politica locale: esso impediva a tutti i membri dell'aristocrazia beneventana che non facessero parte del network familiare principesco di accedere al potere. In tal senso, le alleanze ricercate da Sicardo furono direttamente responsabili della successiva guerra civile (839-849). Non fu comunque solo la lotta di fazioni longobarda a portare alla divisione del principato di Benevento nell'849, ma anche un rinnovato interesse dei Carolingi per il Mezzogiorno, che è al centro del quarto e ultimo capitolo della tesi. La terza sezione del terzo capitolo analizza la rappresentazione dell'autorità pubblica dei Siconidi e si interessa in particolare delle strategie di distinzione messe in atto da questi due principi nella città capitale. Contrariamente alla precedente dinastia di duchi e principi, Sicone e Sicardo costruirono una relazione privilegiata con la cattedrale di Santa Maria in Episcopio, che precedentemente aveva invece un ruolo politico limitatissimo a Benevento e anche religioso. Entrambi questi principi traslarono nella cattedrale tutte le reliquie che sottrassero a Napoli e ad Amalfi durante le loro campagne militari. Inoltre, Siconde decise di essere inumato in questa chiesa, che ospitò anche le sepolture dei principi successivi fino alla fine del secolo IX. I furta sacra compiuti dai Siconidi e la relazione stabilita con Santa Maria in Episcopio produsse una trasformazione devozionale nella capitale. Conseguentemente, anche il ruolo della fondazione arechiana, Santa Sofia di Benevento, cambiò tanto che questo monastero femminile perse parte della sua funzione sociale e religiosa a Benevento. Al contrario, la cattedrale accrebbe in potere e ambizioni, iniziando a presentarsi in associazione con il potere pubblico beneventano. Un testo 10 agiografico composto nella prima metà del IX secolo, la Vita Barbati episcopi Beneventani, sembra voler esprimere e affermare precisamente questo nuovo ruolo sociale e religioso del vescovo nell'Italia meridionale longobarda. L'ultima sezione del capitolo esamina brevemente l'ascesa di Landolfo di Capua e dei suoi discendenti secondo quanto già messo in evidenza dalla recente storiografia. Landolfo approfittò della debolezza principesca e della competitività propria di Benevento per costruire un potere locale autonomo nella circoscrizione da esso amministrata. Il quarto e ultimo capitolo completa l'esame della competizione politica beneventana analizzando nel dettaglio le dinamiche del conflitto di fazioni longobardo. La prima sezione presenta il contesto politico che l'imperatore Ludovico II dovette affrontare la prima volta che scese in Italia meridionale mentre il secondo si concentra sul progetto di conquista portato avanti durante il secolo IX nella penisola italiana da gruppi di guerrieri musulmani. Dopo il sacco di Roma dell'842, Ludovico II diresse cinque campagne in Italia meridionale per eliminare l'emirato di Bari e prevenire nuovi attacchi da parte musulmana via mare. Supportato dal papa e dall'aristocrazia romana, l'imperatore carolingio costruì la sua nuova autorità imperiale sul ruolo di protettore della Cristianità contro i musulmani. Le campagne militari di Ludovico II furono però connesse anche alle sue ambizioni politiche in Italia meridionale. Dopo essere intervenuto nella guerra civile longobarda e aver stabilito la divisione del principato di Benevento nell'849, egli volle esercitare un controllo maggiore su entrambi i principati longobardi imponendo la propria autorità politica attraverso la sua presenza fisica nel Mezzogiorno. Partendo da quanto già messo in evidenza dalla storiografia per quanto riguarda il Regnum Italiae, la terza sezione del capitolo prende in considerazione precisamente le ambizioni di Ludovico II in Italia meridionale e analizza le implicazioni che esse ebbero nella costruzione ideologica sottesa alla sua autorità imperiale. Nonostante gli sforzi di Ludovico II per controllare i principati longobardi, l'esperienza militare e politica del sovrano franco rivelò ben presto i propri limiti. Dopo la conquista di Bari nell'871, il principe Adelchi di Benevento imprigionò l'imperatore nel suo palazzo fino a che non ottenne da parte di quest'ultimo la promessa di non ritornare mai più a Benevento. Nonostante il papa liberò ben presto Ludovico II dal suo giuramento, quest'ultimo non riuscì più ad aver un ruolo politico rilevante nel Mezzogiorno. La sua prolungata presenza in questa regione durante il secolo IX cambiò radicalmente gli equilibri politici che governavano sia i principati longobardi sia i ducati tirrenici (Napoli, Gaeta, Amalfi). La quarta sezione si occupa in primo luogo del conflitto tra Ludovico II e Adelchi di Benevento, che cercò ostinatamente di definire la sua autorità pubblica in questa competizione con l'imperatore carolingio. Allo stesso tempo, la competizione interna all'aristocrazia beneventana cambiò radicalmente, approdando a un dissidio di piccola scala tra i membri del gruppo parentale di Adelchi, i Radelchidi. In questo stesso periodo alcuni ufficiali locali espansero il loro potere agendo in modo sempre più autonomo nel loro distretto, così come era già successo a Capua. Quando Ludovico II lasciò Benevento nell'871, sia i ducati tirrenici sia i principati longobardi in Italia meridionale subirono le conseguenze dell'uscita di scena dell'imperatore, sia per quanto riguarda le loro relazioni reciproche sia per la loro stabilità interna. La competizione per il potere e l'autorità a Salerno e Capua-Benevento cambiò a sua volta e due differenti sistemi politici furono gradualmente stabiliti in questi principati. nonostante la trasformazione radicale della competizione interna e la conquista bizantina di una larga parte di Puglia e Basilicata alla fine del secolo IX, i principati longobardi rimasero indipendenti fino al secolo XI, quando l'Italia meridionale fu infine conquistata dai Normanni.