Il lavoro di questa tesi prende spunto dalle più recenti critiche e l'attuale contrasto all'approccio multiculturale e segue quattro obiettivi principali: 1) Dimostrare che il multiculturalismo non è fallito, attraverso spiegazioni analitiche ed empiriche; 2) Dimostrare che le comunità segregate si formano a prescindere dalle politiche migratorie o dai modelli di riferimento, ipotizzando che il vero impatto di queste politiche sta nella natura liberale o meno della formazione delle comunità segregate; 3) Dimostrare che in ambito locale stiamo assistendo all'implementazione di politiche multiculturali in contrasto con quelle nazionali e che le stesse forze politiche che in ambito nazionale criticano l'approccio multiculturale, a livello locale cercano il dialogo con le comunità etniche e religiosi e stimolano l'integrazione; 4) Superare il modello multiculturale introducendo il nuovo paradigma della "interculturalità", un concetto che tiene conto della moltiplicazione degli elementi di differenziazione all'interno dei flussi migratori, della loro reciproca interazione, e che sembra essere l'approccio più adatto a garantire la coesione sociale, il riconoscimento dei diritti e il rispetto delle identità culturali e religiose delle diverse componenti etniche presenti nelle realtà locali. Nel primo capitolo discuto i contributi dei più importanti studiosi che hanno concorso allo sviluppo del pensiero politico liberale nelle società passate e in quelle attuali (post-globali). Prendo in esame il dibattito sul liberalismo, comunitarismo e neo-comunitarismo e successivamente analizzo le riflessioni teoriche dei principali studiosi del pensiero politico legate all'epistemologia multiculturale. Questi studiosi, con i loro contributi, hanno in qualche maniera contribuito alla nascita ed allo sviluppo delle nuove teorie multiculturali. A partire dalle riformulazioni liberali di John Rawls, quelle neo-comunitariste di Charles Taylor, la critica sul fronte liberale di Jürgen Habermas e le riflessioni di Will Kymlicka. Questo Excursus servirà per dimostrare che recentemente il multiculturalismo è diventato un argomento di prima importanza nel dibattito nord-americano ed europeo, e le sue origini remote si rintracciano nel "pluralismo delle culture" di Giambattista Vico e nella "autocoscienza culturale" di Johann Gottfried Herder. Per questo ho ritenuto importante ricostruire le tappe di questa discussione. Per comprendere meglio i concetti e per analizzare i modelli e le politiche odierne è necessario partire dalle memorie collettive – i "mattoni" del progresso attuale. Il secondo capitolo tratta il concetto di multiculturalismo, le origini del problema multiculturale e le sue sfide. In una seconda parte, considero la questione multiculturale e multietnica in una prospettiva analitica che spiega alcuni modelli multiculturali; nella terza parte esamino la differenza tra multiculturalismo e modello multiculturale britannico, facendo emergere le criticità di quest'ultimo. Sempre in questa sezione, cerco di capire alcune cause che contribuiscono alla formazione delle comunità segregate e nell'ultima parte del capitolo svolgo alcune riflessioni su ulteriori casi di costruzione di queste comunità in altri Paesi europei (Germania, Francia e Italia). Dopo aver analizzato alcune ricerche di altri studiosi, espongo alcune ipotesi secondo le quali le comunità segregate si costruiscono a prescindere dalle politiche migratorie, visto che anche nei Paesi che adottano altri modelli di integrazione – ad esempio, quello assimilazionista o quello assistenzialista – si sono create delle comunità segregate. Le politiche migratorie, quindi, possono soltanto influenzare la forma delle comunità segregate, per un verso, lasciando i migranti liberi di costituirle (comunità "volute"), oppure imponendo delle situazioni di concentramento (comunità "imposte"), rendendole più aperte o più chiuse alle comunità di accoglienza. Nel terzo e nel quarto capitolo sono esaminate le riflessioni dei maggiori studiosi internazionali, attraverso la lettura le più recenti pubblicazioni di Tariq Modood, Ted Cantle e Gerard Bouchard. Ho rivolto particolare attenzione al Canada e al Québec: nel primo caso si rileva un modello implementato nel 1971, definito "modello multiculturale", invece nel secondo, contrapposto al primo, abbiamo un modello interculturale, sviluppato nella città nazione del Québec. Nel quinto capitolo esamino altri modelli interculturali, anzitutto quello formulato in America Latina da Fidel Tubino, in riferimento alle minoranze indigene del Perù e del Messico e alle loro richieste di partecipazione attiva nella vita pubblica; in Italia quello proposto da Pierluigi Consorti, con riferimento al discorso che sta sviluppando riguardo al dialogo religioso e al ruolo delle religioni nella società globale. In tale quadro verrà messo a fuoco il dibattito accademico che ha coinvolto molti Paesi europei nella sfida tra multiculturalismo e interculturalismo. Nelle conclusioni ho provato a comprendere come sia possibile percorrere una via di mezzo tra le posizioni multiculturali e interculturali, tenendo presente che in entrambi i casi rimane centrale il problema del riconoscimento tra maggioranza e minoranza all'interno di società diversificate. In questo caso, svolgo una riflessione sulle possibili linee-guida di un modello di implementazione di queste politiche in Italia, per superare i limiti presentati dal multiculturalismo: riconoscimento di molti gruppi etnici e culturali, possibile riconoscimento, frammentazione o ghettizzazione, con la prospettiva di un nuovo paradigma interculturale, dove alla maggioranza della società viene riconosciuta, attraverso regolamenti ad hoc, il mantenimento di alcuni elementi di memoria culturale collettiva ( i simboli, le religioni, la lingua, le festività, l'uso di elementi religiosi negli spazi pubblici con riserva), mentre alle minoranze nazionali, e in particolare ai nuovi arrivi, vengono riconosciuti alcuni diritti di rappresentanza e mantenimento della loro cultura.
Nel 1990 il Mediterraneo aveva una popolazione costiera pari a 146 milioni e alcuni studiosi, nel 1998, avevano stimato che la popolazione urbana costiera avrebbe potuto aumentare di almeno altri 30 milioni di abitanti entro il 2025 con ulteriori 350 milioni di turisti all'anno (Hinrichsen, 1998). Nel 2005 il dossier redatto dall'UEP/MAP (Plan Bleu, 2005) ha ridimensionato tali valori, dimostrando che entro la stessa data saranno 20 milioni le persone che andranno ad aggiungersi alla popolazione residente, così come ulteriori 137 milioni di turisti si uniranno ai 175 milioni già presenti, e particolarmente i litorali. L'analisi di questi dati mostra inoltre che il 75% degli abitanti dei paesi prospicienti il Mediterraneo vive in aree costiere (in Italia il valore è compreso tra il 60 e il 70%). La fascia costiera italiana, che si sviluppa per oltre 7500 km, oltre ad essere caratterizzata da paesaggi di eccezionale valore naturalistico, ospita quindi anche una consistente parte delle risorse economiche nazionali, con importanti centri urbani e industriali, infrastrutture e attività turistiche. Gli scenari descritti, specie dopo i recenti report inerenti ai cambiamenti climatici in atto sull'intero globo (IPCC, 2007), hanno posto serie problematiche nella gestione della risorsa costiera e nella valutazione dei possibili rischi associati. Comprendere come la costa è destinata ad evolvere ha assunto perciò un'importanza strategica. Le ricerche interdisciplinari sviluppatesi nell'ultimo ventennio hanno messo in evidenza come gran parte delle pianure costiere mondiali (e quindi anche italiane) sono soggette al rischio erosione e allagamento per ingressione marina dovuta a fattori naturali (globali e locali) e antropici. Tra questi studi si porta l'attenzione del lettore al progetto VECTOR (Vulnerabilità delle coste e degli ecosistemi marini italiani ai cambiamenti climatici e loro ruolo nei cicli del carbonio mediterraneo), dal quale è nato l'argomento di questa tesi di dottorato. In questo lavoro è stato analizzato in dettaglio il litorale della Piana del F. Sele (Campania, Italia), contesto estremamente interessante al fine di comprendere l'evoluzione di una costa bassa e sabbiosa con concentrazione di importanti centri abitati (Salerno), aree turistiche imponenti (sito archeologico di Paestum, litorale di Capaccio-Paestum, litorale di Eboli) e condizioni morfologiche tali da rendere l'area suscettibile ai cambiamenti del sistema costiero. La piana in questione, così come le altre piane campane, ha sperimentato negli ultimi 6 millenni un prevalente trend progradazionale ben documentato da più sistemi di cordoni dunali (ad esempio i cordoni di Laura e Sterpina descritti da Brancaccio et al., 1995 in Piana Sele). Le più interne datano circa 6000 anni e marcano la massima ingressione del mare durante l'Olocene. A partire dal XX secolo questo trend si è interrotto e molti tratti di costa risultano affetti da un'erosione anche molto marcata. Le cause vanno essenzialmente ricercate nel ridotto apporto sedimentario legato alle sistemazioni idraulico-forestali, ma soprattutto alla realizzazione di numerosi invasi artificiali lungo i principali fiumi alimentatori. La prova di ciò è ben evidenziata dalla trasformazione delle foci fluviali dei principali corsi d'acqua, le quali si sono rapidamente modificate da fluvial dominated a wave dominated. A questo va aggiunta la forte antropizzazione dei litorali che si è avuta in particolare dopo la seconda guerra mondiale a seguito sia dello sviluppo turistico che di quello urbanistico. Partendo da tali presupposti l'obiettivo principale del presente lavoro è la determinazione delle caratteristiche morfologiche, sedimentologiche e delle dinamiche evolutive del tratto di costa sabbioso compreso tra le foci dei fiumi Solofrone e Picentino al fine di valutarne lo stato di vulnerabilità costiera. Una prima fase dello studio è stata dedicata ad un'approfondita ricerca dei dati bibliografici, cartografici e aero-fotogrammetrici inerenti l'area. L'analisi bibliografica ha permesso di individuare i tratti salienti dell'evoluzione geomorfologica, che appare requisito essenziale per la comprensione degli eventi morfogenetici e delle dinamiche recenti della costa. L'analisi cartografica e aero-fotogrammetrica, basata essenzialmente sul reperimento di documenti inerenti l'ultimo secolo, ha consentito di delineare l'evoluzione storica della linea di riva. In particolare sono state adoperate carte storiche dell'IGMI (Istituto Geografico Militare Italiano) del 1870, 1908, e 1954, la cartografia CasMez (Cassa del Mezzogiorno) del 1975, la CTR (Carta Tecnica Regionale) della Regione Campania del 2004, le foto aeree del 1944, 1954, 1984, 1998 e 2004. I documenti raccolti sono stati organizzati, corretti e adattati mediante l'uso di un software GIS (ArcGis ver. 9.2). In particolare è stato indispensabile l'orto-rettifica mediante un programma preposto (Erdas ver. 9.1) precedentemente l'utilizzo delle foto aeree. La seconda fase è consistita nella raccolta di dati originali mediante un lavoro di campagna, durante il quale, con l'utilizzo di un sistema di posizionamento DGPS (GNSS R6), si è rilevata la linea di riva al 2009 e la topografia di vari profili longitudinali di spiaggia. E' stato inoltre fatto uno studio con lo scopo di definire gli aspetti sedimentologici caratterizzanti i differenti contesti geomorfologici riconosciuti per i profili esaminati: sono stati prelevati 48 campioni lungo il litorale del Golfo di Salerno, su ognuno dei quali è stata eseguita un'analisi granulometrica, con relativa interpretazione statistica. I rilievi topografici sono stati successivamente correlati alle caratteristiche tessiturali dei sedimenti essendo questo passaggio fondamentale e propedeutico alla comprensione dei fenomeni morfo-evolutivi della costa: i sedimenti che costituiscono la spiaggia sono condizionati dalla dinamica litoranea in quanto, lungo gli assi di transito longitudinali e trasversali, le componenti granulometriche tendono a convergere verso il fondale in cui si trovano mediamente in equilibrio sotto l'azione del moto ondoso. Una fase fondamentale del lavoro è stata la valutazione del clima marittimo (wave climate) sia al largo che lungo costa, mediante l'applicazione di modelli fisici. Si è risaliti al tipo di ondazione incidente sulla Piana del Sele, così come si è giunti alla valutazione degli effetti di essa sulle spiagge con il calcolo di parametri specifici, quali il run-up e il set-up. Le informazioni raccolte hanno dato una chiara lettura e una dettagliata caratterizzazione dell'intera fascia rivierasca compresa tra Salerno e Agropoli (SA) e soprattutto sono state la base per l'implementazione di una nuova metodologia di analisi per la valutazione della vulnerabilità costiera. Il metodo ha permesso di realizzare una carta della vulnerabilità costiera potenziale, così come di effettuare valutazione e cartografie su range temporali più ampi: infatti, considerando gli scenari previsti dall'IPCC (2007) su 25 e 50 anni, è stato possibile introdurre tali parametri e costruire carte della vulnerabilità costiera proiettata su tali anni. Di seguito si da una panoramica sulle operazioni e i risultati ottenuti mediante l'esecuzione delle singole fasi di lavoro. L'analisi comparata delle linee di costa ricavate dall'indagine aereo fotogrammetrica e cartografica ha messo in chiara evidenza che, durante il XX secolo, è possibile individuare almeno 3 fasi evolutive. La prima, che va dal 1870 al 1908, mostra una costa in progradazione, in modo particolare alle foci dei fiumi Sele, Tusciano e Picentino, con trend che raggiungono i 5,50 m/a. Tale fase s'inverte completamente durante il lasso cronologico compreso tra il 1908 e il 1984, con valori di arretramento che tendono ad accentuarsi tra il 1975 e il 1985 (si nota che la foce del F. Sele arretrava con un tasso di 7,7 m/a). L'ultima fase va dal 1984 al 2009 (e con ogni probabilità continua ancora oggi), con la costa che tende all'equilibrio: infatti è possibile rilevare diverse aree in leggera progradazione e solo poche in arretramento (si tratta di quelle poste nelle vicinanze delle foce del F. Sele). Quest'analisi mostra in maniera decisiva che l'evoluzione della fascia costiera della Piana del F. Sele è strettamente legata agli apporti fluviali, basti notare che le aree fortemente influenzate dall'erosione sono proprio quelle prospicienti le aree di foce. Questo è certamente da mettere in correlazione alla drastica diminuzione degli apporti sedimentari causata dalla presa in alveo di materiale e alla costruzione di traverse e dighe. L'analisi effettuata sull'intero arco dei 140 anni ha mostrato che sulla zona costiera della Piana del F. Sele insiste una tendenza erosiva molto marcata, localizzata in modo particolare nei pressi delle foci del F. Picentino e del F. Sele, con valori di arretramento rispettivamente di 0,4 m/a e di 1,3 m/a. Per caratterizzare la morfologia e la morfometria della spiaggia emersa e sommersa, nonché gli aspetti sedimentologici sono stati effettuati 12 profili trasversali alla linea di costa in tratti rilevati del litorale. L'analisi morfo-sedimentaria della spiaggia ha messo in luce che l'intero settore è morfologicamente caratterizzato da spiagge ampie da un minimo di 20 m fino a un massimo di 80 m. Il settore sommerso della spiaggia è caratterizzato dall'esistenza di una grossa barra con relativo truogolo, mentre la pendenza della zona intertidale risulta marcata lungo la foce del F. Sele, attestandosi in media intorno al 13%, fino a digradare ad una pendenza vicina al 10% sul resto del litorale. Per le zone poste a S della foce del F. Sele, la pendenza della battigia è costante lungo l'intero tratto, attestandosi in media intorno all'11%. Nel settore di spiaggia indagato è presente un solco di battigia posizionato in media tra - 0,5 m e – 0,4 m. Lungo l'intero litorale la berma ordinaria è ben evidente, raggiungendo in alcuni tratti l'altezza di 0,6 m con stacchi di pendenza tra battigia e berma molto evidenti. Questo non vale per le berme di tempesta, che sono spesso cancellate dall'azione antropica e dove visibili, lo sono in maniera non sempre marcata. Il sistema dunale è in gran parte conservato, ma non sempre è in buone condizioni. Infatti in taluni casi (concentrati nella porzione meridionale del sistema e nella parte centrale) è possibile constatare che esistono almeno due a più ordini di dune, molto estesi a S e molto reincisi nei pressi della foce del F. Sele, mentre nella zona compresa tra la foce del F. Tusciano e Salerno la duna è quasi completamente scomparsa e/o estremamente antropizzata. Le analisi granulometriche effettuate sui campioni prelevati sulla spiaggia intertidale mostrano che le taglie dei granuli comprese tra 0,39 mm e 0,45 mm (sabbia media) sono prevalenti nei settori più vicini alla foce del F. Sele, mentre verso N si rivela la presenza di materiale ciottoloso: infatti si raggiungono valori compresi tra 0,69 mm e 0,97 mm (sabbia grossolana) nel tratto di costa centrale da Campolongo alla foce del torrente Asa. La parte più prossima a Salerno è invece caratterizzata da un tipo di sedimento estremamente ciottoloso. Nei settori meridionali e centrali arriva a valori di 0,55 mm (sabbia grossolana). Un dato anomalo, che mostra come questo litorale possa essere localmente condizionato dall'apporto di sedimento alloctono è il dato massimo del coefficiente di appuntimento che raggiunge il valore di 10,63 (valore molto alto se si tiene conto che Folk & Ward, 1957 propongono come limite massimo per questo indice il valore 3). Mediante gli studi effettuati sulla condizione del clima marittimo è stato possibile valutare l'ondazione prevalente con le relative altezze d'onda e periodo medio. Analizzando le serie ricavate alla boa di Ponza è stato possibile rilevare che l'altezza d'onda significativa media è pari a 4,34 m, con un periodo di 7,76 s. È stato valutato anche l'effetto della massima mareggiata della serie analizzata corrispondente a quella del 26\12\1999, con valori di altezza d'onda pari a 6,90 m e periodo di 11,94 s. La direzione prevalente è invece SSW-NNW. Tali valori hanno permesso di giungere al calcolo di parametri a loro strettamente legati, come la profondità di chiusura, pari a 7,714 m (11,191 m per la massima mareggiata registrata). Inoltre è stato valutato anche il set-up e il run-up d'onda incidenti per ogni profilo indagato con una media lungo tutta la costa della Piana del Sele pari a 0,05 m per il primo e 1,65 m per il secondo. C'è da dire che anche in questo caso possiamo notare settori con caratteristiche d'energia molto differenti: il run-up infatti varia da un massimo di 2,07 m a un minimo di 0,91 m, che vuol dire un'ondazione che può arrivare ad invadere la spiaggia emersa per valori compresi tra il 24% e il 101%. Sui profili di spiaggia analizzati è stato possibile realizzare anche opportune valutazioni previsionali sul trend evolutivo della costa in seguito al previsto innalzamento del livello marino (IPCC, 2007), applicando modelli matematici e morfologici capaci di valutare l'arretramento atteso. Per il caso preso in considerazione sono stati ricavati i diversi parametri utili a questo calcolo analizzando il regime meteo marino per il periodo compreso tra gli anni 1989 e il 2008 e i singoli profili topografici della spiaggia agganciati ai rilievi batimetrici eseguiti con rilievo single-beam. In particolare si è giunti a valutare l'arretramento da Sea Level Rise applicando due metodologie morfologiche e adottando il dato d'innalzamento del livello marino calcolato dal Antonioli & Leoni (2007) sulla base dei dati pubblicati dall'IPCC (2007). L' arretramento medio atteso è stato stimato pari a 0,16 m/a (utilizzando Bruun, 1964) o a 0,23 m/a (Davidson-Arnott, 2005). L'insieme dei dati e delle informazioni ricavare sono state la base per la realizzazione di un modello in grado di valutare la vulnerabilità costiera lungo il settore di costa preso in esame. La vulnerabilità costiera, intesa come suscettibilità di un dato tratto litoraneo ad essere inondato o eroso, è legata a numerose variabili che possono essere riassunte in tre blocchi principali: erosione, inondazione permanente e inondazione episodica. Esistono vari modelli per la valutazione e il confronto della vulnerabilità costiera in diversi contesti, metodi che vanno dal quantitativo al qualitativo. La metodologia proposta da Gornitz et al., 1997, per esempio, suggerisce il calcolo di un indice di vulnerabilità (CVI – Coastal vulnerabilità index) attraverso la parametrizzazione di elementi caratterizzanti un dato tratto litoraneo relazionati tra loro attraverso una regressione lineare multipla. Questa metodica, nonostante sia largamente utilizzata, ha il difetto di essere valida e sensata solo per ambiti territoriali e geografici molto vasti. Nel nostro caso, dunque, si è cercato di adottare la "filosofia" di questo metodo, apportando però sostanziali modifiche che lo rendessero idoneo alla caratterizzazione di sistemi costieri di piccola estensione, incrementando e perfezionando sensibilmente le variabili da analizzare e avvalendoci dell'uso di un sistema GIS (ArcGis 9.2 della ESRI). Si è giunti alla proposta di un nuovo indice di vulnerabilità (IVC) basato sulla valutazione dell'Erosione Potenziale e dell'Inondazione Potenziale e di due indici di vulnerabilità costiera (IVC25 e IVC50) che tengono in considerazione l'effetto del Sea Level Rise (S.L.R.) su 25 e 50 anni. Come per la metodologia dell'USGS la correlazione finale dei singoli indici avviene utilizzando la regressione lineare multipla, e il valore finale dell'indice utilizzando la relazione , già identificata e sperimentalmente provata da Gornitz et al., 1994. Il tratto maggiormente vulnerabile alle forzanti costiere studiate sono le aree comprese tra l'ospedale di Campolongo fino all'area in cui sorge il Molo Sirena, comprendendo interamente la foce del F. Sele. Quasi il 44% delle spiagge appaiono contraddistinte da una vulnerabilità costiera da alta a molto alta. L'applicazione di un nuovo modello regionalizzato e studiato per aree ristrette ha dato la possibilità di identificare e parametrizzare le caratteristiche principali del tratto litoraneo dell'unità fisiografica delle Piana del Sele, in modo particolare in merito alla sua erodibilità potenziale, al suo grado di suscettibilità all'inondazione e quindi alla sua vulnerabilità costiera. Appare un metodo molto semplice e dettagliato, adatto all'applicazione preliminare su qualsiasi contesto costiero e per questo un utile strumento di pianificazione territoriale. ; In 1990 in the Mediterranean zone there was a coastal population of 146 million; some authors, in 1998, estimated the urban coastal population growth at least of further 30 million by 2025 with 350 million of tourists (Hinrichsen, 1998). In 2005 the dossier edited by UEP/MAP (Plan Bleu, 2005) rescaled these values: by 2025 population will increase of 20 million people, and the tourists will be 137 million more compared to the 176 million already present mainly on littorals. The analysis of data shows, moreover, that 75% of mediterranean population lives in coastal zones (in Italy the value varies from 60% to 70%). Italian coastal zone, more of 7500 km long, in addition to the several beauties of landscape, has a substantial part of the national economic resources, with important urban and industrial centers, infrastructures and touristic activities. These circumstances, especially after the recent reports about climate change (IPCC, 2007), cause heavy problems in coastal resource handling and in connected risk assessing. It's therefore of primary importance to realize how the coast will develop. Interdisciplinary researches of the last 20 years highlight how many world coastal plains (Italian too) are subject to erosion and flooding risk by sea ingression due to natural (global and local) and anthropic elements. Among these studies we point out to the readers VECTOR project (Vulnerability of the Italian coastal area and marine ecosystems to climatic changes and their role in the Mediterranean carbon cycles) from which the subject of this PhD thesis originates. In this work has been analyzed in detail the littoral Sele river Plain (Campania, Italy) extremely interesting zone in order to realize the evolution of a low and sandy coast with concentration important built-up area (Salerno), great touristic places (archeological site of Paestum, Capaccio-Paestum littoral, Eboli beaches) and morphological conditions which make the area open to developments of coastal system. In the last six millennia this plain and all plains in the southern Italian region of Campania have experienced coastal progradation amply documented by several dune systems. Since the 20th century this trend has been interrupted and many stretches of the coastline are now affected by erosion, at times severe. This has serious implications both for public safety and of a socio-economic nature. The causes are essentially to be sought in the decrease in sedimentary discharge due to forest hydraulic engineering works but especially to the construction of many artificial lakes along the main water courses. Clear evidence of this is the transformation of the mouths of the main water courses from fluvial-dominated to wave-dominated. A further factor is intense urbanization, which took place especially after World War II in the wake of tourist development. Starting from these assumptions the aim of this work is the determination of the morphological and sedimentological characterizations and the evolution dynamics of sandy coastal sector between the Solofrone and Picentino mouths in order to estimate the state of coastal vulnerability. The first stage of the study provides an in-depth search of bibliographic, cartographic and photogrammetric data concerning the study area. Bibliographic analysis specifies the salient points of geomorphological evolution, that is essential requirement to realize the morphogenetic events and recent coast dynamics. Cartographic and photogrammetric analysis, essentially founded on finding documents about the last century, outlines the historical evolution of shoreline. In particular have been used historical maps by IGMI (Istituto Geografico Militare Italiano) on 1870, 1908 and 1954, the cartography CasMez (Cassa del Mezzogiorno) on 1975, the CTR (Carta Tecnica Regionale) by Campania Region on 2004, the aerial-photos on 1944, 1954, 1984, 1998 and 2004. The documents collected have been organized, rectified and adapted by a GIS software (ArcGis rel. 9.2). In particular, for the aerial-photos has been used a software (Erdas rel. 9.1) to orthorectify them before the employment. The second phase consisted in collecting original data through a campaign work, during which, with the use of a DGPS positioning system (GNSS R6) has identified the shoreline in 2009 and the topography of various longitudinal profiles of beach. It was also made a study in order to define the sedimentological aspects characterizing the different geomorphological contexts recognized for the profiles examined: 48 samples were collected along the coast of the Salerno Gulf, on each of whom is performed a particle size analysis, with relative statistical interpretation. The topographical surveys were then linked to the textural characteristics of sediments as this critical step and preparatory to the understanding of geo-morphological phenomena of the coast: sediments that form the beach are affected by coastal dynamics because, along the transit longitudinal and transversal axes, granulometric tend to converge towards the bottom where they are on average in equilibrium under the action of waves. An important stage of work was the evaluation of wave climate both off and along the coast, through the application of physical models. It was back to the type of wave climate on the Sele Plain, as well as the assessment of the effects of it on the beaches with the calculation of specific parameters, such as the run-up and set-up. The information collected gave a clear reading and a detailed characterization of the entire coastal strip between Salerno and Agropoli (SA) and especially were the basis for implementing a new method of analysis for the assessment of coastal vulnerability. The method gave the possibility to create a map of potential coastal vulnerability, as well as to carry out evaluation and maps on wider range of time: in fact, considering the scenarios predicted by the IPCC (2007) on 25 and 50 years, it was possible to introduce these parameters and construct maps of coastal vulnerability projected onto these years. The following is an overview of operations and the results obtained by running the individual phases of work. The comparative analysis of coastlines taken from cartographic and photogrammetric survey showed clear evidence that during the 20th century, it's possible to identify at least three evolutionary phases. The first, from 1870 to 1908, shows a progradational phase, especially at the mouths of Sele, Tusciano and Picentino rivers with trend reaching 5.50 m/y. This phase is reversed completely during the chronological period between 1908 and 1984, with values of backing down that tend to increase between 1975 and 1985 (notice that the mouth of river Sele retreated at a rate of 7.7 m /y). The last phase goes from 1984 to 2009 (and likely continues today). In fact the littoral is in equilibrium: there are areas that show little progradation, while not much beaches are in retreat (near the mouth of Sele river). This analysis shows that the evolution of the coastal strip of the Piana del Sele is closely linked to the river inputs, just note that areas strongly influenced by erosion are exactly the ones facing areas of mouth. This is certainly to correlate to the drastic reduction of contributions sedimentary caused by removing sediment on the river bed and construction of crosspieces and dams. The analysis conducted in 140 years showed that on the coastal area of Sele Plain insists a trend erosive very marked, localized especially near the mouth of Picentino river and Sele river, with values of retreat respectively 0,4 m/y and 1,3 m/y. To characterize the morphology and the morphometry of backshore and nearshore, and the sedimentological aspects, 12 profiles have been traced, transversal to the coast line on prominent parts of the waterside. Morpho-sedimentary analysis of the shore has shown that the entire sector is morphologically characterized by shores whose extent goes from 20 m to a maximum of 80 m. The nearshore sector is characterized by the existence of a big bar with its trough, while the slope of the intertidal zone is considerable along the mouth of the Sele river, with a mean of 13%, and it reduces to a slope of about 10% on the rest of the coast. Regarding the zones on the southern side of the mouth of the Sele river, the foreshore slope is constant along the whole line, with a mean of about 11%. On the inspected sector of the shore there is a foreshore step located in the range -0.5 m to -0,4 m. Along the whole coast the berm is very evident, reaching the height of 0.6 m with very evident slope contrasts between the beach-face and the berm. This is not the case of the storm berm, which are often erased by the anthropic action and, where visible, they are not always definite. The dunal system is preserved in the most part, but it is not always in good condition. In fact, in some cases (concentrated in the southern portion of the system and in its central part) it is possible to notice the existence of at least, very wide at South and very cut near the mouth of the Sele river, while in the region between the mouth of the Tusciano river and Salerno the dune has almost completely disappeared and/or is extremely urbanized. Granulometric analysis carried out on the samples collected on the foreshore show that the grain sizes between 0.39 mm and 0.45 mm (medium sand) are predominant in the sectors nearer to the mouth of the Sele river, while towards North gravel sediment has been revealed: in fact the sizes go from 0.69 mm and 0.97 mm (coarse sand) in the stretch of central shore from Campolongo to the mouth of Asa stream. The part nearer to Salerno is instead characterized by a type of gravel sediment. In the southern and central sectors it reaches values of 0.55 mm (coarse sand). An anomalous datum, which shows how this coast can be locally influenced by the contribution of external sediment, is the maximum of the Kurtosis index which reaches the value of 10.63 (a really high value, considering that Folk & Ward, 1957 suggest a maximum limit of 3 for this index). With the studies carried out on the condition of the wave climate it has been possible to evaluate the prevalent wave climate with the relative wave heights and average period. Analyzing the series obtained at the Ponza buoy it has been possible to notice that the significant wave height average is 4.34 m, with a period of 7.76 s. In addition, it has been evaluated the effected of the maximum sea storm from the analyzed series, dating to 26/12/1999, with wave height of 6.9 m and a period of 11.94 s. The prevalent direction is SSW-NNW. Such values have been used to evaluate some parameters strictly related to them, like the closure depth, equal to 7.714 m (11.191 m for the maximum sea storm detected). Furthermore the set-up and the run-up of the incident waves have been evaluated for every investigated profile, with a mean value along the entire coast of the Sele Plain of 0.05 m for the former and 1.65 m for the latter. In this case as well we can notice the presence of sectors with energy characteristics very different: in fact, the run-up goes from a minimum of 0.91 m to a maximum of 2.07 m, which means that an wave climate can flood the emerged shore for values between 24% and 101%. On the analyzed shore profiles it has been possible to estimate the evolution trend of the coast, as a consequence of the expected increase in sea level (IPCC, 2007), using mathematical and morphological models capable to evaluate the expected retreat. For the examined case the parameters needed for this evaluation have been measured analyzing the wave climate for the period between the years 1989 and 2008, and the individual topographic profiles of the shore. In particular, the SLR retreat has been evaluated using two morphologic methods and using the sea level increment calculated by Antonioli & Leoni (2007) on the basis of data published by IPCC (2007). The retreat for this has been estimated to a value of 0,16 m/y (using Bruun, 1964) or a value of 0,23 m/y (Davidson-Arnot, 2005). The data obtained with this study have been used to derive a model addressed to the coastal vulnerability determination along the coastal areas that have been analyzed. The coastal vulnerability, which is intended as the susceptibility of a determined coastal area to be affected either by flooding or erosion, is linked to several parameters that can be grouped into three main categories: erosion, permanent inundation and episodic inundation. There are several models for the vulnerability evaluation and comparison among different coastal areas, models that are both qualitative and quantitative. The model proposed by Gornitz et al. (1997), suggest the determination of a coastal vulnerability index (CVI) through the determination of several parameters which can be considered representative of the considered coastal area, and by applying a linear regression to these parameters. This method, which has been largely applied, has the limit that it can be just used for large areas. In my case, I have tried to use this method by applying some modifications that could make it useful also for the study of small coastal environment by improving the number of parameters to calculate and by using a GIS software (ArcGis 9.2). I was so able to propose a new index of vulnerability (IVC) which is based on the evaluation of the Potential Erosion and the Potential Flooding and two more index of coastal vulnerability, (IVC25 e IVC50), which consider the Sea Level Rise (SLR) at 25 and 50 years. The final correlation of the described indexes is obtained trough a multiple linear regression, and the final index value is derived by the expression , which was already used by Goritz et al. (1994). In Fig. 1 it is reported the case study of the coastal areas of the Sele Plain, with the individuation and the representation of the different classes. The areas with the highest values in the IVC are comprised between the Campolongo Hospital and Molo Sirena, an area which include the Sele river mouth. The use of a new model addressed to small areas has allowed to the determination of the main features of the littoral portion of the Sele plain system, with a particular attention to the potential erodibility and to the susceptibility to the flooding and so the determination of the coastal vulnerability. It seems to be a simple a detailed method, which can be used for preliminary studies of all the coastal systems and it is so an instrument useful to the coastal planning. ; Dottorato di ricerca in Ambiente e Territorio (XXIII ciclo)
La presente ricerca sull'edificante in Kierkegaard comincia con una prima sezione: Kierkegaard nel contesto teologico-filosofico della sua epoca, divisa a sua volta in due parti. La prima parte (Kierkegaard, i suoi contemporanei e l'hegelismo a Copenaghen) intende inserire l'autore danese nel suo tempo, inquadrando la situazione storica, economica, politica e filosofica della Danimarca nella prima metà dell'Ottocento, mettendo in evidenza i caratteri del forte risveglio culturale, intellettuale e artistico di quel periodo che va sotto il nome di "Età dell'oro"[Guldalderen]. Questa prima parte si prefigge fondamentalmente l'obiettivo di esporre il rapporto tra Kierkegaard e il pensiero speculativo idealista nella Danimarca della prima metà dell'Ottocento. Al fine di inserire il Filosofo danese nel contesto filosofico a lui contemporaneo, ho ritenuto opportuno dare un cenno alle lezioni berlinesi di Schelling del 1841-42 sulla Filosofia della Rivelazione, a cui anche Kierkegaard prese parte, e alla ricezione danese dell'ultimo Schelling. Ciò è stato utile a chiarire il secondo irrinunciabile tema kierkegaardiano - l'anti-hegelismo -1, a partire dall'acquisizione, quanto più puntuale, dei luoghi emblematici in cui il pensiero di Hegel, sempre citato ed utilizzato e contrario da Kierkegaard, manifesta i propri nodi concettuali e tematici, in relazione ai temi della ricerca. A questi luoghi sono stati argomentativamente affiancati i temi tipici dell'opera kierkegaardiana al fine di verificarne la portata non solo polemica ma prettamente filosofica. La seconda parte: Kierkegaard e il pietismo, si pone l'obiettivo di inserire il Filosofo nel contesto teologico protestante dell'epoca, nello specifico il pietismo, al quale egli venne formato. Si è in proposito sottolineato il suo atteggiamento duplice, ma non ambiguo, nei confronti di quel movimento religioso, in quanto, se da unaparte egli lo considera «la sola forma logica del Cristianesimo», dall'altra ne prende le distanze sottolineando di non aver mai « nel più lontano dei modi, dato a vedere né fatto tentativo alcuno di voler portare la faccenda fino al pietismo o al rigore pietistico». E benché il Filosofo ribadisse, ad ogni prefazione dei suoi Discorsi edificanti, di non voler essere un prosecutore della tradizione pietista, di non averne neppure l'autorità [Myndighed], tuttavia non è possibile non scorgere la continuità che il Danese stabilisce con essa, nella sua forma espositiva di "genere di letteratura di edificazione", genere che in ambito pietista aveva avuto un nuovo impulso con i Quattro libri sul vero cristianesimo di Johann Arndt2, nei confronti del quale Kierkegaard si rivolgeva con un tale rispetto e una tale venerazione da attribuirgli l'appellativo di «vera autorità». Segue la sezione seconda: L'edificante in Kierkegaard, nel quale si intende presentare la categoria dell'edificante nei suoi caratteri generali, attraverso una serrata analisi testuale degli Opbyggelige Taler. L'obiettivo è di spiegare la semantica del termine «op-bygge» nel contesto kierkegaardiano e di determinare la centralità dei discorsi edificanti all'interno della dimensione etico-religiosa della produzione del filosofo. Se l'edificazione va intesa fondamentalmente come ricerca di una verità soggettiva e interiore e se Kierkegaard esplicitamente nega che i suoi discorsi appartengono alla letteratura di edificazione, ciò può significare che essi acquistano rilievo, innanzitutto, nella dimensione filosofica, come anche Heidegger3, in Essere e tempo, ha sottolineato. Si tratta cioè di indagare su una verità – la verità che edifica - ma imboccando il sentiero opposto a quello della pura e fredda speculazione, andando in direzione dell'esistere, alla ricerca di unaverità che sia soggettività, interiorità. Bisogna cominciare dal conoscere se stessi, far proprio l'insegnamento socratico del gnòthi seautòn, indagando, non su una verità che uno speculante conosce -una verità «di approssimazione»[Anskuelse] - ma, socraticamente, su quella verità di cui l'esistente va alla ricerca, la verità di «appropriazione» [Tilegnelse]. I discorsi edificanti non sono, dunque, secondo le parole di Hegel, «ciò da cui la filosofia deve ben guardarsi»4, bensì – come sottolinea Kierkegaard - «lungi dall'essere un narcotico che addormenta, l'edificante è l'amen dello spirito temporale ed un aspetto della conoscenza che non è lecito trascurare»5. Nella terza sezione: "Soggettività e temporalità nell'edificazione kierkegaardiana", la ricerca si propone di sviluppare i nodi tematici ottenuti attraverso l'analisi testuale, condotta nella sezione precedente, per un discorso filosofico che abbia i suoi capisaldi nei tre concetti di Soggetto [Subjekt], Tempo [Tidslighed] ed Eterno [Evighed]. Infatti, il Soggetto è, oggi, in molti ambiti della filosofia contemporanea identificato con la sua stessa apertura ermeneutica alla verità, non tanto come luogo o spazio dove attingere "il vero", ma come "tempo" vivendo il quale soltanto è possibile maturare una relazione con l'Eterno. Bisogna pur sempre muovere dalle tracce che l'Eternità, dandosi nel tempo, offre di sé al finito in termini di rivelazione. E, d'altro canto, non sembra che né Hegel né l'idealismo speculativo a lui ostile (si pensi agli studi di Schelling sulla Filosofia della Rivelazione) abbiano cercato di rimuovere la filosoficità della Rivelazione nella storia e nella storia del pensiero, non tanto come "scrittura" o "verbo divino", cui in qualche modo relazionarsi come ad una Legge, quanto come dipanarsi di un "vero", di una "idea" che si fa storia, rivelandosi, appunto, nel fluire del tempo. Per questo, il Soggetto, come "apertura ermeneutica alla verità", e l'Eterno, comedisponibilità storica alla rivelazione, sono i due poli entro cui è possibile fondare una nuova categoria di tempo, e, infine, di etica. Qui l'Edificante di Kierkegaard si muove all'interno di un mondo contemporaneo interessato alla filosofia come cifra della qualità della "persona", e, quindi, del suo modo di tessere rapporti con gli altri, con la storia, la morale, le leggi, il bene, che è poi il volto etico dell'Eterno nella storia. Gli sviluppi tematici del nodo soggetto/tempo/eterno, letti più sul crinale della temporalità soggettiva, e quindi a parte homini, piuttosto che in chiave di metafisica rivelativa o fenomenologica, a parte Dei, ben rispecchiano la specificità dell'edificante kierkegaardiano che, pur tra nodi assai aggrovigliati, cerca di muovere il suo passo alla ricerca di quella purezza del cuore [Hjertets Reenhed], che viene identificata con una performazione della volontà (la purezza del cuore è volere una cosa sola) [Hjertets Reenhed er at ville Eet] che è la scelta: «Essendo la scelta intrapresa con tutta l'interiorità della personalità, egli arriverà ad essere purificato dentro di sé e, come tale, messo in un immediato rapporto con quella potenza eterna che, onnipresente, imbeve l'intera esistenza. Tale trasfigurazione, tale più alta consacrazione mai raggiunge colui che non sceglie che esteticamente»6. Inoltre, chi riesce a scegliere, a performare la propria volontà nella direzione della purezza, "vuole una cosa sola", ovvero "vuole il bene" (I Sandhed at ville Eet kan saaledes kun betyde at ville det Gode/In verità, volere una cosa sola può solo significare volere il Bene). Il Soggetto che sceglie, che "decide", che mette in gioco tutto il proprio "se stesso" per volere, unicamente, quella cosa che è il bene, agisce in base ad una categoria centrale della filosofia morale: il dovere. Nell'evolversi dell'edificante, in Kierkegaard, il tema della doppiezza d'animo [Tvesindheden] viene, senza mezzi termini, contrapposto a quello dell'unità del bene. È, infatti, "quel" dovere di "volere una cosa sola" a rendere possibile la relazione tra Soggetto ed Eterno e a costruire il fondamento di un'etica che, ancor prima che aprirsi a una dimensione teologica, trova una immediata ricaduta sul piano antropologico. L'Eterno cristiano, infatti, non potendosiconsiderare "momento" in prospettiva logica, né semplice "al di là" in prospettiva metafisica, compiendo – per altro – la sua rivelazione in "modalità" anomale anche per le categorie classiche della teologia, si è fatto tempo, carne, storia, vita, e persino morte. Volere "quella" sola cosa, pur se il cuore ha in sé doppiezze d'animo che vorrebbero evadere dal dovere, è secondo Kierkegaard, la sfida di ogni cristiano che "vuol diventar cristiano".
La tesi generale da cui sono partita è che la danza non deve essere considerata solo come un'attività ristretta ad uno specifico ambito professionale, ma che alcuni suoi tratti riguardino ogni essere umano: movimento, gesto, spazio, tempo, ritmo e peso sono chiavi di lettura dell'esperienza del nostro modo di sentire la vita, del nostro poter ricevere impressioni, apprendere il mondo circostante, subire e produrre mutamenti. È l'idea, per usare un'espressione che evidenzi la sua dimensione fondante, della danza come "pratica non speciale": essa ci mostra in modo intensificato e amplificato alcuni aspetti del nostro essere ed avere un corpo in movimento. Non considero la danza come oggetto di studio, così come non considero il corpo un oggetto di conoscenza. Mi sono domandata, in primo luogo, come fare per comprendere il corpo senza correre il rischio di convertirlo in oggetto (di studio, di disprezzo o di culto) o strumento (dell'azione, della manipolazione socio-politica, di una tecnica coreutica astratta) e ho trovato una prima pista nella domanda "cosa ci mostra la danza della nostra corporeità?". Nel 1° Capitolo, intitolato "La "piccola danza" quotidiana. L'esperienza del corpo", dopo aver riassunto brevemente il processo di riflessione interna ad alcune discipline (psicologia cognitiva, fisiologia e neurologia) che ha portato gli stessi studiosi da un approccio alla consapevolezza corporea vista come rappresentazione "oggettiva" ad un progressivo riconoscimento dell'impossibilità di oggettivare quel qualcosa che noi chiamiamo "esperienza del corpo", ho indagato la dimensione del sentire ed essere consapevoli del proprio corpo, che comprende i vari aspetti della propriocezione, dello schema corporeo, della memoria somatica, dell'intelligenza senso-motoria e tutti i tipi di consapevolezza non intellettuale dell'esperienza di essere umani. In particolare ho parlato del già citato concetto di "cinestesia", il "sentire di muoversi", cioè la capacità di sentire i movimenti del proprio corpo nei muscoli, nelle articolazioni, nell'apparato scheletrico, a volte persino nei nervi e negli organi interni. La capacità, in breve, di comprendere e gestire l'esperienza motoria del nostro corpo. Oltre agli spunti tratti dalle discipline citate, e quelli provenienti da studi specifici delle neuroscienze e della recente psicologia cognitiva su aspetti cinestetici e sull'inconscio corporeo, le riflessioni della psicoanalisi eterodossa di Wilhelm Reich e Alexander Lowen, in questo percorso del primo capitolo è stato fondamentale l'approccio alla corporeità, al movimento e alla spazialità di Merleau-Ponty e di Michel Bernard, la prospettiva transizionale/paradossale di Donald Winnicott, gli studi sull'improvvisazione e le riflessioni di Steve Paxton. Altro aspetto importante che ho cercato di far emergere è l'importanza dell'imitazione cinestesica, intesa non come "scimmiottamento" superficiale di gesti e forme esteriori, ma come complesso processo di apprendimento e trasmissione di un sapere corporeo, che è condizione ontogenetica di possibilità di ogni ulteriore apprendimento di natura linguistica o intellettuale, nonché di ogni agire in vista di uno scopo, e che viene esperito, espresso ed esibito in modo intensificato quando si danza. La mímesis cinestetica, così intesa, è un altro filo conduttore trasversale di tutti i capitoli. La danza ci mostra, in prima istanza, che il nostro corpo quando è in movimento è capace di produrre senso e anche significati, non linguistici, che dunque il corpo è capace di pensiero, è intelligente, di una intelligenza prevalentemente senso-motoria/cinestetica. Un primo risultato di questo lavoro è, dunque, che, grazie all'intensificazione che la consapevolezza corporeo-cinestetica subisce nella danza, ci rendiamo conto che il corpo non è puro esecutore di "ordini" mentali, ma è esso stesso un dispositivo organizzante-interpretante, e il suo organizzare il sensibile è una forma di pensiero, non verbale e non direttamente verbalizzabile, ed è correlato ad una apertura di senso. Questa dimensione di apertura di uno spazio di senso della corporeità, caratterizzato da una reversibilità tra dentro e fuori, tra la realtà interna e quella esterna, tra percipiente e percepito, tra agire e patire, è legata a quella dei fenomeni e degli oggetti transizionali, studiati da Winnicott, in particolare, al concetto di "spazio potenziale", che separa e unisce allo stesso tempo, lo spazio della "prima illusione", che dà il via alla vita immaginativa ed espressiva dell'infante e poi dell'adulto. La sapienza corporeo/cinestesica, in questo senso, è una delle condizioni di possibilità dell'entrare in una dimensione creativa. Lo spazio transizionale è, infatti, allo stesso tempo, lo spazio del "giocare", di un'esperienza cioè priva di particolari scopi e che rende possibile il "rilassarsi", quello stato di riposo (di parziale non controllo o controllo flessibile) da cui può scaturire un atteggiamento creativo. Ho descritto poi come nel processo creativo della danza, in particolare nell'improvvisazione, sia proprio il recupero, la riattivazione e riconfigurazione della memoria corporea e dell'imitazione cinestetica a permettere il sorgere del nuovo, della sorpresa, del gesto inaspettato. Nel corso delle ricerche incluse in questo capitolo è avvenuto, per me, lo spostamento dal cercare di comprendere, attraverso la danza, il processo creativo, peraltro molto studiato in generale, all'evidenza della creatività sorgiva della natura umana, creatività che è nel e del corpo sensibile e consapevole e che è esibita dalla danza. Altro modo di comprendere l'esemplarità della danza e altra chiave di lettura di questo lavoro è pertanto che la danza ci mostra non solo che la nostra corporeità è intelligente, ma che il suo muoversi e sentire di muoversi è all'origine di ogni intelligenza e che questa intelligenza è creatività. E tutto questo ha richiesto un approfondimento filogenetico delle "origini" (con tutte le cautele che l'uso di questo termine necessita) della danza. Nel 2° capitolo, dal titolo "Danza e risonanza. L'esperienza mimetica del corpo che danza", ho pertanto rivolto lo sguardo a cosa significava la danza in quelle civiltà in cui essa possedeva una funzione vitale e riconosciuta dall'intera comunità, con lo scopo di individuare quali aspetti dell'esperienza umana e comunitaria essa incarnava. In questo mi sono avvalsa dell'apporto di diverse discipline che studiano le "origini", come l'etnologia, l'antropologia, la paleontologia, la storia delle religioni, in particolare orientali, la storia della danza, ma anche della riflessione di Platone, di Marcel Jousse, di Marcel Mauss, di Walter Benjamin, di Rudolf von Laban, di Irmgard Bartenieff, di Judith Kestemberg, della psicologia della Gestalt, di Daniel Stern, di Mary Stark Whitehouse. Proprio la capacità amplia di imitazione cinestesica, di "rendersi simili a", di cui ho parlato nel 1° Capitolo, di cui oggi forse sperimentiamo una forma diminuita, addormentata, o forse trasformata e parzialmente migrata altrove, sembra essere alla base della fioritura precoce della danza in ogni civiltà e dell'importanza e centralità che essa aveva. E la sua trasformazione e/o migrazione sembra essere all'origine della precoce perdita di esemplarità della danza, rispetto alle altre arti. La danza, notano infatti etnomusicologi, antropologi e storici della danza, fiorisce precocemente in tutte le civiltà. Alle origini essa è una delle attività più serie ed importanti, ma in seguito viene gradualmente relegata ad un ambito più ristretto, fino a perdere quasi del tutto il suo carattere di attività donatrice di senso. Nelle civiltà che precedettero l'affermarsi della scrittura come mezzo di acquisizione, elaborazione e trasmissione del sapere la danza rappresentava un'esperienza determinante nella vita della comunità. In un lento processo storico, che non riguarda solo la danza, ma coinvolge tutte quelle attività che oggi chiamiamo "arte", in occidente la danza è diventata ciò che possiamo chiamare "danza teatrale occidentale", attività altamente specializzata concepita e strutturata per essere rappresentata di fronte ad un pubblico spettatore passivo, il quale, se proprio desidera "divertirsi", può andare a ballare il sabato sera. Essa ha dunque perso quel ruolo privilegiato che aveva nelle civiltà basate sull'oralità, di costituire il modo primario per esprimere tutto ciò che contava. La tesi generale che sostengo in questo capitolo, in continuità con quanto detto nel precedente, è che l'imitazione cinestetica non è da intendersi come una specifica capacità di imitazione esteriore di gesti e movimenti, ma come il modo primario, non concettuale, mimetico, appunto, in cui ci rapportiamo all'altro, inteso sia come ambiente naturale sia come collettività umana. E che essa sia dunque un aspetto, forse il principale, sicuramente il più originario, di quella capacità mimetica o mímesis, principio filosofico-antropologico dell'esperire e agire umani, descritto da Platone ed Aristotele, e che ricorre in tutta la storia della filosofia, ampiamente usato in numerose altre discipline con significati e sfumature così ampi che è impossibile fare a tale proposito un discorso generale. Detto in altri termini, la tesi è che la mímesis all'origine (ontogenetica e filogenetica) sia cinestetica ed che sia dunque un altro nome, o la categoria più ampia, di quella che nel primo capitolo è stato denominato schema corporeo, praktognosia, spazio corporeo, intelligenza corporea, corpo-pensiero, thinking body. Sostengo, poi, che tale dono della nostra corporeità, sia di scorgere/sentire le somiglianze in natura, sia di produrle, abbia, allo stesso tempo, una dimensione di trascendenza rispetto ai limiti di ciò che di solito chiamiamo "io". Si tratta di quella che viene definita "corporeità estatica". La corporeità, come si è già affermato nel 1° capitolo e come si vedrà ancora in seguito, nella sua essenza, è sempre estatica. La dimensione estatica o di trascendenza, sempre parziale, rispetto ai confini dell'ego è descrivibile come risonanza cinestetica, come empatia, come mímesis, capacità di mimare la natura mediante il proprio corpo, di produrre in esso e con esso somiglianze. Le riflessioni sul contesto, sul ruolo e sulle modalità della danza delle origini faranno anche emergere lo stretto collegamento tra la dimensione cinestetico/mimetica e l'archetipo femminile, presente in tutti gli esseri umani, ma oggi in occidente rimosso o degradato, magistralmente descritto soprattutto da Marjia Gimbutas, ma anche, secondo diverse prospettive, da Carl Gustav Jung, Johann J. Bachofen, Erich Neumann, Riane Eisler, Heidi Goettner-Abendroth, Luciana Percovich, solo per citarne alcuni. E, spero, apparirà chiaro, in seguito alle riflessioni sulla danza dei primordi, che la dimensione ecologica (sentirsi parte della natura), politica (sentirsi parte di una collettività) ed estatica (sentirsi parte di un "tutto"), presentavano alle origini un legame strettissimo, immanente alla corporeità. E che l'aver rimosso o degradato, nella civiltà occidentale, ormai estesa quasi all'intero mondo, la corporeità, la danza (nel senso profondo di esperienza antropologica originaria), il femminile, va di pari passo con una coscienza unilaterale ed egoica e con i disastri ecologici, le guerre, il razzismo, la discriminazione di genere e di età (infanti e vecchi), che mette a repentaglio la vita stessa della nostra e di molte altre specie viventi. Oggetto del 3° capitolo, il cui titolo è "Movimento immagine danza. La dimensione simbolica del corpo che danza" è, grazie alle riflessioni di Susanne Langer, Rudolf von Laban, Aby Warburg, Daniel Stern e Maxene Sheets-Johnstone, in generale, lo stretto legame tra il movimento consapevole, la memoria e le immagini interne, non solo visive, ma amodali o transmodali, come è già emerso dai diversi esempi presi in esame e dalle riflessioni condotte nei capitoli precedenti. E che sia questa stessa cooriginarietà a far emergere la dimensione simbolica della danza. Sembrerebbe, infatti, che al solo rivolgere l'attenzione o l'ascolto ad una parte del corpo, o al corpo intero (per chi ci riesce, dopo un lungo allenamento), accada qualcosa, un cambiamento dello stato di coscienza, che evoca e allo stesso tempo riconfigura l'archivio somatico-sensibile. La disciplina e la pratica dell'attenzione e dell'ascolto cinestetico aprono la strada della presenza, delle immagini interne, dell'integrazione tra sentire e pensare, tra dentro e fuori, tra io e mondo. È come se l'ascolto del corpo e del respiro risvegliasse le energie dormienti in noi, e, proprio come avviene quando i fisici, osservando l'elettrone, ne modificano la posizione, nel momento stesso in cui focalizziamo la nostra attenzione sul corpo, qualcosa cambia, le forze si allineano in maniera diversa. Questo tipo di attenzione non è dunque di tipo "oggettivo", qualsiasi cosa ciò possa significare, ma è essa stessa parte del gioco. Questo accesso al corpo come campo di memoria e di immagini è comune a diverse discipline, ma nella danza, si potrebbe dire, è anche il modo in cui questo grande archivio cinestetico è rigiocato cinesteticamente in una "forma" e non tradotto in altri "codici". In altre parole, se un movimento rivela sempre qualcosa di chi lo compie attraverso il "come" lo compie, è proprio questo stesso "come" a permettere la mímesis, che colloca il gesto in quello spazio potenziale in cui il gioco tra unione e separazione, tra identità e differenza si apre alla possibilità dell'immaginazione, del simbolo, della dimensione culturale stessa. E questo avviene "per la prima volta" ontogeneticamente e filogeneticamente in modo cinestetico, nella fase transizionale per l'infante, nella fase "primitiva" per l'umanità, come Daniel Stern, Susanne Langer e Aby Warburg, in modi diversi, molto efficacemente spiegano. Quando la danza diventa arte performativa, per coinvolgere il sentire dello spettatore passivo bisogna enfatizzare la figura modalmente, cioè canalizzare la sua forma rivolgendosi a sensi diversi, soprattutto alla vista e all'udito, e la figura si stacca dallo sfondo indifferenziato, fino, a volte e molto tempo dopo, a occultarlo del tutto, a presentarsi come pura figura. Il momento di passaggio si può cogliere, in modo embrionale, già nella fase della "magia", cioè quando nelle danze rituali si separa l'attività di danzare dai suoi "effetti", per esempio "curativi", quando la danza non è più solo puramente estatica, di comunione della comunità con la natura/Grande Madre, ma si concepisce una sorta di nesso di causalità, una separazione tra mezzi e fini, che, anche se molto diverso da quello della scienza moderna, introduce comunque un principio di causa-effetto e di temporalità lineare, un prima e un dopo. La dimensione simbolica non è dunque solo presente nella danza, e già questo sarebbe una conquista rispetto alle diffuse teorie che vedono la danza solo come autoespressione, ma nasce in essa e con essa. La riflessione sulla danza nelle civiltà orali ci mostra che la dimensione simbolica da essa inaugurata è il modo in cui l'umanità si orientava nel suo passaggio da un mondo "magico", come lo definisce Warburg, ad uno "logico", in un processo di progressivo allontanamento dalla fisicità del simbolo, verso l'astrazione e la separazione, in parallelo alla tragica rottura con la natura che l'essere umano ha operato nella modernità. Se riflettiamo sul passaggio dalla danza danzata dalla comunità intera a quella danzata da pochi e vista da altri, emergono almeno due questioni: quella della progressiva separazione tra la dimensione cinestetica e quella visiva, che condurrà poi alla prepotenza dello sguardo centrale, alla postura del controllo e del potere e quella, strettamente collegata, dell'incapacità di questo stesso sguardo solo visivo e centrale di vedere/sentire la dimensione temporale della danza, visto che, dopo un lungo processo, la danza è diventata un'arte rivolta prevalentemente alla vista. Se, invece di fermarci alla considerazione della dimensione visivo/spaziale, consideriamo la danza da un punto di vista anche temporale ed energetico, il movimento viene apprezzato nei sui aspetti dinamici o "qualitativi", la cui individuazione e definizione, sulla base di un filo rosso che lega Laban, Langer, Stern e Sheets-Johnstone, è un altro dei temi trasversali di questo lavoro. Nel 4° capitolo, intitolato "Anti-corpi, altri corpi. La danza come esempio di esercizio critico della corporeità", ho inteso porre la questione, di importanza vitale, di cosa ci mostri la danza oggi e di come quello che ci mostra appartenga a tutti noi e possiamo farne uso, che è uno dei motivi principali per cui ho voluto mettere per iscritto queste riflessioni. La danza ci mostra innanzi tutto che tutte/i abbiamo un corpo, e non è una cosa da poco, se intendiamo il corpo non come esecutore di ordini mentali ma come thinking body, come intelligenza corporea. Il valore di questa riflessione sull'esperienza del corpo che danza sta, in primo luogo, nella "scoperta" che ascoltare/sentire la nostra corporeità è già un esercizio critico. Anzi, è l'esercizio più profondamente critico, perché arriva laddove la parola e il pensiero, i principali strumenti critici della nostra civiltà, non arrivano. Il rifiuto teorico del concetto tradizionale di corpo, possibile grazie al guardare attraverso la danza, e tutti gli spostamenti filosofici che esso comporta, costituisce una sorta di protezione immunitaria contro la visione (solo visiva) dicotomica, un vero "anticorpo", come dice Michel Bernard, nel doppio senso della parola, ai condizionamenti. E che sono possibili, grazie alla pratica e alla fruizione della danza, o meglio, del movimento consapevole e creativo, altri corpi. Uno dei temi del quarto capitolo è proprio quello degli "anticorpi" o altri corpi, pensati e agiti attraverso la danza e la pratica del gesto consapevole. Se, infatti, i condizionamenti sociali e culturali che passano attraverso la parola e le immagini sono stati oggetto di riflessione e, rispetto ad essi, sono stati elaborati strumenti critici, quelli che sono operati nei confronti dei corpi, per esempio attraverso le tecniche del corpo, sono più profondi, molto precoci, non verbali e non verbalizzabili, per cui più difficili da individuare in una cultura che concepisce l'esercizio critico soprattutto attraverso la parola. Per comprendere questi aspetti e altri limitrofi ho preso spunto da Michel Bernard, da Marcel Mauss, dalla biopolitica, da Ugo Volli, da Eugenio Barba. Da un punto di vista più strettamente filosofico, la riflessione segue, in questo capitolo, soprattutto alcuni testi di Alain Badiou e di Giorgio Agamben, Aby Warburg e Maxene Sheets-Johnstone, ma anche le pratiche del gesto di Virgilio Sieni, di Jérôme Bel, di Trisha Brown. Prendendo spunto dalle riflessioni di Alain Badiou, ho cercato di mostrare come la danza, che abbiamo visto essere il modo in cui ogni capacità simbolica nasce, possa riportarci ad una dimensione sorgiva in cui il corpo e il pensiero di cui è portatore sono inaugurali, quando i nomi non sono ancora assegnati e in cui è possibile darne di nuovi. Badiou considera, infatti, la danza come "evento prima del nome", come arresto provvisorio dei "nomi" che diamo alle cose e quindi come possibilità di attribuirgliene altri. La danza è dunque molto distante dalla parola, non tanto perché esprime una dimensione istintuale e pre-linguistica del corpo, ma soprattutto perché ci mostra, in maniera radicale, come la dimensione linguistica configuri e strutturi la nostra realtà, spesso senza che ne siamo consapevoli. Abbiamo così i "corpi disobbedienti" della danza, che sottolineano la natura sottrattiva della danza, e del corpo che danza, un corpo, "anonimo" (letteralmente, prima di avere un nome), o meglio il corpo che nasce come corpo nell'istante in cui danza. Anche i "gesti sospesi", che disattivano o rendono inoperosi i dualismi, sono un altro modo di vedere la possibilità che la danza sia una pratica critica, proposto di Giorgio Agamben, la cui riflessione sul gesto è accompagnata dall'incontro con la danza, grazie alla collaborazione con Virgilio Sieni. Emerge così, in questo capitolo, in maniera più esplicita, ma è comunque uno dei livelli di lettura trasversali di questo lavoro, la dimensione politica della corporeità. Ho cercato di mostrare, anche grazie a qualche esempio concreto (Jérôme Bel, Trisha Brown, Virgilio Sieni) come sia possibile una pratica della consapevolezza dei corpi e degli spazi, in contesti comunitari, in relazione a dimensioni territoriali specifiche, in particolare in contesti urbani, quasi sempre fuori dall'ambito dello spettacolo (inteso qui come organizzazione industriale e commerciale delle rappresentazioni), ma comunque in una dimensione che possiamo in qualche modo definire estetica. Ho inoltre cercato di far emergere anche l'altra faccia della valenza "immunitaria" della danza, quella della possibilità di dare luogo ad altri corpi, sia dal punto di vista della danza performativa che, a partire dal secolo scorso ci ha mostrato una molteplicità di corpi possibili, sia, in senso più profondo, per mostrare come l'esercizio critico della pratica del corpo pensante, in tanto in quanto decodifica i condizionamenti, ci mostra la creatività sorgiva della natura (corporea) umana. La creatività, quindi, non è da vedersi solo come uno stile o una competenza che possiamo acquisire grazie ad una tecnica, ma come l'essenza stessa del nostro modo (cin-)estetico di stare al mondo.