Le celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia offrono anche l'occasione per interrogarsi sulla storia e lo sviluppo di questo Paese, in particolare in riferimento alla cultura del mare e al sistema dei trasporti via acqua. In un paese peninsulare come l'Italia, con i suoi 7.500 chilometri di fronte d'acqua, la presenza dei porti è sempre stata elemento determinante per la crescita economica e per la sua affermazione sui mercati internazionali. Ma, dalla seconda metà del Novecento, le città e i loro porti sono andati progressivamente separandosi, determinando situazioni di forti contrasti e di continue tensioni. Solo più recentemente – a seguito della legge n. 84 del 1994 – nuove forme di 'dialogo' hanno consentito, in talune occasioni, di riavviare politiche di concertazione sui piani di sviluppo delle aree portuali e sul miglioramento della situazione delle zone urbane prossime ai porti. Per tutti questi motivi, l'occasione del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia può rappresentare un momento significativo per riprendere la riflessione sul ruolo dei porti italiani nella storia del nostro paese, ed, eventualmente, sul potenziale rafforzamento che essi possono subire, alla luce dei dati positivi ed incoraggianti dell'intero cluster marittimo in questi ultimi anni, almeno fino alla crisi congiunturale del 2008.Al tempo stesso, si può analizzare la complessa relazione porto-città, in un'ottica di mutuo riconoscimento delle rispettive esigenze e della volontà di sviluppare le proprie attività in un quadro di concreto ed efficace spirito di collaborazione, che richiede sia una maggiore conoscenza reciproca, così come una più efficace definizione degli obiettivi per il raggiungimento di una qualità urbana sostenibile e duratura.La progressiva globalizzazione dell'economia e la liberalizzazione del mercato hanno determinato una generale crescita degli scambi commerciali a livello mondiale e in particolare il bacino del Mediterraneo è diventato un centro di flussi di traffico Est-Ovest e Nord-Sud. L'Italia, posta al centro del bacino del Mediterraneo, è tornata ad essere oggi il crocevia delle più importanti direttrici di collegamento mondiale di merci e passeggeri, vivendo una stagione di intensa crescita nei traffici marittimi. Ad eccezione per quei porti caratterizzati da una forte presenza del segmento crocieristico che ha registrato livelli di crescita interessanti, la crisi congiunturale e globale del 2008 ha avuto effetti molto pesanti anche in questo settore (traffico merci su mezzi pesanti e traffico container). Si pagano alcune lacune storiche della portualità del Mediterraneo, e di quella adriatica in particolare, quali la mancanza di collegamenti terrestri via ferrovia da e per i porti, anche se le Autorità Portuali stanno cercando di colmare il ritardo sia dal punto di vista infrastrutturale che di sostenibilità ambientale, attraverso politiche di condivisione e convivenza tra il porto e il territorio circostante e in una rinnovata e diffusa 'cultura del mare' e del ruolo attivo e 'creativo' dei porti. Solo attraverso un approccio culturale e una reciproca educazione potrà emergere una nuova percezione del porto in città e della città nel porto. In realtà, esistono già segnali incoraggianti di una recente appropriazione – o ri-appropriazione – del porto in chiave positiva e di un recupero della cultura del mare in alcune città portuali italiane. Attraverso un processo lento e complesso, articolato in eventi diversi, sta maturando un nuovo 'sentire' nei confronti dei porti, visti in chiave di risorsa e di parte integrante di una città, purché essi rispettino alcune regole necessarie per una vita urbana sostenibile. ; The celebrations for the 150th anniversary of the Unification of Italy also offer the opportunity to question the history and development of this country, particularly in reference to the maritime culture and the system of water transport. In a peninsular country like Italy, with its 7,500 km of waterfront, the presence of ports has always been crucial to economic growth and its success in international markets. But the second half of the twentieth century, cities and their ports have been gradually separated, resulting in situation of conflict and ongoing tensions. Only recently – following the Law 84, 1994 - new forms of 'dialogue' have allowed, on certain occasions, to restart political consultation on the development plans of the port areas and on improving the situation of urban areas close to ports. For all these reasons, the occasion of the 150th anniversary of the Unification of Italy can be a significant moment to resume the debate on the role of Italian ports in the history of our country, and possibly increase the potential that they may have, according to the positive and encouraging data of the entire maritime cluster in recent years, at least until the economic crisis of 2008. At the same time, the complex relationship port-city can be analyzed, with a view to mutual recognition of their needs and to the development of their activities in a framework of practical and effective, cooperative spirit, which requires both a greater mutual understanding as well as a more effective targeting to achieve a lasting and sustainable urban quality. The gradual economic globalization and market liberalization have led to a general increase in trade globally and in particular the Mediterranean has become a centre of traffic flows East-West and North-South. Italy, located in the middle of the Mediterranean basin, is now once again become the crossroads of the most important lines of goods and passengers connected world, experiencing a period of intense growth in maritime trade. Except for those ports with a strong presence of the cruise segment, which recorded growth rates of interest, the global economic crisis of 2008 has had very heavy in this sector (freight traffic to trucks and containers). This is also due to some historical gaps of the Mediterranean ports, such as the lack of rail connections to and from the ports, although Port Authorities are trying to bridge the gap both in terms of infrastructural interventions and environmental sustainability, through policies of sharing and coexistence between the port and the surrounding area and through a renewed and widespread 'culture of the sea'. Since only through a cultural approach and mutual education will emerge a new perception of the port in the city and the city in the port. In fact, there are already encouraging signs of a recent appropriation of the port in a positive light and of a recovery of marine culture in several Italian port cities. Through a slow and complex process, articulated through different events, is gaining a new 'feeling' in relation to ports, seen in the key of a resource and as an integral part of a city, provided they respect certain rules necessary for sustainable urban living.
Le celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia offrono anche l'occasione per interrogarsi sulla storia e lo sviluppo di questo Paese, in particolare in riferimento alla cultura del mare e al sistema dei trasporti via acqua. In un paese peninsulare come l'Italia, con i suoi 7.500 chilometri di fronte d'acqua, la presenza dei porti è sempre stata elemento determinante per la crescita economica e per la sua affermazione sui mercati internazionali. Ma, dalla seconda metà del Novecento, le città e i loro porti sono andati progressivamente separandosi, determinando situazioni di forti contrasti e di continue tensioni. Solo più recentemente – a seguito della legge n. 84 del 1994 – nuove forme di 'dialogo' hanno consentito, in talune occasioni, di riavviare politiche di concertazione sui piani di sviluppo delle aree portuali e sul miglioramento della situazione delle zone urbane prossime ai porti. Per tutti questi motivi, l'occasione del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia può rappresentare un momento significativo per riprendere la riflessione sul ruolo dei porti italiani nella storia del nostro paese, ed, eventualmente, sul potenziale rafforzamento che essi possono subire, alla luce dei dati positivi ed incoraggianti dell'intero cluster marittimo in questi ultimi anni, almeno fino alla crisi congiunturale del 2008.Al tempo stesso, si può analizzare la complessa relazione porto-città, in un'ottica di mutuo riconoscimento delle rispettive esigenze e della volontà di sviluppare le proprie attività in un quadro di concreto ed efficace spirito di collaborazione, che richiede sia una maggiore conoscenza reciproca, così come una più efficace definizione degli obiettivi per il raggiungimento di una qualità urbana sostenibile e duratura.La progressiva globalizzazione dell'economia e la liberalizzazione del mercato hanno determinato una generale crescita degli scambi commerciali a livello mondiale e in particolare il bacino del Mediterraneo è diventato un centro di flussi di traffico Est-Ovest e Nord-Sud. L'Italia, posta al centro del bacino del Mediterraneo, è tornata ad essere oggi il crocevia delle più importanti direttrici di collegamento mondiale di merci e passeggeri, vivendo una stagione di intensa crescita nei traffici marittimi. Ad eccezione per quei porti caratterizzati da una forte presenza del segmento crocieristico che ha registrato livelli di crescita interessanti, la crisi congiunturale e globale del 2008 ha avuto effetti molto pesanti anche in questo settore (traffico merci su mezzi pesanti e traffico container). Si pagano alcune lacune storiche della portualità del Mediterraneo, e di quella adriatica in particolare, quali la mancanza di collegamenti terrestri via ferrovia da e per i porti, anche se le Autorità Portuali stanno cercando di colmare il ritardo sia dal punto di vista infrastrutturale che di sostenibilità ambientale, attraverso politiche di condivisione e convivenza tra il porto e il territorio circostante e in una rinnovata e diffusa 'cultura del mare' e del ruolo attivo e 'creativo' dei porti. Solo attraverso un approccio culturale e una reciproca educazione potrà emergere una nuova percezione del porto in città e della città nel porto. In realtà, esistono già segnali incoraggianti di una recente appropriazione – o ri-appropriazione – del porto in chiave positiva e di un recupero della cultura del mare in alcune città portuali italiane. Attraverso un processo lento e complesso, articolato in eventi diversi, sta maturando un nuovo 'sentire' nei confronti dei porti, visti in chiave di risorsa e di parte integrante di una città, purché essi rispettino alcune regole necessarie per una vita urbana sostenibile. ; The celebrations for the 150th anniversary of the Unification of Italy also offer the opportunity to question the history and development of this country, particularly in reference to the maritime culture and the system of water transport. In a peninsular country like Italy, with its 7,500 km of waterfront, the presence of ports has always been crucial to economic growth and its success in international markets. But the second half of the twentieth century, cities and their ports have been gradually separated, resulting in situation of conflict and ongoing tensions. Only recently – following the Law 84, 1994 - new forms of 'dialogue' have allowed, on certain occasions, to restart political consultation on the development plans of the port areas and on improving the situation of urban areas close to ports. For all these reasons, the occasion of the 150th anniversary of the Unification of Italy can be a significant moment to resume the debate on the role of Italian ports in the history of our country, and possibly increase the potential that they may have, according to the positive and encouraging data of the entire maritime cluster in recent years, at least until the economic crisis of 2008. At the same time, the complex relationship port-city can be analyzed, with a view to mutual recognition of their needs and to the development of their activities in a framework of practical and effective, cooperative spirit, which requires both a greater mutual understanding as well as a more effective targeting to achieve a lasting and sustainable urban quality. The gradual economic globalization and market liberalization have led to a general increase in trade globally and in particular the Mediterranean has become a centre of traffic flows East-West and North-South. Italy, located in the middle of the Mediterranean basin, is now once again become the crossroads of the most important lines of goods and passengers connected world, experiencing a period of intense growth in maritime trade. Except for those ports with a strong presence of the cruise segment, which recorded growth rates of interest, the global economic crisis of 2008 has had very heavy in this sector (freight traffic to trucks and containers). This is also due to some historical gaps of the Mediterranean ports, such as the lack of rail connections to and from the ports, although Port Authorities are trying to bridge the gap both in terms of infrastructural interventions and environmental sustainability, through policies of sharing and coexistence between the port and the surrounding area and through a renewed and widespread 'culture of the sea'. Since only through a cultural approach and mutual education will emerge a new perception of the port in the city and the city in the port. In fact, there are already encouraging signs of a recent appropriation of the port in a positive light and of a recovery of marine culture in several Italian port cities. Through a slow and complex process, articulated through different events, is gaining a new 'feeling' in relation to ports, seen in the key of a resource and as an integral part of a city, provided they respect certain rules necessary for sustainable urban living.
Dottorato di ricerca in Diritto dei contratti pubblici e privati ; La Comunità europea ha cominciato ad interessarsi degli appalti nel 1971, con la prima direttiva sui lavori pubblici, proprio a causa del notevole impatto che questi avevano sul mercato unico. Inizialmente, l'attenzione del legislatore comunitario era volta, in particolare, ad introdurre in questo settore alcuni principi generali, quali quelli di libera concorrenza, non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza. La ragion d'essere della politica degli appalti era, infatti, quella di creare a livello europeo le condizioni di concorrenza necessarie affinché i contratti pubblici fossero attribuiti in modo non discriminatorio e il denaro pubblico fosse utilizzato razionalmente attraverso la scelta della migliore offerta presentata. A tale scopo, tutte le direttive comunitarie, che si sono succedute dal 1971 in poi, si sono preoccupate esclusivamente di dettare precise regole per quanto riguarda: la definizione dell'oggetto dell'appalto, la selezione dei candidati e, in particolare, l'aggiudicazione del contratto sulla base di criteri esclusivamente economici, obiettivi e facilmente misurabili. Per molti anni, dunque, la normativa comunitaria non ha previsto alcun riferimento alla possibilità di integrare considerazioni di natura non economica nel settore degli appalti pubblici, limitandosi alla trattazione degli aspetti tradizionalmente più attinenti agli obiettivi del mercato interno. Negli ultimi anni, tuttavia, con l'affermarsi a livello internazionale del concetto di "sviluppo sostenibile", le istituzioni comunitarie hanno gradualmente iniziato a prendere in considerazione le istanze etiche ed ambientali, integrandole con le altre politiche comuni. È da questo fenomeno di integrazione che si è sviluppata, anche a livello europeo, la pratica del Sustainable Public Procurement (SPP), ovvero la possibilità di introdurre criteri sostenibili, quali appunto le valutazioni etico-sociali ed ambientali, in una delle 4 politiche comunitarie più importanti tra quelle relative al mercato interno, ovvero quella in materia di appalti pubblici. In questa sede interessa, appunto, esaminare le origini e gli sviluppi degli "Acquisti pubblici sostenibili" nel contesto dell'Unione europea. In particolare, lo studio si propone di rispondere ai seguenti interrogativi: quali conseguenze ha comportato l'introduzione di considerazioni di secondary policies nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinate dal diritto comunitario?; Fino a che punto e in che modo le istituzioni dell'Unione sono riuscite a conciliare la tutela dell'ambiente e la politica sociale con i principi generali di libera concorrenza, trasparenza, imparzialità e non discriminazione, da sempre posti alla base della politica comune degli appalti pubblici? A tale fine, in primo luogo, si analizzerà, attraverso lo studio delle comunicazioni della Commissione, della giurisprudenza della Corte di giustizia e degli interventi normativi del legislatore comunitario, il dibattito istituzionale che si è sviluppato nell'Unione europea in merito alla possibilità di integrare considerazioni di natura ecologica e sociale nella disciplina degli appalti pubblici. In terzo luogo, dopo aver effettuato una panoramica generale delle esperienze di Sustainable Public Procurement attuate a livello internazionale, nazionale e locale, si esamineranno le origini, i contenuti ed i benefici degli "Acquisti pubblici sostenibili", così come recentemente sottolineati anche dalla Commissione europea. Infine, un'ultima riflessione sarà dedicata al modo con il quale la Comunità europea ed i suoi Stati membri, in quanto parti del Government Procurement Agreement (GPA), potranno continuare ad integrare considerazioni ambientali e sociali nella disciplina degli appalti pubblici senza porsi in contrasto con le finalità strettamente commerciali ed economiche perseguite dalla World Trade Organization (WTO). ; The interest of the European community towards pubic procurements started in 1971 with the directive on public works, due to their serious impact on the unique market. At first, the attention of the community legislator was focused, in particular, on the implementation in such sector of a number of general principles such as free competition, non- discrimination, transparency and fair and equitable treatment. The reason of the procurement policy was the creation at the European level of a number of competitive conditions in order to award public contracts without discrimination and to use public assets rationally through the choice of the best bid. For such a purpose, all the European directives issued since 1971 have only provided particular rules on the definition of the subject matter of procurements, the selection procedures of bidders and , in particular, the award of the contract on the basis of economic, objective and easy-to-measure criteria. For many years, then, European legislation has not provided any reference to the possibility of introducing elements of non-economic nature in the sector of public procurements, limiting the analysis to the aspects traditionally connected to the objectives of the internal market. Anyhow, during the last years, as the concept of " sustainable development" was becoming popular, the community institutions have gradually started to consider the ethical and environmental issues, combining them with the other common policies. From such combination has derived, also at the European level, the policy named Sustainable Public Procurement (SPP), that is the possibility to implement sustainable criteria such as ethical, social and environmental evaluations in one of the main community policies among those of the internal market: this is the public procurements policy. We hereby analyze the origins and development of the "Sustainable Public Procurement" within the European Union. 6 The study aims to responding to the following questions: what are the consequences of the implementation of some issues belonging to secondary policies in the public procurements regulated by European law? To which extent and how the EU institutions have succeeded in the combination of environment protection and social policy to the general principles of free competition, transparency, non discrimination that have always been at the grounds of the common policy of public procurements? Through the communications of the Commission, the cases of the Court of Justice and the European provisions, we will firstly examine the institutional debate held at the community level regarding the possibility to implement environmental and social issues in the public procurements legislation. Secondly, after having summarized the Sustainable Public Procurement experience carried out at the international, domestic and local level, we will analyze the origins, the contents and the benefits of the "Sustainable Public procurements" as recently outlined by the European Commission. At the end, we will describe how the European Community and its Member States, as parties in the Government Procurement Agreement (GPA), will be constantly implementing social and environmental issues in the legislation of public procurements avoiding any conflict with the economic and trading goals pursued by the World Trade Organization (WTO).
La tesi affronta la ricostruzione critica del Diario di Prigionia scritto da Siro Terreni nel periodo 8 settembre 1943- 8 settembre 1945 durante la sua permanenza a Berlino come Internato Militare Italiano e la sua attività di memorialistica nel campo della didattica per le scuole del circondario Empolese Valdelsa dal 1997 al 2012. Precede l'analisi del diario una parte di ricerca bibliografica sul contesto di guerra italiano alla data dell'8 settembre 1943 ponendo ampio risalto sulle scelte condotte dalla classe dirigente e come queste impattarono sul destino dei reparti dell'esercito che in quel momento si trovavano dislocati sui vari fronti di guerra. L'8 settembre 1943 è raccontato come visto da entrambe le parti, l'Italia che dovette operare delle scelte per ottenere una pace separata con gli Alleati anglo-americani e la Wehrmacht che in vista dell'uscita dell'Italia dalla loro alleanza dovette compiere delle scelte e occupare il territorio italiano. la storia dei cosiddetti I.M.I. Internati Militari Italiani cominciano qui, prima sottoposti alla Convenzione di Ginevra e trattati come nuovi di guerra, successivamente etichettati con una qualifica che arginava la legislazione internazionale e metteva il destino di questi uomini nelle mani degli ex alleati tedeschi. Un capitolo è infatti interamente dedicato, cercando di tracciare delle linee guida per comprendere la storia degli I.M.I. per tematiche, dalla cattura, alla richiesta di collaborazione con la Wehrmacht, all'arrivo nei lager, il lavoro coatto, fino al ritorno a casa. l'utilizzo delle memorie per ricostruire l'impatto che ebbe su di loro il sistema concentrazionario nazista è stata di fondamentale importanza, senza di queste non sarebbe possibile oggi ricostruirne le vicende. Successivamente si restringe il campo sulla Toscana, trattando il tema dell'occupazione nazifascista del territorio e la nascita della Resistenza, armata e civile, analizzando ogni capoluogo di provincia e le relative formazioni e avendo cura di riservare parte della narrazione agli eventi di violenza che si verificarono durante il passaggio del fronte dalla Linea Gustav alla Linea Gotica e che hanno portato alla messa in pratica della violenza sommaria. Viene trattato anche il contesto di guerra che si viene a creare a Empoli, città natale di Siro Terreni, la nascita della resistenza e l'importanza che la città di Empoli assunse per la costituzione di una coscienza sociale improntata sulla Resistenza e l'Antifascismo tutt 'oggi presente e che ha fornito terreno fertile per una particolare attenzione e dedizione per la memoria e la storia. Siro Terreni è stato tra coloro che sono riusciti a tornare a casa dopo la fine della guerra e non ha mai smesso di raccontare quelle vicende che lo hanno accompagnato tutta la vita. La tesi tutto il suo percorso attraversato per cercare di la presenza di quest'uomo che appare psicologia costantemente impegnato in una lotta interiore ed esteriore con la memoria, testimonianza di quanto l'internamento la guerra ha segnato nel profondo, arrivando a dettare ogni sua azione. Negli anni Novanta poi, quando torna in auge l'Era del Testimone, Siro la incarna perfettamente e inizia un percorso didattico con i ragazzi delle scuole empolesi e del circondario. Si reca da loro per raccontagli le sue esperienze vissute nella sua città e quelle dell'internamento. Dal tema della prigionia, agli antichi mestieri, ai giochi della sua infanzia, all'alluvione del sessantasei. Il suo lavoro solleva nuovamente l'eterno conflitto tra storia e memoria che affligge la ricerca storica e la porta a domandarsi fino a che punto le memorie potrebbero essere ritenute valide. E quando queste persone non saranno più in vita per raccontare a chi spetterà il dovere di divulgarle? questa tesi propone una soluzione alternativa per l'imminente ingresso nella Post-memoria, lo sguardo vicino al parente come portatore di una tradizione storica antropologica fondamentale per il futuro che con consapevolezza può portare alla storia un nuovo punto di vista che fino a questo momento non c'era mai stato. The thesis deals with the critical reconstruction of the Diary of Prison written by Siro Terreni in the period 8 September 1943 - 8 September 1945 during his stay in Berlin as an Italian Military Internship and his memorial activities in the field of teaching for the schools of the Empolese Valdelsa district. from 1997 to 2012. The analysis of the diary is preceded by a part of bibliographic research on the Italian war context on the date of 8 September 1943, placing ample emphasis on the choices made by the ruling class and how these impacted on the fate of the army units that were located at that time. on the various war fronts. On 8 September 1943 it is told as seen by both sides, Italy which had to make choices to obtain a separate peace with the Anglo-American Allies and the Wehrmacht which, in view of Italy's exit from their alliance, had to make of choices and occupy the Italian territory. the history of the so-called I.M.I. Italian military internees begin here, first subjected to the Geneva Convention and treated as new to war, subsequently labeled with a qualification that stemmed international law and placed the fate of these men in the hands of former German allies. A chapter is in fact entirely dedicated, trying to draw guidelines for understanding the history of the I.M.I. for themes, from capture, to the request for collaboration with the Wehrmacht, to the arrival in the concentration camps, forced labor, up to the return home. the use of memories to reconstruct the impact that the Nazi concentration system had on them was of fundamental importance, without them it would not be possible today to reconstruct the events. Subsequently the field on Tuscany is narrowed, dealing with the theme of the Nazi-Fascist occupation of the territory and the birth of the Resistance, armed and civil, analyzing each provincial capital and its related formations and taking care to reserve part of the narration for the events of violence that occur. occurred during the passage of the front from the Gustav Line to the Gothic Line and which led to the practice of summary violence. It also deals with the context of war that is created in Empoli, the birthplace of Siro Terreni, the birth of the resistance and the importance that the city of Empoli assumed for the constitution of a social conscience based on Resistance and Anti-Fascism. present today and which has provided fertile ground for a particular attention and dedication to memory and history. Siro Terreni was among those who managed to return home after the end of the war and he never stopped recounting those events that have accompanied him throughout his life. The thesis has crossed all its path to try to find the presence of this man who appears to be psychology constantly engaged in an internal and external struggle with memory, testimony of how much internment the war has deeply marked, coming to dictate every action of he. Then in the nineties, when the Age of the Witness returns, Siro embodies it perfectly and begins an educational path with the students of the Empoli and surrounding schools. He goes to them to tell him about his experiences in his city and those of his internment. From the theme of imprisonment, to the ancient crafts, to the games of his childhood, to the flood of sixty-six. His work again raises the eternal conflict between history and memory that plagues historical research and leads her to wonder to what extent the memories could be considered valid. And when these people are no longer alive to tell who will have the duty to disclose them? this thesis proposes an alternative solution for the imminent entry into the Post-memory, the close gaze to the relative as the bearer of a fundamental historical anthropological tradition for the future which with awareness can bring to history a new point of view that up to now has not been had ever been.
Oggetto della tesi è un ventennio cruciale della storia contemporanea turca, compreso tra il colpo di Stato militare realizzato dalla giunta del generale Kenan Evren il 12 settembre 1980 e la prima vittoria del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) di Recep Tayyip Erdoğan alle elezioni generali del 3 novembre 2002. L'obiettivo è spiegare le premesse, le motivazioni e le dinamiche storico-politiche sia domestiche sia internazionali che, nel corso di tale ventennio, hanno condotto al progressivo declino dell'establishment kemalista e all'affermazione di uno specifico ramo del movimento islamico sulla scena politica, economica e culturale turca. Una simile analisi consentirà di formulare anche delle linee di interpretazione per le vicende attuali, che appaiono strettamente legate a quanto accaduto tra il 1980 e il 2002. La ricostruzione storica dei principali avvenimenti verificatisi nel ventennio si basa sullo studio di fonti primarie e secondarie in massima parte in lingua turca. Tra le prime, è prevalente la documentazione ufficiale (dibattiti parlamentari, programmi di governo, rapporti di commissioni d'inchiesta, documenti di partito, atti processuali, discorsi di personalità politiche, etc.) disponibile negli archivi digitali delle istituzioni turche. Per quanto riguarda le fonti secondarie, si privilegia la storiografia turca più recente e non ancora tradotta in altre lingue. Allo scopo di favorire una comprensione più completa delle dinamiche in esame, accanto alla contestualizzazione storica si offre una riflessione critica su alcuni aspetti significativi di natura maggiormente teorica, riguardanti in particolare l'ideologia kemalista, lo sviluppo dell'islam politico, il rapporto tra religione e secolarismo nel Paese. L'Introduzione chiarisce gli interrogativi e le ipotesi della ricerca, argomentandone tra l'altro la rilevanza rispetto ai recenti fatti di cronaca e alla situazione politica corrente; vengono inoltre presentati lo stato dell'arte, le fonti di riferimento e l'approccio teorico. Nel Capitolo I viene ricostruito il clima antecedente al 1980, discutendo innanzitutto alcune contraddizioni intrinseche dei principi kemalisti e il ruolo dell'Esercito nella vita politica. Successivamente ci si sofferma sul colpo di Stato del 1960, sul memorandum militare del 1971 e sulla crisi economico-politica che ha interessato il Paese negli anni Settanta. Il Capitolo II è dedicato alla trattazione del colpo di Stato del 1980, delle sue cause, delle sue conseguenze e dei provvedimenti imposti dalla giunta militare al potere fino al 1983. In seguito, vengono descritte la trasformazione neoliberale e la graduale liberalizzazione promosse durante il governo decennale di Turgut Özal, leader della Nuova destra turca. Nel Capitolo III viene affrontata l'ascesa dell'islam politico e della borghesia conservatrice in Turchia, riservando un approfondimento al movimento della Visione Nazionale e alla comunità religiosa di Fethullah Gülen. Si ripercorre quindi l'affermazione del Partito islamico del Benessere, fino alla formazione del governo di coalizione affidato a Necmettin Erbakan. Il Capitolo IV si apre con il golpe post-moderno che ha abbattuto il governo di Erbakan e represso il movimento islamico; questo ha quindi intrapreso una fase di rinnovamento, culminata nella fondazione dell'AKP sotto la leadership di Erdoğan (del quale viene fornita una sintetica biografia). La tesi si conclude con la descrizione dello scenario politico risultato dalle elezioni del 2002. In conclusione, verranno offerte delle risposte agli interrogativi di ricerca alla luce di alcune ricorrenze storiche e dei paradigmi politici fondamentali emersi dallo studio del ventennio. In particolare, si propone una lettura non dicotomica del rapporto tra kemalismo e islam politico, che risulta caratterizzato da interazione ed influenza reciproca piuttosto che da conflitto e opposizione. Tale rapporto può essere meglio compreso nella cornice della sostanziale continuità dell'autoritarismo nei regimi politici turchi post-1980. Come prospettiva di ricerca futura, verrà suggerito uno studio dell'era dell'AKP in un'ottica di comparazione e di continuità storica con il ventennio cruciale. ; THE DECLINE OF KEMALISM AND A NEW FACE OF POLITICAL ISLAM. TWENTY CRUCIAL YEARS IN TURKEY'S HISTORY: 1980-2002. The present dissertation focuses on twenty crucial years of contemporary Turkey's history, between the 12th September 1980 military coup d'état staged by General Kenan Evren's junta and the first victory of Recep Tayyip Erdoğan's Justice and Development Party (AKP) in the 3rd November 2002 general elections. It aims to explain the background, motivations, historical and political dynamics (both domestic and international) underlying the gradual decline of the Kemalist establishment and the rise of a specific branch of the Islamic movement on the political, economic and cultural stage of Turkey during those twenty years. Such an analysis makes it also possible to draw some guidelines to understand the current circumstances, being these closely linked to what happened between 1980 and 2002. The historical reconstruction of the main events occurred during the crucial twenty years relies on primary and secondary sources that are mostly in Turkish language. Among the first, official documentation prevails (parliamentary debates, governments programs, reports by parliamentary committees of enquiry, party manifestos, procedural documents, statements made by Turkish authorities, etc.); such documentation is largely available in the digital archives of Turkish institutions. As regards the secondary sources, more recent and still untranslated Turkish historiography is preferred. Along with the historical context, a critical comment is given on some significant aspects, which are more theoretical and mainly concern the Kemalist ideology, the development of political Islam, the relationship between religion and secularism in Turkey. This should provide a deeper understanding of the research objects. The Introduction explains the research questions and hypotheses, arguing their relevance with reference to the recent events and ongoing political issues of the country. The literature review, sources and theoretical approach are presented too. The Chapter I describes the situation before 1980. First, it discusses some contradictions inherent in the Kemalist principles and the role of the Army in Turkish politics. Then, it looks in more detail at the 1960 coup, the 1971 military memorandum, the economic and political crisis afflicting the country throughout the 1970s. The Chapter II analyses the 1980 coup, its roots, its consequences, and the measures implemented by the military junta in power until 1983. Subsequently, it traces the history of the neoliberal transformation and the gradual liberalization promoted by Turgut Özal, the leader of Turkish New Right who ruled for ten years. The Chapter III deals with the upsurge of political Islam and conservative bourgeoisie in Turkey, with a focus on the National Outlook movement and the religious community of Fethullah Gülen. It also illustrates the rise of the Islamic Welfare Party, until the creation of a coalition government led by Necmettin Erbakan. The Chapter IV begins with the post-modern coup that overthrew Erbakan's government and repressed the Islamic movement; consequently, the latter entered a phase of regeneration culminating in the establishment of AKP under the leadership of Erdoğan (whose short biography is also included). The dissertation ends with a description of the political landscape resulting from the 2002 elections. In conclusion, answers to the research questions are provided under the light of some recurring historical patterns and fundamental political paradigms, which emerged from the crucial twenty years. In particular, it is argued that the relationship between Kemalism and political Islam is characterized by interaction and reciprocal influence, rather than conflict and dichotomous opposition. Such a relationship can be better understood in the framework of the substantial continuity of authoritarianism in the post-1980 political regimes in Turkey. As a perspective for future research, it is suggested to study the AKP era in terms of comparison and historical continuity with the crucial twenty years.
L'elaborato approfondisce la disciplina organizzativa degli obbligazionisti (artt. 2415-2420 cod. civ.) nella duplice prospettiva della dialettica tra diritti individuali e diritti collettivi di ciascun portatore del prestito e della possibile interferenza sul modello di legge di assetti organizzativi di natura convenzionale. Le disposizioni dedicate all'organizzazione degli obbligazionisti, per quanto limitate nel numero, rivestono una spiccata rilevanza nel più ampio sistema del diritto societario e dei mercati finanziari, sia per i riflessi dogmatici ed applicativi dei quesiti interpretativi che le stesse pongono, sia per la pluralità di interessi, compositi e sovente tra di loro confliggenti, che in esse tentano di trovare un difficile equilibrio e contemperamento. Tra i profili più delicati e controversi della disciplina si segnala indubbiamente l'attribuzione ex lege all'assemblea degli obbligazionisti di una serie di poteri e competenze (art. 2415 cod. civ.) che, entro taluni limiti, le consentono di porsi quale interlocutore unico dell'emittente e di approvare – a maggioranza – modificazioni, anche peggiorative, degli originari assetti negoziali dell'operazione di prestito. Si è infatti alimentato nel tempo un intenso e mai sopito dibattito su quale sia la reale portata di tali competenze assembleari e quali, di contro, le materie che debbano in ogni caso ritenersi sottratte alla disponibilità della maggioranza per essere rimesse al consenso individuale di ciascun obbligazionista. Ripercorrendo anzitutto i termini e lo stato attuale del dibattito, l'elaborato affronta e sviluppa la questione proponendone una diversa e più attuale chiave di lettura ed inquadrandola nel più ampio contesto della progressiva evoluzione del diritto societario e concorsuale e segnatamente degli sviluppi normativi più di recente intervenuti nel settore del c.d. "diritto della crisi d'impresa", nel quale la deviazione dalle regole di diritto comune e lo spazio assegnato al principio maggioritario divengono sempre più centrali e dirompenti, anche e soprattutto per la posizione dei creditori obbligazionisti. Il rapporto tra prerogative individuali ed azione collettiva potrebbe da questo angolo visuale assumere connotati ben diversi, a seconda che la volontà del gruppo creditorio debba essere espressa all'interno ovvero al di fuori delle procedure concorsuali, avuto riguardo in particolare alle cc.dd. procedure di composizione concordata della crisi. Nella prospettiva appena delineata, le richiamate procedure potrebbero rappresentare la sede di estensione massima delle competenze assembleari, anche in ragione dei presidi e rimedi ivi specificamente posti a protezione dei creditori dissenzienti, e al contempo costituire un importante parametro di riferimento per valutare quanto esteso (ovvero quanto circoscritto) possa essere il terreno d'azione dell'assemblea ove si tratti invece di alterare le originarie condizioni del prestito in via del tutto extra-concorsuale. Una volta ricostruita – anche con il supporto del dato comparatistico – la linea di confine tra competenze assembleari e prerogative individuali degli obbligazionisti dentro e fuori dalle procedure testé richiamate, verrà quindi posto il tema dell'eventuale interferenza dell'autonomia contrattuale rispetto agli assetti organizzativi tracciati dal legislatore, indagandosi in particolare la legittimità (o meno) di pattuizioni in deroga, siano esse modificative, integrative od anche sostitutive, rispetto al modello di legge. L'analisi sarà sviluppata muovendo anzitutto dalla natura degli interessi protetti dalla disciplina allo scopo di verificare, tra l'altro, (i) se sussistano profili di interesse pubblico o comunque interessi di natura sovraordinata che, da un punto di vista di diritto materiale interno, giustifichino una più o meno marcata compressione della libertà negoziale delle parti, vincolandole alla struttura organizzativa prevista dal codice civile, nonché (ii) nella prospettiva di diritto internazionale privato e volgendo precipuamente lo sguardo alle emissioni realizzate all'estero da parte di società italiane, se i profili di interesse generale o di ordine pubblico eventualmente ravvisati ne rendano necessaria l'applicazione anche oltre il territorio nazionale, per il sol fatto che l'operazione, sebbene collocata all'estero e legittimamente sottoposta a legislazione straniera, sia realizzata da un emittente italiano. Lo studio torna quindi ad occuparsi dell'equilibrio tra gruppo e individuo nelle dinamiche decisionali collettive, approfondendo in particolare le forme di tutela degli obbligazionisti dissenzienti ma in minoranza rispetto a condotte abusive della maggioranza e più in generale i rimedi disponibili a fronte di eventuali interferenze di interessi "esterni" o "atipici" all'interno dei predetti processi decisionali. Ci si interroga, da ultimo, circa la possibilità di rafforzare le richiamate forme di tutela e di affermare regole più efficaci e pervasive di prevenzione (oppure di soluzione) dei conflitti in presenza di un assetto organizzativo di natura pattizia. ; The thesis considers the rules of organization of the bondholders laid down in Articles 2415-2420 of the Italian civil code. The analysis focuses in particular on the dialectic between bondholders' collective and individual rights, as well as on the potential interference of contractual schemes – as from time to time developed by the relevant market practice – over the collective legal framework. The rules of the Italian civil code relating to the bondholders' collective organization appear of paramount importance both in light of the significant hermeneutic and practical issues arising from their interpretation and application, and for the plurality and variety of interests (indeed, often conflicting) that such rules try to harmonize and balance. In this context the powers granted by the Italian legislator to the bondholders' meeting to approve also potentially detrimental amendments to the original terms and conditions of the bonds, are still and strongly disputed by scholars and commentators. Once analyzed the main terms of the dispute and the state of the art, the thesis proposes to put into context the issue under discussion taking into account the progressive development of corporate and bankruptcy Italian legal framework, also considering the reforms recently enacted in respect of insolvency and formal creditors' composition procedures, where the majority rule reveals to increasingly play a key role also and especially in connection with the bondholders' rights and position. The balance between individual prerogatives and collective action depends on whether the bondholder's consent is requested within or outside of a creditors' composition procedure. In this perspective, the above procedures may be regarded as the place of wider and maximum extension of the majority powers, also in light of the specific safeguards and legal protections in favor of dissenting creditors, and at the same time constitute a significant parameter to assess the scope and limits of application of the majority rule when amendments are proposed to the bondholders outside of a formal creditors' composition procedure. The analysis then focuses on the possible intersections between legal and contractual collective schemes, addressing in particular the issue of the actual validity and enforceability of bond's terms and conditions providing for contractual collective rules that supplement, derogate or even replace the rules of organization laid down in the Italian civil code. The issue will be primarily explored moving from the nature of the interests protected by the Italian legislator through the legal organization of bondholders in order to assess, among others, if (i) general, public or in any event ultra partes interests are involved therein so that the collective legal framework should be deemed to qualify, under an Italian law perspective, as mandatorily applicable to the parties of the bonds' issuance and (ii), from an international law perspective, if the involvement of any general or public interests implies that such legal framework should apply to any and all bonds' issuances carried out by Italian companies, although listed on a foreign market and even if the relevant terms and conditions are subjected to a foreign law and jurisdiction. The thesis will then explore the protections of minority bondholders in the context of the majority resolution processes against abuses of majority and, more in general, against the interference of any "external" or "atypical" interests. In this connection, it will be also investigated the possibility to improve the protections available to the dissenting bondholders and to trace most effective methods to prevent and manage conflicts of interests when a contractual (rather than legal) collective scheme is applicable to a given bond's issuance transaction.
Dottorato di ricerca in Storia d'Europa: società, istituzioni e sistemi politici europei,19.-20. secolo ; Per comprendere appieno come sia nata la proposta francese di una Comunità Europea di Difesa (CED) rivolta ai paesi dell'Europa occidentale, è necessario ricostruire il quadro storico alla fine della seconda guerra mondiale, con particolare riferimento ai rapporti tra le potenze alleate e al nuovo assetto territoriale della Germania. Il primo capitolo analizza le decisioni del secondo dopoguerra (a partire dall'accordo franco-sovietico di Mosca del dicembre 1944 in funzione anti-tedesca) tese a garantire la demilitarizzazione tedesca fino al mutamento strategico conseguente alla contrapposizione tra il blocco occidentale e l'Unione sovietica: lo scopo centrale di questa parte del testo è di analizzarne il punto di svolta, con l'inversione dell'atteggiamento alleato nei riguardi della Germania sconfitta. L'intera ricerca si poggia su un'analisi di tipo storiografico, sia di storia delle istituzioni che delle relazioni internazionali, che vuole mettere alla prova comparata delle fonti d'archivio americane e francesi (con particolare riferimento ai fondi transalpini solo ora disponibili alla consultazione, a 60 anni dalla conclusione della vicenda CED) le principali tesi prodotte dalla letteratura sul riarmo della Germania e sull'esercito europeo. Si descrive quindi il processo decisionale che autorizzò, da parte degli Stati Uniti, della Francia e della Gran Bretagna durante la Conferenza di Londra, l'utilizzo delle risorse economiche e industriali della Germania occidentale occupata per il consolidamento dello sforzo difensivo atlantico; attraverso l'esame di fonti primarie transalpine è stata inoltre analizzata la percezione, da parte francese, del contrasto in atto tra i due dicasteri americani degli Esteri e della Difesa in merito al possibile concorso tedesco alle forze di difesa, con le proposte che filtravano dall'alto commissario statunitense Mc Cloy e dal suo staff. Le proposte lanciate dalla tribuna dell'Assemblea consultiva del Consiglio d'Europa, prima da Bidault e poi da Churchill in merito alla necessità di creare un esercito europeo, mettevano quindi in luce un cambiamento decisivo negli obiettivi strategici delle potenze occidentali: fino allo scoppio della guerra di Corea la preoccupazione maggiore nello scacchiere europeo era d'impedire che la Germania potesse riguadagnare uno status tale da minacciare la pace nel mondo; dopo l'apertura delle ostilità nel lontano continente asiatico, l'attenzione dei governi 2 dell'alleanza atlantica si era focalizzata sulle modalità per accrescere l'apparato difensivo atlantico nell'Europa continentale, per far fronte alla minaccia sovietica. Alcuni Stati, come la Francia e gli altri paesi occidentali che avevano subito in passato le invasioni delle armate tedesche, continuavano però a percepire come maggiormente attuale il pericolo di una rinascita della potenza militare ed economica della Germania, se pur divisa: queste le due visioni destinate a determinare un confronto molto aspro tra i principali alleati atlantici durante l'estate e l'autunno del 1950, che portò alla formulazione di due distinti e contrapposti piani di riarmo della Germania Occidentale. Nel secondo e nel terzo capitolo si descrivono conseguentemente, anche mediante una revisione completa e approfondita della letteratura scientifica al riguardo, i due distinti piani di riarmo, successivi cronologicamente e legati da un rapporto di causa ed effetto: l'evoluzione della posizione dell'amministrazione Truman, a partire dalle due diverse proposte del Pentagono e della Segreteria di Stato sulla politica nei confronti della Germania, per arrivare poi alla decisione finale di presentare un piano denominato "one package" agli alleati francesi e inglesi a New York il 12 settembre 1950; questa proposta del segretario di Stato Acheson ebbe come conseguenza un periodo di profonda riflessione nell'esecutivo francese, che portò alla formulazione del "piano Pleven" per la creazione di un esercito europeo. L'obiettivo di questi due capitoli centrali è quindi di mostrare prima come le mutate condizioni strategiche avessero condotto l'amministrazione Truman a chiedere agli alleati atlantici un poderoso rafforzamento del dispositivo militare in Europa che comprendesse anche forze militari tedesche e poi evidenziare che solo in reazione a questo piano americano, non quindi per un'autonoma volontà politica, il governo francese avesse elaborato una contro-proposta, che sarebbe stata la base da cui elaborare l'esercito europeo e la sovrastruttura istituzionale destinata a garantirne il funzionamento, la Comunità europea di Difesa. Il quarto e ultimo capitolo è dedicato interamente alla ricostruzione delle trattative diplomatiche che portarono alla firma del trattato CED, mediante il confronto sistematico dei principali fondi francesi e americani: partendo dall'analisi dei rigurgiti isolazionisti negli USA, si descrivono prima i lavori della Conferenza di Parigi con la stesura del Rapport Intérimaire e poi le attività della Conferenza per l'organizzazione di una Comunità europea di Difesa fino alla firma del trattato CED del 27 maggio 1952; la stesura del capitolo rende conto anche dell'importanza di alcune figure fondamentali (come i diplomatici McCloy e Bruce o come Eisenhower, nella duplice veste di Comandante supremo atlantico e poi di presidente) o di alcuni snodi determinanti, come la svolta federalista della delegazione italiana alla Conferenza. 3 Questo lavoro di ricerca sulla Comunità europea di Difesa vuole quindi ripercorrere una vicenda fondamentale per la nascita delle istituzioni europee, dalle sue origini radicate al termine del secondo conflitto mondiale e fino alla firma del trattato di Parigi, che sembra di profonda attualità nell'attuale dibattito sulla cessione di sovranità dagli Stati nazionali all'Unione europea, nel campo della Difesa e della politica estera. Il confronto tra i fondi americani e francesi, in particolare quelli di recente apertura alla consultazione dei ricercatori, ha permesso di aggiungere alcuni elementi di originalità alla descrizione del processo di riarmo della Germania e delle trattative tra gli alleati per la nascita dell'esercito europeo. ; The Second World War ended with an onerous legacy for the European Continent: the conflict has brought damage, poverty and the spectre of a new fight between Western countries and the Soviet Union. In that period, the USSR maintained the mobilization of the Armed Forces while the Russian soldiers were settled in Germany. This opposition has divided post-war Europe into two different blocs or coalitions: on the one hand Western Europe countries, which were starting a difficult recovery assisted by American aid, and on the other hand Eastern Europe under Soviet hegemony. In this complex scenario, the German role became increasingly central. Within this historical background, the first important attempt to build a European policy was focused on common defence, through the Treaty instituting the European Defence Community (EDC). In the light of this premise, the EDC affair seems paradigmatic for the analysis of the European dawn: on one side the founding fathers have looked for a solution to the divisions in the continent, but on the other side national self-interests have affected the path for ratifying the EDC Treaty, till the French refusal to ratify, by the French Assembly on 1954, August 30th. The aim of my Doctoral Research Thesis is divided in four different chapters: - in the first one, the object is related to the study and the description of the German role in post-war Europe and its rearmament, from the end of WWII to the mid 1950s, when the United States urged Western allies to use the German industrial and military potential; - secondly, the American proposal called 'one package', presented by Acheson on September 1950, is illustrated with regard to the existing international literature and primary sources; 2 - the third chapter deals with the French proposal to control German rearmament, the 'Pleven Plan', and the Petersberg talks; - finally, the agenda and the deliberations of the Paris Conference regarding the EDC, which started the 15th February 1951 up to 27th May 1952, when the EDC Treaty was signed. I am also researching an original aspect in my thesis, with regard to the state of the art in EDC studies: a synchronic comparison of EDC events in France and the USA based on the original documents preserved in different Archives in the United States and in France: in the recent past, 60 years after the "defeat" of the EDC, other primary sources were declassified, mostly in Paris. The research has focused on the studies that put this issue in the perspective of historiography. Several French works about the EDC could be cited, such as the texts by Clesse A.(Le projet de C.E.D. du Plan Pleven au "crime du 30 août. Histoire d'un malentendu européen, 1989), by Aron R., Lerner D. eds. (La querelle de la C.E.D. essais d'analyse sociologique, 1956), by Moch J. (Histoire du réarmement allemand depuis 1950, 1965), by Fabre-Luce A. (Lettre sur la CED, 1954) and the essays by Vial P. (Redécouvrir la CED, 1992), by Poidevin R. (La France devant le problème de la CED: incidences nationales et internationales - été 1951 à été 1953, 1983), by Guillen P. (Les chefs militaires français, le réarmement de l'Allemagne et la CED 1950-1954, 1983), by Vaïsse M. (Le général de Gaulle et la défense de l'Europe, 1947-1958, 1992), by Rioux J. P. (L'opinion publique française et la CED: querelle partisane ou bataille de la mémoire?, 1994). With regard to Italian works, studies which stand out for their significance are the studies by Preda D. (Storia di una speranza: la battaglia per la CED e la Federazione europea nelle carte della Delegazione italiana 1950-1952, 1990), by Preda D. (Sulla soglia dell'Unione: la vicenda della Comunità Politica Europea 1952-1954, 1994), by Ballini P. L. ed. (La Comunità Europea di Difesa (CED), 2009), by Bertozzi S. (La Comunità Europea di Difesa. Profili storici, istituzionali e giuridici, 2003), by Caviglia D., Gionfrida A. (Un'occasione da perdere. Le Forze Armate italiane e la Comunità Europea di Difesa 1950-54, 2009). Finally, a series of American and British studies concerning the European Defence Community and the "German question" were appraised, such as the works by Fursdon E. (The European Defence Community: a history, 1980), by Ruane K. (The Rise and Fall of the European Defence Community, Anglo-American Relations and the crisis of European Defence 1950-55, 2000), by Lundestad G. (Empire by integration: The U.S. and European Integration, 1945-1997, 1998) by Armitage D. T. jr. (A comparative analysis of U.S. policy toward European defense autonomy. Enduring 3 Dilemmas in Transatlantic Relations, 2008), by Risso L. (Divided we stand: the French and Italian political parties and the rearmament of West Germany 1949-1955, 2007), by Hunter R. E. (The European Security and Defence Policy, NATO's Companion – or Competitor?, 2002), by Hitchcock, W. I. (France restored: Cold War diplomacy and the quest for leadership in Europe, 1944-1954, 1998), by McAllister, J. (No Exit: America and the German problem, 1943-1954, 2002). With regards to the methodology, the research has been conducted following the comparative approach as described by Bloch M. (Pour une histoire comparée des sociétés européennes, 1923), by Braudel F. (Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, 1976), by Haupt H. G. (European History as Comparative History, 2004 and Comparative History – a Contested Method, 2007).
La presente ricerca ha avuto ad oggetto l'analisi della criminalità culturale di matrice immigratoria nel contesto europeo contemporaneo. Tradizionalmente con il termine reato culturalmente orientato o motivato si intende quel comportamento realizzato dal membro di una cultura minoritaria che è considerato reato dall'ordinamento giuridico della cultura dominante, ma che viene accettato, condonato, o addirittura incoraggiato all'interno del gruppo culturale del soggetto agente. Dedicare la ricerca esclusivamente alla criminalità culturale di matrice immigratoria significa restringere il campo dell'analisi ai reati culturali commessi da immigrati, escludendo i reati culturali commessi da minoranze autoctone. Esulano, tra l'altro, dall'analisi i reati riconducibili all'immigrazione clandestina e le forme di terrorismo transnazionale di matrice ideologica. Il particolare tipo di reato culturale di cui si è occupata la presente ricerca può dunque essere definito come il comportamento che l'immigrato pone in essere in quanto normale, approvato, o incoraggiato dalla propria cultura e che, invece, è considerato reato nello Stato di residenza. Alla nozione di reato culturale e di cultural defence, nonché alla delimitazione dell'ambito di indagine è dedicato il primo capitolo della tesi, nell'ambito del quale vengono spiegate le difficoltà che si incontrano nel definire il concetto di cultura e di pratica culturale. La ricerca è volta a valutare la possibile rilevanza penale da riconoscere al condizionamento esercitato sul reo dall'appartenenza a una determinata cultura, ossia al c.d. fattore culturale. La definizione di reato culturale è tale da comprendere situazioni molto diverse tra loro, rispetto alle quali è necessario trovare un equilibrio tra tutela dei diritti fondamentali e diritto – o, meglio, diritti – alla specificità. Vengono alla mente pratiche riconducibili alle tradizioni di determinati gruppi etnici, quali la mutilazione degli organi genitali femminili, lo stupro che precede il matrimonio, l'impiego di minori nell'accattonaggio, o i matrimoni poligamici. Con ogni evidenza, si tratta di comportamenti che – ammesso e non concesso che siano (ancora) legittimamente praticati nei Paesi di provenienza dell'immigrato – rappresentano un problema nel momento in cui vengono posti in essere in uno Stato ospitante che ne riconosce la rilevanza penale. I flussi migratori che negli anni hanno accompagnato il processo di integrazione europea ed internazionale hanno messo in contatto persone portatrici di tradizioni culturali estremamente distanti tra loro, facendo della c.d. criminalità culturale uno dei temi più complessi, discussi e controversi del panorama giuridico contemporaneo. Dal punto di vista comunitario, tra l'altro, la nascita dell'area Schengen e il progressivo enlargement europeo hanno incrementato il fenomeno migratorio, imponendo anche a Paesi che non avevano vissuto in passato esperienze immigratorie di confrontarsi con le sfide del multiculturalismo. Spesso si pensa all'immigrazione e alla società multiculturale come una sfida per il diritto penale statale. L'area penale è, infatti, la più resistente alla sottrazione della sovranità che il processo di integrazione europea ed internazionale comporta perché rappresenta uno degli ambiti in cui maggiormente si riflette l'identità costituzionale degli Stati. La norma penale è una delle più alte manifestazioni dei valori prevalenti in una determinata area culturale. Da un lato, questo significa che l'ordinamento nazionale si riserva gelosamente la potestà di decidere quali comportamenti costituiscono reato all'interno del proprio territorio. Dall'altro lato, proprio per questo suo essere espressione della cultura di appartenenza di un determinato soggetto, la norma penale fa parte del bagaglio del migrante: l'individuo percepisce come reato ciò che per la propria cultura è reato e potrebbe non comprendere, e magari neanche percepire, le fattispecie vigenti nel territorio in cui emigra. Sullo sfondo dei reati culturali vi è una forma di conflitto culturale tra Paese ospitante e individuo ospite, che porta con sé la necessità di stabilire come devono essere giudicate le condotte poste in essere da chi appartiene a culture diverse da quella ritenuta dominante. Nell'ambito della ricerca che ha portato alla presente tesi è stato analizzato il trattamento dei culturally motivated crimes con particolare riferimento al sistema italiano e a quello del Regno Unito. L'Italia, alla quale è dedicato il secondo capitolo della tesi, storicamente è stata il punto di partenza dei migranti; soltanto nell'ultimo trentennio è divenuta una meta per gli immigrati e si è dovuta confrontare con la criminalità culturale di matrice immigratoria. Il modello italiano di gestione della diversità culturale, oltre ad essere particolarmente giovane, è considerato di stampo assimilazionista. La legislazione italiana non chiarisce la rilevanza penale da attribuire al fattore culturale, né tantomeno codifica una qualche forma di cultural defence. La strategia che, soprattutto negli ultimi anni, il nostro legislatore penale sembra portare avanti è quella di introdurre alcuni singoli reati culturalmente orientati, spesso con interventi caratterizzati da una decisa reazione sanzionatoria. In questo senso dal punto di vista legislativo vengono in particolare in rilievo due recenti interventi normativi: la legge n. 7 del 2006, con la quale è stato introdotto il delitto di mutilazioni genitali femminili e la legge n. 94 del 2009, con la quale è stato innalzata a delitto la contravvenzione di impiego dei minori nell'accattonaggio. Dal punto di vista giurisprudenziale in Italia si registra una mancanza di coerenza nelle decisioni che hanno ad oggetto i reati culturali. Per quanto attiene il sistema italiano vengono inoltre analizzate le sentenze pronunciate da tribunali esteri nell'ambito di procedimenti che hanno riguardato italiani accusati di reati culturalmente motivati. Si tratta di un'ottica molto interessante perché permette di superare l'atteggiamento paternalista mascherato da tolleranza che spesso accompagna il tema della diversità culturale. Il Regno Unito è stato scelto come secondo modello di riferimento e gli viene dedicato il terzo capitolo della tesi. Oltre ad aver vissuto un'esperienza immigratoria precedente rispetto all'Italia, la Gran Bretagna nel contesto europeo è considerata portatrice del modello c.d. multiculturalista di gestione della diversità culturale, che si contrappone al modello c.d. assimilazionista, al quale è invece riconducibile il sistema italiano. L'approccio multiculturalista è ispirato da una logica di uguaglianza sostanziale e tradizionalmente si caratterizza per il riconoscimento delle diversità culturali e l'elaborazione di politiche volte alla loro tutela. Nel Regno Unito l'appartenenza a una determinata minoranza culturale giustifica un diverso trattamento giuridico: si pensi al Road Traffic Act e all'Employment Act, che esonerano gli indiani sikh dall'uso del casco nei cantieri di lavoro e in moto, consentendo loro di indossare il tradizionale turbante. Espressione del multiculturalismo all'inglese sono anche gli Sharia Councils, pseudo-Corti formate da membri autorevoli della comunità islamica alle quali può rivolgersi la popolazione britannica musulmana affinché determinate controversie vengano risolte in applicazione della shari'a, la legge islamica. Lo studio degli Sharia Councils è stato una parte fondamentale del percorso di ricerca, svolto anche grazie alla partecipazione all'attività del Council di Londra. Questi organismi operano nell'alveo dell'Arbitration Act e sono oggi al centro di un fervente dibattito per due principali motivi. Prima di tutto nel Regno Unito si discute molto di parallel legal systems, ossia della possibilità di istituire per soggetti culturalmente diversi degli ordinamenti paralleli. Alcuni Autori ritengono che gli Sharia Councils esercitino una vera e propria competenza di carattere giurisdizionale. Assumendo questa tesi - invero minoritaria - il multiculturalismo all'inglese raggiungerebbe il cuore dell'ordinamento, all'interno del quale creerebbe una vera e propria spaccatura: ogni cittadino avrebbe la "sua" legge e il "suo" tribunale. Un altro problema fondamentale è quello dell'esercizio da parte dei Councils di una competenza di carattere penale: l'accusa rivolta a queste istituzioni è, infatti, quella di essersi arrogate una competenza in tema di violenza domestica forzando le maglie delle decisioni in tema di divorzio. Accanto all'analisi dedicata al sistema italiano e a quello inglese, per la ricerca si sono rivelate fondamentali anche le esperienze di Francia, Stati Uniti e Canada. Il sistema francese è considerato nel panorama europeo il principale modello assimilazionista: a questo proposito si parla di processo di francesizzazione degli immigrati, o anche cittadinizzazione senza integrazione. Gli Stati Uniti, spesso considerati la società multiculturale per eccellenza, sono la patria del dibattito sulla cultural defence, la strategia difensiva fondata sul fattore culturale come causa di giustificazione o come causa di diminuzione della pena. Il Canada, infine, è il portatore nel contesto internazionale del modello multiculturalista inglese: il multiculturalismo è espressamente previsto come principio nella Carta dei diritti e delle libertà, a partire dall'inizio degli anni novanta è stato reintrodotto per gli Inuit il circle sentencing, grazie al quale le decisioni, anche in materia penale, vengono adottate da una sorta di collegio composto dal giudice e da membri delle comunità interessate. Tra l'altro, è stata la Corte costituzionale canadese a formalizzare per la prima volta il c.d. test culturale, negli anni novanta. L'analisi del modello italiano, giovane e di stampo assimilazionista, e di quello multiculturalista inglese consente, anche grazie ai continui riferimenti ai sistemi adottati negli Stati Uniti, in Canada e in Francia, di assumere un punto di vista più generale sul trattamento dei reati culturali. I processi che riguardano vicende di criminalità culturale testimoniano spesso una difficoltà di integrazione degli immigrati che non è solo culturale, ma prima di tutto sociale. Sotto questo punto di vista ciò che accade nelle aule dei tribunali diventa il metro di valutazione della politica legislativa statale in tema di immigrazione. Obiettivo della ricerca è stato quello di identificare gli strumenti per gestire la criminalità culturale, individuando le strade che si possono concretamente percorrere per superare le tensioni tra società multiculturale e sistema penale, alla ricerca di un equilibrio tra tutela dei diritti fondamentali e diritti alla diversità che non metta in discussione principi cardine dell'ordinamento penale quali quello di eguaglianza e quello di proporzionalità della pena. Preso atto della complessità del problema, la prima conclusione cui si giunge all'esito della ricerca è l'impossibilità di conferire una rilevanza penale generale al fattore culturale. Non è possibile introdurre nella parte generale del Codice penale una causa di giustificazione culturale, così come non è possibile codificare una circostanza attraverso la quale dare un rilievo sanzionatorio predefinito e generale alla componente culturale che porta il reo a delinquere. Più volte tra le pagine del lavoro si sottolinea che rientrano nella nozione di reato culturale condotte che non sono neanche lontanamente paragonabili dal punto di vista del disvalore sociale che le connota e rispetto alle quali non è possibile fare un discorso di carattere generale. Così come non è possibile lavorare sulla parte generale del Codice penale, anche la scelta di introdurre fattispecie di reato create ad hoc per incriminare specifiche pratiche culturali non è condivisibile. Ed infatti, da un lato identificare e tipizzare una pratica culturale è spesso realmente difficile – e nel codice penale non c'è spazio per l'indeterminatezza – e dall'altro le esperienze italiana e inglese rivelano che l'operazione è alquanto inutile. A livello legislativo l'unica strada valutabile sembra essere quella di prevedere delle specifiche cause di non punibilità che permettano di dare una rilevanza – in maniera controllata – al fattore culturale in determinate ipotesi. Questa opzione consente di prendere in considerazione determinate pratiche culturali e di cucire su di esse la non punibilità, senza che questo implichi una scelta ordinamentale di carattere generale. Sembra, tuttavia, che sia una strada difficilmente praticabile: tra l'altro, un tema delicato come quello della criminalità culturale potrebbe non trovare facilmente una maggioranza parlamentare tale da consentire di legiferare e, comunque, ciò potrebbe avvenire in tempi decisamente lunghi. Ebbene, allo stato la chiave della questione è nel trattamento delle singole e concrete vicende di criminalità culturale e, dunque, nel ruolo del giudice. Anche in questo caso sorgono dei problemi: basti pensare che nel momento in cui il legislatore penale si astiene dal prevedere in via generale una forma di cultural defence, il fattore culturale potrebbe anche essere preso in considerazione contra reum, ad esempio a fini deterrenti, per chiarire inequivocabilmente l'intollerabilità di un determinato comportamento, o per prevenire una vendetta da parte del gruppo di appartenenza culturale della vittima. Il dato è preoccupante perché, come sottolineano gli Autori che si occupano di criminalità culturale, in presenza di un reato culturalmente orientato o motivato il grado di rimproverabilità dell'autore si attenua in conseguenza di una minore esigibilità della conformazione al precetto penale. Per arginare il rischio che il fattore culturale venga preso in considerazione per aggravare il giudizio di responsabilità del reo è dunque indispensabile sensibilizzare i giudici e munirli degli strumenti adatti per gestire la diversità culturale. In tale ottica la ricerca presenta l'analisi di alcuni strumenti che vengono utilizzati nei Paesi analizzati e dai quali è possibile prendere spunto: vengono così in rilievo l'Equal Treatment Bench Book inglese, il circle sentencing canadese, e la possibilità, sul modello francese, di integrare l'organo chiamato a giudicare un reato culturale. Di queste strade quella concretamente più praticabile è l'Equal Treatment Bench Book, un vademecum destinato agli operatori giudiziari nell'ambito del quale si rinvengono linee guida per la gestione pratica delle diversità culturali. Si tratta di un prodotto non immediatamente importabile, poiché non sarebbe sufficiente tradurlo per applicarlo, ad esempio, in Italia. È dunque necessario che i singoli Paesi adottino il proprio Bench Book; in quest'ottica la ricerca presenta alcune indicazioni da prendere in considerazione sia per quanto attiene chi potrebbe essere chiamato a scrivere il vademecum, sia per quanto attiene il contenuto del documento. In conclusione va richiamata una riflessione di carattere più generale: il modo corretto di affrontare la criminalità culturale di matrice immigratoria si basa sulla consapevolezza che prevenire è meglio che reprimere. Sicuramente, l'attenzione al ruolo del giudice e agli strumenti di concreta gestione della diversità culturale sono molto importanti, ma lo sono ancor di più le politiche per l'integrazione della società multiculturale, nella quale si assiste a un processo di scambio e di fusione culturale che si rivela il momento privilegiato per determinare l'equilibrio tra valori indiscutibili e diritti alla diversità. ; The research focuses on culturally motivated crimes related to migratory flows in the European area. A cultural offence is defined as an act by a member of a minority culture, which is considered an offence by the legal system of the dominant culture; that same act is nevertheless, within the cultural group of the offender, condoned, accepted as normal behaviour and approved or even endorsed and promoted in the given situation. The specific focus on immigration means that the research does not analyse crimes committed by native minorities. Moreover, crimes related to illegal immigration and transnational terrorism are not part of the dissertation. Thus, the specific type of cultural offences analysed in the research can be defined as the immigrant's behaviours that is normal, approved or promoted in his/her culture, but is considered offences in the State where he/she lives. The first chapter of the thesis is devoted to defining the notion of cultural crimes and cultural defence, and to outline the research analysis. This chapter acknowledges the difficulties encountered in defining the concepts of culture and cultural custom. The purpose of the research is to evaluate to what extent the fact that the defendant based his/her actions on a cultural norm can be taken into account in determining his/her responsibility within the criminal legal system of the country where the action takes place. Many different behaviours can be linked to cultural crimes and in all these circumstances there is the need to find a balance between fundamental rights protected by the domestic legal system and the specificity rights of minority groups. Consider the case of female genital mutilations, rape before wedding, or polygamy. These acts – even if they are (still) permitted in the country of the immigrant – may be considered offences in the country where the immigrant lives. Due to the immigration phenomenon related to the process of European and international integration, people coming from really different cultural backgrounds live together and nowadays the cultural crime rate has become one of the most problematic and debated legal issues. Furthermore with the gradual European enlargement more and more countries have had to face with problems related to multiculturalism. Immigration and multicultural society are often considered as a challenge for the criminal law, which is one of the more resistant areas of the whole legal system and opposes the process of European and international integration. This happens because the criminal law mirrors the essential nature of a country through the choice of the acts that are considered offences in the national territory. This choice is deeply influenced by the cultural background of the country and the criminal law is part of the cultural baggage of the immigrant. When people immigrate they bring with themselves the awareness that a behaviour is considered an offence in their country and they may not know or understand what is considered an offence in the country where they decide to live. Culturally motivated crimes stem from a conflict between the immigrant and the legal system of the country where he/she decides to live, between a cultural norm and a legal standard. With this regard, Van Broeck noted that the cultural offence has to be caused directly by the fact that the minority group the offender is a member of uses a different set of moral norms when dealing with the situation in which the offender was placed when he committed the offence: the conflict of divergent legal cultures has to be the direct cause of the offence. The research analyses how legislator and judges deal with cultural offences in Italy (Chapter II) and in the United Kingdom (Chapter III). For a long time Italy has been the starting point for immigrants and only in the last thirty years it has become their destination. For this reason the problem of determining the relevance of the cultural factor on the structure of an offence is more recent in Italy than in the United Kingdom, where the multicultural society is the result of the long story of the colonialism and the Commonwealth of Nations. Furthermore, the Italian system of handling cultural diversity is basically considered an example of assimilationism while the English one is considered an example of multiculturalism. This means that in the United Kingdom, more than in Italy, the legislation aims at preserving minority customs. In addition to the analysis of the Italian and the English systems, also the experience of France, of the United States and of Canada has been essential for the research. In the European context the French system is considered the best example of assimilationism. The law banning the wearing of a niqab or full-face veil in public is the clearest instance of this approach to different cultures which is usually regarded as gallicization of immigrants. The United States, often considered the multicultural society par excellence, are the birthplace of the debate about the cultural defence. In the international context Canada is considered an example of a multicultural system: multiculturalism is mentioned in the Canadian Charter of Rights and Freedoms of 1982 and since the 90's the circle sentencing can be used to solve disputes in the Inuit group with the participation of members of the community in addition to the judges. Furthermore, in the same period the Canadian court formalized for the first time the distinctive cultural test. The comparison between the Italian and the English systems in handling cultural differences deriving from immigration and all the references to the American, Canadian and French systems allow the research to adopt a more general point of view in analysing cultural crimes. Trials concerning culturally motivated crimes often give evidence of a difficulty in immigrants' integration; an issue that is not only a cultural problem, but primarily a social dilemma. From this point of view what happens in courtrooms becomes a device to evaluate a state immigration policy. The purpose of the research is to identify useful tools to manage cultural offences, finding a balance between victims' fundamental rights and the cultural specificity of a minority group. The first conclusion reached in the dissertation regards the impossibility to provide a general relevance to the cultural factor in the criminal system, so that it is not possible to introduce a cultural defence. Many different behaviours can be considered cultural offences and it is not possible to treat as homogeneous a broad range of acts. At the same time, also the introduction of type of offences to criminalize a specific cultural practice is not the right way to solve the problem of the cultural factor in the structure of the offence. First of all there would be many problems in identifying a cultural practice, because it is really hard to recognize which behaviour can be related to the cultural background of the minority group of the defendant. Moreover, as can be noticed when problems concerning the criminalization of the female genital mutilation in Italy and the United Kingdom are analysed, this way seems almost useless. A good option is to adopt methods which do not impose a penalty to the defendant, taking into account his/her cultural background in certain circumstances. This can be done using the absolute discharge of the English legal system or the category of the cause di non punibilità of the Italian one. In this case the chance not to impose a penalty to an immigrant defendant can be achieved without any consequence on the nature of offence of the behaviour in the legal system of the country where he/she decides to live. In a similar way in the Italian system it could be difficult to find the parliamentary majority to approve a legislation introducing the specific causa di non punibilità. Thus, the more practicable solution concerns the judges' activity. In this case, there is the need to avoid that the cultural factor is used contra reum worsening, for instance, the penalty. This modus operandi would not be fair because in the case of actions determined by a cultural norm commonly accepted by a minority group, the degree of reproach of these behaviours should be alleviated. In order to avoid that the cultural factor could be taken into account contra reum the first thing to do is to sensitize judges to the problems of the criminal law in a multicultural society. With this regard, the research analyses some tools used in the analised systems: in particular, the English Equal Treatment Bench Book, the Canadian system of the circle sentencing and the possibility, as in the French legislation, to integrate the judging body with lay judges in trials concerning cultural offences. The most workable solution is the Equal Treatment Bench Book, a guide for judges, magistrates, and all other judicial office-holders to handle cultural differences in trials. This English vademecum is not immediately importable in other European countries. In fact, it is not enough to translate it to solve the problem of sensitizing judges in so different legal systems. Thus, it is necessary to adopt a document like the English Bench Book in every country where immigration puts cultural offences on the agenda. From this point of view the research gives some hints about the drawing up of this vademecum. In conclusion it is possible to affirm that the correct way to approach cultural offences committed by immigrants is to understand that prevention is better than cure. Surely, it is important to pay attention to the role of judges and to the tools they can use in handling criminal offences. It is even truer that all the policies for the integration of the multicultural society are the most important instrument to determine the balance between fundamental rights and specificity rights of minority groups, that is also the key to handle cultural crimes.
In Giangastone Bolla's Program for the Review of Agricultural Law (1922) land ownership was a testing ground for the «modern transformations of property law» – on which Enrico Finzi – primarily with the «social function». Bolla observed the shift from ownership to the company; asserted that the link between agriculture and the state required the scholar of agricultural law to undertake the «social and economic reconstruction of the country». In view of the «social function» Arrigo Serpieri – since 1923 Undersecretary of State for Agriculture – promoted various legislative measures for the «integral reclamation»; the policy for agriculture was linked to the organization of the corporate state in fieri (Brugi, Arcangeli). The 1933 Consolidated Law (TU) aimed at the rehabilitation of the land to increase its productivity and improve the conditions of the peasants with land transformations of public interest, with possible expropriation of large estates and forced execution of reclamation works on private lands; from 1946 the Consolidated Law of 1933 will be considered an indication for the agrarian reform (Rossi Doria, Segni). In the first Congress of Agricultural Law, (Florence 1935), Maroi, Pugliatti, Serpieri, D'Amelio, Bolla, Ascarelli, Calamandrei discussed some issues, in the first place agricultural law as a factual experience, linked to rural life, irreducible to a uniform juridical order; hence the 'long duration' of the Jacini Report on the various agricultural Italy. In view of the civil codification, the jurists noted the insufficiency of the individualistic system; placed the request for rules focused on the good and not on the subjects, up to the overcoming of the distinction between public and private law. The most illustrious Italian jurists intervened in the volume promoted by the Confederation of agricultural workers; The Fascist conception of property expressed the detachment from the liberal conception – with an emphasis on land ownership based on work (Ferrara, Panunzio) – and held firm to private initiative (Filippo Vassalli). Bolla reiterated the particularity of land ownership between the corporate system and the civil code project, «a private institution, aided and regulated by the State», with the owner «moderator et arbiter» of his own initiative. In the civil code of 1942, land ownership made sense of the dynamic aspect of productive activity, without contemplating the «social function» as a «new property right» (Pugliatti, Vassalli, D'Amelio).After the fall of the fascist regime, the struggles in the countryside forced Minister Gullo to plan agrarian contracts and regulate the occupation of uncultivated lands, with multiyear concessions to the occupying peasants; the De Gasperi award compensated the sharecroppers. The different economies of the 'different agrarian Italy' did not recommend a uniform agrarian reform; the reorganized political parties aimed at the distribution of expropriated lands, compensation to the private owner, without damaging the right of ownership. The initial action of the State to erode the large estates, with special reform bodies, had as its purpose the enhancement of small peasant property (Segni, Bandini). To combine private property and social interest in Constitution, Mortati motivated his proposal for a «constitutional statute»; Fanfani asked for «an article that speaks expressly of the land». The large estate was the most urgent but divisive issue, between Di Vittorio, who asked for its «abolition», and Einaudi for its «transformation», a choice that was imposed in the name of the various 'rural Italy'; the proposal for a rule intended to hinder large landholdings was not accepted. Article 44 of the Constitution provided for a law to impose «obligations and constraints on private land ownership», in order to «achieve rational land use and fair social relations». Bolla appreciated the choice of «transforming individual property into social property»; Vassalli wrote about a non-original «handbook for resolving the agrarian problem». In the project of the Minister for Agriculture Segni – who managed to launch a contested agrarian reform – art. 44 dictated tasks to the «future legislator»; the Sila law of 21 May 1950, the excerpt law of 21 October 1950 for particularly depressed areas, the bills on agricultural contracts were discussed in the Third Congress of Agricultural Law and in the first International Conference, promoted by Bolla, with interventions by Bassanelli, Segni, Capograssi, Pugliatti, Santoro Passarelli, Mortati, Esposito. Work was considered the architrave of land ownership, «a continually changing right, which must be modeled on social needs» (Bolla). In this context, the theoretical-practical, juridical-political reflection of Mario Bracci, professor of administrative law in Siena, rector, also in charge of teaching agricultural law, is interesting. Representative of the PdA at the National Council in the Agriculture Commission, Bracci proposed to write a «book on the socialization of the land», never published; the personal archive offers a wealth of notes previously unpublished on the subject. Bracci defined land ownership as the lintel of agricultural law and a crossroads of private and public law, between land reclamation laws, civil codification, art. 44 of the Constitution, the agrarian reform, understood as a «problem of justice». From Fascism tothe Republic, Bracci grasped technical continuities and ideological discontinuities in the structure of landed property, considered to be of constitutional significance, in referring to the person, «the conditions of the person are inextricably linked to those of landed property». As a scholar and professor of administrative law and agricultural law, since July 1944 Bracci intended to respond to the conflict in the countryside, mediating between «public purposes of agricultural production and the needs of social justice»; proposed «adequate legal forms which are forms of public law». ; Nel Programma di Giangastone Bolla per la Rivista di diritto agrario (1922) la proprietà fondiaria era banco di prova delle «moderne trasformazioni del diritto di proprietà» – su cui Enrico Finzi – in primo luogo con la «funzione sociale». Nell'azienda agraria Bolla osservava inoltre lo spostamento dalla proprietà all'impresa; asseriva che il legame tra l'agricoltura e lo Stato imponeva allo studioso del diritto agrario l'impegno per la «ricostruzione sociale ed economica del paese». In vista della «funzione sociale» Arrigo Serpieri – dal 1923 sottosegretario di Stato all'Agricoltura – promuoveva diversi provvedimenti legislativi per la «bonifica integrale»; la politica per l'agricoltura si legava all'organizzazione dello Stato corporativo in fieri (Brugi, Arcangeli). Il Testo unico del 1933 mirava al risanamento della terra per aumentarne la produttività e migliorare le condizioni dei contadini con trasformazioni fondiarie di pubblico interesse, con possibili espropri di latifondi ed esecuzione coatta di lavori di bonifica su terre private; dal 1946 il Testo unico del 1933 sarà considerato una indicazione per la riforma agraria (Rossi Doria, Segni). Nel primo Congresso di diritto agrario, (Firenze 1935), Maroi, Pugliatti, Serpieri, D'Amelio, Bolla, Ascarelli, Calamandrei discutevano alcune questioni, in primo luogo il diritto agrario come esperienza fattuale, legato alla vita rurale, irriducibile ad un ordine giuridico uniforme; da qui la lunga durata della 'fortuna' dell Relazione Jacini sulle diverse Italie agrarie. In vista della codificazione civile, i giuristi rilevavano l'insufficienza dell'impianto individualistico; ponevano l'istanza di norme incentrate sul bene e non sui soggetti, fino al superamento della distinzione tra diritto pubblico e privato. I più illustri giuristi italiani scrivevano nel volume promosso dalla Confederazione dei lavoratori dell'agricoltura; La Concezione fascista della proprietà esprimeva il distacco dalla concezione liberale – con l'accento sulla proprietà della terra fondata sul lavoro (Ferrara, Panunzio) – e teneva ferma l'iniziativa privata (Filippo Vassalli). Bolla ribadiva la particolarità della proprietà fondiaria tra ordinamento corporativo e progetto del codice civile, «istituto a base privata, aiutato e disciplinato dallo Stato», con il titolare «moderator et arbiter» della propria iniziativa. Nel codice civile del 1942 la proprietà fondiaria aveva senso dell'aspetto dinamico dell'attività produttiva, senza contemplare la «funzione sociale» come «nuovo diritto di proprietà» (Pugliatti, Vassalli, D'Amelio).Dopo la caduta del regime fascista le lotte nelle campagne imponevano al ministro Gullo di progare i contratti agrari e regolare l'occupazione delle terre incolte, con concessioni pluriennali ai contadini occupanti; il lodo De Gasperi indennizzava i mezzadri. Le differenti economie delle 'diverse Italie agrarie' sconsigliavano una riforma uniforme (Rossi Doria, Serpieri); i riorganizzati partiti politici miravano alla ripartizione delle terre espropriate e ad indennizzi al proprietario privato, senza lesioni del diritto di proprietà. L'iniziale azione dello Stato ad erosione del latifondo, con appositi Enti di riforma, aveva per scopo la valorizzazione della piccola proprietà contadina (Segni, Bandini). Per coniugare proprietà privata ed interesse sociale nella Costituzione Mortati motivava la sua proposta di «statuizione costituzionale»; Fanfani chiedeva «un articolo che parli espressamente della terra». Il latifondo era la questione più urgente ma divisiva; Di Vittorio ne chiedeva l'«abolizione » ed Einaudi la «trasformazione», scelta che si imponeva in nome delle diverse 'Italie rurali'; non si recepiva la proposta di una norma intesa ad ostacolare le grandi proprietà terriere. L'articolo 44 della Costituzione prevedeva una legge a imporre «obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata», al fine di «conseguire il razionale sfruttamento del suolo ed equi rapporti sociali». Bolla apprezzava la scelta di «trasformare la proprietà individuale in proprietà sociale»; Vassalli scriveva di un non originale «prontuario di risoluzione del problema agrario». Nel progetto del Ministro per l'agricoltura Segni – che riusciva a far varare una contrastata riforma agraria – l'art. 44 dettava compiti al «legislatore futuro»; la legge Sila 21 Maggio 1950, la legge stralcio del 21 Ottobre 1950 per le zone particolarmente depresse, i progetti di legge sui contratti agrari erano discussi nel Terzo congresso di diritto agrario e nel primo Convegno internazionale, promosso da Bolla, con interventi di Bassanelli, Segni, Capograssi, Pugliatti, Santoro Passarelli, Mortati, Esposito. Il lavoro era considerato l'architrave della proprietà della terra, «diritto continuamente cangiante, che deve modellarsi sui bisogni sociali» (Bolla). In questo quadro è interessante la riflessione teorico-pratica, giuridico-politica di Mario Bracci, docente di diritto amministrativo a Siena, rettore, incaricato anche dell'insegnamento di diritto agrario. Rappresentante del PdA alla Consulta nazionale nella Commissione agricoltura, Bracci si proponeva di scrivere un «libro sulla socializzazione della terra», mai pubblicato; l'Archivio personale offre una mole di appunti finora inediti sul tema. Bracci collocava nella storia la proprietà della terra, che aveva senso nel «lavoro»; la definiva architrave del diritto agrario e crocevia di diritto privato e pubblico, tra le leggi di bonifica, la codificazione civile, l'art. 44 della Costituzione, la riforma agraria, intesa come «problema di giustizia». Dal fascismo alla Repubblica Bracci coglieva continuità tecniche e discontinuità ideologiche nell'assetto dell'istituto di rilevanza costituzionale, «le condizioni della persona sono indissolubilmente legate a quelle della proprietà fondiaria». Da studioso e docente di diritto amministrativo e diritto agrario dal luglio 1944 Bracci intendeva rispondere al conflitto nelle campagne, mediando tra «fini pubblici della produzione agraria e le esigenze della giustizia sociale»; proponeva «forme giuridiche adeguate e che sono forme di diritto pubblico».
In Italy, Protection System for Asylum Seekers and Refugees (SPRAR) manages the second reception of forced migrants. This organization was founded by the Bossi-Fini law n. 189/2002 and is composed by the network of local governments, which uses the available resources of National Fund for Asylum Policies and Services provided by Government finance law and managed by the Ministry of Interior. Its principal goal is to realize integrated reception projects for refugees, asylum seekers, subsidiary and humanitarian protection holders in order to ensure their socio-economic inclusion within local contexts in cooperation with voluntary and third sector organizations. On 10th July 2014, local governments were signed an agreement between national and regional executive to create a national reception system to face the growing number of people who have arrived on the Italian coasts. The main goal of this system is to overcome only a material reception (food and lodging), in order to offer a "widespread reception" within urban areas. The strategy is to create an individual project and an accompaniment to ensure the integration of each person in the local community. The services provided consist in inclusion of migrants in the national health and scholastic system, orientation and access to other local services, professional training, job placement, legal assistance and social and housing integration . Indeed, it is crucial to emphasize that the Italian reception system is characterized by extreme fragmentation. Only SPRAR provides these services with the goal of enabling social and economic inclusion of hosted people in local context, which is why we talk about second reception centres. In Italy, there are, however, many different types of first and extraordinary reception centres for migrants . They are managed by the prefectures and differ in terms of goals, structural characteristics, services and receptive capacity. Only 18.7% of migrants are hosted in the SPRAR structures, while the remainder incurs the possibility of carrying out the entire procedure of the asylum application in the centres of first and extraordinary reception (IDOS, 2017). In recent years, the Italian reception structures have undergone a reorganization and redenomination phase, in which the SPRAR should have become a reference standard. In fact, this system has positively distinguished itself for its objectives, the structuring of his interventions and many best practices. This did not prevent bad reception occurrences even within SPRAR structures, as well as a large number of violent and verbal conflicts, some of which carried out by Italian citizens to the detriment of asylum seekers and owners of a status of international protection. These episodes, exacerbated by a political and media discourse that represents migrants as a threat (Battistelli et al., 2016), are the consequence and symbol of the fragmentary and contradictory reception policies adopted at a European level, in the individual countries and at a local level (IDOS, 2016). Instability and political, economic and social uncertainty, rulers in this historical period, are manifested in an emergency approach that is characterized by insufficient planning and a lack of coordination between the reception agencies. This orientation, supported by many and incongruent legislative changes, deprives the system of a strong structure and facilitates the overturning of the same principles of "widespread reception" of migrants in local communities. Moreover, this facilitates the affirmation of nationalist, xenophobic and localist drifts, as well as reception situations in which human rights are violated and which do not provide real opportunities for inclusion in the territories in a safe and dignified manner. Therefore, the conceptual distinction of the terms danger, risk and threat, used as the interpretative line of this work, appears fundamental to understand why subjective responses, in terms of perception and actions, differ according to the situations, as well as to manage the effects that derive in a consistent manner (Battistelli e Galantino, 2018). In order to realize the analysis, I decided to use an ethnographic approach that is traced back to the constructivist philosophical paradigm, where the vision of facts is investigated locally. Ethnographers, indeed, study subjects, artefacts and actions in their interactions, from an interpretative-dialectical point of view, without the claim of absolute objectivity of the results (Piccardo and Benozzo, 1996). Then, I have chosen to use focused narrative interviews because they turn to individuals, they aim for their "understanding", and this is part of the renewed interest in the subject's centrality and in the "deliberately intentional" social action (Weber, 1922). It is also an approach that allows investigating deeply the phenomena. It is very interactive, flexible and able to empathize in the perspective of the subject being studied. This makes it easier to interview marginal subjects neglected by "official knowledge" and to rediscover the social function of research, which is "giving voice to those who do not have it" (Crespi, 1985, pp. 351) In addition, observation and fieldwork are supported by a strong theoretical basis that offers its help to the researcher for the understanding of the social world, providing an order that supports they in their critical analysis of the facts. So, empirical work and theory support each other (Silverman, 2002). Then, narrative approach is highly adaptable to the study of organizations and to analyse the collected data. In fact, this approach is characterized for attention given to concrete situations and not to general theorizations (Czarniawska, 2000). Hence, the empirical research carried out in 2016-2018 can be summarized in the following phases: 1- Analysis of secondary data and documents produced by European and national statistical institutes, private associations, protection bodies and by SPRAR itself. 2- Participant observation in: - a political protest demonstration against the opening of a SPRAR centre in XIII Town Hall, on the north-western suburb of Rome; - nine meetings of social operators working in SPRAR network of Rome and in the national CARA and CAS reception centres; - a SPRAR centre (20 reception places increased to 40 in the south-eastern suburbs of Rome, VII Town Hall). One year of observation and shadowing of operators: 16th January 2017 – 22th January 2018; - a SPRAR apartment (14 reception places for families in the residential area of Monte Sacro neighbourhood, Town Hall III). Five days of observation and shadowing of operators in January 2018; - a seminar of reflection organized by SPRAR and ANCI on the reception system in Lazio, focused on the role of the Regions and Municipalities. 3- Forty-one narrative focused interviews: - Twenty-four SPRAR operators working in SPRAR centres of Rome; - Seventeen asylum seekers and refugees from SPRAR centre observed in Town Hall VII of Rome. The intent behind this ethnographic research started in a restructuring phase aimed to make the SPRAR a reference standard of reception for all asylum seekers who came to our country. But it was characterized, as still today, by speculative situations, the high presence on the territory of large collective reception centres and managing bodies without the necessary experience (Olivieri, 2011; Lunaria 2016). Therefore, the analysis of the risk management and the operators perception of the SPRAR of Rome has the objective to unveil and analyse the contradictions and weaknesses that may arise within this model due to a reckless management that produces specific factors of risk. The hypothesis underlying the case study is that, although the SPRAR has been recognized as an ordinary model, it can also be reproduced in a distorted manner, not respecting the reference guidelines. The alteration between SPRAR in books, the theoretical expression of a principle, and SPRAR in action, its implementation (Pound, 1910), is caused by specific factors that can cause significant effects from several points of view. To bring to light these aspects, closely related to the risk management and the perception that its operators have, I achieve a classification of the risks that I applied to three different types of SPRAR structures (large, medium and single apartment). Then, I identified a series of outcomes involving the people hosted, the operators, the local community and the SPRAR organization itself. The decision to draw the case study at the SPRAR of the city of Rome is driven by the complexity that distinguishes this territory on a social, cultural and political level. In fact, I believe it can bring out the contradictions of the model as new forms of confinement compared to territories with reduced complexity. However, allowing a glimpse of a reception of asylum seekers and holders of a protection status also possible within urban and metropolitan areas. The empirical survey shows that an increase in the distortion compared to the assumptions of an integrated and widespread reception in the territories corresponds to a greater possibility that specific risk factors are produced. Which in their turn, crystallizing into unhealthy forms, can involve the people hosted, the operators, the local community and the SPRAR organization itself. The case study and the application of the risk classification, which I achieved based on the evidence revealed from the field, reveal how the identified risk areas (socio-spatial context, production of the service, recipients) and the corresponding categories, do not produce in itself a negative result. However, this can occur if a short-sighted management acts on these aspects and does not align with the proposed guidelines. Therefore, this classification appears to be a useful tool to identify problems and to develop preventive measures, aimed to improve the management of SPRAR centres in metropolitan cities such as Rome (and other contexts), by intervening on the identified risk categories and reducing the factors that eventually emerge. The analysis, focused on three different types of SPRAR structure (large, medium, single apartment) of the Capital, shows how this alteration occurs in a disruptive way in the large collective centres, the most represented in Rome. Meanwhile, greater adherence to the model is shown, with a modality proportional to the size, in the medium-sized structure and in the apartment. The distortion detected in the large SPRAR collective centres of Rome and partly also in the medium-sized centre, reflects the ambivalence of the general reception system. It promotes on the one hand the principles of a good reception that respects human rights and the autonomy of people and by another implements foreclosure practices and new forms of borders (Vacchiano, 2011; Van Haken, 2008). The field research shows that this happens on different levels due to specific material factors (location and capacity of the centres, management of internal spaces, activation of the services provided, etc.) and through the daily practices of the operators who, in a more or less assenting, controlling and disciplining the people hosted, shape their conduct. Therefore, in the daily life of the structures in which the situations described are involved, the principles of freedom, inclusion and autonomy supported by the rhetoric of reception system are governed by a neoliberal logic of citizenship that suggests the criteria to distinguish, in the same integration paths, who is more worthy than other beneficiaries (Van Haken, 2008). Although the case study highlights strong contradictions and weaknesses that come to life in the implementation of the SPRAR model, it also shows the realization of a good reception. That which, despite being included in an extremely complex context such as Rome, attempts to oppose the "logic of large numbers and profits" of large cooperatives and which implements functional inclusion paths to achieve the objectives. Alignment and consistency with the guidelines and the SPRAR operating manual, in fact, allow the construction of a real project of individualized socio-economic integration for the person hosted. Only by acting in a widespread manner on the territory, in apartments or small centres, the genesis of new forms of borders beyond those already present is avoided. In fact, through this management most of the risks identified are eliminated or at least reduced, precisely because the "trajectory of opportunities" of risk (Reason, 1997) towards unfavourable outcomes generally develops within large collective centres. References Battistelli Fabrizio, Farruggia Francesca, Galantino Maria Grazia and Ricotta Giuseppe. 2016. "Affrontarsi o Confrontarsi? Il "Rischio" Immigrati sulla Stampa Italiana e nella Periferia di Tor Sapienza a Roma". Sicurezza e Scienze Sociali 1:86-112. Battistelli Fabrizio e Galantino Maria Grazia. 2018. "Dangers, Risks and Threats: An Alternative Conceptualization to the Catch-All Concept of Risk". Current Sociology 1-15. Czarniawska Barbara. 2000. Narrare l'organizzazione. La costruzione dell'identità istituzionale. Tr.it. Torino: Edizioni di Comunità. Crespi Franco. 1985. Le vie della sociologia. Bologna: Il Mulino. IDOS in partnership with Confronti. 2017. Dossier Statistico Immigrazione 2017. Roma: Inprinting srl. IDOS. 2016. "INTRA MOENIA. Il Sistema di Accoglienza per Rifugiati e Richiedenti Asilo in Italia nei Rapporti di Monitoraggio Indipendenti". Affari Sociali Internazionali IV (1-4). Lunaria. 2016. Il mondo di dentro. Il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati a Roma. (https://www.lunaria.org/wp-content/uploads/2016/10/Il_mondo_di_dentro.pdf). Olivieri Maria Silvia. 2011. "L'accoglienza frantumata sotto il peso dell'«emergenza»", pp. 35-44 in Lunaria. 2011. Cronache di ordinario razzismo. Secondo libro bianco sul razzismo in Italia. Roma: Edizioni dell'Asino. Piccardo Claudia and Benozzo Angelo. 1996. Etnografia organizzativa. Una proposta di metodo per l'analisi delle organizzazioni come culture. Milano: Raffaello Cortina Editore. Reason James. 1997. Managing the Risks of Organisational Accidents. London: Ashgate Publishing Company. Vacchiano Francesco. 2011. "Discipline della Scarsità e del Sospetto: Rifugiati e Accoglienza nel Regime di Frontiera". Lares LXXVII (1): 181-198. Van Aken Mauro. 2008. Rifugio Milano. Vie di fuga e vita quotidiana dei richiedenti asilo. Roma: Carta. Weber Max. 1922. Economia e Società. Tr.it. Milano: Edizioni di Comunità.
1.Introduzione Nel 2014, nell'ambito dell'Agenzia Europea Frontex, prese avvio l'operazione Triton, coordinata dall'Italia. Da quel momento e fino al 2018, tutte le persone soccorse in mare dovevano essere portate in salvo sulle coste italiane. Una volta arrivate sul territorio, queste persone dovevano essere messe nella condizione di potere avanzare una richiesta di asilo o di protezione internazionale. Il già esistente sistema di accoglienza dedicato alle persone richiedenti asilo (SPRAR) si basava sulla disponibilità volontaria degli enti locali e non era in grado di gestire l'elevato numero di persone in arrivo. Furono per questa ragione istituiti (art. 11 Dlgs. n.142/2015) i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) sotto la diretta gestione degli Uffici Territoriali del Governo (Prefetture). I CAS erano quindi pensati come strutture temporanee ed emergenziali. Le azioni messe in atto dai CAS dovevano, innanzitutto, rispondere ai bisogni primari delle persone accolte, in termini di vitto, alloggio e assistenza sanitaria. Ma, a dispetto del loro carattere temporaneo, e alla stregua dello SPRAR, i CAS avevano l'obbligo di svolgere attività (apprendimento della lingua italiana, istruzione, formazione, inserimento nel mondo del lavoro e nel territorio, assistenza legale e psicosociale) finalizzate all'acquisizione di strumenti di base per favorire i migranti accolti nei processi di integrazione, di autonomia e di acquisizione di una cittadinanza consapevole. 1.1 I richiedenti asilo: L'accoglienza in Italia e una possibile traiettoria resiliente La maggior parte dei richiedenti asilo proveniva dall'Africa subsahariana o dall'Asia Meridionale (Afghanistan e Bangladesh e Pakistan) e aveva alle spalle un lungo viaggio di cui la traversata mortifera via mare o attraverso i Balcani o il Caucaso era solo l'ultima tappa. La durata media del viaggio dal paese di origine era di venti mesi, che si svolgevano quasi sempre al limite della soglia di sopravvivenza. È ormai ben documentato il fatto che la privazione di cibo, di ripari, l'affaticamento estremo, il senso di minaccia, i maltrattamenti ripetuti, i lutti dovuti alla perdita di persone care durante gli spostamenti sono condizioni che accomunavano tutti questi percorsi migratori. A queste, si aggiungeva, per la maggior parte di loro, un periodo di reclusione, che poteva superare l'anno, nei centri di detenzione della Libia dove le condizioni disumane, la pratica sistematica della tortura e della violenza sessuale sono state rese note e denunciate dalle principali organizzazioni internazionali, come Medici Senza Frontiere e Amnesty International (Fondazione Migrantes, 2018). Inoltre, l'alto potenziale traumatico di queste esperienze si aggiunge a vissuti altrettanto tragici legati alle circostanze di vita nel paese di partenza che aumentano la vulnerabilità dei migranti. Infatti, questi sono il più delle volte costretti a scappare da condizioni di instabilità politica, di gravi conflitti interni civili e di estrema povertà. È per quanto fin qui descritto che si può affermare che le persone in arrivo nei CAS sono portatrici di storie potenzialmente traumatiche e ad alta complessità psicosociale che richiedono un'attenzione particolare. Le pratiche d'accoglienza che vengono messe in atto nei centri devono tenere conto di tale complessità nel rispondere ai bisogni di ogni persona, sia nella dimensione psicologica sia in quella sociale. In questo modo, nel cercare di raggiungere l'obiettivo ultimo dell'integrazione dei richiedenti accolti, i progetti d'accoglienza potrebbero favorire la definizione di un loro processo di resilienza che li porti a vivere una condizione socialmente accettabile e di benessere. Il concetto di resilienza ha suscitato molto interesse in letteratura negli ultimi decenni. Un primo dato storico nell'evoluzione della teorizzazione di questo concetto (Cicchetti & Garmezy,1993) è lo spostamento dell'interesse dalla patologia e dalla vulnerabilità alla resilienza, che si può ricondurre alla diffusione di una prospettiva positiva e salutogena nella ricerca e nella pratica clinica e psicosociale (Bonanno & Diminitch, 2013; Bonanno, Westphal, & Mancini, 2011; Cicchetti, 2013; Cyrulnik & Malaguti,2015; Walsh, 2016). Negli anni il concetto di resilienza è stato indagato a partire da diversi approcci. Da alcuni autori (Costa & McRae, 1980) è stato studiato come un tratto di personalità, stabile e fisso, da altri (Wagnild & Young, 1993) come l'abilità di fronteggiare e adattarsi positivamente a eventi stressanti o avversivi. Cicchetti (2013), concettualizzando la resilienza come un processo, ha concentrato l'attenzione sui fattori che lo determinano, con particolare interesse a quelli genetici e neurali. Bonanno e Diminitch (2013) si sono, invece, concentrati su quei fattori di rischio o quelle condizioni esistenziali potenzialmente vulnerabili che possono determinare il processo e che gli autori (Bonanno et al., 2011) definiscono come eventi potenzialmente traumatici (EPT). Rutter (2012), da parte sua, ha teorizzato la resilienza come un concetto dinamico dato dalla continua interazione tra i fattori protettivi e di rischio, portando all'attenzione l'influenza ambientale. Tuttavia, sebbene l'autore (Rutter, 2012) abbia messo in luce la funzione dell'ambiente nel processo di resilienza, sono gli approcci più ecologici e sociali (Anaut, 2005; Cyrulnik, 2001; Cyrulnik & Malaguti, 2015; Malaguti, 2012; Walsh, 2016) che hanno enfatizzato e dato maggiore importanza ai fattori contestuali, sociali, familiari e relazionali nella definizione del processo di resilienza. In particolare, secondo Cyrulnik (2001), posti i fattori di protezione, il processo non può avvenire che nell'ambito di relazioni significative. Nello specifico, l'autore distingue tre elementi fondamentali che rendono conto, nell'insieme, del processo: 1- le esperienze pregresse nell'infanzia e nella storia personale dell'individuo, la qualità dei legami di attaccamento e la capacità di mentalizzazione; 2- il trauma e le sue caratteristiche (strutturali, contingenti ed emotive e sociali); 3- la possibilità di risignificare la tragedia avvenuta attraverso il sostegno affettivo e la relazione d'aiuto, descritta, genericamente come l'incontro con l'Altro. Secondo l'autore, la persona costruisce nel proprio passato, in particolar modo durante l'infanzia, attraverso il legame di attaccamento sufficientemente sicuro, le risorse e la capacità di mentalizzazione utili per affrontare e risignificare il trauma. È in questo spazio relazionale quindi che la persona forma una rappresentazione di Sé come persona amabile, capace di affidarsi e di costruire relazioni forti e significative anche in futuro. La capacità e la possibilità di costruire queste relazioni sono viste come le condizioni che possono aiutare la persona a riconoscere le risorse da attivare per superare la profonda ferita incisa dall'esperienza traumatica e per ristabilire un equilibrio nella propria esistenza. Nell'ultima fase della sua teoria l'autore specifica l'importanza di una figura che chiama tutore di sviluppo o di resilienza, le cui caratteristiche e funzioni sono approfonditamente delineate nella pubblicazione di Lighezzolo, Marchal, & Theis (2003). Secondo gli autori, il tutore di resilienza deve favorire un processo di autonomia e ri-strutturazione del sé, trasmettere sapere, fornire esempi e modelli che permettano e legittimino l'errore; non deve quindi ricoprire un ruolo insostituibile e onnipotente. Il tutore di resilienza, sia esso una persona adulta informale o una figura istituzionalizzata nel sistema di cura e presa in carico della persona, è una risorsa esterna che coadiuva nel processo di resilienza. In questo ultimo caso, la formazione e la definizione del ruolo dell'operatore nel processo di presa in carico contribuiranno alla costruzione di un efficace intervento sociale e clinico per la promozione della resilienza nell'assistito (Manciaux, 2001). Negli ultimi anni, una serie di rassegne internazionali (Agaibi & Wilson, 2005; Siriwardhana, Ali, Roberts, & Stewart, 2014; Sleijpen, Boeije, Kleber, & Mooren. 2016) e in Italia (Tessitore & Margherita, 2017), hanno tentato di sistematizzare i risultati degli studi sul processo di resilienza nell'esperienza potenzialmente pluritraumatica della migrazione, con particolare attenzione alla condizione esistenziale di rifugiato. I risultati evidenziano e si concentrano, soprattutto, sui principali fattori di rischio e quelli protettivi che possono intervenire nel processo di resilienza a seguito di queste esperienze pluritraumatiche. In questi lavori emerge, tuttavia, la necessità per la ricerca di individuare strategie e procedure per interventi e pratiche mirati ed efficaci a promuovere il processo di resilienza nei contesti dell'accoglienza. In particolare, rispetto al contesto italiano si riscontra che sono stati svolti pochi studi sul tema, ancora da approfondire (Tessitore & Margherita, 2017). L'analisi approfondita delle pratiche costruite e messe in atto nell'ambito dell'accoglienza negli ultimi anni in Italia risulta rilevante per una sistematizzazione di conoscenze e competenze e utili per la progettazione di interventi psicosociali efficaci. La presente ricerca si poneva l'obiettivo di studiare, se e in che misura, le pratiche dell'accoglienza e le strategie di intervento messe in atto nel sistema CAS di Parma e Provincia abbiano favorito un processo di resilienza nei richiedenti asilo accolti. Inoltre, si poneva l'obiettivo di comprendere se e in che modo l'operatore dell'accoglienza potesse svolgere una funzione di tutore di resilienza. Poiché basandosi sulla teorizzazione di Cyrulnik (2001), l'esito del processo di resilienza è dato dall'interazione dei fattori protettivi individuali, dalla qualità/intensità del trauma e/o comunque delle situazioni avverse e dall'incontro con i possibili tutori di resilienza, il progetto si è sviluppato in due fasi e ha tenuto conto sia dell'esperienza dei richiedenti asilo sia di quella degli operatori. Rispettivamente, nella prima fase l'obiettivo della ricerca si proponeva di individuare le risorse/vincoli personali presenti nella biografia dei richiedenti asilo, i vissuti emotivi e la qualità dei legami stabiliti nel passato, di individuare le risorse/vincoli messe in gioco durante il viaggio e, infine, di individuare le risorse/vincoli con funzione protettiva dal momento dell'arrivo in Italia e in particolare nel CAS di residenza e nella relazione con gli operatori. Nella seconda fase, la ricerca mirava a individuare le risorse e le competenze, rintracciabili nelle biografie degli operatori dei CAS messe in gioco nella pratica professionale e di conoscere le loro motivazioni alla base della scelta professionale, e a comprendere il significato e l'uso consapevole della relazione con i richiedenti asilo nella loro pratica professionale e, infine, a valutare la qualità della loro vita professionale tenendo conto del forte carico emotivo dovuto alla relazione con i richiedenti asilo e il loro vissuti traumatici. 2. Migrazione ed Europa: Una revisione sistematica sulla promozione della resilienza dei richiedenti asilo negli Stati membri dell'Unione Europea. La migrazione è un fenomeno complesso determinato dall'interazione di fattori di espulsione e di attrazione. L'Europa ha sempre svolto un ruolo di attrazione nei flussi migratori. Negli ultimi anni, le direttive per gli Stati membri hanno mirato a promuovere il benessere dei richiedenti asilo. È importante sviluppare la resilienza per raggiungere il benessere delle persone. L'obiettivo della revisione sistematica è stato quello di esplorare come viene studiata la resilienza nei richiedenti asilo nei paesi dell'UE. Sono stati consultati i database internazionali PsycINFO, PubMed, Web of science, Scopus, MEDLINE, Psychology e behavioural collection. Gli articoli sono stati analizzati secondo i criteri PRISMA. Sono stati ottenuti 12 articoli. Dall'analisi qualitativa sono emersi tre approcci principali e quattro principi teorici fondamentali che potrebbero guidare lo studio della resilienza in contesti migratori. Lo studio della resilienza può essere orientato verso un approccio clinico, clinico e sociale o psicosociale. Inoltre, la ricerca ha tenuto conto della necessità di costruire una nuova narrazione di sé e della propria storia nei richiedenti asilo, di restituire agency ai richiedenti asilo, di valorizzare il proprio contesto culturale e quello del paese ospitante e di promuovere una democratizzazione del sistema istituzionale di accoglienza. Si suggeriscono implicazioni per le politiche degli Stati membri dell'UE coinvolti in prima linea nella gestione dell'accoglienza in Europa. Data la limitata letteratura sull'argomento, questa rassegna suggerisce una nuova e originale visione di presa in carico dei richiedenti asilo attraverso una maggiore implementazione di interventi focalizzati sull'individuo e sulle sue risorse. 3. Promozione della salute psicosociale nei migranti: una revisione sistematica della ricerca e degli interventi sulla resilienza nei contesti migratori. La resilienza è identificata come una capacità chiave per prosperare di fronte a esperienze avverse e dolorose e raggiungere un buono stato di salute psicosociale equilibrato. Questa revisione mirava ad indagare come la resilienza è intesa nel contesto della ricerca sul benessere dei migranti e come gli interventi psicosociali sono progettati per migliorare la resilienza dei migranti. Le domande della ricerca hanno riguardato la concettualizzazione della resilienza, le conseguenti scelte metodologiche e quali programmi di intervento sono stati indirizzati ai migranti. Nei 63 articoli inclusi, è emersa una classica dicotomia tra la resilienza concettualizzata come capacità individuale o come risultato di un processo dinamico. È anche emerso che l'importanza delle diverse esperienze migratorie non è adeguatamente considerata nella selezione dei partecipanti. Gli interventi hanno descritto la procedura ma meno la misura della loro efficacia. 4. Il sistema d'accoglienza straordinaria di Parma e provincia: soddisfazione e benessere percepito dai migranti accolti. I servizi e le progettualità messi in atto nei CAS mirano a favorire integrazione, autonomia e benessere. Questi obiettivi si strutturano sull'attivazione e promozione di risorse dei richiedenti asilo. Nello specifico, vanno ad innestarsi sulle loro abilità, sulle conoscenze, sulle competenze, sulla loro agency e sulla capacità di proiettarsi verso un futuro. Poiché i richiedenti asilo sono i principali attori e fruitori di questi servizi, la valutazione di efficacia e di raggiungimento degli obiettivi preposti deve tenere conto necessariamente del loro punto di vista. I richiedenti asilo che hanno partecipato allo studio erano circa il 20% della popolazione dei richiedenti asilo adulti presenti nel territorio di Parma e provincia. Per la stratificazione del campione si è tenuto conto della variabile del paese di origine, della collocazione sul territorio provinciale (distretto) e il tempo di permanenza nel sistema CAS. È stato costruito un questionario ad hoc che mirava ad indagare la percezione di autonomia, di benessere personale, di soddisfazione verso sé stesso, la percezione di essere rispettato nelle proprie tradizioni culturali e la soddisfazione verso il servizio. Il questionario constava di una parte introduttiva, che forniva una breve descrizione al partecipante delle finalità d'indagine, e di diverse sezioni, che indagavano e approfondivano specifiche aree (temi) di interesse. Le prime due aree hanno rilevato i dati socio-anagrafici e il viaggio dei richiedenti asilo. La terza e la quarta area hanno indagato l'accoglienza nel centro e la struttura in cui risiedeva il beneficiario. Le altre aree si sono concentrate sui servizi primari (beni e servizi di prima necessità, assistenza medica) e servizi secondari (assistenza legale, lingua italiana, sostegno psicosociale, lavoro, mediazione culturale, orientamento al territorio e tempo libero) che gli venivano offerti. Le ultime sezioni si focalizzavano sul rapporto con gli operatori, sul progetto individualizzato e sui propri piani futuri. Alla fine del questionario vi era una breve sezione che mirava ad indagare la soddisfazione generale verso l'intero processo di accoglienza in Italia e la specifica esperienza nel territorio di Parma e provincia. Sono state effettuate delle analisi ed elaborazioni statistiche descrittive tramite il software SPSS. Dal questionario è emerso un quadro complessivo dei servizi offerti e una mappatura delle pratiche messe in atto all'interno delle strutture a partire dal punto di vista dei richiedenti asilo. Questi hanno espresso una generale soddisfazione del sistema accoglienza in Italia e in particolare di quella ricevuta a Parma. Hanno riportato un senso di protezione e sicurezza e una generale percezione di capacità e autonomia raggiunta in molti dei servizi e ambiti della quotidianità. Le aree più critiche sono risultate essere l'assistenza legale, l'avviamento lavorativo, la creazione di relazioni sociali con italiani nel tempo libero, la progettazione individualizzata e in particolare il sostegno psicosociale e, infine, la progettazione futura. In queste aree i richiedenti asilo hanno espresso una bassa soddisfazione verso il servizio di sostegno ricevuto, una scarsa consapevolezza di sé e delle proprie capacità e una bassa percezione di un'autonomia conquistata dal singolo servizio e, più in generale, dalla struttura d'accoglienza. 5. Vissuti, fattori di protezione e fattori di rischio nelle biografie dei richiedenti asilo: la definizione di traiettorie di resilienza nei Centri d'Accoglienza Straordinaria. I richiedenti asilo sono portatori di storie potenzialmente traumatiche a seguito delle quali possono vivere distress psicologico e PTSD nel paese d'accoglienza. Qui vengono inseriti in programmi che mirano a favorire benessere psicologico e integrazione. Tale processo è definito resilienza, La resilienza è un processo che vede le persone impegnate a guarire da esperienze dolorose, a prendersi cura della propria vita per continuare a svilupparsi positivamente in modo socialmente accettabile. Il presente studio mira a comprendere i fattori di protezione e le risorse personali e sociali che possono favorire il superamento dei traumi e un processo di resilienza nei richiedenti asilo. Sono stati somministrati 29 test CORE-10 e questionari costruiti ad hoc per il sostegno sociale percepito e condotte altrettante interviste in profondità. Con risultati moderati e gravi di distress psicologico nei partecipanti, sono emersi fattori protettivi e risorse già nella fase pre-migratoria. I legami di accudimento sembrano svolgere una funzione protettiva anche durante l'accoglienza, favorendo la costruzione di rapporti di fiducia. Il supporto sociale della comunità d'accoglienza e quello degli operatori nei centri possono influenzare la definizione di traiettorie resilienti. Lo studio solleva implicazioni di tipo clinico e sociale. Nei suoi limiti lo studio vuole essere un'apertura a nuovi approfondimenti di ricerca. 6. La qualità della vita professionale di chi lavora con i richiedenti asilo: Compassion Staisfaction, Burnout e Secondary Traumatic Stress negli operatori dell'accoglienza In Italia negli ultimi anni sono stati strutturati Centri di Accoglienza Straordinaria per rispondere ai bisogni primari e secondari dei richiedenti asilo approdati sulle coste mediterranee. A seguito dell'apertura dei CAS, sul territorio nazionale si è formato un nuovo corpo professionale, i professionisti dell'accoglienza. Poiché inizialmente non è stata richiesta una formazione specifica in base al contesto e agli obiettivi posti, il loro profilo professionale derivava tendenzialmente dai diversi percorsi formativi e lavorativi precedenti. Considerando il mandato istituzionale del loro lavoro, quale favorire l'accoglienza e una completa presa in carico dei richiedenti asilo, i professionisti dell'accoglienza sono quotidianamente coinvolti nella relazione con gli accolti ed esposti ai racconti traumatici o ai sintomi agiti di questi. Infatti, i richiedenti asilo sono persone spesso profondamente traumatizzate dalle esperienze passate, dal viaggio, ma anche disorientate e impreparate per la complessa esperienza dell'accoglienza e dell'integrazione. Questo aspetto del lavoro con i richiedenti asilo può influenzare il clima e la qualità della vita professionale dei professionisti dell'accoglienza. Infatti, come nelle altre professioni d'aiuto continuamente esposte a eventi stressanti o traumatici, anche nel lavoro di cura e accoglienza dei richiedenti asilo è alto il rischio di sviluppare i sintomi negativi associati al burnout e al trauma vicario. Sebbene, negli ultimi venti anni, la qualità della vita professionale sia stata ampiamente approfondita in diversi settori, non risultano studi che esplorino questo tema tra i professionisti del settore dell'accoglienza. In questo studio è stato sottoposto il questionario ProQOL 5 ai professionisti dell'accoglienza dei Centri di Accoglienza Straordinaria di Parma e provincia, attivamente coinvolti nella relazione d'aiuto con i richiedenti asilo, con lo scopo di definire lo stato di benessere psicosociale rispetto alla loro qualità di vita professionale. Anche se si è dimostrato che mediamente i professionisti dell'accoglienza riportano una buona soddisfazione nello svolgere il proprio lavoro, sono emersi tre profili. Il primo gruppo sembra esprimere soprattutto Burnout, il secondo gruppo una maggiore Compassion Satisfaction e il terzo gruppo un malessere evidente sia per il Burnout che per il Secondary Traumatic Stress. I dati ottenuti permettono di colmare parzialmente un vuoto nella letteratura di settore. Inoltre, la rilevanza dei dati spinge alla riflessione sulla possibilità di incoraggiare interventi efficaci di prevenzione e management delle organizzazioni, al fine di favorire il benessere psicosociale di questo corpo professionale emergente. 7. Essere professionisti dell'accoglienza: l'importanza di un uso consapevole del Se' nella relazione d'aiuto e la funzione del tutore di resilienza. All'interno dei CAS sono stati impiegati professionisti di differenti background formativi ed esperienziali. Appannaggio degli operatori è l'attivazione dei servizi interni ed esterni e il monitoraggio di tutte le fasi del progetto di accoglienza. La presa in carico si configurerebbe come una relazione d'aiuto possibile attraverso la compresenza di diversi aspetti di Sé. Chi lavora con i richiedenti asilo deve affrontare e gestire vissuti potenzialmente traumatici che influenzano il buon esito dell'intervento clinico-sociale. Nel favorire benessere psicologico nei beneficiari, gli operatori svolgono funzioni che richiamano quelle del tutore di resilienza. In questo studio si è esplorata la rappresentazione dei professionisti dell'accoglienza e la consapevolezza di Sé a partire dal loro punto di vista. Sono stati condotti tre focus group e le trascrizioni verbatim sono state analizzate secondo l'approccio IPA. Sono emersi tre aspetti del Sé (Sé personale, Sé professionale e Sé burocrate). Il Tempo e il Contesto sociale sono risultate possibili variabili che influenzano la relazione d'aiuto. Lo studio propone implicazioni di ricerche future e di policy. 8. Conclusioni Negli anni il sistema italiano dell'accoglienza si era ormai rodato e formalizzato su due principali dispositivi: il sistema SPRAR e i cosiddetti Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS). Tuttavia, negli ultimi due anni, con il cosiddetto decreto Salvini (D.lg. 4/19/2018 n° 113), si è assistito ad un graduale ridimensionamento dei numeri degli accolti e ad una conseguente chiusura di strutture del sistema CAS. Pertanto, assume rilevanza e importanza capitalizzare le esperienze di accoglienza e comprenderne maggiormente le potenzialità e i limiti. Con la presente ricerca e le analisi delle pratiche d'accoglienza e delle progettualità messe in atto all'interno del sistema CAS sono emersi due risultati principali. Il primo risultato emerso è che i richiedenti asilo accolti abbiano consapevolezza delle risorse e dei fattori protettivi che hanno acquisito nell'arco di vita. Inoltre, si è evidenziata una forte e imprescindibile interdipendenza tra i vissuti psicologici, i bisogni e le risorse dei richiedenti asilo e la funzione relazionale dell'operatore dell'accoglienza. Dalla ricerca è emerso che il valore di tale interdipendenza, non essendo riconosciuto formalmente e quindi esplicitamente richiamato nelle norme e regolamentazioni, era dipeso da un reciproco riconoscimento dei richiedenti asilo accolti e degli operatori. Tuttavia, questa relazione, se opportunamente strutturata e formalizzata, può favorire la definizione di traiettorie di resilienza e il raggiungimento degli obiettivi di integrazione, autonomia e benessere psicosociale. Al momento in cui è stata condotta la ricerca, questi obiettivi erano parzialmente raggiunti. Infatti, sebbene nel sistema d'accoglienza i richiedenti asilo abbiano percepito di essere in un luogo sicuro e protetto e fossero generalmente soddisfatti dei servizi offerti, hanno riportato livelli medio-alti di disagio psicologico. Il valore traumatico delle loro esperienze di vita è stato esplorato e compreso nella sua diacronicità, in quanto i vissuti traumatici sono rintracciabili non solo durante il viaggio ma già nelle esperienze pre-migratorie. Le biografie dei richiedenti asilo sono segnate da profonde ferite, che spesso risalgono a perdite, lutti o tradimenti da parte delle figure significative dell'infanzia o della comunità allargata, fino a sentirsi espulsi dalle politiche disattente degli Stati d'appartenenza. Anche l'arrivo in Italia e l'inserimento nel sistema d'accoglienza comportano sfide esistenziali, che in alcuni casi arrivano a reiterare esperienze traumatiche passate. Nonostante questo, i richiedenti asilo hanno mostrato consapevolezza delle proprie risorse e dei fattori di protezione acquisiti già durante l'infanzia, attraverso le relazioni significative e di accudimento. Queste risorse hanno svolto una funzione di protezione e sostegno nel loro sforzo psicologico di fronteggiare e sopravvivere alle avversità incontrate in tutto l'arco di vita. Nonostante la loro consapevolezza e tenuto conto della permanenza relativamente lunga nel sistema d'accoglienza, è risultato che le esperienze traumatiche non trovano uno spazio adeguato di ascolto e di ri-significazione una volta inseriti nei progetti di accoglienza. Le caratteristiche strutturali e organizzative del sistema non sembrano favorire quell'incontro con l'Altro che può garantire la rielaborazione delle esperienze passate e riattribuire senso e agency alla propria vita, anche nella quotidianità. Al contrario, i richiedenti asilo sono consapevoli di ritrovarsi in una posizione di svantaggio rispetto al potere decisionale sui loro progetti di vita. Non sono coinvolti nelle scelte progettuali e non percepiscono una crescita personale nelle competenze e nelle capacità necessarie per rendersi autonomi. Tuttavia, i richiedenti asilo riconoscono negli operatori degli interlocutori diretti che svolgono un ruolo di congiunzione con la società ospitante. Nello svolgimento del proprio ruolo, gli operatori possono aprirsi ad un ascolto attivo di tutte le parti della biografia dei richiedenti asilo per costruire un rapporto di fiducia. Al fine di favorire la costruzione di tale rapporto, è importante che gli operatori nella loro pratica quotidiana mirino a riattribuire agency ai richiedenti asilo, coinvolgendoli nella progettazione individualizzata. Ciò favorirebbe la valorizzazione e l'attivazione delle risorse dei richiedenti asilo, l'instaurarsi di relazioni di fiducia che consentano la ricostruzione di significato delle proprie esperienze traumatiche di vita e la restituzione di una rappresentazione di Sé attiva e agente. In generale, si otterrebbe una maggiore adesione al progetto d'accoglienza. Inoltre, la valorizzazione della funzione relazionale degli operatori dell'accoglienza favorirebbe una maggiore qualità di vita professionale. I professionisti avrebbero così la possibilità di riconoscere e far riconoscere il proprio ruolo, che è stato profondamente messo in discussione dalla comunità e dalle politiche degli ultimi anni. Quindi, l'ascolto attivo, la riattribuzione di agency e l'esempio nella quotidianità da parte degli operatori favorirebbero il riconoscimento del loro ruolo come tutori di resilienza e promuoverebbero la definizione di traiettorie di resilienza. In questo modo si faciliterebbe il raggiungimento di uno stato di salute psicosociale nei richiedenti asilo. La legittimazione del ruolo funzionale della relazione tra i richiedenti asilo e gli operatori dell'accoglienza da parte del contesto sociale e istituzionale diventa un fattore necessario allo sviluppo di buone pratiche d'accoglienza e alla promozione di traiettorie di resilienza. 9. 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2009/2010 ; Lo scopo di questa ricerca di dottorato è l'analisi geopolitica di una regione transfrontaliera dell'Asia centrale: la valle del Fergana. Tre anni di ricerca sul campo: l'analisi delle frontiere di questa regione attualmente divisa politicamente tra Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan, la cartografia analitica, le osservazioni, le interviste alla popolazione e agli esperti, la ricerca nelle biblioteche della regione, nella capitale dell'Uzbekistan, Tashkent (presso l'Istituto Francese di Studi sull'Asia centrale – IFEAC) e la ricerca svolta in Francia principalmente presso l'Istituto Francese di Geopolitica (IFG) e la Biblioteca Nazionale di Francia (BNF), sono gli strumenti che hanno permesso lo studio di questo territorio. Il principale obiettivo del lavoro è l'analisi delle rivalità di potere della valle del Fergana. Grazie alla sua fertilità e alla sua importante posizione strategica all'interno del contesto geopolitico centrasiatico, il bacino del Fergana è stato e continua tuttora ad essere una posta in gioco ambita da differenti attori territoriali. La rivalità di potere tra i diversi attori si gioca soprattutto sullo scenario transfrontaliero della regione. Il secondo scopo di questa ricerca è la presentazione e la valutazione di un particolare attore territoriale della valle, il Regionalismo culturale. La parte introduttiva della ricerca si concentrerà su una presentazione del contesto centrasiatico e sulle peculiarità derivanti dalle sue frontiere. In seguito verrà introdotta la "posta in gioco" Fergana con le sue risorse fisiche ed economiche al fine di legittimare l'importanza del territorio. Infine l'introduzione si concluderà con la teoria geopolitica: il perché della scelta della scuola di geopolitica del geografo francese Yves Lacoste per questa ricerca e una prima analisi dello spazio Fergana come regione divisa tra confine e frontiera. Il lavoro è strutturato in due grandi parti. La prima, più teorica, è relativa all'analisi dei tre attori territoriali. Le rappresentazioni dei differenti attori che verranno presentate, non seguiranno un ordine cronologico, ma un ordine concettuale: eventi simultanei verranno dunque analizzati non nello stesso momento, perché relativi a rappresentazioni differenti del territorio Fergana. Il primo capitolo è consacrato all'attore Nazione. Con questa espressione si intende non solo l'attore Stato-Nazione in sé, o meglio gli Stati-Nazione (Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan), ma anche la Nazione come idea, come politica nazionalistica applicata ad un territorio. La valle del Fergana è diventata una regione transfrontaliera da quando, negli anni '20, fu divisa tra i tre Stati, allora all'interno della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Negli anni '90, in seguito alla caduta dell'URSS, il Fergana divenne una regione divisa da frontiere non più interne ma internazionali. Questo capitolo ha come scopo l'analisi di tutte le rappresentazioni dell'attore Nazione per quanto riguarda il contesto Fergana, dalla sua nascita (anni '20) fino all'indipendenza delle Repubbliche (anni '90). Sicuramente la rappresentazione più importante da analizzare è quella della creazione delle sue frontiere. L'attore Nazione è senza dubbio l'attore geopolitico più importante anche perché quello più legittimato in questo contesto territoriale. Il capitolo approfondirà anche le relazioni tra i differenti Stati-Nazione che rappresentano allo stesso tempo: un unico attore (contro la Religione e il Regionalismo culturale) e tre attori differenti quando competono tra loro per il territorio Fergana. Il secondo attore è la Religione. La valle del Fergana è una delle aree centrasiatiche più credenti e praticanti e la religione islamica ha sempre avuto un ruolo importante nella gestione della società ferganiana. Verrà proposta un'analisi di tutte le rappresentazioni della religione nel Fergana: il sufismo autoctono con un'analisi sulla geografia sacra dei luoghi ferganiani importanti per questa corrente dell'Islam; l'Islam tradizionale del periodo sovietico, divenuto un'arma legale utilizzata da Mosca per combattere l'ortodossia religiosa sufi del Fergana; il fondamentalismo wahabbita degli ultimi anni importato dall'Afghanistan, dal Pakistan, dall'Arabia Saudita, come conseguenza dell'invasione sovietica dell'Afghanistan del 1979 e dunque in seguito all'incontro tra i musulmani sovietici e i mujaheddin afgani. In seguito verrà analizzato come le differenti varianti dell'attore Religione si sono opposte, negli anni, all'attore Nazione per il controllo del potere e delle risorse del territorio Fergana. Un fenomeno particolarmente analizzato sarà la politicizzazione dell'attore Religione e come questa politicizzazione ha portato l'attore in questione ad essere l'elemento protagonista di numerosi eventi nel Fergana. Il terzo attore è il Regionalismo culturale. Con questa espressione si fa riferimento all'identità geo-culturale di questo insieme regionale che persiste nonostante le pressioni nazionalistiche e religiose. La valle del Fergana è sempre stata un insieme geografico, politico, sociale, malgrado negli ultimi secoli la sua popolazione si è sempre distinta per il suo alto livello di multietnicità e di disomogeneità linguistica. Questo però, non ha impedito un'amalgamazione sociale di tale popolazione che ha sempre considerato la multietnicità come la normalità e ha sempre attribuito ad ogni "etnia" un ruolo sociale integrato all'interno del sistema Fergana. Popolazioni di lingua e cultura persiana e sedentaria e popolazioni di lingua e cultura turca, sedentaria o nomade hanno sempre condiviso, ognuna con il proprio ruolo sociale, una vita comunitaria all'interno della regione e questa è sicuramente la caratteristica principale del Regionalismo culturale del Fergana. Questo equilibrio cambiò con la perdita di sovranità politica della regione, con l'istituzione dei nazionalismi e la conseguente spartizione della regione tra tre dei cinque nuovi Stati nazionali dell'Asia centrale sovietica. In questo capitolo verranno analizzate le principali rappresentazioni nel tempo dell'attore Regionalismo culturale e come esso si sia opposto agli altri attori territoriali, soprattutto all'attore Nazione. La seconda parte di questo lavoro è stata dedicata all'impatto che gli attori territoriali hanno oggi nella valle del Fergana, soprattutto nelle sue aree di frontiera. Questa parte è il risultato delle interviste e delle osservazioni sul campo effettuate in Asia centrale e in particolare nel Fergana nelle spedizioni del 2007, 2009 e del 2010. Nel primo capitolo verrà analizzata la frontiera di questa regione dal punto di vista teorico, in particolar modo con l'analisi del Fergana come" prima o ultima linea di difesa". Nel secondo capitolo, all'interno di un contesto di base: la differenza tra la frontiera all'epoca sovietica e all'epoca dell'indipendenza, ci sarà un approfondimento della definizione di frontiera centrasiatica, l'esame della burocrazia di frontiera, del posto di blocco e dei documenti del soggetto transfrontaliero. Saranno trattate, inoltre, le tematiche relative alle relazioni commerciali transfrontaliere, come i "tre" Fergana riescono ancora ad interagire malgrado la crescente rigidità delle frontiere e verranno studiate le relazioni sociali transfrontaliere sempre all'interno del panorama ferganiano di oggi. In questo contesto, verranno considerate le interviste svolte nel Fergana, le opinioni riguardo le difficoltà di passaggio e di comunicazione nella valle ed analizzeremo la presenza dei tre attori geopolitici che tuttora giocano un ruolo fondamentale nelle relazioni e nei conflitti di frontiera. Il terzo capitolo sarà dedicato ai centri urbani del Fergana; la loro storia, il rapporto dei ferganiani con le città e soprattutto le rappresentazioni interne ed esterne che i centri urbani hanno assunto all'interno di una regione oggi del tutto transfrontaliera. Il quarto capitolo si concentrerà sulle evoluzioni demografiche della popolazione: il Fergana, che durante gli anni zaristi e sovietici era terra di immigrazione, con l'indipendenza e dunque con la concretizzazione delle frontiere, si ritrova terra di emigrazione. Il quinto capitolo sarà dedicato al Fergana delle infrastrutture: come la strada ferrata e la rete stradale influiscono e sono influenzate dalle mutazioni frontaliere di questa regione. Il sesto capitolo riprenderà degli interrogativi teorici posti all'inizio del lavoro, con un analisi conclusiva sull'odierno "Fergana delle frontiere". La conclusione di questa ricerca, in realtà, è una vero e proprio capitolo di analisi, dove si farà il punto della situazione e si constaterà la persistenza dell'attore Regionalismo culturale, la sua evoluzione e il suo rapporto attuale con gli altri attori geopolitici. Un punto di arrivo fondamentale della ricerca è il fatto che la regione Fergana è cambiata, sotto differenti punti di vista e la popolazione ferganiana ha nuovi punti di riferimento culturali, politici e sociali. Differenti forme politiche e nuove strutture culturali hanno portato la popolazione del Fergana, nel tempo, a mutare la propria immagine e la propria identità: "russa, musulmana, ferganiana", in seguito "sovietica, uzbeca (o tagica o kirghiza), atea, ferganiana" e infine "uzbeca (o tagica o kirghiza), laica, ferganiana". Il territorio, le sue frontiere e la società che lo abita sono cambiati, ma vedremo che, nonostante i forti ostacoli posti dall'attore Nazione, il Regionalismo culturale riuscirà a sopravvivere, adattandosi alle nuove tendenze e ai nuovi modi di interpretare il Fergana. Come ultimo studio sul territorio, faremo degli esempi riguardanti gli eventi più recenti concernenti il Fergana (massacro di Andijan nel 2005, scontri ad Osh nel giugno 2010) ed analizzeremo questi fenomeni alla luce delle rivalità di potere geopolitiche che ancora persistono nella regione. ; Cette thèse de Doctorat propose une analyse géopolitique d'une région transfrontalière de l'Asie centrale, la vallée du Ferghana, aujourd'hui divisée entre les Républiques d'Ouzbékistan, du Tadjikistan et du Kirghizistan. Des séjours sur le terrain répartis sur trois ans ont constitué la base de la recherche, au travers de l'analyse des frontières, de la cartographie analytique, d'entretiens qualitatifs avec experts et habitants, et de recherches bibliographiques dans le Ferghana ainsi que dans la capitale ouzbèke Tachkent – notamment près l'Institut Français d'Etudes sur l'Asie Centrale (IFEAC). Ces périodes de terrain ont été complétées par un séjour de recherche en France, articulé principalement autour d'un approfondissement théorique à l'Institut Français de Géopolitique (IFG) de l'Université Paris VIII-Vincennes et de recherches bibliographiques à la Bibliothèque Nationale de France. L'objet de ce travail est donc l'analyse des rivalités de pouvoir entre les acteurs territoriaux sur l'enjeu territorial de la vallée du Ferghana, bassin fertile à la position stratégique dans le contexte géopolitique centrasiatique élargi. Si le Ferghana a toujours constitué un enjeu disputé par différents acteurs territoriaux, les rivalités des acteurs actuels jouent aujourd'hui surtout au niveau frontalier et transfrontalier. Ce faisant, cette thèse introduit un nouvel acteur dans le schéma d'analyse géopolitique classique: le Régionalisme culturel. Le Régionalisme culturel en tant qu'acteur territorial y fait donc l'objet d'une présentation approfondie ainsi que d'une évaluation de son importance passée et actuelle. Concentrée d'abord sur le contexte centrasiatique et les particularités qui découlent de ses frontières, l'introduction présente ensuite « l'enjeu » Ferghana et ses ressources physiques et économiques, qui expliquent l'importance de ce territoire. Elle se poursuit sur un rapide point théorique sur la géopolitique et la justification du choix de l'école de pensée géopolitique de Yves Lacoste comme cadre théorique de cette recherche, avant de s'achever sur une première analyse de l'espace Ferghana à l'aune des catégories de frontières et de confins. La thèse est structurée en deux grandes parties. La première, à dominante théorique, analyse à tour de rôle les trois acteurs territoriaux qui rivalisent pour le pouvoir sur le Ferghana: il s'agit de la Nation, de la Religion, et du Régionalisme culturel. La présentation des acteurs, de leurs différentes incarnations et de leurs représentations respectives du territoire ferghanien sont ainsi abordés selon un ordre conceptuel ; des évènements s'étant produits simultanément ne sont ainsi pas analysés chronologiquement mais séparément, en tant qu'ils se rapportent aux acteurs évoqués. Le premier chapitre est consacré à l'acteur Nation. Par cette expression nous entendons non seulement l'entité effective Etat-Nation et ses trois incarnations (Ouzbékistan, Tadjikistan, Kirghizistan), mais aussi la Nation comme idéologie qui agit sur le territoire au travers de politiques nationalistes. La force de légitimation de l'acteur Nation n'est pas étrangère à l'accroissement de son importance sur ce territoire, qui l'a sans aucun doute mené au sommet de la hiérarchie des acteurs géopolitiques dans cette région. Ce chapitre analyse les représentations du Ferghana définies et mises en oeuvres par l'acteur Nation depuis son apparition dans les années 1920. La vallée du Ferghana est en effet devenue une région transfrontalière à cette époque, avec son intégration à l'Union des Républiques Socialistes Soviétiques (URSS) et sa partition entre trois des cinq Républiques Socialistes Soviétiques nouvellement créées en Asie Centrale. Dans les années 1990, avec la chute de l'URSS et l'indépendance des trois Républiques, les frontières qui divisaient le Ferghana ne sont plus simplement internes, mais deviennent bel et bien internationales. Parmi les représentations majeures qui font l'objet d'une étude dans ce chapitre, une attention particulière est portée aux frontières nationales, leur création et leur évolution. Le chapitre s'intéresse également aux relations entre les différents Etats-Nations, qui constituent un acteur unique lorsqu'ils rivalisent contre les autres acteurs territoriaux – la Religion et le Régionalisme culturel – mais aussi trois acteurs différenciés lorsqu'ils se disputent le territoire Ferghana entre eux. Le deuxième chapitre est consacré au deuxième acteur territorial, la Religion. La vallée du Ferghana est l'une des régions d'Asie centrale les plus croyantes et pratiquantes, et la religion islamique y a toujours eu un rôle important dans la gestion de la société. Ce chapitre propose d'abord une analyse des représentations de la religion dans le Ferghana : le soufisme autochtone et la "géographie sacrée" des hauts lieux de ce courant de l'Islam dans le Ferghana ; l'Islam traditionnel de la période soviétique, devenu une arme légale utilisée par Moscou pour combattre l'orthodoxie soufie du Ferghana ; le fondamentalisme wahabbite récemment apparu, importé d'Afghanistan, du Pakistan et d'Arabie Saoudite à la suite de l'invasion de l'Afghanistan par les Soviétiques en 1979 et de la rencontre qui s'en est ensuivie entre les musulmans soviétiques et les moudjahiddines afghans. Ensuite est examinée la manière dont les différentes variantes de l'acteur Religion se sont opposées, au cours des années, à l'acteur Nation pour le contrôle du pouvoir et des ressources du territoire Ferghana. Nous y voyons comment la rivalité géopolitique entre deux acteurs varie du tout au tout selon que l'on parle de l'acteur Nation au cours de la période Soviétique ou bien au cours de l'ère ayant succédé à l'indépendance. Une attention particulière est portée au phénomène de politisation de l'acteur Religion et à la manière dont cette politisation a amené la Religion à assumer un rôle de protagoniste dans de nombreux évènements du Ferghana. Le troisième acteur est le Régionalisme culturel. Avec cette expression nous faisons référence à l'identité géo-culturelle de cet ensemble régional, qui persiste malgré les pressions nationalistes et religieuses. Car aussi loin que remonte son existence en tant que lieu, la vallée du Ferghana a toujours constitué un ensemble géographique, politique et social à part entière. Bien que sa population se soit distinguée au cours des derniers siècles par une grande multiethnicité et hétérogénéité linguistique, cela n'a pas empêché un amalgame sociétal de cette population qui a toujours considéré la multiethnicité comme normale, et toujours a attribué à chaque « ethnie » un rôle social déterminé au sein du système Ferghana. Qu'elles soient de langue et de culture persane et sédentaire, de langue et de culture turque et sédentaire, ou bien de langue et de culture turque et nomade, ces populations ont toujours partagé, chacune dans son propre rôle social, une vie communautaire au sein de la région, et ce phénomène est la caractéristique principale de ce que nous appelons le Régionalisme culturel du Ferghana. Cependant, cet équilibre change avec la perte de souveraineté politique de la région, l'avènement du nationalisme sous l'action de l'URSS, et la partition de l'espace entre trois Etats nations de l'Asie centrale soviétique. Ce chapitre analyse ainsi les principales représentations de l'acteur Régionalisme culturel au cours du temps, et comment il s'est opposé aux autres acteurs territoriaux, en particulier à l'acteur Nation. La seconde partie de ce travail est dédiée aux manifestations actuelles des acteurs territoriaux dans la vallée du Ferghana, plus spécialement dans ses zones de frontière. Cette partie est le résultat des entretiens et des observations de terrain réalisés en Asie centrale et dans le Ferghana au cours de séjours en 2007, 2009 et 2010. Le premier chapitre analyse la frontière de cette région du point de vue théorique, à la lumière notamment des catégories géostratégiques de "première ligne de défense" ou "dernière ligne de défense". Dans le contexte d'une modification de la frontière entre l'époque soviétique et celle de l'indépendance, le deuxième chapitre approfondit la définition de frontière centrasiatique, au travers principalement de l'analyse de la bureaucratie de frontière, des postes de contrôle et des documents requis pour le passage de la frontière. Les thématiques liées aux relations commerciales transfrontalières y sont examinées : comment les "trois" Ferghana parviennent encore à interagir malgré la rigidité croissante des frontières, quelles relations sociales transfrontalières subsistent au sein du Ferghana d'aujourd'hui. Les entretiens qualitatifs réalisés dans le Ferghana jouent un rôle majeur pour recenser les difficultés de passage et de communication dans la vallée et déceler, dans les descriptions et jugements recueillis, la présence des trois acteurs géopolitiques qui toujours jouent un rôle fondamental dans les relations et conflits de frontière. Le troisième chapitre est dédié aux centres urbains du Ferghana : leur histoire, le rapport que les Ferghaniens entretiennent avec eux, et surtout les représentations internes et externes que les centres urbains assument au sein d'une région désormais tout à fait transfrontalière. Le quatrième chapitre se concentre sur les évolutions démographiques de la population. Jusque là terre d'immigration tout au long des années tsaristes et soviétiques, le Ferghana est devenu une terre d'émigration avec l'indépendance et la concrétisation des frontières. Le cinquième chapitre s'intéresse au Ferghana des infrastructures, notamment les réseaux ferré et routier, et leur rapport d'influence réciproque mutations frontalières de cette région. Le sixième chapitre reprend les interrogations théoriques posées dans l'introduction et développe une analyse conclusive sur le Ferghana des frontières aujourd'hui. La conclusion de cette recherche dresse le bilan actuel du Ferghana et des rapports entre les différents acteurs géopolitiques, et observe la persistance de l'acteur Régionalisme culturel. Force est de constater l'existence de changements dans la région Ferghana à différents points de vue. La population ferghanienne dispose de nouveaux cadres de référence culturels, politiques et sociaux qui ont pris une importance majeure. Des nouvelles formes politiques et de structures culturelles ont eu un impact sur son image d'elle-même, sur son identité: "russe, musulmane,ferghanienne", puis "soviétique, ouzbèke (ou tadjike ou kirghiz), athée, ferghanienne", et enfin "ouzbèke (ou tadjike ou kirghiz), laïque, ferghanienne". Cependant, bien que le territoire, ses frontières et la société qui l'habite aient changé, et malgré les obstacles forts posés par l'acteur Nation, que Régionalisme culturel a réussi à survivre, en s'adaptant aux nouvelles tendances et aux nouveaux modes d'interprétation du Ferghana. La conclusion s'achève sur les évènements les plus récents du Ferghana; massacre d'Andijan en 2005 et affrontements à Osh en juin 2010, qui sont analysés à la lumière des rivalités de pouvoir géopolitique qui persistent encore dans la région. ; This PhD dissertation proposes a geopolitical analysis of a centrasiatic transborder region, the Ferghana Valley, which is today divided between the Republics of Uzbekistan, Tajikistan and Kyrgyzstan. A basis of the research, field trips spread over the past three years enabled the development of instruments such as border analysis, analytical cartography, qualitative interviews with experts and inhabitants, and bibliographical research in the Ferghana as well as the Uzbek capital city Tashkent – noticeably at the French Institute for Central Asian Studies (IFEAC). As a complement to the field trips in Central Asia, a research period in France permitted both a consolidation in geopolitical theory at the French Institute of Geopolitics (IFG) of the University of Paris 8-Vincennes, and additional bibliographical research at the French National Library (BNF). The topic of the research is hence the analysis of power rivalries between "territorial actors" over the "territorial stake" of the Fergana Valley, a fertile basin of strategical location within the larger geopolitical context of Central Asia. Always a stake disputed by various territorial actors over time, the Fergana Valley now experiences power rivalries from contemporaneous territorial actors first and foremost on the border and transborder levels. By doing so, the dissertation introduces a new actor in the classical geopolitical pattern of analysis: the cultural regionalism. The dissertation hence offers a detailed presentation of the cultural regionalism as well as an evaluation of its past and current importance. First focusing on the centrasiatic context and the peculiarities which stem from its borders, the introduction presents the "stake" Fergana and its economic and physical resources which explain its importance as a territory. A rapid summary of the theory of geopolitics follows, with the justification of the choice of the French Lacostian school as the theoretical frame of this work. The introduction closes on a first analysis of the Fergana as a space of border or frontier. The thesis is structured in two main parts. The first, more theoretical, analyses each of the three territorial actors which aim for power over the Fergana: the Nation, the Religion, and the Cultural Regionalism. The presentation of the actors, of their respective embodiments and of their manifestations within the ferganian territory is organised according to a conceptual rationale; events that occurred simultaneously are thus not considered following a chronological order, but separately, according to their respective relations with the actors evoked. The first chapter focuses on the actor Nation. By this word we understand not only the effective entity of the Nation-State, and its three embodiments (Uzbekistan, Tajikistan, Kyrgyzstan), but also the Nation as an ideology which acts upon the territory through nationalistic policies. The force of legitimation of the actor Nation did certainly not have a neutral role in the rise of this actor in the Ferganian landscape, a process which led the Nation to the top of the geopolitical actors' hierarchy in the region. This chapter also analyses the representations of the Fergana which are defined and implemented by the actor Nation since its birth in the 1920s. In fact, the Fergana valley first became a transborder region only in these years, through its integration to the Union of the Socialist Soviet Republics (USSR) and its partition between three of the five newly created Socialist Soviet Republics in Central Asia. In the 1990s, following the fall of the USSR and the independence of the three Republics, the borders which divided the Ferghana stopped being only internal, but became real and proper international borders. Among the main representations that this study looks at, a particular attention is devoted to the study of the national borders , their creation and their evolution. The chapter also looks at the relations between the different Nation-States, which form a unique actor when they rival against the other territorial actors – the Religion and the Cultural Regionalism –, but three well different ones when they rival among themselves. The second chapter concentrates upon the second territorial actor, the Religion. The Fergana valley is one of the most pious and practicing region of Central Asia, and the Islamic religion always played a major role in the society's administration and organization. The chapter proposes first an analysis of the religion's representations in the Fergana: the autochthonous sufism and its sacred geography within the Fergana valley ; the traditional Islam of the soviet times, which became a legal weapon used by Moscow to fight the sufi orthodoxy in the Fergana ; the recently appeared wahabbite fundamentalism, imported from Afghanistan, Pakistan and Saudi Arabia following the Soviet invasion of Afghanistan in 1979 and the encounter it induced between the soviet muslims and the afghan mujaheddins. It is then examined how the different variations of the actor opposed themselves to the actor Nation, over the years, for the control over the power and the resources of the Fergana. We look at how the geopolitical rivalries vary dramatically from the soviet era to that of the independence. A special attention is devoted to the phenomenon of politization of the actor Religion and the way this led the Religion to endorse a role of protagonist in many of the Fergana's events. The third actor is the Cultural Regionalism. It is hereby referred to the geo-cultural identity of this regional entity, which persists in spite of nationalistic and religious pressures. In fact, as long as the Fergana has existed as a place, it has always constituted a geographical, political and social whole. Although its population has been characterized during the past centuries by high levels of multiethnicity and linguistic heterogeneity, this did not prevent the societal amalgamation of populations which always held multiethnicity as normality, and always attributed to each "group" a specific social role within the system Fergana. Be they of language and culture persian and sedentary, turk and sedentary or turk and nomadic, these populations always shared, each in its own social role, a common life within the region. This very phenomenon is the main characteristic of what we call the Cultural Regionalism of the Fergana. However, this equilibrium changes with the loss of political sovereignty of the region and the rise of nationalism under the soviet sovereignty. This chapter analyzes the main representation of the actor Cultural Regionalism over time, and how it took stand against the other territorial actors, especially the Nation. The second part of the dissertation as dedicated to the current manifestations of the territorial actors in the Fergana valley, particularly in its border zones. This part results from the interviews and field observation undertaken in Central Asia and the Fergana in 2007, 2009 and 2010. The first chapter analyzes the border of this region from a theoretical point of view, especially in the light of the geostrategical categories of "first line of defence" or "last line of defence". In the context of a transformation of the border from the soviet era to that of the independence, the second chapter explores the definition of the centrasiatic border, mainly through the analysis of border bureaucracy, control posts and documents required to cross the border. The chapter looks at themes connected to the commercial transborder relations : how the "three" Fergana still manage to interact despite growing border rigidity, which social relationships subsist today. The qualitative interviews led in the Fergana are a major source in this process of reviewing the difficulties of passage and communication within the valley, and of tracking the actual presence of the three geopolitical actors which play a major role in the border relations and conflicts. The third chapter focuses on the Ferganian urban centres: their history, the relations that the Ferganians have with them, et above all the internal and external representations of these centres in a now fully transborder region. The fourth chapter concentrates on the demographical evolutions of the Ferganian population. Up until then a land of immigration, the Fergana became a land of emigration following the independence and the materialization of the borders. The fifth chapter deals with the Ferganian infrastructures, especially the rail and road networks, and their relationship of reciprocal influence with the mutation of the borders in the region. The sixth chapter builds on the theoretical interrogations evoked in the introduction of the dissertation and develops a conclusive analysis of the Fergana of the borders nowadays. The conclusion of this research depicts the current Fergana, the relations between the different geopolitical actors and underscores the persistence of the actor Cultural Regionalism. It establishes the existence of tremendous changes in the region Fergana from various viewpoints: the Ferganian population has new frames of cultural, political and social reference whose importance increased dramatically ; new political forms and cultural structures influenced its self-image, its very identity: "russian, muslim, ferganian", then "soviet, uzbek (or tajik or kyrgyz), atheist, ferganian", finally "uzbek (or tajik or kyrgyz), secular, ferganian". However, although the territory, its borders and inhabitants changed, and despite the strong obstacles set by the actor Nation, the cultural regionalism succeeded in maintaining itself, by adapting to the new tendencies and ways of interpretation of the Fergana. The conclusion ends with the most recent events of the Fergana, the Andjian massacre in 2005 and the Osh clash in 2010, which are both analysed in the light of the geopolitical power rivalries which persist in the region. ; XXIII Ciclo