Purdah, o Della protezione: educazione e trasmissione culturale nelle famiglie migranti pakistane
In: Politiche migratorie
In: Ricerche 21
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In: Studi sociali
Escrito en marzo de 2002, tras un viaje en Pakistán entre los refugiados afganos, este ensayo quiere documentar la labor realizada por las mujeres de RAWA (Revolutionary Association of Women in Afghanistan) y sus luchas en defensa de la laicidad, la libertad y la democracia. No es exactamente un diario de viaje. Más bien se trata de un recorrido de conocimiento que quiere establecer canales de comunicación y entendimiento en oposición a la retórica neocolonial de las bombas portadoras de civilización y el ataque a las libertades de las mujeres, que hoy ve aliados los fundamentalismos de diversos colores y matices. ; Escrito en marzo de 2002, tras un viaje en Pakistán entre los refugiados afganos, este ensayo quiere documentar la labor realizada por las mujeres de RAWA (Revolutionary Association of Women in Afghanistan) y sus luchas en defensa de la laicidad, la libertad y la democracia. No es exactamente un diario de viaje. Más bien se trata de un recorrido de conocimiento que quiere establecer canales de comunicación y entendimiento en oposición a la retórica neocolonial de las bombas portadoras de civilización y el ataque a las libertades de las mujeres, que hoy ve aliados los fundamentalismos de diversos colores y matices.
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Negli ultimi decenni l'immigrazione in Europa è divenuta materia di primaria e strategica importanza per la definizione sia delle politiche interne che delle relazioni esterne dell'Unione. Il progressivo insediamento di consistenti gruppi nazionali ed etnici pone ai paesi membri importanti sfide economiche, sociali e culturali, alle quali le politiche messe in atto hanno dato fino ad ora solo parziale risposta. Concetti-guida come integrazione, assimilazione e rispetto della diversità faticano ancora oggi a trovare una adeguata ed equilibrata attuazione pratica nelle politiche di accoglienza realizzate dagli stati europei. Il lavoro di tesi intende ricostruire lo stato dell'arte relativo ai modelli di integrazione fino ad oggi seguiti dai paesi europei di più antica esperienza migratoria (Francia, Inghilterra e Germania) e, attraverso il loro confronto, mette a fuoco le peculiarità che hanno fatto del modello multiculturalista britannico quello teoricamente più adatto a promuovere l'inclusione sociale degli stranieri residenti, come singoli e come comunità. A partire da questa ricognizione, la tesi procederà successivamente ad un confronto tra questi modelli e l'esperienza italiana, che definiremo un nonmodello per la mancanza di linee di orientamento strategico-culturale. Di fronte alle sfide poste ai paesi europei non solo dall'aumento qualitativo, ma soprattutto dalla dinamicità e dall'eterogeneità dei nuovi flussi migratori, l'ultima parte della tesi discute della necessità di superare anche il modello pluralistico britannico e di sviluppare un modello di integrazione dinamico e differenziale, in grado, cioè, di adottare strategie di integrazione diverse in funzione dell'anzianità migratorie, e al tempo stesso di riconoscere e garantire le diversità culturali e religiose. La riflessione teorica su questo modello viene approfondita, nella parte conclusiva del lavoro di ricerca, mediante una verifica di applicabilità di questo nuovo modello al caso italiano. In questa analisi di fattibilità, la riflessione è sorretta da una indagine di terreno sui punti di forza e di debolezza dell'esperienza di insediamento a Pisa delle comunità Bengalesi e Pakistane, realizzata dal candidato mediante numerose interviste a membri ed ai leader delle due comunità. Le interviste hanno infatti consentito a precisare da un lato le sfide aperte nel nostro paese dai nuovi ed eterogenei flussi migratori che lo attraversano e, dall'altro, le richieste di riconoscimento e di integrazione (appunto dinamiche e differenziali) che provengono al modello italiano dalle nuove comunità che si sono insediate.
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La tesi tratta di una vicenda molto importante e delicata: la storia dei finanziamenti ai mujaheddin con i quali gli Stati Uniti, in particolare attraverso il Congresso e la CIA, diedero vita alla più grande jihad moderna contro i sovietici in Afghanistan, costringendo l'Armata Rossa a ritirarsi nel 1989. I documenti che riguardano questi fatti rimangono tuttora in gran parte segreti per volontà dei numerosi servizi di intelligence coinvolti, i quali, pur conclusasi ormai da tempo la fase storica della Guerra fredda, hanno ritenuto inopportuna una loro pubblicazione. L'elaborato, dopo un' introduzione nella quale viene delineato il contesto storico nel quale si origina la vicenda, analizza le dinamiche interne ed i conseguenti atteggiamenti tenuti in politica estera delle tre realtà che maggiormente verranno coinvolte nel conflitto afghano durante gli anni Ottanta: gli Stati Uniti, l'Unione Sovietica ed il Pakistan. Oltre a ciò viene delineato il quadro della situazione politica ed etno-linguistica afghana nel ventennio precedente all'invasione sovietica del 1979. La trattazione si focalizza in seguito sulle personalità e sui meccanismi che, all'interno del Congresso e della CIA, permisero ad un esercito di guerriglieri tribali di provocare la ritirata del più grande esercito convenzionale del mondo. Proseguendo, viene messa in luce la partecipazione agli eventi ed il ruolo ricoperto da altre importanti realtà della scena politica mondiale come l'Egitto, l'Arabia Saudita, Israele e la Repubblica Popolare Cinese, la quale tuttora nega il proprio coinvolgimento. Il lavoro prosegue illustrando, con carte geografiche ed immagini, le varie fasi del conflitto, le differenti armi utilizzate da entrambe le parti, nonché i potenti mezzi messi in campo dall'esercito sovietico. Il lavoro si conclude riportando fedelmente la cronaca degli avvenimenti che seguirono al definitivo ritiro sovietico, come la rivalità all'interno del fronte dei ribelli, la caduta del governo comunista nel 1992 ed il brusco disimpegno americano. Nelle conclusioni, infine, si sottolinea come questi fatti ebbero diretta responsabilità nel generare le condizioni che portarono i talebani al potere a Kabul e con ciò tutta la serie di tragici eventi che ebbe luogo a partire dall'11 settembre 2001. La parte più difficoltosa nella stesura del presente elaborato si è rivelata il reperimento di materiali e documenti. In una vicenda nella quale gli attori principali sono i migliori servizi di intelligence al mondo ciò è perfettamente comprensibile. Le interviste concesse dai protagonisti si sono rivelate un elemento insostituibile per una narrazione delle vicende il più completa possibile. Oltre a ciò, è presente un'appendice documentaria all'interno della quale vengono riportati, in ordine cronologico, alcuni dei documenti più sensibili prodotti e desecretati dai governi di Stati Uniti ed Unione Sovietica. Essi, al di là del loro linguaggio ufficiale permettono di comprendere le motivazioni che portarono a decisioni di portata epocale, i cui effetti continuano ad essere evidenti ed a manifestarsi tuttora.
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2008/2009 ; Le armi di distruzione di massa rappresentano uno degli aspetti più spaventosi degli sviluppi tecnologici che sono intercorsi nell'ultimo secolo. Sebbene alcuni effetti delle armi chimiche e biologiche fossero noti già da centinaia di anni, solamente nel ventesimo secolo si è assistito ad un vasto uso delle armi di distruzione di massa in diversi contesti bellici. La necessità di trovare armi "definitive", idonee a travalicare la forza ordinaria delle armi convenzionali ha spinto la scienza ad investigare sempre più nuovi strumenti in grado di annichilire l'avversario. Una parte di primissima rilevanza negli equilibri mondiali – e ancora oggi fonte di destabilizzazione in certi teatri regionali – è imputabile alle armi nucleari. La scoperta delle implicazioni belliche della fisica atomica ha semplicemente rivoluzionato il quadro militare mondiale, chiudendo la Seconda guerra mondiale e spalancando le porte della Guerra fredda. Basata in gran parte sull'equilibrio nucleare, questo tipo di guerra ha visto fronteggiarsi in primis due superpotenze dotate di arsenali nucleari tali da eliminare per sempre ogni tipo di forma vivente dalla faccia della Terra. Le armi di distruzione di massa sono oggi raggruppabili in diverse categorie: nonostante ogni nazione fornisca una propria definizione al riguardo, sostanzialmente questa tipologia di armi si articola su quattro tipologie diverse a seconda delle differenti sostanze di cui ognuna è composta. Esistono le armi nucleari, biologiche, chimiche e radiologiche: ognuna di esse presenta caratteristiche tattiche, strategiche e modi di funzionamento ben diverse. L'elemento che le accomuna è comunque la capacità, almeno potenziale, di arrecare una quantità di danni decisamente superiore a qualsiasi dispositivo militare convenzionale oggi presente negli arsenali. Seppure con modalità diverse, le armi di distruzione di massa hanno fatto la loro apparizione nei campi di battaglia soprattutto nel ventesimo secolo. Le prime ad essere utilizzate su vasta scala furono le armi chimiche, le quali apparvero come un mezzo per superare lo stallo della guerra di trincea. Durante la prima guerra mondiale la paura dei "gas" divenne un vero e proprio incubo per tutti i soldati, ed anche per i relativi stati maggiori, incapaci di provvedere contro questa nuova arma. Ma la vera svolta nel mondo delle armi di distruzione di massa arrivò nella Seconda guerra mondiale: dopo l'esplosione delle armi atomiche nei cieli giapponesi di Hiroshima e Nagasaki era chiaro che le superpotenze vincitrici della guerra non potevano prescindere dal possedere l'arma atomica. L'iniziale ritardo sovietico venne ben presto compensato, e nel 1949 Stalin poteva annunciare al mondo la parità militare con gli Stati Uniti. La bomba atomica venne poi seguita dalla bomba all'idrogeno, ultima frontiera degli sviluppi militari nucleari. Come noto, le ami atomiche ressero il confronto bipolare (e le sue certezze) fintantoché gli accordi SALT e START non cominciarono a ridurre il numero delle testate, ad oggi comunque presenti in molti arsenali. Le armi biologiche apparvero in seguito, soprattutto dopo gli sviluppi delle biotecnologie. La capacità militare di virus, batteri e tossine era già ben chiara ai giapponesi durante la seconda guerra mondiale: tuttavia i sovietici, grazie alla colossale impresa "Biopreparat" riuscirono a creare ed ad accumulare un'enorme quantità di agenti biologici. La fine del mondo bipolare poteva sembrare idonea a far diminuire i pericoli derivanti dalle armi di distruzione di massa: ma purtroppo eventi come gli attentati con il gas "sarin" nella metropolitana di Tokyo (1995) o l'uso di antrace negli Stati Uniti (2001) dimostrarono che inevitabilmente le armi di distruzione di massa rimanevano una minaccia costante per ogni Stato. Alle tre armi tradizionali si è affiancata una nuova categoria: le armi radiologiche, spesso indicate nel gergo giornalistico come "bombe sporche", consistenti nel diffondere elementi radioattivi mediante esplosioni convenzionali. Tale tipo di arma rischia di causare molti più danni grazie all'effetto mediatico che alla diffusione di materiali radioattivi: non tutti questi, infatti, hanno tempi di decadimento lunghi come l'uranio. La paura per quest'ultimo tipo di ordigni è cresciuta negli ultimi anni in quanto per un gruppo anche piccolo è relativamente semplice potersi procurare materiale radioattivo e farlo detonare in un centro urbano, contaminando tutta la zona. La preoccupazione per gli effetti delle armi di distruzione di massa si è concretata in una serie di trattati internazionali che progressivamente hanno disciplinato tutti i tipi di armi. La normativa in materia è costituita sia da trattati multilaterali che da trattati bilaterali: questi ultimi, pur essendo vincolanti solo per le due nazioni che li sottoscrivono, hanno comunque generato rilevanti effetti geopolitici nel pianeta. Subito dopo la seconda guerra mondiale l'Assemblea dell'Onu aveva cominciato a riflettere su un possibile contenimento delle armi nucleari, decisamente le più rilevanti a livello di effetti. Le ferite di Hiroshima e Nagasaki erano recenti, e l'Unione Sovietica stava sviluppando a tappe forzate il proprio programma nucleare. Nonostante le preoccupazioni della comunità internazionale, occorse aspettare la "Crisi dei missili" cubana del 1962 per poter vedere sviluppare delle prime forme di cooperazione internazionale per interdire, o quantomeno limitare, la minaccia dell'uso delle armi nucleari, sfiorata durante le tensioni cubane. A partire da quella data si succedettero diversi trattati internazionali e bilaterali in materia di armi nucleari, inizialmente legati alla limitazione del dispiegamento degli ordigni in determinati contesti, e, successivamente, rivolti alla riduzione del numero di vettori. Quest'ultimo ruolo fu particolarmente giocato dalla diplomazia americana e da quella sovietica, e conobbe un'autentica accelerata con l'arrivo delle presidenze Reagan-Gorbacev. È evidente che molte delle scelte compiute dalle due superpotenze influenzarono anche le rispettive coalizioni e le dottrine di impiego delle forze. Ma non tutte le iniziative regolamentari sortirono effetti positivi: ad oggi vi sono paesi, quali Israele, la Corea del Nord o il Pakistan che sono dotati di armamenti nucleari e non sono sottoscrittori del trattato NPT, cioè di non proliferazione nucleare. Questi stati sono inseriti in contesti regionali complessi e delicati, in cui spesso insistono interessi delle "potenze atomiche" legittimate in questo ruolo da una discutibile statuizione indicata nel trattato NPT. A fianco delle numerose iniziative svoltesi per disciplinare le armi nucleari sono state pure create delle Nuclear Weapons Free Zones, cioè aree del pianeta nelle quali gi stati membri si impegnano a non acquisire o usare armi nucleari. Tali iniziative hanno permesso di "liberare" dalla minaccia nucleare alcune aree (Antartide, Asia centrale, America del Sud, Asia del sud-est, Mongolia) e costituiscono un'iniziativa sinergica alle attività di contenimento e riduzione degli arsenali nucleari. Per le altre armi di distruzione di massa vi sono sicuramente stati meno trattati internazionali, ma non per questo essi sono stati meno importanti: è il caso delle armi chimiche, che possono vantare la prima proibizione in un protocollo del 1925. In tale settore è stata poi creata un'organizzazione internazionale idonea a verificare il rispetto della convenzione per la proibizione delle armi chimiche del 1993. Le armi biologiche presentano invece più difficoltà, ed al momento, secondo certa letteratura, sono identificate come un settore non ancora pienamente tutelato a livello internazionale. Se è vero che la convenzione sulle armi biologiche del 1972 vieta ogni tipo di arma biologica, la mancanza di una struttura internazionale di controllo e la velocità di sviluppo delle biotecnologie impauriscono gli stati, così come la mancata adesione di alcune importanti nazioni. In ogni modo, nonostante le critiche e le difficoltà, i trattati internazionali in materia di armi di distruzione di massa sono serviti per contenere e comunque evitare la diffusione di tali strumenti bellici attraverso le nazioni del pianeta: molto è ancora da fare, ma comunque le esperienze intraprese al momento sono tali da confermare questo cammino come valida via per limitare la diffusione di questa categoria di armamenti. Eppure il positivo processo di limitazione delle armi di distruzione di massa ha incontrato, soprattutto negli ultimi anni, alcuni limiti soprattutto in seguito alle azioni intraprese da alcune nazioni. In certi contesti regionali delicati alcuni stati vedono di buon occhio una propria capacità militare sostenuta da quella nucleare: il miraggio di entrare nel "club atomico", cioè nel ristretto numero di stati "armati" nuclearmente, è un miraggio che ha valenza sia di politica interna che di prestigio internazionale. I recenti casi della Corea del Nord e dell'Iran, ad esempio, indicano chiaramente come azioni di singoli paesi possano seriamente mettere a repentaglio anni di lavori e di incontri internazionali per limitare la diffusione di armi di distruzione di massa. Soprattutto l'arma nucleare rimane al centro del dibattito mondiale, in quanto i due paesi di cui sopra hanno deciso di dotarsene per questioni di prestigio e di politica interna. La Corea del Nord si è recentemente ritirata dal trattato NPT e ha fatto esplodere due ordigni nucleari, seppure di piccola capacità. Ciò che al momento preoccupa di più la comunità internazionale è l'isolamento dell'autocratica repubblica, le difficoltà nella transizione del potere ed infine il tentativo di acquisizione di capacità missilistica a lungo raggio. Negli ultimi mesi la Corea del nord ha ripetutamente condotto esperimenti missilistici che hanno notevolmente esacerbato la situazione regionale: in particolare destano la preoccupazione del Giappone, nel quale è in corso un dibattito sulla rivisitazione del ruolo delle forze armate, cosa decisamente avversata dalla Cina. Gli Stati Uniti, tradizionali difensori della Corea del Sud, potrebbero cogliere l'occasione per dispiegare i propri missili nucleari nel teatro, accrescendo così la militarizzazione dell'area e complicando il rapporto con le altre due potenze nucleari della regione, La Cina e la Russia. Allo stesso modo l'Iran sta attraversando una complessa fase di transizione a trenta'anni dalla rivoluzione del 1979. La granitica forma di governo teocratica è oggi minacciata da una fase economica non brillante e da difficoltà politiche interne: le recenti affermazioni del presidente iraniano Ahmadinejad hanno attirato l'attenzione del mondo sull'Iran, desideroso di accrescere il proprio peso nell'area. D'altra parte le affermazioni sulla scomparsa di Israele hanno notevolmente preoccupato il governo di Gerusalemme, il quale è in possesso di armi nucleari. Il rischio di un'escalation nucleare nella regione sarebbe un problema gravissimo, soprattutto considerando le difficoltà in cui si trovano diversi stati limitrofi, quali il Pakistan, l'Iraq o l'Afghanistan. Infine va considerato il problema del terrorismo internazionale. Non è detto che gruppi terroristi non possano essere ancora interessati all'acquisizione di armi di distruzione di massa: rispetto a quelle nucleari, più difficilmente acquisibili ed utilizzabili (occorre anche un vettore idoneo per trasportarle, stante il loro peso e le loro dimensioni) ipotesi come armi radiologiche, armi chimiche o armi biologiche rappresentano soluzioni ugualmente allettanti per spargere terrore e destabilizzazione nelle società da colpire. L'attenzione a tale riguardo si concentra soprattutto sul network di Al-Quaeda, in quanto struttura militare e militante più capace di possedere fondi tali da permettere l'acquisto di questo tipo di armi. Resta da chiedersi, in conclusione, quali risposte siano possibili a questo tipo di minaccia. La percezione della minaccia NBCR è differente a seconda dei paesi e dei contesti in cui gli stati sono inseriti: la riflessione più ampia sull'argomento è comunque quella americana, supportata da abbondante letteratura e servita addirittura come giustificazione ad un attacco preventivo (Iraq 2003). Allo stesso modo la Nato ha elaborato una propria posizione sulle armi di distruzione di massa, riconosciute dall'Alleanza come una minaccia concreta e tangibile, meritevole anche di risposte dal punto di vista operativo. Infine vi è il caso italiano, che concentra le competenze NBCR presso un'idonea struttura interforze, che opera in stretto raccordo con strutture civili dello Stato, a partire dei Vigili del Fuoco. Per terminare si può sostenere che le armi di distruzione di massa sono oggi una minaccia potenziale difficilmente eliminabile, ma tuttavia limitabile e controllabile tramite gli strumenti della diplomazia, della politica e del diritto internazionale, affiancata comunque da azioni delle attuali potenze dirette a limitare sempre più la diffusione e la proliferazione di questo tipo di armamenti. ; XXII Ciclo
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2008/2009 ; Sfruttando l'allentamento delle rigidità del sistema internazionale subentrato alla fine del confronto bipolare, un certo numero di paesi ha intensificato gli sforzi per migliorare il proprio status regionale, incidendo sui rapporti di forza locali principalmente attraverso il potenziamento delle proprie capacità militari. Il fenomeno è risultato particolarmente significativo in quello che viene definito come 'Grande Medio Oriente' (Great Middle East), comprendente la fascia di territori che si estendono dal Nord Africa al Golfo del Bengala. Questa vasta macro-regione condivide numerosi aspetti, fra i quali il rapido sviluppo demografico ed una perdurante situazione di instabilità endemica, mentre le sue importanti risorse energetiche sono oggi fondamentali non solo per l'Occidente, ma anche per le potenze asiatiche, la cui crescente rilevanza geopolitica e geostrategica è in larga parte conseguente alla loro rapida ascesa economico-industriale. Collocate prevalentemente in corrispondenza di quello che Saul Cohen aveva definito col termine di "zone di rottura" (shatterbelts), che separavano le sfere di influenza delle due superpotenze, varie potenze emergenti hanno individuato nel possesso – reale o anche solo potenziale – di armi di distruzione di massa lo strumento privilegiato per accedere a posizioni egemoniche negli equilibri locali, affermando contestualmente la propria sovranità nazionale. In tale quadro, esiste da parte di larga parte degli attori regionali una condivisa aspirazione a conferire concretezza alla netta opposizione ad ogni forma di ingerenza esterna, che tenti di influenzare, condizionare o indirizzare la soluzione delle molteplici questioni locali. Con questi obiettivi, sono stati avviati vari programmi tendenti a realizzare armi di distruzione di massa, necessariamente integrate dai relativi sistemi di lancio (delivery means). Contrariamente a quanto attuato dalle due superpotenze alla fine del secondo conflitto mondiale, i programmi in questione non hanno finalità egemoniche su scala globale, ma sono dichiaratamente finalizzati alla realizzazione di arsenali idonei, per quantità e caratteristiche dei sistemi d'arma, a tutelare gli interessi nazionali, sia nei confronti dei competitori regionali, come anche nell'eventualità di un confronto asimmetrico con la sola superpotenza rimasta dopo la fine dello scenario bipolare. Utilizzati per la prima volta in battaglia dall'impero cinese (280-233 a.C.), i proiettili autopropulsi, indicati anche col termine di razzi o missili, per molti secoli le loro applicazioni militari sono risultate saltuarie e marginali, soprattutto per la scarsa precisione e il limitato peso della carica trasportata. Negli usi bellici veniva preferito il cannone, sottoposto a continui miglioramenti in termini di portata, precisione e potenza distruttiva. Dopo la fine del primo conflitto mondiale, allo scopo di superare le severe limitazioni poste dal Trattato di Versailles allo sviluppo di armamenti pesanti ed a lungo raggio, nel 1929 l'esercito tedesco finanziava un programma di ricerca nel settore missilistico. Gli sforzi si concretizzavano nella realizzazione di due diverse classi di ordigni autopropulsi, le V-1 e V-2, il cui impiego veniva peraltro limitato alla fase terminale della seconda guerra mondiale. Ulteriori sviluppi – immediatamente avviati negli Stati Uniti ed Unione Sovietica col contributo di progetti, ordigni e tecnici catturati ai tedeschi – portavano alla realizzazione di vettori di crescente potenza, i cui persistenti problemi di precisione erano mitigati dall'enorme capacità distruttiva degli ordigni nucleari, tanto che la loro combinazione si affermava rapidamente come il principale strumento della deterrenza nucleare nel confronto bipolare. Attualmente, le applicazioni militari delle tecnologie nucleari sviluppate dai paesi emergenti richiedono consistenti investimenti in termini di tempo e risorse, anche per l'esigenza di aggirare i vincoli alla proliferazione imposti dai regimi internazionali. In questa prospettiva, lo sviluppo dei vettori di lancio balistici presenta problemi minori, di natura prevalentemente tecnica ed anche per questo i programmi missilistici godono di maggiore favore. Infatti, l'assenza di un accordo internazionale, ampiamente condiviso ed accettato, che limiti lo sviluppo di programmi missilistici e la loro duplice valenza, civile e militare, rende più agevole l'acquisizione e l'osmosi delle applicazioni dual-use. Inoltre, l'elevato contenuto tecnologico tende ad incentivare la formazione di personale scientifico e tecnico, favorendo il finanziamento di iniziative ed attività che contribuiscono allo sviluppo dei paesi proliferanti. Infine, la marcata valenza geopolitica, prima ancora che strategica, dei sistemi balistici nei rapporti di potenza regionali e nelle prove di forza con gli attori extra-regionali, favoriscono i sistemi missilistici, i quali – rispetto agli aerei da combattimento – offrono superiori prestazioni in termini di velocità, autonomia, capacità di sopravvivenza e di penetrazione. Inoltre, essi richiedono minori oneri di acquisizione e di gestione dei sistemi d'arma. Infine, il possesso di vettori missilistici consente, indipendentemente dal loro numero, significativi miglioramenti del livello di prestigio di cui gode il Paese che li possiede, che può anche sfruttare i test di lancio, opportunamente pubblicizzati, come strumenti di provata efficacia nell'esercitare forme di pressione psicologica a livello politico-diplomatico, utilizzabili sia per finalità interne che per scopi di deterrenza nei rapporti internazionali. Non sono rari, inoltre, momenti in cui, emulando quanto a suo tempo attuato dalle superpotenze, gli arsenali missilistici sono sfruttati come strumento di coercizione diplomatica, dimostrando anche in questo caso una valenza superiore a quella degli tradizionali armamenti. Alla luce di queste considerazioni, nel presente lavoro vengono delineati i vari aspetti della proliferazione missilistica nel Grande Medio Oriente, considerata nell'ambito del più ampio ed articolato problema della proliferazione delle armi di distruzione di massa, cui viene accennato ove necessario. La trattazione è articolata in tre parti principali, integrate da una serie di considerazioni conclusive. La prima parte del lavoro, dedicata all'analisi del ruolo svolto dai sistemi missilistici nell'attuale contesto internazionale, viene aperta da una sintetica disamina storica dello sviluppo ed impiego dei sistemi missilistici nei conflitti moderni. Viene tratteggiato lo sviluppo della missilistica moderna alla vigilia e durante il secondo conflitto mondiale, seguito dalle principali vicende che hanno caratterizzato l'evoluzione della deterrenza nucleare e missilistica nel corso della guerra fredda. A partire dall'inizio degli anni sessanta, i vettori missilistici hanno progressivamente acquistato un ruolo centrale, a discapito dei bombardieri strategici, progressivamente relegati a compiti complementari, mentre l'aviazione manteneva una presenza significativa a livello tattico-operativo. Nel prosieguo della trattazione, si esaminano brevemente i passaggi salienti della crisi missilistica del 1960, conseguente allo schieramento a Cuba dei vettori nucleari sovietici, che rappresenta una tappa importante nella storia della contrapposizione bipolare. Sul piano tecnologico, l'evento ha impresso un importante impulso allo sviluppo di vettori missilistici da parte degli Stati Uniti (che, all'epoca, paventavano un inesistente gap missilistico), mentre sul piano delle relazioni internazionali veniva evidenziata l'esigenza di instaurare meccanismi di comunicazione e di consultazione fra le due superpotenze, al fine di scongiurare ogni rischio di spiralizzazione nucleare. L'evento serviva anche da spunto iniziale per la successiva decisione francese di intraprendere una autonoma strategia nucleare e missilistica, ritenuta più rispondente alle esigenze francesi in termini di sicurezza nazionale di quanto assicurato dalla NATO. Nel prosieguo, una rassegna di casi di impiego di sistemi missilistici in particolari eventi storici consente di tratteggiare alcune delle motivazioni che alimentano gli attuali timori e le reciproche diffidenze radicate nell'area, nonché le inquietudine internazionali per i possibili effetti destabilizzanti causati da ordigni relativamente semplici, ma efficacemente utilizzabili anche in contesti di confronto asimmetrico. Segue una analisi dell'attuale proliferazione missilistica, che considera le motivazioni delle varie parti in causa, evidenziando i possibili rischi connessi con la proliferazione delle armi di distruzione di massa, alle quali i vettori missilistici forniscono l'indispensabile complemento operativo e strategico. In questo quadro, vengono sottolineati i tratti salienti e i limiti degli accordi internazionali attualmente operanti per contrastare la proliferazione delle armi di distruzione di massa, integrati da un sintetico cenno ai programmi di difesa antimissile ed alle convenzioni che regolano l'uso pacifico dello spazio. Nella seconda parte, vengono considerate le dimensioni geopolitiche e geostrategiche della proliferazione missilistica nella macroregione, partendo dall'esame delle caratteristiche geografiche, politiche e strategiche dello scenario mediorientale, nel quale soggetti geopolitici profondamente diversi – spesso in antagonismo fra loro – possono talora condividere finalità politico-strategiche identiche o complementari. Considerato come la percezione della minaccia influisca sulle motivazioni degli Stati proliferanti, particolare attenzione è stata riservata ai meccanismi della deterrenza ed alla combinazione dei fattori di potenza e vulnerabilità, così come si sono sviluppati nel contesto della contrapposizione bipolare ancora oggi operanti. In tale quadro, viene esaminato il processo evolutivo della deterrenza nucleare – inizialmente in funzione contro-risorse e successivamente orientata in funzione contro-forze – di pari passo con il miglioramento della precisione dei vettori missilistici. Inoltre, viene fatto riferimento anche alle formule di deterrenza sviluppate autonomamente da parte di Cina, India e Pakistan, contestualmente alla formazione dei rispettivi arsenali nucleari. L'introduzione di testate nucleari imbarcate su sottomarini lanciamissili a propulsione nucleare ha conferito una sostanziale invulnerabilità a parte del deterrente nucleare, rendendo realisticamente impraticabile l'opzione dell'attacco preventivo per annullare l'arsenale nucleare avversario. Questa nuova situazione ha comportato il superamento della dottrina del first use ed ha posto le basi per il consolidamento degli equilibri esistenti, mantenuti sotto la reale minaccia di distruzione reciproca assicurata (MAD). Con la dissoluzione del blocco orientale e l'emergere della posizione egemone degli USA, la dottrina della deterrenza è entrata in un processo evolutivo ancora in atto, influenzato in misura significativa dai programmi di difesa antimissile statunitensi e dallo sviluppo di armi antisatellite avviato da parte della Cina e di altri paesi. Queste iniziative rappresentano, almeno in parte, una risposta alla dottrina strategica statunitense – che ha rivendicato il diritto americano all'intervento preventivo - ed alla dottrina della "full spectrum dominance". Dopo il ritiro dal Trattato ABM, l'amministrazione Bush ha adottato una serie di iniziative in materia di difesa contro i vettori balistici, in linea con la unilateralità delle posizioni e degli obiettivi di politica spaziale, che, al momento, risulta sostanzialmente confermata dalla nuova amministrazione USA. D'altra parte, Washington nutre forti preoccupazioni per la proliferazione missilistica in atto in numerosi Stati del Medio Oriente allargato, in quanto – in un futuro confronto asimmetrico – potrebbe da un lato alterare gli equilibri di potenza locali, dall'altro sarebbe in grado di ipotecare pesantemente le capacità statunitensi di proiezione di forza convenzionale nella regione, in cui hanno origine flussi energetici di vitale importanza. Nel prosieguo, viene trattato il ruolo geopolitico e geostrategico svolto dai sistemi missilistici e spaziali, sia per quanto si riferisce all'applicazione di tecnologie dual-use nello sviluppo dei vettori missilistici civili e militari, sia per quanto concerne l'evoluzione delle visioni incentrate sui rapporti di potenza, con particolare riferimento alle maggiori potenze. A completamento, viene introdotta una breve disamina delle possibilità e dei limiti che incidono sulla formazione del quadro conoscitivo, con specifico riferimento allo sviluppo dei sistemi missilistici. In presenza di mezzi che rappresentano allo stesso tempo strumento della capacità militare e mezzo della propaganda politica, l'analisi oggettiva risulta oltremodo difficoltosa e fortemente penalizzata, essendo talora problematico valutare l'attendibilità delle fonti aperte disponibili. Le maggiori difficoltà interpretative dei dati reperibili derivano dalla sovrapposizione degli interessi propagandistici dei paesi proliferanti e delle valutazioni dell'intelligence avversaria, col risultato di una sopravvalutazione delle prestazioni e dei risultati conseguiti dai programmi di proliferazione. Difficoltà che, in qualche caso, risultano amplificate dal particolare ed articolato contesto mediorientale, in cui i complessi intrecci fra le aspirazioni dichiarate dalle leadership locali e le reali finalità rendono indefinito il bilancio di certezze e probabilità, come peraltro esemplificato nel 2003 dalla errata valutazione statunitense relativamente alle armi di distruzione di massa irachene. In questa prospettiva e al fine di fornire alcuni semplici elementi di valutazione, è stato redatto un sintetico allegato tecnico, in cui sono raccolti i principali parametri tecnologici ed operativi che caratterizzano le varie tipologie di vettore balistico, con una sintetica integrazione dedicata ai missili da crociera. Nella terza parte, vengono tratteggiati i lineamenti essenziali che contraddistinguono le posture strategiche dei principali attori del Grande Medio Oriente, inclusi India e Pakistan, accennando anche ai relativi programmi e dotazioni missilistiche. Contestualmente, si fa cenno, per quanto noto, anche ai coinvolgimenti dei principali attori extra-regionali. Uno specifico approfondimento viene dedicato ai potenziali missilistico iraniano ed israeliano, sottolineando le premesse storiche, geopolitiche e geostrategiche che – nell'ambito della politica di sicurezza dei due paesi – contribuiscono a motivare le scelte in questa direzione. Un accenno anche alla nuova dimensione geostrategica dei vettori balistici, con rilevante impatto sul piano politico interno ed internazionale, emerso in occasione degli attacchi missilistici condotti da Hezbollah e culminati negli scontri del giugno 2006. Da ultimo, alla luce di quanto emerso dall'esame dei vari aspetti della problematica e dei principali fattori che intervengono negli equilibri della macroregione, vengono tratteggiati alcuni dei possibili scenari di confronto geostrategico, anche conflittuale, fra i principali attori regionali. In particolare, l'attenzione è focalizzata sulla valutazione del possibile ruolo della componente missilistica, sia quale potenziale elemento destabilizzante, sia come possibile strumento di deterrenza sia, in determinate circostanze, quale stimolo per la individuazione di equilibri condivisi e per escludere ipotesi di spiralizzazione della contrapposizione regionale. Una serie di considerazioni conclude la trattazione che, per una più agevole consultazione, è stato integrata da vari allegati. Oltre ad una raccolta dei termini, acronimi ed abbreviazioni di uso più ricorrente nella trattazione della specifica tematica, in questa parte è stata inserita una sintetica trattazione degli aspetti tecnologici dei vettori missilistici, utile per l'analisi critica di previsioni e scenari relativi alla proliferazione missilistica. Una serie di schede riepilogano le dotazioni missilistiche dei principali paesi della macroregione, secondo i dati attualmente disponibili. Per la preparazione del presente studio, sviluppato sui dati noti sino alla fine del 2009, ci si è avvalsi di fonti differenziate, utilizzando in misura significativa l'ampia e dettagliata pubblicistica prodotta da importanti centri di ricerca che approfondiscono le tematiche della geopolitica e della geostrategia e che dedicano ampi spazi all'analisi delle questioni connesse con le relazioni internazionali e la proliferazione missilistica. ; XXII Ciclo
BASE
2008/2009 ; La tesi di dottorato in oggetto parte dall'assunto di base secondo cui la dissoluzione dell'Unione Sovietica ed il conseguente superamento del conflitto bipolare hanno avviato un processo di progressiva trasformazione dell'assetto e dell'ordine geopolitico, geoeconomico e geostrategico globale. Detto processo, peraltro oggetto di innumerevoli studi e di contrastanti interpretazioni, risulta particolarmente evidente nella periferia meridionale dell'ex URSS ove, più chiaramente che altrove, si possono apprezzare una pluralità di segnali comuni alle dinamiche geopolitiche e geoeconomiche in atto a livello globale, nonché i mutati fattori di base e le mutate dimensioni della competizione politico-strategica ed economica internazionale (fattori etnico-religiosi e fattori legati all'accesso ed allo sfruttamento delle risorse naturali) fra le maggiori «Grandi Potenze post-bipolari» (Stati Uniti d'America, Federazione Russa, Paesi dell'Europa occidentale, Repubblica Popolare di Cina). Sulla base di dette considerazioni, la redazione dell'elaborato è stata ripartita in due sezioni principali rispettivamente dedicate: 1. all'analisi geopolitica, geoeconomica e geostrategica dell'area caucasico-centroasiatica e, quindi: a. ad un inquadramento complessivo dell'area rispetto all'assetto geopolitico globale attraverso una disamina degli approcci e delle tesi analitico-interpretative a valenza globale come anche riferite al Caucaso/Asia centrale offerte da: (1). S. Huntington nell'ambito della sua teoria dell'inizio degli anni '90 secondo cui «la fonte fondamentale di conflitto» nel mondo post-bipolare non sarà né ideologica, né economica ma, al contrario, culturale e secondo cui lo scontro fra civiltà (il cd. «clash of civilizations») dominerà la politica globale mentre le linee di frontiera fra civiltà, come ad esempio il Caucaso e l'Asia centrale, diventeranno linee di scontro (cd. «fault line»); (2). Z. Brzezinski nell'ambito della sua analisi risalente alla metà degli anni '90 circa: (a) le prospettive di una «primazia statunitense» post-bipolare; (b) l'assoluto rilievo per la sola superpotenza post-bipolare dell'evoluzione dell'assetto politico-strategico della massa continentale eurasiatica e, in tale ambito, delle dinamiche geopolitiche incidenti sui cd. «Balcani dell'Eurasia» (ovvero sulla zona compresa in un vasto oblungo geografico che include il Kazakistan, il Kirghizistan, il Tagikistan, l'Uzbekistan, il Turkmenistan l'Azerbaigian, l'Armenia, la Georgia, l'Afghanistan e, almeno in parte, la Turchia e l'Iran e che rappresenta una combinazione fra un «vuoto di potere», un «attrattore di potenza» ed «un'area ad elevata instabilità interna»); (3). B. Lo, nell'ambito dei suoi studi circa l'evoluzione delle relazioni sino-russe e della sua rivisitazione dell'analisi offerta da Z. Brzezinski a metà degli anni '90 e, con essa, delle teorie geopolitiche e degli approcci «continentalisti»; (4). S. B. Cohen, nell'ambito di suoi recenti studi volti a riesaminare ed aggiornare lo scenario geopolitico globale sulla scorta del suo ormai celebre approccio analitico-interpretativo «regionalista»; (5). B. Buzan e O. Waever nell'ambito dei loro recenti studi volti a proporre un nuovo approccio analitico-interpretativo, la «Teoria dei Complessi Regionali della Sicurezza» e, con esso, un riesame dell'insieme della struttura e delle relazioni politico-strategiche e di sicurezza internazionali; (6). T. M. Klare, nell'ambito delle sue tesi relative alla «nuova geografia del conflitto» e all'accresciuto rilievo e significato geopolitico della competizione internazionale per l'accesso e lo sfruttamento delle risorse, in primis, energetiche; (7). P. Khanna, nell'ambito delle sue tesi circa l'affermazione di un nuovo equilibrio politico-strategico globale di tipo multi-polare incentrato sulla competizione fra tre «Grandi Potenze Imperiali» (Stati Uniti, Unione Europea e Cina Popolare) per l'influenza e l'egemonia su di un nuovo «Secondo Mondo» ove risulta inserita l'area caucasica e quella centro-asiatica; b. ad un'analisi dell'equilibrio politico, economico e sociale degli attori statuali dell'area oggetto di studio (Georgia, Armenia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan) nonché dei principali fenomeni e delle principali dinamiche geopolitiche a valenza regionale in relazione alle quali una particolare attenzione è stata rivolta a: (1). la pluralità di tensioni e conflitti a varia matrice aventi origine e base in processi di trasformazione socio-economica e politico-istituzionale delineatisi in epoca tardo-comunista gorbacioviana e reimpostati/ridefiniti in epoca post-comunista e, quindi, in primis: (a) l'emergere di spinte ed aspirazioni di tipo etnico-separatista e lo scoppio, almeno in alcuni casi, di conflitti armati (come ad esempio, i conflitti etnico-secessionisti in Abcasia, in Ossezia meridionale ed in Cecenia, il conflitto armeno-azero per il Nagorno-Karabakh, le tensioni interetniche nella Valle del Fergana); (b) la progressiva riscoperta dell'identità musulmana fra alcune delle locali popolazioni e, in alcuni casi, l'emergere di formazioni e gruppi a matrice islamista come il Movimento Islamico dell'Uzbekistan (IMU) e Hibz-ut-Tahrir; (c) l'inserimento nell'ambito di conflitti, aperti o «congelati», di iniziative della Federazione Russa (come, ad esempio, il conflitto russo-georgiano esploso nell'agosto 2008 o il ruolo delle forze di peace-keeping a guida russa nel corso della guerra civile in Tagikistan); (2). le differenti e distinte condizioni di stabilità politico-istituzionale e di equilibrio socio-economico delle Repubbliche ex-sovietiche del Caucaso meridionale e dell'Asia centrale e, quindi: (a) la definizione e l'evoluzione del quadro politico-istituzionale e dell'equilibrio politico-sociale; (b) l'affermazione di gruppi clanico-clientelari al vertice di molti degli Stati dell'area (Azerbaigian e Repubbliche ex-sovietiche dell'Asia centrale) nonché la formazione ed evoluzione del loro sistema di potere; (c) i più significativi sviluppi interessanti i vertici politico-decisionali ed il quadro politico interno (come, ad esempio, le cd. «Rivoluzioni colorate»); (d) le più significative evoluzioni della situazione macro-economica ed economico-sociale, delle politiche economiche e delle relazioni economico-commerciali e finanziarie con l'Estero; (e) le più significative dinamiche interessanti la politica estera e di sicurezza degli Stati dell'area ed, in primis, la loro partecipazione a fori ed organizzazioni internazionali (come la CSI, il GUUAM, l'OSCE e la SCO) nonché le loro relazioni con i Paesi contermini, con la Federazione Russa, con gli Stati Uniti e con la Repubblica Popolare di Cina; c. ad una disamina delle risorse energetiche (idrocarburi) presenti nell'area e delle relative infrastrutture di trasporto internazionale, esistenti e progettate, nel cui ambito una particolare attenzione è stata rivolta a: (1). le maggiori iniziative per l'esplorazione e lo sfruttamento di petrolio e di gas naturale nonché l'afflusso di investimenti esteri da parte di grandi società energetiche internazionali; (2). il sistema di trasporto energetico ereditato dall'era sovietica, i vari progetti internazionali proposti nel corso dei due passati decenni ed i principali gasdotti ed oleodotti nel frattempo realizzati e messi in funzione; 2. allo studio degli interessi e delle iniziative politico-strategiche ed economiche poste in essere da Potenze esterne all'area caucasico-centroasiatica e, quindi, all'analisi dell'evoluzione delle iniziative politico-strategiche ed economiche di: Federazione Russa (con particolare riguardo per: la definizione e l'evoluzione della politica estera e di sicurezza russa, la conseguente evoluzione nei confronti del proprio «near abroad» caucasico e centroasiatico e la cd. «energy diplomacy» russa), Repubblica Popolare Cinese (con particolare riguardo per l'evoluzione degli interessi geopolitici e geoeconomici di Pechino verso l'Asia centrale nonché per i più significativi sviluppi nelle relazioni sino-russe ed il loro significato sul piano regionale e globale), Repubblica Islamica dell'Iran, Turchia, Pakistan, India, Stati Uniti d'America (con particolare riguardo per: l'evoluzione della grande strategia statunitense verso l'area caucasico-centroasiatica, le maggiori iniziative di assistenza, cooperazione ed intervento economico e militare, l'evoluzione della cd. «pipeline diplomacy») e Unione Europea (con particolare riguardo per la definizione e lo sviluppo dell'European Neighbourhood Policy nonché del dibattito relativo alla politica energetica europea); Sulla base degli approfondimenti analitici proposti nell'ambito delle due suddette parti e, conseguentemente, in considerazione delle costanti e delle dinamiche geopolitiche dell'area, lo studio termina, nell'ambito della sezione dedicata alle conclusioni, proponendo un'analisi relativa alla possibile futura evoluzione dell'assetto geopolitico, geoeconomico e geostrategico dell'area attraverso l'individuazione e la descrizione dei tre scenari alternativi, ovverosia: 1. un primo scenario volto a valutare la possibilità e le implicazioni geopolitiche, geoeconomiche e geostrategiche di un riassorbimento dell'area caucasico-centroasiatica nella sfera d'influenza esclusiva della Federazione Russa; 2. un secondo scenario volto a valutare la possibilità e le implicazioni geopolitiche, geoeconomiche e geostrategiche dell'affermazione di un condominio sino-russo nell'Asia centrale ex-sovietica; 3. un terzo scenario volto a valutare la possibilità e le implicazioni geopolitiche, geoeconomiche e geostrategiche dell'affermazione di un sistema, più o meno stabile, di influenze plurime e diversificate sull'area caucasico-centroasiatica. ; XXII Ciclo
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2009/2010 ; Lo scopo di questa ricerca di dottorato è l'analisi geopolitica di una regione transfrontaliera dell'Asia centrale: la valle del Fergana. Tre anni di ricerca sul campo: l'analisi delle frontiere di questa regione attualmente divisa politicamente tra Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan, la cartografia analitica, le osservazioni, le interviste alla popolazione e agli esperti, la ricerca nelle biblioteche della regione, nella capitale dell'Uzbekistan, Tashkent (presso l'Istituto Francese di Studi sull'Asia centrale – IFEAC) e la ricerca svolta in Francia principalmente presso l'Istituto Francese di Geopolitica (IFG) e la Biblioteca Nazionale di Francia (BNF), sono gli strumenti che hanno permesso lo studio di questo territorio. Il principale obiettivo del lavoro è l'analisi delle rivalità di potere della valle del Fergana. Grazie alla sua fertilità e alla sua importante posizione strategica all'interno del contesto geopolitico centrasiatico, il bacino del Fergana è stato e continua tuttora ad essere una posta in gioco ambita da differenti attori territoriali. La rivalità di potere tra i diversi attori si gioca soprattutto sullo scenario transfrontaliero della regione. Il secondo scopo di questa ricerca è la presentazione e la valutazione di un particolare attore territoriale della valle, il Regionalismo culturale. La parte introduttiva della ricerca si concentrerà su una presentazione del contesto centrasiatico e sulle peculiarità derivanti dalle sue frontiere. In seguito verrà introdotta la "posta in gioco" Fergana con le sue risorse fisiche ed economiche al fine di legittimare l'importanza del territorio. Infine l'introduzione si concluderà con la teoria geopolitica: il perché della scelta della scuola di geopolitica del geografo francese Yves Lacoste per questa ricerca e una prima analisi dello spazio Fergana come regione divisa tra confine e frontiera. Il lavoro è strutturato in due grandi parti. La prima, più teorica, è relativa all'analisi dei tre attori territoriali. Le rappresentazioni dei differenti attori che verranno presentate, non seguiranno un ordine cronologico, ma un ordine concettuale: eventi simultanei verranno dunque analizzati non nello stesso momento, perché relativi a rappresentazioni differenti del territorio Fergana. Il primo capitolo è consacrato all'attore Nazione. Con questa espressione si intende non solo l'attore Stato-Nazione in sé, o meglio gli Stati-Nazione (Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan), ma anche la Nazione come idea, come politica nazionalistica applicata ad un territorio. La valle del Fergana è diventata una regione transfrontaliera da quando, negli anni '20, fu divisa tra i tre Stati, allora all'interno della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Negli anni '90, in seguito alla caduta dell'URSS, il Fergana divenne una regione divisa da frontiere non più interne ma internazionali. Questo capitolo ha come scopo l'analisi di tutte le rappresentazioni dell'attore Nazione per quanto riguarda il contesto Fergana, dalla sua nascita (anni '20) fino all'indipendenza delle Repubbliche (anni '90). Sicuramente la rappresentazione più importante da analizzare è quella della creazione delle sue frontiere. L'attore Nazione è senza dubbio l'attore geopolitico più importante anche perché quello più legittimato in questo contesto territoriale. Il capitolo approfondirà anche le relazioni tra i differenti Stati-Nazione che rappresentano allo stesso tempo: un unico attore (contro la Religione e il Regionalismo culturale) e tre attori differenti quando competono tra loro per il territorio Fergana. Il secondo attore è la Religione. La valle del Fergana è una delle aree centrasiatiche più credenti e praticanti e la religione islamica ha sempre avuto un ruolo importante nella gestione della società ferganiana. Verrà proposta un'analisi di tutte le rappresentazioni della religione nel Fergana: il sufismo autoctono con un'analisi sulla geografia sacra dei luoghi ferganiani importanti per questa corrente dell'Islam; l'Islam tradizionale del periodo sovietico, divenuto un'arma legale utilizzata da Mosca per combattere l'ortodossia religiosa sufi del Fergana; il fondamentalismo wahabbita degli ultimi anni importato dall'Afghanistan, dal Pakistan, dall'Arabia Saudita, come conseguenza dell'invasione sovietica dell'Afghanistan del 1979 e dunque in seguito all'incontro tra i musulmani sovietici e i mujaheddin afgani. In seguito verrà analizzato come le differenti varianti dell'attore Religione si sono opposte, negli anni, all'attore Nazione per il controllo del potere e delle risorse del territorio Fergana. Un fenomeno particolarmente analizzato sarà la politicizzazione dell'attore Religione e come questa politicizzazione ha portato l'attore in questione ad essere l'elemento protagonista di numerosi eventi nel Fergana. Il terzo attore è il Regionalismo culturale. Con questa espressione si fa riferimento all'identità geo-culturale di questo insieme regionale che persiste nonostante le pressioni nazionalistiche e religiose. La valle del Fergana è sempre stata un insieme geografico, politico, sociale, malgrado negli ultimi secoli la sua popolazione si è sempre distinta per il suo alto livello di multietnicità e di disomogeneità linguistica. Questo però, non ha impedito un'amalgamazione sociale di tale popolazione che ha sempre considerato la multietnicità come la normalità e ha sempre attribuito ad ogni "etnia" un ruolo sociale integrato all'interno del sistema Fergana. Popolazioni di lingua e cultura persiana e sedentaria e popolazioni di lingua e cultura turca, sedentaria o nomade hanno sempre condiviso, ognuna con il proprio ruolo sociale, una vita comunitaria all'interno della regione e questa è sicuramente la caratteristica principale del Regionalismo culturale del Fergana. Questo equilibrio cambiò con la perdita di sovranità politica della regione, con l'istituzione dei nazionalismi e la conseguente spartizione della regione tra tre dei cinque nuovi Stati nazionali dell'Asia centrale sovietica. In questo capitolo verranno analizzate le principali rappresentazioni nel tempo dell'attore Regionalismo culturale e come esso si sia opposto agli altri attori territoriali, soprattutto all'attore Nazione. La seconda parte di questo lavoro è stata dedicata all'impatto che gli attori territoriali hanno oggi nella valle del Fergana, soprattutto nelle sue aree di frontiera. Questa parte è il risultato delle interviste e delle osservazioni sul campo effettuate in Asia centrale e in particolare nel Fergana nelle spedizioni del 2007, 2009 e del 2010. Nel primo capitolo verrà analizzata la frontiera di questa regione dal punto di vista teorico, in particolar modo con l'analisi del Fergana come" prima o ultima linea di difesa". Nel secondo capitolo, all'interno di un contesto di base: la differenza tra la frontiera all'epoca sovietica e all'epoca dell'indipendenza, ci sarà un approfondimento della definizione di frontiera centrasiatica, l'esame della burocrazia di frontiera, del posto di blocco e dei documenti del soggetto transfrontaliero. Saranno trattate, inoltre, le tematiche relative alle relazioni commerciali transfrontaliere, come i "tre" Fergana riescono ancora ad interagire malgrado la crescente rigidità delle frontiere e verranno studiate le relazioni sociali transfrontaliere sempre all'interno del panorama ferganiano di oggi. In questo contesto, verranno considerate le interviste svolte nel Fergana, le opinioni riguardo le difficoltà di passaggio e di comunicazione nella valle ed analizzeremo la presenza dei tre attori geopolitici che tuttora giocano un ruolo fondamentale nelle relazioni e nei conflitti di frontiera. Il terzo capitolo sarà dedicato ai centri urbani del Fergana; la loro storia, il rapporto dei ferganiani con le città e soprattutto le rappresentazioni interne ed esterne che i centri urbani hanno assunto all'interno di una regione oggi del tutto transfrontaliera. Il quarto capitolo si concentrerà sulle evoluzioni demografiche della popolazione: il Fergana, che durante gli anni zaristi e sovietici era terra di immigrazione, con l'indipendenza e dunque con la concretizzazione delle frontiere, si ritrova terra di emigrazione. Il quinto capitolo sarà dedicato al Fergana delle infrastrutture: come la strada ferrata e la rete stradale influiscono e sono influenzate dalle mutazioni frontaliere di questa regione. Il sesto capitolo riprenderà degli interrogativi teorici posti all'inizio del lavoro, con un analisi conclusiva sull'odierno "Fergana delle frontiere". La conclusione di questa ricerca, in realtà, è una vero e proprio capitolo di analisi, dove si farà il punto della situazione e si constaterà la persistenza dell'attore Regionalismo culturale, la sua evoluzione e il suo rapporto attuale con gli altri attori geopolitici. Un punto di arrivo fondamentale della ricerca è il fatto che la regione Fergana è cambiata, sotto differenti punti di vista e la popolazione ferganiana ha nuovi punti di riferimento culturali, politici e sociali. Differenti forme politiche e nuove strutture culturali hanno portato la popolazione del Fergana, nel tempo, a mutare la propria immagine e la propria identità: "russa, musulmana, ferganiana", in seguito "sovietica, uzbeca (o tagica o kirghiza), atea, ferganiana" e infine "uzbeca (o tagica o kirghiza), laica, ferganiana". Il territorio, le sue frontiere e la società che lo abita sono cambiati, ma vedremo che, nonostante i forti ostacoli posti dall'attore Nazione, il Regionalismo culturale riuscirà a sopravvivere, adattandosi alle nuove tendenze e ai nuovi modi di interpretare il Fergana. Come ultimo studio sul territorio, faremo degli esempi riguardanti gli eventi più recenti concernenti il Fergana (massacro di Andijan nel 2005, scontri ad Osh nel giugno 2010) ed analizzeremo questi fenomeni alla luce delle rivalità di potere geopolitiche che ancora persistono nella regione. ; Cette thèse de Doctorat propose une analyse géopolitique d'une région transfrontalière de l'Asie centrale, la vallée du Ferghana, aujourd'hui divisée entre les Républiques d'Ouzbékistan, du Tadjikistan et du Kirghizistan. Des séjours sur le terrain répartis sur trois ans ont constitué la base de la recherche, au travers de l'analyse des frontières, de la cartographie analytique, d'entretiens qualitatifs avec experts et habitants, et de recherches bibliographiques dans le Ferghana ainsi que dans la capitale ouzbèke Tachkent – notamment près l'Institut Français d'Etudes sur l'Asie Centrale (IFEAC). Ces périodes de terrain ont été complétées par un séjour de recherche en France, articulé principalement autour d'un approfondissement théorique à l'Institut Français de Géopolitique (IFG) de l'Université Paris VIII-Vincennes et de recherches bibliographiques à la Bibliothèque Nationale de France. L'objet de ce travail est donc l'analyse des rivalités de pouvoir entre les acteurs territoriaux sur l'enjeu territorial de la vallée du Ferghana, bassin fertile à la position stratégique dans le contexte géopolitique centrasiatique élargi. Si le Ferghana a toujours constitué un enjeu disputé par différents acteurs territoriaux, les rivalités des acteurs actuels jouent aujourd'hui surtout au niveau frontalier et transfrontalier. Ce faisant, cette thèse introduit un nouvel acteur dans le schéma d'analyse géopolitique classique: le Régionalisme culturel. Le Régionalisme culturel en tant qu'acteur territorial y fait donc l'objet d'une présentation approfondie ainsi que d'une évaluation de son importance passée et actuelle. Concentrée d'abord sur le contexte centrasiatique et les particularités qui découlent de ses frontières, l'introduction présente ensuite « l'enjeu » Ferghana et ses ressources physiques et économiques, qui expliquent l'importance de ce territoire. Elle se poursuit sur un rapide point théorique sur la géopolitique et la justification du choix de l'école de pensée géopolitique de Yves Lacoste comme cadre théorique de cette recherche, avant de s'achever sur une première analyse de l'espace Ferghana à l'aune des catégories de frontières et de confins. La thèse est structurée en deux grandes parties. La première, à dominante théorique, analyse à tour de rôle les trois acteurs territoriaux qui rivalisent pour le pouvoir sur le Ferghana: il s'agit de la Nation, de la Religion, et du Régionalisme culturel. La présentation des acteurs, de leurs différentes incarnations et de leurs représentations respectives du territoire ferghanien sont ainsi abordés selon un ordre conceptuel ; des évènements s'étant produits simultanément ne sont ainsi pas analysés chronologiquement mais séparément, en tant qu'ils se rapportent aux acteurs évoqués. Le premier chapitre est consacré à l'acteur Nation. Par cette expression nous entendons non seulement l'entité effective Etat-Nation et ses trois incarnations (Ouzbékistan, Tadjikistan, Kirghizistan), mais aussi la Nation comme idéologie qui agit sur le territoire au travers de politiques nationalistes. La force de légitimation de l'acteur Nation n'est pas étrangère à l'accroissement de son importance sur ce territoire, qui l'a sans aucun doute mené au sommet de la hiérarchie des acteurs géopolitiques dans cette région. Ce chapitre analyse les représentations du Ferghana définies et mises en oeuvres par l'acteur Nation depuis son apparition dans les années 1920. La vallée du Ferghana est en effet devenue une région transfrontalière à cette époque, avec son intégration à l'Union des Républiques Socialistes Soviétiques (URSS) et sa partition entre trois des cinq Républiques Socialistes Soviétiques nouvellement créées en Asie Centrale. Dans les années 1990, avec la chute de l'URSS et l'indépendance des trois Républiques, les frontières qui divisaient le Ferghana ne sont plus simplement internes, mais deviennent bel et bien internationales. Parmi les représentations majeures qui font l'objet d'une étude dans ce chapitre, une attention particulière est portée aux frontières nationales, leur création et leur évolution. Le chapitre s'intéresse également aux relations entre les différents Etats-Nations, qui constituent un acteur unique lorsqu'ils rivalisent contre les autres acteurs territoriaux – la Religion et le Régionalisme culturel – mais aussi trois acteurs différenciés lorsqu'ils se disputent le territoire Ferghana entre eux. Le deuxième chapitre est consacré au deuxième acteur territorial, la Religion. La vallée du Ferghana est l'une des régions d'Asie centrale les plus croyantes et pratiquantes, et la religion islamique y a toujours eu un rôle important dans la gestion de la société. Ce chapitre propose d'abord une analyse des représentations de la religion dans le Ferghana : le soufisme autochtone et la "géographie sacrée" des hauts lieux de ce courant de l'Islam dans le Ferghana ; l'Islam traditionnel de la période soviétique, devenu une arme légale utilisée par Moscou pour combattre l'orthodoxie soufie du Ferghana ; le fondamentalisme wahabbite récemment apparu, importé d'Afghanistan, du Pakistan et d'Arabie Saoudite à la suite de l'invasion de l'Afghanistan par les Soviétiques en 1979 et de la rencontre qui s'en est ensuivie entre les musulmans soviétiques et les moudjahiddines afghans. Ensuite est examinée la manière dont les différentes variantes de l'acteur Religion se sont opposées, au cours des années, à l'acteur Nation pour le contrôle du pouvoir et des ressources du territoire Ferghana. Nous y voyons comment la rivalité géopolitique entre deux acteurs varie du tout au tout selon que l'on parle de l'acteur Nation au cours de la période Soviétique ou bien au cours de l'ère ayant succédé à l'indépendance. Une attention particulière est portée au phénomène de politisation de l'acteur Religion et à la manière dont cette politisation a amené la Religion à assumer un rôle de protagoniste dans de nombreux évènements du Ferghana. Le troisième acteur est le Régionalisme culturel. Avec cette expression nous faisons référence à l'identité géo-culturelle de cet ensemble régional, qui persiste malgré les pressions nationalistes et religieuses. Car aussi loin que remonte son existence en tant que lieu, la vallée du Ferghana a toujours constitué un ensemble géographique, politique et social à part entière. Bien que sa population se soit distinguée au cours des derniers siècles par une grande multiethnicité et hétérogénéité linguistique, cela n'a pas empêché un amalgame sociétal de cette population qui a toujours considéré la multiethnicité comme normale, et toujours a attribué à chaque « ethnie » un rôle social déterminé au sein du système Ferghana. Qu'elles soient de langue et de culture persane et sédentaire, de langue et de culture turque et sédentaire, ou bien de langue et de culture turque et nomade, ces populations ont toujours partagé, chacune dans son propre rôle social, une vie communautaire au sein de la région, et ce phénomène est la caractéristique principale de ce que nous appelons le Régionalisme culturel du Ferghana. Cependant, cet équilibre change avec la perte de souveraineté politique de la région, l'avènement du nationalisme sous l'action de l'URSS, et la partition de l'espace entre trois Etats nations de l'Asie centrale soviétique. Ce chapitre analyse ainsi les principales représentations de l'acteur Régionalisme culturel au cours du temps, et comment il s'est opposé aux autres acteurs territoriaux, en particulier à l'acteur Nation. La seconde partie de ce travail est dédiée aux manifestations actuelles des acteurs territoriaux dans la vallée du Ferghana, plus spécialement dans ses zones de frontière. Cette partie est le résultat des entretiens et des observations de terrain réalisés en Asie centrale et dans le Ferghana au cours de séjours en 2007, 2009 et 2010. Le premier chapitre analyse la frontière de cette région du point de vue théorique, à la lumière notamment des catégories géostratégiques de "première ligne de défense" ou "dernière ligne de défense". Dans le contexte d'une modification de la frontière entre l'époque soviétique et celle de l'indépendance, le deuxième chapitre approfondit la définition de frontière centrasiatique, au travers principalement de l'analyse de la bureaucratie de frontière, des postes de contrôle et des documents requis pour le passage de la frontière. Les thématiques liées aux relations commerciales transfrontalières y sont examinées : comment les "trois" Ferghana parviennent encore à interagir malgré la rigidité croissante des frontières, quelles relations sociales transfrontalières subsistent au sein du Ferghana d'aujourd'hui. Les entretiens qualitatifs réalisés dans le Ferghana jouent un rôle majeur pour recenser les difficultés de passage et de communication dans la vallée et déceler, dans les descriptions et jugements recueillis, la présence des trois acteurs géopolitiques qui toujours jouent un rôle fondamental dans les relations et conflits de frontière. Le troisième chapitre est dédié aux centres urbains du Ferghana : leur histoire, le rapport que les Ferghaniens entretiennent avec eux, et surtout les représentations internes et externes que les centres urbains assument au sein d'une région désormais tout à fait transfrontalière. Le quatrième chapitre se concentre sur les évolutions démographiques de la population. Jusque là terre d'immigration tout au long des années tsaristes et soviétiques, le Ferghana est devenu une terre d'émigration avec l'indépendance et la concrétisation des frontières. Le cinquième chapitre s'intéresse au Ferghana des infrastructures, notamment les réseaux ferré et routier, et leur rapport d'influence réciproque mutations frontalières de cette région. Le sixième chapitre reprend les interrogations théoriques posées dans l'introduction et développe une analyse conclusive sur le Ferghana des frontières aujourd'hui. La conclusion de cette recherche dresse le bilan actuel du Ferghana et des rapports entre les différents acteurs géopolitiques, et observe la persistance de l'acteur Régionalisme culturel. Force est de constater l'existence de changements dans la région Ferghana à différents points de vue. La population ferghanienne dispose de nouveaux cadres de référence culturels, politiques et sociaux qui ont pris une importance majeure. Des nouvelles formes politiques et de structures culturelles ont eu un impact sur son image d'elle-même, sur son identité: "russe, musulmane,ferghanienne", puis "soviétique, ouzbèke (ou tadjike ou kirghiz), athée, ferghanienne", et enfin "ouzbèke (ou tadjike ou kirghiz), laïque, ferghanienne". Cependant, bien que le territoire, ses frontières et la société qui l'habite aient changé, et malgré les obstacles forts posés par l'acteur Nation, que Régionalisme culturel a réussi à survivre, en s'adaptant aux nouvelles tendances et aux nouveaux modes d'interprétation du Ferghana. La conclusion s'achève sur les évènements les plus récents du Ferghana; massacre d'Andijan en 2005 et affrontements à Osh en juin 2010, qui sont analysés à la lumière des rivalités de pouvoir géopolitique qui persistent encore dans la région. ; This PhD dissertation proposes a geopolitical analysis of a centrasiatic transborder region, the Ferghana Valley, which is today divided between the Republics of Uzbekistan, Tajikistan and Kyrgyzstan. A basis of the research, field trips spread over the past three years enabled the development of instruments such as border analysis, analytical cartography, qualitative interviews with experts and inhabitants, and bibliographical research in the Ferghana as well as the Uzbek capital city Tashkent – noticeably at the French Institute for Central Asian Studies (IFEAC). As a complement to the field trips in Central Asia, a research period in France permitted both a consolidation in geopolitical theory at the French Institute of Geopolitics (IFG) of the University of Paris 8-Vincennes, and additional bibliographical research at the French National Library (BNF). The topic of the research is hence the analysis of power rivalries between "territorial actors" over the "territorial stake" of the Fergana Valley, a fertile basin of strategical location within the larger geopolitical context of Central Asia. Always a stake disputed by various territorial actors over time, the Fergana Valley now experiences power rivalries from contemporaneous territorial actors first and foremost on the border and transborder levels. By doing so, the dissertation introduces a new actor in the classical geopolitical pattern of analysis: the cultural regionalism. The dissertation hence offers a detailed presentation of the cultural regionalism as well as an evaluation of its past and current importance. First focusing on the centrasiatic context and the peculiarities which stem from its borders, the introduction presents the "stake" Fergana and its economic and physical resources which explain its importance as a territory. A rapid summary of the theory of geopolitics follows, with the justification of the choice of the French Lacostian school as the theoretical frame of this work. The introduction closes on a first analysis of the Fergana as a space of border or frontier. The thesis is structured in two main parts. The first, more theoretical, analyses each of the three territorial actors which aim for power over the Fergana: the Nation, the Religion, and the Cultural Regionalism. The presentation of the actors, of their respective embodiments and of their manifestations within the ferganian territory is organised according to a conceptual rationale; events that occurred simultaneously are thus not considered following a chronological order, but separately, according to their respective relations with the actors evoked. The first chapter focuses on the actor Nation. By this word we understand not only the effective entity of the Nation-State, and its three embodiments (Uzbekistan, Tajikistan, Kyrgyzstan), but also the Nation as an ideology which acts upon the territory through nationalistic policies. The force of legitimation of the actor Nation did certainly not have a neutral role in the rise of this actor in the Ferganian landscape, a process which led the Nation to the top of the geopolitical actors' hierarchy in the region. This chapter also analyses the representations of the Fergana which are defined and implemented by the actor Nation since its birth in the 1920s. In fact, the Fergana valley first became a transborder region only in these years, through its integration to the Union of the Socialist Soviet Republics (USSR) and its partition between three of the five newly created Socialist Soviet Republics in Central Asia. In the 1990s, following the fall of the USSR and the independence of the three Republics, the borders which divided the Ferghana stopped being only internal, but became real and proper international borders. Among the main representations that this study looks at, a particular attention is devoted to the study of the national borders , their creation and their evolution. The chapter also looks at the relations between the different Nation-States, which form a unique actor when they rival against the other territorial actors – the Religion and the Cultural Regionalism –, but three well different ones when they rival among themselves. The second chapter concentrates upon the second territorial actor, the Religion. The Fergana valley is one of the most pious and practicing region of Central Asia, and the Islamic religion always played a major role in the society's administration and organization. The chapter proposes first an analysis of the religion's representations in the Fergana: the autochthonous sufism and its sacred geography within the Fergana valley ; the traditional Islam of the soviet times, which became a legal weapon used by Moscow to fight the sufi orthodoxy in the Fergana ; the recently appeared wahabbite fundamentalism, imported from Afghanistan, Pakistan and Saudi Arabia following the Soviet invasion of Afghanistan in 1979 and the encounter it induced between the soviet muslims and the afghan mujaheddins. It is then examined how the different variations of the actor opposed themselves to the actor Nation, over the years, for the control over the power and the resources of the Fergana. We look at how the geopolitical rivalries vary dramatically from the soviet era to that of the independence. A special attention is devoted to the phenomenon of politization of the actor Religion and the way this led the Religion to endorse a role of protagonist in many of the Fergana's events. The third actor is the Cultural Regionalism. It is hereby referred to the geo-cultural identity of this regional entity, which persists in spite of nationalistic and religious pressures. In fact, as long as the Fergana has existed as a place, it has always constituted a geographical, political and social whole. Although its population has been characterized during the past centuries by high levels of multiethnicity and linguistic heterogeneity, this did not prevent the societal amalgamation of populations which always held multiethnicity as normality, and always attributed to each "group" a specific social role within the system Fergana. Be they of language and culture persian and sedentary, turk and sedentary or turk and nomadic, these populations always shared, each in its own social role, a common life within the region. This very phenomenon is the main characteristic of what we call the Cultural Regionalism of the Fergana. However, this equilibrium changes with the loss of political sovereignty of the region and the rise of nationalism under the soviet sovereignty. This chapter analyzes the main representation of the actor Cultural Regionalism over time, and how it took stand against the other territorial actors, especially the Nation. The second part of the dissertation as dedicated to the current manifestations of the territorial actors in the Fergana valley, particularly in its border zones. This part results from the interviews and field observation undertaken in Central Asia and the Fergana in 2007, 2009 and 2010. The first chapter analyzes the border of this region from a theoretical point of view, especially in the light of the geostrategical categories of "first line of defence" or "last line of defence". In the context of a transformation of the border from the soviet era to that of the independence, the second chapter explores the definition of the centrasiatic border, mainly through the analysis of border bureaucracy, control posts and documents required to cross the border. The chapter looks at themes connected to the commercial transborder relations : how the "three" Fergana still manage to interact despite growing border rigidity, which social relationships subsist today. The qualitative interviews led in the Fergana are a major source in this process of reviewing the difficulties of passage and communication within the valley, and of tracking the actual presence of the three geopolitical actors which play a major role in the border relations and conflicts. The third chapter focuses on the Ferganian urban centres: their history, the relations that the Ferganians have with them, et above all the internal and external representations of these centres in a now fully transborder region. The fourth chapter concentrates on the demographical evolutions of the Ferganian population. Up until then a land of immigration, the Fergana became a land of emigration following the independence and the materialization of the borders. The fifth chapter deals with the Ferganian infrastructures, especially the rail and road networks, and their relationship of reciprocal influence with the mutation of the borders in the region. The sixth chapter builds on the theoretical interrogations evoked in the introduction of the dissertation and develops a conclusive analysis of the Fergana of the borders nowadays. The conclusion of this research depicts the current Fergana, the relations between the different geopolitical actors and underscores the persistence of the actor Cultural Regionalism. It establishes the existence of tremendous changes in the region Fergana from various viewpoints: the Ferganian population has new frames of cultural, political and social reference whose importance increased dramatically ; new political forms and cultural structures influenced its self-image, its very identity: "russian, muslim, ferganian", then "soviet, uzbek (or tajik or kyrgyz), atheist, ferganian", finally "uzbek (or tajik or kyrgyz), secular, ferganian". However, although the territory, its borders and inhabitants changed, and despite the strong obstacles set by the actor Nation, the cultural regionalism succeeded in maintaining itself, by adapting to the new tendencies and ways of interpretation of the Fergana. The conclusion ends with the most recent events of the Fergana, the Andjian massacre in 2005 and the Osh clash in 2010, which are both analysed in the light of the geopolitical power rivalries which persist in the region. ; XXIII Ciclo
BASE
This PhD dissertation proposes a geopolitical analysis of a centrasiatic transborder region, theFerghana Valley, which is today divided between the Republics of Uzbekistan, Tajikistan andKyrgyzstan.A basis of the research, field trips spread over the past three years enabled the development ofinstruments such as border analysis, analytical cartography, qualitative interviews with experts andinhabitants, and bibliographical research in the Ferghana as well as the Uzbek capital city Tashkent– noticeably at the French Institute for Central Asian Studies (IFEAC). As a complement to thefield trips in Central Asia, a research period in France permitted both a consolidation in geopoliticaltheory at the French Institute of Geopolitics (IFG) of the University of Paris 8-Vincennes, andadditional bibliographical research at the French National Library (BNF).The topic of the research is hence the analysis of power rivalries between "territorial actors" overthe "territorial stake" of the Fergana Valley, a fertile basin of strategical location within the largergeopolitical context of Central Asia. Always a stake disputed by various territorial actors over time,the Fergana Valley now experiences power rivalries from contemporaneous territorial actors firstand foremost on the border and transborder levels.By doing so, the dissertation introduces a new actor in the classical geopolitical pattern of analysis:the cultural regionalism. The dissertation hence offers a detailed presentation of the culturalregionalism as well as an evaluation of its past and current importance.First focusing on the centrasiatic context and the peculiarities which stem from its borders, theintroduction presents the "stake" Fergana and its economic and physical resources which explainits importance as a territory. A rapid summary of the theory of geopolitics follows, with thejustification of the choice of the French Lacostian school as the theoretical frame of this work. Theintroduction closes on a first analysis of the Fergana as a space of border or frontier.First partThe thesis is structured in two main parts. The first, more theoretical, analyses each of the threeterritorial actors which aim for power over the Fergana: the Nation, the Religion, and the CulturalRegionalism. The presentation of the actors, of their respective embodiments and of theirmanifestations within the ferganian territory is organised according to a conceptual rationale; eventsthat occurred simultaneously are thus not considered following a chronological order, butseparately, according to their respective relations with the actors evoked.The first chapter focuses on the actor Nation. By this word we understand not only the effectiveentity of the Nation-State, and its three embodiments (Uzbekistan, Tajikistan, Kyrgyzstan), but alsothe Nation as an ideology which acts upon the territory through nationalistic policies. The force oflegitimation of the actor Nation did certainly not have a neutral role in the rise of this actor in theFerganian landscape, a process which led the Nation to the top of the geopolitical actors' hierarchyin the region. This chapter also analyses the representations of the Fergana which are defined andimplemented by the actor Nation since its birth in the 1920s. In fact, the Fergana valley first becamea transborder region only in these years, through its integration to the Union of the Socialist SovietRepublics (USSR) and its partition between three of the five newly created Socialist SovietRepublics in Central Asia. In the 1990s, following the fall of the USSR and the independence of thethree Republics, the borders which divided the Ferghana stopped being only internal, but becamereal and proper international borders. Among the main representations that this study looks at, aparticular attention is devoted to the study of the national borders , their creation and theirevolution. The chapter also looks at the relations between the different Nation-States, which form aunique actor when they rival against the other territorial actors – the Religion and the CulturalRegionalism –, but three well different ones when they rival among themselves.The second chapter concentrates upon the second territorial actor, the Religion. The Fergana valleyis one of the most pious and practicing region of Central Asia, and the Islamic religion alwaysplayed a major role in the society's administration and organization.The chapter proposes first an analysis of the religion's representations in the Fergana: theautochthonous sufism and its sacred geography within the Fergana valley ; the traditional Islam ofthe soviet times, which became a legal weapon used by Moscow to fight the sufi orthodoxy in theFergana ; the recently appeared wahabbite fundamentalism, imported from Afghanistan, Pakistanand Saudi Arabia following the Soviet invasion of Afghanistan in 1979 and the encounter it inducedbetween the soviet muslims and the afghan mujaheddins.It is then examined how the different variations of the actor opposed themselves to the actor Nation,over the years, for the control over the power and the resources of the Fergana. We look at how thegeopolitical rivalries vary dramatically from the soviet era to that of the independence. A specialattention is devoted to the phenomenon of politization of the actor Religion and the way this led theReligion to endorse a role of protagonist in many of the Fergana's events.The third actor is the Cultural Regionalism. It is hereby referred to the geo-cultural identity of thisregional entity, which persists in spite of nationalistic and religious pressures. In fact, as long as theFergana has existed as a place, it has always constituted a geographical, political and social whole.Although its population has been characterized during the past centuries by high levels ofmultiethnicity and linguistic heterogeneity, this did not prevent the societal amalgamation ofpopulations which always held multiethnicity as normality, and always attributed to each "group" aspecific social role within the system Fergana.Be they of language and culture persian and sedentary, turk and sedentary or turk and nomadic,these populations always shared, each in its own social role, a common life within the region. Thisvery phenomenon is the main characteristic of what we call the Cultural Regionalism of theFergana.However, this equilibrium changes with the loss of political sovereignty of the region and the rise ofnationalism under the soviet sovereignty. This chapter analyzes the main representation of the actorCultural Regionalism over time, and how it took stand against the other territorial actors, especiallythe Nation.Second partThe second part of the dissertation as dedicated to the current manifestations of the territorial actorsin the Fergana valley, particularly in its border zones. This part results from the interviews and fieldobservation undertaken in Central Asia and the Fergana in 2007, 2009 and 2010.The first chapter analyzes the border of this region from a theoretical point of view, especially in thelight of the geostrategical categories of "first line of defence" or "last line of defence".In the context of a transformation of the border from the soviet era to that of the independence, thesecond chapter explores the definition of the centrasiatic border, mainly through the analysis ofborder bureaucracy, control posts and documents required to cross the border. The chapter looks atthemes connected to the commercial transborder relations : how the "three" Fergana still manage tointeract despite growing border rigidity, which social relationships subsist today. The qualitativeinterviews led in the Fergana are a major source in this process of reviewing the difficulties ofpassage and communication within the valley, and of tracking the actual presence of the threegeopolitical actors which play a major role in the border relations and conflicts.The third chapter focuses on the Ferganian urban centres: their history, the relations that theFerganians have with them, et above all the internal and external representations of these centres ina now fully transborder region.The fourth chapter concentrates on the demographical evolutions of the Ferganian population. Upuntil then a land of immigration, the Fergana became a land of emigration following theindependence and the materialization of the borders.The fifth chapter deals with the Ferganian infrastructures, especially the rail and road networks, andtheir relationship of reciprocal influence with the mutation of the borders in the region.The sixth chapter builds on the theoretical interrogations evoked in the introduction of thedissertation and develops a conclusive analysis of the Fergana of the borders nowadays.ConclusionThe conclusion of this research depicts the current Fergana, the relations between the differentgeopolitical actors and underscores the persistence of the actor Cultural Regionalism.It establishes the existence of tremendous changes in the region Fergana from various viewpoints:the Ferganian population has new frames of cultural, political and social reference whoseimportance increased dramatically ; new political forms and cultural structures influenced its selfimage,its very identity: "russian, muslim, ferganian", then "soviet, uzbek (or tajik or kyrgyz),atheist, ferganian", finally "uzbek (or tajik or kyrgyz), secular, ferganian".However, although the territory, its borders and inhabitants changed, and despite the strongobstacles set by the actor Nation, the cultural regionalism succeeded in maintaining itself, byadapting to the new tendencies and ways of interpretation of the Fergana.The conclusion ends with the most recent events of the Fergana, the Andjian massacre in 2005 andthe Osh clash in 2010, which are both analysed in the light of the geopolitical power rivalries whichpersist in the region. ; IntroductionCette thèse de Doctorat propose une analyse géopolitique d'une région transfrontalière de l'Asiecentrale, la vallée du Ferghana, aujourd'hui divisée entre les Républiques d'Ouzbékistan, duTadjikistan et du Kirghizistan.Des séjours sur le terrain répartis sur trois ans ont constitué la base de la recherche, au travers del'analyse des frontières, de la cartographie analytique, d'entretiens qualitatifs avec experts ethabitants, et de recherches bibliographiques dans le Ferghana ainsi que dans la capitale ouzbèkeTachkent – notamment près l'Institut Français d'Etudes sur l'Asie Centrale (IFEAC). Ces périodesde terrain ont été complétées par un séjour de recherche en France, articulé principalement autourd'un approfondissement théorique à l'Institut Français de Géopolitique (IFG) de l'Université ParisVIII-Vincennes et de recherches bibliographiques à la Bibliothèque Nationale de France.L'objet de ce travail est donc l'analyse des rivalités de pouvoir entre les acteurs territoriaux surl'enjeu territorial de la vallée du Ferghana, bassin fertile à la position stratégique dans le contextegéopolitique centrasiatique élargi. Si le Ferghana a toujours constitué un enjeu disputé pardifférents acteurs territoriaux, les rivalités des acteurs actuels jouent aujourd'hui surtout au niveaufrontalier et transfrontalier.Ce faisant, cette thèse introduit un nouvel acteur dans le schéma d'analyse géopolitique classique:le Régionalisme culturel. Le Régionalisme culturel en tant qu'acteur territorial y fait donc l'objetd'une présentation approfondie ainsi que d'une évaluation de son importance passée et actuelle.Concentrée d'abord sur le contexte centrasiatique et les particularités qui découlent de sesfrontières, l'introduction présente ensuite « l'enjeu » Ferghana et ses ressources physiques etéconomiques, qui expliquent l'importance de ce territoire. Elle se poursuit sur un rapide pointthéorique sur la géopolitique et la justification du choix de l'école de pensée géopolitique de YvesLacoste comme cadre théorique de cette recherche, avant de s'achever sur une première analyse del'espace Ferghana à l'aune des catégories de frontières et de confins.Première partieLa thèse est structurée en deux grandes parties. La première, à dominante théorique, analyse à tourde rôle les trois acteurs territoriaux qui rivalisent pour le pouvoir sur le Ferghana: il s'agit de laNation, de la Religion, et du Régionalisme culturel. La présentation des acteurs, de leursdifférentes incarnations et de leurs représentations respectives du territoire ferghanien sont ainsiabordés selon un ordre conceptuel ; des évènements s'étant produits simultanément ne sont ainsipas analysés chronologiquement mais séparément, en tant qu'ils se rapportent aux acteurs évoqués.Le premier chapitre est consacré à l'acteur Nation. Par cette expression nous entendons nonseulement l'entité effective Etat-Nation et ses trois incarnations (Ouzbékistan, Tadjikistan,Kirghizistan), mais aussi la Nation comme idéologie qui agit sur le territoire au travers depolitiques nationalistes. La force de légitimation de l'acteur Nation n'est pas étrangère àl'accroissement de son importance sur ce territoire, qui l'a sans aucun doute mené au sommet de lahiérarchie des acteurs géopolitiques dans cette région. Ce chapitre analyse les représentations duFerghana définies et mises en oeuvres par l'acteur Nation depuis son apparition dans les années1920. La vallée du Ferghana est en effet devenue une région transfrontalière à cette époque, avecson intégration à l'Union des Républiques Socialistes Soviétiques (URSS) et sa partition entre troisdes cinq Républiques Socialistes Soviétiques nouvellement créées en Asie Centrale. Dans lesannées 1990, avec la chute de l'URSS et l'indépendance des trois Républiques, les frontières quidivisaient le Ferghana ne sont plus simplement internes, mais deviennent bel et bieninternationales. Parmi les représentations majeures qui font l'objet d'une étude dans ce chapitre,une attention particulière est portée aux frontières nationales, leur création et leur évolution. Lechapitre s'intéresse également aux relations entre les différents Etats-Nations, qui constituent unacteur unique lorsqu'ils rivalisent contre les autres acteurs territoriaux – la Religion et leRégionalisme culturel – mais aussi trois acteurs différenciés lorsqu'ils se disputent le territoireFerghana entre eux.Le deuxième chapitre est consacré au deuxième acteur territorial, la Religion. La vallée duFerghana est l'une des régions d'Asie centrale les plus croyantes et pratiquantes, et la religionislamique y a toujours eu un rôle important dans la gestion de la société.Ce chapitre propose d'abord une analyse des représentations de la religion dans le Ferghana : lesoufisme autochtone et la "géographie sacrée" des hauts lieux de ce courant de l'Islam dans leFerghana ; l'Islam traditionnel de la période soviétique, devenu une arme légale utilisée parMoscou pour combattre l'orthodoxie soufie du Ferghana ; le fondamentalisme wahabbiterécemment apparu, importé d'Afghanistan, du Pakistan et d'Arabie Saoudite à la suite del'invasion de l'Afghanistan par les Soviétiques en 1979 et de la rencontre qui s'en est ensuivieentre les musulmans soviétiques et les moudjahiddines afghans.Ensuite est examinée la manière dont les différentes variantes de l'acteur Religion se sontopposées, au cours des années, à l'acteur Nation pour le contrôle du pouvoir et des ressources duterritoire Ferghana. Nous y voyons comment la rivalité géopolitique entre deux acteurs varie dutout au tout selon que l'on parle de l'acteur Nation au cours de la période Soviétique ou bien aucours de l'ère ayant succédé à l'indépendance.Une attention particulière est portée au phénomène de politisation de l'acteur Religion et à lamanière dont cette politisation a amené la Religion à assumer un rôle de protagoniste dans denombreux évènements du Ferghana.Le troisième acteur est le Régionalisme culturel. Avec cette expression nous faisons référence àl'identité géo-culturelle de cet ensemble régional, qui persiste malgré les pressions nationalistes etreligieuses. Car aussi loin que remonte son existence en tant que lieu, la vallée du Ferghana atoujours constitué un ensemble géographique, politique et social à part entière. Bien que sapopulation se soit distinguée au cours des derniers siècles par une grande multiethnicité ethétérogénéité linguistique, cela n'a pas empêché un amalgame sociétal de cette population qui atoujours considéré la multiethnicité comme normale, et toujours a attribué à chaque « ethnie » unrôle social déterminé au sein du système Ferghana.Qu'elles soient de langue et de culture persane et sédentaire, de langue et de culture turque etsédentaire, ou bien de langue et de culture turque et nomade, ces populations ont toujours partagé,chacune dans son propre rôle social, une vie communautaire au sein de la région, et ce phénomèneest la caractéristique principale de ce que nous appelons le Régionalisme culturel du Ferghana.Cependant, cet équilibre change avec la perte de souveraineté politique de la région, l'avènementdu nationalisme sous l'action de l'URSS, et la partition de l'espace entre trois Etats nations del'Asie centrale soviétique. Ce chapitre analyse ainsi les principales représentations de l'acteurRégionalisme culturel au cours du temps, et comment il s'est opposé aux autres acteursterritoriaux, en particulier à l'acteur Nation.Seconde partieLa seconde partie de ce travail est dédiée aux manifestations actuelles des acteurs territoriaux dansla vallée du Ferghana, plus spécialement dans ses zones de frontière. Cette partie est le résultat desentretiens et des observations de terrain réalisés en Asie centrale et dans le Ferghana au cours deséjours en 2007, 2009 et 2010.Le premier chapitre analyse la frontière de cette région du point de vue théorique, à la lumièrenotamment des catégories géostratégiques de "première ligne de défense" ou "dernière ligne dedéfense".Dans le contexte d'une modification de la frontière entre l'époque soviétique et celle del'indépendance, le deuxième chapitre approfondit la définition de frontière centrasiatique, autravers principalement de l'analyse de la bureaucratie de frontière, des postes de contrôle et desdocuments requis pour le passage de la frontière. Les thématiques liées aux relations commercialestransfrontalières y sont examinées : comment les "trois" Ferghana parviennent encore à interagirmalgré la rigidité croissante des frontières, quelles relations sociales transfrontalières subsistent ausein du Ferghana d'aujourd'hui. Les entretiens qualitatifs réalisés dans le Ferghana jouent un rôlemajeur pour recenser les difficultés de passage et de communication dans la vallée et déceler, dansles descriptions et jugements recueillis, la présence des trois acteurs géopolitiques qui toujoursjouent un rôle fondamental dans les relations et conflits de frontière.Le troisième chapitre est dédié aux centres urbains du Ferghana : leur histoire, le rapport que lesFerghaniens entretiennent avec eux, et surtout les représentations internes et externes que lescentres urbains assument au sein d'une région désormais tout à fait transfrontalière.Le quatrième chapitre se concentre sur les évolutions démographiques de la population. Jusque làterre d'immigration tout au long des années tsaristes et soviétiques, le Ferghana est devenu uneterre d'émigration avec l'indépendance et la concrétisation des frontières.Le cinquième chapitre s'intéresse au Ferghana des infrastructures, notamment les réseaux ferré etroutier, et leur rapport d'influence réciproque mutations frontalières de cette région.Le sixième chapitre reprend les interrogations théoriques posées dans l'introduction et développeune analyse conclusive sur le Ferghana des frontières aujourd'hui.ConclusionLa conclusion de cette recherche dresse le bilan actuel du Ferghana et des rapports entre lesdifférents acteurs géopolitiques, et observe la persistance de l'acteur Régionalisme culturel.Force est de constater l'existence de changements dans la région Ferghana à différents points devue. La population ferghanienne dispose de nouveaux cadres de référence culturels, politiques etsociaux qui ont pris une importance majeure. Des nouvelles formes politiques et de structuresculturelles ont eu un impact sur son image d'elle-même, sur son identité: "russe, musulmane,ferghanienne", puis "soviétique, ouzbèke (ou tadjike ou kirghiz), athée, ferghanienne", et enfin"ouzbèke (ou tadjike ou kirghiz), laïque, ferghanienne".Cependant, bien que le territoire, ses frontières et la société qui l'habite aient changé, et malgré lesobstacles forts posés par l'acteur Nation, que Régionalisme culturel a réussi à survivre, ens'adaptant aux nouvelles tendances et aux nouveaux modes d'interprétation du Ferghana.La conclusion s'achève sur les évènements les plus récents du Ferghana; massacre d'Andijan en2005 et affrontements à Osh en juin 2010, qui sont analysés à la lumière des rivalités de pouvoirgéopolitique qui persistent encore dans la région.
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