SOTTOSCRIZIONE ELETTRONICA E VINCOLI DI FORMA La documentazione dei negozi giuridici ha lo scopo di garantire certezza del diritto, ma può rivelarsi impegnativa e costosa. Rapidità ed economicità della documentazione (e, dunque, dello svolgimento degli affari) possono essere perseguite per mezzo di nuove tecnologie tra cui, in particolare, il documento informatico. Esso consiste nella rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. Se, tuttavia, quanto al documento cartaceo si sono consolidate tecniche che ne assicurano la conservazione e permettono di accertarne integrità ed imputabilità, l'utilizzo dello strumento elettronico fa sorgere dubbi quanto alla sua affidabilità. L'assenza di un supporto fisico, infatti, impedisce di apprezzare direttamente qualunque modifica del contenuto avvenuta — per mano dell'autore o di terzi, o anche non artificialmente — dopo la formazione del documento. Altro rilevante problema è quello di conciliare l'imposizione normativa di un vincolo di forma (scritta) con l'assenza di un documento cartaceo. Il legislatore italiano, su indicazione di quello europeo, ha disciplinato la sottoscrizione elettronica al fine di trovare un equivalente per quella manoscritta. Ordinate da genere a specie e con un crescente valore giuridico, sono previste la "firma elettronica", "elettronica avanzata", "elettronica qualificata" e "digitale". Benché tutte le figure abbiano un loro ruolo nel panorama giuridico, solo la firma digitale (basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro) consente di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico. Per previsione normativa, l'utilizzo di questo strumento soddisfa il requisito della forma scritta e permette la valida stipula anche degli atti che richiedono la più solenne forma dell'atto pubblico. La presenza di una marca temporale (o altro riferimento temporale) dà al documento data certa, opponibile erga omnes. Grazie all'intervento di un "certificatore qualificato" terzo e imparziale (per l'esercizio della cui attività sono previsti stringenti requisiti), è assicurata l'univoca corrispondenza tra dispositivo di firma digitale e suo titolare. È, tuttavia, possibile (benché illecito) che la firma sia materialmente apposta da un soggetto diverso (firma digitale "apocrifa"): sorgono così gravi problemi quanto alla certa imputabilità del documento. Conscio del rischio, il legislatore ha previsto che la riconducibilità della firma digitale al titolare del dispositivo sia solo presunta: quest'ultimo può svincolarsi dal documento fornendo prova contraria. Inoltre, la firma digitale (come qualsiasi firma elettronica) può essere autenticata: in tal caso si ha per riconosciuta e, dunque, non può essere disconosciuta che in esito al vittorioso esperimento della querela di falso. Nella tesi si analizzano gli effetti giuridici derivanti dall'uso abusivo del dispositivo di firma digitale da parte di chi non ne è titolare. Sul titolare della firma — quando l'abuso sia derivato da sua negligenza — grava una responsabilità risarcitoria per la lesione del legittimo affidamento eventualmente riposto da altri sulla valida sottoscrizione del documento. Se, invece, l'uso abusivo è autorizzato dal titolare stesso, il principio dell'"apparenza imputabile" determina che l'atto sia pienamente efficace in capo a lui. Al fine di attenuare il rischio di firma digitale apocrifa, si propone l'utilizzo di tecnologie biometriche, che impediscano pressoché totalmente l'apposizione di una firma da parte di chi non ne sia titolare. Tra i varî strumenti disponibili, quello che meglio garantisce il risultato — a costi e in tempi ragionevoli — sembra essere la "firma digitale autografa", peculiarità della quale è l'analisi della scrittura della firma manoscritta. In ragione della presenza di una sorta di perizia calligrafica anticipata, si riterrebbe corretto considerare come già riconosciuta siffatta sottoscrizione, con la conseguenza di escluderne il disconoscimento se non dietro querela di falso. Si ritiene che la tecnologia proposta determini una perfetta equiparazione concettuale e giuridica tra firma autografa e "firma digitale autografa": entrambe possono considerarsi apposte di mano del sottoscrittore. Ciò può aprire la strada alla documentazione informatica del testamento olografo, con grandi vantaggî dal punto di vista della sua imputabilità, inalterabilità e datazione. Al riguardo, rimangono opportuni ulteriori riflessioni ed un (non imprescindibile ma certamente auspicabile) esplicito intervento del legislatore. ELECTRONIC SIGNATURE AND FORMAL REQUIREMENTS The aim of documenting legal transactions is to ensure the legal certainty, but this activity may turn out to be demanding and expensive. Documentation can be produced more rapidly and at lower costs by using new technologies, amongst which the electronic document, which consists of a computerized representation of juridically relevant acts, facts or data. Nevertheless, while there are well-established best practices to guarantee a paper document's integrity and identity, when using an electronic apparatus doubts regarding its reliability may arise. Indeed, the lack of a physical document makes it impossible to detect any variation of its content, made by its author(s) or a third person, or accidentally. Another serious matter is how to reconcile a formal requirement with the absence of a paper document. The Italian legislator, in accordance with the European law, formulated a regulation regarding the electronic signature, in order to find an equivalent to the handwritten one. Ordered from genus to species and with rising juridical value, we find in law the 'electronic signature', the 'advanced electronic signature', the 'qualified electronic signature' and the 'digital signature'. Although each of the above is relevant in the juridical field, only the digital signature (based on a cryptographic system of two linked keys, one of which is public while the other is private) gives evidence of, and allows to verify, authentication and integrity of an electronic document. As foreseen by law, the use of this instrument complies with the written form requirement and allows the stipulation of acts requiring the more solemn form of a deed under seal. A 'time stamp' gives the document a fixed date, enforceable against third parties. Thanks to the intervention of a 'certification authority' (third and impartial; for the activity of which, strict requirements are foreseen), a direct link is ensured between the digital signature and its owner. In spite of this, it may occur (although forbidden by law) that the signature is used in fact by another person ('forged' digital signature), which can causes serious problems regarding the sure identification of the author of the deed. Aware of this risk, the legislator has only foreseen a rebuttable presumption of use by the owner: the latter can repudiate the signature and challenge the authenticity of the deed by giving evidence of the contrary. Moreover, each electronic signature may be certified by a solicitor or other civil servant: thereafter it cannot be repudiated if not by suing for forgery. In this thesis, the legal effects of a forged digital signature are analysed. If the abuse is due to the signature owner's negligence or malpractice, he is liable for the prejudice of the third party's legitimate expectations in the deed's validity. Conversely, if the abuse is authorised by the signature owner, he is totally bound by the contract, as postulated by the so-called principle of the 'imputable appearance'. In order to minimize risks linked to a forged digital signature, we propose the use of biometrics, which can almost totally exclude any signature except by the legitimate person. Among the various technologies available, the 'autographed digital signature' (based on a system of manual signature examination) seems to be the most streamlined and cost-effective. As it provides a sort of preventive automatic report on handwriting, we believe it is possible and rightful to consider this signature as immediately acknowledged, with the effect that its validity cannot be challenged if not by suing for forgery. We believe that this proposed technology generates a perfect conceptual and juridical equivalence between one's autographed signature and his 'autographed digital signature': both are written by the signatory's own hand. This may pave the way for electronically documenting the holograph will, with great advantages on the subject of its authentication, integrity and datability. However, this matter requires further reflection as well as the explicit intervention of the legislator (not essential but certainly desirable). SIGNATURE ÉLECTRONIQUE ET RÈGLES DE FORME La documentation des transactions juridiques vise à garantir leur sûreté, mais elle peut se révéler laborieuse et dispendieuse. Rapidité et économie de la documentation (et, par conséquent, de la vie commerciale) peuvent être poursuivies au moyen des nouvelles technologies, y compris, en particulier, le document numérique. Il s'agit d'une représentation électronique d'actes, de faits ou de données importants pour le droit. Néanmoins, si des bonnes pratiques ont été établies pour garantir la conservation d'un document papier et en vérifier l'intégrité et l'imputabilité, au contraire l'utilisation de l'instrument électronique soulève des doutes quant à sa fiabilité. L'absence d'un document physique, en effet, rend impossible de s'apercevoir directement d'éventuelles variations de son contenu, provoquées par son(ses) auteur(s) ou par un tiers, ou bien survenues sans intervention humaine. Un autre problème grave est comment concilier l'imposition d'une règle de forme (écrite) à l'absence d'un document papier. Le législateur italien, sous la pression de celui européen, a règlementé les signatures électroniques afin de trouver un équivalent à celle manuscrite. Dans un ordre genre/espèce et avec une valeur juridique croissante, la loi codifie une « signature électronique », une « signature électronique avancée », une « signature électronique qualifiée » et une « signature numérique ». Même si chacune d'entre elles a son rôle juridique, seule la signature numérique (basée sur un système cryptographique de deux clés liées, dont l'une est publique et l'autre privée) permets de garantir l'intégrité d'un document électronique et d'en authentifier l'auteur. Comme prévu par la loi, l'utilisation de cet instrument respectes la règle de la forme écrite et permet la stipulation d'actes nécessitant la forme plus solennelle d'une écriture notariée. Un « horodatage » donne au document une date exacte, opposable aux tiers. Grâce à l'intervention d'une « autorité de certification qualifiée » (sujet tiers et équitable ; pour l'exercice de l'activité de laquelle, des conditions strictes sont exigées), un lien univoque est assuré entre le dispositif de signature numérique et son propriétaire. Il est toutefois possible (quoique interdit par la loi) que la signature est utilisée en fait par une autre personne (signature numérique « apocryphe »), ce qui entraîne de problèmes sérieux pour l'identification irréfutable de l'auteur de l'acte. Conscient de ce risque, le législateur n'a prévu qu'une présomption relative d'utilisation par le propriétaire : il peut donner la preuve contraire et ainsi répudier la signature et contester l'authenticité de l'acte. Aussi, chaque signature électronique peut être légalisée par un notaire ou un autre agent publique : dans ce cas, elle ne peut pas être répudiée, que par procédure d'inscription de faux. Dans ce mémoire nous analysons les effets juridiques résultant d'une signature numérique apocryphe. Le titulaire de la signature, lorsque l'abus est dérivée de sa négligence ou faute, a une responsabilité civile pour le préjudice subi par les tiers qui ont légitimement fait confiance sur la validité de l'acte. Si, toutefois, l'utilisation abusive est autorisée par le propriétaire, il est totalement lié par le contrat, selon la « théorie de l'apparence ». Afin de minimiser les risques liés à une signature numérique apocryphe, nous proposons l'utilisation des technologies biométriques, qui peuvent presque totalement exclure qu'une signature soit apposée par qui n'est pas autorisé. Parmi les différentes outils disponibles, la « signature numérique autographe » (basée sur un système d'analyse de la signature manuscrite) semble assurer le mieux le résultat, à des coûts et dans un délai raisonnables. Comme elle fournit une sorte d'expertise automatique et préventive en l'écriture de la signature manuelle, nous pensons correct que sa validité ne puisse pas être contestée que par procédure d'inscription de faux. Nous croyons que cette technologie proposée entraîne une équivalence conceptuelle et juridique parfaite entre la signature autographe et la « signature numérique autographe », car les deux sont écrites de la main du signataire. Cela pourrait ouvrir la voie à la documentation électronique du testament olographe, avec de grands avantages du point de vue de son authentification, intégrité et datation. Toutefois, cette question nécessite une réflexion plus approfondie ainsi que l'intervention explicite du législateur (pas indispensable mais certainement souhaitable).
2009/2010 ; Lo scopo di questa ricerca di dottorato è l'analisi geopolitica di una regione transfrontaliera dell'Asia centrale: la valle del Fergana. Tre anni di ricerca sul campo: l'analisi delle frontiere di questa regione attualmente divisa politicamente tra Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan, la cartografia analitica, le osservazioni, le interviste alla popolazione e agli esperti, la ricerca nelle biblioteche della regione, nella capitale dell'Uzbekistan, Tashkent (presso l'Istituto Francese di Studi sull'Asia centrale – IFEAC) e la ricerca svolta in Francia principalmente presso l'Istituto Francese di Geopolitica (IFG) e la Biblioteca Nazionale di Francia (BNF), sono gli strumenti che hanno permesso lo studio di questo territorio. Il principale obiettivo del lavoro è l'analisi delle rivalità di potere della valle del Fergana. Grazie alla sua fertilità e alla sua importante posizione strategica all'interno del contesto geopolitico centrasiatico, il bacino del Fergana è stato e continua tuttora ad essere una posta in gioco ambita da differenti attori territoriali. La rivalità di potere tra i diversi attori si gioca soprattutto sullo scenario transfrontaliero della regione. Il secondo scopo di questa ricerca è la presentazione e la valutazione di un particolare attore territoriale della valle, il Regionalismo culturale. La parte introduttiva della ricerca si concentrerà su una presentazione del contesto centrasiatico e sulle peculiarità derivanti dalle sue frontiere. In seguito verrà introdotta la "posta in gioco" Fergana con le sue risorse fisiche ed economiche al fine di legittimare l'importanza del territorio. Infine l'introduzione si concluderà con la teoria geopolitica: il perché della scelta della scuola di geopolitica del geografo francese Yves Lacoste per questa ricerca e una prima analisi dello spazio Fergana come regione divisa tra confine e frontiera. Il lavoro è strutturato in due grandi parti. La prima, più teorica, è relativa all'analisi dei tre attori territoriali. Le rappresentazioni dei differenti attori che verranno presentate, non seguiranno un ordine cronologico, ma un ordine concettuale: eventi simultanei verranno dunque analizzati non nello stesso momento, perché relativi a rappresentazioni differenti del territorio Fergana. Il primo capitolo è consacrato all'attore Nazione. Con questa espressione si intende non solo l'attore Stato-Nazione in sé, o meglio gli Stati-Nazione (Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan), ma anche la Nazione come idea, come politica nazionalistica applicata ad un territorio. La valle del Fergana è diventata una regione transfrontaliera da quando, negli anni '20, fu divisa tra i tre Stati, allora all'interno della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Negli anni '90, in seguito alla caduta dell'URSS, il Fergana divenne una regione divisa da frontiere non più interne ma internazionali. Questo capitolo ha come scopo l'analisi di tutte le rappresentazioni dell'attore Nazione per quanto riguarda il contesto Fergana, dalla sua nascita (anni '20) fino all'indipendenza delle Repubbliche (anni '90). Sicuramente la rappresentazione più importante da analizzare è quella della creazione delle sue frontiere. L'attore Nazione è senza dubbio l'attore geopolitico più importante anche perché quello più legittimato in questo contesto territoriale. Il capitolo approfondirà anche le relazioni tra i differenti Stati-Nazione che rappresentano allo stesso tempo: un unico attore (contro la Religione e il Regionalismo culturale) e tre attori differenti quando competono tra loro per il territorio Fergana. Il secondo attore è la Religione. La valle del Fergana è una delle aree centrasiatiche più credenti e praticanti e la religione islamica ha sempre avuto un ruolo importante nella gestione della società ferganiana. Verrà proposta un'analisi di tutte le rappresentazioni della religione nel Fergana: il sufismo autoctono con un'analisi sulla geografia sacra dei luoghi ferganiani importanti per questa corrente dell'Islam; l'Islam tradizionale del periodo sovietico, divenuto un'arma legale utilizzata da Mosca per combattere l'ortodossia religiosa sufi del Fergana; il fondamentalismo wahabbita degli ultimi anni importato dall'Afghanistan, dal Pakistan, dall'Arabia Saudita, come conseguenza dell'invasione sovietica dell'Afghanistan del 1979 e dunque in seguito all'incontro tra i musulmani sovietici e i mujaheddin afgani. In seguito verrà analizzato come le differenti varianti dell'attore Religione si sono opposte, negli anni, all'attore Nazione per il controllo del potere e delle risorse del territorio Fergana. Un fenomeno particolarmente analizzato sarà la politicizzazione dell'attore Religione e come questa politicizzazione ha portato l'attore in questione ad essere l'elemento protagonista di numerosi eventi nel Fergana. Il terzo attore è il Regionalismo culturale. Con questa espressione si fa riferimento all'identità geo-culturale di questo insieme regionale che persiste nonostante le pressioni nazionalistiche e religiose. La valle del Fergana è sempre stata un insieme geografico, politico, sociale, malgrado negli ultimi secoli la sua popolazione si è sempre distinta per il suo alto livello di multietnicità e di disomogeneità linguistica. Questo però, non ha impedito un'amalgamazione sociale di tale popolazione che ha sempre considerato la multietnicità come la normalità e ha sempre attribuito ad ogni "etnia" un ruolo sociale integrato all'interno del sistema Fergana. Popolazioni di lingua e cultura persiana e sedentaria e popolazioni di lingua e cultura turca, sedentaria o nomade hanno sempre condiviso, ognuna con il proprio ruolo sociale, una vita comunitaria all'interno della regione e questa è sicuramente la caratteristica principale del Regionalismo culturale del Fergana. Questo equilibrio cambiò con la perdita di sovranità politica della regione, con l'istituzione dei nazionalismi e la conseguente spartizione della regione tra tre dei cinque nuovi Stati nazionali dell'Asia centrale sovietica. In questo capitolo verranno analizzate le principali rappresentazioni nel tempo dell'attore Regionalismo culturale e come esso si sia opposto agli altri attori territoriali, soprattutto all'attore Nazione. La seconda parte di questo lavoro è stata dedicata all'impatto che gli attori territoriali hanno oggi nella valle del Fergana, soprattutto nelle sue aree di frontiera. Questa parte è il risultato delle interviste e delle osservazioni sul campo effettuate in Asia centrale e in particolare nel Fergana nelle spedizioni del 2007, 2009 e del 2010. Nel primo capitolo verrà analizzata la frontiera di questa regione dal punto di vista teorico, in particolar modo con l'analisi del Fergana come" prima o ultima linea di difesa". Nel secondo capitolo, all'interno di un contesto di base: la differenza tra la frontiera all'epoca sovietica e all'epoca dell'indipendenza, ci sarà un approfondimento della definizione di frontiera centrasiatica, l'esame della burocrazia di frontiera, del posto di blocco e dei documenti del soggetto transfrontaliero. Saranno trattate, inoltre, le tematiche relative alle relazioni commerciali transfrontaliere, come i "tre" Fergana riescono ancora ad interagire malgrado la crescente rigidità delle frontiere e verranno studiate le relazioni sociali transfrontaliere sempre all'interno del panorama ferganiano di oggi. In questo contesto, verranno considerate le interviste svolte nel Fergana, le opinioni riguardo le difficoltà di passaggio e di comunicazione nella valle ed analizzeremo la presenza dei tre attori geopolitici che tuttora giocano un ruolo fondamentale nelle relazioni e nei conflitti di frontiera. Il terzo capitolo sarà dedicato ai centri urbani del Fergana; la loro storia, il rapporto dei ferganiani con le città e soprattutto le rappresentazioni interne ed esterne che i centri urbani hanno assunto all'interno di una regione oggi del tutto transfrontaliera. Il quarto capitolo si concentrerà sulle evoluzioni demografiche della popolazione: il Fergana, che durante gli anni zaristi e sovietici era terra di immigrazione, con l'indipendenza e dunque con la concretizzazione delle frontiere, si ritrova terra di emigrazione. Il quinto capitolo sarà dedicato al Fergana delle infrastrutture: come la strada ferrata e la rete stradale influiscono e sono influenzate dalle mutazioni frontaliere di questa regione. Il sesto capitolo riprenderà degli interrogativi teorici posti all'inizio del lavoro, con un analisi conclusiva sull'odierno "Fergana delle frontiere". La conclusione di questa ricerca, in realtà, è una vero e proprio capitolo di analisi, dove si farà il punto della situazione e si constaterà la persistenza dell'attore Regionalismo culturale, la sua evoluzione e il suo rapporto attuale con gli altri attori geopolitici. Un punto di arrivo fondamentale della ricerca è il fatto che la regione Fergana è cambiata, sotto differenti punti di vista e la popolazione ferganiana ha nuovi punti di riferimento culturali, politici e sociali. Differenti forme politiche e nuove strutture culturali hanno portato la popolazione del Fergana, nel tempo, a mutare la propria immagine e la propria identità: "russa, musulmana, ferganiana", in seguito "sovietica, uzbeca (o tagica o kirghiza), atea, ferganiana" e infine "uzbeca (o tagica o kirghiza), laica, ferganiana". Il territorio, le sue frontiere e la società che lo abita sono cambiati, ma vedremo che, nonostante i forti ostacoli posti dall'attore Nazione, il Regionalismo culturale riuscirà a sopravvivere, adattandosi alle nuove tendenze e ai nuovi modi di interpretare il Fergana. Come ultimo studio sul territorio, faremo degli esempi riguardanti gli eventi più recenti concernenti il Fergana (massacro di Andijan nel 2005, scontri ad Osh nel giugno 2010) ed analizzeremo questi fenomeni alla luce delle rivalità di potere geopolitiche che ancora persistono nella regione. ; Cette thèse de Doctorat propose une analyse géopolitique d'une région transfrontalière de l'Asie centrale, la vallée du Ferghana, aujourd'hui divisée entre les Républiques d'Ouzbékistan, du Tadjikistan et du Kirghizistan. Des séjours sur le terrain répartis sur trois ans ont constitué la base de la recherche, au travers de l'analyse des frontières, de la cartographie analytique, d'entretiens qualitatifs avec experts et habitants, et de recherches bibliographiques dans le Ferghana ainsi que dans la capitale ouzbèke Tachkent – notamment près l'Institut Français d'Etudes sur l'Asie Centrale (IFEAC). Ces périodes de terrain ont été complétées par un séjour de recherche en France, articulé principalement autour d'un approfondissement théorique à l'Institut Français de Géopolitique (IFG) de l'Université Paris VIII-Vincennes et de recherches bibliographiques à la Bibliothèque Nationale de France. L'objet de ce travail est donc l'analyse des rivalités de pouvoir entre les acteurs territoriaux sur l'enjeu territorial de la vallée du Ferghana, bassin fertile à la position stratégique dans le contexte géopolitique centrasiatique élargi. Si le Ferghana a toujours constitué un enjeu disputé par différents acteurs territoriaux, les rivalités des acteurs actuels jouent aujourd'hui surtout au niveau frontalier et transfrontalier. Ce faisant, cette thèse introduit un nouvel acteur dans le schéma d'analyse géopolitique classique: le Régionalisme culturel. Le Régionalisme culturel en tant qu'acteur territorial y fait donc l'objet d'une présentation approfondie ainsi que d'une évaluation de son importance passée et actuelle. Concentrée d'abord sur le contexte centrasiatique et les particularités qui découlent de ses frontières, l'introduction présente ensuite « l'enjeu » Ferghana et ses ressources physiques et économiques, qui expliquent l'importance de ce territoire. Elle se poursuit sur un rapide point théorique sur la géopolitique et la justification du choix de l'école de pensée géopolitique de Yves Lacoste comme cadre théorique de cette recherche, avant de s'achever sur une première analyse de l'espace Ferghana à l'aune des catégories de frontières et de confins. La thèse est structurée en deux grandes parties. La première, à dominante théorique, analyse à tour de rôle les trois acteurs territoriaux qui rivalisent pour le pouvoir sur le Ferghana: il s'agit de la Nation, de la Religion, et du Régionalisme culturel. La présentation des acteurs, de leurs différentes incarnations et de leurs représentations respectives du territoire ferghanien sont ainsi abordés selon un ordre conceptuel ; des évènements s'étant produits simultanément ne sont ainsi pas analysés chronologiquement mais séparément, en tant qu'ils se rapportent aux acteurs évoqués. Le premier chapitre est consacré à l'acteur Nation. Par cette expression nous entendons non seulement l'entité effective Etat-Nation et ses trois incarnations (Ouzbékistan, Tadjikistan, Kirghizistan), mais aussi la Nation comme idéologie qui agit sur le territoire au travers de politiques nationalistes. La force de légitimation de l'acteur Nation n'est pas étrangère à l'accroissement de son importance sur ce territoire, qui l'a sans aucun doute mené au sommet de la hiérarchie des acteurs géopolitiques dans cette région. Ce chapitre analyse les représentations du Ferghana définies et mises en oeuvres par l'acteur Nation depuis son apparition dans les années 1920. La vallée du Ferghana est en effet devenue une région transfrontalière à cette époque, avec son intégration à l'Union des Républiques Socialistes Soviétiques (URSS) et sa partition entre trois des cinq Républiques Socialistes Soviétiques nouvellement créées en Asie Centrale. Dans les années 1990, avec la chute de l'URSS et l'indépendance des trois Républiques, les frontières qui divisaient le Ferghana ne sont plus simplement internes, mais deviennent bel et bien internationales. Parmi les représentations majeures qui font l'objet d'une étude dans ce chapitre, une attention particulière est portée aux frontières nationales, leur création et leur évolution. Le chapitre s'intéresse également aux relations entre les différents Etats-Nations, qui constituent un acteur unique lorsqu'ils rivalisent contre les autres acteurs territoriaux – la Religion et le Régionalisme culturel – mais aussi trois acteurs différenciés lorsqu'ils se disputent le territoire Ferghana entre eux. Le deuxième chapitre est consacré au deuxième acteur territorial, la Religion. La vallée du Ferghana est l'une des régions d'Asie centrale les plus croyantes et pratiquantes, et la religion islamique y a toujours eu un rôle important dans la gestion de la société. Ce chapitre propose d'abord une analyse des représentations de la religion dans le Ferghana : le soufisme autochtone et la "géographie sacrée" des hauts lieux de ce courant de l'Islam dans le Ferghana ; l'Islam traditionnel de la période soviétique, devenu une arme légale utilisée par Moscou pour combattre l'orthodoxie soufie du Ferghana ; le fondamentalisme wahabbite récemment apparu, importé d'Afghanistan, du Pakistan et d'Arabie Saoudite à la suite de l'invasion de l'Afghanistan par les Soviétiques en 1979 et de la rencontre qui s'en est ensuivie entre les musulmans soviétiques et les moudjahiddines afghans. Ensuite est examinée la manière dont les différentes variantes de l'acteur Religion se sont opposées, au cours des années, à l'acteur Nation pour le contrôle du pouvoir et des ressources du territoire Ferghana. Nous y voyons comment la rivalité géopolitique entre deux acteurs varie du tout au tout selon que l'on parle de l'acteur Nation au cours de la période Soviétique ou bien au cours de l'ère ayant succédé à l'indépendance. Une attention particulière est portée au phénomène de politisation de l'acteur Religion et à la manière dont cette politisation a amené la Religion à assumer un rôle de protagoniste dans de nombreux évènements du Ferghana. Le troisième acteur est le Régionalisme culturel. Avec cette expression nous faisons référence à l'identité géo-culturelle de cet ensemble régional, qui persiste malgré les pressions nationalistes et religieuses. Car aussi loin que remonte son existence en tant que lieu, la vallée du Ferghana a toujours constitué un ensemble géographique, politique et social à part entière. Bien que sa population se soit distinguée au cours des derniers siècles par une grande multiethnicité et hétérogénéité linguistique, cela n'a pas empêché un amalgame sociétal de cette population qui a toujours considéré la multiethnicité comme normale, et toujours a attribué à chaque « ethnie » un rôle social déterminé au sein du système Ferghana. Qu'elles soient de langue et de culture persane et sédentaire, de langue et de culture turque et sédentaire, ou bien de langue et de culture turque et nomade, ces populations ont toujours partagé, chacune dans son propre rôle social, une vie communautaire au sein de la région, et ce phénomène est la caractéristique principale de ce que nous appelons le Régionalisme culturel du Ferghana. Cependant, cet équilibre change avec la perte de souveraineté politique de la région, l'avènement du nationalisme sous l'action de l'URSS, et la partition de l'espace entre trois Etats nations de l'Asie centrale soviétique. Ce chapitre analyse ainsi les principales représentations de l'acteur Régionalisme culturel au cours du temps, et comment il s'est opposé aux autres acteurs territoriaux, en particulier à l'acteur Nation. La seconde partie de ce travail est dédiée aux manifestations actuelles des acteurs territoriaux dans la vallée du Ferghana, plus spécialement dans ses zones de frontière. Cette partie est le résultat des entretiens et des observations de terrain réalisés en Asie centrale et dans le Ferghana au cours de séjours en 2007, 2009 et 2010. Le premier chapitre analyse la frontière de cette région du point de vue théorique, à la lumière notamment des catégories géostratégiques de "première ligne de défense" ou "dernière ligne de défense". Dans le contexte d'une modification de la frontière entre l'époque soviétique et celle de l'indépendance, le deuxième chapitre approfondit la définition de frontière centrasiatique, au travers principalement de l'analyse de la bureaucratie de frontière, des postes de contrôle et des documents requis pour le passage de la frontière. Les thématiques liées aux relations commerciales transfrontalières y sont examinées : comment les "trois" Ferghana parviennent encore à interagir malgré la rigidité croissante des frontières, quelles relations sociales transfrontalières subsistent au sein du Ferghana d'aujourd'hui. Les entretiens qualitatifs réalisés dans le Ferghana jouent un rôle majeur pour recenser les difficultés de passage et de communication dans la vallée et déceler, dans les descriptions et jugements recueillis, la présence des trois acteurs géopolitiques qui toujours jouent un rôle fondamental dans les relations et conflits de frontière. Le troisième chapitre est dédié aux centres urbains du Ferghana : leur histoire, le rapport que les Ferghaniens entretiennent avec eux, et surtout les représentations internes et externes que les centres urbains assument au sein d'une région désormais tout à fait transfrontalière. Le quatrième chapitre se concentre sur les évolutions démographiques de la population. Jusque là terre d'immigration tout au long des années tsaristes et soviétiques, le Ferghana est devenu une terre d'émigration avec l'indépendance et la concrétisation des frontières. Le cinquième chapitre s'intéresse au Ferghana des infrastructures, notamment les réseaux ferré et routier, et leur rapport d'influence réciproque mutations frontalières de cette région. Le sixième chapitre reprend les interrogations théoriques posées dans l'introduction et développe une analyse conclusive sur le Ferghana des frontières aujourd'hui. La conclusion de cette recherche dresse le bilan actuel du Ferghana et des rapports entre les différents acteurs géopolitiques, et observe la persistance de l'acteur Régionalisme culturel. Force est de constater l'existence de changements dans la région Ferghana à différents points de vue. La population ferghanienne dispose de nouveaux cadres de référence culturels, politiques et sociaux qui ont pris une importance majeure. Des nouvelles formes politiques et de structures culturelles ont eu un impact sur son image d'elle-même, sur son identité: "russe, musulmane,ferghanienne", puis "soviétique, ouzbèke (ou tadjike ou kirghiz), athée, ferghanienne", et enfin "ouzbèke (ou tadjike ou kirghiz), laïque, ferghanienne". Cependant, bien que le territoire, ses frontières et la société qui l'habite aient changé, et malgré les obstacles forts posés par l'acteur Nation, que Régionalisme culturel a réussi à survivre, en s'adaptant aux nouvelles tendances et aux nouveaux modes d'interprétation du Ferghana. La conclusion s'achève sur les évènements les plus récents du Ferghana; massacre d'Andijan en 2005 et affrontements à Osh en juin 2010, qui sont analysés à la lumière des rivalités de pouvoir géopolitique qui persistent encore dans la région. ; This PhD dissertation proposes a geopolitical analysis of a centrasiatic transborder region, the Ferghana Valley, which is today divided between the Republics of Uzbekistan, Tajikistan and Kyrgyzstan. A basis of the research, field trips spread over the past three years enabled the development of instruments such as border analysis, analytical cartography, qualitative interviews with experts and inhabitants, and bibliographical research in the Ferghana as well as the Uzbek capital city Tashkent – noticeably at the French Institute for Central Asian Studies (IFEAC). As a complement to the field trips in Central Asia, a research period in France permitted both a consolidation in geopolitical theory at the French Institute of Geopolitics (IFG) of the University of Paris 8-Vincennes, and additional bibliographical research at the French National Library (BNF). The topic of the research is hence the analysis of power rivalries between "territorial actors" over the "territorial stake" of the Fergana Valley, a fertile basin of strategical location within the larger geopolitical context of Central Asia. Always a stake disputed by various territorial actors over time, the Fergana Valley now experiences power rivalries from contemporaneous territorial actors first and foremost on the border and transborder levels. By doing so, the dissertation introduces a new actor in the classical geopolitical pattern of analysis: the cultural regionalism. The dissertation hence offers a detailed presentation of the cultural regionalism as well as an evaluation of its past and current importance. First focusing on the centrasiatic context and the peculiarities which stem from its borders, the introduction presents the "stake" Fergana and its economic and physical resources which explain its importance as a territory. A rapid summary of the theory of geopolitics follows, with the justification of the choice of the French Lacostian school as the theoretical frame of this work. The introduction closes on a first analysis of the Fergana as a space of border or frontier. The thesis is structured in two main parts. The first, more theoretical, analyses each of the three territorial actors which aim for power over the Fergana: the Nation, the Religion, and the Cultural Regionalism. The presentation of the actors, of their respective embodiments and of their manifestations within the ferganian territory is organised according to a conceptual rationale; events that occurred simultaneously are thus not considered following a chronological order, but separately, according to their respective relations with the actors evoked. The first chapter focuses on the actor Nation. By this word we understand not only the effective entity of the Nation-State, and its three embodiments (Uzbekistan, Tajikistan, Kyrgyzstan), but also the Nation as an ideology which acts upon the territory through nationalistic policies. The force of legitimation of the actor Nation did certainly not have a neutral role in the rise of this actor in the Ferganian landscape, a process which led the Nation to the top of the geopolitical actors' hierarchy in the region. This chapter also analyses the representations of the Fergana which are defined and implemented by the actor Nation since its birth in the 1920s. In fact, the Fergana valley first became a transborder region only in these years, through its integration to the Union of the Socialist Soviet Republics (USSR) and its partition between three of the five newly created Socialist Soviet Republics in Central Asia. In the 1990s, following the fall of the USSR and the independence of the three Republics, the borders which divided the Ferghana stopped being only internal, but became real and proper international borders. Among the main representations that this study looks at, a particular attention is devoted to the study of the national borders , their creation and their evolution. The chapter also looks at the relations between the different Nation-States, which form a unique actor when they rival against the other territorial actors – the Religion and the Cultural Regionalism –, but three well different ones when they rival among themselves. The second chapter concentrates upon the second territorial actor, the Religion. The Fergana valley is one of the most pious and practicing region of Central Asia, and the Islamic religion always played a major role in the society's administration and organization. The chapter proposes first an analysis of the religion's representations in the Fergana: the autochthonous sufism and its sacred geography within the Fergana valley ; the traditional Islam of the soviet times, which became a legal weapon used by Moscow to fight the sufi orthodoxy in the Fergana ; the recently appeared wahabbite fundamentalism, imported from Afghanistan, Pakistan and Saudi Arabia following the Soviet invasion of Afghanistan in 1979 and the encounter it induced between the soviet muslims and the afghan mujaheddins. It is then examined how the different variations of the actor opposed themselves to the actor Nation, over the years, for the control over the power and the resources of the Fergana. We look at how the geopolitical rivalries vary dramatically from the soviet era to that of the independence. A special attention is devoted to the phenomenon of politization of the actor Religion and the way this led the Religion to endorse a role of protagonist in many of the Fergana's events. The third actor is the Cultural Regionalism. It is hereby referred to the geo-cultural identity of this regional entity, which persists in spite of nationalistic and religious pressures. In fact, as long as the Fergana has existed as a place, it has always constituted a geographical, political and social whole. Although its population has been characterized during the past centuries by high levels of multiethnicity and linguistic heterogeneity, this did not prevent the societal amalgamation of populations which always held multiethnicity as normality, and always attributed to each "group" a specific social role within the system Fergana. Be they of language and culture persian and sedentary, turk and sedentary or turk and nomadic, these populations always shared, each in its own social role, a common life within the region. This very phenomenon is the main characteristic of what we call the Cultural Regionalism of the Fergana. However, this equilibrium changes with the loss of political sovereignty of the region and the rise of nationalism under the soviet sovereignty. This chapter analyzes the main representation of the actor Cultural Regionalism over time, and how it took stand against the other territorial actors, especially the Nation. The second part of the dissertation as dedicated to the current manifestations of the territorial actors in the Fergana valley, particularly in its border zones. This part results from the interviews and field observation undertaken in Central Asia and the Fergana in 2007, 2009 and 2010. The first chapter analyzes the border of this region from a theoretical point of view, especially in the light of the geostrategical categories of "first line of defence" or "last line of defence". In the context of a transformation of the border from the soviet era to that of the independence, the second chapter explores the definition of the centrasiatic border, mainly through the analysis of border bureaucracy, control posts and documents required to cross the border. The chapter looks at themes connected to the commercial transborder relations : how the "three" Fergana still manage to interact despite growing border rigidity, which social relationships subsist today. The qualitative interviews led in the Fergana are a major source in this process of reviewing the difficulties of passage and communication within the valley, and of tracking the actual presence of the three geopolitical actors which play a major role in the border relations and conflicts. The third chapter focuses on the Ferganian urban centres: their history, the relations that the Ferganians have with them, et above all the internal and external representations of these centres in a now fully transborder region. The fourth chapter concentrates on the demographical evolutions of the Ferganian population. Up until then a land of immigration, the Fergana became a land of emigration following the independence and the materialization of the borders. The fifth chapter deals with the Ferganian infrastructures, especially the rail and road networks, and their relationship of reciprocal influence with the mutation of the borders in the region. The sixth chapter builds on the theoretical interrogations evoked in the introduction of the dissertation and develops a conclusive analysis of the Fergana of the borders nowadays. The conclusion of this research depicts the current Fergana, the relations between the different geopolitical actors and underscores the persistence of the actor Cultural Regionalism. It establishes the existence of tremendous changes in the region Fergana from various viewpoints: the Ferganian population has new frames of cultural, political and social reference whose importance increased dramatically ; new political forms and cultural structures influenced its self-image, its very identity: "russian, muslim, ferganian", then "soviet, uzbek (or tajik or kyrgyz), atheist, ferganian", finally "uzbek (or tajik or kyrgyz), secular, ferganian". However, although the territory, its borders and inhabitants changed, and despite the strong obstacles set by the actor Nation, the cultural regionalism succeeded in maintaining itself, by adapting to the new tendencies and ways of interpretation of the Fergana. The conclusion ends with the most recent events of the Fergana, the Andjian massacre in 2005 and the Osh clash in 2010, which are both analysed in the light of the geopolitical power rivalries which persist in the region. ; XXIII Ciclo
La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell'urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l'intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l'economia e la politica, è oggi minoritaria; l'irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l'elevazione del livello di istruzione e quindi l'incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un'idea di welfare semplicemente basata sull'istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l'assistenza sociale. La città moderna ovvero l'idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l'oggetto "città" e la mancanza di un convincimento forte nell'interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell'identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l'immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell'ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all'idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L'urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle "effettive necessità delle persone": nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il "Piano dei servizi", che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di "piano regolatore sociale", per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l'avvento della cosiddetta "new economy", la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito "nuovo welfare", in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull'istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull'assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E' chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per "fare città" devono necessariamente superare i concetti di "standard" e di "zonizzazione", che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all'evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l'ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto "dalla casa alla città", perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell'ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di "qualità dello star bene". E' evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall'altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l'ambiente, quindi manifestazione concreta di un'esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell'inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città. ; The research aims to define guidelines for the preparation of a plan that deals with quality of life and well-being. The reference to the quality and well-being is positively innovative, because imposes to organs of the government to relate with the subjectivity of active citizens and, at the same time, makes clear the need for a broader and transversal approach to the city and a more close relationship of technicians/experts with the leaders of political and administrative bodies. The research investigates the limits of modern town-planning theory in front of the complexity of new needs expressed by contemporary urban populations. The demand for services has changed significantly compared to that one of the Sixties, not only on the quantity but also and especially in terms of quality, because of the social changes that have transformed the modern city, from the point of view of the structure and the cultural request: the intermittent citizenship, so cities are increasingly experienced and enjoyed by citizens of the world (tourists and/or visitors, temporarily present) and popular citizens (suburban, provincial, metropolitan); radical transformation of the family structure, so the family-type consisting of a couple with children, solid benchmark for the economy and politics, is now minority; the irregularity and flexibility of calendars, diaries and rhythms of life of the population active, and social mobility, so individuals have trajectories of life and daily practices less determined by their social origins of what happened in the past; the elevation of the level of education and thus the increase in demand for culture; the growth of elderly population and the strong social individualism have generated a demand for the city expressed by the people extremely varied and diverse, fragmented and volatile, and in some aspects quite new. Close to old and consolidated requests - the city efficient, functional, productive, accessible to all - there are new questions, ideals and needs such as beauty, variety, usability, security, the ability to amaze and entertain, sustainability, the search for new identities, questions that express a desire to live and enjoy the city, to fell good into the city, questions that can no longer be satisfied through a welfare simply based on education, health, pension system and social security. The modern city or the modern idea of the city, based only on the concepts of order, regularity, cleaning, equality and good governance was handed over to the past history turning into something very different hard to represent, describe, tell. The contemporary city can be represented in many different ways, both on town-planning way and social way: in the recent literature there is the obvious difficulty of defining and enclose within certain limits the subject "city" and the lack of a strong belief in the interpretation of political, economic and social transformations that have invested society and the world in the last century. The contemporary city, beyond the administrative areas, territorial expansion and urban structures, infrastructure, technology, functionalism and global markets, is also a place of human relations, representation of the relationship between individuals and urban spaces where these relationship move. The city is both physical concentration of people and buildings, but also variety of uses and groups, it's the place of dense social relations where processes of cohesion or social exclusion occur, a place of cultural norms that govern behaviour and identity, expressed physically and symbolically through public spaces of city life. It's necessary a new approach to study the contemporary city, made up of cross-contamination and knowledge provided by other disciplines such as sociology and human sciences, which help to build the image commonly known of the city and the territory, landscape and environment. The representation of the urban social life varies according to what it is considered, in a specific historic moment and in a given context, a situation of well-being. The modern town-planning aimed at maximum level of well-being for individuals and communities, modelling on "real needs of people": in the old urban systems manuals appears a "Plan of services" as an appendix to the master plan, which includes services distributed on the surrounding areas, a sort of "social master plan" to avoid neighborhoods separated by segments of population or classes. In the contemporary city globalization, new forms of marginalization and exclusion, the advent of the so-called "new economy", the re-definition of the production base and the labour market are urban expression of a social complexity that can be defined trough transactions and symbolic exchanges, rather than trough processes of industrialization and modernization towards which the historic city, adopted modern, was oriented. All of this questions are the expression of that complex of matters which are currently described as "the new welfare", opposed to the one essentially based on education, on health, on the pension system and on social assistances. The research has therefore examined the traditional tools of town-planning and territorial programming in their operational and institutional dimension: the main destination of these instruments is the classification and accommodation of services and urban containers. It's evident, however, that in order to answer to the many questions of complexity, needs and desires expressed by contemporary society the actual allocations to "make city" must necessarily overcome the concepts of "standards" and "zoning" that are too rigid and unable to adapt to a growing demand for quality and services and at the same time inadequate to manage the relationship between collective space and domestic space. In this sense it is important to consider the relationship between housing types and urban morphology and hence the environment around the house, which establishes the relationship "from the house to the city" because it is in this duality that it is possible to define the relationship between private domestic spaces and public spaces and contextualize questions of roads, shops, meeting places, accesses. After the convergence from the wide urban scale construction to the architectural scale, the attention moves from the architectural scale to the scale of urban constructions, since the criterion of well-being goes through the different scales of habitable space. Moreover, in territorial systems with a widespread well-being and a high level of economic development there's an emerging awareness that the very concept of well-being is no longer linked only to the ability of collective and/or individual income: today the quality of life is measured in terms of environmental quality and social inclusion. Thus the need of an instrument of knowledge of the contemporary city to be attached to the Plan, containing criteria to be observed in the design of urban spaces in order to determine the quality and well-being, in the meaning of "quality of feeling good", of urban environment. Obviously, to reach quality and well-being it is necessary to satisfy macroscopic aspects of social functioning and living standards, through the indicators of income, employment, poverty, crime, housing, education, etc., and also first needs, basic and elementary, and secondary, cultural and changing, moving through the welfare state to a general feeling of well-being, to wellness in a holistic sense, all expressions of a desire for mental and physical beauty and a new relationship of the body with the environment, then real expression of a need for an individual and collective wellbeing. And it is this need, new and difficult, which creates the widespread feeling of a starting new urban season, much more than physical changes of the city could represent.
Il presente lavoro si prefigge la finalità di analizzare taluni aspetti legati al diritto reale di abitazione, con speciale riferimento al divieto di cessione del predetto diritto previsto dall'articolo 1024 del codice civile. Tale problematica, inoltre, è strettamente connessa anche ad altri aspetti pratici, quali l'ipotecabilità e l'espropriabilità del predetto diritto reale. In particolare è apparso opportuno approfondire preliminarmente taluni profili di carattere generale riguardanti il diritto di abitazione, nei limiti in cui essi fossero funzionali alla ricostruzione che si è tentato di proporre. A tal fine, sono stati affrontati alcuni aspetti, quali la natura giuridica e i presupposti soggettivi ed oggettivi, in quanto ritenuti propedeutici al prosieguo della trattazione. In particolare l'esclusione del diritto d' abitazione dal novero dei diritti ipotecabili ha sollevato diverse questioni in dottrina e in giurisprudenza. L'inattitudine del predetto diritto ad essere oggetto d'iscrizione ipotecaria deve essere necessariamente valutato alla luce della propria disciplina. Il diritto d'abitazione consente al titolare di abitare una casa "limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia" (art. 1022 cod. civ.). Il rapporto che si instaura a seguito della costituzione del diritto è fondato sull'intuitus personae, sia sotto il profilo del contenuto del diritto che sotto il profilo del rapporto dell'habitator con il proprietario dell'immobile. La limitazione dell'esercizio del diritto al soddisfacimento dei bisogni del suo titolare, infatti, da una parte implica che il suo trasferimento ad un terzo potrebbe mutarne il contenuto, con eventuale nocumento per il proprietario; dall'altra implica che qualora la casa risulti di estensione maggiore rispetto alle esigenze dell'habitator, il proprietario potrà goderne per la parte eccedente: il titolare del diritto reale d'abitazione non avrebbe infatti titolo ad opporsi alle ingerenze del proprietario, nei limiti in cui quest'ultimo non molesti il libero godimento dell'altra parte dell'abitazione. Anche sotto questo secondo profilo emerge la personalità del rapporto, essendo rilevante per il proprietario la persona del titolare del diritto, con il quale potrebbe anche trovarsi dover convivere. Tali motivazioni costituiscono la ratio alla base del divieto di cessione e di locazione del diritto in esame, ex art. 1024 cod. civ. Tale divieto costituisce a sua volta il fondamento dell'esclusione del diritto d'abitazione (e d'uso) dall'elenco dei diritti ipotecabili ex art. 2810 cod. civ. La realizzazione della causa di garanzia, infatti, implica che la situazione sostanziale dedotta quale oggetto dell'ipoteca sia alienabile, non potendo immaginarsi una vendita forzata del diritto ove di questo non possa normalmente disporne il titolare. Probabilmente a ciò è legata anche la precisazione posta dall'art. 2810 n. 1) cod. civ., per cui sono ipotecabili gli immobili "che sono in commercio". L'ammissibilità dell'iscrizione ipotecaria sul diritto d'abitazione postula il riconoscimento della sua trasferibilità: è dunque necessaria un'analisi della portata del divieto di cessione di tale diritto posto dall'art. 1024 cod. civ. Come accennato, infatti, tale divieto è posto al fine di tutelare la posizione del proprietario dell'immobile, e dunque a presidio di interessi di natura privatistica: la regola sarebbe quindi applicabile ove non sia diversamente disposto dal titolo costitutivo, mentre con l'accordo di proprietario ed habitator potrebbe prevedersi una più o meno libera cedibilità, grazie al consenso della parte che la disciplina codicistica mira a tutelare. In merito è stato obiettato che il divieto di cessione non solo sia disposto a tutela della posizione del nudo proprietario, ma faccia parte del contenuto stesso del diritto, in quanto al variare del titolare sono destinate a variare anche le esigenze in base alle quali il contenuto di detto diritto è parametrato. In tale ottica, la possibilità che esso circoli, seppure con il consenso del nudo proprietario, porterebbe a rendere variabile la portata stessa del diritto, con conseguente violazione del principio di tipicità e del numerus clausus dei diritti reali, in quanto risulterebbero alterati gli aspetti caratterizzanti della disciplina tipica dell'istituto. Qualora si ritenessero accoglibili siffatte osservazioni, dovrebbe conseguentemente ritenersi che il divieto di cui all'art. 1024 cod. civ. sia inderogabile anche con il consenso del nudo proprietario contro interessato. Il principio della tipicità e del numerus clausus dei diritti reali, infatti, è posto a tutela di interessi di carattere generale, ed ha dunque valenza pubblicistica. Tale principio, come noto, risponde all'esigenza di consentire ai terzi di essere preventivamente a conoscenza dell'esistenza di pesi o vincoli opponibili erga omnes, con conseguente tutela del commercio giuridico; persegue inoltre l'utilità socio-economica di salvaguardare, per quanto possibile, la libertà, l'assolutezza e la pienezza della proprietà fondiaria, ed assurge dunque a principio di rilevanza costituzionale. Altro fondamento del divieto è stato, inoltre, riscontrato in via indiretta nel disposto di cui all'art. 1372 c. 3 cod. civ., per cui è inibita alle parti la stipulazione di contratti ad effetti reali oltre i casi previsti dalla legge. Inoltre, i fautori dell'inderogabilità del divieto ritengono che non sia applicabile al diritto d'abitazione la disciplina che consente il trasferimento dell'usufrutto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se non vietato dal titolo costitutivo (art. 980 cod. civ.), mancando in tal caso la compatibilità tra discipline richiesta dall'art. 1026 cod. civ. Nell'usufrutto, infatti, la tutela del nudo proprietario deriva dal fatto che la durata massima del diritto gravante sull'immobile di sua titolarità è ancorata alla durata dell'originario usufrutto su esso costituito. Conseguentemente la cessione del diritto non rischierebbe di produrre una limitazione ulteriore al pieno estendersi delle facoltà proprietarie. Diversamente, in ipotesi di cessione del diritto d'abitazione, la mutevolezza dei bisogni del titolare e della sua famiglia non consente di riprodurre in via pattizia una limitazione del diritto di proprietà che risulti indifferente per il nudo proprietario: la coincidenza dei bisogni del cedente e della sua famiglia con quelli del cessionario e della sua famiglia, infatti, rappresenterebbe un dato verificabile solo a posteriori. La difficoltà di conciliare il patto in deroga al divieto di cessione del diritto d'abitazione con il principio di tipicità dei diritti reali ha condotto parte della dottrina a giustificarne l'ammissibilità ritenendo che esso trasformerebbe il diritto d'abitazione in un altro diritto reale (con conseguente mancata creazione di un diritto reale atipico). In tale ottica, in sede interpretativa potrebbe ritenersi che, con la stipulazione del patto di libera trasferibilità, le parti abbiano inteso in realtà costituire un diritto d'usufrutto, ovvero stipulare un contratto di comodato o di locazione, o che comunque tale diverso diritto esse avrebbero inteso costituire qualora fossero state a conoscenza della nullità del patto (arg. ex art. 1424 cod. civ.). Diversa dall'ipotesi del preventivo patto di cedibilità è quella del trasferimento del diritto con contestuale costituzione in atto di nudo proprietario ed habitator. In tal caso, infatti, il trasferimento potrebbe ottenersi attraverso una rinuncia abdicativa ( la quale deve avere forma scritta art.1350 n.5 e deve essere trascritta ai sensi dell'articolo 2643 n.5) da parte dell'habitator al proprio diritto, con conseguente espansione della nuda proprietà in proprietà piena in virtù del principio di elasticità del dominio. Alla luce di tali premesse, può osservarsi quanto segue. L' intrasferibilità di un diritto reale viene ad incidere anche sulla valutazione del legislatore in ordine all' ipotecabilità del medesimo. La non assoggettabilità ad ipoteca non è conseguenza necessaria dell'inalienabilità, e in diversi casi, pur essendo prevista l'intrasferibilità del diritto, non si esclude che il diritto stesso possa essere ipotecato. Tuttavia, qualora l'intrasferibilità sia connessa, come nel caso dell'abitazione alla natura del diritto, e dunque all'esigenza di preservarne l'identità, che sarebbe invece compromessa dalla circolazione del diritto, le medesime ragioni che valgono ad escluderne l'alienabilità assumono valore determinante anche al fine di escluderne l'assoggettabilità ad ipoteca. E' pacifico l'orientamento secondo il quale il diritto di abitazione, come quello d'uso e il diritto di servitù, non può essere oggetto di ipoteca in quanto non è ricompreso nell'elencazione dell'articolo 2810 del codice civile. L'ipotecabilità di tale diritto non è prevista nemmeno da leggi speciali. Pertanto deve ritenersi che il diritto di abitazione sia inidoneo ad essere oggetto d'ipoteca anche a causa del suo carattere inalienabile. Nel secondo capitolo è stato affrontato il diritto di abitazione spettante al coniuge superstite. La norma di riferimento, l'articolo 540 comma secondo, si trova, com'è noto, nella parte del libro II dedicato ai diritti spettanti ai legittimari e alla loro tutela, e la sua ratio - secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 310 del 26 maggio 1989) va ricercata nella tutela di interessi non patrimoniali quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio. La natura giuridica dei diritti ex articolo 540 comma secondo non solo riveste notevole interesse teorico al fine di testare la "messa a punto" degli ingranaggi del complesso meccanismo successorio, ma costituisce un imprescindibile punto di partenza per affrontare - e provare a risolvere - tutte le implicazioni di carattere pratico ed operativo che si presentano all'operatore del diritto. Il diritto di abitazione si "attiva" solo in presenza di determinati presupposti: 1) viene, innanzitutto, in rilievo un PRESUPPOSTO SOGGETTIVO Deve infatti esistere un CONIUGE SUPERSTITE al momento dell'apertura della successione. Il presupposto soggettivo è rispettato anche se il coniuge superstite sia SEPARATO CONSENSUALMENTE o SENZA ADDEBITO? L'articolo 585 c.c. attribuisce al coniuge separato consensualmente o senza addebito gli stessi diritti successori spettanti al coniuge non separato, per cui dovremmo - sulla base di un'applicazione letterale e rigorosa della norma - affermare che ad esso spetti anche il diritto di abitare la casa familiare. Senonchè, in tal caso, risulta "imbarazzante" parlare di abitazione adibita a "residenza familiare" e la norma non avrebbe ragione di essere applicata, venuta meno la sua ratio così come individuata dalla corte costituzionale. 2) viene, poi, in rilievo, quale PRESUPPOSTO OGGETTIVO indispensabile per l'operatività della disciplina in oggetto, l'esistenza di una CASA ADIBITA A RESIDENZA FAMILIARE DI PROPRIETÀ DEL DEFUNTO O COMUNE. Coerentemenente dovrebbe anche sostenerne la sua TRASCRIVIBILITA' A ciò, tuttavia, si oppongono ragioni di ordine pratico: per l'esecuzione della formalità è necessario uno dei titoli previsti dall'articolo 2648 c.c. che, evidentemente, mancano ogniqualvolta si apra una successione legittima. ; The present work aims the purpose of analyzing certain aspects related to the real right of residence, with special reference to the prohibition of the sale of that right under article 1024 of the Civil Code. This issue is also closely related to other practical aspects, such as ipotecabilità and espropriabilità predicted real right. In particular appeared to be investigated preliminarily certain profiles of general questions about the right to housing, to the extent that they were functional reconstruction attempted to propose. To this end, they dealt with some aspects, such as the legal nature and assumptions subjective and objective, as it was considered preparatory to the continuation of the discussion. In particular, the exclusion of the right of 'house from the list of rights ipotecabili raised several issues in doctrine and in jurisprudence. The inadequacy of that law to be the subject of mortgage registration have to be assessed in the light of their own discipline. The right of residence permit the holder to live in a house, "limited to his needs and his family" (Art. 1022 cod. Civ.). The relationship that develops as a result of the establishment of the right is founded sull'intuitus personae, both in terms of the content of the law and in terms of the relationship dell'habitator with the property owner. The limitation of the right to meet the needs of its owner, in fact, on the one hand implies that his transfer to a third party could changing its content, with possible harm to the owner; the other implies that if the house appears wider than the needs dell'habitator, the owner will enjoy it for the excess: the holder of the real right of residence would not in fact entitled to oppose the interference of the owner, to the extent where this does not harassing the free enjoyment of the other part of the house. Also in this second profile emerges the personality of the report, being relevant to the owner the person of the right holder, with which it could also be having to live. These reasons are the rationale for the prohibition of the sale and lease of the right in question, pursuant to art. 1024 cod. civ. This prohibition is in turn the basis for exclusion of the right of residence (and use) the list of rights ipotecabili art. 2810 cod. civ. The realization of the cause of guarantee, in fact, implies that the situation substantially deducted as an object of the mortgage is alienable, unable to imagine a forced sale of the right of where this can not freely dispose of the holder. Probably this is also linked to the specification laid down by. 2810 n. 1) cod. civ., why are ipotecabili properties "that are on the market." The eligibility enrollment mortgage on the right of residence demands acknowledgment of its portability, so it is necessary to analyze the scope of the prohibition of the sale of such right place art. 1024 cod. civ. As mentioned, in fact, such a ban is placed in order to protect the position of the property owner, and therefore in defense of the interests of private nature: the rule would be applicable where it is otherwise entitled constitutive, while with the agreement owner and habitator could be foreseen a more or less free transferability, thanks to permission from the legal provision is intended to protect. About it has been argued that the prohibition of the sale not only is willing to protect the position of the bare owner, but is part of the content of the law, because the variation of the holder are intended to vary the demands under which the content of that law is equated. In this context, the possibility that it circles, albeit with the consent of the bare owner, would make variable the scope of the right, resulting in violation of the principle of typicality and the quantitative ceiling of the real rights, as would be altered the characteristic features typical of the discipline of the institute. If you consider it acceptable in such observations should therefore be concluded that the prohibition in Article. 1024 cod. civ. is unavoidable even with the consent of the bare owner against concerned. The principle of typicality and the quantitative ceiling of real rights, in fact, is designed to protect the interests of a general nature, and therefore value journalism. This principle, as is known, meets the need to enable third parties to be previously aware of the existence of weights or constraints opposable erga omnes, resulting in protection of the legal trade; also pursues the socio-economic utility to preserve, as far as possible, the freedom, the absoluteness and fullness of landed property, and then rises to the principle of constitutional significance. Another basis for the prohibition was also found indirectly in the provision of art. 1372 c. 3 cod. civ., it is inhibited to the parties entering into contracts with real effects beyond the cases provided by law. Moreover, proponents of the ban dell'inderogabilità believe that it is not applicable to the right of residence discipline that allows the transfer of the usufruct for a time or for its entire duration, if not prohibited by the title of incorporation (art. 980 cod . Civ.), lacking in this case the compatibility between disciplines required by art. 1026 cod. civ. Nell'usufrutto, in fact, the protection of the bare owner comes from the fact that the maximum duration of the right levied on the property in its ownership is anchored to the duration of the original usufruct of it consists. Consequently, the transfer of the right might not produce a further limitation to the full extend of the proprietary right. Otherwise, in the event of transfer of the right to housing, the changing needs of the owner and his family can not play on a covenantal a limitation of the right to property that is indifferent to the bare owner: the coincidence of the needs of the transferor and of his family with the assignee and his family, in fact, represent a verifiable data only in retrospect. The difficulty of reconciling the pact in derogation from the prohibition of the sale of the right of residence to the principle of typicality of property rights has led some commentators to justify their eligibility believing that it would transform the right of residence in another real right ( resulting in failure to create a real right atypical). In this context, in the interpretative could be considered that, with the signing of the pact of free transferability, the parties intended to actually be a right to use, or enter into a contract of loan or lease, or that such a different law they would be understood if they had been aware of the invalidity of the covenant (arg. art. 1424 cod. civ.). Different from the hypothesis of the budget pact transferability is that of the transfer of the right with simultaneous constitution in place of bare owner and habitator. In this case, the transfer could be obtained through a waiver abdicativa (which must be in writing and must be transcribed art.1350 n.5 under Article 2643 # 5) by dell'habitator his right, resulting in expansion of the bare property in full ownership by virtue of the principle of elasticity domain. In light of the foregoing, it can be observed the following. The 'non-transferability of a real right is to affect also the assessment of the legislature in order to' ipotecabilità thereof. The not being subject to mortgage is not necessary consequence inalienability, and in several cases, even though there is the non-transferability of the right, it is possible that the law itself may be mortgaged. However, where the non-transferability is connected, as in the case of the dwelling to the nature of the right, and therefore the need to preserve the identity, which would be affected by the movement of the right, the same reasons as apply to exclude the alienability take decisive value also in order to exclude the liability to mortgage. And 'peaceful orientation according to which the right to housing, such as the right of use and easement, can not be the subject of mortgage as there is included in listing of Article 2810 of the Civil Code. The ipotecabilità of this right is not provided even by special laws. Therefore, it must be held that the right to housing is unfit to be the subject of mortgage also because of its inalienable character. In the second chapter was addressed the right to housing payable to the surviving spouse. The reference standard, Article 540 paragraph two, is, as is well known, in part II of the book devoted to the rights due to the heirs and their protection, and its ratio - according to the Constitutional Court (judgment no. 310 of 26 May 1989) to be found in the protection of non-pecuniary interests such as the conservation of the memory of deceased spouse, maintaining the standard of living, social relations and status symbols enjoyed during the marriage. The legal nature of the rights under Article 540 paragraph two not only of considerable theoretical interest in order to test the "fine tuning" of the gears of the complex mechanism of inheritance, but is an essential starting point to address - and try to solve - all practical and operational implications that are presented to the operator's right. The right to housing is "active" only under certain conditions: 1) is, first, raised a ASSUMPTION SUBJECTIVE Must in fact exist a SURVIVING SPOUSE upon opening of the succession. The subjective condition is fulfilled even if the surviving spouse is a separate agreement or WITHOUT CHARGE? Article 585 of the Civil Code attaches to the separated spouse or consensually without charge the same inheritance rights pertaining to the spouse not separated, so we should - based on a literal application of the standard and rigorous - say that it is also entitled the right to inhabit the family home. Except that, in this case, is "embarrassing" to speak of dwelling used as a "family home" and the norm would have no reason to apply, failed its ratio as identified by the Constitutional Court. 2) is, then, in relief, which ASSUMPTION OBJECTIVE indispensable for the operation of the discipline in question, the existence of a HOUSE USED AS A FAMILY RESIDENCE OR COMMON PROPERTY OF THE DECEASED. Coerentemenente should also sustain its TRASCRIVIBILITA ' To this, however, oppose practical reasons: for the execution of the formalities you need one of the securities provided for in Article 2648 cc who obviously lacking whenever you open a legitimate succession. ; Dottorato di ricerca in Persona, impresa e lavoro: dal diritto interno a quello internazionale (XXVII ciclo)
This thesis focuses on Lombard Southern Italy during the early middle ages and it analyses the history of political and social conflicts between the eighth and ninth century, taking into account the transformation of Lombard political power and social practices in this area. Starting from the eight-century judicial sources, this work explores political and social competition in the Beneventan region by taking into account its geographical position at the center of the Mediterranean see. Southern Italy was considered as a periphery, and sometimes as a frontier, by both the Carolingian and Byzantine empires, and endured almost a century of Muslims' attempts to conquer the peninsula. The first chapter focuses on the ducal period and investigates the formation and consolidation of the duke of Benevento's political authority before 774. During the seventh and eight centuries, the dukes developed a military and political autonomy in Southern Italy. This was due to the geographical position of the Duchy of Benevento in the Lombard Kingdom: it was far from Pavia, the king's capital city, and it was relatively isolated from other Lombard territories. Since a dynasty was established here as early as the seventh century, these dukes developed a strong and precocious political consciousness. As a result, they were particularly concerned with the formal representation of their authority, which is early attested in both coinage and diplomas. In this chapter, the analysis of the eight-century judicial records opens two important perspectives on the duke of Benevento's practices of power. Firstly, judicial assemblies were one of the most important occasions for the duke to demonstrate and exercise his authority in a public context. In contrast to all other Lombard dukes, who rendered judgement together with a group of officers, the duke of Benevento acted alone before the competing parties. By behaving exactly as the Lombard king would in Pavia, the duke was able to utilise the judicial domain as a sort of theatre in which to practice, legitimise and represent his own public authority in front of the local aristocracy. Secondly, the analysis of seven judicial case-studies suggests that the duke was not simply the sole political authority in Benevento but also the leading social agent in the whole Lombard southern Italy. Almost all the disputes transmitted by the twelfth-century cartularies implied a ducal action, donation or decision in the past, which became the main cause for later conflicts between the members of the lay élite and the monastic foundations of the region. Consequently, the analysis of judicial conflicts reveals more about the duke of Benevento's strategies and practices of power than about the lay and ecclesiastical élites' competition for power. Since there are no judicial records between 774 and the last decade of the ninth century, both conflicts and representations of authority in Lombard Southern Italy are analysed through other kinds of sources for this period. Chronicles, hagiographies, diplomas, and material sources are rich in clues about political and social competition in Benevento. By contrast, the late-ninth-century judicial records transmitted by cartularies and archives are quite different from the eighth-century documents: they have a bare and simple structure, which often hides the peculiarities of the single dispute by telling only the essentials of each conflict and a concise final judgement. In contrast to the sources of the ducal period, the ninth- and tenth-century judicial records often convey a flattened image of Lombard society. Their basic structure certainly prevents a focus on the representation of authority and the practices of power in southern Italy. On the contrary, these fields of inquiry are crucial to research both competition within the Beneventan aristocracy during the ninth century, and the relationship between Lombards and Carolingian after 774. After the fall of the Lombard Kingdom in 774, Charlemagne did not complete the military conquest of the Italian peninsula: the Duchy of Benevento was left under the control of Arechis (758-787), who proclaimed himself princeps gentis Langobardorum and continued to rule mostly independently. The confrontation and competition with the Frankish empire are key to understanding both the strengthening of Lombard identity in southern Italy and the formation of a princely political authority. The second account the historiography on the Regnum Italiae, the third section of this chapter focuses precisely on the ambitions of Louis II in Southern Italy and it analyses the implication that the projection of his rulership over this area had in shaping his imperial authority. Despite Louis II's efforts to control the Lombard principalities, his military and political experience soon revealed its limits. After the conquest of Bari in 871, Prince Adelchi imprisoned the emperor in his palace until he obtained a promise: Louis II swore not to return to Benevento anymore. Although the pope soon liberated the emperor from this oath, he never regained a political role in Southern Italy. Nevertheless, his prolonged presence in the region during the ninth century radically changed the political equilibrium of both the Lombard principalities and the Tyrrhenian duchies (i.e. Napoli, Gaeta, Amalfi). The fourth section focuses firstly on the competition between Louis II and Adelchi of Benevento, who obstinately defined his public authority in a direct competition with the Carolingian emperor. At the same time, the competition within the local aristocracy in Benevento radically changed into a small-scale struggle between the members of Adelchi's kingroup, the Radelchids. At the same time, some local officers expanded their power and acted more and more autonomously in their district, such as in Capua. When Louis II left Benevento in 871, both the Tyrrhenian duchies and the Lombard principalities in Southern Italy were profoundly affected by a sudden change in their mutual relations and even in their inner stability. The competition for power and authority in Salerno and Capua-Benevento also changed and two different political systems were gradually established in these principalities. Despite the radical transformation of internal competition and the Byzantine conquest of a large part of Puglia and Basilicata at the end of the ninth century, the Lombard principalities remained independent until the eleventh century, when Southern Italy was finally seized by Norman invaders. // --- // RIASSUNTO: La presente tesi si occupa dell'Italia meridionale longobarda durante l'alto medioevo e analizza la storia dei conflitti politici e sociali tra l'VIII e il IX secolo tenendo in considerazione le trasformazioni del potere politico longobardo e delle pratiche sociali in quest'area. Partendo dalle fonti giudiziarie di secolo VIII, questa tesi esplora dunque la competizione politica e sociale nella regione beneventana senza prescindere dalla sua posizione al centro del Mediterraneo. L'Italia meridionale fu considerata una periferia, talvolta una vera e propria frontiera, sia dall'impero carolingio sia da quello bizantino, e resistette per oltre un secolo ai tentativi musulmani di conquistare la penisola. Il primo capitolo si occupa del periodo ducale e indaga la formazione e il consolidamento dell'autorità politica del duca di Benevento prima del 774. Durante i secoli VII e VIII, i duchi svilupparono un'ampia autonomia militare e politica in Italia meridionale. Ciò era legato alla posizione geografica di Benevento nel quadro del regno longobardo: il ducato era lontano da Pavia, la capitale del re, ed era relativamente isolato dagli altri territori longobardi. I duchi di Benevento svilupparono una forte e precoce coscienza politica, forse anche in conseguenza dello stabilirsi di una dinastia al potere già a partire dal VII secolo. Essi erano conseguentemente particolarmente interessati nella rappresentazione formale della loro autorità pubblica, che è attestata precocemente sia nella monetazione sia nei diplomi. L'analisi dei documenti giudiziari di secolo VIII apre due importanti prospettive di ricerca sulle pratiche del potere nel ducato beneventano. In primo luogo, le assemblee giudiziarie erano per il duca una delle occasioni più importanti per dimostrare e esercitare la sua autorità in un contesto pubblico. Contrariamente agli altri duchi longobardi, che vagliavano le ragioni della disputa ed emettevano un giudizio insieme a un gruppo di ufficiali, quello beneventano agiva da solo di fronte alle parti. Comportandosi allo stesso modo dei sovrani longobardi a Pavia, il duca utilizzava l'ambito giudiziario come una sorta di teatro in cui praticare, legittimare e rappresentare la sua autorità pubblica di fronte all'aristocrazia locale. In secondo luogo, l'analisi di sette casi giudiziari permette di ipotizzare che il duca non fosse solo l'unica autorità politica a Benevento, ma anche il principale agente sociale in tutto il Mezzogiorno longobardo. Tutte le dispute riguardanti il secolo VIII e trasmesse dai cartulari del secolo XII implicano infatti un'azione del duca, una donazione o una decisione nel passato che in seguito diventa causa di conflitto tra i membri dell'élite laica e le fondazioni monastiche della regione. Conseguentemente, l'analisi dei conflitti giudiziari è capace di rivelare molto di più sulle strategie e le pratiche del potere dei duchi di Benevento che sulla competizione per il potere nelle élite laiche ed ecclesiastiche della capitale e del territorio. Poiché non vi sono documenti giudiziari riguardanti il periodo che va dal 774 alla fine del secolo IX, sia la conflittualità sia la rappresentazione dell'autorità pubblica nell'Italia meridionale longobarda sono analizzate per il periodo successivo attraverso altre tipologie di fonti. La cronachistica, i testi agiografici, i diplomi principeschi e le fonti materiali sono infatti ricchissimi di elementi sulla competizione politica e sociale a Benevento. I documenti giudiziari del tardo secolo IX trasmessi dai cartulari e dagli archivi meridionali sono però molto differenti dai documenti di secolo VIII. Essi presentano una struttura semplice e formalizzata, che spesso nasconde le peculiarità della singola disputa esprimendo solo l'essenziale di ciascun conflitto insieme ad un coinciso giudizio finale. Contrariamente alle fonti del periodo ducale, i giudicati dei secoli IX e X offrono spesso solamente un'immagine appiattita della società longobarda. La loro struttura e il loro contenuto formalizzato impediscono pertanto di portare avanti un'indagine della rappresentazione dell'autorità e delle pratiche di potere longobardo in Italia meridionale. Questi temi rimangono invece centrali per una ricerca sulla competizione all'interno dell'aristocrazia beneventana durante la metà del IX secolo e sulla relazione tra Longobardi e Carolingi dopo il 774. 8 Dopo la caduta di re Desiderio nel 774, Carlo Magno non completò la conquista militare della penisola italiana: il ducato di Benevento fu lasciato al controllo di Arechi (758-787), che nello stesso anno si proclamò princeps gentis Langobardorum e continuò a regnare in Italia meridionale pressoché indipendentemente. Il confronto e la competizione con l'impero franco sono una delle chiavi per comprendere sia il rafforzamento dell'identità longobarda in Italia meridionale sia la formazione dell'autorità politica principesca. Il secondo capitolo si concentra precisamente sulla transizione dal ducato al principato di Benevento e sul conflitto con i Carolingi tra il secolo VIII e IX. Da un lato Carlo Magno utilizzò il titolo di rex Langobardorum, implicando con quest'ultimo un'autorità politica che si estendeva sull'intero regno longobardo, quindi anche su Benevento. Dall'altro lato, Arechi present sè stesso come l'erede della tradizione longobarda agendo come un vero e proprio sovrano longobardo, totalmente autonomo, in Italia meridionale. Ciononostante, le relazioni tra il principe di Benevento e il re franco rimasero ambigue fino alla sottomissione formale di Arechi nel 787. Una nuova autorità politica, quella principesca, fu plasmata tra 774 e 787 sia in continuità con la tradizione beneventana di autonomia politica sia in opposizione a quella dei sovrani carolingi. La monetazione e i diplomi insieme con l'attività edilizia ebbero un ruolo di primo piano nel dare forma e affermare questo nuovo tipo di autorità politica in Italia meridionale. La seconda e la terza sezione del capitolo si concentrano specificatamente sul progetto politico di Arechi e di suo figlio, Grimoaldo III (787-806). Le fondazioni monastiche di Santa Sofia di Benevento e San Salvatore in Alife furono al centro della strategia di distinzione messa in atto da Arechia prima e dopo il 774. La storiografia ha già da tempo individuato la somiglianza tra la fondazione regia di San Salvatore di Brescia e quella di Santa Sofia di Benevento. Tuttavia, Santa Sofia è stata identificata non solo come una fondazione familiare ma anche come il "santuario nazionale dei longobardi" in Italia meridionale. Prendendo in considerazione il progetto politico di Arechi e la rappresentazione della sua autorità pubblica, la seconda sezione del secondo capitolo si pone come obiettivo quello di riconsiderare sia la dimensione familiare e politica sia il ruolo religioso di Santa Sofia nel principato di Benevento. La stessa sezione analizza anche la ri-fondazione della città di Salerno, che ebbe un ruolo davvero rilevante nel dare forma all'autorità politica di Arechi. Dopo il 774, Salerno divenne sostanzialmente una capitale alternativa a Benevento, in cui il principe poté rappresentare il suo nuovo ruolo politico in Italia meridionale in una cornice differente. Le ricerche archeologiche relative all'area del palazzo salernitano, del quale è sopravvissuta solamente la chiesa di San Pietro a Corte, hanno rivelato alcune importanti caratteristiche della rappresentazione pubblica a Salerno: l'autorità politica di Arechi intendeva combinare la tradizione longobarda con una dimensione locale e anche con il passato classico. Inoltre, sia Arechi sia Grimoaldo III affidarono a Salerno – e non a Benevento – la propria memoria familiare decidendo di essere seppelliti nella cattedrale di questa città. Una delle più importanti opere cronachistiche del Mezzogiorno longobardo, il Chronicon Salernitanum, pone peraltro in evidenza come la città di Salerno abbia conservato fino al secolo X (e oltre) la memoria della prima dinastia principesca nonché quella della nascita del principato longobardo, integrandola come parte della propria identità cittadina. Tra i secoli VIII e IX, le due abbazie più prestigiose dell'Italia meridionale longobarda – San Benedetto di Montecassino e San Vincenzo al Volturno – si ritrovarono nella zona di frontiera con i territori ora sotto l'autorità carolingia e furono gradualmente influenzate dal nuovo quadro politico. Entrambe le fondazioni incrementarono il loro prestigio durante il periodo di instabilità che seguì la conquista franca del regno longobardo (774-787). A cavallo tra i secoli VIII e IX i monasteri di Montecassino e San Vincenzo agirono in modo ampiamente autonomo, relazionandosi sia con le autorità politiche carolingie sia con la società e le autorità longobarde. In alcuni casi ciò portò a delle tensioni e a dei conflitti aperti all'interno delle comunità monastiche, come nel caso dell'indagine a carico dell'abate Poto di San Vincenzo al Volturno. L'ultima sezione del secondo capitolo si concentra su queste due comunità monastiche e su come si rivolsero alla protezione carolingia come una delle possibilità per attraversare questo periodo di incertezza politica mantenendo un ruolo prestigioso e rilevante. La relazione con i sovrani carolingi coesistette comunque sempre con il legame con la società longobarda, che rimase una parte essenziale nella vita e nella memoria dell'abbazia. Fu però solo alla fine del secolo VIII che queste fondazioni iniziarono a ricevere un numero di donazioni davvero ragguardevole da parte 9 longobarda. Dal canto loro i sovrani franchi cercarono di diventare il punto di riferimento politico per quest'area di frontiera conferendo diplomi di conferma e immunità a entrambe le abbazie, diplomi che in Italia meridionale avevano però un ruolo prevalentemente performativo: essi creavano, rappresentavano e memorializzavano l'autorità pubblica e il prestigio di coloro che emettevano questi documenti e di coloro che li ricevevano. La relazione instaurata da Carlo Magno e dai suoi successori con questi monasteri ebbe però conseguenze sul lungo termine sull'immagine che le comunità intesero dare di sé, che gradualmente si spostò dal passato longobardo al prestigio dei sovrani carolingi, quindi dell'impero. Dopo la morte di Arechi nel 787, gli ambasciatori longobardi richiesero il ritorno a Benevento di suo figlio, Grimoaldo, che era tenuto in ostaggio alla corte carolingia. Carlo Magno impose però due condizioni a questo proposito: i Longobardi meridionali dovevano tagliarsi barba e capelli ovvero liberarsi dei loro tratti identitari, e includere il nome del re franco nella monetazione e nella datazione dei diplomi. Grimoaldo III mise in atto quest'ultima richiesta, ma dopo un breve lasso di tempo iniziò a comportarsi come un sovrano indipendente. Le campagne militari condotte dal Pipino, figlio di Carlo Magno e re d'Italia, non riuscirono a portare il principato di Benevento sotto l'autorità franca e l'interesse dei Carolingi verso l'area scemò, perlomeno temporaneamente. L'Italia meridionale poté dunque rafforzare la propria identità longobarda e portare avanti politiche autonome. Il terzo capitolo si concentra sulla competizione politica all'interno dell'aristocrazia beneventana durante la prima metà del secolo IX. Dopo l'accordo con i Carolingi dell'812, l'élite locale rafforzò la propria posizione nella capitale espandendo la propria influenza sul palatium del principe. probabilmente, i membri dell'aristocrazia beneventana non intesero mai ottenere il titolo principesco per sé, almeno non in questo periodo. Essi preferirono cercare di influenzare le scelte del principe così da ottenere uffici pubblici e rendite, che avevano l'obiettivo di confermare lo status sociale dei membri dell'élite, di mantenere e di espandere il loro potere nel cuore del principato. La prima sezione si occupa del principato di Grimoaldo IV (806-817) e sottolinea la debolezza dell'autorità pubblica di quest'ultima a fronte delle pressioni e delle ambizioni dell'aristocrazia locale. Una congiura pose fine al suo regno nell'817, ma la competizione all'interno dell'élite beneventana continuò anche durante i principati di Sicone (817-832) e Sicardo (832-839), diventando peraltro più violenta. La seconda sezione di questo capitolo ha l'obiettivo di identificare le strategie familiari e la rete di relazioni attivata da questi due principi allo scopo di rafforzare il loro potere politico su Benevento e di bilanciare le aspirazioni delle aristocrazie locali. Il legame familiare di Sicardo con uno dei più importanti gruppi parentali di Benevento, quello dei Dauferidi, creò indubbiamente un'asimmetria significativa nell'arena politica dell'Italia meridionale longobarda. il suo matrimonio con Adelchisa fu cruciale nello stabilizzare il suo potere e anche nel legittimare la sua autorità nella capitale. Il sistema di alleanze di Sicardo cambiò però radicalmente le modalità della competizione politica locale: esso impediva a tutti i membri dell'aristocrazia beneventana che non facessero parte del network familiare principesco di accedere al potere. In tal senso, le alleanze ricercate da Sicardo furono direttamente responsabili della successiva guerra civile (839-849). Non fu comunque solo la lotta di fazioni longobarda a portare alla divisione del principato di Benevento nell'849, ma anche un rinnovato interesse dei Carolingi per il Mezzogiorno, che è al centro del quarto e ultimo capitolo della tesi. La terza sezione del terzo capitolo analizza la rappresentazione dell'autorità pubblica dei Siconidi e si interessa in particolare delle strategie di distinzione messe in atto da questi due principi nella città capitale. Contrariamente alla precedente dinastia di duchi e principi, Sicone e Sicardo costruirono una relazione privilegiata con la cattedrale di Santa Maria in Episcopio, che precedentemente aveva invece un ruolo politico limitatissimo a Benevento e anche religioso. Entrambi questi principi traslarono nella cattedrale tutte le reliquie che sottrassero a Napoli e ad Amalfi durante le loro campagne militari. Inoltre, Siconde decise di essere inumato in questa chiesa, che ospitò anche le sepolture dei principi successivi fino alla fine del secolo IX. I furta sacra compiuti dai Siconidi e la relazione stabilita con Santa Maria in Episcopio produsse una trasformazione devozionale nella capitale. Conseguentemente, anche il ruolo della fondazione arechiana, Santa Sofia di Benevento, cambiò tanto che questo monastero femminile perse parte della sua funzione sociale e religiosa a Benevento. Al contrario, la cattedrale accrebbe in potere e ambizioni, iniziando a presentarsi in associazione con il potere pubblico beneventano. Un testo 10 agiografico composto nella prima metà del IX secolo, la Vita Barbati episcopi Beneventani, sembra voler esprimere e affermare precisamente questo nuovo ruolo sociale e religioso del vescovo nell'Italia meridionale longobarda. L'ultima sezione del capitolo esamina brevemente l'ascesa di Landolfo di Capua e dei suoi discendenti secondo quanto già messo in evidenza dalla recente storiografia. Landolfo approfittò della debolezza principesca e della competitività propria di Benevento per costruire un potere locale autonomo nella circoscrizione da esso amministrata. Il quarto e ultimo capitolo completa l'esame della competizione politica beneventana analizzando nel dettaglio le dinamiche del conflitto di fazioni longobardo. La prima sezione presenta il contesto politico che l'imperatore Ludovico II dovette affrontare la prima volta che scese in Italia meridionale mentre il secondo si concentra sul progetto di conquista portato avanti durante il secolo IX nella penisola italiana da gruppi di guerrieri musulmani. Dopo il sacco di Roma dell'842, Ludovico II diresse cinque campagne in Italia meridionale per eliminare l'emirato di Bari e prevenire nuovi attacchi da parte musulmana via mare. Supportato dal papa e dall'aristocrazia romana, l'imperatore carolingio costruì la sua nuova autorità imperiale sul ruolo di protettore della Cristianità contro i musulmani. Le campagne militari di Ludovico II furono però connesse anche alle sue ambizioni politiche in Italia meridionale. Dopo essere intervenuto nella guerra civile longobarda e aver stabilito la divisione del principato di Benevento nell'849, egli volle esercitare un controllo maggiore su entrambi i principati longobardi imponendo la propria autorità politica attraverso la sua presenza fisica nel Mezzogiorno. Partendo da quanto già messo in evidenza dalla storiografia per quanto riguarda il Regnum Italiae, la terza sezione del capitolo prende in considerazione precisamente le ambizioni di Ludovico II in Italia meridionale e analizza le implicazioni che esse ebbero nella costruzione ideologica sottesa alla sua autorità imperiale. Nonostante gli sforzi di Ludovico II per controllare i principati longobardi, l'esperienza militare e politica del sovrano franco rivelò ben presto i propri limiti. Dopo la conquista di Bari nell'871, il principe Adelchi di Benevento imprigionò l'imperatore nel suo palazzo fino a che non ottenne da parte di quest'ultimo la promessa di non ritornare mai più a Benevento. Nonostante il papa liberò ben presto Ludovico II dal suo giuramento, quest'ultimo non riuscì più ad aver un ruolo politico rilevante nel Mezzogiorno. La sua prolungata presenza in questa regione durante il secolo IX cambiò radicalmente gli equilibri politici che governavano sia i principati longobardi sia i ducati tirrenici (Napoli, Gaeta, Amalfi). La quarta sezione si occupa in primo luogo del conflitto tra Ludovico II e Adelchi di Benevento, che cercò ostinatamente di definire la sua autorità pubblica in questa competizione con l'imperatore carolingio. Allo stesso tempo, la competizione interna all'aristocrazia beneventana cambiò radicalmente, approdando a un dissidio di piccola scala tra i membri del gruppo parentale di Adelchi, i Radelchidi. In questo stesso periodo alcuni ufficiali locali espansero il loro potere agendo in modo sempre più autonomo nel loro distretto, così come era già successo a Capua. Quando Ludovico II lasciò Benevento nell'871, sia i ducati tirrenici sia i principati longobardi in Italia meridionale subirono le conseguenze dell'uscita di scena dell'imperatore, sia per quanto riguarda le loro relazioni reciproche sia per la loro stabilità interna. La competizione per il potere e l'autorità a Salerno e Capua-Benevento cambiò a sua volta e due differenti sistemi politici furono gradualmente stabiliti in questi principati. nonostante la trasformazione radicale della competizione interna e la conquista bizantina di una larga parte di Puglia e Basilicata alla fine del secolo IX, i principati longobardi rimasero indipendenti fino al secolo XI, quando l'Italia meridionale fu infine conquistata dai Normanni.
The analysis of articles and normative documents for quality control and regional origin of wines was carried out. Chemical composition of the grapes and the wine has been considered, qualitative and quantitative changes during vinification, maturation and aging of wine were shown. The basic group of compounds contents and ratios which determine the qualitative characteristics of wines, as well as have an important role in the formation of aroma and taste of the drink was found. The prerequisites for the development of the market of counterfeit products and wine falsification methods were discussed. The analysis of scientific literature and regulatory framework governing the quality of the wines on the territory of Russia and the European Union and the existing approaches to determine their authenticity was conducted, the advantages and disadvantages are shown. The examples of using different criteria for the establishment of natural and adulterated wines have been discussed, as well as their approaches to identify and create a comprehensive system of wine production quality evaluation using methods of physicochemical analysis. The main methodological approaches to establish a wine regional origin, combining the capabilities of modern methods of analysis, mathematical modeling and statistics are analyzed, examples of their use in practice are shown.Keywords: wine, methods of analysis, quality, authenticity, regional origin, falsification, mathematical modeling (Russian)DOI: http://dx.doi.org/10.15826/analitika.2014.18.4.001 Yu.F. Yakuba1, A.A. Kaunova2, Z.A. Temerdashev2, V.O. Titarenko2, A.A. Halafjan2 1North Caucasian Regional Research Institute of Horticulture and Viticulture of the Russian Academy of Agricultural Sciences, Krasnodar, Russian Federation2 Kuban State University, Krasnodar, Russian FederationREFERENCES1. 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Установлены основные группы соединений, содержания и соотношения которых определяют качественные характеристики вин, а также играют важную роль в формировании аромата и вкуса напитка. Обсуждены предпосылки развития рынка поддельной продукции и способы фальсификации вин. Проведен анализ научной литературы и нормативной базы, регламентирующей качество вин на территории России и стран Европейского союза, существующих подходов к определению их подлинности, указаны достоинства и недостатки. Обсуждены примеры использования различных критериев для установления натуральных и фальсифицированных вин, а также подходов их комплексной идентификации и создания системы оценки качества винодельческой продукции с помощью методов физико-химического анализа. Проанализированы основные методические подходы к установлению региональной принадлежности вин, сочетающие возможности современных методов анализа, математического моделирования и статистики, продемонстрированы примеры их использования на практике.Ключевые слова: вина, методы анализа, качество, подлинность, региональная принадлежность, фальсификация, математическое моделированиеDOI: http://dx.doi.org/10.15826/analitika.2014.18.4.001