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Una proposta di lettura integrale della città Maya antica. La morfologia urbana di Chinikihá e Palenque (Chiapas, Messico) nel periodo classico
Research on urban and architectonical contexts in Mesoamerica have generally concentrated on the study and excavation of settlements' civic-ceremonial core. Nevertheless, in recent years, several projects aim to understand the real extension of Mesoamerican cities and their territorial and political integration. The Palenque Regional Project, directed by Dr. Rodrigo Liendo Stuardo, has concentrated its efforts on the register and documentation of the archaeological sites within the area controlled by the Palenque kingdom in the Classic period. In this regional context, Chinikihá and Palenque are the only settlements that we can define as capitals of a large territory, because of their public architecture as temples, ball games, big central plazas and the hieroglyphic inscriptions, which testify the presence of a ruling dynasty. The urban complexity they manifest, with respect to the other 600 registered sites, confirm their predominant role and their capacity to concentrate people and activities. In this paper, in order to understand the functioning of the city as a response to people´s movement, differential accessibility, buildings hierarchy and association, I propose a methodology to study the ancient Maya urban morphology. This is composed of two topics: a first typological categorization of architectural compounds and groups, and the adoption of the five formal categories proposed by the American urbanist Kevin Lynch which, in my opinion, help outlying the perception that the users could have had of their surrounding built environment. The methodological proposal here formulated is a first approach to understand the urban morphology of ancient Maya cities: I consider that, from an architectonic point of view, it is a fundamental task to complement archaeological investigations with the study of the urban context, in order to better comprehend and propose how space was used and how it would have been to live in a planned city and in a symbolic environment.
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Un approccio integrato per l'implementazione di politiche di crescita della produttività in Italia ; An integrated approach for the implementation of politics of growth of the productivity in Italy
Dottorato di ricerca in Economia e territorio ; Il cambiamento tecnologico comporta una "rimodellatura" e, a volte, un vero e proprio rovesciamento dell'ordine esistente all'interno delle organizzazioni produttive. La conoscenza generata dall'innovazione tecnologica, per essere "assorbita", necessita di un corredo di pratiche organizzative adeguate: per tale ragione è sempre più stretto il processo co-evolutivo tra sviluppo tecnologico e cambiamento organizzativo. Il coordinamento e la gestione delle sinergie e dei feedbacks tra diversi aspetti dell'attività innovativa diventa una specifica linea d'azione strategica per le imprese al fine di ottenere performances economiche superiori. La stretta complementarità tra investimenti in beni tangibili (nuove tecnologie) e intangibili (struttura organizzativa), da cui scaturisce una maggiore crescita della produttività, è il fulcro del nuovo approccio a queste tematiche. L'ipotesi di complementarità nei processi innovativi assume particolare rilievo con l'avvento delle tecnologie ICT, con la loro natura generalista o aspecifica (general purpose technology), il loro carattere ampiamente pervasivo, e l'esigenza connessa di una prestazione a più alto contenuto cognitivo e relazionale (Breshnahan et al. 2002, Brynjolfsson et al., 2000, Brynjolfsson et al., 2002, Bugamelli e Pagano 2004). La penetrazione di queste tecnologie nel tessuto produttivo favorisce lo sviluppo di diversi input complementari e comporta diverse ondate di innovazioni "secondarie" che creano nuovi prodotti e nuovi processi, dando luogo a periodi più o meno prolungati di aggiustamento strutturale che coinvolgono la riorganizzazione aziendale e l'implementazione delle pratiche del lavoro ad alta performance o High Performance Workplace Practices (Breshanan e Trajtenberg 1995). Quest'ultime si esplicitano in una serie di azioni che hanno nell'empowerment delle risorse umane l'elemento centrale, e che si concretizzano nella riduzione dei livelli gerarchici, nell'assunzione generalizzata di responsabilità, nel coinvolgimento dei lavoratori, nello svolgimento di ruoli attivi, nel lavoro in team, nella polivalenza e nella policompetenza, nei sistemi di valutazione della performance e dei suggerimenti dal basso, e infine nelle buone relazioni industriali. La concettualizzazione dell'organizzazione come un insieme di elementi profondamente eterogenei ma complementari risale a Milgrom e Roberts (1990 e 1995) che, dapprima, ne forniscono una definizione basata sulle proprietà di supermodularità della funzione di redditività dell'impresa, e poi modellano il raggruppamento delle pratiche risultanti dalla complementarità tra innovazioni tecnologiche e cambiamenti organizzativi. Implicita nella definizione di complementarità è l'idea che fare di più in una certa attività non impedisce di fare di più in un'altra, contrariamente alla teoria tradizionale dell'impresa in cui l'ipotesi di rendimenti di scala decrescenti può porre dei vincoli alla possibilità di incremento simultaneo delle variabili di scelta dell'impresa. Le analisi empiriche hanno messo in rilievo come frequentemente innovazioni tecnologiche ed organizzative siano adottate congiuntamente e come entrambe influiscano sulle performances delle imprese (Black e Lynch 2000, Bresnahan, Brynjolfsson e Hitt 2002, Brynjolfsson, Lindbeck e Snower 1996, Malone et al. 1994, Pini 2006, Pini et al. 2010). Nel nostro paese gli studi empirici sulle complementarità tra sfere innovative sono ancora pochi. I principali lavori di natura econometrica realizzati, sulla base di limitati campioni di imprese a livello provinciale, sono attribuibili a Cristini et al. (2003 e 2008), Leoni (2008), Mazzanti et al. (2006), Piva et al. (2005), Pini et al. (2010). Un aspetto poco indagato, anche nei lavori citati, è quello dell'interazione tra tecnologie ICT, cambiamenti organizzativi e pratiche lavorative ad alta performance sulla produttività del lavoro, che è proprio l'argomento specifico che ci siamo proposti di indagare. Preliminarmente abbiamo ricostruito il dibattito teorico ed empirico sul ruolo di driver al fine dell'ottenimento di performances superiori delle tecnologie ICT, dei cambiamenti organizzativi e delle nuove pratiche del lavoro, singolarmente presi. In una seconda fase abbiamo verificato l'esistenza di legami virtuosi tra le tre attività innovative e la produttività del lavoro mettendo in evidenza le complementarità tra le sfere innovative. Per questo abbiamo effettuato un'analisi empirica utilizzando due fonti principali: IX e X indagine sulle imprese manifatturiere del Mediocredito Centrale (ora Capitalia) e la Community Innovation Survey (Cis-4) dell'Istat. Questi ultimi dati sono integrati con quelli di bilancio delle imprese società di capitali attive dal 2001 al 2008, con i caratteri strutturali del Registro delle imprese (Asia), con i dati del commercio estero (Coe), e dell'occupazione (Oros). Seguendo il productivity approach, abbiamo ricercato i legami di complementarità eseguendo, con il software STATA 10, una serie di regressioni multivariate, utilizzando funzioni di produzione aggiustate con le strategie innovative e le loro interazioni. I modelli, stimati con la tecnica dell'Ordinary Least Square (OLS), sono differenti a seconda della tipologia di dati disponibili: con i dati Mediocredito si è stimata una funzione di produzione di tipo Cobb-Douglas, per i dati Cis-4 un stimato un modello a effetti fissi tramite una funzione di produzione di tipo Translog. Se il ricorso alla funzione Cobb-Douglas è ricorrente nella letteratura internazionale, soprattutto per stimare gli effetti delle singole strategie innovative sulla produttività del lavoro (Black e Lynch 2001, 2004, Breshnan et al. 2002, Gera e Gu 2004), l'utilizzo di una funzione Translog, è scelta assolutamente non ricorrente in letteratura per quanto riguarda l'oggetto di analisi. A tal riguardo ci si è ispirati al lavoro di Amess (2003), nel quale vengono valutati gli effetti del management buyouts sull'efficienza di lungo termine delle imprese manifatturiere della Gran Bretagna. Inoltre abbiamo testato la presenza di complementarità attraverso l'analisi delle differenze in termini di performance, suddividendo le imprese in base a diverse combinazioni nell'utilizzo delle strategie innovative. Un aspetto da rilevare è che, le nostre analisi realizzate sul panel integrato Cis-4 utilizzano un campione particolarmente numeroso e rappresentativo della realtà industriale italiana, un fatto, come detto, non frequente negli studi sull'argomento condotti nel nostro Paese. I risultati ottenuti dall'analisi di entrambi i campioni sono in linea con i principali studi empirici italiani (Cristini et al. 2003 e 2008, Mazzanti et al. 2006, Pini 2006, Pini et al. 2010), convalidando ampiamente l'ipotesi di un impatto positivo delle tre strategie innovative sull'aumento delle performances produttive delle imprese, anche se implementate singolarmente in azienda. Per quanto riguarda la verifica di un legame di complementarità tra le tre aree innovative emerge, chiaramente un effetto additivo sul valore aggiunto attraverso l'analisi dei differenziali e seguendo l'approccio sulla supermodularità di Milgrom e Roberts (1990, 1995). L'aspetto più rilevante dei risultati ottenuti è costituito dal fatto che alcune variabili diventano particolarmente significative quando le imprese le adottano simultaneamente: ciò vale in particolare per la formazione e la partnership in R&D. L'attività di formazione è associata positivamente alla presenza di tecnologie ICT e all'innovazione organizzativa, intesa come instaurazione di partnership per la R&D. Inoltre dall'analisi sui dati Mediocredito emerge, in conformità alla teoria skill biased technical change, una propensione a domandare lavoratori in possesso di qualifiche più elevate da parte delle imprese che hanno implementato in maniera significativa cambiamenti tecnologico-organizzativi (Berman, Bound e Griliches1994, Breshnan et al. 2002, Draca, Sadun e Van Reenen 2006). ; Technological development results in a "reshaping" and, sometimes, a complete change within existing productive structures. The knowledge brought about by technological innovations, to be incorporated need a wealth of suitable structural procedures: for this reason the evolution between the technological development and the structural change is getting narrower. The coordination and management of the sinergies and feedbacks among the different aspects of the innovative activity becomes a line of strategic action within the companies to obtain superior economic performances. The strict complementarity between investments in tangible goods (new technologies) and intangibles ones ( organization structure), which brings about a better productivity growth, is the pivot of the new approach to these thematics. The complementarity hypothesis in the innovative processes is particularly important with the advent of the ICT technologies, with their general purpose technology, their widely pervesive characters and the associated requirements of a knowledge at a higher contexct. (Breshnahan et al. 2002, Brynjolfsson et al., 2000, Brynjolfsson et al., 2002, Bugamelli e Pagano 2004). The penetration of these technologies in the productive frame favours the development of the different complementary inputs and allows several flows of "secondary" innovations, which creates new products and processes, bringing more or less long sructural adjustments which include the business reorganization and to carry out work documentation at high performance or High Performance Workplace Practices (Breshanan e Trajtenberg 1995). The latter can be explained in a series of actions which have in the human resources empowerment its central element (unit) and which are reliased with the reduction of the hierarchical levels of employment at general responsibility level, bringing in the employees in active running roles, in working as a team with many duties and competence, in the methods of valuing performance and suggesions from below and lastly in good industial relations. La concettualizzazione dell'organizzazione come un insieme di elementi profondamente eterogenei ma complementari risale a Milgrom e Roberts (1990 e 1995) che, dapprima, ne forniscono una definizione basata sulle proprietà di supermodularità della funzione di redditività dell'impresa, e poi modellano il raggruppamento delle pratiche risultanti dalla complementarità tra innovazioni tecnologiche e cambiamenti organizzativi. Implicita nella definizione di complementarità è l'idea che fare di più in una certa attività non impedisce di fare di più in un'altra, contrariamente alla teoria tradizionale dell'impresa in cui l'ipotesi di rendimenti di scala decrescenti può porre dei vincoli alla possibilità di incremento simultaneo delle variabili di scelta dell'impresa. The notion of the organisation as a collection of elements extremely different, but complementary, goes back to Milgrom and Roberts (1990 e 1995) who, at first, gave a definition based on the properties of modular dimensions of the firm income capacity and then they (the set of elements) put together the resulting documentation due to the complementarity between technological innovations and structural changes. Implicit to the complementariety definition, is the idea that to do more in a certain activity does not exclude to do more in another one; this is to the contrary to the firm traditional theory where the hypothesis of decreasing range efficiency can limit the possible simultaneous increase of the firm variable choices. The empiric analysis have put in evidence that often technological and structural innovetions are taken together and that both influence the firms performances (Black e Lynch 2000, Bresnahan, Brynjolfsson e Hitt 2002, Brynjolfsson, Lindbeck e Snower 1996, Malone et al. 1994, Pini 2006, Pini et al. 2010). In our country the empiric studies on the complementarity within the innovative fields are still few. The major econometric works realised, based on limited samples at provincial level are ascribed to Cristini et al. (2003 e 2008), Leoni (2008), Mazzanti et al. (2006), Piva et al. (2005), Pini et al. (2010). The integration within the ICT technologies, stuctural changes, work habits at high performance on work productivity are aspects investigated insufficiently even on the studies already mentioned. This is the specific subject we propose to examine. At first we have reconstructed the theoric and empiric argument on the driver role aiming to obtain performances better than the the ICT technologies, stuctural developments, work habits, each taken individually. In a second phase we have verified the existence of virtual bonds between the innovative activities and labour productivity putting in evidence the complementariety within the innovative areas. For this reason we carried out an empiric analysis using two main sources: IX and X investigation on manufactury firms of Mediocredito Centrale (now Capitalia) and the Community Innovation Survey (Cis-4) by Istat. These last data are put together with the ones of active plc (public limited companies) balances from 2001 to 2008 with structural characteristics according to Companies Register (Asia), foreign trade data (Coe) and employment (Oros). By following the productivity approach we searched complementarity bonds, achieved with software STATA 10, a range of changeble regressions, using production activities related to innovative strategies and their interactions. The samples, based on the Ordinary Least Square (OLS) technique, are different according to the type of data: available with Mediocredito data, we valued a production function of the Cobb-Douglas type; for the Cis-4 was valued a sample at fixed results using a production function of Tanslog type. If going back to the Cobb-Douglas function appears again in the international literature, especially to value the consequences of single innovative strategies on labour productivity (Black e Lynch 2001, 2004, Breshnan et al. 2002, Gera e Gu 2004), the use of a Translog funtion, is chosen absolutely, without going back to literature when referring to the object of the analysis. From this point of view, we were influenced by Amess' (2003) work, where were valued the results of the management buyouts on the long term efficiency of manifacturing industies in Great Britain. Besides we tested the presence of complementarity by using the analysis of the differences based on performance, by dividing the firms according to their different utilization of innovative strategies. An aspect to take into consideration is that, our analysis carried out on the integrated Cis-4 panel utilise a rather special and large sample which represents the Italian industrial reality, a fact, as already mentioned, not common in the studies undertaken in our Country on this subject. The results obtained from the analysis of both samples are in line with the principal Italian empiric studies (Cristini et al. 2003 e 2008, Mazzanti et al. 2006, Pini 2006, Pini et al. 2010), widely confirming the hipothesys of a positive impact within the three innovative strategies on the companies increase of the producteve performances, even if singularly employed by the business. As regards the examination of a complementarity connection within the three innovative areas, emerges clearly an additive effect on its added value using the analysis of the differentials and approching the super modularity of Milgrom e Roberts (1990, 1995). The most important aspect of these results is that some variables become particularly significative when the firms use them simultaneously: this is particularly valid at educational level and partnership in R&D. The activity at educational level is positively associated to ICT technologies and structural innovetions, understood as the setting up of partnership for R&D. In addition from the analysis of Mediocredito data emerges, according to the skill biased technical change theory, a tendency by the companies, which have made significant techinical-structural changes to look for employees with higher qualification levels (Berman, Bound e Griliches1994, Breshnan et al. 2002, Draca, Sadun e Van Reenen 2006).
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Conservazione delle risorse genetiche microbiche del suolo
In: IX Convegno nazionale Biodiversità : Atti del convegno, Vol. 1 Agrobiodiversità e Valorizzazione delle Risorse Genetiche. 2012; 9. Convegno Nazionale Biodiversità, Bari, ITA, 2012-09-05-2012-09-07, 360-366
Le diverse specie di microrganismi presenti nel suolo hanno ruoli prioritari nelle trasformazioni dell'energia e nei processi biogeochimici, intervenendo nella decomposizione del materiale organico attraverso processi biodegradativi e nel riciclo di elementi essenziali quali carbonio, fosforo, azoto ed altri; in tal modo portano a termine specifiche reazioni di ossido-riduzione che permettono agli elementi di rendersi così disponibili in forme utilizzabili soprattutto dalle piante (Alexander, 1977); ai microrganismi del suolo è deputata infatti la conservazione dei numerosi servizi ecosistemici che si svolgono nel suolo (Bunning e Jiménez, 2003). La Convenzione Internazionale sulla Biodiversità (CBD) descrive la biodiversità agricola come "le componenti della diversità biologica relative al cibo e all'agricoltura e tutte le componenti della diversità biologica che costituiscono gli ecosistemi agricoli, anche chiamati agroecosistemi. Le varietà e la variabilità degli animali, delle piante e dei microrganismi a livello genetico, di specie e di ecosistema, necessari a mantenere le funzioni chiave degli agroecosistemi, la loro struttura ed i loro processi". La Strategia nazionale per la biodiversità (7 ottobre 2010, www.minambiente.it) pone tre obiettivi principali per la conservazione della biodiversità il primo dei quali è quello di massimizzare la salvaguardia e il recupero della biodiversità e dei servizi ecosistemici al fine di garantire il ruolo chiave per la vita sulla Terra e il benessere umano. Il secondo vuole favorire l'adattamento delle specie e degli ecosistemi naturali e semi-naturali ai cambiamenti climatici e adottare le opportune misure di mitigazione, mentre il terzo integrare la conservazione della biodiversità nelle politiche economiche e di settore. La conservazione dei microrganismi ex situ permette il mantenimento delle risorse genetiche microbiche del suolo sottoforma di ceppi distinti in coltura pura. Anche se la biodiversità dei microrganismi coltivabili rappresenta solo una piccolissima parte della realtà ambientale, essa risulta essere estremamente utile ed interessante per conservare e studiare ex situ organismi riconosciuti artefici di un determinato processo o azione. La conservazione in situ prevede lo studio e la conseguente valutazione della biodiversità microbica associata ad una determinata coltura o specie vegetale. È noto dalla letteratura che ogni specie vegetale rilascia nel suolo, in funzione anche delle caratteristiche pedoclimatiche ed ambientali, essudati radicali, che selezioneranno una determinata popolazione microbica (Pinton et al., 2001). Questo comporta che una conservazione del solo germoplasma vegetale ex situ, potrebbe non garantire il desiderato risultato di conservazione. Pertanto, nel caso della conservazione della biodiversità in funzione della fertilità del suolo e delle sue funzioni legate ai servizi ecosistemici da esso garantiti, questa va tutelata e garantita attraverso un approccio di ecosistemico pianta-suolomicrorganismo e l'attivazione di collezioni in situ. Sarà il monitoraggio in situ spazio temporale a garantire la salvaguardia della biodiversità microbica (Cardinali e Benedetti, in press). ; Scientists now know that the complex processes carried out by the soil biota (including plant roots) have significant effects on the health of ecosystems, the quality of soils, the incidence of soilborne plant and animal pests and diseases and, consequently, on the quality and yields of crops. The ecosystem services provided by soil organisms that may influence agricultural productivity include the decomposition and cycling of organic matter, the regulation of nutrients availability and uptake, the suppression of pests and diseases, the maintenance of soil structure and the regulation of soil hydrological processes, gas exchanges and carbon sequestration, soil detoxification, plant growth control, and pollination of horticultural crops (Bunning and Jimenez, 2003). Biological diversity is defined by the Convention on International Biodiversity (CBD) as "the variability among living organisms from all sources including, inter alia, terrestrial, marine and other aquatic ecosystems and the ecological complexes of which they are part; this includes diversity within species, between species and of ecosystems". The national strategy for biodiversity (7th October 2010, www.minambiente.it) sets three main objectives for biodiversity conservation, the first one deals with protecting and recovering biodiversity and ecosystem services in order to provide life on Earth and human health. The second one aims to promote species and natural and semi-natural ecosystem adaptability to climate change, whereas the third one deals with including biodiversity conservation in current policies. Ex-situ conservation means the conservation of microbial genetic resources outside their natural habitats in pure cultures. Although culturable microbial diversity represents only a small fraction of total microbial diversity (Lynch et al., 2004), it's extremely important for studying microrganisms responsible of certain processes and functions. In-situ conservation means the conservation of ecosystems and natural habitats and the maintenance and recovery of viable populations of microbial species in their natural surroundings associated with domesticated or cultivated species. Each specie releases in soil different plant root exudates depending on pedoclimatic and environmental conditions, resulting in the selection of certain microbial taxa (Pinton et al., 2001). This means that ex situ conservation alone could not always guarantee biodiversity conservation. Therefore, microbial biodiversity associated with soil biological fertility and ecosystem services provided by the soil biota should be preserved through an ecosystem plant-soil-microrganism-based approach.
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La città di latta e la città di vetro. Utopie e distopie della metropoli brasiliana contemporanea
La tesi proposta tratta principalmente due temi: la promessa dell'utopia e il tradimento della stessa. Essendo la città la protagonista della ricerca, è dall'essenza stessa di città del III Millennio che l'indagine trae i propri spunti fondamentali. Il necessario assioma alla base della linea di pensiero seguita consiste in primo luogo nel qualificare la città contemporanea come luogo del conflitto. Conflitto tra crescita ed equità sociale, tra sostenibilità e insostenibilità ambientale (Finocchiaro, 1999). Essa è un'entità pachidermica, inquinata e sovrappopolata, matrice di diseguaglianze e di tensioni tra classi. In particolare, le grandi metropoli dei cosiddetti "Paesi Emergenti" mostrano, dagli anni Ottanta ad oggi, una certa irrequietezza, decisamente più marcata rispetto a quelle occidentali, che invece si possono considerare - tutto sommato - "consolidate". Ancora più nel dettaglio, le città brasiliane costituiscono uno stimolante affresco degli effetti che l'obesità patologica della città contemporanea ha sulla società e sui suoi spazi. Il principio cardine della tesi proposta è che l'attuale stadio di sviluppo delle più grandi (e problematiche) metropoli brasiliane è dovuto sostanzialmente a un processo evolutivo costantemente altalenante tra aspirazioni ideali e utopie disattese. Nella ricerca, l'evoluzione urbana di alcune delle metropoli più popolose del mondo (São Paulo, 20 milioni di abitanti; Rio de Janeiro, 12,1 milioni; Fonte: IBGE) - che non riescono a smettere di crescere - viene imputata sostanzialmente a due fenomeni diametralmente opposti, l'uno la nemesi dell'altro: da una parte un processo di gentrificazione e dall'altro uno di favelizzazione. Ad opulenti quartieri (metaforicamente chiamati "città di vetro") fatti di luce, di spazi dilatati e di ampie aree verdi, fanno da contraltare sterminati insediamenti a-gerarchici, gigantesche baraccopoli (favelas) incancrenite sulle alture tipiche del paesaggio carioca (morros). Questa tipologia viene invece metaforicamente definita "città di latta". Le forti diseguaglianze alla base della difficile convivenza tra queste due città - l'una contro l'altra armata - hanno portato nel corso della seconda metà del XX secolo all'emergere e all'acuirsi di un forte rancore urbano, che sfocia ogni giorno in una forte incidenza della microcriminalità da parte degli abitanti dei quartieri più poveri, con conseguenti contromisure di autodifesa da parte della gentry (condomini iperprotetti, alti muri con filo spinato, guardie private…). Nella prima parte della tesi si fa un'analisi critica dell'evoluzione storico-politica del Brasile dell'ultimo secolo, attraverso alcune selezionate tappe fondamentali (Guerra di Canudos, Riforma urbana di Pereira Passos, Dittatura Militare e "Lulismo"), seguendo un filo conduttore comune. Si intende infatti dimostrare che l'attuale assetto urbano e sociale delle metropoli carioca è il risultato di un'irrequieta alternanza tra aspirazioni ideali e utopie disattese (la città di vetro tende all'utopia mentre quella di latta viene trascinata verso la distopia da un sistema iniquo e corrotto). Ma l'evoluzione stessa della città risente anche dell'avvicendamento tra utopia e ideologia (Mannheim, 1957), come durante il ventennio di dittatura (1964-1985). Gli eventi storico-politici cui si è fatto cenno vengono integrati con alcuni casi-studio di utopie e distopie urbane (Belo Horizonte, Brasilia, Rio de Janeiro). Nell'corso dell'analisi si opera una riflessione sulle problematiche che hanno portato all'acuirsi delle eclatanti disparità alla base dell'evoluzione urbana recente, soffermandosi in particolare sull'individuazione e sulla riflessione intorno al ruolo di tre attori fondamentali: lo Stato, il popolo e il capitalismo finanziario. Nella seconda parte, la ricerca si addentra ad un livello più profondo di indagine dell'assetto urbanistico e dell'aspetto figurativo delle due metropoli più significative e "problematiche": São Paulo e Rio de Janeiro. L'adozione di un metodo di osservazione e di percezione dell'ambiente urbano (che prende spunto dagli studi di Kevin Lynch; gestalt) porta all'assunzione come dato di fatto dell'immagine estremamente variegata delle spazialità delle città prese in esame. La tesi propone una tassonomia di tali spazialità che si differenzia da altri tipi di classificazioni rese disponibili dallo stato dell'arte (come per esempio le ricerche di Françoise Choay, anni Settanta) in quanto difficilmente corrispondenti alla sfaccettata realtà di São Paulo e di Rio. Le tre "urbanità" che vengono di conseguenza definite sono: Lo spazio di difesa. Dei tre attori individuati nella Parte I (Stato, popolo, capitalismo finanziario), questo è lo spazio che afferisce al popolo. Si tratta della città a-gerarchica (favela). Questa definizione intende sottolineare la stretta connessione tra forma e funzione: nel caso della favela brasiliana la configurazione urbana compatta e tortuosa è legata sia a necessari "adattamenti orografici" sia al controllo e alla gestione di un territorio che vive in un'altra legalità, in larga parte al di fuori del controllo statale (spesso dominato dalla criminalità organizzata, tranne che in alcuni casi di favelas "pacificate"). La pianificazione non è data dall'applicazione di convenzioni e strumenti urbanistici ma dalle peculiarità territoriali. Il tessuto è estremamente fitto e non ci sono piazze. La sua dimensione spaziale è di conseguenza il vicolo; l'esplicitazione architettonica è l'edificio autocostruito. L'edificato è immediato e disallineato: la percezione visiva è stimolata da prospettive accidentali. È un tipo di urbanità trascinata verso il distopico (casi studio: favela Tiquatira a São Paulo e favela/conjunto di Cidade de Deus a Rio de Janeiro). La figura retorica di riferimento è la sineddoche (la parte per il tutto). Lo spazio d'immagine. Dei tre attori definiti nella Parte I, questo è lo spazio che afferisce al capitalismo industriale/finanziario. È la città gentrificata, avida consumatrice di suolo, pianificata e sviluppata su di un tracciato urbano razionale e regolare, che non sempre tiene conto dell'orografia (a differenza delle favelas che "si adattano" a ogni dislivello). La sua dimensione spaziale è il viale, quindi le grandi assialità nelle quali la ricca borghesia glorifica se stessa attraverso i propri feticci (l'esplicitazione architettonica di tale urbanità è il grattacielo). È uno spazio in cui il simulacro (Baudrillard, 1981) prende il sopravvento: iconico, l'immagine esteriore è tutto; il materiale, le forme e le insegne sono una forma di alterazione della realtà per scopi propagandistici (casi studio: Avenida Paulista a São Paulo; Avenida presidente Vargas, Rio de Janeiro). La percezione visiva è stimolata dalla prospettiva a quadro inclinato, che esalta il verticalismo. La figura retorica è l'allitterazione (la ripetitività delle immagini e degli slogan per enfatizzare, promuovere e invogliare al consumo). Lo spazio di dottrina (o d'autorità). Dei tre attori definiti nella Parte I, questo è lo spazio che afferisce alle istituzioni (lo Stato ma anche l'autorità ecclesiastica, molto forte in Brasile). È il tipo di urbanità che più tende all'utopia, trovandosi di conseguenza esattamente agli antipodi della città a-gerarchica. È lo spazio di celebrazione del Sistema ma anche dei principi e dei valori comuni della Nazione ed è pertanto caratterizzato da una forte carica simbolica e figurativa. La percezione visiva non può che essere stimolata dalla prospettiva centrale, che esalta simmetria e solennità. La sua dimensione spaziale è la piazza, un vuoto ampio e solenne, che tende a valorizzare quella che è l'esplicitazione architettonica di una tale urbanità, ovvero il Monumento. Casi studio: Praça da Sé (São Paulo); Largo da Paço (Rio de Janeiro); Praça dos Tres Poderes (Brasilia). Figura retorica: allegoria (espressione di un concetto astratto tramite un'immagine concreta).
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Recycle: nuove tematiche per l'architettura del paesaggio
Negli ultimi anni è possibile rintracciare diversi progetti, mostre, iniziative che rimandano al tema del riciclo. Attraverso una breve storiografia delle esperienze più importanti che si riconoscono nel riciclo è possibile segnare come questa strategia vada oltre l'eccezione. La multidisciplinarietà del tema si colloca nel dibattito contemporaneo, in quelle riflessioni che cercano di fissare i mutamenti del pensiero di una società in crisi perché si confronta quotidianamente con l'esaurirsi delle risorse e con la necessità di reinventare, a partire dallo scarto, nuove politiche di gestione dei territori e delle città. I rifiuti, i resti, gli scarti costituiscono un tema centrale nelle attuali politiche di gestione dei territori e delle città perché ritenuti elemento di distorsione e risorsa: possono interrompere il ciclo di riproduzione della città o reintegrarsi nel suo sviluppo. Le città, come le campagne, hanno convissuto con i loro scarti. Riuso e riciclo sono termini antichi, costantemente presenti nei diversi modi di produzione economica e di vita sociale. Il suolo urbano è fatto di stratificazioni, di un'accumulazione di resti: nelle mura delle costruzioni troviamo materiali ed elementi edilizi che provengono da fabbriche più antiche, distrutte, abbandonate, saccheggiate. I depositi di rifiuti, come i cimiteri, fanno parte della storia e della vita urbana, ma mentre per i cimiteri troviamo un'attenzione culturale, religiosa, simbolica, per i rifiuti l'attenzione è stata da sempre solo funzionale. Tra sviluppo della città e trattamento dei rifiuti c'è stato un lungo equilibrio; la città tradizionale riusciva ad assorbire i suoi scarti. I rifiuti diventano un problema con la città moderna, con l'industrializzazione, con l'espansione demografica, con la grande dimensione dei consumi. Alle origini della città moderna i rifiuti urbani diventano un fattore negativo, sono un male da porre sotto controllo, da occultare. L'urbanistica moderna trova i suoi primi fondamenti nella medicina e nell'igiene. Le reti fognarie, come le strade, organizzano l'espansione urbana. Con lo sviluppo della città, lo smaltimento e la gestione dei rifiuti diventano una pianificazione settoriale, specialistica; non fanno più parte integrante del piano della città. Probabilmente anche questa scissione ha contribuito a determinare la fine dell'equilibrio e della visione unitaria del ciclo vitale che teneva insieme sviluppo urbano, produzione, consumo e smaltimento. Oggi i rifiuti sono al centro della crisi delle grandi città: la loro produzione supera spesso la capacità di gestirli in modo efficace e sicuro. Hanno assunto una dimensione economica rilevante al punto da diventare uno dei settori d'intervento più frequentati dalle organizzazioni criminali. Il caso di Napoli e della Campania è per molti versi un vero paradigma anche per questi aspetti. Qui i rifiuti generano altri rifiuti, altri sprechi, altri rischi. Il controllo sfugge intenzionalmente di mano: aumenta l'inquinamento dei terreni e delle acque, crescono gli effetti negativi sulla salute delle comunità locali, aumenta lo spreco di suolo e il degrado del territorio e del paesaggio. La città, ma in fondo stiamo parlando del pianeta, potrebbe morire soffocata dai suoi rifiuti. In un mondo sempre più urbanizzato (nel 2050 avremo circa 9 miliardi di abitanti di cui l'80% vivranno in città) il tema dei rifiuti diventa determinante per la sopravvivenza dei sistemi urbani. Già oggi troviamo due modelli: aree metropolitane come Tokio che riescono a controllare la gestione dei rifiuti con tecnologie e logistiche avanzate e città come Il Cairo dove gran parte dei rifiuti della città viene raccolta e trattenuta in appositi quartieri maleodoranti (Zabaleen City, non molto distante dalla Cittadella) per essere selezionata, trattata e riciclata da una popolazione di oltre 50.000 persone che vivono letteralmente nella spazzatura. Molto probabilmente sarà il modo di trattare i rifiuti a segnare la differenza tra le grandi città. Ovunque nel mondo emerge, tuttavia, una questione assolutamente 5 nuova: i rifiuti sono una rete decisiva per la vita della città, non più rete invisibile e oscurata, ma sempre più evidente per la sua ingombrante presenza. Tuttavia il tema dei rifiuti non si esaurisce con la spazzatura, le nuove forme di produzione e di distribuzione dell'economia hanno determinato la dismissione di aree industriali, di terreni agricoli, di infrastrutture obsolete, di interi quartieri residenziali, come a Detroit. Non sono anche questi resti, elementi da recuperare, riciclare, riportare dentro un progetto, un piano? L'arte ha già scoperto la centralità dei rifiuti nella nostra vita, facendone oggetto di riflessione estetica: Kevin Lynch nel 1990 con Wasting away è stato tra i primi a restituire al tema dei rifiuti una dignità disciplinare; Rem Koolhaas ne ha cinicamente intuito la omologante presenza, sublimandola nello Junkspace; per Alan Berger il territorio è già un Drosscape. Attraverso l'analisi del rapporto tra città, produzione, scarti e reti infrastrutturali coadiuvato da una strategia di azioni programmatiche è possibile pensare ad "un ripensamento tecnico e procedurale del "progetto di bonifica" per superare le pratiche settoriali tradizionalmente utilizzate e identificarlo quindi come un sostrato irrinunciabile di un più complessivo progetto urbano e di paesaggio ecologicamente orientato" come insegna Carlo Gasparrini. È necessario quindi definire attraverso la ricerca, che sto portando avanti, una chiave di lettura ed una visione condivisa del territorio a partire da un'azione combinata di strumenti operativi e concettuali che portano alla definizione di un progetto contemporaneo di paesaggio attento al rapporto tra ecologia, progetto, pianificazione e paesaggio stesso. Oggetto e obiettivi della ricerca Negli ultimi trenta anni, i vocaboli che hanno raccontato quello che in italiano significa "scarto" si sono spesso alternati, prendendo forza o scomparendo dal dizionario urbano e architettonico, ritornando sommessamente nelle pagine dei libri e in quelle delle riviste di settore o assurti a titoli: Blanc, dèchet, drosscape, espaces delaisses, friches, garbage, junkspace, non-lieu, ruines, terrains vagues, tiers paysage, vacant land, vides, wasting away, zone, sono alcune delle voci utilizzate nella letteratura per raccontare la necessità di un dialogo del progetto con realtà marginali. Ognuno dei termini individuati da Sara Marini in Nuove Terre, riportano con forza la condizione di indeterminazione e di appartenenza a determinati ambiti del sapere pur mantenendo la possibilità di travalicare i confini. Ad esempio il termine "Friches" ricorre in testi che si occupano in particolare della dismissione industriale nonché del verde incolto, spontaneo così come spesso possiamo leggere nei testi di Gilles Clement, "Zone" resta legato agli studi di Geoges Betaille, "Non lieu" ha avuto particolare fortuna con Marc Augè grazie agli scritti che hanno avuto come oggetto lo studio del territorio. Ed è in questo contesto che le cosiddette zone di scarto si presentano come territori senza ruolo, in attesa di definizione, in attesa di una nuova opportunità: ed è solo attraverso il cambiamento di ordine economico, ecologico, sociale, che si può ottenere un nuovo disegno del reale che porta alla definizione di nuove linee di sviluppo. La cronaca racconta di un mondo nel quale la dismissione e lo scarto che ne consegue viene generato ad una velocità incompatibile con le tempistiche con le quali si costruiscono gli strumenti di gestione dei territori. Eppure è negli anni settanta del Novecento che Matta Clark decide di guardare ai luoghi abbandonati come materia architettonica sui quali costruire il proprio manifesto di ricerca. 6 Egli focalizza attraverso la sua ricerca due passaggi chiave del rapporto scarto/progetto: l'attenzione a spazi dimenticati come materia di nuove azioni e la messa in evidenza di nuove logiche normative rispetto all'attribuzione di senso dei suoli. Questo artista, proponendo come opere d'arte documenti catastali, fotografie e mappe di un territorio, rende esplicita la relazione che intercorre tra i diversi livelli di pianificazione e percezione del reale. Tali esperienze sullo scarto sottolineano come il tempo si fa materia di progetto nonché strumento vero e proprio sia nella costruzione del paesaggio sia nella determinazione del ciclo vitale di un oggetto. Il ruolo del tempo nel progetto di paesaggio segna una distinzione netta con il progetto architettonico: se il primo tende ad un istante preciso di realizzazione dell'opera, il secondo si attua con un percorso nel quale insistono fattori che possono definire l'esatto tracciato processuale. Ed è in questo contesto che l'opera esaspera la mutazione dei grandi fatti urbani in spazi dell'abbandono, dove riprende campo un mondo primitivo fatto di spazzatura e pratiche arcaiche, minute. Viene, quindi, naturale pensare che è giunto il momento di apprendere dallo scarto, dalla sua storia (che è la nostra), dalla sua contraddizione, dal suo male, ma anche dalla sua risorsa. Come riportare la sua ingombrante presenza all'interno del progetto di architettura, di paesaggio, di città, di territorio? Come trasformare la sua organizzazione in una rete integrata e strutturante il sistema insediativo? Cosa impedisce di trasformare le loro infrastrutture di raccolta, distribuzione e smaltimento in opere di qualità? Come reintegrare nella città e nel paesaggio i manufatti, le infrastrutture, le aree un tempo produttive e ora abbandonate e inquinate? E' possibile attraverso una linea di ricerca che muovendo dalla nozione di scarto e da uno scenario sempre più degradato e sommerso dai rifiuti, la promozione di strategie per riportare nel piano e nel progetto la pluralità dei materiali che compongono il territorio dei drosscapes? È possibile una concettualizzazione metodologica dello scarto? Sono queste alcune delle domande a cui vorrei rispondere attraverso una ricerca volta a chiarire il ruolo che occupa il riciclo all'interno della questione ambientale provando a concettualizzare il significato che nel tempo ha acquisito il termine scarto in rapporto al progetto architettonico e di paesaggio.
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