Questa tesi prende spunto da alcune riflessioni di carattere generale sul rapporto tra tutela dei diritti umani e diritto di asilo in Europa. Ci siamo posti una serie di domande alle quali abbiamo cercato di rispondere nel corso della nostra ricerca. La prima domanda riguarda i soggetti ritenuti meritevoli di protezione internazionale nel quadro del c.d. "Common European Asylum system": quali sono le categorie di migranti ai quali gli ordinamenti nazionali europei garantiscono oggi una qualche forma di protezione internazionale? La seconda domanda riguarda invece il tipo di tutela a cui tali soggetti possono accedere: è possibile, individuare, a livello europeo, un unico status di protezione internazionale o ci troviamo piuttosto di fronte ad un sistema di norme complesso e non sempre perfettamente coerente? Il primo capitolo della nostra tesi fornisce innanzitutto una ricostruzione della nozione di rifugiato quale derivante dal testo della Convenzione di Ginevra, poi ripreso e specificato dalla normativa comunitaria. L'attenzione si sposta poi sulla garanzia fondamentale a tutela di chiunque sia ritenuto meritevole di protezione internazionale: il principio di "non refoulement". Affermato in origine dalla Convenzione del 1951, con riferimento ai soli rifugiati, l'ambito di applicazione di tale principio è stato successivamente esteso – dalla normativa pattizia e giurisprudenziale in materia di diritti umani internazionali – ad una platea ben più vasta di soggetti. Abbiamo cercato quindi di mostrare come tale normativa, stratificatasi nel corso del tempo, abbia a vario titolo influito e continui ad influire nell'evoluzione della "Refugee law". Nel secondo capitolo ci siamo concentrati poi sul ruolo armonizzatore svolto dall'Unione europea in materia di riconoscimento degli status di protezione internazionale. A partire dai primi anni Duemila, infatti, in virtù delle disposizioni contenute nel Titolo IV del Trattato istitutivo della Comunità Europea, il Consiglio dell'Unione Europea si è fatto carico di emanare una serie di importanti fonti normative derivate in materia di asilo. Tale attività legislativa è proseguita, dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, con la finalità – espressamente dichiarata dal nuovo Art. 78 TFUE – di offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e garantire il rispetto del principio di non respingimento, in conformità con la convenzione di Ginevra del 1951, il protocollo del 1967 e gli "altri trattati pertinenti". Nel secondo capitolo della nostra tesi cercheremo, quindi, di analizzare dettagliatamente l'istituto della "protezione sussidiaria", che ha trovato una sua prima puntuale regolamentazione nella Direttiva 2004/83/CE (c.d. "Direttiva Qualifiche"). Tale istituto rappresenta il primo tentativo – compiuto a livello sovranazionale – di garantire uno status di tutela analogo a quello previsto dalla Convenzione di Ginevra per una serie di soggetti che, pur non possedendo tutti i requisiti per essere riconosciuti rifugiati, siano altresì ritenuti meritevoli di tutela. Stando ai considerando della stessa Direttiva Qualifiche, infatti, tale forma di protezione si dovrebbe configurare come "complementare e supplementare rispetto alla protezione dei rifugiati sancita dalla convenzione di Ginevra". Nell'analizzare tale forma di protezione, abbiamo cercato di capire, innanzitutto, quali siano i presupposti per il suo riconoscimento e in che modo eventualmente essa possa contribuire ad ampliare l'area dei soggetti beneficiari di protezione internazionale in Europa. Abbiamo visto, inoltre, quali diritti comporta lo status di beneficiario di protezione sussidiaria, ovvero quale sia oggi il contenuto di tale status, alla luce anche delle modifiche apportate alla disciplina originaria da parte della Direttiva Qualifiche "Recast" del 2011. Il terzo ed ultimo capitolo del nostro elaborato, infine, prova a valutare la portata dell'opera riformatrice condotta dall'Unione europea. Abbiamo cercato, in particolare, di capire che ruolo abbia svolto l'istituto della protezione sussidiaria nel processo di armonizzazione in materia di protezione internazionale. Il Considerando n° 6 della Direttiva Qualifiche, infatti, individuava come ratio della stessa normativa comunitaria quella di completare lo status di rifugiato con "misure relative a forme sussidiarie di protezione che offrano uno status adeguato a chiunque abbia bisogno di protezione internazionale". È possibile affermare che tale obiettivo sia stato oggi completamente raggiunto da parte dell'Unione Europea? E se così non fosse, attraverso quali strumenti sarà possibile in futuro ottenere un simile risultato?
Il lavoro analizza le principali vicende biografiche di Alberico Gentili, dalle convinzioni religiose all'esilio religionis causa in Inghilterra, dove divenne professore regio di diritto civile ad Oxford, intrattenendo stretti rapporti politici e culturali con Philip Sidney, Walsingham e l'Essex. Il focus si sposta, nell'ambito dello scambio culturale tra Italia ed Inghilterra durante l'età rinascimentale, sui legami tra Alberico Gentili, stampatori inglesi e esuli italiani, tra i quali rilievo particolare spetta a Giacomo Castelvetro. Il lavoro si focalizza poi sul contributo gentiliano al superamento della guerra giusta e all'affermazione del principio della guerra legittima, priva di un carattere discriminatorio, così come teorizzato nel De iure belli. Elemento centrale del lavoro è l' elogio gentiliano dei Discorsi di Machiavelli, che ha dato vita ad un dibattito storiografico sull'adesione o meno di Gentili al paradigma del repubblicanesimo classico. Il lavoro indaga in questo senso, valutando l'opera gentiliana su un continuum, sospeso tra simpatie repubblicane e necessità di un potere assoluto per la difesa della comunità politica. La fortuna di Alberico Gentili viene riletta secondo una triangolazione culturale tra la patria natale italiana, la patria elettiva inglese e la Germania, dove visse il fratello Scipione e vennero stampati numerose opere di Alberico. Si approfondisce in questo senso la recezione del suo lavoro giuridico nella coeva Inghilterra attraverso l'analisi dell'influenza gentiliana in Sutcliffe, Fulbecke e Shakespeare. Nella Germania del Seicento, in particolare in Christ e Conring, il profilo di Gentili che prevale è invece quello dell'interprete repubblicano del Machiavelli, del quale per primo legge l'opera come monito ai popoli affinché preservino la propria libertà dai tiranni. In Italia, un rilievo particolare al Gentili interprete obliquo del Machiavelli viene dai lavori di Lampredi e Giuseppe Galanti, sino al caso del futuro cardinale Antonelli che, durante la guerra di Successione austriaca, userà il De iure belli dell'eretico Gentili, la cui opera rimase all'Indice per secoli, come fonte d'autorità per legittimare la rivendicazione pontificia del Ducato di Parma e Piacenza. ; The PhD thesis analyses the most important biographical events of Alberico Gentili, starting from his religious etherodoxal beliefs until his flee – religionis causa – in England, where, through his relations with Philip Sidney, Walsingham and, later, the Earl of Essex, he was granted a seat as regius professor of Civil Law at Oxford. The work takes a look a the broader contest of anglo-italian cultural transition in the late Rinascimental age, focusing on the connections between Alberico Gentili, english printers and italian refugees among which Giacomo Castelvetro had a key role. In his masterpiece, De iure belli, Gentili makes obsolete the bellum iustum and replaces it with a legitimation of war which lays its foundations on the sovereignity of State. Another pivotal issue is the eulogy of Machiavelli's Discorsi that appears on De legationibus, in which Alberico draws an innovative interpretation of Machiavelli as a republicanist and a fierce enemy of tiranny. This passionate eulogy started a vivid debate about Gentili's republicanism. The thesis analize the debate putting Gentili's works on a continuum, suspended on the one hand, between simpathy for republicanism, and on the other hand, the urging necessity of an absolute power for the sake of the State. Gentili's fortune is another issue of the work, that points out to a cultural triangolation between England, Italy and Germany, where Alberico's younger brother Scipione edited several works of his eldest brother. The thesis focuses then on the reception of Gentili's juridical works on Sutcliffe, Fulbecke and Shakespeare, showing a clear influence of the italian jurist on the late Elizabethan age. The thesis shows that in Germany the reception of Gentili is much more focused, in the XVII century, about his republican reading of Machiavelli, notably this occurred in the works of Christ and Conring. In Italy a special place for the republican interpretation of Machiavelli made by Alberico, can be found in Lampredi and Galanti. A very important, and quite puzzling, case is that of the future cardinal Antonelli that uses authority of De iure belli, despite the fact that Gentili's opera omnia was at the Index of librorum prohibitorum, to legitimate Papal assertions over Parma and Piacenza during the war of Austrian Succession. ; Dottorato di ricerca in Storia dell'Europa XIV-XX secolo (XXVII ciclo)
The contribution aims to illustrate the evolution of national and European legislation on the subject of the protection of unaccompanied minors; the effectiveness of the Italian discipline and the French one in a comparative perspective as well as the European strategy are the core of the analysis. The adoption of the Italian Law 7 Aprile 2017 n. 47, so called Zampa Law, represents an important step towards the recognition of a complete protection of migrant child in the national background; the study on the enforcement of the reform will allow the evaluation of the Italian legal system's efficiency. On the other hand, I will analyze the remedies offered by the French system; in this context the regulation concerning children in civil code gets along with different legal source. Particular attention will be paid to the state of art in the European context looking for common rules or guidelines. The analysis of national and European results will be the objective of some conclusive remarks. ; cinzia.valente@unimore.it ; Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (University of Modena and Reggio Emilia, Italy) ; Aït Ahmed L., Gallant E., Meur H., Quelle protection pour les mineurs non accompagnés? Actes du colloque du 21 juin 2018, 2019. ; Albano F., Minori stranieri non accompagnati nella prospettiva dell'autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, "Minorigiustizia" 2017, 3. ; Alikhan S., Floor M., Guardianship Provision Systems for Unaccompanied and Separated Children Seeking Asylum in Europe: Initial Mapping, Geneva, United Nations High Commissioner for Refugees, Bureau for Europe, 2007 in: http://www.un hcr.org.ua/img/uploads/docs/ Guardianship%20 Procedures%20euro-pe_2007_ENG.doc ; Attias D, Khaiat L., Les enfants non accompagnes. L'Etat du droit et des bonnes pratiques en France, "Societè de legislation comparèee" 2017, 11. ; Barone L., L'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati: tra norma giuridica e agire sociale, 2016. ; Bertozzi R., Le politiche sociali per i minori stranieri non accompagnati: pratiche e modelli locali in Italia, Milano 2005. ; Bruno T., I minori stranieri non accompagnati. Analisi ragionata della L. 7 aprile 2017, n. 47, Piacenza 2017. ; Candia G., Carchedi F., Giannotta F., Tarzia G., Minori erranti. L'accoglienza ed i percorsi di protezione, Roma 2009. ; Cascone C., Brevi riflessioni in merito alla legge n. 47/2017 (Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati): luci e ombre, "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza" 2017, 2, p. 1. ; Cittadini in crescita, 3-4/, 2002, disponibile al seguente indirizzo: http://www.minoriefamiglia.it/download/moyersoen-tarzia.pdf. ; CNAPE, Rapport. Accompagner & accueillir les mineurs non accompagnes. 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Uno dei problemi maggiori nello studio degli effetti dei cambiamenti climatici sulle popolazioni umane è senza dubbio il carattere fortemente multidisciplinare, che richiede un'analisi del fenomeno che incroci competenze e conoscenze che appartengono a diversi campi del sapere, come le scienze ambientali, per quanto riguarda i fattori scatenanti e le scienze sociali e giuridiche, per quanto riguarda le sue conseguenze. Alla luce di questi motivi il tema dei profughi climatici rappresenta un campo di ricerca interessante e ricco di molti spunti di riflessione, ma allo stesso tempo un'analisi complessa e non priva di una molteplicità di problemi epistemologici. Le principali difficoltà risiedono nella scarsità di documentazione e di letteratura sull'argomento. Nonostante non manchino gli studi ed i documenti prodotti dalle principali organizzazioni internazionali che si occupano di ambiente e migrazioni internazionali in tutte le forme e varianti, il mondo scientifico, e in modo particolare quello italiano, non sembra aver ancora preso seriamente in considerazione il tema delle migrazioni internazionali causate dal mutamento delle condizioni climatiche, sia per cause naturali che per il degrado dell'ambiente prodotto dall'inquinamento e da un uso distorto delle risorse terrestri. La complessità estrema del fenomeno pone una serie di interrogativi riguardo all'individuazione dei soggetti che possono essere ricondotti alla categoria suddetta e in merito alla possibilità di riconoscere una qualche forma di tutela giuridica internazionale a questa categoria di persone, per le quali, sul piano strettamente giuridico è ancora improprio l'utilizzo del termine 'rifugiati' per identificarli. Ad aumentare le difficoltà già elencate vi è poi la scarsa attenzione dimostrata sull'argomento dai paesi economicamente sviluppati in genere, ed in particolare i principali inquinatori, e la sempre crescente difficoltà da parte dell'occidente a rispondere ai problemi generati dai movimenti forzati di massa. Il mancato riconoscimento internazionale dei profughi climatici complica ulteriormente la questione. La Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati prevede che possa richiedere lo status di rifugiato chiunque si trovi "nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato" definizione che non lascia spazio alle cause ambientali come fattore di spinta degli spostamenti di popolazione. Il termine 'rifugiato ambientale', accettato orami a livello internazionale nel linguaggio comune, appare quindi improprio alla luce di questa considerazione e all'interno della comunità scientifica mondiale non è stato ancora sciolto il nodo di una definizione più propria soprattutto per la difficoltà di stabilire un legame diretto tra fattori ambientali e diversi casi di migrazioni internazionali massive. D'altra parte il termine "refugee" ha antica origine e diffusa circolazione: il fatto che dal 1951 implichi uno status non crea monopoli linguistici. Si può convenzionalmente accettare il suo utilizzo disciplinare critico e il suo utilizzo istituzionale limitato allo status connesso. Il suo significato resta sinonimo di "displaced", migrante forzato o costretto, con le sole specificazioni istituzionali dell'aver superato il confine e delle costrizioni previste dalla Convenzione nel 1951. L'aggettivo "environmental" non aiuta la definizione delle migrazioni e soprattutto non aiuta a chiarire la loro dimensione forzata. Rifugiato si, ma non "ambientale". La difficoltà forse sta proprio nel sostantivo, ambiente, che ha troppi usi e sinonimi nell'insostenibile sviluppo in cui siamo immersi. Le ricerche multidisciplinari sul fenomeno migratorio devono molto rivalutare la dimensione "ambientale" delle migrazioni. Le espressioni "environmental refugee" o "environmental migrants" o "environmental displaced people" possono essere utilizzate per sottolineare o distinguere la spinta a migrare connessa alle varie forme di inquinamento e di degrado ambientale, per le quali il riconoscimento scientifico della costrizione non è certo e il margine di libera scelta dei momenti e delle modalità è parzialmente maggiore. L'espressione "displaced people" diventa quella descrittiva di ogni migrazione forzata, qualunque sia lo Stato entro cui avviene o quanti e quali che siano gli Stati interessati. L'aggettivo "environmental" può invece risultare ridondante o superfluo, non classifica; meglio chiarire quale contesto geografico o climatico e quale specifica contestuale ragione socio ambientale. Serve uno strumento legale ONU dedicato al riconoscimento, alla prevenzione mirata, alla protezione e all'assistenza di profughi climatici. Sulla via del riconoscimento internazionale dei rifugiati climatici si frappone inoltre il timore di compromettere la sensibilità che già è stata acquisita nei confronti dei rifugiati tradizionali e il timore da parte di governi ed istituzioni di trovarsi in difficoltà nel mettere in atto misure di protezione e di reinserimento dei rifugiati provenienti da zone degradate e dovendo provvedere al loro sostentamento economico. Già nel 1999, con la pubblicazione del libro Environmental Exodus: An Emergent Crisis in the Global Arena , Norman Myers, professore di economia ambientale e consulente per le Nazioni Unite, metteva il luce le difficoltà incontrate dalla comunità scientifica mondiale sulla via di una definizione sia del fenomeno, sia del livello di tutela giuridica internazionale che dovrebbe essere riservata a questa categoria di persone. In particolare, per quanto riguarda la definizione, egli pone l'accento sulla necessità di soffermarsi sulla differenza tra " persone in condizioni modeste ma tollerabili in patria che cercano altrove la possibilità di una vita in condizioni economiche migliori" e quelle persone che migrano perché sono "spinte da fattori di base del degrado ambientale" condizione che appare come la caratteristica principale per definire il concetto di rifugiato ambientale. Sono stati proposti numerosi termini alternativi per classificare i rifugiati ambientali, tra cui "persone sfollate per motivi ambientali" e "emigranti costretti da motivi ambientali", che pur essendo precisi risultano assai meno efficaci e, in effetti, sono quasi ridondanti. Altri suggerimenti spaziano da "eco-migranti" e "eco-evacuati" a "eco-vittime"; però i primi due termini non connotano l'idea di migrazione coatta, mentre l'ultimo non suggerisce affatto l'emigrazione. Ad ogni modo queste persone, comunque le si voglia designare, sono un'ampia componente fra tutti gli altri rifugiati e, entro la prossima metà del secolo, potrebbero addirittura superare di varie volte il numero degli altri rifugiati. Myers propone quindi la seguente definizione: "I rifugiati ambientali sono persone che non possono più garantirsi mezzi sicuri di sostentamento nelle loro terre di origine principalmente a causa di fattori ambientali di portata inconsueta". Questi fattori comprendono siccità, desertificazione, deforestazione, erosione del suolo e altre forme di degrado del suolo; deficit di risorse come, ad esempio, quelle idriche; declino di habitat urbani a causa di massiccio sovraccarico dei sistemi; problemi emergenti quali il cambiamento climatico, specialmente il riscaldamento globale; disastri naturali quali cicloni, tempeste e alluvioni, e anche terremoti, con impatti aggravati da errati o mancati interventi dell'uomo. Possono concorrere fattori aggiuntivi che inaspriscono i problemi ambientali e che spesso, in parte, derivano da problemi ambientali: crescita demografica, povertà diffusa, fame e malattie pandemiche. Altri fattori ancora comprendono carenze delle politiche di sviluppo e dei sistemi di governo che 'marginalizzano' le persone in senso economico, politico, sociale e legale. In determinate circostanze, alcuni fattori possono fungere da 'scatenanti immediati' della migrazione, per esempio colossali incidenti industriali e costruzioni di dighe smisurate. Molti di questi fattori possono agire in concomitanza, spesso con effetti cumulativi. Di fronte ai problemi ambientali, le persone coinvolte ritengono di non avere alternative alla ricerca di sostentamento altrove, sia all'interno del loro paese che in altri paesi, sia su base semipermanente che su base permanente. Non c'è alcun motivo di pensare che chi fugge da condizioni di privazione estrema in conseguenza di collassi ambientali su vasta scala abbia una più attenuata percezione della propria marginalità sociale e una disperazione minore rispetto a chi fugge da oppressioni politiche o religiose. Non sta forse anch'egli cercando la stessa forma di sicurezza nel senso più definitivo del termine, ossia una sicurezza in grado di farlo sentire nuovamente accettato dalla società, in qualche luogo? Per decenni la scena è stata dominata dalle categorie di rifugiati che definiamo "convenzionali", ma ora è giunto il momento di abbandonare formule e definizioni che si rivelano troppo restrittive. Di fronte ai mutamenti che avvengono nel mondo reale non dovrebbero cambiare allo stesso modo anche le nostre categorizzazioni? Alla fine di questo primo approccio a ciò che si connota come un vero e proprio esodo ambientale, siamo già in grado di formulare una considerazione fondamentale: è necessario agire sui sintomi, prima che il problema inizi a causare effetti collaterali cui sarà tremendamente più difficile porre rimedio. Di diversa opinione appare invece il rapporto sul tema pubblicato dall' Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che sottolinea l'importanza di non utilizzare il termine rifugiati per indicare categorie di persone diverse da quelle previste nella Convenzione di Ginevra. A livello italiano, si è parlato del fenomeno in relazione della mancata tutela giuridica di coloro che sono costretti ad emigrare per questo genere di cause e possono essere quindi oggetto di provvedimenti di espulsione, e nel caso dell'Italia del possibile trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espulsione che precedono il rimpatrio. E' certo che storicamente vi è sempre stata una qualche correlazione tra cambiamenti climatici, disastri naturali, modificazioni del clima e flussi migratori, ma molti sono convinti che il deterioramento dell'ambiente prodotto dal cambiamento climatico porrà negli anni a venire il tema del 'rifugiato' climatico al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica e degli organismi internazionali. Questo è un elemento di novità che in relazione alla rapidità con la quale si sta evolvendo il processo di cambiamento climatico, rende un fenomeno millenario ricco di spunti di ricerca, di riflessione e di azione mirata. Le vittime delle conseguenze del surriscaldamento sono una categoria di migranti ancora sconosciuta ai più, priva di uno statuto ufficiale, ma destinata a crescere rapidamente. E a pagarne lo scotto ancora una volta sono i paesi più poveri ed in primis le zone costiere e le isole del Sud-est asiatico, in particolare il Bangladesh come vedremo, così come le aree in via di desertificazione dell'Africa sub sahariana. Senza più casa, costretti ad abbandonare la propria terra perché a rischio o perché modificata nella struttura e composizione, stravolta dai processi di desertificazione, stress idrico o innalzamento del livello del mare, e in attesa di futuro incerto fatto di piani di trasferimento e re-insediamento. La nuova ferita apertasi sulla pelle di questo millennio allarma e fa discutere, per poi scivolare nuovamente nel dimenticatoio mediatico, assecondato da un'opinione pubblica oramai sempre più immune al dramma del disastro. Si vuole quindi invitare alla presa di coscienza e alla riflessione non solo sul disastro ecologico irrefrenabile ma anche sulle conseguenze che lo stesso sta provocando e quindi su possibili riconoscimenti e nuove possibilità di sopravvivenza per queste persone al fine di permettere loro una vita sicura e dignitosa.
I campi profughi sono luoghi in cui sono ospitati i rifugiati. Con il termine rifugiato si intende chi è fuggito o è stato espulso a causa di discriminazioni politiche, religiose o razziali dal proprio paese e trova ospitalità in un paese straniero. Ciò che lo caratterizza è l' aver ricevuto dal paese che lo ospita questo status e la relativa protezione mediante l' asilo politico. Il fenomeno ha assunto dimensioni rilevanti dopo la seconda guerra mondiale, quando è stato fondato dalle Nazioni Unite un organismo appositamente chiamato a tutelare i rifugiati, l' Alto commissariato per i rifugiati ( ACNUR in inglese United Nations Hight Commissioner for Refugees, UNHCR ). A livello nazionale invece la gestione dell' emergenza profughi viene gestita dal Dipartimento di Protezione Civile facente capo alla Presidenza del consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana che si occupa della previsione, prevenzione, gestione e superamento dei disastri, calamità umane e naturali, di situazioni di emergenza e in generale di eventi straordinari. La più importante organizzazione Governativa è la Croce Rossa. A questi si affiancano le Organizzazioni Non Governative, in sigla ONG che sono delle particolari ONLUS che nascono dall' esigenza di singoli di porsi in alternativa o come completamento alle organizzazioni nazionali o sovranazionali. I due caratteri essenziali sono il carattere privato, appunto non governativo e da quello dell' assenza di profitto dell' attività. Caratteristica di queste organizzazioni è anche una forte spinta ideale di contribuire allo sviluppo sociale dei paesi socialmente più arretrati. Le principali ONG sono Medici senza Frontiere e Emergency. Nella gestione sanitaria di un campo possiamo distinguere due momenti: - La fase iniziale dell' emergenza sanitaria: concentrata per la preparazione del modulo sanitario e la gestione delle principali malattie; - Successivamente si devono valutare e gestire gli eventi che hanno conseguenze sugli individui sani, tutto ciò per tutelare la salute pubblica e la qualità della vita. I mezzi utilizzati sono principalmente due: la sorveglianza igienico-sanitaria e il supporto psicologico. Il personale viene preparato preventivamente medi - Dei corsi di formazione. Durante i quali si perfeziona la rapidità di attivazione e l' allestimento del campo. Il team infatti si deve preparare per la partenza nel più breve tempo possibile, per un efficienza ottimale dovrebbe attivarsi in 3-6 h. Le prime strutture ad essere attivate sono le unità operative sanitarie che sono tre: - un poliambulatorio; - Un' ospedale da campo: atta ad intervenire nelle emergenze di massa ed in grado di coprire emergenze polispecialistiche con strutture ad alta tecnologia. Il personale ospitante all' interno è: - Personale medico: chirurghi d' urgenza, anestesisti, rianimatori, medici di pronto soccorso, ortopedici, psicologi ecc - Personale non medico: infermieri, tecnici, strumentisti di sala operatoria Amministrativi, elettricisti e meccanici. Funzioni del personale sanitario sono quelle: - Seguire la popolazione residente e il personale di protezione civile impiegato all' interno; - Relazionarsi con gli operatori della struttura sanitaria locale già esistente; - Monitorare la situazione igienico-sanitaria. Successivamente invece ci si occupa della gestione del campo adibita all' accoglienza della parte sana della popolazione, cercando di individuare ed eliminare i fattori di rischio che possono minacciare la sanità pubblica e peggiorare la qualità di vita. Non è infatti infrequente all' interno dei campi attuare misure di prevenzione primaria per prevenire il contagio e la diffusione di malattie infettive. Questo attraverso: Una profilassi aspecifica: - Verifiche di bonifica e di disinfestazione per l' eliminazione di eventuali artropodi e di vettori meccanici e biologici di malattie infettive; possono esserci infatti all' interno dei campi animali da compagnia ai quali deve essere assicurato un corretto nutrimento oltre che ad un iniziale screening per pulci e zecche da un apposito medico veterinario. Se presenti animali randagi bisogna attivare appositi servizi di controllo e cattura. Possono essere presenti anche topi e ratti per i quali viene attuato una derattizzazione attraverso il posizionamento di esche protette. Inoltre artropodi quali blatte, mosche, pulci , zecche e rettili che possono provocare non solo delle gravi epidemie ma anche un' intensa reazione emotiva da parte degli ospiti di cui bisogna tener conto in quanto persone già segnate da gravi avversità e incertezze. - La promozione della Pulizia, dell' Igiene e della disinfezione della persona e dei luoghi pubblici in cui i rifugiati si trovano, per garantire la diffusione di ambienti corretti e la diffusione delle regole; importante l' individuazione dell' area dove collocare la cucina da campo e la mensa; oltre che dei servizi igienici che vanno tenuti a una certa distanza dal campo e sempre perfettamente puliti, individuare inoltre l' area per lo stoccaggio dei rifiuti, in genere i rifiuti di fortuna vengono sotterrati con l' aggiunta di calce viva, mentre nei campi stabilizzati raccolti in contenitori e prelevati periodicamente per il trasporto in discariche. Tutto ciò per evitare la proliferazione di animali indesiderati e di microrganismi potenzialmente patogeni. È inoltre importante il controllo delle derrate alimentari fresche, il controllo delle date di scadenza degli alimenti conservati. È di primaria importanza la verifica igienica del personale impiegato nelle varie fasi di preparazione e distribuzione pasti, oltre che sulle modalità di conservazione degli alimenti. Tutto il personale infatti deve essere fornito di guanti camice e mascherina oltre che di aver lavato accuratamente le mani prima di poter toccare ogni alimento. Naturalmente importante è anche il coinvolgimento attivo dei richiedenti asilo per i quali è necessaria una rigorosa igiene personale, una pulizia giornaliera della tenda e disinfezione settimanale di lenzuola e federe. L' obbiettivo è infatti quello di rendere gli abitanti del campo non solo dei beneficiari passivi ma dei protagonisti attivi dell' aiuto e del supporto della loro comunità. La profilassi specifica è invece basata su : - Le vaccinazioni: principalmente i bambini per poliomelite e morbillo; - La sieroprofilassi passiva: per fornire anticorpi già attivi atti a contrastare il proliferarsi dell' infezione; - La chemioprofilassi: per esempio antimalarici o pasticche contro vermi intestinali a persone esposte a un rischio di contagio con lo scopo di bloccare lo sviluppo del processo infettivo; - La profilassi comportamentale: con cui si attuano determinati comportamenti atti a prevenire l' esposizione al vettore, per esempio gli spray anti -zanzara contro la malaria. Tutto questo è finalizzato a diminuire il rischio epidemie. Diffuse sono colera, poliomelite e morbillo insieme a epatite, malaria, tifo e tubercolosi che colpiscono i soggetti più vulnerabili quali donne e bambini e per i quali vengono attuate grandi campagne di vaccinazione per evitare gravi degenerazioni sanitarie di una popolazione già molto provata dalla sofferenza. Importante è anche in questi contesti il supporto psicologico. L' ospite può arrivare al servizio psicologico da solo già consapevole del significato che questo servizio può avere o attraverso un invio effettuato da un' infermiera del campo. Il primo colloquio viene fatto con lo psicologo quindi ed è molto importante. Si cerca di ricostruire le loro storie traumatiche, si valuta la presenza di disagi psichici per i quali se necessario viene richiesta la consulenza psichiatrica e le eventuali cure farmacologiche. Attualmente però esiste un dibattito in corso rispetto alle diagnosi classiche per descrivere i quadri psichici riscontrati nelle popolazioni rifugiate perché rischiano di applicare un' etichetta psicopatologica a dei vissuti che sono solo un adeguata risposta a eventi traumatici e violenti. È possibile infatti considerare affetto da un disturbo paranoide una persona che proviene da un' etnia che da secoli è vittima di persecuzioni e che continua a sentirsi minacciato anche se queste minacce non sono presenti? Le reazioni maggiormente riscontrate sono le seguenti: - Reazioni di adattamento: avviene durante i primi mesi di soggiorno, reazioni di spaesamento con ansietà, depressione, difficoltà a orientarsi nelle scelte; - Reazioni psicosomatiche: le emozioni negative come il risentimento e il rimpianto possono mantenere il sistema nervoso autonomo simpatico in uno stato sempre attivo e il corpo in uno stato di eccitazione e di emergenza continuo che può provocare danni agli organi più deboli. Si può manifestare nell' apparato gastroenterico, cardiaco e respiratorio con: gastriti, tachicardie, aritmie, asma bronchiale; può colpire anche l' apparato urogenitale con: dolori mestruali, impotenza ed eiaculazione precoce; il sistema cutaneo e muscolo scheletrico con: psoriasi, prurito, acne, orticaria, cefalea, mialgie e artralgie; - Quadri psicotici: deliri a sfondo persecutorio, allucinazioni o forme maniacali; - Disturbo post – traumatico da stress: entità che ha implicato morte o minaccia di morte, o gravi lesioni, o minaccia all' integrità fisica propria o di altri. Tale disagio può produrre una vera e propria menomazione dal punto di vista sociale per questo bisogna intervenire rapidamente associando alla psicoterapia cure farmacologiche. Il Centro di Accoglienza che ho seguito qui a Pisa in via Pietrasantina è nato 2 anni fa quando 30 mila persone in fuga dal nord africa presentarono domanda di protezione internazionale sul territorio italiano. L' allora governo italiano decretò lo stato di emergenza dichiarando l' EMERGENZA NORD AFRICA. Il centro è stato gestito per due anni dalla Croce Rossa, il 28 febbraio del 2013 lo stato non ha più concesso finanziamenti e la Croce Rossa stava per chiudere il centro quando i ragazzi hanno occupato e autogestito. Era abitato da 44 ragazzi provenienti dal Ciad, Mali, Sudan ed Etiopia, attualmente sono in 10 principalmente del Ciad e del Mali. Io faccio la volontaria nel centro e aiuto nella gestione sanitaria. I ragazzi principalmente presentano disturbi psicosomatici: principalmente colpiscono l' apparato gastro- enterico con gastriti e coliti; l' apparato muscolo scheletrico con cefalee, per le quali prendono spesso antinfiammatori; l' apparato urogenitale con impotenza e eiaculazione precoce e il sistema cutanea, importante è un caso di prurito sine materia senza segni obbiettivi rilevanti era semplicemente la manifestazione del conflitto che il corpo aveva segnalando l' estraneità rispetto al contesto. La pelle diventa sede del conflitto di adattarsi alla nuova realtà e il timore di perdere se stessi , la propria identità di partenza ed il rassicurarsi restando se stessi con il conseguente timore di restare sempre emarginati rispetto al contesto. Un caso molto difficile è stato un caso di un sudanese che aveva problemi di alcolismo e che spesso creava scompiglio all' interno del centro probabilmente nell' alcol riversava tutta la sua sofferenza legata all' abbandono della propria terra e dei propri familiari. Importante anche il caso di G. di etnia somala di depressione conclusasi con un suicidio. Si è infatti lanciato dal quarto piano dell' edificio in cui abitava a Firenze in quanto dopo il 28 Febbraio la comunità somala si era spostata li a causa della sospensione delle cure mediche che non aveva più ricevuto dopo la chiusura del centro. In realtà G. è morto di disamore è indifferenza. Schiacciato dai traumi di un passato violento e sofferente e svuotato dall' arroganza e dall' ignoranza di un paese che discrimina sfrutta e respinge piuttosto che integrare ed accogliere le vite di coloro che cercano protezione e aiuto.
1.Introduzione Nel 2014, nell'ambito dell'Agenzia Europea Frontex, prese avvio l'operazione Triton, coordinata dall'Italia. Da quel momento e fino al 2018, tutte le persone soccorse in mare dovevano essere portate in salvo sulle coste italiane. Una volta arrivate sul territorio, queste persone dovevano essere messe nella condizione di potere avanzare una richiesta di asilo o di protezione internazionale. Il già esistente sistema di accoglienza dedicato alle persone richiedenti asilo (SPRAR) si basava sulla disponibilità volontaria degli enti locali e non era in grado di gestire l'elevato numero di persone in arrivo. Furono per questa ragione istituiti (art. 11 Dlgs. n.142/2015) i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) sotto la diretta gestione degli Uffici Territoriali del Governo (Prefetture). I CAS erano quindi pensati come strutture temporanee ed emergenziali. Le azioni messe in atto dai CAS dovevano, innanzitutto, rispondere ai bisogni primari delle persone accolte, in termini di vitto, alloggio e assistenza sanitaria. Ma, a dispetto del loro carattere temporaneo, e alla stregua dello SPRAR, i CAS avevano l'obbligo di svolgere attività (apprendimento della lingua italiana, istruzione, formazione, inserimento nel mondo del lavoro e nel territorio, assistenza legale e psicosociale) finalizzate all'acquisizione di strumenti di base per favorire i migranti accolti nei processi di integrazione, di autonomia e di acquisizione di una cittadinanza consapevole. 1.1 I richiedenti asilo: L'accoglienza in Italia e una possibile traiettoria resiliente La maggior parte dei richiedenti asilo proveniva dall'Africa subsahariana o dall'Asia Meridionale (Afghanistan e Bangladesh e Pakistan) e aveva alle spalle un lungo viaggio di cui la traversata mortifera via mare o attraverso i Balcani o il Caucaso era solo l'ultima tappa. La durata media del viaggio dal paese di origine era di venti mesi, che si svolgevano quasi sempre al limite della soglia di sopravvivenza. È ormai ben documentato il fatto che la privazione di cibo, di ripari, l'affaticamento estremo, il senso di minaccia, i maltrattamenti ripetuti, i lutti dovuti alla perdita di persone care durante gli spostamenti sono condizioni che accomunavano tutti questi percorsi migratori. A queste, si aggiungeva, per la maggior parte di loro, un periodo di reclusione, che poteva superare l'anno, nei centri di detenzione della Libia dove le condizioni disumane, la pratica sistematica della tortura e della violenza sessuale sono state rese note e denunciate dalle principali organizzazioni internazionali, come Medici Senza Frontiere e Amnesty International (Fondazione Migrantes, 2018). Inoltre, l'alto potenziale traumatico di queste esperienze si aggiunge a vissuti altrettanto tragici legati alle circostanze di vita nel paese di partenza che aumentano la vulnerabilità dei migranti. Infatti, questi sono il più delle volte costretti a scappare da condizioni di instabilità politica, di gravi conflitti interni civili e di estrema povertà. È per quanto fin qui descritto che si può affermare che le persone in arrivo nei CAS sono portatrici di storie potenzialmente traumatiche e ad alta complessità psicosociale che richiedono un'attenzione particolare. Le pratiche d'accoglienza che vengono messe in atto nei centri devono tenere conto di tale complessità nel rispondere ai bisogni di ogni persona, sia nella dimensione psicologica sia in quella sociale. In questo modo, nel cercare di raggiungere l'obiettivo ultimo dell'integrazione dei richiedenti accolti, i progetti d'accoglienza potrebbero favorire la definizione di un loro processo di resilienza che li porti a vivere una condizione socialmente accettabile e di benessere. Il concetto di resilienza ha suscitato molto interesse in letteratura negli ultimi decenni. Un primo dato storico nell'evoluzione della teorizzazione di questo concetto (Cicchetti & Garmezy,1993) è lo spostamento dell'interesse dalla patologia e dalla vulnerabilità alla resilienza, che si può ricondurre alla diffusione di una prospettiva positiva e salutogena nella ricerca e nella pratica clinica e psicosociale (Bonanno & Diminitch, 2013; Bonanno, Westphal, & Mancini, 2011; Cicchetti, 2013; Cyrulnik & Malaguti,2015; Walsh, 2016). Negli anni il concetto di resilienza è stato indagato a partire da diversi approcci. Da alcuni autori (Costa & McRae, 1980) è stato studiato come un tratto di personalità, stabile e fisso, da altri (Wagnild & Young, 1993) come l'abilità di fronteggiare e adattarsi positivamente a eventi stressanti o avversivi. Cicchetti (2013), concettualizzando la resilienza come un processo, ha concentrato l'attenzione sui fattori che lo determinano, con particolare interesse a quelli genetici e neurali. Bonanno e Diminitch (2013) si sono, invece, concentrati su quei fattori di rischio o quelle condizioni esistenziali potenzialmente vulnerabili che possono determinare il processo e che gli autori (Bonanno et al., 2011) definiscono come eventi potenzialmente traumatici (EPT). Rutter (2012), da parte sua, ha teorizzato la resilienza come un concetto dinamico dato dalla continua interazione tra i fattori protettivi e di rischio, portando all'attenzione l'influenza ambientale. Tuttavia, sebbene l'autore (Rutter, 2012) abbia messo in luce la funzione dell'ambiente nel processo di resilienza, sono gli approcci più ecologici e sociali (Anaut, 2005; Cyrulnik, 2001; Cyrulnik & Malaguti, 2015; Malaguti, 2012; Walsh, 2016) che hanno enfatizzato e dato maggiore importanza ai fattori contestuali, sociali, familiari e relazionali nella definizione del processo di resilienza. In particolare, secondo Cyrulnik (2001), posti i fattori di protezione, il processo non può avvenire che nell'ambito di relazioni significative. Nello specifico, l'autore distingue tre elementi fondamentali che rendono conto, nell'insieme, del processo: 1- le esperienze pregresse nell'infanzia e nella storia personale dell'individuo, la qualità dei legami di attaccamento e la capacità di mentalizzazione; 2- il trauma e le sue caratteristiche (strutturali, contingenti ed emotive e sociali); 3- la possibilità di risignificare la tragedia avvenuta attraverso il sostegno affettivo e la relazione d'aiuto, descritta, genericamente come l'incontro con l'Altro. Secondo l'autore, la persona costruisce nel proprio passato, in particolar modo durante l'infanzia, attraverso il legame di attaccamento sufficientemente sicuro, le risorse e la capacità di mentalizzazione utili per affrontare e risignificare il trauma. È in questo spazio relazionale quindi che la persona forma una rappresentazione di Sé come persona amabile, capace di affidarsi e di costruire relazioni forti e significative anche in futuro. La capacità e la possibilità di costruire queste relazioni sono viste come le condizioni che possono aiutare la persona a riconoscere le risorse da attivare per superare la profonda ferita incisa dall'esperienza traumatica e per ristabilire un equilibrio nella propria esistenza. Nell'ultima fase della sua teoria l'autore specifica l'importanza di una figura che chiama tutore di sviluppo o di resilienza, le cui caratteristiche e funzioni sono approfonditamente delineate nella pubblicazione di Lighezzolo, Marchal, & Theis (2003). Secondo gli autori, il tutore di resilienza deve favorire un processo di autonomia e ri-strutturazione del sé, trasmettere sapere, fornire esempi e modelli che permettano e legittimino l'errore; non deve quindi ricoprire un ruolo insostituibile e onnipotente. Il tutore di resilienza, sia esso una persona adulta informale o una figura istituzionalizzata nel sistema di cura e presa in carico della persona, è una risorsa esterna che coadiuva nel processo di resilienza. In questo ultimo caso, la formazione e la definizione del ruolo dell'operatore nel processo di presa in carico contribuiranno alla costruzione di un efficace intervento sociale e clinico per la promozione della resilienza nell'assistito (Manciaux, 2001). Negli ultimi anni, una serie di rassegne internazionali (Agaibi & Wilson, 2005; Siriwardhana, Ali, Roberts, & Stewart, 2014; Sleijpen, Boeije, Kleber, & Mooren. 2016) e in Italia (Tessitore & Margherita, 2017), hanno tentato di sistematizzare i risultati degli studi sul processo di resilienza nell'esperienza potenzialmente pluritraumatica della migrazione, con particolare attenzione alla condizione esistenziale di rifugiato. I risultati evidenziano e si concentrano, soprattutto, sui principali fattori di rischio e quelli protettivi che possono intervenire nel processo di resilienza a seguito di queste esperienze pluritraumatiche. In questi lavori emerge, tuttavia, la necessità per la ricerca di individuare strategie e procedure per interventi e pratiche mirati ed efficaci a promuovere il processo di resilienza nei contesti dell'accoglienza. In particolare, rispetto al contesto italiano si riscontra che sono stati svolti pochi studi sul tema, ancora da approfondire (Tessitore & Margherita, 2017). L'analisi approfondita delle pratiche costruite e messe in atto nell'ambito dell'accoglienza negli ultimi anni in Italia risulta rilevante per una sistematizzazione di conoscenze e competenze e utili per la progettazione di interventi psicosociali efficaci. La presente ricerca si poneva l'obiettivo di studiare, se e in che misura, le pratiche dell'accoglienza e le strategie di intervento messe in atto nel sistema CAS di Parma e Provincia abbiano favorito un processo di resilienza nei richiedenti asilo accolti. Inoltre, si poneva l'obiettivo di comprendere se e in che modo l'operatore dell'accoglienza potesse svolgere una funzione di tutore di resilienza. Poiché basandosi sulla teorizzazione di Cyrulnik (2001), l'esito del processo di resilienza è dato dall'interazione dei fattori protettivi individuali, dalla qualità/intensità del trauma e/o comunque delle situazioni avverse e dall'incontro con i possibili tutori di resilienza, il progetto si è sviluppato in due fasi e ha tenuto conto sia dell'esperienza dei richiedenti asilo sia di quella degli operatori. Rispettivamente, nella prima fase l'obiettivo della ricerca si proponeva di individuare le risorse/vincoli personali presenti nella biografia dei richiedenti asilo, i vissuti emotivi e la qualità dei legami stabiliti nel passato, di individuare le risorse/vincoli messe in gioco durante il viaggio e, infine, di individuare le risorse/vincoli con funzione protettiva dal momento dell'arrivo in Italia e in particolare nel CAS di residenza e nella relazione con gli operatori. Nella seconda fase, la ricerca mirava a individuare le risorse e le competenze, rintracciabili nelle biografie degli operatori dei CAS messe in gioco nella pratica professionale e di conoscere le loro motivazioni alla base della scelta professionale, e a comprendere il significato e l'uso consapevole della relazione con i richiedenti asilo nella loro pratica professionale e, infine, a valutare la qualità della loro vita professionale tenendo conto del forte carico emotivo dovuto alla relazione con i richiedenti asilo e il loro vissuti traumatici. 2. Migrazione ed Europa: Una revisione sistematica sulla promozione della resilienza dei richiedenti asilo negli Stati membri dell'Unione Europea. La migrazione è un fenomeno complesso determinato dall'interazione di fattori di espulsione e di attrazione. L'Europa ha sempre svolto un ruolo di attrazione nei flussi migratori. Negli ultimi anni, le direttive per gli Stati membri hanno mirato a promuovere il benessere dei richiedenti asilo. È importante sviluppare la resilienza per raggiungere il benessere delle persone. L'obiettivo della revisione sistematica è stato quello di esplorare come viene studiata la resilienza nei richiedenti asilo nei paesi dell'UE. Sono stati consultati i database internazionali PsycINFO, PubMed, Web of science, Scopus, MEDLINE, Psychology e behavioural collection. Gli articoli sono stati analizzati secondo i criteri PRISMA. Sono stati ottenuti 12 articoli. Dall'analisi qualitativa sono emersi tre approcci principali e quattro principi teorici fondamentali che potrebbero guidare lo studio della resilienza in contesti migratori. Lo studio della resilienza può essere orientato verso un approccio clinico, clinico e sociale o psicosociale. Inoltre, la ricerca ha tenuto conto della necessità di costruire una nuova narrazione di sé e della propria storia nei richiedenti asilo, di restituire agency ai richiedenti asilo, di valorizzare il proprio contesto culturale e quello del paese ospitante e di promuovere una democratizzazione del sistema istituzionale di accoglienza. Si suggeriscono implicazioni per le politiche degli Stati membri dell'UE coinvolti in prima linea nella gestione dell'accoglienza in Europa. Data la limitata letteratura sull'argomento, questa rassegna suggerisce una nuova e originale visione di presa in carico dei richiedenti asilo attraverso una maggiore implementazione di interventi focalizzati sull'individuo e sulle sue risorse. 3. Promozione della salute psicosociale nei migranti: una revisione sistematica della ricerca e degli interventi sulla resilienza nei contesti migratori. La resilienza è identificata come una capacità chiave per prosperare di fronte a esperienze avverse e dolorose e raggiungere un buono stato di salute psicosociale equilibrato. Questa revisione mirava ad indagare come la resilienza è intesa nel contesto della ricerca sul benessere dei migranti e come gli interventi psicosociali sono progettati per migliorare la resilienza dei migranti. Le domande della ricerca hanno riguardato la concettualizzazione della resilienza, le conseguenti scelte metodologiche e quali programmi di intervento sono stati indirizzati ai migranti. Nei 63 articoli inclusi, è emersa una classica dicotomia tra la resilienza concettualizzata come capacità individuale o come risultato di un processo dinamico. È anche emerso che l'importanza delle diverse esperienze migratorie non è adeguatamente considerata nella selezione dei partecipanti. Gli interventi hanno descritto la procedura ma meno la misura della loro efficacia. 4. Il sistema d'accoglienza straordinaria di Parma e provincia: soddisfazione e benessere percepito dai migranti accolti. I servizi e le progettualità messi in atto nei CAS mirano a favorire integrazione, autonomia e benessere. Questi obiettivi si strutturano sull'attivazione e promozione di risorse dei richiedenti asilo. Nello specifico, vanno ad innestarsi sulle loro abilità, sulle conoscenze, sulle competenze, sulla loro agency e sulla capacità di proiettarsi verso un futuro. Poiché i richiedenti asilo sono i principali attori e fruitori di questi servizi, la valutazione di efficacia e di raggiungimento degli obiettivi preposti deve tenere conto necessariamente del loro punto di vista. I richiedenti asilo che hanno partecipato allo studio erano circa il 20% della popolazione dei richiedenti asilo adulti presenti nel territorio di Parma e provincia. Per la stratificazione del campione si è tenuto conto della variabile del paese di origine, della collocazione sul territorio provinciale (distretto) e il tempo di permanenza nel sistema CAS. È stato costruito un questionario ad hoc che mirava ad indagare la percezione di autonomia, di benessere personale, di soddisfazione verso sé stesso, la percezione di essere rispettato nelle proprie tradizioni culturali e la soddisfazione verso il servizio. Il questionario constava di una parte introduttiva, che forniva una breve descrizione al partecipante delle finalità d'indagine, e di diverse sezioni, che indagavano e approfondivano specifiche aree (temi) di interesse. Le prime due aree hanno rilevato i dati socio-anagrafici e il viaggio dei richiedenti asilo. La terza e la quarta area hanno indagato l'accoglienza nel centro e la struttura in cui risiedeva il beneficiario. Le altre aree si sono concentrate sui servizi primari (beni e servizi di prima necessità, assistenza medica) e servizi secondari (assistenza legale, lingua italiana, sostegno psicosociale, lavoro, mediazione culturale, orientamento al territorio e tempo libero) che gli venivano offerti. Le ultime sezioni si focalizzavano sul rapporto con gli operatori, sul progetto individualizzato e sui propri piani futuri. Alla fine del questionario vi era una breve sezione che mirava ad indagare la soddisfazione generale verso l'intero processo di accoglienza in Italia e la specifica esperienza nel territorio di Parma e provincia. Sono state effettuate delle analisi ed elaborazioni statistiche descrittive tramite il software SPSS. Dal questionario è emerso un quadro complessivo dei servizi offerti e una mappatura delle pratiche messe in atto all'interno delle strutture a partire dal punto di vista dei richiedenti asilo. Questi hanno espresso una generale soddisfazione del sistema accoglienza in Italia e in particolare di quella ricevuta a Parma. Hanno riportato un senso di protezione e sicurezza e una generale percezione di capacità e autonomia raggiunta in molti dei servizi e ambiti della quotidianità. Le aree più critiche sono risultate essere l'assistenza legale, l'avviamento lavorativo, la creazione di relazioni sociali con italiani nel tempo libero, la progettazione individualizzata e in particolare il sostegno psicosociale e, infine, la progettazione futura. In queste aree i richiedenti asilo hanno espresso una bassa soddisfazione verso il servizio di sostegno ricevuto, una scarsa consapevolezza di sé e delle proprie capacità e una bassa percezione di un'autonomia conquistata dal singolo servizio e, più in generale, dalla struttura d'accoglienza. 5. Vissuti, fattori di protezione e fattori di rischio nelle biografie dei richiedenti asilo: la definizione di traiettorie di resilienza nei Centri d'Accoglienza Straordinaria. I richiedenti asilo sono portatori di storie potenzialmente traumatiche a seguito delle quali possono vivere distress psicologico e PTSD nel paese d'accoglienza. Qui vengono inseriti in programmi che mirano a favorire benessere psicologico e integrazione. Tale processo è definito resilienza, La resilienza è un processo che vede le persone impegnate a guarire da esperienze dolorose, a prendersi cura della propria vita per continuare a svilupparsi positivamente in modo socialmente accettabile. Il presente studio mira a comprendere i fattori di protezione e le risorse personali e sociali che possono favorire il superamento dei traumi e un processo di resilienza nei richiedenti asilo. Sono stati somministrati 29 test CORE-10 e questionari costruiti ad hoc per il sostegno sociale percepito e condotte altrettante interviste in profondità. Con risultati moderati e gravi di distress psicologico nei partecipanti, sono emersi fattori protettivi e risorse già nella fase pre-migratoria. I legami di accudimento sembrano svolgere una funzione protettiva anche durante l'accoglienza, favorendo la costruzione di rapporti di fiducia. Il supporto sociale della comunità d'accoglienza e quello degli operatori nei centri possono influenzare la definizione di traiettorie resilienti. Lo studio solleva implicazioni di tipo clinico e sociale. Nei suoi limiti lo studio vuole essere un'apertura a nuovi approfondimenti di ricerca. 6. La qualità della vita professionale di chi lavora con i richiedenti asilo: Compassion Staisfaction, Burnout e Secondary Traumatic Stress negli operatori dell'accoglienza In Italia negli ultimi anni sono stati strutturati Centri di Accoglienza Straordinaria per rispondere ai bisogni primari e secondari dei richiedenti asilo approdati sulle coste mediterranee. A seguito dell'apertura dei CAS, sul territorio nazionale si è formato un nuovo corpo professionale, i professionisti dell'accoglienza. Poiché inizialmente non è stata richiesta una formazione specifica in base al contesto e agli obiettivi posti, il loro profilo professionale derivava tendenzialmente dai diversi percorsi formativi e lavorativi precedenti. Considerando il mandato istituzionale del loro lavoro, quale favorire l'accoglienza e una completa presa in carico dei richiedenti asilo, i professionisti dell'accoglienza sono quotidianamente coinvolti nella relazione con gli accolti ed esposti ai racconti traumatici o ai sintomi agiti di questi. Infatti, i richiedenti asilo sono persone spesso profondamente traumatizzate dalle esperienze passate, dal viaggio, ma anche disorientate e impreparate per la complessa esperienza dell'accoglienza e dell'integrazione. Questo aspetto del lavoro con i richiedenti asilo può influenzare il clima e la qualità della vita professionale dei professionisti dell'accoglienza. Infatti, come nelle altre professioni d'aiuto continuamente esposte a eventi stressanti o traumatici, anche nel lavoro di cura e accoglienza dei richiedenti asilo è alto il rischio di sviluppare i sintomi negativi associati al burnout e al trauma vicario. Sebbene, negli ultimi venti anni, la qualità della vita professionale sia stata ampiamente approfondita in diversi settori, non risultano studi che esplorino questo tema tra i professionisti del settore dell'accoglienza. In questo studio è stato sottoposto il questionario ProQOL 5 ai professionisti dell'accoglienza dei Centri di Accoglienza Straordinaria di Parma e provincia, attivamente coinvolti nella relazione d'aiuto con i richiedenti asilo, con lo scopo di definire lo stato di benessere psicosociale rispetto alla loro qualità di vita professionale. Anche se si è dimostrato che mediamente i professionisti dell'accoglienza riportano una buona soddisfazione nello svolgere il proprio lavoro, sono emersi tre profili. Il primo gruppo sembra esprimere soprattutto Burnout, il secondo gruppo una maggiore Compassion Satisfaction e il terzo gruppo un malessere evidente sia per il Burnout che per il Secondary Traumatic Stress. I dati ottenuti permettono di colmare parzialmente un vuoto nella letteratura di settore. Inoltre, la rilevanza dei dati spinge alla riflessione sulla possibilità di incoraggiare interventi efficaci di prevenzione e management delle organizzazioni, al fine di favorire il benessere psicosociale di questo corpo professionale emergente. 7. Essere professionisti dell'accoglienza: l'importanza di un uso consapevole del Se' nella relazione d'aiuto e la funzione del tutore di resilienza. All'interno dei CAS sono stati impiegati professionisti di differenti background formativi ed esperienziali. Appannaggio degli operatori è l'attivazione dei servizi interni ed esterni e il monitoraggio di tutte le fasi del progetto di accoglienza. La presa in carico si configurerebbe come una relazione d'aiuto possibile attraverso la compresenza di diversi aspetti di Sé. Chi lavora con i richiedenti asilo deve affrontare e gestire vissuti potenzialmente traumatici che influenzano il buon esito dell'intervento clinico-sociale. Nel favorire benessere psicologico nei beneficiari, gli operatori svolgono funzioni che richiamano quelle del tutore di resilienza. In questo studio si è esplorata la rappresentazione dei professionisti dell'accoglienza e la consapevolezza di Sé a partire dal loro punto di vista. Sono stati condotti tre focus group e le trascrizioni verbatim sono state analizzate secondo l'approccio IPA. Sono emersi tre aspetti del Sé (Sé personale, Sé professionale e Sé burocrate). Il Tempo e il Contesto sociale sono risultate possibili variabili che influenzano la relazione d'aiuto. Lo studio propone implicazioni di ricerche future e di policy. 8. Conclusioni Negli anni il sistema italiano dell'accoglienza si era ormai rodato e formalizzato su due principali dispositivi: il sistema SPRAR e i cosiddetti Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS). Tuttavia, negli ultimi due anni, con il cosiddetto decreto Salvini (D.lg. 4/19/2018 n° 113), si è assistito ad un graduale ridimensionamento dei numeri degli accolti e ad una conseguente chiusura di strutture del sistema CAS. Pertanto, assume rilevanza e importanza capitalizzare le esperienze di accoglienza e comprenderne maggiormente le potenzialità e i limiti. Con la presente ricerca e le analisi delle pratiche d'accoglienza e delle progettualità messe in atto all'interno del sistema CAS sono emersi due risultati principali. Il primo risultato emerso è che i richiedenti asilo accolti abbiano consapevolezza delle risorse e dei fattori protettivi che hanno acquisito nell'arco di vita. Inoltre, si è evidenziata una forte e imprescindibile interdipendenza tra i vissuti psicologici, i bisogni e le risorse dei richiedenti asilo e la funzione relazionale dell'operatore dell'accoglienza. Dalla ricerca è emerso che il valore di tale interdipendenza, non essendo riconosciuto formalmente e quindi esplicitamente richiamato nelle norme e regolamentazioni, era dipeso da un reciproco riconoscimento dei richiedenti asilo accolti e degli operatori. Tuttavia, questa relazione, se opportunamente strutturata e formalizzata, può favorire la definizione di traiettorie di resilienza e il raggiungimento degli obiettivi di integrazione, autonomia e benessere psicosociale. Al momento in cui è stata condotta la ricerca, questi obiettivi erano parzialmente raggiunti. Infatti, sebbene nel sistema d'accoglienza i richiedenti asilo abbiano percepito di essere in un luogo sicuro e protetto e fossero generalmente soddisfatti dei servizi offerti, hanno riportato livelli medio-alti di disagio psicologico. Il valore traumatico delle loro esperienze di vita è stato esplorato e compreso nella sua diacronicità, in quanto i vissuti traumatici sono rintracciabili non solo durante il viaggio ma già nelle esperienze pre-migratorie. Le biografie dei richiedenti asilo sono segnate da profonde ferite, che spesso risalgono a perdite, lutti o tradimenti da parte delle figure significative dell'infanzia o della comunità allargata, fino a sentirsi espulsi dalle politiche disattente degli Stati d'appartenenza. Anche l'arrivo in Italia e l'inserimento nel sistema d'accoglienza comportano sfide esistenziali, che in alcuni casi arrivano a reiterare esperienze traumatiche passate. Nonostante questo, i richiedenti asilo hanno mostrato consapevolezza delle proprie risorse e dei fattori di protezione acquisiti già durante l'infanzia, attraverso le relazioni significative e di accudimento. Queste risorse hanno svolto una funzione di protezione e sostegno nel loro sforzo psicologico di fronteggiare e sopravvivere alle avversità incontrate in tutto l'arco di vita. Nonostante la loro consapevolezza e tenuto conto della permanenza relativamente lunga nel sistema d'accoglienza, è risultato che le esperienze traumatiche non trovano uno spazio adeguato di ascolto e di ri-significazione una volta inseriti nei progetti di accoglienza. Le caratteristiche strutturali e organizzative del sistema non sembrano favorire quell'incontro con l'Altro che può garantire la rielaborazione delle esperienze passate e riattribuire senso e agency alla propria vita, anche nella quotidianità. Al contrario, i richiedenti asilo sono consapevoli di ritrovarsi in una posizione di svantaggio rispetto al potere decisionale sui loro progetti di vita. Non sono coinvolti nelle scelte progettuali e non percepiscono una crescita personale nelle competenze e nelle capacità necessarie per rendersi autonomi. Tuttavia, i richiedenti asilo riconoscono negli operatori degli interlocutori diretti che svolgono un ruolo di congiunzione con la società ospitante. Nello svolgimento del proprio ruolo, gli operatori possono aprirsi ad un ascolto attivo di tutte le parti della biografia dei richiedenti asilo per costruire un rapporto di fiducia. Al fine di favorire la costruzione di tale rapporto, è importante che gli operatori nella loro pratica quotidiana mirino a riattribuire agency ai richiedenti asilo, coinvolgendoli nella progettazione individualizzata. Ciò favorirebbe la valorizzazione e l'attivazione delle risorse dei richiedenti asilo, l'instaurarsi di relazioni di fiducia che consentano la ricostruzione di significato delle proprie esperienze traumatiche di vita e la restituzione di una rappresentazione di Sé attiva e agente. In generale, si otterrebbe una maggiore adesione al progetto d'accoglienza. Inoltre, la valorizzazione della funzione relazionale degli operatori dell'accoglienza favorirebbe una maggiore qualità di vita professionale. I professionisti avrebbero così la possibilità di riconoscere e far riconoscere il proprio ruolo, che è stato profondamente messo in discussione dalla comunità e dalle politiche degli ultimi anni. Quindi, l'ascolto attivo, la riattribuzione di agency e l'esempio nella quotidianità da parte degli operatori favorirebbero il riconoscimento del loro ruolo come tutori di resilienza e promuoverebbero la definizione di traiettorie di resilienza. In questo modo si faciliterebbe il raggiungimento di uno stato di salute psicosociale nei richiedenti asilo. La legittimazione del ruolo funzionale della relazione tra i richiedenti asilo e gli operatori dell'accoglienza da parte del contesto sociale e istituzionale diventa un fattore necessario allo sviluppo di buone pratiche d'accoglienza e alla promozione di traiettorie di resilienza. 9. 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"Mi sia concesso di cominciare con una confessione piuttosto imbarazzante: per tutta la mia vita nessuno mi ha dato piacere più grande di David Bowie. Certo, forse questo la dice lunga sulla qualità, della mia vita. Non fraintendetemi. Ci sono stati momenti belli, talvolta persino insieme ad altre persone. Ma per ciò che riguarda una gioia costante e prolungata attraverso i decenni, nulla si avvicina al piacere che mi ha dato Bowie." (Simon Critchley, Bowie) Quelli che non conoscono l'opera di Bowie, temo, avranno provato un po' d'irritazione per la quantità di cose dette e scritte dopo la sua morte nel gennaio scorso. O perlomeno stupore, viste le innumerevoli sfaccettature per cui è stato ricordato. Come ha scritto giustamente Francesco Adinolfi su Il manifesto del 12 gennaio, "non c'è un solo Bowie, e ognuno ha il suo Bowie da piangere". C'è ovviamente il Bowie che tra la fine dei '60 e i primi anni '70 porta in scena la libertà contro la soffocante pubblica morale, mescolando generi ed identità sessuali in canzoni e concerti, ostentando i suoi personaggi scandalosi per sbatterli in faccia a family day di ogni sorta. Lo scrittore Hanif Kureishi, per esempio, ricorda la canzone "Rebel rebel" (1974) come una spinta che lo porta a desiderare di andarsene dal monotono perbenismo del sud di Londra. Il filosofo Simon Critchley descrive l'impatto di "Rock'n'roll suicide" (1972), dove l'urlo "You're not alone!" ("Non sei solo"!) diventa detonatore emotivo per una generazione di giovani a disagio con se stessi e con il mondo, spingendoli a cercare di diventare qualcos'altro – "qualcosa di più libero, più queer (traducibile con 'eccentrico', e anche 'omosessuale'), più sincero, più aperto, e più eccitante." Ma questo Bowie, l'icona del gender bending, è stracitato. Molto meno noto è il Bowie dall'animo irriducibilmente politico. Intendiamoci, anche dal punto di vista politico Bowie è stato molte cose. Nel 1975 rilascia alcune dichiarazioni di simpatia verso il nazismo, che saranno poi rettificate e (molto parzialmente) giustificate con la sua pericolosa dipendenza dalle droghe di quel periodo. Il clamore è amplificato da una fotografia in cui sembra fare il saluto romano a una folla di fan che lo attende a Victoria Station (ma osservando il filmato dell'evento su Internet, pare che il fotografo abbia preso lo scatto proprio nel momento in cui il braccio si tende in un normalissimo saluto). Si tratta di un aspetto delicato ancora da chiarire completamente, in cui anche critici raffinati come Critchley non si avventurano troppo. E che comunque ha finito per offuscare, secondo me, la figura di Bowie cantore degli ultimi e dei margini. Il nodo cruciale di questo suo aspetto è l'album Scary Monsters (1980), alla fine di un decennio segnato da una serie di album memorabili, dal glam rock alle sperimentazioni berlinesi – storicamente, la fine delle utopie e l'inizio del cosiddetto riflusso. Nel brano "Ashes to ashes" Bowie riprende il personaggio che l'aveva portato al successo, il Maggiore Tom, astronauta che in "Space oddity" (1969) celebrava l'allunaggio ma al contempo si perdeva stranamente a galleggiare nello spazio. Seguendo una parabola analoga agli ideali bruciati di quel periodo, nel 1980 Major Tom ricompare travolto dalle droghe pesanti, schiavo dei mostri che lo perseguitano nello spazio: I want an axe to break the ice, I want to come down right now Ashes to ashes, funk to funky We know Major Tom's a junkie strung out in heaven's high hitting an all-time low Voglio un'ascia per rompere il ghiaccio, voglio venir giù subito Cenere alla cenere, funk al funky Lo sappiamo che Major Tom è un tossico sperso nell'alto dei cieli caduto in una depressione storica Ma anche la realtà in cui Major Tom desidera tornare non promette nulla di buono. In Scary Monsters si manifesta uno dei punti più alti della critica socio-politica nei testi di Bowie, che assume toni quasi profetici. Mi riferisco alla canzone che apre l'album, "It's no game (no. 1)": Silhouettes and shadows watch the revolution No more free steps to heaven and it's no game (…) Documentaries on refugees couples 'gainst the target (…) Draw the blinds on yesterday and it's all so much scarier Put a bullet in my brain and it makes all the papers Profili e ombre guardano la rivoluzione Niente più passi facili verso il paradiso e non è un gioco (…) Documentari su rifugiati coppie nel mirino (…) Chiudi la finestra sul passato ed è tutto più spaventoso Sparami un colpo in testa e ne parleranno tutti i giornali Qui Bowie sembra svelare quella che sarà la faccia oscura degli anni '80 e oltre: la questione dei rifugiati e delle vittime civili dei conflitti (come suonano profetici quei due versi…), l'oblio degli ideali del passato, lo sguardo onnipresente ma banalizzante dei mass media. E' importante ascoltare "It's no game (no. 1)" anche perché Bowie canta questa canzone a squarciagola, a voce quasi stridula, come se lo stessero torturando; l'insieme è reso più complesso dall'alternanza con una voce femminile che canta in giapponese una traduzione del testo, in tono aggressivo. Secondo Critchley, "il genio di Bowie risiede nell'armonizzare minuziosamente parole e musica attraverso il mezzo della voce". I versi finali della canzone introducono poi un riferimento più esplicitamente politico, forse riferendosi alla polemica menzionata sopra: So where's the moral? People have their fingers broken To be insulted by these fascists – it's so degrading And it's no game E allora dov'è la morale? La gente ha le dita spezzate Venir insultati da 'sti fascisti – è così degradante E non è un gioco La voce di Bowie si contorce soprattutto quando pronuncia il titolo della canzone, "non è un gioco": il dramma della 'fine delle ideologie' sta nel poter non prendere più nulla sul serio, neanche le grandi tragedie. C'è una coincidenza curiosa, a questo proposito. L'anno seguente Giorgio Gaber mette in scena il recital Anni affollati, e nel pezzo parlato "Il presente" offre (ovviamente con Sandro Luporini) una caustica riflessione sul nuovo clima dei primi anni '80, dove i più bravi e geniali riescono a togliersi di dosso la pesantezza di qualcosa che ingombra per dedicarsi allo 'smitizzante'. Perché di fronte all'idiozia dei vecchi moralisti, preferisco vedere l'uomo di cultura che si fa fotografare nudo su un divano a fiori. Eh sì, per questa sua capacità di saper vivere il gioco. Sto parlando insomma di quelli veramente colti, che con sottile ironia hanno riscoperto… l'effimero. Ecco che cos'è il presente: l'effimero. E devo dire che per della gente come noi, che non crede più a niente, questo è perfetto. (…) La cosa più intelligente da fare è quella di giocare d'astuzia con i segnali del tempo. Ma attenzione, perché tra l'avere la sensazione che il mondo sia una cosa poco seria, e il muovercisi dentro perfettamente a proprio agio, esiste la stessa differenza che c'è tra l'avere il senso del comico ed essere ridicoli… La canzone di Bowie non finisce qui, perché Scary Monsters ha una struttura circolare e si chiude con "It's no game (no. 2)" ("Non è un gioco, parte seconda"), dove viene riproposto lo stesso motivo – o quasi. Questa versione accentua la critica sociale (e la visionarietà profetica) aggiungendo una strofa finale sullo sfruttamento del lavoro minorile: Children 'round the world put camel shit on the walls Making carpets on treadmills, or garbage sorting And it's no game Bambini in tutto il mondo mettono cacca di cammello sui muri Fanno tappeti su macchinari, o frugano in discariche E non è un gioco Ma soprattutto, i versi di questa "parte seconda" sono cantati in modo radicalmente diverso, con voce lenta, calda, modulata, quasi da crooner in stile Frank Sinatra, quasi a voler dire: guardate che anche i miei pezzi apparentemente più commerciali possono essere qualcosa di più di semplici canzoni orecchiabili. E' una caratteristica dei suoi testi che viene colta anche dalla genialità sregolata di Lars Von Trier, il cui durissimo film Dogville (2003), sulla brutalità del sogno americano, si conclude con la scena del massacro di un intero villaggio e uno stacco improvviso sui titoli di coda: una sequenza di immagini di povertà e degrado statunitense con in sottofondo il pezzo "Young Americans" (1975), dal ritmo allegro ma con un sottotesto che accenna alla sterilizzante massificazione degli individui: We live for just these twenty years, do we have to die for the fifty more? Viviamo solo per questi vent'anni, dobbiamo morire per altri cinquanta? Questa ambivalenza è riscontrabile soprattutto nei dischi immediatamente successivi a Scary Monsters, quelli segnati da un disimpegno che per la prima volta fanno diventare Bowie un fenomeno commerciale mainstream, e che molti fan ancora rifiutano. Mi riferisco innanzi tutto a Let's Dance (1983), ovviamente, ricordando il videoclip della canzone omonima che mette in primo piano la condizione degli aborigeni australiani; come scrive Nicholas Pegg nel suo enciclopedico The Complete David Bowie, "prendendo spunto solo marginalmente dal testo della canzone per sposare la causa dei diritti degli aborigeni, il video costituisce il primo (sic) sostanziale esempio del ruolo da militante sociopolitico che Bowie cominciava a ritagliarsi negli anni '80." Sempre in Let's Dance, il brano "Ricochet" ("Pallottola di rimbalzo") è pervaso da un senso di totale sacrificabilità delle vite umane; come in "It's no game", i versi sembrano già descrivere il lato oscuro della globalizzazione neoliberista: Like weeds on a rock face waiting for the scythe (…) These are the prisons, these are the crimes teaching life in a violent new way (…) Early, before the sun, they struggle off to the gates in their secret fearful places, they see their lives unraveling before them (…) But when they get home, damp-eyed and weary, they smile and crush their children to their heaving chests, making unfullfillable promises. For who can bear to be forgotten? Come erbacce sulla roccia in attesa della falce (…) Queste sono le prigioni, questi i crimini che insegnano la vita con nuova violenza (…) Presto, prima del sole, sgomitano verso i cancelli nei loro spaventosi luoghi segreti, vedono la propria vita che gli si dipana di fronte (…) Ma quando arrivano a casa, stanchi e con occhi umidi, sorridono e si stringono i figli al petto ansante, facendo promesse inesaudibili. Perché chi può sopportare di venir dimenticato? Buona parte di questi versi sono parlati con voce metallica, come da un megafono, rimarcando così l'idea di omologazione oppressiva della società contemporanea. Su questi temi Bowie ritorna periodicamente anche nei dischi incisi dopo Let's Dance, dalla fine degli anni '80 fino a pochi anni fa – album quasi sempre di gran qualità, che le commemorazioni dello scorso gennaio hanno praticamente ignorato. Va menzionato, dall'album Tin Machine (1989) il brano "I can't read" ("Non so leggere"), che tratta di deprivazione culturale in un mondo dove "money goes to money heaven / bodies go to body hell" (" i soldi finiscono nel paradiso dei soldi / i corpi nell'inferno dei corpi"). Lo stesso LP contiene una cover di "Working class hero" ("Eroe della classe operaia") di John Lennon (1970), inno anti-sistema cantato da Bowie con voce carica di rabbia: When they've tortured and scared you for twenty-odd years then they expect you to pick a career when you can't really function you're so full of fear (…) Keep you doped with religion and sex and TV and you think you're so clever and classless and free but you're still fucking peasants as far as I can see (…) There's room at the top they're telling you still but first you must learn how to smile as you kill Dopo che ti hanno torturato e terrorizzato per una ventina d'anni poi si aspettano che tu ti scelga una carriera mentre non riesci neanche a pensare tanto sei pieno di paura (…) Ti drogano di religione, sesso e TV e ti credi d'essere così furbo e oltre le classi e libero ma sei ancora un cazzo di bifolco, mi sembra (…) C'è ancora posto là in cima, ti continuano a dire Ma prima, mentre uccidi, devi imparare a sorridere Una diffusa alienazione sociale emerge anche in "Dead man walking" ("Morto che cammina", 1997), un pezzo contaminato da sonorità drum'n'bass che martellano immagini come questa: an alien nation in therapy sliding naked, anew like a bad-tempered child on the rain-slicked streets una nazione aliena in terapia che scivola nuda, di nuovo come un bambino intrattabile per strade viscide di pioggia Due anni dopo, in "Seven", riprende la figura del fratello maggiore Terry, sofferente di schizofrenia e suicida nel 1985, tornando così ad un altro tema per lui ricorrente, quello dei meccanismi sociali che riproducono la malattia mentale: I forgot what my brother said I forgot what he said I don't regret anything at all I remember how he wept On a bridge of violent people I was small enough to cry I've got seven days to live my life or seven ways to die Ho scordato cosa diceva mio fratello ho scordato che diceva Non rimpiango davvero nulla mi ricordo come piangeva Sopra un ponte di gente violenta ero abbastanza piccolo da strillare Ho sette giorni per vivere la mia vita o sette giorni per morire L'attenzione di Bowie verso le vittime della Storia si può ritrovare, comunque, già prima del 1980. Quando ancora cantava ballate alla Bob Dylan, il pezzo "Little bombardier" ("Il piccolo artigliere", 1967) narra di un reduce solo, spaesato e affamato di affetti: War made him a soldier, little Frankie Mear. Peace made him a loser, a little bombardier La Guerra lo fece un soldato piccolo Frankie Mear La pace lo fece un perdente, un piccolo artigliere Per sua grande gioia, diventa amico di due bambine, ma si farà cacciare perché sospettato di pedofilia: Leave them alone or we'll get sore. We've had blokes like you in the station before Lasciale stare o cominceremo a seccarci. Ne abbiamo già avuti come te alla stazione di polizia. Pur puntando esplicitamente il dito contro l'autorità costituita, questa storia malinconica è musicata, scrive Pegg, con un "nostalgico valzer da fiera di paese (…) uno dei pochissimi brani di Bowie scritti in 3/4". Il testo è ispirato al racconto "Uncle Ernest" (1959) di Alan Sillitoe, uno dei più felici narratori del nuovo realismo proletario nel secondo dopoguerra. In quanto a temi socio-politici, Bowie tocca spesso anche l'imperialismo statunitense e la natura repressiva delle religioni istituzionali (si veda ad esempio lo 'scandaloso' videoclip di "The next day", 2013). Ma il Bowie che ho voluto ricordare qui è l'artista che non ha mai chiuso gli occhi di fronte alle ingiustizie, alla sofferenza degli ultimi. Potrà suonare paradossale, ma mi viene da pensare ad un altro grande cantore dei margini come Enzo Jannacci. Bowie torna spesso su ciò che in "Under pressure" ("Sotto pressione", 1981) definisce "the terror of knowing what this world is about" ("il terrore di sapere di cosa è fatto questo mondo"), mentre Love dares you to care for the people in the streets the people on the edge of the night L'amore ti sfida a prenderti cura della gente per le strade la gente al margine della notte Certo, è difficile accostare i maglioni sudati di Jannacci al Bowie che ha creato e curato la propria immagine, cui il prestigioso Victoria and Albert Museum di Londra ha dedicato una mostra di grande successo nel 2013. E la voce di Jannacci, sempre apparentemente sul punto di esaurire il fiato, condivide poco con le virtuosità bowiane. Dietro ad entrambi vedo però una sensibilità comune, e un simile atteggiamento di insofferenza verso ogni inquadramento, ogni norma imposta dall'alto. Per me, i testi di Bowie hanno rappresentato l'inizio di una passione per la letteratura in lingua inglese, e per la natura indecifrabile, sfuggente e mai omologabile che è propria della poesia. Critchley nota che, a partire dal periodo berlinese, i suoi versi diventano meno intellegibili e narrativi, e che "colpiscono maggiormente quando sono più indiretti. Siamo noi a doverli completare con la nostra immaginazione, col nostro desiderio." Continuo a citare Critchley anche perché mi ritrovo profondamente nel percorso del suo libro, purtroppo non ancora tradotto in italiano. Il volumetto si conclude con una frase che sottoscrivo, e che rappresenta il motivo per cui non ho ancora trovato il coraggio di ascoltare Blackstar, l'ultimo album uscito solo due giorni prima della morte: "Non voglio che Bowie finisca. Ma lo farà. E anche io."