This chapter is a short essay by one of the leaders of the Italian Co-operative Movement. Why is the nature of co-operative firms questioned? Other types of enterprises don't face such questions. If there is an incident at a joint-stock company or a traditional capital company, nobody questions the entire genus. Obviously when mistakes become very frequent or patently obvious, the debate is re-opened on the need for prevention, by correcting or strengthening governance or regulating corporate offences in another way. By means of what policy (today, a European co-operative policy is needed rather than a national one) high quality co-operation can be sustained? Perché la natura delle imprese cooperative è sempre in discussione? E soprattutto perchè della stessa attenzione non sono oggetto anche le altre tipologie di imprese come ad esempio quella capitalistica? Esiste forse un pregiudizio o altro nei confronti delle imprese cooperative? A domandarselo in questo capitolo è uno dei leader del movimento cooperativo italiano che a queste e altre domande come quale politica (anche europea) sia oggi necessaria per le imprese cooperative cerca di rispondere in questo capitolo.
Le remunerazioni manageriali, a lungo considerate come uno dei temi più banali del diritto societario, rappresentano oggi uno dei principali aspetti della corporate governance delle società quotate, costituendo un fattore decisivo per il buon governo societario. Una remunerazione sostenibile si è infatti rivelata essere uno degli strumenti più efficaci per allineare gli interessi di soci e amministratori, nonché la principale leva con cui gli emittenti, specie quelli quotati, possono attrarre gli amministratori più competenti, indispensabili per la realizzazione del successo societario. La materia, tuttavia, non è priva di ombre. Numerose sono infatti le criticità che remunerazioni mal congegnate hanno fatto emergere e che hanno condotto all'adozione di normative sempre più severe, sia con riferimento all'iter di adozione delle politiche remunerative, sia relativamente al loro stesso contenuto. A questo proposito, si pensi, per esempio, al potenziamento del ruolo assembleare in materia, all'introduzione di clausole correttive ex post, ma anche alla fissazione di tetti massimi di compenso. Il presente elaborato si propone dunque di analizzare i principali aspetti della materia, evidenziando come un argomento secondario sia divenuto negli anni un tema vivo e centrale, crocevia degli interessi di emittenti, investitori e regolatori. A tal fine, si prenderanno le mosse da un'analisi dell'articolato contesto normativo di riferimento, per poi entrare nel vivo della materia, dedicandosi così ampio spazio agli istituti tipici delle remunerazioni manageriali, quali il comitato per la remunerazione, la relazione sulla politica in materia di remunerazione e sui compensi corrisposti, nonché il relativo voto assembleare. Successivamente, si entrerà nel merito dei pacchetti remunerativi, analizzandosi in particolare la natura, la funzione e il funzionamento delle varie tipologie di compenso, il principio del pay for performance, e alcune delle voci di remunerazione più controverse. Infine, si concluderà con una riflessione sul ruolo svolto dalle remunerazioni nella "nuova società quotata".
Il presente lavoro, riconoscendo la rilevanza che le aziende familiari detengono all'interno del contesto internazionale, con particolare riferimento a quello italiano, si propone di analizzare la loro propensione verso l'implementazione della strategia di acquisizione. In particolare lo studio, composto da tre paper tra loro connessi, è volto a delineare una "fotografia" del tessuto imprenditoriale italiano rilevando le caratteristiche delle aziende familiari e della tipologia delle operazioni di crescita per via esterna da queste conseguite. Inoltre, la ricerca fornisce delle comparazioni con le operazioni svolte dalle imprese non familiari così da comprenderne similitudini e differenze evidenziando come la partecipazione della famiglia proprietaria, sia in termini di proprietà che di gestione, incida sulla predisposizione ad acquisire. Il primo paper indaga l'attitudine delle imprese familiari e non familiari ad acquisire, mostrando tipologie e caratteristiche delle operazioni di crescita per via esterna da queste conseguite nel periodo 2000 – 2014. Il secondo lavoro, approfondito il ruolo della distanza culturale ed economica tra acquirente ed acquisita, verifica se le aziende familiari hanno economicamente beneficiato dell'implementazione della strategia di crescita per via esterna. Il terzo contributo analizza come le differenti modalità e livelli di coinvolgimento diretto della famiglia alla vita d'impresa incida sulla predisposizione ad acquisire. ; The aim of this work, which recognizes the importance of family-owned firms in the international environment – focusing in particular on the Italian context – is to analyze their propensity to implement the acquisition strategy. The study, composed of three interrelated papers, is intended to "take a picture" of the Italian entrepreneurial fabric, by detecting the features of family firms and the type of growth operations through acquisitions. Furthermore, this research outlines comparisons with the operations led by non family firms, in order to understand similarities and differences by highlighting how the role of family owner, both in terms of property and management, influences the propensity to acquire. The first paper examines the propensity of family and non family firms to acquire, showing the types and features of the growth operations through acquisitions in the timeframe 2000 - 2014. The second paper, after studying in depth the role of the cultural and economic distance between the acquirer and target, checks whether family firms benefitted from the implementation of acquisition. The third paper analyses the influence of the several implementation procedures and the level of direct involvement of the family in the life of the firms on the propensity to acquire.
Questo libro, frutto di un progetto di ricerca del Laboratorio di ""Corporate e investment banking"" presso il Dipartimento di Management dell'Università di Roma ""La Sapienza"", analizza la problematica finanziaria dei distretti industriali italiani alle prese con strategie di uscita dalla crisi e di rilancio. Esso si interroga sui modelli di governance delle economie territoriali e sul ruolo che vi possono svolgere, insieme ad altri attori, le banche locali e i gruppi bancari. Non si tratta solo di arricchire l'offerta dei servizi bancari con gli strumenti di corporate finance e investment b
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Il sistema di controllo interno, se correttamente impostato, è un elemento determinante per una gestione aziendale efficace ed efficiente. L'attività di revisione esterna, in tutte le sue forme di manifestazione, deve essere necessariamente inquadrata come un'insieme di attività volte a valutare l'affidabilità del sistema di controllo interno a "garantire" l'efficienza e l'efficacia gestionale, nonché l'attendibilità delle informazioni di bilancio. Il presente studio sul sistema di controllo interno, sulla revisione esterna e sugli attori del controllo interno considera anche il costante mutamento ed incremento normativo che ha influenzato, in maniera considerevole, l'attività di controllo interno. Gli impellenti interventi normativi, di portata nazionale ed internazionale, hanno tratto la loro origine dai crack finanziari, che hanno evidenziato la trascuratezza, nell'attuale sistema, del tema della corporate governance. Nonostante la loro importanza per evitare il ripetersi di tali accadimenti, i numerosi interventi legislativi succedutisi negli ultimi anni, hanno condotto ad un accrescimento sia del numero dei soggetti, interni ed esterni, dotati di compiti di responsabilità e controllo, sia della complessità delle relazioni intercorrenti tra gli stessi. In estrema sintesi, infatti, le varie normative inerenti alla corporate governance, se da un lato hanno determinato una sempre crescente sensibilità al tema del controllo interno, dall'altro hanno comportato una frammentazione dell'attività di controllo, con il potenziale rischio di sovrapposizioni fra le diverse attività di controllo e, dunque, di inefficacia ed inefficienza, sia informativa che gestionale. Lo studio trae dunque spunto dalle considerazioni sopra svolte. La ricerca ha avuto in particolare la finalità di studiare sia un approccio integrato al controllo, orientato alla costruzione di processi sinergici, volti alla ricerca di diverse forme di economicità sia il prezioso contributo della revisione esterna al continuo potenziamento del sistema di controllo interno. Il percorso di analisi si sviluppa in quattro capitoli, dei quali si espongono i tratti salienti. Il primo capitolo offre un contributo introduttivo, utile ai fini dell'individuazione e dell'inquadramento delle principali tematiche inerenti alla revisione esterna. In particolare, esso si concentra sull'evoluzione storica della revisione. Si illustrano i riscontri documentali che testimoniano la presenza dell'attività di revisione già nel XIII secolo. In seguito, al fine di apprezzare il rilevante ruolo da sempre attribuito alla revisione, viene analizzata l'evoluzione storica dell'istituto fino ad arrivare ai giorni nostri. Il secondo capitolo tratta del sistema di controllo interno. In particolare, viene studiata l'evoluzione del sistema di controllo interno sia nella dottrina economico – aziendale italiana che nella dottrina di derivazione anglosassone. Con riferimento a tale tematica non possiamo prescindere dai riferimenti legislativi e da interventi di organismi professionali, italiani ed esteri. Nel terzo capitolo, dopo aver illustrato i diversi attori del controllo interno, si propone un approccio integrato al controllo interno. Lo studio di un possibile controllo integrato ha il fine di evitare di incorrere nel rischio, da un lato, di un "eccesso di controllo" su attività a scarso valore aggiunto, dall'altro, di una "carenza di controllo" su attività determinanti per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. In questo senso è inoltre indispensabile l'individuazione di possibili sinergie tra controllo interno e controllo esterno. Tale approccio integrato da un lato determinerà un potenziamento dell'attività di controllo (sia interno che esterno) e dall'altro consentirà una razionalizzazione delle risorse economiche destinate all'attività di controllo nella sua globalità. L'ultimo capitolo affronta il tema delle relazioni tra il sistema di controllo interno e la revisione esterna. Ciò rappresenta la prospettiva evolutiva del sistema di controllo interno, ovvero di quell'insieme di attività che devono trovare un necessario coordinamento ed integrazione non soltanto tra gli elementi interni del controllo ma anche con quelli esterni. La comprensione, la conoscenza, nonché la valutazione del sistema di controllo interno dell'azienda revisionanda costituiscono dunque presupposti irrinunciabili per tutte le attività di controllo del revisore, siano esse di natura contabile (revisione contabile), siano esse di natura gestionale (revisione gestionale). Il capitolo tratta altresì dell'importanza di un sempre maggiore potenziamento dell'attività di controllo interno per l'attività di revisione aziendale. In questo senso, l'esistenza di una funzione di revisione interna, a presidio del sistema di controllo interno, costituisce una garanzia per l'operatività ed il costante miglioramento del sistema stesso, garanzia che opera anche nei confronti del revisore esterno.
Human resource management (HRM) has an important responsibility in supporting higher levels of business sustainability development (BSD). In the past decade, traditional strategic HRM focused on economic goals has been supplemented by environmental and social imperatives, framing a new approach called sustainable HRM (SHRM). My research addresses HRM and sustainability linkages. Little research has been carried out on how human resource (HR) professionals' roles can fit with a spectrum of levels of BSD. In addition, the communication of HRM supporting sustainability has been explored privileging a quantitative approach. I argue that the relationship can be understood in a complementary way through qualitative and temporal analysis and that different scientific paradigms are needed to enrich the knowledge. The research is structured as a collection of three scientific articles. First, three typologies of HRM professionals' roles for three levels of BSD are built grounded on roles and paradox theories through a methodological roadmap expressing inherently paradoxical roles and mindsets. This first article is based on a post-positivist, functionalist and universalist approaches. Secondly, a visual rhetoric analysis of photographs in sustainability reports is conducted in a single case study to interpret the messages embedded in the disclosure of the relationship of HRM and sustainability. Finally, the analysis is complemented by a temporal visual rhetoric analysis, which enables us to identify the themes of capabilities, relationships, vulnerability, happiness and national identity that go beyond the standardization of annual reports. The dynamic analysis suggests that the evolution of the disclosure is dependent on contingency in contradiction with sustainability commitment. The second and third articles are underpinned on a subjectivist, constructivist and contextual approach. This research concludes that there is a need to update the HRM roles for BSD and that the relationship between HRM and sustainability is the result of ideologies, contextual and contingent features that are hidden in visual artefacts. My significant contribution to the knowledge is that this research expands the SHRM approach by adopting functionalist and constructivist paradigms, as well as offering methodologies for typology building, unique visual rhetoric procedure and temporal analysis, bridging macro and organizational levels. It raises unexpected issues such as organizational myth making, legitimation of practices, and political and colonial heritages for discussion among practitioners, corporate governance and policy makers. This research illuminates the need to work simultaneously in normative and interpretative perspectives of mindsets to advance in a SHRM approach for the good of the planet.
From European policies to Local Government's projects for a Territorial Social Responsibility. The case of Marche Region Territorial Social Responsibility (TSR) is founded on the rediscovery of the values shared by economic, social and institutional actors within a territory. CSR-oriented partnerships between local and private partners can be considered as a new generation of policies which are the result of a common path founded on collaboration. The shift from Corporate Social Responsibility (CSR) to collective responsibility sees institutions and organisations (public and private, for profit and non-profit) participating in a form of economic development that is socially and environmentally sustainable. Drawing from the above consideration, after having analysed how the concept of TSR has been adopted in the EU policies and in the Italian national plan, the aim of our research is the evaluation of Italian local government initiatives to promote Corporate Social Responsibility through public-private network. The empirical study is focused on the "Regione Marche" experience, which is an example of shared territorial governance and of a practive model aimed at promoting a territorial sustainable development
La riforma del diritto societario attuata con il d.lgs 17 gennaio 2003, n.6 ha introdotto nell'ordinamento giuridico italiano l'istituto giuridico delle azioni correlate1 al fine di rendere le forme di finanziamento della società per azioni più efficienti, flessibili e maggiormente adatte alle esigenze degli investitori e dei mercati dei capitali, offrendo l'opportunità di un investimento remunerato secondo la produttività di uno specifico settore dell'attività esercitata dalla società emittente (cfr. l'art. 2350 comma 2, secondo cui le azioni correlate sono "azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore"). Il Legislatore definiva nella relazione accompagnatoria al d.lgs. n.5/2003 le azioni correlate come "un ulteriore strumento, oltre a quelli previsti con i patrimoni destinati ad uno specifico affare di cui all'art. 2447-bis, per accedere a finanziamenti destinati". 1 Tale denominazione, già proposta in un intervento anteriore alla pubblicazione dei progetti di riforma da G.B. PORTALE, Dal capitale "assicurato" alle "tracking stocks", in Riv. Soc., 2002, p. 163, è poi stata recepita in sede di lavori preparatori. 5 L'introduzione delle azioni correlate nel nostro ordinamento si inserisce nel più generale contesto della moltiplicazione delle categorie di azioni nella prospettiva di ampliare gli spazi concessi all'autonomia statutaria in modo da favorire la nascita, la crescita e competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali di capitali. La riforma del diritto societario del 2003, infatti, non solo ha aperto nuovi spazi di autonomia per i privati attraverso la modifica dell'art. 2348 c.c., ma ha anche ampliato la gamma delle azioni speciali tipiche. In tal modo, il Legislatore italiano ha voluto dotare la società per azioni di una struttura finanziaria efficiente e concorrenziale rispetto a quelle offerte da altri ordinamenti europei o extra-europei e ciò nella consapevolezza che in una realtà globale la concorrenza tra sistemipaese si gioca anche sul piano della competizione tra ordinamenti giuridici2. Il nuovo istituto pone complesse questioni interpretative e delicati problemi di ricostruzione della disciplina, la quale in alcuni casi è quasi interamente rimessa allo statuto e non suggerita neppure da norme di carattere dispositivo 3. 2 Cfr. U.TOMBARI, Azioni di risparmio e strumenti ibridi "partecipativi", Firenze, 2000, p.17 ss. 3 Vedi U.TOMBARI, La nuova struttura finanziaria della società per azioni, in 6 In particolare, l'ampliamento dei canali di finanziamento della società per azioni (azioni, obbligazioni, strumenti finanziari partecipativi) comporta molteplici problematiche connesse ai profili di corporate governance e ciò in quanto in presenza di una pluralità di strumenti finanziari e categorie di investitori con interessi potenzialmente confliggenti, ci si chiede quali interessi debbano perseguire gli amministratori nella gestione dell'impresa e quali strumenti di tutela siano a disposizione di ciascuna tipologia di investitori. Infatti, l'emissione di una pluralità di tipologie di azioni, obbligazioni e strumenti finanziari comporta il sorgere di potenziali conflitti c.d. orizzontali, cioè conflitti di interesse tra diverse categorie di finanziatori/investitori4.
La domanda può, a prima vista, suonare un po' accademica: si può misurare il valore di un sistema di controllo? La questione è, in realtà, molto concreta. In una fase, come quella che molte imprese stanno vivendo, di ripensamento dei modelli organizzativi e di business, rispondere è d'importanza cruciale per il management. Le imprese, in generale, hanno investito molto per rendere efficaci i controlli interni: più addetti, nuovi sistemi informativi, maggiore lavoro per tutta l'organizzazione. L'investimento è stato spesso dettato da recenti obblighi normativi e dalle sollecitazioni di regolatori e autorità di vigilanza. Altre volte si è trattato di una scelta determinata dall'operare in contesti di mercato impegnativi, per esempio quelli internazionali, che implicano l'adozione di standard adeguati. La voce controlli ha, in ogni caso, acquisito un peso crescente nel conto economico diventando, inevitabilmente, un possibile target quando, pressate dalla bassa congiuntura, molte imprese si sono trovate a dover stringere la cinghia. E allora anche per gli Internal Auditor è diventato importante dare una misura del proprio contributo al risultato. È in quest'ottica che l'Internal Audit costituisce un supporto per la corporate governance, offrendo un prezioso contributo alla valutazione del sistema di governo strategico e operativo dell'impresa e assumendo un atteggiamento proattivo per il suo miglioramento continuo. Tutto ciò determina lo sviluppo di una cultura del controllo interno, inteso non come un mero proliferare di controllori rispetto agli esecutori, ma come un sistema integrato d'azienda ove le attività di controllo si coniugano con quelle di gestione del business. La professione dell'Internal Auditor è stata caratterizzata, nel corso degli anni, da un'importante evoluzione storica, che ha determinato lo spostamento del suo raggio d'azione da verifiche limitate principalmente ad aspetti di conformità normativa e procedurale ad attività di maggiore ampiezza nell'ambito del controllo sistemico, della consulenza organizzativa e della governance aziendale. Questo processo evolutivo ha richiesto un incremento degli skill per lo svolgimento della professione e ha determinato una maggiore visibilità e credibilità della stessa Funzione aziendale. A tal fine l'Associazione Italiana Internal Auditor ha fornito un notevole contributo poiché, oltre a promuovere lo sviluppo delle tematiche di controllo interno e di gestione dei rischi verso tutti gli stakeholder interessati alla corporate governance, garantisce la diffusione degli Standard Internazionali per la Pratica Professionale dell'internal auditing (IPPF), sostiene la formazione continua per la professione e il conseguimento di certificazioni specifiche riconosciute a livello internazionale e contribuisce alla realizzazione di programmi di quality assurance. Le organizzazioni hanno la necessità di considerare nuovi approcci alternativi alle tradizionali attività di Internal Audit, spinti da business in continua trasformazione e dall'evoluzione del panorama normativo e regolatorio che esercitano pressioni sui costi, sulle persone e sui processi. Il Continuous Auditing e il Continuous Monitoring, che si configurano quali nuove opportunità da affiancare all'attività di Internal Audit, utilizzati in modo adeguato, possono aiutare le organizzazioni a gestire in modo efficace le esposizioni ai principali rischi, in quanto consentono di rilevare, monitorare e prevenire anomalie in modo più facile, completo e tempestivo rispetto agli approcci tradizionali. Il processo di Continuous Auditing contribuisce a garantire la conformità alle politiche e procedure aziendali. In molti casi, questo sistema può operare come strumento di «allarme» per individuare preventivamente aspetti critici del Sistema di Controllo Interno. Significa quindi, eseguire verifiche ad elevata frequenza (fino, addirittura, nel continuo) su base dati integrali (senza dover campionare) e in automatico (utilizzando i CAAT). L'uso implicito di strumenti automatizzati permette anche l'applicazione di nuove tecniche di analisi euristica in grado di evidenziare l'esistenza di problemi nascosti o non anticipati. Il processo di Continuous Monitoring permette, invece, di avere una visibilità realtime del corretto funzionamento e dei problemi dei processi operativi o di business dal punto di vista del manager. Il collegamento e l'osmosi di approcci tra i due processi arriva in profondità, a tal punto che in determinati casi gli strumenti automatizzati possono essere i medesimi, impiegati con ottiche e scopi diversi, ma sempre con l'obiettivo di minimizzare i tempi di intervento e le conseguenze di errori, di non conformità e di potenziali frodi. Appare evidente il vantaggio che le organizzazioni possono trarre dall'introduzione di approcci di questo tipo, in termini di risparmi diretti e di minori problemi dei sistemi operativi e di quelli di controllo. Non si tratta di abbandonare gli audit tradizionali, si tratta di introdurre nuove tecniche che consentano di aumentare la copertura della funzione e di focalizzare meglio la pianificazione degli audit tradizionali che per loro natura sono molto affidabili ma anche particolarmente dispendiosi in termini di tempo e costi. In quest'ottica, l'ottimizzazione della qualità dei controlli si lega alla capacità di prevedere i comportamenti a maggior rischio nei vari cicli aziendali che possono impattare sul business e quindi sul conto economico. La capacità di identificare ex ante un insieme di comportamenti anomali (dall'inosservanza delle procedure interne fino alla frode), costituisce la nuova sfida cui sono chiamate a rispondere le funzioni di controllo, congiuntamente alle funzioni di business. L'introduzione di strumenti di Continuous Monitoring o Continuous Auditing nelle organizzazioni consente la realizzazione di questi obiettivi. In una survey pubblicata cinque anni fa si prevedeva che " nei prossimi cinque anni gli internal auditor si focalizzeranno sempre più sui temi del continuous auditing and assessment, nel tentativo di ottimizzare e migliorare i processi di audit. Gli audit diventeranno più dinamici e saranno effettuati secondo necessità dettate più dai cambiamenti dei profili di rischio di volta identificati che da calendari di audit prestabiliti secondo le logiche tradizionali. In questa ricerca di maggiore efficacia ed efficienza gli auditor faranno leva sulla tecnologia combinata con la loro innata capacità analitica di identificare key risk indicators che possono monitorare al meglio le condizioni di rischio". Quella che cinque anni fa sembrava solo una possibile evoluzione, ottimisticamente azzardata, delle funzioni di controllo, in questi ultimi anni è diventata realtà: in tutto il mondo le organizzazioni più avanzate hanno compiuto questo fondamentale passo avanti nel percorso evolutivo della funzione di Internal Audit, e sono sempre più aziende che stanno seguendo l'esempio dei leader, affacciandosi con interesse a questa soluzione. La maturità raggiunta dalle funzioni di controllo e dai suoi protagonisti, unita a una tecnologia finalmente in grado di analizzare e rendere disponibili i risultati in real time, ci consente di vedere con chiarezza le future evoluzioni. Ecco che le imprese sono sempre più alla ricerca di tecnologie specifiche che garantiscano gli imprescindibili requisiti di trasparenza, sicurezza e disponibilità dei dati, nonché l'integrità di ogni singola transazione. Il software di data mining maggiormente adottato in relazione al rispettivo fabbisogno, è Audit Command Language (ACL), con la finalità di rielaborare le informazioni secondo alcuni algoritmi associati agli indicatori di rischio, i quali a loro volta hanno il compito di attivare dei segnali di "alert" in caso di superamento dei livelli di soglia predeterminati. Specificamente concepite per le attività di controllo e gestione dei rischi, le soluzioni ACL di Audit Management si rivelano essere le migliori attualmente sul mercato e sono riconosciute come leader nel campo della Data Analysis. Per questo oltre 14.500 aziende in tutto il mondo, di cui più di 100 tra le maggiori imprese italiane di tutti i settori, hanno già adottato ACL.
Considering the current diffusion of blockchain technology in the most different fields, ranging from public governance to economics, from contractual applications to health, the contribution addresses the issue of the legal regulation of this new technology, precisely because of its vast applications. From the comparison between the European model and the American one, the approach of the European legislator ‒ despite the delay with which the institutions have addressed the issue, seems to show, as already happened in other areas, a more 'social oriented' perspective and based on a sort of 'democratization' of data compared to the American approach, more 'business oriented', where the scholars have already had the opportunity to investigate this issue, especially in the field of corporate law. Aware of the complexity of the phenomenon at issue, due to its intrinsic dynamism, the intention is to highlight the opportunity to adopt a method known as "regulatory sandbox", to adequately interpret the naturally transnational character of the subject under analysis.
La tesi prende in esame, nell'ambito del diritto societario, la disciplina del recesso del socio da società per azioni ed in particolare il tema della efficacia della dichiarazione di recesso e la perdita dello status socii. La riforma delle società di capitali attuata dal d.lgs n. 6/2003 ha modificato in modo rilevante l'istituto del recesso, assegnando alla fattispecie una nuova vitalità. Nel sistema originario del codice civile del 1942 il legislatore aveva delineato la figura del recesso del socio di società di capitali quale strumento eccezionale, preoccupandosi di definirne più i limiti che le potenzialità. A causa dell'efficacia disgregatrice ed esiziale per l'organizzazione d'impresa, la direttrice utilizzata fu quella della marginalizzazione della fattispecie. Solo ad inizio del nuovo millennio il legislatore ha voluto attribuire a questo istituto un ruolo più incisivo, a partire dallo spazio riservato nell'impianto codicistico di sei articoli, in sostituzione dell'unico originario, così da poter parlare di(ri)nascita di una fattispecie lasciata fino ad allora in uno stato embrionale, annientata nelle sue potenzialità di tutela del socio. Alla tradizionale funzione legata all'interesse dell'azionista a sciogliere il vincolo societario per dissenso verso le scelte della maggioranza, se ne è affiancata un'altra che, in linea con l'obiettivo perseguito dalla riforma di rendere le società collettori di capitali più attraenti, consente al socio di disinvestire agilmente la propria partecipazione. Il recesso legittimamente esercitato offre uno strumento utile a fini di negoziazione endosocietaria, non più solo meccanismo di difesa del socio di minoranza avverso le decisioni assunte dalla maggioranza in grado di alterare sensibilmente le condizioni di rischio dell'investimento, ma anche mezzo di rinegoziazione del programma societario.Nonostante i meriti riconosciuti alla riforma di aver fornito all'autonomia privata un istituto del recesso riformato ed ampliato, a più di dieci anni dall'entrata in vigore delle modifiche societarie, permangono ancora punti oscuri che determinano dubbi nell'applicazione di un istituto che ha ormai assunto un ruolo centrale negli equilibri sociali. Incerti continuano ad essere i tempi ed, in particolare, perdura l'interrogativo sul momento di efficacia del recesso in termini di definitiva perdita da parte del recedente della sua qualità di socio ed insieme dei connessi diritti sociali, differenti da quello residuo al rimborso. Tenuto conto dell'articolato (e spesso non breve) iter che separa l'istante della ricezione della dichiarazione di exit del socio da parte della società, da quello dell'effettivo versamento del valore di liquidazione della partecipazione, l'individuazione dell'istante in cui possa dirsi cessato il rapporto sociale ha centrale importanza per la certezza dei rapporti giuridici. È proprio su questo limbo temporale che la tesi concentra l'attenzione, al fine di comprendere se e fino a quando il socio recedente possa considerarsi ancora tale o sia per lui prospettabile un depotenziamento delle prerogative partecipative. Si tratta di un problema di rilievo, in quanto ciascuna differente soluzione ha ricadute diverse sull'agere della società e sulla certezza dei rapporti giuridici. Lo studio condotto analizza lo status socii a partire dai principali diritti, amministrativi e patrimoniali di cui l'azionista dispone, quali il diritto di voto, il potere di impugnare le delibere assembleari, di esercitare l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, il diritto d'opzione. Ciascuno di essi tutela interessi differenti e, con riguardo al socio uscente, si analizza se essi sopravvivano nelle more del procedimento di recesso o se la dichiarata volontà di non far parte più del sodalizio sociale faccia venir meno la ragione giustificatrice del diritto. La prospettiva adottata è stata quella di ricercare un delicato equilibrio tra posizioni contrapposte, della società e dell'azionista uscente, valorizzando il "multiforme ingegno" del recesso, oggi strumento sia di voice che di exit. ; The origin of the withdrawal right is tied to the move in Corporate Law to majority approval of fundamental corporate changes, and away from a requirement of unanimous shareholder consent. The system of the withdrawal right assures a safe exit for minority shareholders, especially when they are members of a not listed company. Unlike limited liability companies whose stocks are sold in the capital market, in not listed ones the rule "if you do not like the management, sell your stock" is not valid. Nevertheless, it is worth pointing out the evolution this right had in recent years: now withdrawal right can also be an instrument to juggle a shareholder's stay in corporation, using the weight of their shares and the loss of liquidity for the company, to achieve a favorable change in majority's policy or to prevent transactions.In this polyfunctional exit procedure it is important to balance protection between the shareholder who has decided to leave the company and, on the other side, the corporation which still continues to exist without the capital of withdrawn shareholder. What happens in withdrawal right is something similar to what economists call "prisoner's dilemma", because every involved subject does not know the reaction to his decision made by the other one, despite the common known goal being the highest individual payoff. Every part, like in the games theory, is obliged to suffer the effects of other's action. The withdrawal right can be a serious threat if the shareholder, using the option of the exit, loses less than the damage inflicted by the company with the majority decision taken. It must be considered that the exit process from the company is not always fast and accepted, but there are phases requiring time (shareholder's decision has to be communicated to the company; company should provide to liquidate the participation or hinder shareholder's proposal). In this length of time, that can last months or years in case of judicial controversy, it fails to grasp if shareholder is still a member or not of organization with their traditional rights and power. In the Italian system of Law the latter company reform (d.lgs. 6/2003) has provided discipline of exit remedy but a certain statement about the moment of the loss of shareholder membership has not been provided. Two different perspectives are possible: if a shareholder is considered as a stakeholder, they should have only a claim of credit from the company, because they are yet considered outside the business corporation; while if they are considered as a shareholder, it should be necessary to identify boundaries of their acting. The risk is that shareholder could abuse their residual position and their rights to hinder or damage the company, due to them being no longer interested in pursuing the best corporate policy, having already an issued, unmodifiable credit claim on the corporation. Nevertheless, it is also true that the withdrawn shareholder is inside the company until the debt is not liquidated, so they could play an active part, although reduced, in corporate governance. The question to solve for withdrawal procedure is the destiny of shareholders who have decided to leave and their surviving role in corporation as shareholders or stakeholders. The thesis try to identify power and rights of members who want to leave company, but are still inside during the withdrawal right procedure. These questions are essential for certain, swift and efficient capital relationships.
La tesi di dottorato elaborata dal dott. Serafini analizza specificamente lo "statuto civilistico" di associazioni e fondazioni del Terzo settore, come risultante a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, recante il «Codice del Terzo settore, a norma dell'art. 1, co. 2º, lett. b), della legge 6 giugno 2016, n. 106». In particolare, l'indagine è stata condotta nella prospettiva – segnata, in primis, dal legislatore delegante – della ridefinizione del ruolo del Terzo settore, nell'ambito dei rapporti tra Stato e cittadini, così come emergente da una lettura costituzionalmente orientata (ex. art. 118, co. 4°, Cost.), delle norme in tema di autonomia privata ed attività dei gruppi intermedi non lucrativi. Il fenomeno del Terzo settore è identificato per differenza rispetto a quelle forme organizzative della società civile che non sono riconducibili né alla struttura dello Stato (Primo settore) né alla dialettica del mercato (Secondo settore). Tale fenomeno individua, appunto, l'insieme dei soggetti che utilizzano strutture giuridiche collettive private, (anche) al fine della produzione di beni o di servizi, con destinazione al soddisfacimento di bisogni "sociali". In considerazione del carattere relativo e storicamente determinato dell'àmbito di autonomia riconosciuto ai privati nell'auto-organizzazione in strutture metaindividuali, il Capitolo I è stato dedicato alla ricostruzione storica dell'evoluzione dei rapporti tra Stato e corpi intermedi. A tal fine, si è scelto di analizzare due istituti che costituiscono un'efficace "cartina al tornasole" del fenomeno in discorso. Il riferimento agli istituti della personalità giuridica e della soggettività giuridica, intesi quali «procedimenti tecnici elaborati in vista dell'attribuzione di determinati vantaggi pratici a gruppi organizzati di individui» La progressiva autonomizzazione del diritto dei privati dal controllo statale è stata ricostruita dando ampio spazio, non solo al dato normativo, ma anche al formante dottrinale, con particolare attenzione all'impatto della Costituzione repubblicana sulla sistematica del diritto privato delle società intermedie. Primo punto d'assestamento dell'analisi sviluppata nel Capitolo I è costituito dall'illustrazione del nuovo regime di acquisto della personalità giuridica, riservato agli enti che intendano qualificarsi come "ETS" (mediante iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore). Peraltro, com'è stato rendicontato nell'elaborato, tale regime – che si affianca a quello previgente previgente ex d.P.R. n. 361/2000 – ha suscitato considerevoli reazioni della dottrina, in merito ai (plurimi) problemi di coordinamento tra le due discipline di riferimento. Definito, nel Capitolo I, l'approccio generale del legislatore della riforma al tema dell'attribuzione della personalità agli enti del Terzo settore, nel Capitolo II sono stati analizzati gli elementi qualificanti per la sussunzione nella categoria degli ETS. Tale verifica, oltre ad essere intesa a definire il perimetro soggettivo della riforma, è diretta al fine di individuare dei presupposti causalistici ed organizzativi alla ricorrenza dei quali è consentito ai privati di accedere al trattamento di favore che il Codice riserva gli enti in discorso. A ben vedere, è tra il Capitolo II e il Capitolo III (volto ad indagare la specifica disciplina di associazioni e fondazioni del Terzo settore), che si rivela l'attitudine interdisciplinare del tema de qua, che vede, nel diritto tributario, un "fine" e, nel diritto commerciale, (quantomeno) un "mezzo". Sul presupposto dogmatico per cui la forma giuridica della personalità non incida sull'essenza della soggettività, limitandosi bensì ad indicarne una disciplina funzionale ad assicurare l'accesso a determinati effetti giuridici, il Capitolo III indaga quali siano questi effetti con riferimento specifico agli enti del Terzo settore. Questi ultimi, nella prospettiva sopra indicata, sono individuabili nell'accesso, da un lato, al regime fiscale agevolato e, dall'altro lato, al c.d. "statuto civilistico" degli ETS. Detto statuto, costituito dal complesso di regole di governance e di controllo, costituirebbe un valore in se', in vista del quale i privati sarebbero mossi alla iscrizione del Registro unico degli enti del Terzo settore. Difatti, mentre molti Autori hanno individuato il movente principale per (ambire a) qualificarsi quali ETS solo nella possibilità di accedere ad un regime fiscale agevolato, il lavoro qui presentato illustra come concorra con detta causale quella di presentarsi nel mercato con un'organizzazione più strutturata e con una trasparenza maggiore, di talché risulti potenziata la c.d. accountability sociale dell'ente. Ciò convince soprattutto se si accede alle più moderne ricostruzioni della law and economics che spiegano come il favore dell'utenza verso gli enti non profit deriverebbe dalla circostanza che questo settore meglio soddisfa il desiderio dell'utente di beneficenza, cioè, in particolare, di acquistare beni e servizi destinati, in ultima istanza, al soddisfacimento (anche) di un fine altruistico. Il codice del Terzo settore tutela specificamente la verificabilità di tale fine, estendendo agli ETS un'articolata serie di norme di corporate governance, di controllo contabile e di trasparenza, costituenti, appunto, lo "statuto" di cui sopra. In definitiva, l'elaborato mira ad offrire una ricostruzione sistematica della disciplina degli enti del Terzo settore, nella convinzione che questa possa costituire oggetto di particolare rilievo teorico, per gli studiosi della soggettività metaindividuale, e di grande interesse pratico, per i gruppi sociali intermedi attivi nel mercato del "non per profitto".
Lo scopo di questo progetto è quello di fornire un quadro il più possibile completo e aggiornato sugli strumenti che le imprese italiane, ed in particolare le Piccole e Medie imprese, hanno a disposizione per tutelarsi dai rischi che gravano sulle operazioni internazionali. È noto, infatti, come la globalizzazione dell' economia, e quindi la progressiva liberalizzazione degli scambi sui mercati internazionali, abbia comportato la necessità da parte delle imprese di attrezzarsi al fine di cogliere le opportunità e ridurre al minimo i rischi legati alle esportazioni. Infatti, al giorno d' oggi, la strada dell' export spesso risulta essere non più un' alternativa strategica, ma un vero e proprio percorso obbligato per le imprese al fine di evitare il rischio di essere estromessi dai mercati più redditizi. A tal proposito ha assunto sempre più peso la necessità, sia da parte di compagnie assicurative private (Atradius, Euler Hermes, Coface) che da parte dello Stato italiano, di dare sicurezza agli esportatori offrendo loro gli strumenti più adatti alle proprie esigenze. L' esportatore finanziario, infatti, per soddisfare i propri bisogni ha oggi a disposizione diversi prodotti e servizi in grado di garantirgli la necessaria sicurezza per operare sui mercati internazionali: report informativi e risk profiling, assicurazione del credito domestico e all' esportazione, servizi di recupero crediti e di factoring, garanzie finanziarie, cauzioni e rischi della costruzione e servizi di protezione degli investimenti esteri. Tali strumenti saranno analizzati in dettaglio nel prosieguo della trattazione. Al fine di descrivere nel dettaglio i principali strumenti a disposizione delle imprese per supportare il loro processo di internazionalizzazione, e per analizzare il ruolo assunto della SACE nel contesto economico italiano, il seguente progetto si articola in sei capitoli: Il primo capitolo passa in rassegna i principali rischi gravanti sulle operazioni internazionali: si và dal rischio in cui il venditore incorre nel caso in cui, una volta firmato il contratto, il compratore non dia poi luogo all' esecuzione dello stesso, al rischio del tasso di interesse e di cambio, ai rischi relativi al credito dopo la consegna delle merci, per proseguire poi con i marketable risks, assicurabili dalle compagnie private, e i non marketable risks, coincidenti essenzialmente con il rischio politico, a medio e lungo termine. Il secondo capitolo invece concentra la sua attenzione sulla normativa riguardante l' export ed in particolare sui vincoli di origine sovranazionale ed europea e sulla normativa nazionale. Dopo tale breve rassegna legislativa, il testo, nel terzo capitolo, affronta in maniera organica i principali strumenti messi a disposizione delle imprese per tutelarsi contro i rischi delle operazioni internazionali ed in particolare: Le garanzie per i crediti al fornitore e all' acquirente, il forfaiting, il factoring e l' assicurazione dei crediti. Il quarto capitolo analizza il processo di gestione del credito in tutte le sue fasi e pone un focus particolare sul mercato assicurativo del credito all' esportazione i cui principali operatori sono: Atradius, Euler Hermes e Coface. La maggior parte del lavoro, invece, verrà incentrato sul ruolo dello Stato nel sostenere le imprese italiane che operano all' estero, ed in particolare sulla SACE (acronimo di Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero), un' agenzia assicurativa nazionale con il compito di assicurare gli esportatori contro i rischi di carattere politico, economico, catastrofico, commerciale e di cambio ai quali sono soggette le esportazioni e gli investimenti all' estero da parte di imprese italiane attraverso l' emissione di polizze assicurative garantite dallo Stato italiano. In particolare, il quinto capitolo descrive la SACE, quale ente gestore dell' assicurazione pubblica in Italia a supporto dell' internazionalizzazione delle imprese, sia dal punto di vista organizzativo-funzionale che dal punto di vista della sua strategia e politica aziendale. Vengono analizzati infatti: la natura e le funzioni dell' istituto, la struttura societaria, la corporate governance e la sua strategia. Il sesto capitolo prosegue con un' analisi dei principali prodotti e servizi offerti dalla SACE per rispondere ai bisogni delle imprese rimarcando il ruolo fondamentale dell' istituto nel processo di internazionalizzazione delle stesse, con una particolare attenzione alle piccole e medie imprese. Infine nel settimo e ultimo capitolo, vengono presentati alcuni casi di imprese italiane che con il supporto di SACE sono riuscite a rafforzare la loro presenza sui mercati internazionali.
Il presente lavoro si propone di analizzare l'adozione delle cd. forme associative comuni nell'attuale quadro del diritto dell'Unione Europea, volgendo particolare attenzione agli aspetti legati al diritto di stabilimento delle società all'interno dell'Unione, alla loro capacità di mobilità, e alle conseguenti implicazioni sul fenomeno della cd. concorrenza "verticale" ed "orizzontale" fra ordinamenti. Il presente studio si concentra in via preliminare sulla mobilità delle società "nazionali" e sui problemi connessi al loro riconoscimento nello spazio europeo, per poi soffermarsi sui modelli societari comuni introdotti all'interno dell'ordinamento comunitario, ovverosia il Gruppo Europeo di Interesse Economico (GEIE), la Società Europea (SE), la Società Cooperativa Europea (SCE), la proposta di regolamento (poi ritirata) circa la Società Privata Europea (SPE) e la più recente proposta di direttiva relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio (SUP). La ricerca analizza i tratti costitutivi di ciascuno dei predetti modelli associativi, introdotti nel tentativo di ovviare alle difficoltà incontrate dai privati in seno alle proprie società nazionali in situazioni legate allo spostamento e in generale alla mobilità delle società stesse, in primis in fase di trasferimento della sede. Infatti, se in astratto il diritto di stabilimento garantito dal Trattato è pieno, nella pratica esso incontra numerosi ostacoli che ne rendono complessa l'attuazione. Sul punto, si è cercato di evidenziare come gli ostacoli alla capacità di mobilità societaria derivino principalmente dalle diversità esistenti tra le legislazioni sostanziali emanate a livello nazionale in materia societaria, nonché tra le varie norme di conflitto adottate dagli Stati membri in riferimento alle società. Si vedrà quindi come, in casi di trasferimento transfrontaliero della sede sociale, ciascuno Stato membro utilizzi i propri criteri di collegamento e, di conseguenza, una legge applicabile alla fattispecie di volta in volta differente. Non a caso, dati gli interessi dei vari Stati, quando una società intende "uscire" dal proprio ordinamento, non le è in genere consentito di operare un semplice trasferimento, ma le viene richiesto di cessare la propria attività e, successivamente, ricostituirsi nello Stato di destinazione. Al riguardo, non si potrà comunque tralasciare di evidenziare come gli organi comunitari abbiano in verità "lasciato cadere" la possibilità di fornire una più dettagliata disciplina in materia, abbandonando in un certo qual modo la proposta di direttiva sul trasferimento transfrontaliero della sede sociale. Con riferimento a ciascun modello associativo comune, vengono analizzati, in particolare, la procedura di costituzione, gli assetti di governance, comprensivi dell'organizzazione e del funzionamento degli organi di amministrazione e degli organi di controllo societario, e le cd. situazioni patologiche della vita delle società, anche nell'ottica di tutela dei creditori, con specifico riferimento alla disciplina di scioglimento e liquidazione. Di pari passo, il presente lavoro si propone di approfondire la pratica di trasferimento di sede realizzata tramite fusione, situazione che – diversamente dal trasferimento di sede tout court – pare essere circondata da un minor numero di problemi, anche in virtù della direttiva 2005/56/CE relativa alle fusioni transfrontaliere e della giurisprudenza della Corte (ad es., caso Sevic), che hanno fornito un efficace ed esaustivo quadro regolatore. La ricerca contiene, poi, una digressione circa la giurisprudenza emanata dalla Corte in materia, a partire dai casi Daily Mail, Centros, Überseering, Inspire Art, fino a giungere alla decisione nel caso Cartesio, che ha aperto nuovi problemi interpretativi rispetto alla problematica del trasferimento, limitando in qualche modo la scelta del diritto applicabile, mettendo in luce gli ulteriori sviluppi dei principi giurisprudenziali in punto di diritto di stabilimento espressi nei casi National Grid e Vale Építési. Quest'ultimo profilo comporta, inoltre, un esame circa la natura del fenomeno di cd. concorrenza fra ordinamenti giuridici: infatti, il cittadino europeo, che si trova a cospetto di differenti ordinamenti giuridici all'interno dei quali inserire la propria società, potrebbe optare per una scelta (i) in fase di costituzione della società o (ii) anche successivamente, durante la "vita" della società stessa. Tuttavia, come si è evidenziato, la seconda situazione si attuerebbe tramite la procedura di trasferimento di sede, che però risulta problematica. Le varie imprese sono pertanto chiamate a scegliere l'ordinamento a cui sottoporsi già in fase di costituzione, andando così a collocare gli ordinamenti stessi su un piano reciprocamente competitivo. La ricerca, peraltro, non verte solamente sul fenomeno di concorrenza orizzontale (tra i vari Stati membri), ma anche su quello di concorrenza verticale (fra gli Stati membri e l'Unione), in quanto intende verificare in che modalità e in che misura, fino al momento in cui si scrive, siano stati utilizzati i predetti modelli associativi comuni da parte degli operatori. La citata analisi sulla concorrenza fra ordinamenti a livello europeo include, infine, un approfondimento circa il medesimo fenomeno in atto negli Stati Uniti, dove il sistema concorrenziale fra i 50 Stati vige ormai da più di un secolo, e mira ad evidenziarne ambiti di uniformità e differenze rispetto al modello europeo. Tra queste ultime, viene attribuito particolare peso all'assenza di modelli societari di tipo federale negli Stati Uniti, cui va di pari passo la costante scelta di specifici Stati storicamente "favorevoli" alla costituzione di entità societarie – su tutti il Delaware – che risultano particolarmente appetibili per i privati, anche grazie all'istituzione di sofisticate infrastrutture giudiziarie che vedono la presenza di tribunali altamente specializzati, competenti a dirimere controversie nella sola materia societaria. ; The work aims at examining the adoption of the so called "harmonized corporate vehicles" in the European Union, with particular attention to the legal issues connected with the right and freedom of establishment of companies within the EU, their capacity of cross-border mobility and consequent implications on the phenomenon of "vertical" and "horizontal" state competition. The work preliminarily focuses on the mobility of national companies, as well as on problems connected with their recognition in the European area, and then examines each of the harmonized corporate vehicles introduced in the EU, i.e., the European Economic Interest Grouping (EEIG), the European Company (SE), the European Cooperative Company (SCE), the Proposal of a European Regulation on the European Private Company (SPE) withdrawn by the Commission in 2013 and the Proposal for a Directive on the Single-member Private Limited Liability Company (SUP) issued in 2014. The research examines the corporate features of each harmonized vehicle, which were introduced with a view to remedy the difficulties usually encountered by business operators and national companies in circumstances of cross-border mobility, in particular while transferring the corporate seat. In fact – on one hand – the right of establishment granted by the European Treaty is full, but – on the other hand – the exercise of such right in concrete is quite difficult. In this respect, the work tries to outline that the obstacles to corporate mobility are mainly due to the diversities existing among material legislations adopted by the Member States in the corporate field, as well as to the different rules of private international law adopted by the Member States over companies. Attention is also paid to the different criteria used by the Member States to regulate cross-border transfers of the seat, which fact usually triggers the application of different applicable laws. The work examines, for each of the abovementioned vehicles, the issues connected with their incorporation, governance (including the structure and organization of managing and audit bodies), dissolution and liquidation, also paying attention to the profiles of protection of creditors. The work also explores the situation of transfer of the seat abroad through merger: this option, in fact, differently from the "typical" transfer of the seat, appears to be less difficult, mainly due to the application of Directive No. 2005/56 on cross-border mergers and also in light of the case-law of the EU Court of Justice (e.g., Sevic case), which have provided for an efficient and exhaustive regulative framework. The research includes a specific chapter on the case-law developed by the EU Court of Justice with regard to corporate transnational mobility, focusing on the Daily Mail, Centros, Überseering and Inspire Art case-law, until the Cartesio decision – which has brought some new interpretative problems on practices of transfer of the seat by limiting the choice of applicable law – and including the most recent decisions issued by the Court in National Grid and Vale Építési cases. The latter profile then triggers an analysis of the state competition phenomenon: the European citizen, in fact, can choose among different jurisdictions to incorporate his company either during the incorporation procedure or after incorporation, by transferring the corporate seat. The second option, however, appears to be quite problematic. Operators are thus required to choose the jurisdiction to incorporate their companies at the very beginning, by posing Member States in mutual competition. In this respect, anyway, the work not only outlines the presence of a "horizontal" competition (involving the different Member States), but also stresses on the presence of a "vertical" competition (involving the Member States and the EU), to verify if and how the harmonized European vehicles have been used by business operators and entrepreneurs so far. The analysis of state competition at a European level includes a digression on the long-standing competition existing in the U.S. among the 50 States, to highlight similarities and discrepancies between the European and the American model. In the last chapter, particular attention is paid to the absence of "federal corporate models" in the U.S. and to the choice of specific States which were generally deemed favorable to incorporations (e.g., Delaware) thanks to a sophisticated legislative and judiciary infrastructure implemented over years.
La decisione di quotarsi è, come noto, portatrice di rilevanti cambiamenti all'interno del sistema aziendale con riferimento a molteplici aspetti della sua operatività. Come tutti i momenti di "discontinuità", infatti, anche la quotazione dà vita a mutamenti notevoli e talvolta radicali per l'azienda, con riferimento al suo sistema ideologico-valoriale ed alla sua impostazione strategica, senza peraltro trascurare l'impatto sulle interazioni con l'ambiente e le notevoli innovazioni relative al sistema delle comunicazioni aziendali. Oltre ad ottemperare ad alcuni requisiti tecnico-giuridici imposti dalla regolamentazione, le società che decidono di quotarsi devono assolvere anche e soprattutto ad alcuni requisiti "sostanziali" - quali avere un business con buone prospettive di crescita, un management qualificato e determinato, un sistema di corporate governance allineato alle best practice internazionali e così via - che rappresentino una "garanzia" del potenziale successo dell'operazione. La conoscenza delle "condizioni di quotabilità" delle aziende costituisce quindi un primo elemento indispensabile per valutare la fattibilità dell'ingresso in borsa, a prescindere da quelli che sono i "fattori determinanti" della decisione e gli effetti attesi e/o reali che ne conseguiranno. Tuttavia, un percorso valutativo adeguato alla portata dell'evento "quotazione", che consideri in modo adeguato le modifiche all'assetto strategico dell'azienda ed al suo sistema ideologico-valoriale, necessariamente deve procedere focalizzando l'attenzione su molteplici elementi. L'analisi deve infatti concentrarsi non solo sugli aspetti finanziari, che spesso costituiscono i principali fattori determinanti dell'ingresso in borsa, ma anche su altri fattori che comunque assumono un rilievo significativo prima, durante e successivamente alla quotazione. Il modello di analisi da noi suggerito si basa sulla definizione di cinque elementi oggetto di analisi, mutuando, almeno in parte, lo schema, consolidato in dottrina, che rappresenta il sistema delle strategie a livello aziendale e che si articola in quattro sottosistemi, fra loro coordinati ed interrelati: strategia organizzativa, strategia economico finanziaria, strategia sociale, strategia di portafoglio (e competitiva). Le classi di strategie a livello aziendale sopra richiamate sono infatti tutte inevitabilmente coinvolte nel processo di cambiamento indotto dalla quotazione. A tali sottosistemi è necessario aggiungere anche un altro elemento, la cui attenta valutazione risulta indispensabile; ci riferiamo al sistema ideologico-valoriale dell'azienda che è frequentemente soggetto, in modo estremamente rilevante, a cambiamenti in occasione della quotazione. È evidente, tuttavia, che l'articolazione dell'analisi in cinque "elementi di osservazione" distinti, se da un punto di vista cognitivo risulta utile ed apprezzabile, vista la possibilità che offre di semplificare la casistica oggetto di studio, non esime dalla necessità di considerare nell'analisi anche le relazioni reciproche che vincolano l'un l'altro i cinque elementi e dalla necessità di ricondurre a sistema le considerazioni emerse, al fine di rileggere il tutto in modo unitario. Il percorso valutativo dovrà concentrarsi, inoltre, non solo sull'analisi di "fattibilità" dei cambiamenti ritenuti necessari per quotare l'azienda in borsa con successo, ma anche sul contributo, in termini di economicità e di sostegno allo sviluppo durevole ed evolutivo, che eventualmente la scelta comporterà; infatti, nel caso di strategie "intenzionali" come la quotazione, la valutazione deve consentire una stima preventiva delle conseguenze che una decisione può avere sull'azienda, conseguenze che, tuttavia, non sempre si possono esprimere in termini oggettivi e con determinazioni quantitative. La complessità delle problematiche, l'incertezza degli effetti attesi, la numerosità delle variabili che possono influenzare direttamente ed indirettamente il risultato finale sono infatti spesso tali da richiedere di esprimere anche considerazioni qualitative, valutando, tra gli altri, anche le risorse e competenze disponibili, l'influenza della congiuntura, dell'andamento di altre emissioni, della situazione politica ed economica generale e così via. Il giudizio sulla opportunità della quotazione interessa quindi tre diversi profili, tra loro collegati sulla base di un ordine sequenziale: la fattibilità, l'economicità e la rispondenza alle esigenze di continuità e sviluppo dell'azienda. Il percorso di analisi, dunque, si svilupperà lungo cinque direttrici corrispondenti ai cinque "elementi di osservazione" individuati e riguarderà, per ciascuno, i tre profili di giudizio sopra accennati. Il lavoro si divide in tre capitoli. Il primo analizza i numerosi contributi teorici ed empirici sulla quotazione delle aziende, con particolare attenzione ai lavori di taglio "aziendalistico", cercando di dare un inquadramento teorico di importanti tematiche quali la definizione dei "fattori determinanti" dell'ingresso in borsa, degli "effetti" della quotazione e dei costi connessi a tale decisione. Le considerazioni espresse in questa sede saranno la base di partenza per lo sviluppo dei successivi capitoli. Il secondo e terzo capitolo sono dedicati, rispettivamente, alla descrizione del modello di analisi e valutazione strategica dell'ingresso in borsa delle aziende da noi proposto ed all'approfondimento delle cinque direttrici di analisi, corrispondenti ad altrettante direttrici di cambiamento, individuate all'interno del suddetto modello: sistema ideologico-valoriale, strategia economico finanziaria, strategia organizzativa, strategia competitiva, strategia sociale. Il terzo capitolo si chiude con una rilettura in ottica sistemica del modello di analisi, al fine di ricondurre ad unità la visione dell'azienda in merito alle opportunità ed alle criticità che riguardano complessivamente l'impresa che intenda valutare la possibilità di quotarsi in borsa.