Recensión sobre la obra: Linz, Juan J. La quiebra de las democracias. Alianza Universal. Madrid, 1987.
El libro que comentamos es la traducción al castellano de un texto escrito por Linz y publicado en inglés en 1978, como introducción a la obra Brekdown of democratic regimes, compilación dirigida por Linz y Alfred Stepan, Baltimore, John Hopkins University Press.
"Die Stellungnahme Jugendlicher zum Thema Arbeitslosigkeit war ein Teilaspekt einer Untersuchung, die im Sommer/Herbst 1987 bei AHS- und BHS- Schülern und Lehrlingen in Linz durchgeführt wurde. Einerseits ging es dabei um Aussagen zu den Ursachen von Arbeitslosigkeit, anderseits um die Einschätzung möglicher eigener Betroffenheit. Die zur erstgenannten Thematik vorgelegten Aussagen beinhalten mehr strukturelle Faktoren ebenso wie solche individueller Zuschreibung. Relativ stark wird "die derzeitige Anwendung der Technik" für die Arbeitslosigkeit verantwortlich gemacht, von weiblichen Jugendlichen noch viel stärker als von männlichen, in nicht wesentlich geringerem Ausmaß wird auch der Aussage zugestimmt, daß man heutzutage einen Arbeitsplatz findet, wenn man wirklich arbeiten will - besonders hoch ist diese Zustimmung bei Lehrlingen. Allerdings wird nur von wenigen ohne Einschränkung behauptet, daß jemand selbst schuld ist, wenn er heute arbeitslos wird." (Autorenreferat)
IntroduzioneNel suo noto saggio suDemocracy, Presidential or Parliamentary: Does it Make a Difference?— ampiamente diffuso e da considerarsi ormai una sorta di classico non pubblicato — Juan Linz (1987, 2) osserva correttamente che gli scienziati della politica hanno trascurato le importanti differenze istituzionali e comportamentali tra regimi parlamentari, presidenziali e semipresidenziali e che, in particolare, queste differenze «ricevono solo scarsa attenzione nei due più recenti lavori di comparazione delle democrazie contemporanee», cioèComparative Democraciesdi G. Bingham Powell (1982) e il mioDemocracies(Ljiphart 1984). Una ragione per cui il presidenzialismo risulta relativamente trascurato nel mio libro è che nell'universo di 21 democrazie ivi considerato — definito da quei paesi che hanno avuto una ininterrotta esperienza di governo democratico approssimativamente dalla fine della seconda guerra mondiale — compare un solo chiaro caso di governo presidenziale (gli Stati Uniti) e due casi più ambigui (la V Repubblica francese e la Finlandia). Retrospettivamente ritengo di aver applicato i miei criteri in modo troppo stretto e che avrei dovuto includere anche l'India e il Costa Rica tra le mie democrazie «prolungate». Quest'ultimo avrebbe costituito un quarto caso di presidenzialismo. Powell fa ricorso ad una definizione meno esigente di democrazia (un minimo di 5 anni di democrazia nel periodo dal 1958 al 1976), il che gli mette a disposizione altri 4 casi di presidenzialismo: Venezuela, Cile, Uruguay e Filippine.Vorrei essere ancor più esplicitamente critico sul mio libro del 1984: la debolezza principale non è tanto lo scarso spazio dedicato al contrasto tra presidenzialismo e parlamentarismo (circa 12 pagine su 222, cioè un po' più del 5% del libro) ma piuttosto il fatto che la discussione non è sufficientemente integrata con la comparazione della democrazia maggioritaria e consensuale, che costituisce il tema principale del lavoro. In particolare, ho definito presidenzialismo e parlamentarismo in riferimento a due caratteristiche contrastanti, ignorando una terza cruciale distinzione, ed ho poi legato il contrasto presidenziale/parlamentare ad una sola delle differenze tra democrazia consensuale e maggioritaria, ignorando il suo impatto su numerose altre distinzioni. L'obiettivo di questo articolo è correggere queste lacune e stabilire la connessione generale tra il contrasto presidenziale/parlamentare e quello maggioritario/consensuale.Come Linz, il mio atteggiamento sarà critico verso il presidenzialismo, ma tale critica si baserà su argomenti in parte diversi. L'argomento principale di Linz (1987, 11) riguarda «la rigidità che il presidenzialismo introduce nel processo politico e la flessibilità di gran lunga maggiore di questo processo nei sistemi parlamentari». Concordo pienamente con Linz e, in aggiunta, sono d'accordo che rigidità e immobilismo costituiscono i più seri punti deboli del presidenzialismo. In questo articolo la mia critica si concentrerà su una ulteriore debolezza della forma presidenziale di governo: la sua potente inclinazione verso la democrazia maggioritaria e il fatto che, nel gran numero di paesi in cui un naturale consenso di fondo è assente, appare necessaria una forma di democrazia consensuale invece che maggioritaria. Questi paesi comprendono non solo quelli caratterizzati da profonde fratture etniche, razziali e religiose, ma anche quelli con intense divisionipoliticheche originano da una storia recente di guerra civile o dittatura militare, enormi diseguaglianze socio-economiche e così via. Inoltre, nei paesi in via di democratizzazione o di ri-democratizzazione le forze non-democratiche devono essere rassicurate e riconciliate ed è necessario fargli accettare l'idea non solo di abbandonare il potere, ma anche di non insistere nel pretendere il mantenimento di «domini riservati» di potere non-democratico all'interno del nuovo, e per gli altri versi democratico, regime. La democrazia consensuale, che è caratterizzata dalla condivisione, dalla limitazione e dalla dispersione del potere, ha molte più probabilità di raggiungere questo obiettivo che non il diretto dominio maggioritario. Come Philippe C. Schmitter ha suggerito, democrazia consensuale significa democrazia «difensiva», che per le minoranze etno-culturali e politiche risulta meno minacciosa dell' «aggres-sivo» governo maggioritario.Tratterò questo tema in tre fasi. In primo luogo definirò il presidenzialismo in riferimento a tre essenziali caratteristiche. In secondo luogo mostrerò che, specialmente come risultato della sua terza caratteristica, il presidenzialismo ha una forte tendenza a rendere la democrazia più maggioritaria. Infine, esaminerò le varie caratteristiche non-essenziali del presidenzialismo — caratteristiche che, benché presenti di frequente, non sono elementi distintivi della forma di governo presidenziale — ed il loro impatto sul grado di consensualità o maggioritarietà della democrazia.
"Die Strukturkrise der Stahlindustrie im allgemeinen und die wirtschaftlichen bzw. finanziellen Schwierigkeiten der VOEST-ALPINE AG im besonderen machten es 1987 unumgänglich , den zwei Jahre vorher begonnenen Personalabbau weiter zu forcieren. Zur Wiederherstellung ihrer Wettbewerbsfähigkeit mußte die Firma rund 10 000 Mitarbeiter abbauen, wobei sich die Personalreduktion auf einige Standorte verteilt. In Form der Stahlstiftung hat die VOEST-ALPINE einen beispielhaften Weg gefunden, einerseits ihre marktorientierten Einsparungsprogramme planmäßig abwickeln zu können und andererseits den davon persönlich betroffenen Menschen Unterstützung zur Bewältigung dieser Krisensituation in ihrem Leben zu geben. Der Autor, Personaldirektor der VOEST-ALPINE Stahl Linz Ges.m.b.H., gibt mit seinem Beitrag einen Überblick über die Stahlstiftung. Er stellt unter anderem die Solidarität der Betroffenen als Triebfeder des Erfolgs dar und erläutert den organisatorischen und finanziellen Rahmen." (Autorenreferat)
Since Robert Dahl's seminal writings on democracy more than two decades ago, interest in the topic has emerged again, especially among scholars analyzing democratic transitions. Great strides have been made in revealing the uncertain nature of these transitions (O'Donnell et al. 1986; Malloy and Seligson 1987; Diamond, Linz, and Lipset 1989; Hakim and Lowenthal 1991; O'Donnell 1994), in methodologically analyzing them as contested and "crafted" rather than spontaneous (Di Palma 1990), and in documenting the class and social forces that make democratic outcomes more likely (Rueschemeyer, Stephens, and Stephens 1992; see also Moore 1966). Despite these advances, there has been little change in our theoretical understanding of democracy. As Bruce Cumings has perceptively noted, recent studies of democratic transition have "given way to atheoretical and idiosyncratic explanations of more or less successful democratic 'openings'" in which little time is spent elaborating "the decision rule for saying this person is hard-line or soft-line, that system is 'liberalized autocracy' instead of 'limited democracy,'" or for defining democracy itself. If scholars do bring theory into their writings "through the back door of the obscure but telling footnote," he observes, "rather than advancing their own conception of democracy, [they] uniformly define democracy by reference to Robert Dahl's Polyarchy, a classic pluralist account of the North American system" (Cumings 1989:15–17).
In: The journal of modern African studies: a quarterly survey of politics, economics & related topics in contemporary Africa, Band 28, Heft 2, S. 327-331
Similar to most industrialized countries, female labor supply in Austria has been increasing for the last decades, while labor force participation for men has been constant or even somewhat declining. This working paper - in cooperation with the University of Linz - provides an insight into wage elasticities concerning work participation and weekly hours for Austrian men and women between 1987 and 1999. It presents the almost continuous reduction in the labor supply reactions of married women. While their elasticity was still several times larger at the beginning of the 1980s, they approached rapidly the much less elastic behavior of men. These developments are important for the analysis of deadweight losses of taxation as well as the effects of tax reforms and wage subsidy programs. In this paper we differentiate between married and never-married women; which is very important in explaining labour force participation. As these differences are negligible for men we refrain from this distinction. Labor supply elasticities give an impression about attachment to the labor force; very high elasticities of (married) women have often been interpreted as evidence for low labor force attachment and a traditional family role model: the male bread-winner model where female market participation was considered as supplementary and more volatile. Due to increasing educational attainment of women, developments on the marriage market - lower marriage and higher divorce rates - and most importantly changing social roles and norms, it can be expected that this traditional male-breadwinner model will have considerably lost its importance.