2005/2006 ; La ricerca si suddivide in due momenti storici. Nel corso del primo di questi due periodi, analizzato nei due capitoli iniziali, si assiste al processo di fondazione del collegio dei gesuiti di Gorizia (1558-1615); nel secondo il collegio stesso (capitoli terzo e quarto), mossi i primi pass~ si consolida e partecipa via via sempre più attivamente alla vita della contea di Gorizia (1615-1650). TI primo capitolo si apre con un'analisi (''Scuola, politica e religione. La Compagnia di Gesù nell'Austria interna del XVI secolo") della storia istituzionale, religiosa e dell'istruzione nel territorio dell'Austria interna tra la metà del Cinquecento e l'inizio del Seicento. Uno spazio è poi dedicato alle vicende delle origini della Compagnia di Gesù, in primo luogo viene presentata una riflessione sull'evoluzione dell'importanza del ministero dell'istruzione all'interno dell'Ordine; in seconda battuta si narrano le vicende del primo impatto della Compagnia con la realtà dei territori austriaci. Nell'affrontare il discorso sull'opera di ricattolicizzazione nell'Austria interna, una particolare riflessione si propone poi di analizzare gli anni della formazione culturale del futuro imperatore Ferdinando II. n capitolo si conclude con una ricostruzione delle origini della presenza gesuitica in territorio veneziano e con una descrizione (nella quale si fa particolare attenzione al pensiero sarpiano) delle vicende relative alla contesa dell'Interdetto. Il secondo capitolo ("La contea di Gorizia tra XVI e XVII secolo. Trattative per un insediamento gesuitico") prende in esame la storia della contea di Gorizia nel medesimo arco cronologico affrontato nel primo capitolo. Un cenno sulle dimensioni e sull'organizzazione istituzionale della Contea serve ad introdurre un discorso più prettamente storico-religioso, nel corso del quale si vuole ricostruire le vicende della diffusione e della repressione della fede luterana entro il territorio di interesse. Attraverso l'esame delle proposte miranti a favorire una presenza stabile della Compagnia di Gesù a Gorizia, si vuole dare poi conto della lunga fase preparatoria all'insediamento definitivo dell'Ordine nella città isontina. Un'analisi della storia dell'istruzione a Gorizia (seconda metà del Cinquecento) e la presentazione dei gesuiti di origine goriziana del Cinquecento servono poi a completare la riflessione su tale "fase preparatoria''. D capitolo si chiude con il racconto delle vicende della Guerra di Gradisca (1615-1618); qui l'attenzione è posta sulla partecipazione dei padri gesuiti alla guerra stessa, sulle modalità della loro presenza in città e tra le truppe e sulla valutazione di tale presenza elaborata in ambito veneziano. Con il terzo capitolo (''Finanze, scuola e società nei primi anni di vita del collegio dei gesuiti di Gorizia'') si apre la seconda parte della tesi. L'accento viene qui decisamente posto sulle vicende relative alla vita del collegio goriziano. In primo luogo si cerca di ricostruire le vicende economico-finanziarie dell'istituzione, attraverso l'analisi di rendite fisse e investimenti, di donazioni ricevute e spese sostenute. Si passa poi a trattare della scuola vera e propria, raccontata a partire dai propri inizi fino al 1650; l'accento viene posto sull'evoluzione della struttura (in particolare quella delle classi del collegio). Alcune pagine sono poi dedicate alla descrizione delle figure di professori, rettori e studenti del collegio. La vicenda della fondazione del seminario residenziale per studenti poveri, chiamato werdembergico (I 629), ha poi richiesto alcune più approfondite riflessioni in merito alla sua caratterizzazione. n terzo paragrafo intende invece chiarire alcuni aspetti problematici relativi alla sfera dei rapporti istituzionali e non mantenuti dal collegio goriziano con altre realtà religiose e secolari dell'epoca (Stati provinciali, Curia generalizia della Compagnia di Gesù, ad esempio). n quarto e ultimo capitolo ("L'influsso gesuitico sulla storia religiosa della Contea") si sofferma sulla vita religiosa del territorio di interesse, ed in particolare sull'influenza avuta in merito dal collegio gesuitico. Per affrontare questo particolare aspetto della ricerca, la scelta della suddivisione della materia è stata ispirata dagli studi dello storico gesuita Miquel Battlori. Il primo aspetto toccato è quello, piuttosto ampio e significativo, dell'amministrazione dei sacramenti e della organizzazione della liturgia da parte dei padri del collegio. Gli ulteriori punti toccati in quest'ultimo capitolo riguardano la promozione della devozione mariana e delle congregazioni, il culto dei santi e la fede nei miracoli, il teatro di scuola, la vocazione missionaria propria della Compagnia di Gesù, l'impegno dei padri nella mediazione all'interno di conflitti familiari e non. Nella seconda parte della tesi viene frequentemente proposto un confronto tra le vicende della realtà gesuitica e goriziana e quella di altre simili istituzioni dell'Austria interna; in particolare, i termini di paragone più frequenti sono i collegi di Klagenfurt e Lubiana. L'esito del percorso di ricerca permette di fornire una risposta negativa al quesito formulato nel titolo della tesi. La verifica dell'evoluzione delle vicende della storia goriziana, la comparazione tra la realtà isontina e quella delle altre zone dell'Austria interna, la ricostruzione del percorso di fondazione prima e di vita poi del collegio gesuitico permettono infatti di affermare, con ragionevole fondatezza, che la presenza della Compagnia di Gesù nel Goriziano nella prima metà del XVII secolo sia stata motivata non dall'esigenza di combattere la diffusione del credo luterano, quanto da quella di fornire un punto di riferimento religioso ed educativo alla popolazione della Contea. ; XIX Ciclo ; 1972 ; Versione digitalizzata della tesi di dottorato cartacea.
Für diese Studie wurden Tabellen folgender Autoren zusammengetragen: Walter G. Hoffmann, Jörg Beutemüller, Lutz Köllner, Carola Bielefeld, Klaus Tiepelmann und Detlef Zukunft. Die u.a. Quellen, wie auch die Tabellenübersicht, geben Auskunft darüber, für welchen Bereich der jeweilige Autor zuständig war. (Eine ausführliche Beschreibung ist als WORD oder PDF-Datei erhältlich)
Die von Hoffmann gefundene numerische Korrelation zwischen Bruttosozialprodukt und Militärausgaben in Ländern mit unterschiedlicher Wirtschafts- und Sozialordnung sowie die Berechnung einer Regressionshnearen fand in einer Zeit statt, in der die Entwicklungshilfe und die gesamte sozio-ökonomische Problematik von Entwicklungsländern in den Vordergrund des ökonomiewissenschaftlichen Interesses auch in der Bundesrepublik rückte. Sicher nicht von ungefähr erschien wenig später aus der Feder von Kurt W. Rothschild der Aufsatz: "Military Expenditure, Exports and Growth", nicht ohne Wiederbelebung einiger Grundzüge der klassischen Imperialismusdebatte vom Stile des marxistischen Revisionismus aus der Zeit um den Ersten Weltkrieg. Schließlich war es kein geringerer als Werner Sombart gewesen, der - neben einer Anzahl von fachhistorischen Arbeiten zur Entwicklung und zum Stand von Kriegs- und Militärausgaben in einzelnen deutschen Ländern (vor allem in Preußen, Sachsen, Württemberg und Bayern), die in der Regel auf einzelne kriegerische Ereignisse konzentriert blieben - grundlegende Zusammenhänge zwischen Kapitalismus und Militär im Jahre 1913, ein Jahr vor Ausbruch der Katastrophe von 1914, veröffentlicht hatte. Auf Sombart, dem in den Siebziger Jahren unseres Jahrhunderts wie auf so manchen anderen inzwischen wiederentdeckten "Klassiker" hinzuweisen, wurde W. G. Hoffmann in seinen Lehrveranstaltungen nicht müde. Oft bezog er sich auch auf den eigenwilligen Robert Wilbrandt oder auf E. Lederer, während er in späteren Jahren verständlicherweise auf Simon Kuznets oder Alexander Gerschenkron verwies. Zu Recht, denn neben den herausgearbeiteten phänomenologischen Grundbefunden, ist die Schrift Sombarts eine Fundgrube für die empirische Forschung geblieben, mögen auch im einzelnen die heute verwandten feingradigen Begriffe der Volkswirtschaftlichen Gesamtrechnung nicht immer auf die von Sombart roh mitgeteilten Daten passen.
Die Arbeit Beutenmüllers kommt zu vergleichsweise hohen Anteilen der Militärausgaben am Sozialprodukt, weil er Militärausgaben und einen Teil der Kriegsfolgekosten zusammenfaßt und beides auf die gegenüber dem Bruttosozialprodukt niedrigere Bezugsgröße Nettosozialprodukt (zu Faktorkosten) bezieht. (Vgl. Tabelle.) Wittmann hingegen gibt zwei (inzwischen weitergeführte) Graphiken an, in denen er den Anteil der Militärausgaben an den gesamten Staatsausgaben darstellt und dementsprechend zu niedrigeren Werten kommen muß als diejenigen Angaben, die sich ausschließlich auf die Ausgaben des Zentralbudgets beziehen. Nicht die Forschungsergebnisse, sondern die Forschungsinhalte sind demnach bei der Analyse der langfristigen Entwicklung von Militärausgaben häufig inhomogen.
Betrachten wir in aller Kürze die Entwicklung der deutschen Militärausgaben seit 1900 bis 1978 zu laufenden Preisen und jeweiliger Währung im Anschluß und unter Fortschreibung der Zahlen von Beutenmüller, so fallen neben den bekannten Tatsachen - wie der exzessiven Entwicklung während des Zweiten Weltkrieges, die 1944/45 zum volkswirtschaftlichen Substanzverzehr führte, indem mehr für Krieg und Militär ausgegeben wurde, als das gesamte Nettosozialprodukt zu Faktorkosten betrug - zwei Tatsachen besonders ins Auge: unmittelbar vor Ausbruch des Ersten Weltkrieges waren die so gemessenen Militärausgaben anteilsmäßig so hoch wie 1978, als die Bewaffnung der Bundeswehr in der zweiten Generation beendet war und die dritte Generation an militärischem Großgerät der Armee zugeführt wurde und - zweitens - nach einem nach unten gerichteten sprunghaften Übergang von den höheren Besatzungs- und Besatzungsfolgekosten auf bundesdeutsche Militärausgaben in der NATO-Allianz (1955: noch 13,8%, 1956 nur noch 8,0%) ihren tendenziellen Rückgang nach unten antraten; diese Entwicklung wurde nur zwischenzeitlich 1964-1966 leicht unterbrochen, als die letzten Heeresdivisionen aufgestellt waren und die "Nachrüstung" mit der zweiten Waffengeneration begann, während gleichzeitig, wie wir aus anderen Quellen wissen, das Offizierskorps nunmehr voll auf Soll-Stärke gebracht wurde. Diese Entwicklung findet ein Pendant im erkennbar weniger schnell steigenden Anteil der Militärausgaben am Bundeshaushalt als die entsprechenden Steigerungsraten des Bundeshaushaltes selbst. Die kurzzeitig abflachende Sonderentwicklung bei den Anteilen der Militärausgaben am Bundeshaushalt 1968-1970 erklärt sich einmal aus der schon erwähnten Schlußaufstellung der Bundeswehr nach den damaligen Planungen, zum anderen durch die Ausgliederung aller Militärpensionen und entsprechender Versorgungsbezüge aus dem Einzelplan 14 in einen gesondert ausgewiesenen Einzelplan 33, der folgerichtig aber weiterhin zu den Militärausgaben gezählt werden muß. Schließlich zeigt die Belastung mit Militärausgaben je Kopf ([vgl.] Tabelle) zwischen 1900 und 1980 insofern eine beachtenswerte Entwicklung, als neben der absoluten Zunahme von 14,69 DM je Kopf (1900) auf 664,56 DM (1980) für die gesamte (Wohn-) Bevölkerung und von 32,69 DM (1900) auf 1.521,82 DM (1980) je Erwerbsperson - vergleichbare Qualität der statistischen Bezugsdaten unterstellt - sich über 80 Jahre hinweg ein annähernd ähnliches Verhältnis zwischen Militärausgaben je Kopf und je Erwerbsperson von ca. 1:2,1 - 1:2,2 herausbildete, dieses Verhältnis in den Siebziger Jahren bis zur Gegenwart aber leicht in dem Sinne sich verschob, als die Militärausgaben je Erwerbsperson etwas schneller stiegen als je Kopf der (Wohn-) Bevölkerung, offensichtlich weil die Zahl der Erwerbspersonen an der Gesamtbevölkerung leicht sank. Weitere Einzelheiten für kurze Perioden können den beiden Tabellen entnommen werden.
Sachliche Untergliederung der Datentabellen in der ZA-Datenbank HISTAT:
A. Ausgaben für Verteidigung nach Walter G. Hoffmann A.1 Die Struktur des öffentlichen Verbrauchs nach Ausgabenarten nach Hoffmann (1850-1959) A.2 Die Struktur der öffentlichen Ausgaben (öffentlicher Verbrauch plus öffentliche Investitionen) nach Ausgabenarten nach Hoffmann (1850-1959) A.3 Der öffentliche Verbrauch in laufenden Preisen nach Hoffmann (1925-1938) A.4 Der öffentliche Verbrauch in laufenden Preisen nach Hoffmann (1850-1959) A.5 Der öffentliche Verbrauch in Mill. Mark in Preisen von 1913 nach Hoffmann (1850-1959)
B. Militärausgaben nach Jörg Beutenmüller B.1 Die Militärausgaben und ihr Anteil an den öffentlichen Ausgaben nach Beutenmüller (1872-1968) B.2 Die Militärausgaben und ihr Anteil an den Bundesausgaben nach Beutenmüller (1951-1968) B.3 Die Militärausgaben und ihr Anteil am Nettosozialprodukt nach Faktorkosten nach Beutenmüller (1872-1968)
C. Militärausgaben in Deutschland nach der Studie von Lutz Köllner C.1 Lange Reihen zu den Militärausgaben in Deutschland (1900 - 1980) C.1.1 Anteil der militärischen Ausgaben an den gesamten Staatsausgaben in ausgewählten Jahren in Prozent (1872-1962) C.1.2 Militärausgaben je Kopf und je Erwerbsperson in Deutschland (1900-1980) C.1.3 Die Militärausgaben am Nettosozialprodukt zu Faktorpreisen in Mio. Mark (1900-1978) C.1.4 Bildungsausgaben des Militärs (1900-1977) C.1.5 Militärausgaben je Kopf aller Soldaten und je Kopf der Offiziere in Mrd. Mark/ RM/ DM (1900-1976) C.1.6 Verteidigungsdichte und Verteidigungsintensität (1900-1976) C.1.7 Militärausgaben in Deutschland in Mrd. Mark/ RM/ DM zu laufenden Preisen (1900-1976) C.1.8 Militärausgaben in Deutschland in Prozent zu laufenden Preisen (1900-1976)
C.2 Sonstige Tabellen für die Zeit vor 1945 (von Lutz Köllner) C.2.1 Reichshaushalt und Reichsschuld in Mrd. RM (1933-1945) C.2.2 Deutschlands Rüstungsausgaben in Mill. RM (1932-1939) C.2.3 Reichsausgaben und Rüstungsausgaben in Mrd. RM (1932-1939) C.2.4 Zunahme der Staatsverschuldung in ausgewählten Ländern (1914-1950) C.2.5 Die Staatsausgaben in Preußen (1640-1862) C.2.6 Rüstungsausgaben und Volkseinkommen in Mio. RM nach Blaich (1932-1938)
C.3 Militär und Finanzen in der Bundesrepublik Deutschland, der NATO-Länder und der Welt (von Lutz Köllner) C.3.1 Verteidigungsausgaben der NATO-Länder (1949-1980) C.3.2 Soziale Kriegsfolgelasten in der Bundesrepublik Deutschland in Mill. DM (1949-1956) C.3.3 Staatsausgaben je Kopf der Bevölkerung in DM (1952-1976) C.3.4 Gesamtausgaben und Verteidigungsausgaben des Bundes in Mrd. DM (1956-1981) C.3.5 Verteilung von Militärausgaben in der Welt in Prozent (1955-1980) C.3.6 Die langfristige Entwicklung des Verteidigungshaushaltes in Mill. DM in der Bundesrepublik Deutschland (1956-1984)
D. Rüstungsausgaben in der BRD nach Carola Bielfeldt D.1 Verteidigungsausgaben in unterschiedlichen Quellen in Mill. DM (1950-1972) D.2 Verteidigungsausgaben nach NATO-Kriterien in Mill. DM (1950-1971) D.3 Entwicklung der Verteidigungsausgabenstruktur (1950-1971) D.4 Gesamtwirtschaftliche Bezugsdaten (1950-1972) D.5 Anteil der Verteidigungsausgaben (1950-1971)
E. Verteidigungsausgaben in der BRD nach Klaus Tiepelmann und Detlef Zukunft E.1 Die Entwicklung der Verteidigungsausgaben in der Bundesrepublik nach Tiepelmann und Zukunft (1955-1992)
Aus der Einleitung: Aus einer Reihe von Finanzkrisen über die letzten Jahrzehnte konnten wertvolle Erkenntnisse über das Verhalten von Banken gewonnen werden. Die Fachliteratur ist sich einig, dass die Vielschichtigkeit der heute global agierenden Finanzakteure, die Komplexität der heutigen Finanz- und Kapitalmärkte keine stereotypen Lösungen zur Risikovermeidung zulassen. Aus nahe liegenden Gründen hat sich in der Vergangenheit gezeigt, dass wertvolle Anregungen für die Bankenwirtschaft nur in Form von Reformprojekten umsetzbar sind. Die vorliegende Arbeit möchte mit der Ausarbeitung einer neuen Zielstruktur, welche auf neuersten Erkenntnissen der Fachliteratur (neue Finanzintermediationstheorie, Effizienzmessungen und Beiträgen von Haiss (Bankenstrategien), Tichy (Bankenfusionen) und Mooslechner (Bankenstruktur)) beruht, für die österreichische Bankenwirtschaft weitreichende Reformen zur Risikovermeidung vorstellen. Die Motivation für die vorliegende Arbeit lag im folgenden: Die analytische Einsicht wird oft im Bankenwesen vor der operativen Ausführung vermisst. Für die erfolgreiche Umsetzung von Reformen, gilt es in Zukunft im österreichischen Bankenwesen verstärkt vorausschauend zu denken und Herausforderungen von Morgen zu erkennen. Der Erfolg lässt sich dann "planen", wenn Entscheidungsträger wesentliche Trends zu erkennen bereit sind und Entwicklungen vorantreiben wollen. Die Herausforderung für diese Aufgabe lässt sich am treffendsten mit einem Zitat von Hermann Hesse beschreiben: "Damit das Mögliche entsteht, muss immer wieder das Unmögliche versucht werden." Problemstellung: Es kann zweifelsfrei behauptet werden, dass Bankenreformen in der heutigen Finanzwelt dringender gebraucht werden, als noch vor einigen Jahren. Aus diesem Grund wird die Arbeit zunächst eine Analyse für die Gründe der Transformation des Finanzsektors vornehmen: Auf Grund des in den vergangenen Jahrzehnten immer schneller voranschreitenden Strukturwandels im europäischen Bankensektor, sei es in Form von Finanzmarktliberalisierungen, Fusionen, bis hin zu neuen Finanzinnovationen in Verbindung mit einem sich ständig ändernden Anlegerverhaltens, kam es zu Reformen in überschaubaren Stufen, um eine Anhäufung von Risikofaktoren zu verhindern bzw. auftretende Probleme schrittweise zu lösen. Österreich hat der Reform des Finanzsektors ein antizyklisches Timing verpasst. In Zeiten rückläufiger Nachfrage wurden Liberalisierungsschritte gesetzt, während in Zeiten konjunktureller Erholung die Aufsicht verschärft wurde. Nicht zuletzt scheint das österreichische Bankensystem intern stabiler geworden zu sein als andere. Ein solches Bankensystem tendiert dazu konjunkturbedingte Schwankungen zu glätten. Damit verringert sich die Notwendigkeit seitens der Behörden korrigierend einzugreifen. Banken, die eine kurzfristige Maximierung der Gewinne anstreben, weisen eher ein prozyklisches Verhalten auf. Sie neigen dazu, die Schwankungen der Konjunktur zu verstärken. In dieser Arbeit wird auf die negativen stabilitätsdämpfenden Auswirkungen durch Bankencrashs nicht näher eingegangen werden, sondern auf die Wachstumschancen durch Banken mit Hilfe von langfristiger Effizienz. Europäische Institute stehen derzeit vor dem Problem, bestmögliche Produkte im zunehmend globalen Wettbewerb zu finden. Produktivität und Effizienz sind in diesem Zusammenhang die beiden wichtigsten Erfolgsfaktoren. Der Autor ist der Ansicht, dass Banken in Zukunft durch veränderte Technologien und Deregulierungen auf den Märkten insgesamt unverzichtbar werden, um Systemkrisen zu bewältigen und eventuelle ökonomische Krisen zu stabilisieren. Dies lässt sich insofern begründen, als zwar Wertpapiermärkte die Banken ersetzen können, aber die "anhaltende Präsenz" von Banken in einer hoch entwickelten Volkswirtschaft darauf hinweist, dass sie bestimmte Aufgaben erfüllen, die Märkte nicht bieten können. Der Autor möchte im weiteren Verlauf der Arbeit zeigen, dass ein operativer Vergleich der Banken mit Kennzahlen wie der Cost Income Ratio (CIR), dem Return on Investment (ROI) oder dem Return on Equity (ROE) für eine wettbewerbsbezogene Analyse der Banken heute alleine nicht mehr ausreicht. Hiezu sollen neue Effizienzanalysen im Bankenwesen herangezogen werden, welche mit Hilfe von ökonometrischen Analysen neue Implikationen für die Zukunft bringen können. Aus diesem Grund wollen wir in Bezug auf Österreich zwei aktuelle Untersuchungen über das Bankenwesen in Österreich und Deutschland zwischen 1990 und 2002 durchgeführt von Gstaach (2000) und Hauner (2001) vorstellen. Das Ziel dieser Arbeit ist es aus den aktuellen Bankenstrategien, aus den Erkenntnissen der neueren Theorie der Finanzintermediation, aus den Implikationen zweier aktueller Effizienzanalysen zum Bankenwesen in Österreich und anhand wissenschaftlicher Beiträge zum Forschungsgebiet (Haiss, Tichy und Mooslechner), für die Praxis Möglichkeiten für Anpassungen an die neuen Rahmenbedingungen festzustellen. Die Bedeutung dieser Arbeit liegt in der Entwicklung einer neuen Zielstruktur (Bankenstrategie und Bankenstruktur) für die Zukunft aller österreichischer Banken in Europa. Das internationale Bankenwesen hat in den vergangenen Jahren einige massive strukturelle Veränderungen erfahren. Haiss bemerkte dazu bereits 1993: "Banken sind keine Produktions-, sondern Dienstleistungsunternehmen und gehorchen allein schon deshalb anderen Gesetzen ..... Sie sind geprägt durch die Kundenstruktur, durch Konjunkturzyklen, denen die Kunden unterliegen, durch Kostenänderungen in den Produktionsfaktoren und durch den rechtlichen Ordnungsrahmen." Es kam zu zahlreichen Konsolidierungen (Bereinigungen), strategischen Fusionen und Kooperationen in den USA, Europa und Asien. Im wesentlichen haben sich in den letzten Jahren die Produkte der verschiedenen Bankeninstitute angeglichen (Standardisierung und Automatisierung), sodass der Wettbewerb härter geworden ist. Als Folge der positiven amerikanischen Finanzmarkt und Kapitalmarktentwicklung in den 80-er und frühen 90-er haben die privaten und institutionellen Investitionen in Aktien und Anleihen massiv an Bedeutung hinzugewonnen (Disintermediation und Securitization), sodass als Konsequenz die klassischen Bankgeschäfte, wie Kreditvergabe und Spareinlagen weniger wichtig geworden sind. Dies kann als wesentliche Strukturveränderung im Anlegerverhalten angesehen werden. Inhaltsverzeichnis: ABSTRACT1 VORWORT5 A.EINLEITUNG6 I.Problemstellung6 1.Literaturüberblick: Finanzintermediation10 2.Strukturwandel im Bankensystem und Strukturveränderungen im Anlegerverhalten13 3.Aktuelle Strategische Wahlmöglichkeiten für Banken in Europa18 3.2INVESTMENTBANK - SPEZIALBANK18 3.2MULTI PRODUKT BANKING - UNIVERSALBANK19 3.3ALLFINANZDIENSTLEISTER - ALLFINANZKONGLOMERAT22 3.4RESUMÉ22 II.Aufbau der Arbeit23 B.THEORETISCHER HINTERGRUND: DEFINITIONEN24 4.Begriffsdefinitionen24 4.1KLASSIFIKATION VON BANKEN24 4.1.1INVESTMENTBANKEN (SPEZIALBANKEN)25 4.1.1.1CORPORATE FINANCE/FIRMENKUNDENGESCHÄFT26 4.1.1.2EQUITY / DEBT CAPITAL MARKETS27 4.1.1.3SALES / TRADING / BROKERAGE DES ANLEIHEN- UND AKTIENHANDELS28 4.1.1.4PRIVATE INVESTMENTS – VC / PRIVATE EQUITY29 4.1.1.5ASSET MANAGEMENT / RESEARCH30 4.1.1.6DERIVATIVE/ RISKMANAGEMENT30 4.1.1.7CORPORATE BUY SIDE: UNTERNEHMEN32 4.1.1.8SELL SIDE: ZINS- UND WÄHRUNGSMANAGEMENT34 4.1.1.9BESONDERHEITEN DES ZINSMANAGEMENT34 4.1.1.10FOWARD RATE AGREEMENTS35 4.1.1.11CROSS CURRENCY INTEREST RATE SWAP36 4.1.1.12ZINSFUTURES37 4.1.1.13BESONDERHEITEN DES WÄHRUNGSMANAGEMENT37 4.1.1.14DEVISENTERMINGESCHÄFTE38 4.1.1.15DEVISENSWAPS38 4.1.1.16WÄHRUNGSFUTURES39 4.1.1.17WÄHRUNGSOPTIONEN39 4.1.2COMMERCIALBANKS (UNIVERSALBANKEN)41 4.1.3UNIVERSALBANKENSYSTEM VERSUS TRENNBANKENSYSTEM41 4.3.1ECONOMIES OF SCOPE – ECONOMIES OF SCALE42 4.2EFFIZIENZ IN DER BWL44 4.2.1OPERATIVE EFFIZIENZ46 4.3EFFIZIENZ IN DER VWL48 C.THEORETISCHER HINTERGRUND: EFFIZIENZANALYSE IM BANKENWESEN50 5.Operative Effizienzanalyse50 5.1KENNZAHLENVERGLEICHE50 5.2ERTRAGSWERTMETHODEN52 6.Effizienzmessungen in Banken anhand der Data Envelopment Analysis56 6.1DATEN DER EFFIZIENZMESSUNG: INPUTS UND OUTPUTS57 6.2IMPLIKATIONEN VON GSTAACH - DEA61 6.3IMPLIKATIONEN VON HAUNER - DEA63 D.THEORETISCHER HINTERGRUND: MAKROÖKONOMISCHE ROLLE DER FINANZINTERMEDIATION65 7.Theoretische Erklärungsansätze zur Rolle von Finanzintermediären65 7.1BEGRÜNDUNG VON INTERMEDIATION66 7.2URSPRÜNGLICHE FUNKTIONEN VON INTERMEDIÄREN69 7.3ANSÄTZE ZUR ERKLÄRUNG DER INTERMEDIATION70 7.4FINANZINTERMEDIATION UND NEUE WACHSTUMSTHEORIEN74 7.4.1ENDOGENES WACHSTUM DURCH TECHNISCHEN FORTSCHRITT75 7.4.2ENDOGENES WACHSTUM DURCH KAPITALAKKUMULATION77 7.5POSITIVE AUSWIRKUNGEN – FINANZINTERMEDIATION UND STABILITÄT79 7.6NEGATIVE AUSWIRKUNGEN - SPEKULATION79 7.7FINANZINTERMEDIATION IM ENGEREN SINNE: FUNKTIONEN84 7.7.1BANKEN - INSTITUTIONELLE BETRACHTUNGSWEISE84 7.7.2BANKEN - NEOKLASSISCHE BETRACHTUNGSWEISE84 7.7.3BANKEN - NEOINSTITUTIONELLE BETRACHTUNGSWEISE85 7.8NEUERE ERKLÄRUNGSTHEORETISCHE ANSÄTZE ZUR FUNKTION VON FINANZINTERMEDIÄREN85 E.ZIELSTRUKTUR FÜR ÖSTERREICHISCHE BANKEN IN EUROPA91 8.Marktumfeld92 8.1MARKTSTRUKTUR: "UNIVERSALBANKENSYSTEM" UND "SEKTORTRADITION"93 8.2MARKTERGEBNIS: "GROßE LÄNDER GROßE BANKEN, KLEINE LÄNDE KLEINE BANKEN"95 8.3ZIELKONFLIKT: NATIONALER STREUBESITZ- INTERNATIONALE KERNAKTIONÄRE97 9.Kernaussagen der neuen Zielstruktur98 9.1ARBEITSHYPOTHESEN99 9.1.1WERTFALLE – EINMAL DRINNEN, NIE MEHR RAUS100 9.1.2WERTKRITISCHE AUFWAND-ERTRAGS-RELATIONEN102 9.1.3WERTTREPPE – ZIEL FÜR BANKEN IST DAS WACHSTUM103 9.2NEUES BANKENSTRUKTURMODELL : – EIN SÄULEN PRINZIP104 9.3NEUES BANKENSTRUKTURMODELL : FUSIONEN IM INLAND SCHAFFT EFFIZIENZ106 9.4NEUES BANKENSTRUKTURMODELL : OFFENSIVE POSITIONIERUNG115 9.5NEUE BANKENSTRATEGIE: RATIONALISIERUNG118 9.6NEUE BANKENSTRATEGIE: RENTABILITÄTSORIENTIERTE RE-SPEZIALISIERUNG119 10.Probleme und Risiken bei der Umsetzung einer neuen Zielstruktur121 10.1GLOBALISIERUNGSDRUCK AUF EUROPA121 10.2ÖIAG UND WIENER BÖRSE125 10.3KEINE KLASSENÜBERTRITTE UND KEIN FINANZAKZELERATOREFFEKT126 10.4KEINE DIVERSIFIKATION: GROSSBANKEN SETZEN INVESTITIONSSTRATEGIE AUF ZENTRAL- UND OSTEUROPA (CEE)129 10.5HAUSBANKENPRINZIP133 10.6NOTWENDIGKEIT EINER NEUEN CORPORATE GOVERNANCE FÜR BANKEN134 11.Chancen und Vorteile bei der Umsetzung einer neuen Zielstruktur135 11.1KUNDENNUTZEN136 11.2KEINE ÄHNLICHE ENTWICKLUNG WIE IN JAPAN ZU BEFÜRCHTEN138 11.3BANK BASED MODELL SCHAFFT FINANZMARKTSTABILITÄT140 11.4NATIONALE BEREINIGUNGEN SCHAFFEN EFFIZIENZGEWINNE145 11.5NEUE REGULIERUNG UND FINANZMARKTAUFSICHT IN EUROPA UND ÖSTERREICH149 11.6OUTSOURCING, STANDARDISIERUNG UND AUTOMATISIERUNG STATT PERSONALABBAU153 11.7NEUE GESAMTBANKSTEUERUNG – NEUES RISKMANAGEMENT154 11.8DIVERSIFIKATION159 11.9ÖSTERREICH AM WEG ZU DEN BIG 5161 F.CONCLCUSIO163 12.Zusammenfassung der Arbeit163 13.Ertragslage der Österreichischen Banken per 3.Q 2002172 14.Schlussbemerkung175 III.Literaturverzeichnis178 IV.Anhang:191
In: The economic history review, Band 30, Heft 3, S. 513-553
ISSN: 1468-0289
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Die deutsche Außenpolitik zur Zeit des Kalten Krieges stellt in historischer wie politikwissenschaftlicher Hinsicht einen Gegenstand dar, der mit gutem Gewissen als wissenschaftlich erschlossen bezeichnet werden kann. Zahlreiche Aufsätze, Artikel und Bücher sind in den vergangenen Jahrzehnten erschienen, welche die deutsche Außenpolitik in Europa, Afrika, Asien, Ozeanien, Amerika, oder auch gleich der Welt als Ganzem, in den Blick genommen haben. Dies gilt sowohl für die Außenpolitik der Bundesrepublik Deutschland als auch für diejenige der Deutschen Demokratischen Republik. Früh – wenn nicht sogar von Beginn an – kam hierbei eine zentrale These, eine Kernthese, zum Vorschein, die, ohne auf Widerstand zu stoßen, Eingang in den historischen und politikwissenschaftlichen Forschungskanon fand und ihn bereits nach kurzer Zeit zu dominieren begann. Die Rede ist von der die deutschen Auslandsaktivitäten angeblich bestimmenden Hallstein-Doktrin und dem mit ihr in engem Zusammenhang stehenden deutsch-deutschen Gegensatz. In dieser Arbeit wird dieser Kernthese, diesem ''Mythos'' der deutschen Außenpolitik, vehement widersprochen. Weder die Hallstein-Doktrin, noch der deutsch-deutsche Gegensatz, sondern nationale ökonomische und internationale geostrategische Interessen haben die deutsche Außenpolitik – und darüber hinaus auch die gesamten deutschen Auslandsaktivitäten, der BRD wie der DDR – maßgeblich bestimmt. Zur Stützung dieser Gegenthese werden in der vorliegenden Studie die staatlichen, wirtschaftlichen und gesellschaftlichen Aktivitäten West- und Ostdeutschlands in neun zentralafrikanischen Staaten zwischen 1945 und 1975 kritisch dargelegt, umfassend analysiert und im Hinblick auf mehrere zentrale Thesen zu den deutschen Auslandsaktivitäten ausgewertet. ; For decades articles and books have been published on the history of German foreign policy during Cold War. Regardless of whether Europe, Africa, Asia, Oceania, America or the world as a whole, the foreign affairs of the Western Federal Republic of Germany and the Eastern German Democratic Republic have been researched and analysed in context of a broad variety of locations. However, even though the list of publications continues to grow, the topic''s theses–especially its main thesis–do not show much progress. Already at an early stage, a central thesis–a core thesis–came to light, met no resistance and entered history''s and political science''s research canons on German foreign policy. This thesis reads: Inner German issues and the non-solved German question were so powerful, they dominated West and East German foreign affairs nearly right from the start. German foreign policy, that was the so-called Hallstein doctrine, that was the so-called German-German contradiction. And all studies–whether of history or political science, whether designed as a case study or as a global approach–confirm this thesis, use it as an integral part of their work–until today. But be that as it may. This study contradicts this thesis, this ''myth'' of German foreign policy. Instead it argues that neither the Hallstein doctrine nor the German-German contradiction, but national economic and international geostrategic interests dominated German foreign policy and German foreign activities–regarding the FRG, the GDR, and Germany as a whole. To proof this thesis, West and East German activities–of the two states, their economies and their societies–in nine Central African states between 1945 and 1975 are observed and analysed. More than a million file pages out of more than a dozen German archives were read to tackle this task–and shed some refreshing new light on the foreign policies of the two German states during Cold War.
Aus der Einleitung: Das Schlagwort der Weltwirtschaft im 21. Jahrhundert ist nicht nur für viele Wirtschaftswissenschaftler, sondern auch für Medien und Konsumenten, Produzenten und Politiker gleichermaßen die Globalisierung. Von Kritikern verteufelt, von Befürwortern als die Heil bringende Lösung für marode Wirtschaftsysteme gepriesen, ist der Begriff in aller Munde. Es stellt sich die Frage, was ist Globalisierung und was bringt sie eigentlich mit sich? Kurz gefasst lässt sich Globalisierung als 'ein Veränderungsprozess [erläutern], der auf die Kombination von zunehmender grenzüberschreitender Aktivität und Informationstechnologie zurück zu führen ist.' Sie ist gekennzeichnet durch die Mobilität des Kapitals möglicher Investoren, die globale Verfügbarkeit von Gütern und Dienstleistungen und der allgemeinen Öffnung von Märkten. Dass dieser Prozess nicht gänzlich unkritisch zu betrachten bleibt, steht außer Frage, soll aber hier nicht weiter diskutiert werden. Umfassende Informationen zur Globalisierungskritik, die sich in den letzten Jahren immer stärker manifestiert, findet man u.a. bei Chossudovsky, der vor allem die Verlagerung von Betriebstätten industrieller Produktion aus den Industrieländern in die Entwicklungs- und Schwellenländer betrachtet und den Einfluss internationaler Finanz- und Bankunternehmen kritisiert. An dieser Stelle soll vielmehr die Globalisierung als grundsätzlicher Ausgangspunkt für die Betrachtung der Wirtschaftsentwicklung der Republik Irland als gegeben angenommen werden. Da Irlands Entwicklung abhängig ist von der globalisierten Weltwirtschaft, ist es in diesem Zusammenhang besonders interessant. Die Entwicklung dieser Volkswirtschaft, die innerhalb der Europäischen Union in ihrer Art zugleich ein einzigartiger Erfolg ist und unter Umständen ein exemplarisches Vorbild für andere Nationen in ihrer Wirtschaftspolitik sein kann, soll an dieser Stelle untersucht werden. Gründe und Wege der Entwicklung sollen analysiert werden, um herauszuarbeiten, inwiefern es Möglichkeiten gibt, den irischen Weg auf andere Wirtschaftssysteme und Volkswirtschaften zu übertragen. Dabei sollen diese Entwicklung nicht unkritisch betrachtet, sondern auch Grenzen und Probleme des irischen Weges aufgezeigt werden und ein Ausblick gegeben werden, ob das irische Wirtschaftwunder zukunftsfähig ist und bleiben wird. Einen theoretischen Rahmen, in dem die irische Volkswirtschaft untersucht werden soll, bilden neben den bekannten Tendenzen der Globalisierung die Modelle des Systemwettbewerbs und im speziellen das Modell des Standortwettbewerbs. In der Literatur versteht man unter Systemwettbewerb die Konkurrenz verschiedener institutioneller Systeme auf internationaler Ebene . So können zum Beispiel verschiedene Krankenversicherungs-, Steuer- oder Gesellschaftssysteme auf ihre Vor– und Nachteile im Wettbewerb der immobilen Produktionsfaktoren (Arbeit) um die mobilen Produktionsfaktoren (Kapital) untersucht werden. Dieser Prozess umfasst sowohl ökonomische als auch politische Elemente. Seliger erläutert den Systemwettbewerb als Möglichkeit der am Wirtschaftsgeschehen teilnehmenden Unternehmen 'ihren Standort [zu] wechseln, um institutionellen Rigiditäten zu entgehen'. Zudem geht er davon aus, dass 'die Nachfrager von Institutionen (Investoren, Konsumenten, Steuerzahler, Importeure) die Arbitrage aus deren unterschiedlichen Design [nutzen], um ökonomische Vorteile zu erzielen'. Die Funktionsweise dieser Konkurrenz wird erläutert durch das Prinzip des Standortwettbewerbs. Zwar werden mitunter die Begriffe Systemwettbewerb und Standortwettbewerb synonym verwendet, wie beispielsweise von Holger Dümler , hier wird aber prinzipiell vom Standortwettbewerb gesprochen. In der Literatur wird Standortwettbewerb gekennzeichnet als ein internationaler Wettbewerb um Produktionsfaktoren, der auf drei verschiedenen Ebenen abläuft. Zum einen konkurrieren Unternehmer mit ihren Produkten auf den Güter- und Dienstleistungsmärkten der Welt um Marktanteile und Absatzchancen. Auf einer zweiten Ebene stehen Staaten miteinander im Wettbewerb, auf den Faktormärkten wetteifern sie um mobile Produktionsfaktoren wie Kapital und technisches Wissen. Die dritte Ebene stellt eher einen indirekten Wettbewerb dar. Es wird impliziert, dass immobile Arbeitskräfte über komplexe Zusammenhänge im internationalen Wettbewerb miteinander stehen. Der Erfolg eines Staates im internationalen Standortwettbewerb ist abhängig von zahlreichen Einflussgrößen, z.B. von staatlich fixierten Standortfaktoren. Zu diesen gehören u.a. die Infrastruktur und die Steuer- und Abgabenlast im jeweiligen Land. Diese Größen sind es auch, durch deren Gestaltung manche Staaten (wie das hier gewählte Beispielland Irland) erfolgreicher agieren als andere. Ein wichtiger Faktor in der Betrachtung des Standortwettbewerbs ist die unterschiedliche Ausgestaltung der Unternehmensbesteuerung. Die zunehmende internationale Integration und Kapitalmobilität verlangt nach einer Neuorientierung in der Steuerpolitik, vor allem im Bereich der Unternehmensbesteuerung. Es wird hier von einem Unternehmenssteuerwettbewerb zwischen einzelnen Nationen gesprochen, der in zwei verschiedene Richtungen gehen kann. Es wird angenommen, dass dieser Wettbewerb entweder in Richtung der Steuerharmonisierung oder in Richtung eines Steuerwettbewerbs ohne Grenzen tendieren wird. Beide Modelle basieren auf der Annahme, dass Kapital dahin wandert, wo der Gewinn nach Steuern in Relation zum Vorsteuergewinn am höchsten ist. Der direkte Vergleich ist im Bereich der Unternehmenssteuern am ehesten möglich durch die Analyse der Körperschaftssteuersätze in verschiedenen Ländern. Gerade die enormen Unterschiede in diesen Steuersätzen innerhalb der EU (und nicht nur da) forciert die Debatte über die Wege, die die Steuerpolitik noch gehen kann. Die zunehmende internationale Integration und Kapitalmobilität verlangt nach Ansicht vieler traditionell denkender Volkwirtschaftler (nach Heckscher – Ohlin – Theorie, die hier nicht näher betrachtet werden soll) nach einer Steuerharmonisierung auf internationaler Ebene. In dieser traditionellen Weltsicht geht man davon aus, dass die Globalisierung und Mobilität, vor allem des Kapitals, zu einer immer schwächeren Besteuerung des Faktors Kapital führt. Es könnte sich zu einem riskanten Steuerwettbewerb zwischen einzelnen Staaten mit einer Tendenz eines 'race to the bottom' entwickeln, das im Extremfall zu einer Nullbesteuerung des Kapitals führt. Traditionalisten sehen daher die Notwendigkeit einer Mindestbesteuerung, um dieser ruinösen Tendenz entgegen zu wirken. Ihre Meinung fußt auf der Ansicht, dass Kapital (in Form von Direktinvestitionen multinationaler Unternehmen) dahin wandert, wo die höchste Rendite nach Steuern zu erwarten sei. Vor allem bei offenen Volkswirtschaften (wie Irland) mit stark mobilem Kapital sei diese Kapitalbesteuerung anzutreffen, die im Gegenzug sehr hohe Steuern für immobile Faktoren (z.B. durch indirekte Steuern) aufweist. Insbesondere durch die Vergrößerung des EU-Binnenmarktes sehen Traditionalisten die Gefahr eines solchen Steuerwettbewerbs und fordern Steuerharmonisierung auf EU-Ebene. Dieser Prozess, der eher Staaten auf der gleichen oder ähnlichen Entwicklungsstufe betrifft, wäre demnach nicht für die gesamte EU so anwendbar. Untersucht man die Entwicklung in den Kernländern der EU und den sogenannten ärmeren Peripherieländern (neue EU Staaten und Kohäsionsstaaten: Griechenland, Portugal, Irland) so lässt sich die steuerpolitische Entwicklung besser mit der Theorie der Neuen Ökonomischen Geographie erklären. Diese besagt, dass es sich beim Steuerwettbewerb um ein relativ junges Phänomen handelt, da es bis in die 70er Jahre des 20. Jahrhunderts keine bedeutenden Integrationseffekte innerhalb der europäischen Staaten gab. Dies festigte die Agglomerationseffekte in den EU-Kernländern. Seit Einführung des europäischen Binnenmarktes und der WWU schwanden die Vorteile der Kernländer gegenüber der Peripherie. Vor allem durch die Umsetzung der vier Grundfreiheiten, nämlich der Waren- und Dienstleistungsfreiheit, der Niederlassungs- und Kapitalverkehrsfreiheit sowie dem Verbot privater und staatlicher Wettbewerbsbeschränkungen. Durch die Kapitalfreiheit wird das Kapital mobiler, die Senkung der Kapitalsteuern in den Peripheriestaaten verstärkt den Effekt. Ein weiterer Vorteil für die Peripheriestaaten ergibt sich durch die Binnenmarktliberalisierung, die in Verbindung mit einer konzentrierten Strukturpolitik der EU in den Kohäsionsstaaten für steigende Einkommen in diesen Staaten sorgt. Dies führt zu steigender Kaufkraft und einer größeren Bereitschaft, für eine Verbesserung des Angebots an öffentlichen Gütern höhere Steuern zu zahlen. Wie diese Entwicklungen des Standortwettbewerbs und der Kapitalmobilität in Irland, vor allem in den vergangenen 15 bis 20 Jahren, abgelaufen ist und welche Bedeutung dabei die Strukturförderung der EU hatte, soll Gegenstand der folgenden Betrachtungen sein.Inhaltsverzeichnis:Inhaltsverzeichnis: 2.Vorbetrachtungen4 3.Irland vor dem Beitritt zur EU9 3.1Überblickinformationen9 3.2Geschichte Irlands auf dem Weg in die EU10 3.3Wirtschaftsrückblick und –-entwicklung12 3.4Überblick über Wirtschaft, Branchen und Sektoren15 4.Wirtschaftspolitik in Irland nach dem EU-Beitritt von 197317 4.1Überblick über die Entwicklung wichtiger wirtschaftlicher Indikatoren17 4.1.1Arbeitslosigkeit19 4.1.2Wirtschaftswachstum25 4.2Irlands gegenwärtige Finanzpolitik28 4.3Irlands gegenwärtige Steuerpolitik in ausgewählten Bereichen32 4.3.1Körperschaftssteuer33 4.3.2Umsatzsteuer37 4.3.3Der IFSC, mehr als nur ein Gebiet mit verringerter Körperschaftssteuer38 4.4Ausblick für die irische Wirtschaft40 5.Strukturpolitik der EU und in Irland42 5.1Strukturpolitik der EU – ein Überblick42 5.2Irland und die Strukturpolitik47 5.2.1Irland als Ziel 1 Region49 5.2.2Irland und INTERREG54 5.2.3Irland und LEADER57 5.2.4Irland und URBAN59 5.2.5Irland und EQUAL60 5.3Aktuelle Entwicklung durch die EU Osterweiterung61 5.4Ergebnisse der EU Strukturpolitik63 6.Abschließende Betrachtungen65 7.Literaturverzeichnis69 8.Anhang76Textprobe:Textprobe: Kapitel 4.4, Ausblick für die irische Wirtschaft: In den vorangegangenen Betrachtungen konnte ein Bogen geschlagen werden von Irlands frühen Jahren als Mitglied der europäischen Gemeinschaft, und welche Wege gegangen wurden, um die teils desolate Wirtschafts- und Haushaltssituation in eine der ökonomischen Erfolgsgeschichten der jüngeren Vergangenheit zu verwandeln. Hier sollte ein Blick auf die Maßnahmen geworfen werden, wie Irland von innen heraus seine Situation verbessern wollte und konnte. Vor allem die Methoden zur Attrahierung von Ausländischen Direktinvestitionen durch Steuererleichterungen und gut ausgebildete Arbeitskräfte, die mittel- und langfristig auch die Situation auf dem Arbeitsmarkt entspannen, stechen dabei ins Auge. Diese Wege sind nicht nur für Irland interessant und können u.U. Denkanstöße für andere Volkswirtschaften in vergleichbaren Situationen, sprich schwacher Wirtschaftsperformance und hoher Arbeitslosigkeit, geben. Dass die Entwicklung in Irland nicht frei von Kritikpunkten ist, zeigt zum einen die Diskussion um ein mögliches Steuerdumping. Dieser Verdacht konnte zwar ausgeräumt werden, jedoch sieht sich mit dem Ende der Sonderwirtschaftszone IFSC die irische Finanzbranche Irland mit neuen Herausforderungen und einer verstärkten Konkurrenz durch andere Wettbewerber konfrontiert. Im Standortwettbewerb erfährt dadurch vor allem der irische Finanzsektor einen herben Rückschlag und muss dadurch einer verstärkten Konkurrenz mit seinen europäischen und außereuropäischen Wettbewerbern standhalten. Auch der scheinbar erstaunliche Abbau der Staatsverschuldung bedarf eines zweiten Blickes auf die Zahlen, da diese Statistiken zwar eine relative Entschuldung andeuten, aber die absoluten Zahlen zeigen, dass Irlands Schuldenlast tendenziell eher steigt, allerdings langsamer als das Wirtschaftsvolumen steigt. Das Phänomen des Celtic Tiger ist folglich ein Ergebnis, das viele positive Aspekte in sich birgt, aber auch vor neuen Herausforderungen steht. Zudem ist unleugbar, dass die irische Wirtschaft die Entwicklung in den vergangenen 20 Jahren (wenn man vom Krisenjahr 1986 ausgeht) nicht allein aus eigener Kraft geschafft hat. Einen wichtigen Einfluss hatte die umfangreiche Unterstützung durch die Beihilfen der EU. In welchem Umfang und welcher Art diese in Irland wirken konnten, soll Kernpunkt des folgenden Kapitels sein.
In: Discussion Papers / Wissenschaftszentrum Berlin für Sozialforschung, Forschungsschwerpunkt Märkte und Politik, Abteilung Marktprozesse und Steuerung, Band 2009-02
""Social and/or political involvement within the population is often argued to enhance public sector performance. The underlying idea is that engagement fosters political awareness and interest and increases the public's monitoring ability. Still, weak fiscal autonomy can undermine voters' interest in and demand for an efficient production of public services. In our contribution, we test whether and how voter involvement in the political sphere is related to government performance - in terms of its efficiency - using a broad panel of German municipalities. Our results suggest that voter involvement indeed has a positive impact on cost efficiency. Crucially, however, this efficiency-enhancing effect of voter involvement is significantly positively affected by local governments' fiscal autonomy." (author's abstract)
Inhaltsangabe: Einleitung: Anläufe zu einer Währungsunion (WU) auf der Ebene der Europäischen Gemeinschaften (EG) sind nicht neu. Wiederholt wurden solche unternommen, konnten aber nie wie vorgesehen umgesetzt werden. Das weitreichendste Konzept zu einer Europäischen Währungsunion (EWU) stellt der Maastrichter Vertrag dar. Er ist das Ergebnis der einjährigen Regierungskonferenzen zur Wirtschafts- und Währungsunion (WWU) und zur Politischen Union (PU), die im Dezember 1991 in Maastricht ihren Abschluß fanden. Am 7. Februar 1992 wurde der Vertrag von Maastricht von den Mitgliedstaaten der EG unterzeichnet. Gegenstand der Untersuchung dieser Arbeit ist diese im Maastrichter Vertrag festgelegte EWU bzw. der dort festgelegte organisatorische und politische Rahmen der EWU. Die korrekte Bezeichnung des weithin als 'Maastrichter Vertrag' bekannten Vertragswerkes ist 'Vertrag über die Europäische Union' (EUV). Der EUV vom 7. Februar 1992 stellt die bisher umfassendste Änderung und Ergänzung der Römischen Verträge dar. Wie bereits die Einheitliche Europäische Akte (EEA) von 1986 ist der EUV als Mantelvertrag angelegt, der die einzelnen Elemente zusammenführt und sie auf eine neue Phase des Integrationsprozesses, die Europäische Union (EU), ausrichtet. In diesem Mantelvertrag sind die einzelnen Bestimmungen zur Änderung und Ergänzung der drei Gründungsverträge der EG, des EWG-Vertrages, des EGKS-Vertrages und des EAG-Vertrages, einschließlich der institutionellen Änderungen enthalten. Der geänderte EWG-Vertrag wird künftig EG-Vertrag (EGV) genannt. Strukturell stellt der EUV die EG auf drei Säulen. Neben dem EGV, der die 'Vergemeinschaftung' der Geld- und Währungspolitik vorsieht und zudem um einige weitere Materien erweitert wurde, sind dies die beiden auf intergouvernementaler Zusammenarbeit basierenden Säulen der Gemeinsamen Außen- und Sicherheitspolitik (GASP) sowie der Bereiche Justiz und Inneres. Formal ist die Bezeichnung 'EU' nur dann korrekt, wenn auf die drei genannten Säulen insgesamt Bezug genommen wird. Grundlage und unvermindert der mit Abstand wichtigste Teil der EU, die ihrerseits über keine Rechtspersönlichkeit verfügt, ist hingegen nach wie vor die EG. In Orientierung an dieser formalen Bezeichnung ist der Begriff der 'EU' entsprechend nur in den seltensten Fällen zutreffend. So wird auch in dieser Arbeit in erster Linie von der 'EG' die Rede sein. Um jedoch der 'politischen Vision', die sich aus den wirtschaftspolitischen sowie souveränitäts- und demokratietheoretischen Implikationen der EWU ergibt, gerecht zu werden, wird die formal korrekte Bezeichnung aufgegeben und der Begriff der 'EU' anstelle des Begriffes der 'EG' an den Stellen verwandt, an denen es sich um zukünftige, auf eine PU verweisende Entwicklungen bzw. Entwürfe handelt. Gemäß Art. N EUV soll 1996 eine Revisionskonferenz beginnen, bei der die Vertreter der Regierungen der Mitgliedstaaten diejenigen Vertragsbestimmungen prüfen werden, für die explizit eine Revision vorgesehen ist. Laut Vertrag gehören die Bestimmungen zur WWU nicht zu diesem Bereich. Allerdings ist davon auszugehen, daß es über die für eine Revision vorgesehenen Vertragsbestimmungen hinaus, gerade auch, was die WWU betrifft, zu Änderungen kommen kann. Wie erwähnt, legt der Vertrag das Ziel fest, den Prozeß der europäischen Integration auf eine neue Stufe zu heben und die EG zu einer 'immer engeren Union der Völker Europas' weiterzuentwickeln. Damit ist zwar eine politische Finalität formuliert, diese wird aber nicht näher definiert. Der Vertrag beschränkt sich vielmehr darauf, Ziele dieser Union aufzulisten, ohne eine konkrete Form des Integrationsprozesses festzulegen. Es bleibt offen, ob der Endzustand dieses Integrationsprozesses ein europäischer föderaler Bundesstaat, ein europäischer Zentralstaat, ein europäischer Staatenbund oder eine Form außerhalb dieser Kategorien sein soll. Insgesamt stellt der Vertrag integrationspolitisch keinen qualitativen Sprung dar, sondern beschränkt sich vielmehr auf die Weiterentwicklung bzw. Ergänzung bereits bestehender Grundstrukturen. 'Die Kompetenzen der Gemeinschaft bleiben - jedenfalls im Grundsatz - funktionsgerichtet und funktionsbegrenzt, d.h. bezogen auf Errichtung und Funktionieren des Binnenmarktes und der Europäischen Union.' Die derzeitige Form der Union, wie sie sich im Maastrichter Vertrag darstellt, ist gekennzeichnet durch eine gemischt institutionelle Struktur. Bereiche einheitlicher supranationaler, d.h. gemeinschaftlicher, Politik, wie sie die Agrar- und die Handelspolitik darstellen bzw. für den Geld- und Währungsbereich für die Zukunft vorgesehen sind, stehen neben intergouvernemental beschlossenen Maßnahmen. In anderen Bereichen wiederum gibt es lediglich einen gemeinsamen Rahmen für den Informationsaustausch. Den Kompetenzzuweisungen, die im Rahmen der Regierungskonferenz zur PU zustande gekommen sind, 'liegt erkennbar keine der Kompetenzübertragung eigene Konzeption zugrunde.' Grundsätzlich sind in diesen, die PU berührenden Politikfeldern, die Mitgliedstaaten weiterhin Träger der Zuständigkeit und Verantwortung; auf Gemeinschaftsebene soll lediglich eine gewisse Koordinierung stattfinden. Der Grad der Kompetenzzuweisung in den einzelnen Gebieten ist sehr unterschiedlich. Durch seine Vergemeinschaftung erfährt das Währungswesen eine Sonderbehandlung. Hierdurch hebt es sich von den anderen Bereichen des Vertrages ab, erhält aber keine Einbindung in einen übergeordneten Rahmen. Die Inkonsistenz des Vertrages basiert auf dieser Konstruktion. JOCHIMSEN ist der Ansicht, daß die durch die Trennung in zwei Regierungskonferenzen verursachte Zweigleisigkeit von WWU und PU unglücklich und wenig förderlich für die Realisierung des Projektes der PU war. Die Zuständigkeiten für die WU lagen während der Regierungskonferenz auf deutscher Seite beim Wirtschafts- und Finanzministerium, die Zuständigkeiten für die PU beim Außenministerium. 'Das formale gemeinsame Dach der Initiatoren, nämlich der Staats- und Regierungschefs (...), hat nicht vermocht, die wechselseitige Bedingtheit des Vorhabens zur notwendigen Einheitlichkeit zusammenzufügen. Diese methodisch-institutionelle Weichenstellung hatte allerdings die weitreichendsten Konsequenzen für die Schaffung der erforderlichen politischen Voraussetzungen einer effektiven Stabilitätsausrichtung der EWWU: Der Parallelzug bewirkte, daß einerseits Notenbankfragen materiell und technisch im Brennpunkt standen sowie die Wirtschaftsunion eher negativ denn positiv definiert wurde, wobei die Strukturen der politischen Union außer Blick gerieten, und andererseits die Außen- und Sicherheitspolitik dominierte.' Und ARNOLD urteilt sehr kritisch: 'Der Vertrag von Maastricht ist unter dem Kriterium des Ziels der westeuropäischen Integration hinsichtlich der EG unzureichend, politisch ein Fragment und militärisch ein Nullum. Er hat den Beweis für die Unmöglichkeit geliefert, die 'Finalität' westeuropäischer Integrationspolitik, als einen gemeinsamen Bundesstaat, zu erreichen. Der Grund dafür ist einfach: Es fehlt der gemeinsame politische Wille.' Die dargestellte Grundstruktur der EU nach Maastricht, die durch das Fehlen einer PU in Ergänzung zu der geplanten WU gekennzeichnet ist, bildet den Ausgangspunkt der Untersuchung. Die fehlende Einbindung der WU über eine PU hat insbesondere von deutscher Seite zu erheblicher Kritik geführt. So verwiesen anläßlich der Anhörung des Finanzausschusses des Deutschen Bundestages in Bonn am 18. September 1991 diverse Stimmen auf die politische Dimension der EWU und forderten die Parallelität des Zusammenwachsens der EG zu einer WWU und der institutionellen Weiterentwicklung der EG zur PU. Nach Ansicht des BDI gehört, um den Erfolg einer WU zu sichern, zu den unabdingbaren Kriterien für den Übergang in die dritte Stufe der WU neben einer weitgehenden Konvergenz in der Wirtschafts- und insbesondere in der Finanzpolitik auch eine erhebliche Annäherung an das Endziel der PU. Er befürchtet, daß ohne eine Festigung und föderative Weiterentwicklung der politischen Strukturen das Projekt 'WWU' auf halbem Wege steckenbleibe. Auch die Deutsche Bundesbank kritisiert die fehlende Einigung über die künftige PU. Diese sei im Zusammenhang mit der Entwicklung einer 'Kultur der Stabilität', wie sie in der Bundesrepublik vorhanden sei, von zentraler Bedeutung. Der dauerhafte Erfolg der WU hänge von der Existenz eben dieser Kultur ab. Bundesbankpräsident TIETMEYER sieht die Notwendigkeit, 1996 im Rahmen der Revisionskonferenz des Maastrichter Vertrages die Parallelität von WU und PU noch herzustellen. Nur dann habe die WU Aussicht auf Erfolg. Hinsichtlich der Zusammengehörigkeit von WU und PU äußert sich JOCHIMSEN, Landeszentralbankpräsident in Nordrhein-Westfalen, folgendermaßen: 'Die Maastrichter Regelungen zur Währungsunion (schaffen) für sich genommen keineswegs eine funktionsfähige monetäre Ordnung (...), die (...) ohne den Kontext der politischen Integration Europas auskommen könnte. Es erscheint im Gegenteil verhängnisvoll anzunehmen, das europäische Notenbanksystem funktioniere womöglich um so besser, je weniger auf dem Felde der Wirtschafts- und Finanzunion sowie der Politischen Union geregelt werde, solange nur die Unabhängigkeit des ESZB (Europäischen Systems der Zentralbanken, Anm. d. Verf.) gewahrt sei. In Wirklichkeit handelt es sich hier um komplementäre Politikbereiche.' OHR vertritt die Ansicht, daß der mit einer WU verbundene Wegfall der Flexibilität der Währungsbeziehungen zwischen den Partnerländern ohne die konstitutionellen Bedingungen der PU u.U. desintegrierende Effekte haben könnte, so daß der Bestand einer WU ohne eine PU gefährdet wäre. Nur bei einem Höchstmaß an wirtschaftspolitischer Konvergenz, das auch gemeinschaftliches Handeln in den Bereichen Fiskalpolitik, Sozialpolitik und Lohnpolitik sowie anhaltend gleiche wirtschaftspolitische Zielsetzungen einschließe, sei eine Einheitswährung für die Integration förderlich. 'Dies kann letztlich nur eine politische Union garantieren. Solange es aber noch keine politische Union gibt, birgt die Währungsunion eine Vielzahl ökonomischer Risiken, die auch die schon bestehende Integration wieder beeinträchtigen können. (...) Solange die Bereitschaft zu einer politischen Union noch fehlt, sollten die Marktintegration über den Binnenmarkt und die monetäre Integration über eine Währungsunion nicht miteinander vermischt werden'.Inhaltsverzeichnis:Inhaltsverzeichnis: Abkürzungsverzeichnis Teil A:Einleitung1 I.Zielsetzung der Dissertation1 1.Gegenstand der Untersuchung1 2.Fragestellung und Erkenntnisinteresse6 3.Aufbau und Methodik der Arbeit8 4.Stand der Forschung11 II.Die Konstruktion der EWU im Maastrichter Vertrag16 1.Die Hauptergebnisse des Maastrichter Vertrages hinsichtlich der EWU16 2.Kritische Beurteilung der die EWU betreffenden Regelungen25 2.1Die Konstruktion des ESZB25 2.2Der Übergang in die 3. Stufe27 2.3Die Konvergenzkriterien im einzelnen29 Teil B: Die Interdependenz von EWU und PU36 Kapitel I: Souveränitäts- und demokratietheoretische Aspekte der EWU36 I.Das Souveränitätskonzept37 1.Theoretische Grundlagen und begriffliche Klärung38 1.1Die Entstehung des Begriffes38 1.2Souveränität und Staatsbegriff41 1.3Innere und äußere Souveränität42 2.Auflösungserscheinungen der Souveränität im 20. Jahrhundert45 2.1Auswirkungen wachsender internationaler Verflechtung auf die Souveränität46 2.2Das Verhältnis der EG zur Souveränität der Mitgliedstaaten vor Maastricht52 3.Souveränität - Attribut des modernen Staates? - Versuch der Definition eines veränderten Souveränitätsbegriffes vor dem Hintergrund der europäischen Integration54 4.Exkurs: Souveränität der Mitgliedstaaten nach Maastricht unter verfassungsrechtlichen Gesichtspunkten62 4.1Das Souveränitätsverständnis einiger Mitgliedstaaten unter besonderer Berücksichtigung der verfassungsrechtlichen Situation in der Bundesrepublik Deutschland62 4.2Das Urteil des Bundesverfassungsgerichtes67 II.Souveränitäts- und demokratietheoretische Bewertung der geld- und währungspolitischen Regelungen im Maastrichter Vertrag: Das Verhältnis der EG zur Souveränität der Mitgliedstaaten nach Maastricht75 1.Staatlichkeit und Währung75 1.1Bedeutung und Rolle der Währung sowie der geld- und währungspolitischen Kompetenzen für einen Staat76 1.2Souveränitätstheoretische Bewertung der Vergemeinschaftung der Geld- und Währungspolitik im Maastrichter Vertrag81 2.Staatlichkeit und Notenbank84 2.1Die Stellung von Zentralbanken im Staat85 2.2Die Einbettung einer unabhängigen Zentralbank in den staatlichen Rahmen am Beispiel der Deutschen Bundesbank92 2.2.1Demokratische Legitimation der Deutschen Bundesbank als eigener geld- und währungspolitischer Instanz und sachliche Begründung ihrer Unabhängigkeit92 2.2.2Demokratietheoretische Rechtfertigung der Unabhängigkeit einer Zentralbank am Beispiel der Deutschen Bundesbank97 2.3Bedarf eine Europäische Zentralbank einer ihr übergeordneten 'staatsleitenden Kraft'?107 2.3.1Die Frage der demokratischen Rechtfertigung der EZB als unabhängiger Zentralbank108 2.3.2Das Problem der faktischen Realisierbarkeit der Unabhängigkeit der EZB112 2.3.3Die Interdependenz von EWU und PU über die EZB114 3.Zusammenfassung118 Kapitel II: Ökonomische Funktionsbedingungen der EWU121 I.Theoretische Grundlegung123 1.Chancen und Risiken einer WU123 2.Theorie optimaler Währungsräume126 2.1Darstellung der Theorie126 2.2Die EG als optimaler Währungsraum?133 2.3Wirtschaftspolitische Implikationen in einem nicht-optimalen Währungsraum138 2.4Die EG im Lichte der Theorie optimaler Währungsräume: Zusammenfassung und Bewertung141 3.Alternativer Ansatz zur Theorie optimaler Währungsräume: Konvergenz als zentrale Funktionsbedingung der EWU142 3.1Wirtschaftliche Konvergenz in ihren verschiedenen Ausprägungen: Nominale und reale Konvergenz143 3.2Reale und nominale Konvergenz als Funktionsbedingungen der EWU147 II.Analyse und Implikationen der Funktionsbedingungen der EWU154 1.Geldwertstabilität als Funktionsbedingung der EWU155 1.1Funktionale Zusammenhänge zwischen WU und Finanz- und Budgetpolitik155 1.2Verschiedene Varianten der Disziplinierung der Budgetpolitik unter Berücksichtigung der funktionalen Zusammenhänge162 1.2.1Marktmäßige Disziplinierung163 1.2.2Finanzpolitische Selbstbindung durch ein koordinierendes Regelsystem169 1.2.3'Vergemeinschaftung' finanzpolitischer Kompetenzen173 1.3Institutionalisierung eines budgetpolitischen Regelsystems176 1.4Zusammenfassung: Implikationen der Geldwertstabilität als Funktionsbedingung der EWU186 1.5Exkurs: Die wechselkurspolitische Kompetenz in der EWU188 2.Reale Konvergenz als Funktionsbedingung der EWU191 2.1Funktionale Zusammenhänge zwischen WU und Wirtschaftspolitik über die Funktionsbedingung realer Konvergenz192 2.2Konvergenz der Wirtschaftspolitik zur Verbesserung realer Konvergenz194 2.3Finanzausgleich200 2.3.1Strukturpolitisch motivierter Finanzausgleich mit dem Ziel der Verbesserung realer Konvergenz202 2.3.2Finanzausgleich zu Stabilisierungszwecken: Kompensierende Maßnahmen bei wirtschaftlichen Störungen210 2.3.2.1Diskretionäre gegenseitige Versicherung gegenüber länderspezifischen makroökonomischen Schocks211 2.3.2.2Interregionale Haushaltsströme mit automatischen Stabilisatoren213 2.3.3Auswirkungen eines Finanzausgleichs auf den Gemeinschaftshaushalt und die Einnahmenpolitik der Gemeinschaft216 2.4Zusammenfassung: Implikationen realer Konvergenz als Funktionsbedingung der EWU223 3.Exkurs: Geldwertstabilität und reale Konvergenz: Besondere Rolle der Lohnpolitik in der EWU225 3.1Funktionaler Zusammenhang zwischen WU und Lohnpolitik225 3.2'Gemeinsame' Lohnpolitik bei Lohndifferenzierung228 III.Folgen der Implikationen der ökonomischen Funktionsbedingungen der EWU230 1.Staatliche Strukturen zur Gewährleistung der ökonomischen Funktionsbedingungen der EWU?231 2.Souveränitätstheoretische Bewertung der ökonomischen Funktionsbedingungen der EWU234 Teil C: Implikationen der Interdependenz von EWU und PU im Hinblick auf die Gesamtstruktur der Gemeinschaft240 I.Die PU - funktionales System von Zuständigkeiten oder Staatsverband?240 1.Die PU als funktionales System von Zuständigkeiten?240 2.Umstrukturierung der EU in einen Staatsverband als Ausdruck ökonomischer, souveränitäts- und demokratietheoretischer Implikationen der EWU243 II.Strukturmodell eines Europäischen Bundesstaates245 1.Bestehende Verfassungsentwürfe245 1.1'Entwurf eines Vertrages zur Gründung der Europäischen Union' des EP vom 14. Februar 1984246 1.2'Entwurf einer Verfassung der Europäischen Union' des EP vom Februar 1994251 1.3Reformprogramm für die EU der Europäischen Strukturkommission von 1994254 2.Institutionelle und konstitutionelle Strukturen eines Europäischen Bundesstaates256 2.1Institutionelle Anforderungen an einen Europäischen Bundesstaat257 2.1.1Das Europäische Parlament259 2.1.2Der Ministerrat als Staatenkammer262 2.1.3Weiterentwicklung der Kommission zur Europäischen Regierung265 2.2Die konstitutionelle Ebene eines Europäischen Bundesstaates265 2.2.1Grundstrukturen einer Europäischen Verfassung266 2.2.2Verfassungsmäßig zu verankernde staatliche Elemente268 2.2.3Kernkompetenzen eines Europäischen Bundesstaates271 3.Die Europäische Union: Staat, aber nicht Nation273 Teil D: Integrationstheoretische Voraussetzungen der Verwirklichung einer EPU277 I.Die Bedeutung von Integrationstheorien für den zu untersuchenden Zusammenhang277 II.Die relevanten Theorierichtungen in der Übersicht279 1.Funktionalismus280 1.1Funktionalismus im Sinne Mitranys280 1.2Neofunktionalismus281 1.3Rehabilitierung des Neofunktionalismus284 2.Theorie des Föderalismus289 3.Kommunikationstheorie290 4.Bewertung der Integrationstheorien292 III.Darstellung der Eckpunkte der Integrationspolitik unter Bezugnahme auf den integrationstheoretischen Hintergrund294 1.Die Entwicklung der europäischen Integration bis zur Gründung der EWG294 2.Stagnation und Wiederbelebung der europäischen Integration302 3.Zwischenbilanz310 IV.Analyse des funktionalen Ansatzes hinsichtlich seiner Eignung für eine umfassende politische Integration312 1.Integrationstheoretische Analyse des Integrationsschrittes zur EWU312 1.1Die dem Maastrichter Vertrag vorausgehenden Anläufe hin zu einer WU312 1.2Die der EWU zugrunde liegende politische Finalität314 2.Der Integrationsschritt zur PU: Rehabilitierung und Ergänzung der Theorie des Föderalismus319 2.1Die Theorie des Föderalismus als adäquate Integrationsstrategie für den Schritt zu einer PU319 2.2Handlungs- und interessentheoretische Voraussetzungen322 2.3Nationalstaatliche Interessen hinsichtlich einer PU324 3.Zusammenfassung und Bilanz331 Teil E: Abschließender Exkurs: Historische Währungsunionen des 19. Jahrhunderts im Überblick335 I.Zwei Typen von monetären Unionen im 19. Jahrhundert337 1.Monetäre Unionen zwischen souveränen Staaten338 2.Monetäre Unionen als Ergebnis politischer Integration342 II.Die politische, wirtschaftliche und monetäre Entwicklung in Deutschland im 19. Jahrhundert: Vom Zollverein zum Deutschen Reich und zur Reichsbank344 1.Die politische und wirtschaftliche Entwicklung345 2.Die monetäre Integration349 III.Währungsunionen im 19. Jahrhundert: Bilanz und Lehren352 1.Wirtschaftliche Konvergenz und Interdependenz zwischen WU und PU352 2.Determinanten politischer Integration im deutschen Einigungsprozeß im 19. Jahrhundert355 Teil F: Zusammenfassung und Ausblick: Die EWU als Langfristperspektive357 I.Zusammenfassung der Hauptergebnisse357 II.Die Realisierungschancen der Voraussetzungen der Funktions- und Bestandsfähigkeit der EWU362 III.Ausblick367 Bibliographie372 Anhang: Statistische Übersichten zur Konvergenz419 Tabelle 1: Nominale Konvergenzlage der Mitgliedstaaten der EG419 Tabellen 2-5: Die nominalen Konvergenzkriterien im einzelnen420 Tabellen 6a-10: Kriterien realer Konvergenz der Mitglied-staaten der EG424Textprobe:Textprobe: Kapitel 1.2.3, 'Vergemeinschaftung' finanzpolitischer Kompetenzen: Nach Meinung des Frankfurter Instituts für wirtschaftspolitische Forschung sind die Regelungen des Maastrichter Vertrages unter der Voraussetzung ihrer Einhaltung ausreichend: 'Eine weitergehende Bindung der Finanzpolitik ist nicht notwendig. Die Mitgliedsländer sollten autonom über die Höhe und Struktur der Ausgaben und über ihr Abgabensystem bestimmen. Eine gegenseitige Information über die geplanten Maßnahmen ist sicher nützlich, eine strikte Vormundschaft für die nationale Finanzpolitik hingegen nicht.' Grundsätzlich ist eine Gewährleistung der Disziplinierung der Finanzpolitik und die Schaffung von Konvergenz bzgl. der hier in Frage stehenden Größen als Voraussetzung einer funktionsfähigen WU auf der Grundlage eines strengen Regelsystems von Konvergenzkriterien, deren Einhaltung zwangsläufig zu einer stabilitätsorientierten und konvergenten Finanz- bzw. Budgetpolitik führen würde, denkbar. Wie hoch jedoch die Gefahr ist, daß solche Konvergenzkriterien nicht wörtlich eingehalten bzw. ihrer intendierten Wirkung nicht gerecht werden, ist in der kritischen Würdigung der Vereinbarungen des Maastrichter Vertrages in Teil A, insbesondere in der Beurteilung der für eine auf Dauer tragbare Finanzlage entscheidenen Kriterien der Defizitquote und der Schuldenquote gezeigt worden. Die Gefahr der Ausübung von Druck auf die EZB, ebenso wie gewisse, die Stabilität gefährdende externe Effekte, die als Argumente für ein Regelsystem angeführt wurden, sind auch im Rahmen eines Regelsystems nicht völlig auszuschließen. 'Sie (die Konvergenzkriterien, Anm. d. Verf.) können in der praktisch-politischen Umsetzung erheblich abgeschwächt werden und gegebenenfalls dazu beitragen, den fiskalpolitischen Stabilitätsstandard in der WWU zu verwässern.' Sofern die Einhaltung der Regeln in Frage gestellt werden muß, gewänne die Gefährdung der Geldwertstabilität durch Entwicklungen, auf die die EZB keinen Einfluß nehmen kann, bzw. durch eine direkte Gefährdung der Stabilitätspolitik der EZB durch Ausübung von Druck auf diese, an Relevanz. Im Extremfall wäre die Geldwertstabilität den gleichen Gefahren ausgesetzt, wie bei Nichtexistenz eines Regelsystems. Die dargestellten Aspekte sprechen im Hinblick auf die für den dauerhaften Bestand einer WU notwendige finanzpolitische Disziplinierung für eine gemeinschaftliche Finanzpolitik, die durch einen finanzpolitischen Akteur betrieben wird. Die Gegenkräfte gegen eine finanzpolitische Selbstbindung in Form eines Regelsystems sind nicht gering und werden sich bei Fortbestand nationalstaatlicher Souveränität in der Finanzpolitik und einer entsprechenden Zahl finanzpolitischer Akteure erheblich schwerer beherrschen lassen. Sie sprechen für eine einheitliche Akteursebene von Geld- und Finanzpolitik. Eine vollständig vergemeinschaftete Budgetpolitik würde einen gemeinsamen dominanten Haushalt der EG implizieren; die Zahl finanzpolitischer Akteure, die dem geldpolitischen Akteur in Gestalt der EZB gegenüberstünde, reduzierte sich deutlich. Dem aus Stabilitätsgründen zu präferierenden gleichen Zentralisierungsgrad der Geld- und Finanzpolitik würde durch einen dominanten EG-Haushalt Rechnung getragen, der die Voraussetzung dafür bildete, daß die Abstimmung beider Politikbereiche nicht erschwert und die Verantwortlichkeit des budgetären Bereiches nicht verdeckt wäre. Ein dominanter Haushalt der Gemeinschaft implizierte makroökonomisch wirksam werdende wirtschaftspolitische Maßnahmen der zentralen Gemeinschaftsebene implizieren, da die Finanzkraft für selbige von den Nationalstaaten auf diese überginge. Entscheidene Argumente, die ihren Ursprung im wesentlichen in der Tatsache der mangelnden Konvergenz in der EG haben, sprechen jedoch für die Notwendigkeit eines differenzierten Einsatzes makroökonomischer Politiken und damit gegen eine 'Vergemeinschaftung' der Budgetpolitik. Hierauf wird im einzelnen im Rahmen der Ausführungen zur realen Konvergenz als Funktionsbedingung der WU eingegangen. Solange die wirtschaftliche Konvergenz in der Gemeinschaft in dem Maße unzureichend ist, wie sie sich derzeit darstellt, wäre eine gemeinschaftsweite Budgetpolitik im Hinblick auf die Geldwertstabilität zwar förderlich, vorausgesetzt, ein zentraler finanzpolitischer Akteur würde der stabilitätspolitischen Verantwortung gerecht. Im Hinblick auf die Schaffung realer Konvergenz hingegen wäre sie eher kontraproduktiv. Denn solange die EG kein wirtschaftlich homogenes Gebiet darstellt, spielen asymmetrische Schocks eine nicht unerhebliche Rolle, auf die mit einem national bzw. regional differenzierten Einsatz der Wirtschaftspolitik zu reagieren ist. Letztlich ist der entscheidende Aspekt einer stabilitätsorientierten Budgetpolitik auch nicht die Ausübung auf zentraler Ebene, sondern die Schaffung der Voraussetzung dafür, daß weiterhin auf nationalstaatlicher Ebene verantwortete Budgetpolitiken auf ihre Stabilitätsorientierung hin verpflichtet werden. Darüberhinaus ist darauf hinzuweisen, daß große Unterschiede in den Finanzverfassungen der einzelnen EG-Mitgliedstaaten, vor allem historisch bedingte Unterschiede der politischen Entscheidungsprozesse und -ebenen existieren, die die 'Vergemeinschaftung' der nationalen Budgets erheblich erschwerten. Während in Frankreich und Großbritannien die Verantwortung relativ zentralistisch ist, existiert in der Bundesrepublik eine föderative Regelung. Der Großteil der staatlichen Investitionsentscheidungen wird vergleichsweise autonom auf der Ebene vor allem der Länder, aber auch der Städte und Gemeinden getroffen. Regionale Wirtschaftspolitik hat eine nicht unerhebliche Bedeutung. Schließlich existiert in der Bundesrepublik ein beträchtlicher horizontaler und vertikaler Finanzausgleich.
Die Autorin betrachtet die Sicht der Wähler bzw. der wahlberechtigten Bevölkerung in Deutschland auf die Wirtschafts- und Finanzkrise. Die aktuelle wirtschaftliche Situation wird als schlecht eingeschätzt. Allerdings blickt eine relative Mehrheit optimistisch in die wirtschaftliche Zukunft und meint, dass sich die Konjunktur binnen eines Jahres erholen werde. Die Mehrheit der Bürger ist von der Krise bislang nicht betroffen, manch einer aber hat bereits finanzielle Verluste erlitten. Die Maßnahmen der Bundesregierung zur Krisenbewältigung werden anerkannt und die Bürger vertrauen der politischen Führung, auch wenn eine klar erkennbare politische Linie vermisst wird. Angesichts des Ausmaßes der wirtschaftlichen Verwerfungen blieb auch die Bundestagswahl 2009 nicht unberührt von der Krise. Während die CDU/ CSU aufgrund der ihr zugeschriebenen Wirtschaftskompetenz ihre Verluste begrenzen konnte, wurde die SPD weder als Wirtschafts-noch als Krisenbewältigungsinstanz wahrgenommen. Schlüsselwörter Finanz- und Wirtschaftskrise; Einschätzung der wirtschaftlichen Lage; Krisenbewältigung; Bundesregierung; Bundestagswahl 2009. ; The author considers the view of voters and the voting population in Germany on the economic and financial crisis. The current economic situation is estimated as poor. However, a relative majority is optimistic about the economic future and expects the economy to recover within one year. The majority of citizens is not affected by the crisis so far, although some have already suffered financial losses. The measures of the federal government for crisis management are approved and citizens trust the political leaders, even though a clearly recognizable political strategy is missing. Given the scale of the economic turmoil, the General Election of 2009 did not remain untouched by the crisis. While the Conserva-tives was able to limit their losses because of the economic compe-tence attributed to them, the Social Democrats were perceived as much less qualified in economic affairs or crisis management. Keywords Financial and economic crisis; assessment of the economic situation; crisis management; German government; general election 2009. ? ; Nous vivons depuis un an et demi dans l'ombre de la plus grande crise économique depuis les années 1930. Au moment où l'effondrement du système financier a débuté, pour s'accélérer ensuite durant l'année 2007, les Allemands n'ont, en majorité, pas envisagé qu'il pouvait représenter une menace pour l'économie de leur pays ; ils ont continué à considérer celle-ci comme saine. Ce ne fut que durant l'été 2008 qu'ils changèrent d'avis et dès l'automne, une atmosphère morne se répandit. À la fin 2008, ils ne pensaient plus que la conjoncture pourrait s'améliorer rapidement, bien au contraire. Les avis pessimistes concernant l'économie subsistèrent en 2009 : on ne cessa de parler d'une situation négative. Il reste pourtant que, depuis l'été 2009, une majorité relative de la population considère que la conjoncture va s'améliorer dans un délai d'un an. Au moment de l'élection du Parlement, en 2009, les Allemands se projetaient avec espoir dans le futur de l'économie.La grande majorité de la population n'a pas été touchée par la crise : en novembre dernier, les deux tiers des personnes disaient n'avoir pas subi jusqu'alors de problèmes dus à la crise financière et économique. Par contre, en ce qui concerne les perspectives d'avenir, l'humeur est actuellement au pessimisme. En novembre 2009, 55 pour-cent des personnes interrogées disaient se faire du souci pour leur avenir personnel. Elles faisaient alors référence à deux aspects touchés par la crise : d'une part, elles avaient peur de perdre leur emploi, d'autre part elles n'étaient plus certaines que leurs économies ne risquaient rien.Alors que le premier programme lancé par le gouvernement fédéral pour améliorer la conjoncture avait été considéré comme un pas dans la bonne direction, il n'y a plus qu'un citoyen sur trois pour évaluer de la même manière le programme II. La liste de mesures proposées par le gouvernement inclut un soutien financier et des garanties d'État offertes aux entreprises privées. Le cas du constructeur automobile Opel n'a pas fait l'unanimité : à peine la moitié de la population fut d'avis qu'il fallait que l'État lui apporte un soutien, les autres pensant qu'il ferait mieux de ne pas intervenir. Par contre, lorsqu'il s'est agi de la chaîne de grands magasins Karstadt et du fabricant de pièces automobiles Shaeffler-Continental, l'opinion publique fut clairement d'avis que l'État n'avait pas à contribuer au maintien d'entreprises spécifiques, même si celles-ci devaient faire face à une situation financière très difficile. Par contre, les Allemands pensent autrement lorsqu'il s'agit des banques. Ici, une majorité de la population est favorable à une intervention du gouvernement, que ce soit par le biais d'une participation ou par celui d'une étatisation.Les Allemands ont admis que le gouvernement fédéral gérait la crise avec beaucoup de détermination. Mais à mesure que celle-ci évoluait, ils ne surent plus bien quelle stratégie il adoptait. Il reste qu'ils accordent une confiance considérable aux capacités de la coalition et d'un gouvernement noir-jaune à gérer les domaines économiques et financiers. Comparé à ce qui s'est passé dans d'autres pays, comme la France et l'Espagne, les Allemands font plus confiance à leurs décideurs politiques.Compte tenu du fait que les problèmes économiques étaient très importants, ils ne pouvaient qu'influer sur le comportement des électeurs durant l'année 2009 (année électorale et élection des membres du Parlement). La crise économique a incité la population à favoriser d'autres partis et cela a contribué en bonne partie à la victoire de la CDU/CSU et du FDP. Pour les électeurs, les choix personnels se sont fait en fonction de l'économie : les conditions cadres qui règnent actuellement sont favorables à la CDU/CSU puisqu'elle est traditionnellement considérée comme compétente dans le domaine économique. L'Union a finalement réussi à limiter ses pertes au niveau du nombre de sièges au Parlement - contrairement au SPD qui est perçu comme un parti qui n'est pas apte à gérer l'économie et la crise. Parmi les plus petits partis, le FDP a gagné du terrain dans la mesure où on lui fait confiance dans ces domaines. La gauche n'a presque pas profité de la crise économique, dans la mesure où on pense d'elle qu'elle n'est pas là pour gérer les problèmes, mais pour les articuler.Les citoyens allemands évaluent la conjoncture de manière réaliste et avec le sérieux requis, sans tomber dans le désespoir ou l'hystérie. Cette attitude est motivée par le fait que le gouvernement fédéral a pris des mesures bien réfléchies.
Inhaltsangabe: Problemstellung : Messen sind ein unabdingbares Instrument zur Förderung wirtschaftlicher Entwicklung. Sie führen Lieferanten und Kunden zusammen, ermöglichen auch im Zeitalter digitaler Kommunikation persönliche Kontakte, bieten einen Marktüberblick und zeigen auf engem Raum den derzeitigen technologischen und wirtschaftlichen Stand einer Branche. Messen wirken belebend auf die gesamtwirtschaftliche Situation und verbessern in der Regel das Beziehungsgeflecht zwischen Handelspartnern sowohl auf nationaler als auch auf internationaler Ebene. Derzeit steigt die Zahl der Messen weltweit permanent an. Trotz der zur Zeit schlechten Wirtschaftslage entstehen ständig neue Messethemen und Messeveranstaltungen. Deutschland ist in der Durchführung von internationalen Messen weltweit die Nummer 1 und zwei Drittel der führenden Messen finden in Deutschland statt. Mit einem Gesamtumsatz von rund 2,5 Mrd. Euro im Jahr 2001 ist die Messewirtschaft damit eine der führenden Dienstleistungsbranchen in Deutschland. Doch durch die Globalisierung der Märkte und die Zunahme der elektronischen Kommunikationsmittel verschärft sich der Wettbewerb zwischen den Messedienstleistern ständig. Dieser steigende 'Wettbewerb und die stetig steigenden Ansprüche der Aussteller und Besucher verlangen nach professionellem Management'. Der Konkurrenzdruck zwischen den Messestandorten und damit auch zwischen den dort tätigen Messegesellschaften und –veranstalter nimmt also immer mehr zu. Um in diesem Markt wirtschaftlich erfolgreich zu bleiben und wachsen zu können, ist es für die Messegesellschaften und -veranstalter unumgänglich, professionelle Projektmanager und Projektleiter sowie kompetente Projektteams hervorzubringen. Durch ein effektives, effizientes und qualitativ gutes Projektmanagement können Kunden gewonnen und gebunden werden. Da Messegesellschaften auch ein großes wirtschaftliches Risiko tragen, sollte die Ermittlung des Veranstaltungserfolgs sowie die Einflussfaktoren hierauf, eine zentrale Rolle im Messeprojektmanagement einnehmen, daher ist es für Messedienstleister erforderlich, ihre Managementinstrumentarien zu verfeinern und zu verbessern. Zu diesen Werkzeugen gehört auch das Controlling. Ein völlig fehlendes oder nur inkonsequent durchgeführtes Controlling ihrer Messeprojekte bei Messeveranstaltern und Messegesellschaften, wie es im Moment eher die Regel als die Ausnahme darstellt, führt speziell bei einer schwachen Wirtschaftslage und steigender Konkurrenz innerhalb der Messebranche zu einer Qualitätsverminderung und damit meist zu einem Verlust von Ausstellern und Besuchern. Motivation: Das Thema der Messbarkeit und Kennzahlen für Messeprojekte wurde in der Literatur bisher eher stiefmütterlich behandelt. Es gibt viel Material über die Messbarkeit eines Messeauftritts für die Aussteller. Für sie existieren bereits Kennzahlen, die ihnen ermöglichen den Erfolg ihres Auftritts zu messen und herauszufinden, ob sich auf dieser Veranstaltung eine erneute Teilnahme lohnt. Zur Verwendung bei der Planung und Durchführung von Messeprojekten existieren jedoch noch keine, speziell auf dieses Thema zugeschnittenen Systeme. Gründe hierfür sind sicher in der Verschiedenartigkeit der einzelnen Messeprojekte zu suchen. Diese Individualität der einzelnen Messen macht Generalisierungen schwierig und verlangt nach einem sehr flexiblen Ansatz. Der Anreiz zur Erstellung dieser Arbeit lag nun eindeutig darin, die mess- und beeinflussbaren Parameter im Messeprojektmanagement zu identifizieren und Methoden zur Projektsteuerung hierauf anzuwenden. Zielsetzung der Arbeit: Mit vorliegender Arbeit sollen geeignete Kennzahlen und ein Kennzahlensystem, zur Planung und Verfolgung von Messeprojekten, entwickelt werden. Die beschriebenen Ansätze und Verfahren sollen die effiziente Abwicklung von Messeprojekten fördern und deren Qualität steigern, indem sie den Projektverantwortlichen ein Steuerungsinstrument zur Verfügung stellen. Es werden alle Phasen eines Messeprojektes von der Konzeptionierung bis zur Nachbereitung einbezogen. Erwähntes Kennzahlensystem soll dem Messeprojektmanager die wichtigsten Parameter liefern und die Möglichkeit bieten sie einander gegenüberzustellen, so dass überprüft werden kann, ob das Projekt auf Kurs ist, die Qualität dem Anspruch des Kunden entspricht und ob somit die Projektziele erreicht werden können. Vorgehensweise und Aufbau der Arbeit: Zu Beginn werden die allgemeinen Grundlagen von Projekten und des Projektmanagements erläutert. Dabei wird insbesondere auf die Projektarten und die Organisationsstrukturen eingegangen. Im zweiten Schritt wird die Besonderheit des Messeprojekts aufgezeigt sowie die verschiedenen Messearten und ihre spezifischen Merkmale. Das Aufgabenfeld des Projektmanagers wird näher erläutert, insbesondere was die Steuerung und Abwicklung des Messeprojekts betrifft. Als nächstes werden die typischen Steuerungsinstrumente des Projektmanagers erläutert und aufgezeigt, wie diese im Messeprojekt eingesetzt werden können. Es wird auf die Controllingaufgaben im Messeprojekt eingegangen und anschließend wird die Bedeutung der Kennzahlen, ihre Ermittlung und ihre Einsatzgebiete, erläutert. Des weiteren werden verbreitete Kennzahlsysteme aufgeführt und ihre Besonderheiten beschrieben. Die Entwicklung von messeprojektspezifischen Kennzahlen für die Bereiche Projektmitarbeiter, Prozesse, Kunden und Finanzen bilden den Schwerpunkt des fünften Kapitels. Dabei wurde versucht, für jede Projektphase Kennzahlen zur effizienten Unterstützung der Projektarbeit zusammenzustellen und deren Verwendung zu beschreiben. Anschließend werden diese Kennzahlen in ein System eingeordnet. Dieses Kennzahlensystem verdeutlicht die Abhängigkeit der einzelnen Kennzahlen und kann damit dem Projektmanager sowie den Projektbeteiligten als ein Instrument für eine erfolgreiche Projektabwicklung dienen. Danach erfolgt die Betrachtung der Chancen und Risiken eines solchen Systems und welcher Mehrwert für das Projektmanagement daraus gewonnen wird. Ein Ausblick auf die Zukunft und die Bedeutung der Messbarkeit für die zukünftige Messeprojektarbeit schließt diese Arbeit ab. Noch eine grundsätzliche Anmerkung: In dieser Arbeit wird für Berufsbezeichnungen und Funktionsbeschreibungen nur die männliche Form verwendet. Dies ist, ähnlich wie in der englischen Sprache, geschlechtsneutral zu sehen, dient ausschließlich der besseren Lesbarkeit und ist nicht als Herabsetzung des weiblichen Geschlechts zu verstehen. Ich hoffe, dass die Leser und vor allem die Leserinnen hierfür Verständnis haben.Inhaltsverzeichnis:Inhaltsverzeichnis: InhaltsverzeichnisIV AbbildungsverzeichnisVII TabellenverzeichnisVIII AbkürzungsverzeichnisIX 1.Einführung1 1.1Problemstellung1 1.2Motivation2 1.3Zielsetzung der Arbeit2 1.4Vorgehensweise und Aufbau der Arbeit3 2.Grundlagen des Projektmanagements5 2.1Was ist ein Projekt?5 2.1.1Definition: Projekt5 2.1.2Merkmale eines Projekts6 2.1.3Projektarten7 2.2Was ist Projektmanagement?8 2.2.1Definition: Projektmanagement8 2.2.2Die Aufgaben des Projektmanagements9 2.2.3Projektorganisationsformen10 2.2.3.1Aufbauorganisation11 2.2.3.2Ablauforganisation13 3.Grundlagen des Projektmanagements im Messewesen14 3.1Die Besonderheiten von Messeprojekten14 3.1.1Die Herausforderungen für die Messegesellschaften14 3.1.2Messearten und Typologie16 3.1.3Merkmale eines Messeprojekts17 3.1.4Phasen eines Messeprojekts17 3.2Messeprojektmanagement18 3.2.1Die Aufgaben des Messeprojektmanagers18 3.2.2Projektorganisationsformen für Messeprojekte19 3.2.3Zielsetzung eines Messeprojekts20 3.2.4Abwicklung und Steuerung eines Messeprojekts22 4.Projektmanagementinstrumente und -methoden25 4.1Steuerungsinstrumente des Projektmanagers25 4.1.1Methoden zur Konzeptfindung und -bewertung25 4.1.2Methoden zur systemischen Projektplanung26 4.1.3Methoden zur Realisierungsplanung28 4.1.4Methoden zur Abwicklung /Aufgabenverteilung29 4.1.5Methoden zur Steuerung und Controlling31 4.2Controlling im Messeprojekt33 4.2.1Arten der Projektkontrolle33 4.2.1.1Terminüberwachung33 4.2.1.2Kostenüberwachung35 4.2.1.3Leistungsüberwachung35 4.2.1.4Zielüberwachung36 4.2.2Darstellung von Informationen38 4.3Kennzahlen als ein Instrument des Projektmanagements38 4.3.1Kennzahlen38 4.3.2Die Bildung von Kennzahlen39 4.3.3Warum Kennzahlen ermittelt werden40 4.3.4Voraussetzungen für eine effektive Nutzung von Kennzahlen40 4.3.5Kennzahlenarten41 4.3.5.1Strategische und operative Kennzahlen41 4.3.5.2Quantitative und qualitative Messung mit Kennzahlen41 4.3.5.3Einsatzbereiche von Kennzahlen42 4.4Kennzahlensysteme43 4.4.1Aufbau eines Kennzahlensystems44 4.4.2Anforderungen an ein Kennzahlensystem44 4.4.3Kennzahlensystemarten45 4.4.3.1ROI-Kennzahlensystem45 4.4.3.2ZVEI-Kennzahlensystem46 4.4.3.3RL-Kennzahlensystem47 4.4.3.4Balanced Scorecard47 4.4.3.5Tableau de Bord48 4.4.3.6Return on Quality49 5.Kennzahlen fürs Messeprojekt-Controlling50 5.1Erfolgsfaktoren eines Messeprojekts50 5.1.1Entscheidende Faktoren eines Messeprojektes50 5.1.2Kundentypologie51 5.1.3Kundenzufriedenheit und Kundenbindung53 5.1.4Qualitätssicherung und Qualitätssteigerung54 5.2Kennzahlen für ein Messeprojekt56 5.2.1Mitarbeiterorientierte Kennzahlen57 5.2.2Prozessorientierte Kennzahlen59 5.2.2.1Möglichkeiten der Werbeerfolgskontrolle61 5.2.3Kundenorientierte Kennzahlen62 5.2.4Finanz- und wirtschaftlichorientierte Kennzahlen67 5.2.5Betrachtung der Kennzahlen pro Messephase70 5.2.6Anforderung an weitere Kennzahlen74 5.3Aufbau des Kennzahlensystems für ein Messeprojekt74 5.3.1Anforderung an ein Kennzahlensystem für Messeprojekte75 5.3.2Das MPO-Kennzahlensystem76 5.3.2.1Mitarbeiterorientierung78 5.3.2.2Prozessorientierung79 5.3.2.3Kundenorientierung80 5.3.2.4Wirtschafts-/Finanzorientierung83 5.3.2.5Imageorientierung83 5.3.2.6Struktur des MPO-Kennzahlensystems84 5.3.3Umsetzung des Kennzahlensystems im Projekt86 5.4Chancen, Risiken und Grenzen des entwickelten Kennzahlensystems87 5.5Mehrwert für das Projektmanagement88 6.Fazit und Ausblick90 Schlussbemerkung91 Literaturverzeichnis93 Anhang97Textprobe:Textprobe: Kapitel 3.2.4, Abwicklung und Steuerung eines Messeprojekts: 'Nicht Ergebnisse, sondern die Aktivitäten zur Erreichung der Ziele gilt es zu managen'. Daher ist eine genaue Planung des Projektablaufs und Zieldefinierungen zu Beginn eines Projekts äußerst wichtig. Es kann nur steuernd eingegriffen werden, wenn der Projektstand überprüft werden kann, aber nur definierte und festgesetzte Ziele können auch überprüft werden. Zur Abwicklung eines Messeprojekts gehört somit zuerst die Projektdefinition. Hierzu zählt die Situationserfassung, wie z.B. das Erfassen der wirtschaftlichen Lage und der momentanen Situation der Branche, der zu veranstaltenden Messe. Danach entwickelt der Projektmanager eine Konzeption des Messeprojekts und setzt die Zielformulierungen fest. Der nächste Schritt ist die Projektplanung. Der Messeprojektmanager legt die Ablaufstruktur des Projekts fest. Er stellt den Terminplan und den Budgetplan sowie den Werbeplan in Zusammenarbeit mit der Werbeleitung auf. Nachdem der Ablauf des Projekts und die Rahmenbedingungen mit den entsprechenden Meilensteinen festgelegt wurden, beginnt die Durchführung des Projekts mit der Aufgaben- und Verantwortlichkeitenverteilung an die einzelnen Projektteammitarbeiter. Hier beginnt für den Messeprojektmanager auch die Phase der Projektsteuerung und des Projektcontrollings. Die Projektsteuerung umfasst alle steuernden Elemente, die das Projekt zielgerichtet voranbringen, sie ist somit ein wichtiger Teil des Projektmanagements. Für den Messeprojektmanager gehören zu den Steuerungsaufgaben eines Messeprojekts auch die Steuerung der Informationsbeschaffung über die Markt- und Branchensituation sowie die Interpretation und Bewertung dieser Informationen. Die intensive Beschäftigung mit der Situation der Aussteller und Besucher ist für den Projektmanager ein wesentlicher Schritt zur Kundenorientierung. Zu einer effizienten Projektsteuerung gehört auch das Projektcontrolling. Hier geht es um den Soll-Ist-Vergleich des Projektfortschritts. Es gilt die gesetzten Ziele zu überwachen, also Termine, Kosten, qualitative und quantitative Ziele und Arbeitsleistungen. Es sollte auch eine Überprüfung eines oft vernachlässigten aber entscheidenden Faktors, nämlich die Motivation der Projektmitarbeiter, erfolgen. Denn die Arbeit der Mitarbeiter trägt entscheidend zu einer qualitativ guten Projektdurchführung bei. Die Aufgabe für den Projektmanager ist es Abweichungen von der Planung und den Zielvorgaben zu erkennen und zu analysieren, um dann geeignete Maßnahmen einleiten oder eine Anpassung des Ziels, an die veränderten Bedingungen, vornehmen zu können. Hilfreich sind hierbei Frühwarnfunktionen zur Sicherstellung der rechtzeitigen Wahrnehmung von Veränderungen. Das Projektcontrolling ist für den Erfolg eines Projekts von großer Bedeutung, denn nur wenn man eine Abweichung erkennt, kann man steuernd in den laufenden Projektablauf eingegriffen werden. Es ist auf keinen Fall als eine Kontrolle des einzelnen Projektmitarbeiters zu sehen, wie es leider noch allzu häufig geschieht. Es fordert eine hohe Sozialkompetenz des Projektmanagers um zu erreichen, dass die Projektteammitglieder das Projektcontrolling als ein Qualitätsverbesserungsinstrument des Dienstleistungsprojekts sehen. Denn alle haben das gleiche Ziel, eine für den Kunden qualitativ hochwertige Messe zu schaffen. Wenn der Projektmanager flexibel auf Veränderungen reagieren kann und die Dienstleistungen an den Bedürfnissen der Kunden ausrichtet, dann wird die Messeveranstaltung zum Messeerfolg führen. Ein weiteres Element zur Sicherung eines reibungslosen Projektablaufs ist die Erhaltung und die Förderung der Mitarbeitermotivation sowie die Schaffung einer guten Kommunikation unter den Teammitgliedern. Nach dem Ende der Messeveranstaltung ist das Projekt 'Messe' noch nicht abgeschlossen. Es gilt noch die Kundenbefragungen auszuwerten, die speziell für die qualitative Beurteilung des Messeprojekts ausschlaggebend sind. Für eine Weiterentwicklung des nächsten Projekts ist es nötig, jede Veranstaltung noch einer kritischen Nachbereitung zu unterziehen, die Veranstaltung und den Projektverlauf zu analysieren und zu dokumentieren. Neben den Controlling und Steuerungsaufgaben spielt bei Dienstleistungsprojekten, zu denen ein Messeprojekt gehört, auch die Mitarbeiterführung für die qualitative Zielerreichung eine wichtige Rolle. Das Ergebnis einer erfolgreichen Messeprojektarbeit ist die Schaffung einer qualitativ hochwertigen Messe, die über die Dauer der Veranstaltung hinaus geht und damit Kundenzufriedenheit und Kundenbindung schafft. Um ein Messeprojekt aber erfolgreich führen zu können, benötigt der Projektmanager zweckmäßige und professionelle Methoden und Instrumente.
Gli eurobond non sono un tema nuovo. Sono presenti nella letteratura economica, meno in quella giuridica, da oltre trent'anni, con denominazioni che spesso mutano a seconda delle formulazioni proposte. Rientrano in quella categoria di idee che hanno valore non solo sotto il profilo della tecnica finanziaria o della finanza pubblica, ma anche perché rappresentano un primo passo verso la realizzazione di un'unione politica dell'Europa. I favorevoli vedono in questo tipo di proposte non solo una risposta alla crisi attraverso il finanziamento degli investimenti pubblici, ma anche la costruzione di una politica fiscale europea da affiancare a quella monetaria della Banca centrale europea. Gli scettici pongono, invece, l'accento sui tempi troppo lunghi che tali proposte richiederebbero per essere attuate e sul consenso non unanime che esse riscuotono da parte dei Paesi dell'Eurozona. L'introduzione degli eurobond presenta, infatti, ostacoli legali e distributivi. Quelli legali hanno a che fare, in particolare, con l'articolo 125 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che dispone il divieto di salvataggio da parte dell'Unione a favore di un Paese membro in difficoltà e, in particolare, vieta a ciascuno Stato membro di rispondere o di subentrare nei debiti di altri Stati membri (cosiddetta "clausola di no bail out"). Gli ostacoli distributivi sono legati alle modalità di partecipazione dei Paesi membri alle emissioni congiunte dei titoli del debito europeo in termini di risorse finanziarie e ai timori dei Paesi virtuosi del Nord Europa di dover fornire un contributo maggiore rispetto ai Paesi meno virtuosi del Sud Europa. La tesi affronta, innanzitutto, il tema della fragilità della costruzione europea, che dipende essenzialmente dall'aver creato – contrariamente a quanto avvenuto nella storia dei popoli – "una moneta senza Stato". Questa circostanza ha condotto, alla fine del 2009, alla crisi dell'euro e dei debiti sovrani. Per rimediare a tale fragilità istituzionale, bisognerebbe por mano a una serie di riforme come il rafforzamento del ruolo della Banca centrale europea come prestatore di ultima istanza, il completamento dell'unione bancaria, l'approfondimento dell'unione del mercato dei capitali, l'allargamento del bilancio europeo e l'accentramento delle politiche fiscali nazionali. Tra queste riforme rientra anche quella di dar vita all'emissione congiunta di debito sovrano a livello di Eurozona, o, in alternativa, a schemi che non prevedono la mutualizzazione del debito. Al riguardo, la ricerca prende in esame l'esistenza di eventuali basi giuridiche per emettere un debito federale dell'Unione europea, distinto dal debito degli Stati membri o, in alternativa, per procedere alla mutualizzazione dei debiti degli Stati membri. La tesi passa, poi, in rassegna le varie proposte avanzate in tema di eurobond, classificandole in due gruppi principali, a seconda che prevedano o meno la mutualizzazione del debito. Nell'ambito delle proposte che si basano sulla mutualizzazione del debito rientrano gli eurobond in senso stretto, gli union bond, gli stability bond, le obbligazioni blu e rosse. Tali proposte, in quanto fondate sulla mutualizzazione del debito, non sono compatibili con l'articolo 125 del TFUE e richiederebbero pertanto la sua modifica. Nel secondo gruppo di proposte – che non contemplano la mutualizzazione del debito e pertanto non richiedono la modifica del TFUE – rientrano il programma PADRE (Politically Acceptable Debt Restructuring in Europe), il Fondo di ammortamento del debito a livello europeo (European Redemption Fund), gli European Safe Bond - ESB (acronimo inglese di "Titoli europei sicuri"), i Sovereign Bond Backed Securities - SBBS (acronimo inglese di "Titoli garantiti da obbligazioni sovrane"). La ricerca esplora i possibili approcci alla prosecuzione del progetto europeo: la via della riduzione del rischio (risk-reduction), la via della condivisione del rischio (risk-sharing), la via della sintesi tra riduzione e condivisione del rischio. Quest'ultima via appare a chi scrive come l'unica politicamente percorribile. La stessa unione monetaria si è realizzata come combinazione tra i due approcci: il processo di convergenza delle finanze pubbliche (risk reduction) ha condotto alla creazione di un'unica banca centrale con il compito di mettere in atto un'unica politica monetaria e del cambio (risk sharing). Vi è però la necessità per l'Italia di fare la propria parte invertendo la traiettoria del rapporto debito-Pil attraverso un serio e rigoroso piano pluriennale di rientro dal debito (risk reduction), per acquisire, agli occhi dei principali partner europei, quella credibilità necessaria per convincerli a dar vita a un vero e proprio debito federale europeo (risk sharing). Gli eurobond non sono l'unico mezzo per raggiungere la finalità di una unificazione politica dell'Europa ma hanno il pregio di mettere insieme l'approccio funzionalista dei passi graduali con quello federalista della meta finale. Analogamente a quanto avvenuto nella storia di alcuni popoli (in particolare negli Stati Uniti d'America) in cui il processo di unificazione dei debiti ha segnato la nascita dello Stato, anche nel vecchio continente l'europeizzazione del debito degli Stati membri, al di là della valenza in termini di finanza pubblica, potrebbe assurgere a un vero e proprio atto "costitutivo" di un futuro Stato federale europeo. Sotto il profilo metodologico, la ricerca è stata condotta attraverso la strumentazione propria dell'analisi economica del diritto, nella consapevolezza che il mercato – vale a dire il meccanismo economico che orienta il comportamento di individui e gruppi – da solo non è sufficiente ma ha bisogno di regole per poter funzionare. Anzi, se ben regolato, il mercato può essere fattore di sviluppo e di benessere. Questo ragionamento vale anche per il mercato comune e per la moneta unica europea, che da soli non bastano più. Come si è tentato di mostrare in questo lavoro, anche l'Eurozona, per poter sopravvivere e progredire, ha bisogno di un adeguamento delle proprie istituzioni che passa anche attraverso l'emissione congiunta di debito sovrano. Coerentemente con tale impostazione, l'indagine cerca di avere un approccio critico al tema degli eurobond, tentando di analizzarne i singoli aspetti con indipendenza di giudizio. La stesura dei capitoli e dei singoli paragrafi è stata preceduta da un lavoro di documentazione e consultazione di testi, riviste specializzate e articoli. Le conoscenze teoriche acquisite e le idee maturate sono state verificate sul campo, grazie ad un confronto diretto con i dirigenti che, nell'ambito del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'Economia e delle Finanze, hanno la responsabilità dell'emissione e della gestione del debito pubblico italiano. Chi scrive lavora presso la direzione del Debito pubblico del Dipartimento del Tesoro; cionondimeno, le opinioni che qui esprime sono personali e non rappresentano o impegnano in alcun modo l'amministrazione di appartenenza. Alla luce delle considerazioni svolte, si ritiene che davvero gli eurobond possano spingere l'Eurozona verso una maggiore integrazione politico-istituzionale. L'analisi economica e giuridica può dare il proprio contributo alla comprensione della questione, ma la scelta dei passi da compiere in concreto spetta alle leadership politiche europee in quanto investite del consenso popolare. Il ricercatore può esporre gli effetti che derivano dall'adozione di una particolare misura o di uno specifico strumento. Oltre non può andare. ; Eurobonds are not a new topic. They have been present in the economic literature, less in the legal literature, for thirty years, with denominations which change according to the proposed formulations. They are relevant not only in terms of financial economics or public finance, but also because they represent a first step towards the realization of a political union of Europe. Those in favor look at eurobonds not only as a response to the crisis through the financing of public investments, but also as a tool to build up a European fiscal policy in addition to the monetary policy of the European Central Bank. On the contrary, the skeptics underline the fact that such proposals would require too mach time to be implemented and the fact that they have short consent in the Eurozone countries. The introduction of eurobonds presents legal and distributive barriers. The legal barriers are linked to the Article 125 of the Treaty on the Functioning of the European Union (TFEU), which provides for so-colled "no bail out clause" ("A Member State shall not be liable for or assume the commitments of central governments, regional, local or other public authorities, other bodies governed by public law, or public under¬ takings of another Member State"). The distributive obstacles, on the other hand, are linked to the way in which Member States could participate in joint issuance of European debt securities. In particular, the virtuous countries of Northern Europe are afraid that they would pay a greater share than the less virtuous countries of the Southern Europe. First of all, the thesis analyzes the fragility of the European institutions, which depends essentially on having created – contrary to what has happened in the history of peoples – "a currency without a State". In the end of 2009, this fragility led Europe to the crisis of euro and sovereign debts. To face this fragility, some institutional reforms should be carried out, such as the strengthening of the role of the European Central Bank as a lender of last resort, the completion of the banking union, the deepening of the capital market, the enlargement of the European budget and the centralization of national fiscal policies. These reformes also include the joint issuance of sovereign debts of Eurozone Member States. In this regard, the research examines the existence of possible legal bases for issuing a federal debt of the European Union, different from the debt of the Member States or, alternatively, for joint issuing the debt securities of the Member States. Secondly, the thesis examines the various proposals of eurobonds, classifying them in two main groups. The first group, based on the joint issuance of debt, includes eurobonds in the strict sense, union bonds, stability bonds, blue and red bonds. These proposals, being based on the joint issuance of debt, are contrary to Article 125 of the TFEU and therefore would require its modification. The second group of proposals – which do not contemplate the joint issuance of debt and therefore do not require the modification of the TFEU – include the PADRE program (Politically Acceptable Debt Restructuring in Europe), the European Redemption Debt Fund, the European Safe Bonds, the Sovereign Bond Backed Securities. Thirdly, the research explores the possible approaches to the continuation of the European project: the risk-reduction path, the risk-sharing path, the synthesis between risk reduction and risk sharing. This third path seems to be the only politically feasible. As we know, also the monetary union was realized as a combination of the two approaches: the process of convergence of public finances (risk reduction) led to the creation of a single central bank with the task of managing a single monetary policy (risk sharing). However, Italy has to reverse the trend of the debt-to-GDP ratio through a serious and rigorous long-term debt reduction plan (risk reduction), in order to convince the main European partners to issue European federal debt (risk sharing). Eurobonds are not the only tool to achieve the goal of a political unification of Europe but they have the merit of putting together the functionalist approach based on the gradual steps with the federalist approach based on the final goal. Similarly to what has happened in the history of some peoples, such as the United States of America, where the process of unification of debt of the single States has marked the birth of the federal State, even in Europe the consolidation of debt of the Member States might be a constitutive act of the United States of Europe. Methodologically, the research is based on the economic analysis of law. According to this view, market – the economic mechanism which guides the behavior of individuals and groups – is not enough but needs good regulation. Indeed, if it is well regulated, market may be a factor of development and welfare. This way of thinking is also valid for the European single market and for the euro, which are no longer enough. As we have tried to show in this work, also the Eurozone institutions need a deep reform – including the joint issuance of sovereign debt – for their surviving and progress. This work tries to have a critical approach to the topic of eurobonds. The theoretical knowledge and ideas have been checked thanks to a direct dialogue with managers who, within the Treasury Department of the Ministry of the Economy and Finance, are responsible for issuance and management of the Italian public debt. The author of this research works in the Public Debt Directorate at Treasury Department; nevertheless his opinions are personal and do not represent the Treasury Department. For these considerations, eurobonds might really push the Eurozone towards a greater political and institutional integration. The economic and legal analysis may give its contribution to the debate, but the actual choices are up to the European policy-makers.