La prima versione di McNamara della crisi dei missili di Cuba compare nel suo libro In retrospect. The tragedy and lessons of Vietnam pubblicato nel 1995. Come si deduce dal titolo del volume. la crisi dei missili è solo una parentesi nell'analisi di un conflitto ben più complesso e vasto. Tuttavia in questo lavoro McNamara precisa che sabato 27 ottobre 1962 "la maggioranza dei consiglieri militari e civili del Presidente erano preparati a raccomandargli che se Khrushchev non avesse rimosso i missili sovietici da Cuba gli stati uniti avrebbero dovuto attaccare l'isola" (p.97). Per Kennedy era invece importante, come precisò lo stesso sabato in una sessione del Comitato esecutivo, e più tardi in un incontro ristretto con Robert Kennedy, il segretario di stato Dean Rusk, il consigliere alla sicurezza nazionale McGeorge Bundy, e McNamara stesso "che gli Stati Uniti avrebbero dovuto fare tutti gli sforzi per evitare il rischio di una guerra imprevedibile". Per McNamara "egli voleva, se necessario, mediare sulla presenza dei missili Jupter ormai obsoleti in Turchia barattandoli con i missili sovietici a Cuba per evitare questo rischio. Egli sapeva che questa proposta sarebbe stata fortemente opposta dai Turchi, dalla Nato e da molti dei funzionari del dipartimento della difesa e degli esteri americani". Una nota a piè pagina precisa quello che McNamara avrebbe appreso solo nel 1992 in una visita a Cuba direttamente da Castro e cioè che "contrariamente alle stime della Cia i sovietici già disponevano di 160 testate nucleari a Cuba. Un attacco statunitense avrebbe quasi sicuramente portato a uno scontro nucleare con conseguenze devastanti". Il tema della crisi dei missili riappare nella prima appendìce al testo, intitolata "The Nuclear Risks of the 1960s and their Lessons for the Twenty-first Centuty". Per McNamara l'Average American – l'americano medio – non era cosciente del rischio della distruzione nucleare del pianeta. Invocando l'inutilità dell'immenso arsenale nucleare immagazzinato e l'alto rischio associato alla sua esistenza, McNamara prende spunto dalla crisi dei missili di Cuba per suggerire alle cinque dichiarate potenze nucleari – Stati Uniti, Russia, Francia, Stati Uniti e Cina – di riesaminare i loro obiettivi di lunga durata relativi a queste armi. "Proprio l'esperienza della crisi dei missili cubani – e quello che abbiamo appreso di recente su di essa, continua McNamara –, rende palese il rischio di un loro uso". Nell'ottobre del 1962 tre nazioni sono state vicine alla guerra, questo è noto a tutti. Ma quello che non era noto allora, e che non è stato ampiamente riconosciuto oggi, era quanto il mondo fosse vicino al disastro nucleare (p. 338). L'interesse della stampa su McNamara cade dopo l'uscita del film Thirtheen Days nelle sale nell'anno 2000 e dopo gli attentati alle Twin Towers di New York. Il suo ruolo come Presidente della Banca mondiale era ormai alle spalle, troncato nel 1981 dalla presidenza di Ronald Reagan, il quale giudicava i i suoi progetti "semplicemente impossibili da realizzare" (Reagan Diary, 1983). L'intervista rilasciata al Guardian il 19 maggio 2002 a Mark Leonard e Rob Blackhurst ci mostra un McNamara che non ha dimenticato la crisi dei missili di Cuba. "We came very close, very close, closer than we knew at the time to total destruction" ricorda. Unico sopravvissuto del gruppo di persone che aveva affiancato Kennedy nelle decisioni cruciali, McNamara mostra una perfetta conoscenza di quello che era accaduto in quei terribili momenti. e si lamenta del fatto che nel film, Hollywood ha scelto di far pronunciare a Kennedy alcune sue frasi tratte dai nastri registrati delle conversazioni. Il film ci mostra McNamara che si oppone ai falchi della guerra del Pentagono che volevano distruggere i sommergibili sovietici ai limiti della linea del blocco. E' accaduto questo? Gli chiedono i giornalisti. "Li hanno mostrati molto più bellicosi, rispetto a quello che erano" dice McNamara. "Ma noi in effetti abbiamo rimosso il capo delle operazioni navali, l'ammiraglio Anderson". Con Anderson, infatti, McNamara aveva avuto un alterco quando aveva ribadito: "ha capito quello che ho detto? Non ci sarà un colpo sparato senza la mia autorizzazione, è chiaro questo?" Proprio durante la presentazione del film a Mosca, con McNamara presente, "un uomo con una lunga barba che lo faceva assomigliare a Bin Laden" si alzò per una domanda. Era uno dei comandanti dei sottomarini sovietici, il quale rivelò che i sottomarini erano armati con siluri nucleari. Egli rivelò anche che avevano l'ordine di spararli se necessario, siccome non erano collegati via radio con il loro comando. "Non avevamo mai saputo questo sino ad oggi" affermò McNamara in quell'occasione. Come giudicherà la storia Robert Strange McNamara, si chiedono i due giornalisti? Egli interpreta le contraddizioni dell'amministrazione Kennedy, nella combinazione di idealismo e retorica roboante. Il suo spirito era quello della Nuova Frontiera kennediana che interpretava la fede degli americani "nell'avanzamento dell'umanità". Ma che dire rispetto ai morti in Vietnam che McNamara aveva causato, tra i quali uomini, donne e bambini si chiedono gli intervistatori? Ecco comparire il fantasma dell'ambivalenza morale di tutti i leader che parlano di espandere la democrazia con la guerra. E in questo caso il riferimento alla presidenza di G.W. Bush è palese, così come è interessante il precedente richiamo a Bin Laden, all'epoca il nemico numero uno degli Stati Uniti, che accosta l'Unione Sovietica della Guerra fredda all'integralismo islamico di oggi.
[EN] The fortified structures constitute in Sicily a very important heritage, because of its shape and its geographic location. Among many destructions of urban fortifications in the main cities of Sicily, the comparison between two of the most important cases, Messina and Palermo, can focus reason of the common destiny and factors who influenced the destruction of those monuments. Messina boasted since 1680 the so-called "Cittadella", built by engineer Royal Military Carlos de Grunenbergh on sickle-shaped peninsula; survived the earthquake of 1908, unfortunately the old military structure was partly demolished to make way for modern port and industrial buildings. Despite the partial demolition, the "Cittadella" is today a very significant monument, not only for its architectural and landscape value, but also because it is one of the few surviving examples of Messina as it was before the earthquake of 1908, which, as is known, destroyed the city almost completely. However, today, despite many studies carried out to date in an effort to restore and enhance the structure, it remains largely abandoned. Only the "Forte del Santissimo Salvatore", occupied by the Italian Navy, is in good condition and can be visited. The "Castello a mare" in Palermo had Islamic origins; there were an important church and a monumental palace; in the twenties this fortified architecture was destroyed to build a new port and the superintendent Francesco Valenti managed to save , after a long and interesting debate , only part of the structures. The essay explores the events relating the destruction and conservation efforts of these two fortifications, with reflections on the political and speculative factors that influenced these events. ; Genovese, C. (2015). Fortifications in the port area of Messina and Palermo between destruction, oblivion and debates on their restoration. En Defensive architecture of the mediterranean: XV to XVIII centuries. Vol. I. Editorial Universitat Politècnica de València. 151-158. ...
The aim of this paper is to provide an empirical investigation of labour market segmentation and flexibility. For this purpose, the techniques based on the analysis of job creation and destruction ( see, Davis et al, 1996) have been used. The data analysed stem from a sample of manufacturing firms located in Emilia-Romagna and cover a period of eight years. This dataset allows to analyse the level of employment of both blue and white collars. The analysis shows in details the different dynamics of those two component of manufacturing employment. It is argued that white and blue collars can be considered as two different occupational sub-systems (see, Osterman 1982, 1984) and that internal la-bour market segmentation gives rise to divergent indicators of numerical flexibility for the two components of em-ployment.
At the end of the 19th century and the beginning of the 20th century, the growth of deaths and the spread in Brazil of epidemic outbreaks interfered in the formation of public health policies and were central components for the constitution of large research institutions and laboratories, such as the Instituto Adolfo Lutz, Instituto Bacteriológico Domingos Freire, Fundação Oswaldo Cruz and Instituto Butantan. The development of major public health and sanitation initiatives helped in the initial creation of the National Health System and, subsequently, with the creation of the Ministry of Health and the development of the Unified Health System (SUS), constituted the structural bases of the power of national response of health institutions (hospitals, laboratories, foundations, centers and research institutes), to face the health crises in Brazil. This article aims to: a) debate and reflect on how the deliberate destruction of the public health protection system takes place in Brazil; b) what is the role of the extreme-right government, negationism and evangelical fundamentalism in the dissemination of disinformation about the Covid-19; c) to analyze how the business lobby for the use of chloroquine in the pharmaceutical industries was favored by the denialist speech and the sale of medicines from the "Kit Covid"; d) analyze the consequences of the absence of compensatory policies for the poorest and most vulnerable population to the pandemic, and the growth of misery, hunger and unemployment; and e) answer the question: how and why did we arrive at such a large number of victims? ; À la fin du 19e siècle et au début du 20e siècle, la croissance des décès et la pro-pagation au Brésil des flambées épidémiques ont interféré dans la formation des politiques de santé publique et ont été des éléments centraux de la consti-tution de grands instituts de recherche et de laboratoires, tels comme Instituto Adolfo Lutz, Instituto Bacteriológico Domingos Freire, Fundação Oswaldo Cruz et Instituto Butantan.Le développement d'initiatives majeures de santé publique et d'assainis-sement a contribué à la création initiale du système national de santé et, par la suite, avec la création du Ministère de la Santé et le développement du Système de Santé Unifié (SUS), ont constitué les bases structurelles du pouvoir de réponse nationale des établissements de santé (hôpitaux, laboratoires, fondations, centres et instituts de recherche) pour faire face aux crises sanitaires au Brésil.Cet article vise à: a) débattre et réfléchir à la manière dont la destruction délibérée du système de protection de la santé publique a lieu au Brésil; b) quel est le rôle du gouvernement d'extrême droite, du négationnisme et du fondamentalisme évangélique dans la diffusion de la désinformation sur le Covid-19; c) analyser comment le lobby des entreprises pour l'utilisation de la chloroquine dans les industries pharmaceutiques a été favorisé par le dis-cours négationniste et la vente de médicaments du "Kit Covid"; d) analyser les conséquences de l'absence de politiques compensatoires pour les populations les plus pauvres et les plus vulnérables à la pandémie, et la croissance de la misère, de la faim et du chômage; et e) répondre à la question: comment et pourquoi sommes-nous arrivés à un si grand nombre de victimes? ; At the end of the 19th century and the beginning of the 20th century, the growth of deaths and the spread in Brazil of epidemic outbreaks interfered in the formation of public health policies and were central components for the constitution of large research institutions and laboratories, such as the Instituto Adolfo Lutz, Instituto Bacteriológico Domingos Freire, Fundação Oswaldo Cruz and Instituto Butantan. The development of major public health and sanitation initiatives helped in the initial creation of the National Health System and, subsequently, with the creation of the Ministry of Health and the development of the Unified Health System (SUS), constituted the structural bases of the power of national response of health institutions (hospitals, laboratories, foundations, centers and research institutes), to face the health crises in Brazil. This article aims to: a) debate and reflect on how the deliberate destruction of the public health protection system takes place in Brazil; b) what is the role of the extreme-right government, negationism and evangelical fundamentalism in the dissemination of disinformation about the Covid-19; c) to analyze how the business lobby for the use of chloroquine in the pharmaceutical industries was favored by the denialist speech and the sale of medicines from the "Kit Covid"; d) analyze the consequences of the absence of compensatory policies for the poorest and most vulnerable population to the pandemic, and the growth of misery, hunger and unemployment; and e) answer the question: how and why did we arrive at such a large number of victims?
This paper presents the results of a research aimed at recognizing the sites and defining the consistency of some forts and entrenchments prepared in the seventeenth century to control the road from Finale to the valleys of Bormida (now Provincial Road 490), the Melogno pass and the watershed. The reconnaissance on the ground, supported by the documentary evidence and historical and current cartography, has allowed the identification of the remains of a series of small forts, part of a network of "minor" elements for territorial defence, extended also to the other two main communication routes of the Finale with Piedmont and Lombardy, where two other sites of forts and six sites of entrenchments have been identified (two of them with consistent remains). An extended system, which has fallen into disuse as political balances consolidated, and then largely dismantled, and forgotten (common conditions with the nineteenth-century Melogno forts that have replaced it), and which requires urgent actions of protection and enhancement
This paper uses literature, archaeological evidences and epigraphy to analyse the role of Capitol hill for Roman history from the building of the temple of Juppiter to the end of empire with brief overview to Middle and Modern ages. We will focus on its functions and on the symbolic value for religion, civic life, politics, arts. In other words, a place which despite destructions represented through the centuries a locus memoriae for Roman identity.
The aim of this paper is to investigate the connection between the political concepts of power and violence, and the concept of love in the literary and philosophical reflections, which Günther Anders carried on in Lieben, Gestern (1986). In particular, the paper intends to focus on the motif of the destruction of the love feeling in the society of the exiles, as the absence of love novel in 20. Century attests. The theses of Anders appear nowadays extremely topical, moreover if they are read in the scenario opened by the new studies about sentiments.
In the centenary of the Italian researches at Haghia Triada, we propose a review of the LM I archaeological evidence from the old (1902-1914) and the new (1977-1999) excavations at the site. On the basis of recent analytical examination of the new pottery deposits, we distinguish two phases in the LM IA settlement, and one in the LM IB, and we assume an immediate reoccupation of the site after the destruction of the Villa Reale. Regarding the functional interpretation of the architectural structures, we emphasize the religious role of the Villa Reale. It was provided whit «Residential Quarters» and porticoed courts (Piazzale Superiore, Piazzale Inferiore) for ritual/ceremonial purposes and was perhaps a sacred and public building. Furthermore, we hypothetically recognize two other cult centres at the site, Casa Est and Casa del Lebete. Finally, we discuss the possibility that c.d. Tomba degli Ori had been used forfunerary depositions since LM I and the adjoining Complesso della Mazza di Breccia was connected with the minor activities of death rituals. Therefore, we would identify four functional poles in the settlement's structure: a religious one (Villa Reale, PiazzaleSuperiore, Casa Est, Piazzale Inferiore, Casa del Lebete), one for storage (Edificio Ciclopico, Bastione, Piazzale Inferiore), a residential (Villaggio) and a funerary one (c.d. Tomba degli Ori).In conclusion, we observe a strong continuity in the urban and architectural organization of the settlement, starting from the general reconstruction at the end of MM IIIB/TM IA until the LM IB destruction (and later, in the LM IIIA2 rearrangement), and we assume that the political power in LM Messarà had a collective and not a very hierarchical structure.
2008/2009 ; Le armi di distruzione di massa rappresentano uno degli aspetti più spaventosi degli sviluppi tecnologici che sono intercorsi nell'ultimo secolo. Sebbene alcuni effetti delle armi chimiche e biologiche fossero noti già da centinaia di anni, solamente nel ventesimo secolo si è assistito ad un vasto uso delle armi di distruzione di massa in diversi contesti bellici. La necessità di trovare armi "definitive", idonee a travalicare la forza ordinaria delle armi convenzionali ha spinto la scienza ad investigare sempre più nuovi strumenti in grado di annichilire l'avversario. Una parte di primissima rilevanza negli equilibri mondiali – e ancora oggi fonte di destabilizzazione in certi teatri regionali – è imputabile alle armi nucleari. La scoperta delle implicazioni belliche della fisica atomica ha semplicemente rivoluzionato il quadro militare mondiale, chiudendo la Seconda guerra mondiale e spalancando le porte della Guerra fredda. Basata in gran parte sull'equilibrio nucleare, questo tipo di guerra ha visto fronteggiarsi in primis due superpotenze dotate di arsenali nucleari tali da eliminare per sempre ogni tipo di forma vivente dalla faccia della Terra. Le armi di distruzione di massa sono oggi raggruppabili in diverse categorie: nonostante ogni nazione fornisca una propria definizione al riguardo, sostanzialmente questa tipologia di armi si articola su quattro tipologie diverse a seconda delle differenti sostanze di cui ognuna è composta. Esistono le armi nucleari, biologiche, chimiche e radiologiche: ognuna di esse presenta caratteristiche tattiche, strategiche e modi di funzionamento ben diverse. L'elemento che le accomuna è comunque la capacità, almeno potenziale, di arrecare una quantità di danni decisamente superiore a qualsiasi dispositivo militare convenzionale oggi presente negli arsenali. Seppure con modalità diverse, le armi di distruzione di massa hanno fatto la loro apparizione nei campi di battaglia soprattutto nel ventesimo secolo. Le prime ad essere utilizzate su vasta scala furono le armi chimiche, le quali apparvero come un mezzo per superare lo stallo della guerra di trincea. Durante la prima guerra mondiale la paura dei "gas" divenne un vero e proprio incubo per tutti i soldati, ed anche per i relativi stati maggiori, incapaci di provvedere contro questa nuova arma. Ma la vera svolta nel mondo delle armi di distruzione di massa arrivò nella Seconda guerra mondiale: dopo l'esplosione delle armi atomiche nei cieli giapponesi di Hiroshima e Nagasaki era chiaro che le superpotenze vincitrici della guerra non potevano prescindere dal possedere l'arma atomica. L'iniziale ritardo sovietico venne ben presto compensato, e nel 1949 Stalin poteva annunciare al mondo la parità militare con gli Stati Uniti. La bomba atomica venne poi seguita dalla bomba all'idrogeno, ultima frontiera degli sviluppi militari nucleari. Come noto, le ami atomiche ressero il confronto bipolare (e le sue certezze) fintantoché gli accordi SALT e START non cominciarono a ridurre il numero delle testate, ad oggi comunque presenti in molti arsenali. Le armi biologiche apparvero in seguito, soprattutto dopo gli sviluppi delle biotecnologie. La capacità militare di virus, batteri e tossine era già ben chiara ai giapponesi durante la seconda guerra mondiale: tuttavia i sovietici, grazie alla colossale impresa "Biopreparat" riuscirono a creare ed ad accumulare un'enorme quantità di agenti biologici. La fine del mondo bipolare poteva sembrare idonea a far diminuire i pericoli derivanti dalle armi di distruzione di massa: ma purtroppo eventi come gli attentati con il gas "sarin" nella metropolitana di Tokyo (1995) o l'uso di antrace negli Stati Uniti (2001) dimostrarono che inevitabilmente le armi di distruzione di massa rimanevano una minaccia costante per ogni Stato. Alle tre armi tradizionali si è affiancata una nuova categoria: le armi radiologiche, spesso indicate nel gergo giornalistico come "bombe sporche", consistenti nel diffondere elementi radioattivi mediante esplosioni convenzionali. Tale tipo di arma rischia di causare molti più danni grazie all'effetto mediatico che alla diffusione di materiali radioattivi: non tutti questi, infatti, hanno tempi di decadimento lunghi come l'uranio. La paura per quest'ultimo tipo di ordigni è cresciuta negli ultimi anni in quanto per un gruppo anche piccolo è relativamente semplice potersi procurare materiale radioattivo e farlo detonare in un centro urbano, contaminando tutta la zona. La preoccupazione per gli effetti delle armi di distruzione di massa si è concretata in una serie di trattati internazionali che progressivamente hanno disciplinato tutti i tipi di armi. La normativa in materia è costituita sia da trattati multilaterali che da trattati bilaterali: questi ultimi, pur essendo vincolanti solo per le due nazioni che li sottoscrivono, hanno comunque generato rilevanti effetti geopolitici nel pianeta. Subito dopo la seconda guerra mondiale l'Assemblea dell'Onu aveva cominciato a riflettere su un possibile contenimento delle armi nucleari, decisamente le più rilevanti a livello di effetti. Le ferite di Hiroshima e Nagasaki erano recenti, e l'Unione Sovietica stava sviluppando a tappe forzate il proprio programma nucleare. Nonostante le preoccupazioni della comunità internazionale, occorse aspettare la "Crisi dei missili" cubana del 1962 per poter vedere sviluppare delle prime forme di cooperazione internazionale per interdire, o quantomeno limitare, la minaccia dell'uso delle armi nucleari, sfiorata durante le tensioni cubane. A partire da quella data si succedettero diversi trattati internazionali e bilaterali in materia di armi nucleari, inizialmente legati alla limitazione del dispiegamento degli ordigni in determinati contesti, e, successivamente, rivolti alla riduzione del numero di vettori. Quest'ultimo ruolo fu particolarmente giocato dalla diplomazia americana e da quella sovietica, e conobbe un'autentica accelerata con l'arrivo delle presidenze Reagan-Gorbacev. È evidente che molte delle scelte compiute dalle due superpotenze influenzarono anche le rispettive coalizioni e le dottrine di impiego delle forze. Ma non tutte le iniziative regolamentari sortirono effetti positivi: ad oggi vi sono paesi, quali Israele, la Corea del Nord o il Pakistan che sono dotati di armamenti nucleari e non sono sottoscrittori del trattato NPT, cioè di non proliferazione nucleare. Questi stati sono inseriti in contesti regionali complessi e delicati, in cui spesso insistono interessi delle "potenze atomiche" legittimate in questo ruolo da una discutibile statuizione indicata nel trattato NPT. A fianco delle numerose iniziative svoltesi per disciplinare le armi nucleari sono state pure create delle Nuclear Weapons Free Zones, cioè aree del pianeta nelle quali gi stati membri si impegnano a non acquisire o usare armi nucleari. Tali iniziative hanno permesso di "liberare" dalla minaccia nucleare alcune aree (Antartide, Asia centrale, America del Sud, Asia del sud-est, Mongolia) e costituiscono un'iniziativa sinergica alle attività di contenimento e riduzione degli arsenali nucleari. Per le altre armi di distruzione di massa vi sono sicuramente stati meno trattati internazionali, ma non per questo essi sono stati meno importanti: è il caso delle armi chimiche, che possono vantare la prima proibizione in un protocollo del 1925. In tale settore è stata poi creata un'organizzazione internazionale idonea a verificare il rispetto della convenzione per la proibizione delle armi chimiche del 1993. Le armi biologiche presentano invece più difficoltà, ed al momento, secondo certa letteratura, sono identificate come un settore non ancora pienamente tutelato a livello internazionale. Se è vero che la convenzione sulle armi biologiche del 1972 vieta ogni tipo di arma biologica, la mancanza di una struttura internazionale di controllo e la velocità di sviluppo delle biotecnologie impauriscono gli stati, così come la mancata adesione di alcune importanti nazioni. In ogni modo, nonostante le critiche e le difficoltà, i trattati internazionali in materia di armi di distruzione di massa sono serviti per contenere e comunque evitare la diffusione di tali strumenti bellici attraverso le nazioni del pianeta: molto è ancora da fare, ma comunque le esperienze intraprese al momento sono tali da confermare questo cammino come valida via per limitare la diffusione di questa categoria di armamenti. Eppure il positivo processo di limitazione delle armi di distruzione di massa ha incontrato, soprattutto negli ultimi anni, alcuni limiti soprattutto in seguito alle azioni intraprese da alcune nazioni. In certi contesti regionali delicati alcuni stati vedono di buon occhio una propria capacità militare sostenuta da quella nucleare: il miraggio di entrare nel "club atomico", cioè nel ristretto numero di stati "armati" nuclearmente, è un miraggio che ha valenza sia di politica interna che di prestigio internazionale. I recenti casi della Corea del Nord e dell'Iran, ad esempio, indicano chiaramente come azioni di singoli paesi possano seriamente mettere a repentaglio anni di lavori e di incontri internazionali per limitare la diffusione di armi di distruzione di massa. Soprattutto l'arma nucleare rimane al centro del dibattito mondiale, in quanto i due paesi di cui sopra hanno deciso di dotarsene per questioni di prestigio e di politica interna. La Corea del Nord si è recentemente ritirata dal trattato NPT e ha fatto esplodere due ordigni nucleari, seppure di piccola capacità. Ciò che al momento preoccupa di più la comunità internazionale è l'isolamento dell'autocratica repubblica, le difficoltà nella transizione del potere ed infine il tentativo di acquisizione di capacità missilistica a lungo raggio. Negli ultimi mesi la Corea del nord ha ripetutamente condotto esperimenti missilistici che hanno notevolmente esacerbato la situazione regionale: in particolare destano la preoccupazione del Giappone, nel quale è in corso un dibattito sulla rivisitazione del ruolo delle forze armate, cosa decisamente avversata dalla Cina. Gli Stati Uniti, tradizionali difensori della Corea del Sud, potrebbero cogliere l'occasione per dispiegare i propri missili nucleari nel teatro, accrescendo così la militarizzazione dell'area e complicando il rapporto con le altre due potenze nucleari della regione, La Cina e la Russia. Allo stesso modo l'Iran sta attraversando una complessa fase di transizione a trenta'anni dalla rivoluzione del 1979. La granitica forma di governo teocratica è oggi minacciata da una fase economica non brillante e da difficoltà politiche interne: le recenti affermazioni del presidente iraniano Ahmadinejad hanno attirato l'attenzione del mondo sull'Iran, desideroso di accrescere il proprio peso nell'area. D'altra parte le affermazioni sulla scomparsa di Israele hanno notevolmente preoccupato il governo di Gerusalemme, il quale è in possesso di armi nucleari. Il rischio di un'escalation nucleare nella regione sarebbe un problema gravissimo, soprattutto considerando le difficoltà in cui si trovano diversi stati limitrofi, quali il Pakistan, l'Iraq o l'Afghanistan. Infine va considerato il problema del terrorismo internazionale. Non è detto che gruppi terroristi non possano essere ancora interessati all'acquisizione di armi di distruzione di massa: rispetto a quelle nucleari, più difficilmente acquisibili ed utilizzabili (occorre anche un vettore idoneo per trasportarle, stante il loro peso e le loro dimensioni) ipotesi come armi radiologiche, armi chimiche o armi biologiche rappresentano soluzioni ugualmente allettanti per spargere terrore e destabilizzazione nelle società da colpire. L'attenzione a tale riguardo si concentra soprattutto sul network di Al-Quaeda, in quanto struttura militare e militante più capace di possedere fondi tali da permettere l'acquisto di questo tipo di armi. Resta da chiedersi, in conclusione, quali risposte siano possibili a questo tipo di minaccia. La percezione della minaccia NBCR è differente a seconda dei paesi e dei contesti in cui gli stati sono inseriti: la riflessione più ampia sull'argomento è comunque quella americana, supportata da abbondante letteratura e servita addirittura come giustificazione ad un attacco preventivo (Iraq 2003). Allo stesso modo la Nato ha elaborato una propria posizione sulle armi di distruzione di massa, riconosciute dall'Alleanza come una minaccia concreta e tangibile, meritevole anche di risposte dal punto di vista operativo. Infine vi è il caso italiano, che concentra le competenze NBCR presso un'idonea struttura interforze, che opera in stretto raccordo con strutture civili dello Stato, a partire dei Vigili del Fuoco. Per terminare si può sostenere che le armi di distruzione di massa sono oggi una minaccia potenziale difficilmente eliminabile, ma tuttavia limitabile e controllabile tramite gli strumenti della diplomazia, della politica e del diritto internazionale, affiancata comunque da azioni delle attuali potenze dirette a limitare sempre più la diffusione e la proliferazione di questo tipo di armamenti. ; XXII Ciclo
International audience ; L'article veut étudier deux des principaux aspects du répertoire de la conspiration radicale anti-bourbonienne dans le Royaume des Deux-Siciles du premier XIXe siècle: à partir de plusieurs observatoires locaux (Calabre, province de Salerne, Pouilles), il s'agit d'étudier la réactivation d'un thème ancien des résistances populaires aux monarchies, celui du tyrannicide. Il se place dans la continuité d'une pratique alors courante qui en constitue le prolongement symbolique, la destruction ritualisée d'effigies du roi, courante dans les révolutions occidentales du XIXe siècle. Le parcours du conspirateur calabrais Agesilao Milano, d'abord jugé pour avoir fracturé des statues royales en 1848, puis auteur d'un attentat contre le roi en 1856, montre la continuité entre les dimensions symboliques et réelles de l'attentat anti-monarchique.
International audience ; L'article veut étudier deux des principaux aspects du répertoire de la conspiration radicale anti-bourbonienne dans le Royaume des Deux-Siciles du premier XIXe siècle: à partir de plusieurs observatoires locaux (Calabre, province de Salerne, Pouilles), il s'agit d'étudier la réactivation d'un thème ancien des résistances populaires aux monarchies, celui du tyrannicide. Il se place dans la continuité d'une pratique alors courante qui en constitue le prolongement symbolique, la destruction ritualisée d'effigies du roi, courante dans les révolutions occidentales du XIXe siècle. Le parcours du conspirateur calabrais Agesilao Milano, d'abord jugé pour avoir fracturé des statues royales en 1848, puis auteur d'un attentat contre le roi en 1856, montre la continuité entre les dimensions symboliques et réelles de l'attentat anti-monarchique.
The inception of World War I produced enthusiastic reactions all over Europe, for different and sometimes opposite reasons, from intellectuals and political leaders beloinging to very differentiated political areas. The five years that followed the summer of 1914, with their unbearable weight of destruction and extermination, delivered a very strong reply to that enthusiasm, and sparked a new set of reflections on political violence and on the value of peace. Max Scheler participated in both the season of exhilaration, in 1914-1915, and in the difficult process of post-war reinterpretation of political violence, in the 1920s. Tracing certain aspects of Scheler's intellectual and political elaborations is therefore useful to understand part of the complex cultural legacy of the conflict.
This paper questions dominant analyses about Libya's present 'war economy' and 'statelessness', which are often deployed to explain the country's ongoing destruction. By reinterpreting the history of the past as the failure of Libya to implement neoliberal reforms, these accounts trivialise its antiimperialist history. The article reflects on the role that war and militarism play in the US-led imperialist structure, tracing the gradual unmaking of Libya from the progressive revolutionary era, towards its transformation into a comprador state and an outpost for global class war. In doing so, it moves the focus away from Libya's 'war economy' to examine the war and the economy, linking Libya's fate to the geoeconomic and geopolitical forces at the core of US-led imperialism. ; This is a Italian translation of an article previously published in English in the Review of African Political Economy, 2020, DOI:10.1080/03056244.2020.1801405.
During the past years both the political instability and the uncontrolled economic development in the Middle East caused several threats to the cultural heritage, including widespread looting and destruction of hundreds of archaeological sites, looting of museums, flooding of ancient settlements due to the construction of dams, damages to monuments and sites during armed conflicts. Notwithstanding the ongoing difficult condition of fieldwork, a new phase of archaeological research has begun with projects of landscape archaeology, excavations and extensive surveys carried out especially in Iraqi Kurdistan, allowing a detailed reconstruction of the settlement dynamics and historical development in the trans-Tigridian region, from the prehistory to the Islamic period. A new archaeological renaissance contributing to the process of peace-building through the empowerment of strong ties between the local communities and the cultural heritage.
This article disputes the prevailing thesis according to which the Soviet revolution represented an irreparable rift in the Western cultural tradition and even a form of destruction of universal culture. The revolution of the Bolsheviks was inspired on the theoretical level by the dialectical method elaborated by classical German philosophy and by Marxism, which constituted the historical continuation of that philosophy. Despite the great contradictions that accompanied it, and which can be explained by the very severe political struggles on the internal and the international level with which it was forced to measure itself, the era of revolution was characterized by a great flowering of political rights, economic and social and inspired a broad cultural renewal movement that has influenced historical processes even beyond Soviet Russia. Keywords: Soviet Revolution; Historical Dialectics; Universal Culture.