2009/2010 ; L'attività di ricerca condotta in questi anni parte dalla domanda quale identità per l'Europa nel Mediterraneo? La tesi prova a dare una risposta a tale interrogativo prendendo in analisi l'evoluzione delle relazioni dell'Unione europea con i paesi della sponda sud del Mediterraneo attraverso un esame approfondito delle politiche di cooperazione transfrontaliera, delle trasformazioni geografiche e geopolitiche ad oggi intervenute e approfondendo, infine, alcuni aspetti della politica europea nei confronti del Mediterraneo. Ci si propone di delineare un quadro di insieme delle relazioni e di rintracciare una dimensione mediterranea per l'Unione. E' infatti innegabile che, in seguito all'ultimo allargamento che ha reso necessaria una ricalibratura degli equilibri a favore del sud, l'area negli ultimi anni sia oggetto di un intenso dibattito internazionale. Nell'ambito del processo di globalizzazione, quale integrazione economica mondiale ed a seguito dell'evoluzione dei trasporti e delle comunicazioni, della rivoluzione della localizzazione e della logistica, il Mediterraneo ha assunto una rinnovata centralità. L'ultima parte della tesi mira in particolare a verificare come l'approccio della politica mediterranea dell' Unione europea sia però sempre stato influenzato, fin dalla nascita, da fattori esogeni destabilizzanti e provenienti dall'area, tra cui la continua crescita demografica ed i costanti e crescenti flussi migratori. Si è scelto quindi di analizzare tale ultimo come esempio di come questa sia una problematica che vada risolta insieme ai Paesi mediterranei. ; XXIII Ciclo
2008/2009 ; La ricerca realizzata ha inteso analizzare i principali profili geopolitici e geoeconomici connessi alle dinamiche di sviluppo territoriale, con particolare riferimento ai divari economico-sociali che caratterizzano i differenti sistemi locali ed ai conseguenti elementi di marginalità che ne derivano. L'analisi parte dalla ricognizione e dal conseguente approfondimento delle politiche di coesione territoriale elaborate dalle Istituzioni comunitarie a partire dall'Atto unico europeo e della successiva evoluzione delle stesse a seguito del processo di consolidamento dell'Unione Europea e delle recenti fasi di allargamento della stessa. Nel primo capitolo dopo una breve ricostruzione delle principali fasi che hanno caratterizzato la nascita di una reale e autonoma "politica di coesione europea" (1957-1988), si è proceduto ad una più approfondita analisi delle policy e degli strumenti implementati nei diversi periodi di programmazione comunitaria, con particolare riferimento alle riforme che hanno caratterizzato l'individuazione degli obiettivi prioritari di intervento e la connessa disciplina dei Fondi strutturali. Tale indagine è risultata funzionale a comprendere la rilevanza che le strategie di sviluppo e di governance sovranazionali hanno assunto a livello locale, ma, al contempo, ad evidenziare la complessità della dimensione locale e, dunque, la necessità di prevedere differenti modelli di intervento finalizzati a ridurre i divari di sviluppo che tuttora contraddistinguono i diversi sistemi territoriali nazionali. Una delle problematiche più rilevanti derivanti dalla costituzione e dal successivo allargamento dell'UE, infatti, è stata quella della "coesione economica e sociale", espressione con la quale le Istituzioni comunitarie hanno da sempre inteso la prospettiva di uno sviluppo equilibrato di tutto il territorio europeo. Si tratta di un obiettivo che ha rappresentato una priorità delle politiche comunitarie, trovando il suo fondamento giuridico nel titolo XVII del Trattato istitutivo della CEE e, in particolare, nell'art. 158, il cui disposto prevede che la Comunità "mira a ridurre il divario fra le diverse regioni e il ritardo delle regioni meno favorite". Dalla lettura di tale enunciato derivava l'obbligo per gli Stati membri di partecipare attivamente allo sviluppo equilibrato del territorio comunitario, mentre la Comunità europea doveva contribuire alla realizzazione di tale obiettivo attraverso l'utilizzazione coordinata dei diversi fondi e strumenti finanziari disponibili. Soltanto nei primi anni '70, però, ci si rese conto che la persistenza di divari di sviluppo tra le diverse regioni costituiva un effettivo ostacolo al processo di integrazione economica, evidenziandosi la necessità di un'azione comune per correggere i persistenti squilibri. La nuova politica regionale europea si sostanziò, soprattutto, nella elaborazione di programmi di sviluppo contenenti analisi socioeconomiche, nella individuazione di obiettivi prioritari di intervento, nell'adozione di strumenti finanziari strutturali che, nel loro insieme, hanno rappresentato gli elementi fondanti dell'attuale politica di coesione, anche se sono state introdotte nel tempo importanti riforme conseguenti alle nuove esigenze emergenti dalle rilevanti modifiche che negli ultimi decenni hanno interessato i principali profili economici e sociali dei Paesi europei. Nei processi decisionali che hanno portato all'ultimo allargamento dell'UE, infatti, le problematiche legate alla coesione territoriale, già presenti nell'ambito dell' "Europa dei 15", hanno assunto un peso ancor più significativo, non solo per i profondi divari di sviluppo esistenti tra i Paesi dell'Unione ed i "nuovi" Stati membri, ma anche per le implicazioni di natura più strettamente territoriale, riguardanti l'ampliamento delle distanze, l'articolazione di una nuova rete di centri urbani, l'organizzazione e l'assetto di territori caratterizzati da vocazioni ambientali ed economiche differenti. Le attuali dinamiche esistenti tra "aree forti" e "aree deboli" dell'UE, dunque, sono destinate ad avviare la ricerca di nuovi equilibri, nei quali la capacità competitiva delle diverse regioni dovrà misurarsi con prospettive più ampie e complesse. Tali esigenze hanno portato ad una sostanziale riforma della politica regionale dell'Unione e, conseguentemente, ad una nuova impostazione dei Fondi strutturali, nonché all'individuazione di nuovi obiettivi prioritari per il periodo 2007-2013, anche al fine di agevolare la concreta realizzazione della "strategia di Lisbona". In tale contesto, particolare rilievo assumono il tema della "perifericità" (fisica ed economica) di alcuni territori europei, quello della ricerca e dell'innovazione tecnologica, quello del trasferimento di know-how e, più in generale, quello della coesione economica e sociale funzionale a valorizzare i sistemi territoriali in una prospettiva di competitività. La stretta correlazione e la necessaria integrazione tra le politiche sovranazionali e i modelli interni di intervento implementati dai singoli Stati hanno portato, nel secondo capitolo del presente lavoro, ad approfondire gli strumenti adottati in Italia per sostenere le aree in ritardo di sviluppo e pervenire ad una maggiore coesione economica e sociale del territorio nazionale. In fase di recepimento e adeguamento delle politiche comunitarie alle specificità territoriali che contraddistinguono il sistema-paese, il Quadro Strategico Nazionale elaborato dall'Italia, negoziato con le Istituzioni comunitarie e approvato dalla Commissione europea il 13 luglio 2007, ha previsto (tra l'altro) strumenti specifici di intervento volti alla riduzione dei divari "interni" di sviluppo, con particolare riferimento alla "politica regionale unitaria". In particolare, tale politica prevede il rafforzamento di strategie di governance territoriale multilivello (centrale, regionale e locale), al fine di intervenire con maggiore efficacia nella complessa struttura nazionale "coniugando il momento locale, per promuovere l'intermediazione delle conoscenze necessarie alla produzione di beni pubblici e di rete, con il livello centrale, per sfruttare saperi globali ed esternalità e per dare credibilità al governo dei processi" (QSN). Più in generale, dunque, tali considerazioni evidenziano il rapporto inscindibile tra livello di sviluppo e organizzazione territoriale. Riprendendo il concetto di "spirale della marginalità", si può infatti affermare che la marginalità, nelle sue diverse accezioni, comporta una condizione complessa di svantaggio che connota i territori, ovvero "un depotenziamento strutturale della capacità di reazione del sistema locale prodotta dal processo di spopolamento attraverso un incrocio di effetti recessivi (feedback negativi): il calo demografico indebolisce la struttura della popolazione, il potenziale di consumo e di produzione del reddito, il sistema dei servizi locali, e ciò finisce per generare ulteriori spinte allo spopolamento, producendo una spirale perversa e un ostacolo strutturale agli sforzi di rivitalizzazione dell'area" (P. Buran, 1998). Nel terzo capitolo, si è effettuato un passaggio di scala al fine di analizzare un sistema territoriale specifico, così da individuarne gli eventuali profili di marginalità e le strategie messe in campo per il superamento delle condizioni di svantaggio. L'area prescelta è stata la provincia di Salerno che, per estensione territoriale, risulta essere la più ampia della Campania, comprendendo 158 comuni di taglia demografica disomogenea, di cui solo 16 superano i 15.000 abitanti, mentre la gran parte (109 comuni) hanno una taglia demografica inferiore ai 5.000 abitanti. Va rilevato, inoltre, che una parte non trascurabile della popolazione è insediata in aree rurali, in nuclei isolati e in case sparse. Si è proceduto presentando la provincia da vari punti di vista, quello ambientale e paesaggistico, quello connesso alle strutture insediative e quello socio-economico, riservando uno spazio apposito al settore turistico ed al patrimonio culturale. L'analisi ha evidenziato profili di marginalità esaminati poi in dettaglio, attraverso l'individuazione e l'elaborazione di indicatori demografici, socio-economici e strutturali, tradotti successivamente in cartografie tematiche a scala comunale. Nell'elaborare le carte si è esclusa l'area centrale della provincia, ovvero il sistema urbano di Salerno, caratterizzato da continuità abitativa e da densità della popolazione elevate, oltre che dalla presenza di strutture di comunicazione efficienti. I comuni coinvolti nel sistema urbano, pur essendo soltanto 23, rappresentano il 56,77% della popolazione dell'intera provincia, mentre i 128 comuni che ricadono al di fuori di tale sistema sono caratterizzati da una situazione demografica e socio-economica che presenta elementi di forte criticità, sia in termini assoluti, sia in relazione al contesto territoriale oggetto dell'indagine. Sono state realizzate, dunque, 15 tavole in cui le classi di valutazione dei differenti fenomeni hanno tenuto conto delle medie provinciali, così da poter individuare differenti livelli di marginalità relativa. Tali fenomeni sono stati poi descritti attraverso una lettura, sia pure sintetica, delle singole carte. Al fine, di ottenere, in una logica sistemica, un quadro d'insieme delle condizioni di svantaggio a livello provinciale e vista la notevole quantità di scenari prodotti, è stato costruito un cluster attraverso la realizzazione di una matrice all'interno della quale sono stati riportati gli indicatori segnalando, per ogni comune, il totale dei punti di disagio registrati. Sulla base dei dati forniti dalla matrice, si è proceduto alla realizzazione della carta tematica "Marginalità in provincia di Salerno", (tavola n. 16 di seguito riportata) che ha consentito di ottenere un quadro geografico d'insieme sintetico ed efficace così da poter leggere con chiarezza i diversi livelli di marginalità. Le possibili strategie per il superamento delle condizioni di marginalità, infine, sono state individuate riprendendo il Piano Territoriale Regionale (PTR) ed il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP), recentemente rielaborato, strumenti che configurano per la provincia strategie unitarie di sviluppo. Queste sono finalizzate a promuovere una crescita integrata del territorio che intende, da un lato, valorizzare le eccellenze e, dall'altro, recuperare le aree più interne e marginali comunque dotate di beni ambientali e culturali tali da poter sicuramente contribuire allo sviluppo complessivo dell'area. ; XXII Ciclo
2008/2009 ; In questa tesi tracceremo un percorso storico sull'origine del concetto di Regione Ultraperiferica, sul suo riconoscimento e sulla sua conseguente regolamentazione e sviluppo nei Trattati, dando una definizione precisa del termine. Studieremo il caso concreto dell'arcipelago canario e analizzeremo il ruolo che ebbe la sua condizione di ultraperifericità nel negoziato per l'adesione della Spagna alla Comunità Europea. L'obiettivo generale di questo studio è trattare quegli aspetti della realtà regionale nell'Unione Europea che incidono direttamente sulle Regioni Ultraperiferiche, prendendo ad esempio concreto la situazione singolare delle Canarie come Regione Ultraperiferica. Inoltre, si studia la nascita e l'evoluzione della Politica Regionale Comunitaria come anche il ruolo che hanno svolto le regioni nella creazione e sviluppo di questa politica. Si determina, allo stesso modo, il concetto di Regione Ultraperiferica attraverso una descrizione dei caratteri geografici, economici, sociali e giuridico-amministrativi di queste Regioni. Si analizza il regime giuridico loro applicabile, partendo dal precedente dei dipartimenti francesi d'oltremare, passando per la Dichiarazione n. 26 del Trattato di Maastricht, fino ad arrivare alla consacrazione e riconoscimento dello status diffrerenziato delle Regioni Ultraperiferiche stabilito nel Trattato di Amsterdam ed al rinnovato riconoscimento nel Trattato di Lisbona. Si descrive il processo di integrazione delle Canarie alla Comunità Economica Europea, iniziando con il chiarire il contesto geografico, economico-fiscale e giuridico-amministtrativo delle isole al momento dell'adesione e facendo un'analisi degli antecedenti e del quadro di integrazione. Infine si analizza il futuro dell'ultraperifericità da una prospettiva cominitaria, statale e regionale, così come la situazione delle Canarie e del resto delle Regioni Ultraperiferiche nel contesto attuale, di fronte alle nuove sfide ed al cambio di prospettiva sul futuro di queste Regioni. ; XXII Ciclo
2009/2010 ; L'ordine stabilito a Yalta e' crollato insieme al Muro di Berlino. Con la fine della guerra fredda l'Urss e' scomparsa, lasciando al suo posto la Russia, ridemensionata al punto da classificarsi nel 2004 in termini PIL a parita' di potere d' aquisto al decimo posto mondiale dopo il Brasile. Le sue spese militari in dollari erano pari a 1/23 di quelle del Pentagono (dati di SIPRI). La fine del Bipolarismo ha inaugurato una nuova configurazione: quella Unipolare, con i soli Stati Uniti definiti come "iperpotenza". Il mondo e' profondamente mutato, e gli equilibri dell'epoca bipolare sono diventati un ricordo del passato. L' indipendenza delle cinque repubbliche centro-asiatiche (Kazakistan, Kirghisistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan) e delle tre caucasiche (Armenia, Azerbaigian, Georgia) al seguito della dissoluzione dell'Unione Sovietica, ha comportato un completo sconvolgimento dello spazio geopolitico. E' impossibile non rilevare la straordinaria posizione geopolitica di questi stati. Essi sorgono, infatti, al centro della massa euroasiatica, nel cuore di quella "Terra Centrale" che Halford Mackinder considerava la "chiave" del dominio mondiale, all'incrocio di civiltà millenarie, lungo quella che fu la "Via della seta" e, finalmente, in prossimità del Medio Oriente. I dirigenti di Mosca hanno tardato a valutare in tutta la loro portata i cambiamenti geopolitici del dopo guerra fredda, e in particolare la determinazione di Washington ad approfittare dell'indebolimento dell'influenza russa per rafforzare le sue posizioni strategiche dal Caucaso all'Asia Centrale.La perdita dell'influenza di Mosca e' iniziata con la Perestrojka, mentre si rafforzavano i movimenti nazionalistici. La nascita di stati indipendenti ha fatto cessare qualsiasi forma di controllo diretto, mentre i blocchi legati ai conflitti acceleravano il crollo dei legami economici. La determinazione della Georgia a sganciarsi al più presto dall'influenza russa e' anche il risultato della strumentalizzazione da parte di Mosca dei conflitti locali che, fin dai primi anni '90 sono continuati (Abkasia, Ossezia del Sud). Mosca non appariva come una risorsa per la risoluzione di questi conflitti; al contrario, ha tentato di utilizzarli per i propri fini. E' stato, questo, uno dei principali argomenti avanzati dagli americani nel 1997, al momento della creazione del Guam (Georgia, Ucraina, Azerbaijan, Moldavia). Gli Stati Uniti sono incontestabilmente i maggiori protagonisti della ricomposizione dello spazio post-sovietico, con tutta una gamma di interventi: sia trattati bilaterali di cooperazione economica e militare, sia trattati multilaterali, quali il sostegno dato alla creazione di Guam (Georgia, Ucraina, Azerbaijan, Moldavia). Gli attentati dell'11 settembre 2001 forniscono agli Stati Uniti l'occasione per piazzare le proprie pedine nell'ambito 'antiterrorismo" nel cuore dell'area euroasiatica, al fine di garantire la sicurezza degli accessi alle ricchezze petrolifere del Mar Caspio, (in piena collaborazione militare in particolare nel Uzbekistan, Kirgistan, Georgia, Azerbaijan). In Georgia, strategicamente importante per Washington, sono sorte numerose ONG locali, finanziate e sostenute dalle ONG estere e da organismi internazionali. I finanziamenti vanno a programmi di ogni genere, ma sempre con l'imposizione di un modello unico. La strategia di Washington, finalizzata al duraturo indebolimento della Russia nell'ambito del suo spazio tradizionale, viene completata dalle rivoluzioni politiche: in Georgia alla fine dell 2003, in Ucraina alla fine dell 2004. Da allora la percezione delle minacce per la Russia si e' evoluta sino al punto in cui il potere militare degli USA e della NATO e stato definito come la principale minaccia militare, come affermato da Putin nei suoi discorsi (con la sua affermazione la minaccia missilistica farebbe tornare USA e Russia ai tempi della guerra fredda). Come sappiamo la Sicurezza Energetica e' priorita assoluta, punto cardine dello sviluppo dello Stato. La dipendenza energetica influenza direttamente la capacita' di uno Stato di esercitare il suo potere nel campo della sicurezza. Gli Stati importatori sono particolarmente vulnerabili di fronte alla minaccia di una loro interruzione. Il Petrolio e' protagonista di molte crisi internazionali, ha provocato guerre e alleanze internazionali. La decisione sul trasporto del greggio sui mercati internazionali non solo e' una priorita' assoluta, ma riveste una piu' profonda valenza geopolitica. Molteplici segnali indicano chiaramente la volontà e la determinazione del Cremlino a perseguire un disegno neo-imperiale nelle aree ex-sovietiche dell' "estero vicino". L'essenziale per Putin - Medvedev è mantenere il controllo dell'hard core, ovvero l'unità e centralizzazione dello Stato, la coerenza geo-politica. Oggi ciò che conta per Mosca è rafforzarsi, durare. La scelta unipolare induce le Potenze di rango inferiore ad allearsi tra di esse per contrabilanciare l'egemonia dell'Iperpotenza. La politica di pressione energetica non è una novità: questa, gia' ideata negli anni '90, e'stata perfezionata nell'era Putin, il cui piu' ambizioso sogno e' quello di controllare l'intero sistema di distribuzione regionale del gas in Europa, secondo il principio seguente: chi controlla le pipeline, controlla l'acquirente/buyer – ed, in qualche misura, il Paese produttore di gas. Così, prima tappa del progetto di Vladimir Vladimirovich è l'Europa, dove Mosca ha stabilito stretti e collaudati legami con alcuni governi (Germania, in primis, il gasdotto sottomarino baltico tra Russia e Germania. gasdotto sottomarino posato nel Mar Baltico che permetterà a Gazprom di portare il gas russo in Germania e nel resto dell'Europa nord-occidentale, forse persino in Gran Bretagna.) e compagnie energetiche per organizzare una grande rete di sicurezza e business. La "Sicurezza energetica" è oggi il servizio più importante che Mosca vuole vendere all'Europa. Tuttavia esiste un ostacolo, la cosiddetta "Nuova Europa" di Rumsfeld: tutta la "Nuova frontiera orientale" della UE e della NATO, dai Paesi Baltici a Polonia, Ucraina, Georgia, è percepita da Mosca come ostile: NATO dell'Est. L'incubo per Mosca e anche il "corridoio" Caspio - Azerbajan – Georgia - Mar Nero – Odessa (Ukraina) (già esiste l'oleodotto Odessa – Brody con possibile estensione fino a Danzica, Mar Baltico) per portare il gas centroasiatico direttamente alla "Nuova Europa", bypassando la Russia; in prospettiva fino al terminale di Danzica (Mar Baltico, Polonia), dove è possibile liquefare e mandare il gas via mare agli USA; oppure da Brody avviarlo alla commercializzazione regionale via Ucraina e Polonia. Mosca ha percezione della minaccia: già da tempo compagnie occidentali che operano nel Caspio azero e kazako hanno costruito postazioni sulla costa del Mar Nero per favorire i futuri flussi di idrocarburi centro-asiatici verso occidente. Inoltre l'ingresso nella UE di Romania e Bulgaria ha reso attuali i progetti di "corridoi" per portare il gas azero e turkmeno in Europa via Caspio – Caucaso – Turchia – Europa sud-orientale (per esempio il progetto Nabucco), escludendo Mosca. Infine è operativo l'oleodotto BTC (Baku-Tbilisi-Ceyhan), che per ora trasporta solo petrolio azero fino alle coste del Mediterraneo orientale, bypassando i Dardanelli e la Russia. In un non lontano domani si potrebbe realizzare una pipeline sottomarina caspica, in grado di portare anche il greggio kazako di Tengiz, Karatchaganak, Kashagan, sottraendolo alla servitù delle pipeline russe. Di conseguenza per l'intero East-West Energy Corridor ci sono alcune preoccupazioni. I conflitti nel Caucaso: tra Armenia e Azerbaijan rigurdante di Nagorno Karabach e in Georgia (Abkazia e Ossetia del Sud) . A partire dal crollo dell'URSS, la Georgia raggiunta l' indipendenza, ha dovuto lottare per proteggere la propria integrità territoriale. A causa dei conflitti con le repubbliche separatiste di Abkhazie e Ossezia del Sud, protrattisi fra il 1990 e il 1993, con particolare violenza nel 1992-1993, Tbilisi aveva perduto de facto la sovranità su due territori anche prima della drammatica svolta del 2008, con il conflitto russo-georgiano e il riconoscimento da parte russa dell'indipendenza delle due regioni. Questa guerra possiamo definirla come lo scontro di interessi Russo-Americani. Inoltre , l'evoluzione in senso filo-atlantista della politica georgiana, soprattutto dopo il 2003, e stata la base del grave inasprimento dei rapporti con la Russia, di cui la Georgia dipende in gran parte per l'approvvigionamento energetico. La questione del conflitto russo-georgiano, il problema della sicurezza energetica, quello dell'allargamento della Nato alla Georgia e i conflitti hanno rappresentato i motivi d'interesse principali per l'Unione Europea e per l'Occidente in genere.Tutti i dossier appaiono, al momento molto delicati a causa dell'importanza dei rapporti fra Europa e Russia. Mosca si è fermamente opposta all'integrazione euro-atlantica della Georgia e ai progetti euro-americani di nuovi gasdotti che dall'area del Caspio utilizzerebbe il corridoio transcaucasico e la Turchia per eludere il territorio russo. Cedere alla richieste russe a lasciare Armenia, Azerbaijan e Georgia nell'orbita russa non è un'opzione per l'Europa. Le nazioni piu influenti dell'UE hanno interesse a favorire un alto grado d'integrazione regionale nel Caucaso meridionale e a fare del Caucaso meridionale una zona di trasmissione virtuosa (politica ed economica) fra l'area euro-atlantica, quella nord euroasiatica dominata da Mosca e quella medio-orientale. Per ottenere tale risultato , gli europei dovrebbero favorire la pacificazione completa del conflitto russo-georgiano e di quello azero-armeno per il Nagorno Karabakh, coinvolgere Turchia, Russia e Stati Uniti in negoziati multi-laterali. Senza tale evoluzione si rischiano anni di alta instabilita in un area sempre piu importante per l'Europa e per le relazioni Internazionali. La classe politica Georgiana cerca di far entrare il paese nella NATO e nell'UE dal 1991. E' vero che la pace e la prosperità sono di cruciale importanza per la stabilita della regione, e per i grandi progetti di East-West Corridor e dell' Europa in generale. Perciò i paesi dell' Europa guardano con grande attenzione tutto ciò che succede e succederà in questo Paese, affidabilita dei sistemi e dei regimi. Nell'aprile del 1991 la Georgia proclama l' indipendenza, è stata il secondo Stato dell' URSS a chiudere con il regime comunista. La vittoria elettorale della coalizione nazionalista Gamsakhurdia avvenuta il 27 maggio del 1991 ha introdotto il sistema elettorale diretto. Gamsakhurdia viene eletto primo Presidente della Georgia dopo il crollo dell'URSS. Le conseguenze dell' eredità post sovietica (fallimento nel rilanciare l'economia, inesperienza nella gestione dello Stato) hanno causato un colpo di Stato militare nel 1992, ed il forte nazionalismo ha provocato l'aggravamento della situazione in Abkasia e Osetia del Sud. Nel tentativo di normalizzare la situazione interna del Paese, nel marzo 1992 venne richiamato Eduard Shevardnadze, affinche si assumesse la responsabilita' di ricoprire la carica provvisoria di Presidente del Consiglio di Stato, grazie ad una delega del consiglio Militare, in attesa dello svolgimento delle nuove elezioni. Nel 1992 diventa Presidente del Parlamento. Nell' agosto del 1995 il Parlamento approva una nuova Costituzione, e Shevardnadze viene eletto secondo Presidente della Georgia. Nel 2002 il suo governo entra in crisi politico-economica. l'ex -Ministro della Giustizia dello stesso Shevardnadze , leader dell Oposizione Mikehil Saakashvili (fortemente filo Americano) ha guidato il popolo contro i brogli delle elezioni, contro il Presidente Shevardnadze, costringendolo alle dimissioni. "Rivoluzione di velluto" o "Rivoluzione delle Rose" cosi è stata chiamata la protesta esplosa. Il 4 gennaio del 2004 Saakashvili e' stato eletto terzo presidente della Georgia. Dopo 3 anni, il suo governo entra in crisi e costringe Saakashvili ad anticipare le elezioni presidenziali al 5 gennaio 2008, e quelle parlamentari nella primavera del 2008. Dopo essere stato eletto con un secondo mandato nel 2008, Shaakashvili e' stato fortemente contestato dall'opposizione e da parte della popolazione Georgiana per i brogli elettorali. Il governo Saakashvili e' entrato in grave crisi, soprattutto dopo la guerra russo-georgiana riguardante all'Ossezia del sud dell' agosto 2008. Nella tesi si pongono varie domande: ci si chiede se le continue turbolenze in Georgia siano conseguenza degli scontri di interessi Geopolitici delle Potenze Esterne oppure l'esito degli scarsi rendimenti politici dei Governi della Georgia. Ci si chiede anche se in questo scenario internazionale, la Georgia potrebbe superare le nuove sfide Geopolitiche. Cosa accadde dopo la caduta dell muro di Berlino in un Paese con una popolazione di circa 4 millioni di abitanti, che si estende per 69.700 km2 , e cosi' strategico per Washington e Mosca? Quali sono le paure e le aspirazione della popolazione? Qual e' il mondo visto da Tbilisi? Quali sono le prospettive e gli scenari futuri? ; XXII Ciclo
2009/2010 ; "Analisi e ruolo di Hezbollah negli assetti geostrategici dell'area medio orientale ". Contenuti: Si è ritenuto di procedere, dopo una formazione universitaria in arabistica, ad una ricerca relativa al mono islamico, in particolare incentrata sulla Repubblica Libanese. In funzione della scelta dell'indirizzo in geostrategia la ricerca è stata dedicata all'analisi e alla descrizione della realtà politica del partito Hezbollah, della sua struttura, della sua attività e all'osservazione approfondita delle conseguenti ripercussioni che essa ha sul tessuto politico sociale ed economico del Libano e dell'area medio orientale. Partendo da un approccio analitico della situazione attuale del Libano e della struttura del partito, si è passati a descrivere il modus operandi dello stesso, descrivendone metodi, obiettivi e risorse. L'obiettivo è quello di dare una chiara ed esaustiva visione dello stato della situazione in cui si trova ad operare Hezbollah, e delle conseguenze della sua attività. Si vuole concludere dando un taglio scientifico e descrittivo e ragionando su prospettive geopolitiche future relative all'area medio orientale; l'elaborato parte dal presupposto che si sta analizzando una realtà politica e strategica, protagonista variegata ed ineludibile della politica araba, piuttosto che un mero gruppo terroristico. Si vuole altresì spiegare la complessità del fenomeno politico in esame, non solo per la sua elusiva e sommersa rete d'influenza istituzionale, politica ed economica, ma anche per l'oggettiva molteplicità delle sue ramificazioni e dei suoi interessi e la capacità di perpetuare una politica a "geometria variabile". Da questa complessità si evince la difficoltà che hanno i suoi interlocutori internazionali sia ad interagire col partito avendone una visione dettagliata del suo effettivo potere, sia ad escluderlo, come certi vorrebbero, dalla fase decisionale della politica medio orientale. La situazione delle sue alleanze internazionali è ulteriore fonte d'interesse e trova all'interno del'elaborato un considerevole spazio d'analisi. Il percorso di ricerca laddove incontra dei vuoti nell'essenziale ottenimento dei dati ricavati da fonti dirette, si appoggia alla deduzione e al ragionamento probalistico prodotto da accademici ed illustri analisti. Il metodo di ricerca è caratterizzato dal duplice metodo della ricerca sul campo, attraverso incontri, visite, raccolta di documenti ed interviste nel paese interessato ed in Siria e attraverso lo studio delle fonti web e bibliografiche e attraverso l'acquisizione di dati ricavati da incontri e conferenze. In particolare le fonti del web visitate sono quelle relative ai siti istituzionali, ovvero dei Governi e degli Enti che svolgono un'attività attinente all'area medio orientale e che in detti luoghi sono presenti. Oltre a questi sono stati analizzati quelli dei partiti, dei media e delle associazioni interessati dalla ricerca. Per quanto concerne la bibliografia cartacea è stata studiata quella monografica di settore oltre soprattutto alla consultazione di periodici, in parte suggeriti dal tutor, soprattutto di area britannica, attinenti alla geopolitica dell'area medio orientale, oltre naturalmente a riviste di geopolitica italiane. L'impaginazione segue le disposizioni previste dall'Amministrazione Universitaria. Struttura e capitoli: I capitolo: si descrive la situazione geopolitica del Libano, per introdurre una chiara visione del tessuto sociopolitico ed economico in cui opera Hezbollah. Il capitolo è diviso in otto paragrafi che trattano le principali variabili da tenere in considerazione ovvero: la storia contemporanea; il livello di maturità democratica del Paese e le sue rappresentanze elettorali; i principali indicatori economici e la situazione economica generale; il problema dell'influenza della cultura occidentale nei costumi e nella giurisprudenza dello Stato; il nazionalismo libanese e le caratteristiche del settore delle risorse energetiche a disposizione del Paese. II capitolo: si descrivono e si analizzano la struttura gli obiettivi e l'attività del partito Hezbollah, come punto di partenza per affrontare in seguito la descrizione dei suoi metodi operativi e politici e delle ripercussioni che questi anno sulla politica medio orientale. Il capitolo è diviso in otto paragrafi, nei quali si approfondisce: la storia di Hezbollah attraverso le sue tappe politiche; il significato e l'importanza del nuovo ed innovativo Statuto che rivoluziona significativamente dal punto ideologico e pratico il partito; i molteplici aspetti della struttura di Hezbollah e delle conseguenti ramificazioni dei suoi campi d'infiltrazione e della sua attività; la formazione dei leaders politici e militari e le gerarchie che organizzano i due settori; la descrizione del tipo di attività e metodi impiegati; descrizione del profilo politico dell'uomo al vertice della struttura: Hasan Nasrallah; approfondimento sulle elites composte da militanti al servizio dell'ala militare ed esposizione ragionata di alcune dati in cifre relativi all'attività del partito. III capitolo: si descrive il rapporto che intercorre tra il partito e le Istituzioni libanesi, dando particolare rilievo alla capacità di influenza reciproca che hanno Hezbollah e le realtà governative. Si cerca inoltre di analizzare quale sia la reale autonomia delle stesse, quanto, Hezbollah possa esercitare pressioni e con che mezzi. Quanto sia reale e dimostrabile la teoria dello "stato nello Stato" secondo cui Hezbollah disponendo di un esercito, di una rete internazionale, di infrastrutture in tutti i settori e di cospicui finanziamenti sia un'entità statale e territoriale autonoma, concorrenziale e antitetica rispetto allo Stato libanese o addirittura ad esso superiore e in grado di controllarlo. Il capitolo è diviso in otto paragrafi, nei quali si approfondisce in particolare: il concetto di resistenza e martirio nella mentalità sciita; il potere di Hezbollah di controllare ampi e importanti settori della realtà sociale e finanziaria del Libano e con quali mezzi ciò avviene; il rapporto con l'economia reale e i sistemi di autofinanziamento; il rapporto con i vertici del clero sciita e con i religiosi; le forze di opposizione e gli alleati politici al di fuori del contesto sciita; la composizione dell'elettorato di Hezbollah; i sistemi di reclutamento di militanti e miliziani e l'apporto dei media vicini al partito; il rapporto di Hezbollah con le nuove tecnologie e la capacità e l'opportunità del loro impiego. IV capitolo: si analizzano, in sei paragrafi, i rapporti che intercorrono tra la struttura politica di Hezbollah e gli altri grandi protagonisti della politica medio orientale. Tra questi particolare rilievo si da naturalmente ai rapporti bilaterali con la Repubblica Islamica dell'Iran. Vengono, in funzione di questi ultimi, successivamente descritti i rapporti con gli altri grandi paesi arabi del medio oriente ed infine quelli con Israele, la situazione conflittuale che con esso si è creata, l'opportunità o meno di chiamarla ancora "guerra asimmetrica"; ciò anche attraverso lo studio degli eventi bellici, degli accordi internazionali e delle risoluzioni internazionali, l'applicazione e l'applicabilità delle stesse e le loro conseguenze. Si continua affrontando l'analisi del punto di vista occidentale e israeliano su Hezbollah, e come questo si rifletta sul carattere e sulle ragioni dell'impegno militare italiano in Libano. Si conclude con una breve panoramica sul ruolo della Russia nelle vicende medio orientali e della sua presenza come fattore geostartegico di rilievo nei rapporti tra Iran e Hezbollah. Si conclude con l'elencazione dei principali trattati e risoluzioni delle Nazioni Unite, che hanno regolamentato o riguardato la materia in oggetto. Segue la bibliografia, in tutti i suoi aspetti e con i doverosi ringraziamenti a persone fisiche ed Istituzioni che hanno fornito parte del materiale utilizzato e studiato per redigere la tesi. Infine le conclusioni. Qui di seguito si fornisce l'indice completo della tesi. Considerazioni conclusive sui contenuti della tesi: L'elaborato rispetta un'impostazione scientifica e risente del taglio geostrategico che viene dato, in funzione dell'indirizzo di dottorato scelto. La scelta è ricaduta sul partito libanese di Hezbollah, poiché si crede che esso rappresenti una interessantissima fonte di attività e di spunti di ricerca per chi studi nel settore della politica internazionale e della geopolitica strategica, unitamente al fatto che, per quanto su di esso sia già stato scritto molto, risulta un campo ancora ampiamente aperto all'indagine scientifica, anche grazie alla sua caratteristica discrezione nello svolgere le sue attività politiche. Esso inoltre rappresenta la possibilità di analizzare un soggetto politico vivo, in piena attività e con sempre notevoli evoluzioni. Come si evince dall'elaborato, infatti è molto interessante osservare come il partito divida la sua attività e le sue risorse da un lato al fine di controllare anche militarmente il territorio e di porsi come entità in antitesi tanto al nemico israeliano quanto alle istituzioni libanesi, soprattutto quelle non sciite, dall'altro al fine di convincere elettori e osservatori internazionali (e forse anche se stesso) della volontà e della possibilità di essere sempre meno movimento di resistenza e diventare sempre più partito di governo a tutti gli effetti. INDICE Introduzione 1: Analisi del tessuto sociopolitico libanese 1-1 Il Libano contemporaneo 1-2 Situazione politica e rappresentanza elettorale in Libano 1-3 la situazione economica 1-4 la società libanese: tradizionalismo, esterofilia e fenomeni migratori 1-5 libertà e democrazia in Libano 1-6 Il sistema giuridico libanese e la dottrina giuridica sciita 1-7 il nazionalismo libanese 1-8 suolo e sottosuolo del Libano. Le implicazioni energetiche 2: Analisi strutturale di Hezbollah 2-1 storia di Hezbollah 2-2 il nuovo statuto del 2009 2-3 Hezbollah : un'organizzazione dai molteplici aspetti 2-4 formazione politica e addestramento militare 2-5 gerarchia e ruolo dei leaders e dei militanti 2-6 il profilo politico di Hasan Nasrallah 2-7 le élites militari di Hezbollah : i reparti speciali e informativi 3: L'influenza di Hezbollah sul territorio e sulle istituzioni libanesi 3-1 il concetto di resistenza e martirio nel contesto sciita 3-2 l'influenza di Hezbollah nella sfera socioeconomica del Libano 3-3 l'influenza e rapporti di Hezbollah con il clero sciita e con le istituzioni libanesi 3-4 la difficile convivenza con le istituzioni non sciite: le forze di opposizione ad Hezbollah 3-5 gli alleati non sciiti 3-6 analisi dell'elettorato di Hezbollah 3-7 i sistemi di autofinanziamento e reclutamento di Hezbollah 3-8 analisi delle strategie mediatiche di Hezbollah e il rapporto con la tecnologia 4: Analisi dei rapporti strategici tra Hezbollah e altri soggetti attivi nella politica mediorientale 4-1 l'alleanza strategica tra Hezbollah e la Repubblica Islamica dell'Iran 4-2 Hezbollah e la politica mediorientale : Siria, Egitto e Autorità Palestinese 4-3 la situazione conflittuale con Israele e la questione sionista 4-4 il punto di vista occidentale e israeliano su Hezbollah 4-5 evoluzione e ragioni dell'impegno militare italiano in libano Elenco dei principali accordi e risoluzioni internazionali Conclusioni Bibliografia ; XXIII Ciclo
2008/2009 ; I concetti di minaccia diffusa e di guerra asimmetrica che si sono affermati dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda, hanno fatto sì che le entità statuali si trovino, attualmente, a dover affrontare scenari geopolitici e geoeconomici maggiormente complessi, rispetto ad un mondo in cui la contrapposizione fra i due blocchi si giocava su un piano prettamente politico-militare. I fronti da cui arrivano le potenziali minacce presentano profili di rischio i cui protagonisti non sono solamente gli Stati, ma anche soggetti e gruppi singoli, impossibili da controllare con gli strumenti di difesa convenzionali. Tale dinamica è insita nella natura stessa del fenomeno della globalizzazione. Le nuove fenomenologie che rappresentano le criticità cui devono fare fronte i decisori politici, sono spesso poco prevedibili, transnazionali e di non immediata identificazione. Si pensi, ad esempio, ai fenomeni migratori che determinano cambiamenti demografici mai registrati in precedenza, al nuovo ruolo dei media nella formazione dell'opinione pubblica e della coscienza collettiva, o ancora alle grandi crisi finanziare in grado di mettere in ginocchio anche le economie delle maggiori potenze, con ricadute a livello globale sui livelli di produzione e occupazione. Un ulteriore fattore di complessità in questo scenario, è costituto dal tema della salvaguardia del pianeta, che impone un'ampia riflessione sulla sostenibilità degli attuali modelli di sviluppo economico. Per rispondere a tali mutati scenari si è resa necessaria, pertanto, una completa revisione del concetto di sicurezza nazionale. E' evidente, infatti, come essa si debba dotare di strumenti nuovi, soprattutto in termini previsionali. La sfida che si pone ai Governi in termini di capacità di intelligence è evidente. Essi sono chiamati a sviluppare strumenti in grado di raccogliere informazioni in modo puntuale e approfondito, non solo nei settori tradizionali della politica e del comparto tecnico-militare, ma anche in ambiti quali l'economia, la cultura e la sostenibilità ambientale. Negli ultimi vent'anni, numerosi Paesi hanno, infatti, rivisto le proprie strutture dedicate all'intelligence, attuandovi una revisione profonda ed istituendo nuovi assetti dedicati, in particolare, alle problematiche economico-finanziare. Tali misure rispondono all'esigenza di contemperare il concetto generale di interesse nazionale a quello di sicurezza economica, in considerazione del fatto che, proprio sul campo della competitività internazionale e del controllo dei mercati e dell'innovazione, si misurano oggi nuovi equilibri di potere. Una delle leve principali, in questo contesto, è quella del settore energetico. L'approvvigionamento energetico e la sicurezza delle infrastrutture rappresentano un bisogno vitale di ogni Stato e corrispondono ad un interesse strategico per il suo sviluppo e quindi per il benessere collettivo, che passa attraverso il benessere economico. Proprio da queste considerazioni trae spunto l'idea di questa tesi che, individuando nel settore energetico un possibile nuovo teatro di confronto per la definizione degli equilibri internazionali, intende valutare in che modo le Nazioni stiano affrontando il problema dell'attività di intelligence nello specifico settore. Di fatto, la questione della sicurezza energetica, attualmente, non si gioca più solo su aspetti di difesa, che mirano alla certezza dell'approvvigionamento e alla salvaguardia delle infrastrutture, ma anche sul piano della promozione della produzione nazionale e sull'innovazione volta allo sviluppo di fonti rinnovabili. Gli assetti in campo energetico non possono, inoltre, prescindere dal tema della sostenibilità che, a partire dall'approvazione della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite, del 1992, è stata disciplinata in modo crescente dalla Comunità Internazionale, imponendo nuovi vincoli che, tuttavia, stentano ad essere recepiti dagli Stati nazionali, in quanto influiscono direttamente sui loro modelli di sviluppo. Anche in ragione di un'opinione pubblica sempre più sensibile alla tematica ambientale, per l'aggravarsi dei mutamenti climatici, è però prevedibile che la disciplina in materia finisca per costringere ad un ripensamento delle politiche energetiche complessive e divenga un'ulteriore variabile in grado di incidere sulle scelte energetiche nazionali. Un importante fattore di condizionamento per il nostro Paese, in questo senso, è rappresentato dalla disciplina comunitaria che, a seguito del Trattato di Lisbona, prevede il conferimento all'Unione Europea di prerogative specifiche in materia di salvaguardia dell'ambiente. Tale circostanza, di fatto lascia intendere un'apertura alla competenza comunitaria anche del settore energetico, vista la stretta interrelazione tra le due materie. Se andasse affermandosi sempre più il ruolo di un'Unione Europea protagonista di una "politica estera energetica" il nostro Stato potrebbe venir privato, seppur parzialmente, della piena facoltà di scegliere la propria strategia in questo campo e il problema si porrebbe in ultima analisi in termini di "domicilio della sovranità", con dirette conseguenze anche sulla ridefinizione dell'attività di intelligence dedicata alla sicurezza energetica nazionale. Nascerebbe infatti l'esigenza di un'intelligence energetica europea, cui far fronte con strutture dedicate, per la quale la soluzione, piuttosto che in una struttura centralizzata presso l'Unione Europea, va cercata in forme di cooperazione tra le Agenzie di intelligence europee già esistenti presso i singoli Stati membri, tramite tavoli di lavoro permanenti e un continuo scambio di informazioni tra gli stessi sulle variabili, sulle infrastrutture e sugli attori energetici. Tutte queste problematiche avranno un peso significativo sul modo in cui il nostro Paese definirà il proprio mix energetico nei prossimi anni. E' evidente che i condizionamenti che ogni Stato subisce nelle proprie scelte strategiche in campo energetico sono molteplici, soprattutto per un Paese come l'Italia, che dipende per più dell'80 % dall'importazione di fonti fossili, da parte di pochi grandi fornitori esteri che, di fatto, ne limitano l'autonomia decisionale, potendo contare su una posizione di mercato dominante. A fronte di un processo di liberalizzazione e di privatizzazione che sta interessando il riassetto dei mercati energetici nei Paesi acquirenti, si va manifestando sempre più chiaramente la volontà dei Paesi fornitori di nazionalizzare le risorse energetiche. Si profila, quindi, un ulteriore fattore di distonia nel mercato delle fonti, in grado di penalizzare sia gli operatori nazionali che investono in progetti di estrazione all'estero, sia il processo di approvvigionamento. Dette dinamiche limitano necessariamente la libertà dello Stato in questo settore e, di conseguenza, la sua sovranità. Poter contare su strumenti previsionali alimentati da flussi informativi efficaci in questo campo è, quindi, vitale e va di pari passo con la salvaguardia dell'interesse sotteso al mantenimento di un settore strategico così importante. L'interesse energetico italiano comprende esigenze diversificate, orientate, da un lato, alla sicurezza e alla regolarità dei rifornimenti, al mantenimento di prezzi accettabili e alla tutela delle infrastrutture energetiche contro malfunzionamenti e sabotaggi, dall'altro, allo sviluppo di una produzione nazionale, basata anche su fonti rinnovabili, con l'impiego di tecnologie all'avanguardia, in linea con gli impegni comunitari. La gestione del settore energetico nazionale, inoltre, nel prossimo futuro, dovrà anche far fronte alla necessità di affrancarsi da forniture troppo vincolanti e all'esigenza di sviluppare un mercato europeo unico dell'energia, che imporrà al nostro Paese investimenti notevoli, una profonda ristrutturazione e sforzi in materia di ricerca e innovazione, per evitare di rimanere indietro rispetto ai partner europei. Non va poi trascurata la necessità di salvaguardare i propri operatori nazionali, con adeguate misure di controspionaggio, dalla penetrazione nel mercato interno di operatori stranieri, per evitare che questi assumano posizioni dominanti o fortemente condizionanti il libero mercato. Tali posizioni, infatti, potrebbero ostacolare o nuocere al corretto svolgimento di un'imprescindibile e necessaria libera concorrenza nel settore energetico interno. In ragione della complessità dello scenario energetico, l'intelligence economico-finanziaria è chiamata, nello specifico campo, ad occuparsi di una molteplicità di compiti, tra cui: - fornire ai decisori politici informative complete e puntuali che permettano di assumere, nel modo più documentato possibile, le necessarie decisioni di breve e lungo termine; - monitorare il mercato delle materie prime e valutare, con tempestività, eventuali variabili in grado di generare effetti distorsivi; - stilare periodicamente quadri di situazione sui Paesi fornitori e sugli equilibri regionali della zona di provenienza delle risorse; - attenzionare le imprese fornitrici e i protagonisti delle transazioni energetiche di interesse per l'Italia, sia per quanto riguarda le forniture, sia a supporto di eventuali progetti che vedano protagoniste imprese nazionali in veste di promotori e/o investitori; - monitorare attentamente l'azione degli operatori stranieri sul mercato nazionale, specie ove si profilino acquisizioni di società produttrici o di imprese coinvolte nella realizzazione di brevetti innovativi dello specifico comparto; - salvaguardare le infrastrutture energetiche, compito che diverrà ancora più sensibile nell'ottica di una ripresa del programma nucleare. Al fine di illustrare il ruolo che lo sviluppo di una competenza nazionale nel settore dell'intelligence energetica può avere a tutela dell'interesse strategico connesso alla difesa e alla promozione di questo settore, si è scelto di procedere innanzitutto ad una disamina dell'attuale situazione del mercato energetico mondiale. Il primo capitolo inquadra, infatti, l'attuale situazione delle variabili energetiche, illustrandone la tipologia e gli aspetti quantitativi di riferimento, contribuendo a chiarire il concetto e la definizione di mix energetico. Nel secondo capitolo, viene approfondito il tema dei fattori che entrano in gioco nella scelta della composizione del mix energetico da parte dei diversi Paesi. In particolare, viene effettuata una rassegna degli aspetti più significativi correlati all'approvvigionamento e alla distribuzione delle singole fonti energetiche nel caso italiano, dando ampio risalto alla questione infrastrutturale e considerandone le implicazioni per la sicurezza nazionale. Una volta esaminate le variabili energetiche e i fattori di rischio che si accompagnano alla questione dell'approvvigionamento e delle infrastrutture, nel terzo capitolo viene attenzionato un altro fronte di complessità che, nel prossimo futuro, potrebbe assumere sempre maggiore importanza nella formulazione delle politiche energetiche nazionali, ovvero quello della tutela ambientale e dei limiti imposti dalla sostenibilità. In particolare, è stato scelto di delineare, con l'ausilio dell'estesa normativa che su questo tema si sta sviluppando da qualche anno nell'ambito delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea, un quadro di situazione dell'insieme dei vincoli che il diritto internazionale potrebbe, in prospettiva, imporre ai Governi nazionali nella formulazione delle loro decisioni al riguardo. Tali vincoli punteranno, in particolare, sui tagli alle emissioni di carbonio, accompagnati da interventi virtuosi in termini di miglioramento dell'efficienza energetica e di riduzione dei consumi, in un'ottica di cooperazione tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo. Evidentemente, gli strumenti giuridici a disposizione degli organismi internazionali che si stanno facendo promotori di queste misure a salvaguardia del pianeta contro i cambiamenti climatici sono limitati, soprattutto in termini di capacità di coercizione. Nel caso in cui si voglia ottemperare a queste limitazioni, è chiaro che il vincolo ambientale potrebbe incidere profondamente sulle scelte energetiche. Una volta individuate le principali criticità del mercato delle fonti energetiche e degli aspetti infrastrutturali nel quadro del contesto geopolitico attuale, nonché le limitazioni imposte dalle problematiche ambientali, si è proceduto, nel quarto capitolo, a delineare il ruolo che in questo contesto vanno assumendo gli organismi deputati all'informazione e alla sicurezza dello Stato, a difesa ed a promozione dell'interesse nazionale, in un settore unanimemente considerato di natura strategica. A tal fine, si è voluto attribuire risalto al concetto di infrastruttura critica, nell'ambito di una più ampia definizione delle nozioni di interesse nazionale e di sicurezza economica. Sono state delineate, altresì, le principali funzioni che un moderno sistema di intelligence dovrebbe assegnare a strutture per la ricerca informativa nel comparto economico-finanziario, soffermandosi poi, in particolare, sulla definizione del concetto stesso di "intelligence economica" e sullo studio del modo in cui essa è stata implementata all'interno degli Stati che vi hanno dedicato maggiori risorse. Si è inoltre tentato di definirne la vocazione nel caso italiano, andando ad illustrare il suo possibile ruolo nel campo specifico della tutela della sicurezza energetica. Quanto sopra, anche alla luce della recente riforma degli Organismi di Informazione e Sicurezza, che ha visto l'introduzione di nuovi strumenti a disposizione del comparto intelligence, nel campo della sicurezza economica. Il principio ispiratore di questi cambiamenti pare essere, non tanto quello di una mera difesa degli assetti vigenti, quanto quello del riversamento delle informazioni raccolte verso l'intero tessuto industriale nazionale, nell'ottica di una "funzione di servizio" che i nostri Organismi di Informazione e Sicurezza dovrebbero assumere nei confronti del settore privato, oltre che pubblico, nel quadro di una cultura di intelligence diffusa, che in altri Paesi ha già dato ottimi frutti. Per meglio esemplificare possibili scenari applicativi dell'operato dell'intelligence alla sicurezza energetica, ci si è poi soffermati su due casi, affrontando prima il tema della penetrazione nei mercati nazionali dei Fondi Sovrani, spesso attivi proprio nel settore energetico e poi dedicando un approfondimento all'azione del colosso energetico russo "Gazprom", da tempo protagonista sui mercati internazionali di un'azione economica piuttosto aggressiva, verosimilmente supportata dall'intelligence del proprio Paese. Di fronte agli scenari descritti, per rispondere alle nuove esigenze di tipo informativo, l'Italia deve necessariamente proseguire nell'opera di riforma dei propri Organismi di Informazione e Sicurezza, nell'ambito della quale non può prescindere dal reclutamento di nuovo personale con competenze specializzate nel settore economico-finanziario. Tale azione rappresenta l'unica strada percorribile in un contesto di tal complessità, nel quale ci si deve rapportare ad attori che, detenendo una posizione dominante garantita dal controllo dell'offerta e delle infrastrutture, utilizzano il settore energetico come nuovo campo di confronto geostrategico. ; XXII Ciclo
2008/2009 ; Lo studio esamina le sfide, gli interessi, le dinamiche e le cooperazioni in materia di sicurezza nella regione Euro – Mediterranea, con particolare attenzione al ruolo dell'Unione Europea, alle politiche adottate e alle loro difficoltà e prospettive ; XXII Ciclo
2008/2009 ; La tesi di dottorato in oggetto parte dall'assunto di base secondo cui la dissoluzione dell'Unione Sovietica ed il conseguente superamento del conflitto bipolare hanno avviato un processo di progressiva trasformazione dell'assetto e dell'ordine geopolitico, geoeconomico e geostrategico globale. Detto processo, peraltro oggetto di innumerevoli studi e di contrastanti interpretazioni, risulta particolarmente evidente nella periferia meridionale dell'ex URSS ove, più chiaramente che altrove, si possono apprezzare una pluralità di segnali comuni alle dinamiche geopolitiche e geoeconomiche in atto a livello globale, nonché i mutati fattori di base e le mutate dimensioni della competizione politico-strategica ed economica internazionale (fattori etnico-religiosi e fattori legati all'accesso ed allo sfruttamento delle risorse naturali) fra le maggiori «Grandi Potenze post-bipolari» (Stati Uniti d'America, Federazione Russa, Paesi dell'Europa occidentale, Repubblica Popolare di Cina). Sulla base di dette considerazioni, la redazione dell'elaborato è stata ripartita in due sezioni principali rispettivamente dedicate: 1. all'analisi geopolitica, geoeconomica e geostrategica dell'area caucasico-centroasiatica e, quindi: a. ad un inquadramento complessivo dell'area rispetto all'assetto geopolitico globale attraverso una disamina degli approcci e delle tesi analitico-interpretative a valenza globale come anche riferite al Caucaso/Asia centrale offerte da: (1). S. Huntington nell'ambito della sua teoria dell'inizio degli anni '90 secondo cui «la fonte fondamentale di conflitto» nel mondo post-bipolare non sarà né ideologica, né economica ma, al contrario, culturale e secondo cui lo scontro fra civiltà (il cd. «clash of civilizations») dominerà la politica globale mentre le linee di frontiera fra civiltà, come ad esempio il Caucaso e l'Asia centrale, diventeranno linee di scontro (cd. «fault line»); (2). Z. Brzezinski nell'ambito della sua analisi risalente alla metà degli anni '90 circa: (a) le prospettive di una «primazia statunitense» post-bipolare; (b) l'assoluto rilievo per la sola superpotenza post-bipolare dell'evoluzione dell'assetto politico-strategico della massa continentale eurasiatica e, in tale ambito, delle dinamiche geopolitiche incidenti sui cd. «Balcani dell'Eurasia» (ovvero sulla zona compresa in un vasto oblungo geografico che include il Kazakistan, il Kirghizistan, il Tagikistan, l'Uzbekistan, il Turkmenistan l'Azerbaigian, l'Armenia, la Georgia, l'Afghanistan e, almeno in parte, la Turchia e l'Iran e che rappresenta una combinazione fra un «vuoto di potere», un «attrattore di potenza» ed «un'area ad elevata instabilità interna»); (3). B. Lo, nell'ambito dei suoi studi circa l'evoluzione delle relazioni sino-russe e della sua rivisitazione dell'analisi offerta da Z. Brzezinski a metà degli anni '90 e, con essa, delle teorie geopolitiche e degli approcci «continentalisti»; (4). S. B. Cohen, nell'ambito di suoi recenti studi volti a riesaminare ed aggiornare lo scenario geopolitico globale sulla scorta del suo ormai celebre approccio analitico-interpretativo «regionalista»; (5). B. Buzan e O. Waever nell'ambito dei loro recenti studi volti a proporre un nuovo approccio analitico-interpretativo, la «Teoria dei Complessi Regionali della Sicurezza» e, con esso, un riesame dell'insieme della struttura e delle relazioni politico-strategiche e di sicurezza internazionali; (6). T. M. Klare, nell'ambito delle sue tesi relative alla «nuova geografia del conflitto» e all'accresciuto rilievo e significato geopolitico della competizione internazionale per l'accesso e lo sfruttamento delle risorse, in primis, energetiche; (7). P. Khanna, nell'ambito delle sue tesi circa l'affermazione di un nuovo equilibrio politico-strategico globale di tipo multi-polare incentrato sulla competizione fra tre «Grandi Potenze Imperiali» (Stati Uniti, Unione Europea e Cina Popolare) per l'influenza e l'egemonia su di un nuovo «Secondo Mondo» ove risulta inserita l'area caucasica e quella centro-asiatica; b. ad un'analisi dell'equilibrio politico, economico e sociale degli attori statuali dell'area oggetto di studio (Georgia, Armenia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan) nonché dei principali fenomeni e delle principali dinamiche geopolitiche a valenza regionale in relazione alle quali una particolare attenzione è stata rivolta a: (1). la pluralità di tensioni e conflitti a varia matrice aventi origine e base in processi di trasformazione socio-economica e politico-istituzionale delineatisi in epoca tardo-comunista gorbacioviana e reimpostati/ridefiniti in epoca post-comunista e, quindi, in primis: (a) l'emergere di spinte ed aspirazioni di tipo etnico-separatista e lo scoppio, almeno in alcuni casi, di conflitti armati (come ad esempio, i conflitti etnico-secessionisti in Abcasia, in Ossezia meridionale ed in Cecenia, il conflitto armeno-azero per il Nagorno-Karabakh, le tensioni interetniche nella Valle del Fergana); (b) la progressiva riscoperta dell'identità musulmana fra alcune delle locali popolazioni e, in alcuni casi, l'emergere di formazioni e gruppi a matrice islamista come il Movimento Islamico dell'Uzbekistan (IMU) e Hibz-ut-Tahrir; (c) l'inserimento nell'ambito di conflitti, aperti o «congelati», di iniziative della Federazione Russa (come, ad esempio, il conflitto russo-georgiano esploso nell'agosto 2008 o il ruolo delle forze di peace-keeping a guida russa nel corso della guerra civile in Tagikistan); (2). le differenti e distinte condizioni di stabilità politico-istituzionale e di equilibrio socio-economico delle Repubbliche ex-sovietiche del Caucaso meridionale e dell'Asia centrale e, quindi: (a) la definizione e l'evoluzione del quadro politico-istituzionale e dell'equilibrio politico-sociale; (b) l'affermazione di gruppi clanico-clientelari al vertice di molti degli Stati dell'area (Azerbaigian e Repubbliche ex-sovietiche dell'Asia centrale) nonché la formazione ed evoluzione del loro sistema di potere; (c) i più significativi sviluppi interessanti i vertici politico-decisionali ed il quadro politico interno (come, ad esempio, le cd. «Rivoluzioni colorate»); (d) le più significative evoluzioni della situazione macro-economica ed economico-sociale, delle politiche economiche e delle relazioni economico-commerciali e finanziarie con l'Estero; (e) le più significative dinamiche interessanti la politica estera e di sicurezza degli Stati dell'area ed, in primis, la loro partecipazione a fori ed organizzazioni internazionali (come la CSI, il GUUAM, l'OSCE e la SCO) nonché le loro relazioni con i Paesi contermini, con la Federazione Russa, con gli Stati Uniti e con la Repubblica Popolare di Cina; c. ad una disamina delle risorse energetiche (idrocarburi) presenti nell'area e delle relative infrastrutture di trasporto internazionale, esistenti e progettate, nel cui ambito una particolare attenzione è stata rivolta a: (1). le maggiori iniziative per l'esplorazione e lo sfruttamento di petrolio e di gas naturale nonché l'afflusso di investimenti esteri da parte di grandi società energetiche internazionali; (2). il sistema di trasporto energetico ereditato dall'era sovietica, i vari progetti internazionali proposti nel corso dei due passati decenni ed i principali gasdotti ed oleodotti nel frattempo realizzati e messi in funzione; 2. allo studio degli interessi e delle iniziative politico-strategiche ed economiche poste in essere da Potenze esterne all'area caucasico-centroasiatica e, quindi, all'analisi dell'evoluzione delle iniziative politico-strategiche ed economiche di: Federazione Russa (con particolare riguardo per: la definizione e l'evoluzione della politica estera e di sicurezza russa, la conseguente evoluzione nei confronti del proprio «near abroad» caucasico e centroasiatico e la cd. «energy diplomacy» russa), Repubblica Popolare Cinese (con particolare riguardo per l'evoluzione degli interessi geopolitici e geoeconomici di Pechino verso l'Asia centrale nonché per i più significativi sviluppi nelle relazioni sino-russe ed il loro significato sul piano regionale e globale), Repubblica Islamica dell'Iran, Turchia, Pakistan, India, Stati Uniti d'America (con particolare riguardo per: l'evoluzione della grande strategia statunitense verso l'area caucasico-centroasiatica, le maggiori iniziative di assistenza, cooperazione ed intervento economico e militare, l'evoluzione della cd. «pipeline diplomacy») e Unione Europea (con particolare riguardo per la definizione e lo sviluppo dell'European Neighbourhood Policy nonché del dibattito relativo alla politica energetica europea); Sulla base degli approfondimenti analitici proposti nell'ambito delle due suddette parti e, conseguentemente, in considerazione delle costanti e delle dinamiche geopolitiche dell'area, lo studio termina, nell'ambito della sezione dedicata alle conclusioni, proponendo un'analisi relativa alla possibile futura evoluzione dell'assetto geopolitico, geoeconomico e geostrategico dell'area attraverso l'individuazione e la descrizione dei tre scenari alternativi, ovverosia: 1. un primo scenario volto a valutare la possibilità e le implicazioni geopolitiche, geoeconomiche e geostrategiche di un riassorbimento dell'area caucasico-centroasiatica nella sfera d'influenza esclusiva della Federazione Russa; 2. un secondo scenario volto a valutare la possibilità e le implicazioni geopolitiche, geoeconomiche e geostrategiche dell'affermazione di un condominio sino-russo nell'Asia centrale ex-sovietica; 3. un terzo scenario volto a valutare la possibilità e le implicazioni geopolitiche, geoeconomiche e geostrategiche dell'affermazione di un sistema, più o meno stabile, di influenze plurime e diversificate sull'area caucasico-centroasiatica. ; XXII Ciclo
2008/2009 ; L'energia permea l'universo. Non esiste processo fisico, chimico o biologico che non necessiti di energia; la materia stessa è energia in forma condensata. Il genere umano, nel corso della storia, ha sperimentato una miriade di sistemi per estrarre, dalle diverse fonti, energia utile alla sua evoluzione socio-economica. Il lavoro sviluppato ambisce a fare chiarezza sul tema dell'energia quale insostituibile "leva" dello sviluppo economico-sociale di un sistema territoriale, analizzato, nel mutevole contesto attuale, nei molteplici aspetti connessi alla ricerca di fonti energetiche alternative a quelle fossili, nella prospettiva di uno sviluppo che, al di là della mera crescita economica, fondi su espliciti requisiti di sostenibilità. È universalmente riconosciuto, ormai, che il modello attuale di sviluppo del sistema energetico globale, basato sulle fonti convenzionali di energia, non è più sostenibile. Le riserve di combustibili fossili sono destinate, in un futuro più o meno remoto, a giungere a esaurimento; inoltre, sono scientificamente provati gli effetti nefasti sull'ambiente determinati dalla combustione di carbone, petrolio e derivati. Non è pensabile, tuttavia, che gli abitanti del pianeta rinuncino ai numerosi vantaggi, in termini di benessere e di sviluppo economico sociale, che derivano dall'avere a disposizione quantità crescenti di energia. L'energia è una risorsa economica e strategica. La politica energetica, tanto nei paesi produttori quanto in quelli consumatori, segue interessi economici così come valutazioni strategiche. Lo scenario energetico si è rivelato uno degli indicatori più efficaci delle dinamiche geopolitiche globali e il fenomeno della globalizzazione, anziché cancellare l'importanza della geografia, ne ha rafforzato il ruolo. Le aree più "energivore" del pianeta, costituite da complessi di paesi designati comunemente con l'aggettivo "sviluppati", quali ad esempio, gli Stati Uniti, l'Unione Europea o il Giappone, ma anche da paesi il cui sviluppo economico è in fase emergente, quali Cina e India, sono lontani dall'essere autosufficienti per ciò che attiene all'approvvigionamento di energia e, conseguentemente, non sono in grado di sostenere autonomamente le proprie economie ed elevati livelli del tenore di vita dei loro abitanti. I giacimenti energetici convenzionali, specie quelli di petrolio e gas naturale, sono concentrati in aree geografiche politicamente instabili, principalmente nel Medio Oriente e, in misura minore, in altre regioni critiche dell'Africa, dell'America Latina, in Russia e nell'area caspica; ma la stabilità politica dei paesi detentori di fonti energetiche è fondamentale per la fluidità dei flussi energetici e qualsiasi instabilità nell'offerta di energia genera, inevitabilmente, tensioni sul piano economico e sociale. È stato dimostrato che, quanto più elevato è il reddito di un paese o di una regione, tanto più alto è il consumo di energia all'interno dell'entità territoriale di riferimento e viceversa. Non si può ignorare, tuttavia, che esiste una parte considerevole degli abitanti del pianeta il cui accesso all'energia è insufficiente o, addirittura inesistente, ciò non è accettabile sotto il profilo della sostenibilità sociale; la disponibilità di energia, specialmente di quella elettrica, è fondamentale per spezzare il ciclo della povertà e rafforzare lo sviluppo e il benessere delle popolazioni. Una soluzione indicata da molti è l'emancipazione dall'utilizzo del petrolio e dalle altre fonti energetiche fossili, investendo risorse sia materiali che immateriali nello sviluppo di fonti sostenibili di energia, che attualmente, tuttavia, ricoprono una percentuale ancora troppo esigua della produzione energetica mondiale. Le ottime performance fatte registrare nell'ultimo periodo dalle rinnovabili fanno ben sperare, tuttavia, è impensabile raggiungere la rivoluzione energetica auspicata in tempi rapidi. Nel bilancio energetico globale le diverse fonti hanno dimensioni e pesi differenti, il loro utilizzo presenta, per ciascuna di esse, problemi peculiari legati ai costi, alla sicurezza, alla disponibilità e allo sviluppo di tecnologie di conversione efficienti e, soprattutto, esistono ordini di grandezza che non possono essere ignorati nel momento in cui si pensa alla sostituzione di una fonte con un'altra. La strategia da adottare per risolvere il problema energetico deve essere lungimirante, puntare al capovolgimento completo dell'attuale sistema energetico nel lungo periodo, secondo una visione globale, ma al contempo non ignorare le urgenze del breve periodo (che possono trovare un'adeguata soluzione nell'incremento dell'efficienza negli usi finali dell'energia e in un buon mix energetico) e la mutevolezza dei contesti locali. Trattare il tema dell'energia senza perdere di vista il territorio è indispensabile per la realizzazione di un modello di sviluppo energetico che rispetti le peculiarità e le vocazioni delle diverse entità territoriali coinvolte. È necessario, cioè, che il territorio non sia concepito come una base inerte su cui installare centrali per la produzione di energia, secondo logiche incentrate sulle caratteristiche fisiche e tecniche degli impianti e delle reti distributive, ma che si pensi a esso come a un "valore" da rispettare ed, eventualmente, da potenziare, con il quale interagire e da cui partire per implementare pianificazioni energetiche incisive. Per garantire un adeguato sviluppo delle tecnologie in grado di utilizzare le fonti rinnovabili di energia al fine di ridurre il contributo antropico ai cambiamenti climatici e, al contempo, assicurare un approvvigionamento energetico sicuro ed efficace, capace di sostenere livelli di crescita economico-sociale in ascesa, le politiche energetiche e i meccanismi di incentivazione che da esse scaturiscono sono da ritenersi strumenti chiave indispensabili. Inoltre, al fine di vincere la sfida geo-energetica in atto, la transizione dall'attuale "insostenibile" sistema di produzione e utilizzo dell'energia verso un sistema energetico pienamente sostenibile, è indispensabile dare il giusto peso alla ricerca scientifica e tecnologica e potenziare gli investimenti in ricerca e sviluppo su tutta le filiera energetica: fonti primarie, conversione e usi finali dell'energia. ; XXII Ciclo
2009/2010 ; La tesi di dottorato si sviluppa avendo come punto di partenza un filone secondo il quale la ricerca scientifica nelle discipline del logistics management e dell'economia spaziale procede autonomamente facendo si che i due ambiti di ricerca risultano essere slegati pur essendovi alcuni elementi che li accomunano; per questo motivo viene proposta una agenda di ricerca finalizzata all'integrazione delle due al fine di creare un nuovo sistema di supporto alle decisioni per le politiche logistico/trasportistiche in capo al pianificatore pubblico. Più in particolare è posto l'accento principalmente su due specifici problemi di ricerca aperti dei quali il primo può essere considerato funzionale al secondo. In quest'ottica se il primo è volto all'ulteriore approfondimento dei principali driver firm level che stanno alla base delle configurazioni oggi assunte dalle reti logistiche globali (global logistics network design), l'altro filone è finalizzato allo sviluppo di nuovi modelli interpretativi dei legami tra la logistica in un'ottica aggregata (che supera quindi la visione puramente micro a favore dei livelli meta e macro) e l'economia regionale/spaziale. In altre parole essendo il logistics management focalizzato sulle dinamiche dell'impresa, la sfida proposta consiste nel capire ancora meglio le dinamiche logistico-trasportistiche micro indotte dai recenti fenomeni di globalizzazione in modo da poter elaborare, in step successivi, modelli logistici aggregati (meta e macro appunto, quali possono essere ad esempio quelli distrettuale/locale e regionale) che possano essere utili a meglio comprendere quale è il ruolo della logistica (e del logistics network design più precisamente), come evoluzione del trasporto, nell'ambito delle relazioni economiche a livello spaziale e quindi nella spatial economics. La tesi si è inserita all'interno del primo dei due ambiti di ricerca individuati, ossia quello finalizzato all'ulteriore approfondimento delle tematiche attinenti i trasporti e la logistica facendo particolare riferimento ai driver, cioè alle forze che determinano l'evoluzone globale della logistica, nonchè ai connessi aspetti decisionali e comportamentali che stanno alla base delle attuali configurazioni di logistics network design. Più in particolare obiettivo specifico della tesi è verificare, attraverso l'analisi di una serie di casi studio, quali sono i driver sottostanti i processi decisionali e comportamentali che hanno portano al (ri)disegno dei network logistici considerati. Dal punto di vista metodologico il lavoro si articola in quattro parti. Nella prima parte, muovendo da un'analisi della letteratura scientifica, sarà preso in esame il legame trasporti, logistica ed economia ed esplicitato perchè è opportuno progredire nella sua conoscenza sia a fini positivi che normativi. Per quanto riguarda la finalità positiva di approfondimento della conoscenza del legame, partendo dalla disamina di ciò che accomuna i trasporti e la logistica (come evoluzione del trasporto) con l'economia regionale/spaziale, sono analizzati i processi di evoluzione dei trasporti con particolare riferimento all'evoluzione del concetto di "costo del trasporto" ed esplicitati i punti di vista (gli approcci) dai quali il legame può essere analizzato. In relazione alla seconda, quella normativa, si va invece a verificare come una più approfondita conoscenza del legame economia-trasporti-logistica oltre alla finalità di arricchimento scientifico ha anche un risvolto normativo, ossia si configura quale elemento utile ai soggetti chiamati a pianificare le reti logistico-trasportistiche a livello territoriale. Nella seconda parte ci si concentra a livello micro e si entra nella c.d. black box della logistica prendendo in esame la letteratura sul logistics management. Più in particolare si va a vedere quali sono le principali problematiche logistico-trasportistiche generate dai recenti fenomeni di globalizzazione dell'economia, quali sono le forze (i driver) alla base dell'attuale evoluzione globale della logistica e più specificamente della (ri)configurazione globale dei network logistici. Nella terza parte del lavoro, ricorrendo ad un framework analitico che si basa su pecifiche metodologie proposte dal logistics management, vengono analizzati una serie di case study appartenenti sia al versante domanda che a quello dell'offerta logistico-trasportistica. Il framework applicato si sviluppa attorno due "sotto-metodologie" complementari che intendono descrivere i casi ponendosi in una prospettiva che abbraccia tanto le strategie e le soluzioni adottate in passato quanto quelle attuali in modo da evidenziare i processi di evoluzione delle configurazioni di network design implementate in risposta ai driver evolutivi. Più nello specifico la prima delle due "sotto-metodologie" si concretizza in uno schema di analisi dei processi e delle attività logistiche finalizzata alla ricostruzione della catena logistico-produttiva/supply chain nelle sue diverse componenti approvvigionamento, produzione e distribuzione; la seconda è invece finalizzata ad identificare le strategie, i modelli operativi e le pratiche operative (logistico-trasportistiche) contestualizzate rispetto l'ambiente in cui le imprese sono calate. Le evidenze emerse nella terza parte sono oggetto di elaborazione all'interno della quarta, quella il cui obiettivo (che è anche obiettivo della tesi) è fornire un contributo alla comprensione delle forze (cioè dei driver) che hanno determinato i processi di (ri)disegno delle reti logistiche globali. In altre parole ciò che si vuole ottenere è una maggiore chiarezza di quali sono i motivi che, in chiave del mantenimento o dell'accrescimento della competitività globale, hanno indotto una serie di imprese ad intraprendere dei percorsi di (ri)disegno delle proprie reti logistico-trasportistiche e di capire altresì quali sono le soluzioni logistico-trasportistiche concretamente implementate in risposta a tali forze. ; XXII Ciclo ; 1975
2008/2009 ; L'inizio del XXI secolo vede la questione energetica presentarsi come motivo d'importanza cruciale per le sorti della specie umana; i problemi energetici investono il campo sociale, politico ed economico internazionale, il nostro modello organizzativo è una macchina che divora energia. I consumi energetici appaiono destinati a crescere, secondo le previsioni dell'Agenzia Internazionale per l'Energia, di oltre il 60% entro l'anno 2030. La gran parte dell'energia prodotta e consumata sulla Terra è ricavata da fonti fossili quali petrolio, carbone e gas naturale, quindi fonti non rinnovabili che hanno un forte impatto ambientale, in particolare sugli equilibri climatici. L'evoluzione delle varie discipline scientifiche ed economiche ha permesso analisi e studi sempre più dettagliati ed approfonditi sullo stato del pianeta, sull'andamento della produzione e sul progressivo depauperamento degli idrocarburi, producendo previsioni che, in particolare gli uomini di governo, considerano catastrofiche. La fonte fossile più usata, il petrolio, oltre ad essere la più prossima all'esaurimento in tempi relativamente brevi, è geograficamente la più concentrata; i 2/3 dei suoi giacimenti si trovano in Medio Oriente, area dal punto di vista politico-militare da considerarsi ad alta instabilità. Il petrolio da sempre ha rappresentato, e continua a rappresentare, un fattore prioritario sia nelle relazioni politiche internazionali che interne ai singoli paesi. Ragioni politiche e ragioni economiche hanno condizionato i comportamenti dei diversi attori in un intreccio di interessi spesso difficile da comprendere . Dalla metà del XIX secolo lo sfruttamento sfrenato della risorsa petrolio ha permesso uno sviluppo senza precedenti nella storia che ha dato vita alla società in cui viviamo oggi, con i suoi enormi benefici e le grandi contraddizioni. Il petrolio, l'idrocarburo per antonomasia è il bene che ha conosciuto la più ampia e rapida diffusione e ciò grazie alle sue proprietà fisico-chimiche, alle sue svariate applicazioni, alla facile commerciabilità ed alla necessità che tutti gli Stati hanno avuto e continuano ad avere. Nell'arco di 150 anni ha contribuito in maniera sostanziale all'espansione delle industrie, delle città, delle infrastrutture, della produzione agricola e del commercio che a loro volta hanno permesso lo sviluppo della ricerca tecnico-scientifica, dell'aumento del benessere e della diminuzione della mortalità. Il modello di sviluppo capitalistico, che porta con sé delle evidenti ed indubbie contraddizioni, è caratterizzato dall'obbiettivo della crescita a tutti i costi, e ciò avviene grazie allo sfruttamento incondizionato delle risorse energetiche e dall'aumento dei consumi di ogni tipo di bene che a loro volta alimentano in modo straordinario la produzione. Tutto ciò è accaduto in un breve arco di tempo dando luogo a quella che chiamiamo società occidentale, la società del consumo. I consumi energetici sono, dal punto di vista della distribuzione, squilibrati a vantaggio di una limitata frazione della popolazione mondiale; 1/6 della popolazione utilizza oltre il 50% delle risorse energetiche disponibili. Tale squilibrio è inversamente proporzionale all'entità dei danni che l'enorme consumo di energia arreca a diverse aree del mondo in termini di aumento della temperatura della superficie del pianeta, avvertita in modo forte nei paesi poveri tropicali e sub-tropicali, con effetto di progressivo inaridimento e desertificazione dei territori. Tali situazioni di non equilibrio sono riconducibili alle problematiche energetiche e sono fattori che contribuiscono in modo determinante alla crescita di tensioni e conflitti armati, dell'esplosione di fenomeni di terrorismo e di fenomeni migratori; il tutto per il controllo delle risorse. Il sistematico inquinamento ambientale, causato anche da politiche energetiche che non tengono conto della sostenibilità, è una minaccia incombente sia sulla qualità della nostra vita sia della vita delle generazioni future. Tali considerazioni di forte preoccupazione verso la salute ed il futuro dell'ambiente, spingono alla revisione dei modelli energetici con una forte attenzione alle fonti rinnovabili. Dalla fine del XX secolo la domanda di energia da fonti rinnovabili ha visto una crescita. La produzione di energia da fonti rinnovabili può essere un fatto locale, quindi esse consentono di eliminare, da un lato i costi economici ed ambientali del trasporto dei combustibili della trasmissione e della distribuzione dell'energia, dall'altro favoriscono la democratizzazione dell'energia in quanto implicano il coinvolgimento diretto degli utenti che possono essere produttori e consumatori. Ciò incoraggia il controllo locale sia delle risorse sia del loro impatto ambientale. L'espressione «sicurezza energetica» è entrata a pieno titolo nel linguaggio dei politici e degli osservatori. Si discute con toni accesi dei rischi che interessano la «sicurezza energetica» dei paesi europei e degli Stati Uniti d'America, nonché delle contromisure che i governi interessati dovrebbero prendere o stanno prendendo per farvi fronte. L'utilizzo di fonti rinnovabili può contribuire alla diminuzione delle tensioni internazionali dovute all'accesso all'energia. L'uso di queste fonti ha indubbi vantaggi in termini di generazione di posti di lavoro in molti settori industriali ed in agricoltura soprattutto in quei paesi che non possiedono riserve di risorse energetiche tradizionali e per i paesi in via di sviluppo ove la domanda energetica è in forte crescita. Nel primo capitolo vene analizzato il ruolo che l'energia ha avuto ed ha nello sviluppo della cultura e della società partendo dall'analisi del concetto di energia e dalla sua misura. Si passa alla descrizione del percorso che l'energia ha avuto nell'evoluzione della società umana e a come l'uomo ha utilizzato i combustibili, le prime macchine ed i motori primi per giungere al ruolo e alle interazione tra l'energia e le Grandi Civiltà. Nel secondo capitolo si analizza l'era della combustione fossile con una particolare attenzione alle teorie sull'origine degli idrocarburi. Vengono descritte e analizzate le teorie biogeniche e le teorie abiotiche unitamente alla storia della scoperta del petrolio. Il terzo capitolo è dedicato allo studio del concetto di crescita esponenziale ed al cogente problema dell'esaurimento; viene analizzata la teoria di Hubbert ed il concetto di crescita esponenziale, la problematica insita nei limiti della crescita ed infine la stima delle riserve con una attenzione alla descrizione del sistema delle definizioni relative alle riserve ed alla loro determinazione. Il quarto capitolo concerne le energie rinnovabili, viene analizzato il protocollo di Kyoto e le problematiche della sua applicazione. Viene pure analizzato il bilancio dell'era industriale attraverso le sue caratteristiche, si considerano le problematiche relative all'accumulo nell'atmosfera dei gas di produzione antropica e gli effetti degli aumenti della temperatura sulle attività della società umana. Infine il quinto capitolo è dedicato alla geopolitica dell'energia, si descrive ed analizza il fenomeno del processo storico della decarbonificazione e del cambiamento dell'utilizzo di combustibili da parte della società umana. Viene descritta ed analizzata la situazione del mercato dell'energia e della sua organizzazione. Vengono pure descritte ed analizzate le problematiche relative all'accesso all'energia da parte degli Stati e la sicurezza energetica con le conseguenze, su quest'ultima, che l'utilizzo massiccio di fonti rinnovabili potrebbe portare nei rapporti tra Paesi. ; XXII Ciclo
2008/2009 ; Le armi di distruzione di massa rappresentano uno degli aspetti più spaventosi degli sviluppi tecnologici che sono intercorsi nell'ultimo secolo. Sebbene alcuni effetti delle armi chimiche e biologiche fossero noti già da centinaia di anni, solamente nel ventesimo secolo si è assistito ad un vasto uso delle armi di distruzione di massa in diversi contesti bellici. La necessità di trovare armi "definitive", idonee a travalicare la forza ordinaria delle armi convenzionali ha spinto la scienza ad investigare sempre più nuovi strumenti in grado di annichilire l'avversario. Una parte di primissima rilevanza negli equilibri mondiali – e ancora oggi fonte di destabilizzazione in certi teatri regionali – è imputabile alle armi nucleari. La scoperta delle implicazioni belliche della fisica atomica ha semplicemente rivoluzionato il quadro militare mondiale, chiudendo la Seconda guerra mondiale e spalancando le porte della Guerra fredda. Basata in gran parte sull'equilibrio nucleare, questo tipo di guerra ha visto fronteggiarsi in primis due superpotenze dotate di arsenali nucleari tali da eliminare per sempre ogni tipo di forma vivente dalla faccia della Terra. Le armi di distruzione di massa sono oggi raggruppabili in diverse categorie: nonostante ogni nazione fornisca una propria definizione al riguardo, sostanzialmente questa tipologia di armi si articola su quattro tipologie diverse a seconda delle differenti sostanze di cui ognuna è composta. Esistono le armi nucleari, biologiche, chimiche e radiologiche: ognuna di esse presenta caratteristiche tattiche, strategiche e modi di funzionamento ben diverse. L'elemento che le accomuna è comunque la capacità, almeno potenziale, di arrecare una quantità di danni decisamente superiore a qualsiasi dispositivo militare convenzionale oggi presente negli arsenali. Seppure con modalità diverse, le armi di distruzione di massa hanno fatto la loro apparizione nei campi di battaglia soprattutto nel ventesimo secolo. Le prime ad essere utilizzate su vasta scala furono le armi chimiche, le quali apparvero come un mezzo per superare lo stallo della guerra di trincea. Durante la prima guerra mondiale la paura dei "gas" divenne un vero e proprio incubo per tutti i soldati, ed anche per i relativi stati maggiori, incapaci di provvedere contro questa nuova arma. Ma la vera svolta nel mondo delle armi di distruzione di massa arrivò nella Seconda guerra mondiale: dopo l'esplosione delle armi atomiche nei cieli giapponesi di Hiroshima e Nagasaki era chiaro che le superpotenze vincitrici della guerra non potevano prescindere dal possedere l'arma atomica. L'iniziale ritardo sovietico venne ben presto compensato, e nel 1949 Stalin poteva annunciare al mondo la parità militare con gli Stati Uniti. La bomba atomica venne poi seguita dalla bomba all'idrogeno, ultima frontiera degli sviluppi militari nucleari. Come noto, le ami atomiche ressero il confronto bipolare (e le sue certezze) fintantoché gli accordi SALT e START non cominciarono a ridurre il numero delle testate, ad oggi comunque presenti in molti arsenali. Le armi biologiche apparvero in seguito, soprattutto dopo gli sviluppi delle biotecnologie. La capacità militare di virus, batteri e tossine era già ben chiara ai giapponesi durante la seconda guerra mondiale: tuttavia i sovietici, grazie alla colossale impresa "Biopreparat" riuscirono a creare ed ad accumulare un'enorme quantità di agenti biologici. La fine del mondo bipolare poteva sembrare idonea a far diminuire i pericoli derivanti dalle armi di distruzione di massa: ma purtroppo eventi come gli attentati con il gas "sarin" nella metropolitana di Tokyo (1995) o l'uso di antrace negli Stati Uniti (2001) dimostrarono che inevitabilmente le armi di distruzione di massa rimanevano una minaccia costante per ogni Stato. Alle tre armi tradizionali si è affiancata una nuova categoria: le armi radiologiche, spesso indicate nel gergo giornalistico come "bombe sporche", consistenti nel diffondere elementi radioattivi mediante esplosioni convenzionali. Tale tipo di arma rischia di causare molti più danni grazie all'effetto mediatico che alla diffusione di materiali radioattivi: non tutti questi, infatti, hanno tempi di decadimento lunghi come l'uranio. La paura per quest'ultimo tipo di ordigni è cresciuta negli ultimi anni in quanto per un gruppo anche piccolo è relativamente semplice potersi procurare materiale radioattivo e farlo detonare in un centro urbano, contaminando tutta la zona. La preoccupazione per gli effetti delle armi di distruzione di massa si è concretata in una serie di trattati internazionali che progressivamente hanno disciplinato tutti i tipi di armi. La normativa in materia è costituita sia da trattati multilaterali che da trattati bilaterali: questi ultimi, pur essendo vincolanti solo per le due nazioni che li sottoscrivono, hanno comunque generato rilevanti effetti geopolitici nel pianeta. Subito dopo la seconda guerra mondiale l'Assemblea dell'Onu aveva cominciato a riflettere su un possibile contenimento delle armi nucleari, decisamente le più rilevanti a livello di effetti. Le ferite di Hiroshima e Nagasaki erano recenti, e l'Unione Sovietica stava sviluppando a tappe forzate il proprio programma nucleare. Nonostante le preoccupazioni della comunità internazionale, occorse aspettare la "Crisi dei missili" cubana del 1962 per poter vedere sviluppare delle prime forme di cooperazione internazionale per interdire, o quantomeno limitare, la minaccia dell'uso delle armi nucleari, sfiorata durante le tensioni cubane. A partire da quella data si succedettero diversi trattati internazionali e bilaterali in materia di armi nucleari, inizialmente legati alla limitazione del dispiegamento degli ordigni in determinati contesti, e, successivamente, rivolti alla riduzione del numero di vettori. Quest'ultimo ruolo fu particolarmente giocato dalla diplomazia americana e da quella sovietica, e conobbe un'autentica accelerata con l'arrivo delle presidenze Reagan-Gorbacev. È evidente che molte delle scelte compiute dalle due superpotenze influenzarono anche le rispettive coalizioni e le dottrine di impiego delle forze. Ma non tutte le iniziative regolamentari sortirono effetti positivi: ad oggi vi sono paesi, quali Israele, la Corea del Nord o il Pakistan che sono dotati di armamenti nucleari e non sono sottoscrittori del trattato NPT, cioè di non proliferazione nucleare. Questi stati sono inseriti in contesti regionali complessi e delicati, in cui spesso insistono interessi delle "potenze atomiche" legittimate in questo ruolo da una discutibile statuizione indicata nel trattato NPT. A fianco delle numerose iniziative svoltesi per disciplinare le armi nucleari sono state pure create delle Nuclear Weapons Free Zones, cioè aree del pianeta nelle quali gi stati membri si impegnano a non acquisire o usare armi nucleari. Tali iniziative hanno permesso di "liberare" dalla minaccia nucleare alcune aree (Antartide, Asia centrale, America del Sud, Asia del sud-est, Mongolia) e costituiscono un'iniziativa sinergica alle attività di contenimento e riduzione degli arsenali nucleari. Per le altre armi di distruzione di massa vi sono sicuramente stati meno trattati internazionali, ma non per questo essi sono stati meno importanti: è il caso delle armi chimiche, che possono vantare la prima proibizione in un protocollo del 1925. In tale settore è stata poi creata un'organizzazione internazionale idonea a verificare il rispetto della convenzione per la proibizione delle armi chimiche del 1993. Le armi biologiche presentano invece più difficoltà, ed al momento, secondo certa letteratura, sono identificate come un settore non ancora pienamente tutelato a livello internazionale. Se è vero che la convenzione sulle armi biologiche del 1972 vieta ogni tipo di arma biologica, la mancanza di una struttura internazionale di controllo e la velocità di sviluppo delle biotecnologie impauriscono gli stati, così come la mancata adesione di alcune importanti nazioni. In ogni modo, nonostante le critiche e le difficoltà, i trattati internazionali in materia di armi di distruzione di massa sono serviti per contenere e comunque evitare la diffusione di tali strumenti bellici attraverso le nazioni del pianeta: molto è ancora da fare, ma comunque le esperienze intraprese al momento sono tali da confermare questo cammino come valida via per limitare la diffusione di questa categoria di armamenti. Eppure il positivo processo di limitazione delle armi di distruzione di massa ha incontrato, soprattutto negli ultimi anni, alcuni limiti soprattutto in seguito alle azioni intraprese da alcune nazioni. In certi contesti regionali delicati alcuni stati vedono di buon occhio una propria capacità militare sostenuta da quella nucleare: il miraggio di entrare nel "club atomico", cioè nel ristretto numero di stati "armati" nuclearmente, è un miraggio che ha valenza sia di politica interna che di prestigio internazionale. I recenti casi della Corea del Nord e dell'Iran, ad esempio, indicano chiaramente come azioni di singoli paesi possano seriamente mettere a repentaglio anni di lavori e di incontri internazionali per limitare la diffusione di armi di distruzione di massa. Soprattutto l'arma nucleare rimane al centro del dibattito mondiale, in quanto i due paesi di cui sopra hanno deciso di dotarsene per questioni di prestigio e di politica interna. La Corea del Nord si è recentemente ritirata dal trattato NPT e ha fatto esplodere due ordigni nucleari, seppure di piccola capacità. Ciò che al momento preoccupa di più la comunità internazionale è l'isolamento dell'autocratica repubblica, le difficoltà nella transizione del potere ed infine il tentativo di acquisizione di capacità missilistica a lungo raggio. Negli ultimi mesi la Corea del nord ha ripetutamente condotto esperimenti missilistici che hanno notevolmente esacerbato la situazione regionale: in particolare destano la preoccupazione del Giappone, nel quale è in corso un dibattito sulla rivisitazione del ruolo delle forze armate, cosa decisamente avversata dalla Cina. Gli Stati Uniti, tradizionali difensori della Corea del Sud, potrebbero cogliere l'occasione per dispiegare i propri missili nucleari nel teatro, accrescendo così la militarizzazione dell'area e complicando il rapporto con le altre due potenze nucleari della regione, La Cina e la Russia. Allo stesso modo l'Iran sta attraversando una complessa fase di transizione a trenta'anni dalla rivoluzione del 1979. La granitica forma di governo teocratica è oggi minacciata da una fase economica non brillante e da difficoltà politiche interne: le recenti affermazioni del presidente iraniano Ahmadinejad hanno attirato l'attenzione del mondo sull'Iran, desideroso di accrescere il proprio peso nell'area. D'altra parte le affermazioni sulla scomparsa di Israele hanno notevolmente preoccupato il governo di Gerusalemme, il quale è in possesso di armi nucleari. Il rischio di un'escalation nucleare nella regione sarebbe un problema gravissimo, soprattutto considerando le difficoltà in cui si trovano diversi stati limitrofi, quali il Pakistan, l'Iraq o l'Afghanistan. Infine va considerato il problema del terrorismo internazionale. Non è detto che gruppi terroristi non possano essere ancora interessati all'acquisizione di armi di distruzione di massa: rispetto a quelle nucleari, più difficilmente acquisibili ed utilizzabili (occorre anche un vettore idoneo per trasportarle, stante il loro peso e le loro dimensioni) ipotesi come armi radiologiche, armi chimiche o armi biologiche rappresentano soluzioni ugualmente allettanti per spargere terrore e destabilizzazione nelle società da colpire. L'attenzione a tale riguardo si concentra soprattutto sul network di Al-Quaeda, in quanto struttura militare e militante più capace di possedere fondi tali da permettere l'acquisto di questo tipo di armi. Resta da chiedersi, in conclusione, quali risposte siano possibili a questo tipo di minaccia. La percezione della minaccia NBCR è differente a seconda dei paesi e dei contesti in cui gli stati sono inseriti: la riflessione più ampia sull'argomento è comunque quella americana, supportata da abbondante letteratura e servita addirittura come giustificazione ad un attacco preventivo (Iraq 2003). Allo stesso modo la Nato ha elaborato una propria posizione sulle armi di distruzione di massa, riconosciute dall'Alleanza come una minaccia concreta e tangibile, meritevole anche di risposte dal punto di vista operativo. Infine vi è il caso italiano, che concentra le competenze NBCR presso un'idonea struttura interforze, che opera in stretto raccordo con strutture civili dello Stato, a partire dei Vigili del Fuoco. Per terminare si può sostenere che le armi di distruzione di massa sono oggi una minaccia potenziale difficilmente eliminabile, ma tuttavia limitabile e controllabile tramite gli strumenti della diplomazia, della politica e del diritto internazionale, affiancata comunque da azioni delle attuali potenze dirette a limitare sempre più la diffusione e la proliferazione di questo tipo di armamenti. ; XXII Ciclo
2009/2010 ; Lo studio affronta l'analisi delle strategie culturali che stanno alla base delle narrazioni geografiche formulate nel contesto della Repubblica Popolare Cinese. Appare ormai consolidata e condivisa l'opinione secondo cui il ruolo di rilievo interpretato dalla Repubblica Popolare Cinese sullo scenario internazionale, renda indispensabile la formulazione di un'adeguata strategia geografica e culturale che favorisca il superamento della visione limitante e limitativa di un "Regno di Mezzo" quale "fabbrica del mondo" o realtà nazionale avvitata in una plurisecolare crisi identitaria. La riformulazione di un'adeguata strategia culturale è un punto cruciale e fondamentale in vista della difesa dei sempre più sostanziosi e radicati interessi cinesi sulla scena globale, ma si presenta anche come un processo dalle profonde implicazioni interne: si tratta di una costruzione che mira evidentemente ad attribuire alla Repubblica Popolare Cinese una'adeguata proiezione di unità e coesione interna, sì da garantire stabilità, continuità e consenso nei confronti del regime a partito unico. Dopo aver invaso i mercati globali con il cosiddetto made in China, la Cina appare ora fortemente impegnata - seppur con limiti e contraddizioni di cui verrà offerta una trattazione approfondita – in una radicale ridefinizione e rivalutazione del proprio patrimonio culturale, allo scopo di rinsaldare la coesione interna e la propria integrità territoriale da un lato, proiettando all'esterno una serie di immagini e di tendenze che sono spesso palesemente improntate al senso di alterità rispetto al modello occidentale. Il primo capitolo è dedicato alla Repubblica Popolare Cinese quale laboratorio di innovative e alternative narrazioni geografiche e culturali. Viene proposto un excursus storico circa la "visione cinese del mondo", partendo dai concetti base che hanno caratterizzato il lungo arco dell'epoca imperiale, per passare poi alla crisi provocata dallo scontro con l'Occidente, fino a giungere alla fase maoista. Viene messo in luce in modo particolare il complesso e, per certi versi ancora parzialmente irrisolto, rapporto fra tradizione ed modernità, fra creazione, distruzione e conservazione delle narrazioni geografiche e culturali. Il secondo capitolo, partendo dalla fase delle riforme denghiste, è dedicato ai fondamenti ideologici delle attuali narrazioni geografiche e culturali cinesi: l'equilibrio, l'armonia, l'ascesa pacifica. Si tratta di concetti fortemente radicati nella teoria confuciana che per secoli ha costituito il collante ideologico del potere imperiale, giustificando l'esistenza e l'esigenza di una centralità e di una unità dell'universo cinese. In quest'ottica vengono prese in esame alcune narrazioni che, a livello interno, hanno goduto e stanno godendo di particolare consenso, costituendo la base anche di quelli che possono essere definiti i tentativi di formulare una vera e propria teoria geopolitica cinese. Il terzo capitolo sviluppa il tema del soft power. Quest'ultimo si presenta infatti come un complemento strategicamente indispensabile al riconoscimento ed all'affermazione del nuovo ruolo e delle nuove ambizioni cinesi a livello globale. È senza dubbio anche in questo ambito che si gioca la sfida posta in atto dalla strategia culturale cinese, in un chiaro tentativo di erodere, almeno parzialmente, quello che ancora oggi in diverse aree del globo appare l'indiscusso vantaggio culturale occidentale (e statunitense in primis). Vengono presentati i tratti salienti del dibattito interno circa le priorità ed i tratti del soft power dalle caratteristiche cinesi, ponendo l'accento sui temi dell'identità e della sicurezza, intesa in senso tradizionale e non-tradizionale. La fase conclusiva è dedicata all'analisi delle proiezioni politiche e culturali cinesi in tre diverse aree chiave per gli interessi di Pechino: il Sudest asiatico, l'Asia centrale e l'Africa. In queste tre realtà regionali è interessante notare come il discorso geografico e culturale di Pechino venga plasmato per rafforzare una sorta di vantaggio regionale, secondo schemi e narrazioni che rivalutano – in misura e forme diverse – supposti ed indissolubili legami storici e culturali. Nelle conclusioni viene sottolineato come, ancora una volta, i timori dell'instabilità e della frammentazione siano all'origine dell'intraprendenza cinese sullo scenario globale, nonchè del tentativo di esportare un modello di sviluppo "amorale" in antitesi al modello "morale" proprio dell'Occidente. Questa strategia sembra strettamente vincolata alla necessità di mantenere inalterato quel tasso di sviluppo che è la base ed il collante fondamentale del consenso nei confronti del partito al potere. ; XXIII Ciclo
2008/2009 ; Il tema centrale del progetto di ricerca riguarda la valutazione delle politiche pubbliche regionali di sviluppo mediante l'introduzione di un approccio di tipo quantitativo; la valutazione è intesa come un processo di policy learning in grado non solo di stimare se e quanto un set di interventi sia stato efficace, ma anche di restituire capacità cognitiva ai soggetti interessati in vista di applicazioni future. In particolare, si vuole valutare l'applicabilità di metodologie statistiche consolidate in ambito valutativo, quali quelle afferenti al cosiddetto "approccio controfattuale" su tematiche scelte in coerenza con il Piano Unitario di Valutazione (PUV) della Regione FVG. Tale approccio ha il pregio di fornire stime robuste senza dover esplicitare la forma funzionale utilizzata, come accade, invece, nel caso di metodologie che si basano su modelli di stima parametrica - ad esempio, i modelli di regressione. Il lavoro, attraverso una ricognizione della letteratura esistente in materia, espone, innanzitutto, le motivazioni che spingono le pubbliche amministrazioni a dotarsi di sistemi di valutazione e pone in evidenza come, a livello di Unione Europea, soggetto istituzionale che ha spinto le Regioni a dotarsi di un piano di valutazione unitario per la politica regionale di sviluppo, non ci sia una visione univoca del concetto di valutazione. La "confusione concettuale" che ne deriva comporta distorsioni nella portata e nella fruizione delle evidenze che emergono dai singoli rapporti di valutazione generalmente realizzati nel caso di programmi di politica regionale di sviluppo. Tra tutti gli interventi pubblici oggetto di ricognizione la ricerca prende in esame il Docup Ob2, asse 4, misura 3: la misura consiste in un set di interventi (contributi, compartecipazione al costo) per la valorizzazione turistica del territorio alpino della cosiddetta "montagna marginale". Essendo la partecipazione al programma su base volontaria, esiste un'elevata probabilità di autoselezione dei partecipanti. Di conseguenza, la metodologia scelta per la valutazione è il Difference in Difference design con assunto di parallelismo nei trend. L'analisi viene condotta sui 59 Comuni della montagna marginale del FVG, di cui 33 beneficiari di almeno uno degli interventi previsti dalla misura e 26 non partecipanti. La domanda valutativa a cui si cerca risposta è se e in che misura aver beneficiato dei contributi previsti abbia avuto un effetto sui flussi turistici nei comuni beneficiari, ovviamente in ottica controfattuale. Le variabili outcome oggetto di analisi sono la variazione annuale del flusso degli arrivi, delle presenze e la permanenza media. Dall'analisi emerge che l'aver partecipato al programma ha contribuito in modo significativo al contenimento del calo dei flussi turistici registrati dal 2000 al 2006. Infatti, sia per quanto riguarda gli arrivi turistici che le presenze turistiche e la permanenza media si osserva, nonostante il calo generalizzato che ha colpito il settore turistico regionale nel periodo in analisi, una riduzione significativa dei differenziali esistenti tra i Comuni che hanno beneficiato degli interventi e quelli che non hanno partecipato alla politica. Tuttavia, i risultati più importanti non riguardano soltanto le evidenze empiriche; l'analisi consente, infatti, di porre in evidenza quali siano i diversi limiti organizzativi e operativi che riducono l'efficacia della valutazione di policy in ambito regionale. I problemi attengono al coordinamento tra i diversi attori, alla frammentazione, incompletezza e instabilità dei sistemi di monitoraggio ed alla assenza di integrabilità tra fonti dirette e fonti indirette di dati. Nelle conclusioni si sottolinea come la valutazione d'impatto potrà essere significativamente applicata in futuro a condizione che: l'Amministrazione Regionale sia in grado di configurare la valutazione come una fase del processo di programmazione; a livello organizzativo, il committente e i gestori delle informazioni riescano a condividere l'obiettivo valutativo e ad impostare un percorso di armonizzazione delle banche dati esistenti e di predisposizione di sistemi di raccolta dati ad hoc, anche prendendo spunto dalla letteratura in materia. La Regione FVG, attraverso il Piano di Valutazione Unitario e il Piano di Monitoraggio Unitario, sembra dare una risposta che va in questa direzione. ; XXII Ciclo ; 1981
2010/2011 ; Quality is one important characteristic of products and services, but customers can find some difficulties in evaluating it. If information is not uniformly distributed (e.g. sellers have more information than buyers), trade can be difficult (Akerlof 1970). Certification, defined as the assurance that certain requirements are respected, is a possible mechanism to mitigate the asymmetric information. A typical example of certification is the university degree that assures of the fulfillment of academic requirements. This thesis focuses on the ISO 9000 certification, which assures that the quality management system respects the requirements of the ISO 9000 standards family. Having been adopted by more than 1.000.000 organizations in the world, ISO 9000 is a well-known family of standards based on Total Quality Management, a managerial approach aimed to improve quality and organization performance. Several studies investigated ISO 9000 focusing mainly on the manufacturing sector where ISO 9000 originated. However, over the last years, ISO 9000 has being increasingly adopted in service sector. The current study contributes to this research stream taking on both qualitative and quantitative methods to investigate the adoption and the impact of ISO 9000 certification in services. More precisely, the thesis focuses on two main research questions: Why do companies choose to be ISO 9000 certified? What is the relationship between ISO 9000 and innovation? The two research questions are investigated through the lens of the signaling model of education (Spence 1973, Weiss 1995). According to this framework, education can benefit the employee directly by increasing his expertise of an employee and by indirectly signaling his unobserved but relevant abilities (e.g. persistence). Similarly to education, ISO 9000 can improve organization performances and ISO 9000 certification can signal unobservable abilities of better companies. Some implications are drawn from this theoretical framework and they are tested using a dedicated dataset obtained by combining firm-level data from the Community Innovation Survey (CIS 2006) with the list of ISO 9000 certified companies from Mouvement Luxembourgeois pour la Qualité (MLQ). In the quantitative analysis, the decision of ISO 9000 certification is modeled within a discrete choice model. The quantitative analysis is integrated by a multiple-case study that considers both manufacturing and service companies rigorously selected with the Coarsened Exact Matching method. Addressing the first research question, the study focuses on the signaling effect of ISO 9000 certification. Results shows that companies seek for certification in order to signal to the market unobserved abilities only in specific contexts (e.g. when operating in international market). In addition, it appears that large companies are more likely to be certified than smaller companies. The quantitative analysis shows that the main motivation for certification is the requirements of business customers suggesting that certification is more effective in business to business market that than business to consumers. From a signaling point of view, it can be concluded that qualitative and quantitative findings are not in contrast but the hypothesis that ISO 9000 certification acts as signal is only partially supported. Addressing the second research question, the study suggests that management of quality and management of innovation are not conflicting. Even if distinguishing between organizational benefits and the signaling effect can be difficult, qualitative results shows that ISO 9000 certified companies are more likely to successfully introduce new products and services or new organization and marketing techniques. ISO 9000 certification is correlated with technological innovation (product and process) of manufacturing companies and with innovation of service sector companies when non-technological innovation is considered (organizational and marketing). The qualitative results suggest that ISO 9000 especially in recent versions is not hindering innovation. Reading together the results for both research questions, it appears that ISO 9000 could be a tool for policy-makers willing to improve innovation performance targeting specific groups of companies. Practitioners can better understand the features of firms for which the certification provides the best potential, also in terms of innovation. In this respect, management standards can be an effective tool to diffuse organizational skills among companies especially to companies that have less access to external managerial skills, like small companies. Additionally, the findings of the research can be interpreted as an example of the positive impact that standardization can have on innovation, in line with the policies of European Union that recognize standardization as a potential catalyst for innovation. ; La qualità è una caratteristica importante di prodotti e servizi, ma gli acquirenti possono trovare alcune difficoltà nella sua valutazione. Nei caso che l' informazione non sia uniformemente distribuita (ad esempio, chi vende ha più informazioni di chi compra), le transazioni possono essere difficili da realizzarsi (Akerlof 1970).La certificazione, definita come la garanzia che determinati requisiti sono rispettati, è un possibile meccanismo per mitigare l'asimmetria informativa. Ad esempio, la laurea é un tipico esempio di certificazione che assicura il rispetto dei requisiti accademici. Partendo da queste premesse, questa tesi studia la certificazione ISO 9000, che assicura che il sistema di gestione della qualità rispetti i requisiti della famiglia di standard ISO 9000. L' ISO 9000, che trova origine nel Total Quality Management, un approccio manageriale volto a migliorare la qualità e le performances dell'organizzazione, è la piú nota famiglia di standards al mondo ed è adottata da più di 1.000.000 organizzazioni. Molte ricerche hanno studiato l' ISO 9000, concentrandosi principalmente sul settore manifatturiero, ove l' ISO 9000 ha avuto origine. Tuttavia, negli ultimi anni, ISO 9000 è sempre più adottato nel settore dei servizi. Il presente studio contribuisce a questo linea di ricerca adottando metodologie qualitative e quantitative per indagare l'adozione e l'impatto della certificazione ISO 9000 nel settore dei servizi. Più precisamente, la tesi si focalizza su i due seguenti quesiti: Perché le aziende scelgono di essere certificate ISO 9000? Qual è il rapporto tra ISO 9000 e l'innovazione? Le due domande sono studiate attraverso la lenti del modello di segnale sviluppato originariamente nella ambito degli studi sull' istruzione (Spence 1973, Weiss 1995). In base a questo approccio teorico, l'istruzione può beneficiare il lavoratore sia aumentandone il capitale umano sia segnalando abilità inosservate, ma rilevanti (es. persistenza). Si ipotizza che in maniera simile all' istruzione, l' ISO 9000 può migliorare le prestazioni aziendali di per sé e la certificazione ISO 9000 sia in grado di segnalare abilità inosservabili delle aziende. Alcune implicazioni tratte da questo quadro teorico sono state verificate su un set di dati ottenuto combinando i dati lussemburghesi a livello di impresa della Community Innovation Survey (CIS 2006) e l'elenco delle aziende certificate ISO 9000 del Mouvement Luxembourgeois pour la Qualité (MLQ). La decisione di certificazione è modellata quantitivamente in un modello a scelta discreta. L'analisi quantitativa è poi integrata dallo studio di casi indagando alcune imprese manifatturiere e di servizi opportunamente selezionate sulla base del Coarsened Exact Matching. Affrontando il primo quesito, la tesi si concentra sugli effetti di segnale della certificazione ISO 9000. I risultati quantitativi suggeriscono che le aziende si certificano al fine di segnalare al mercato capacità difficilmente osservabili in contesti specifici (ad esempio, quando opera sui mercati internazionali). Inoltre, lo studio quantitativo mostra che le imprese piú grandi hanno maggiore probabilità di essere certificate rispetto alle aziende più piccole. Lo studio di casi mostra che le aspettative della clientela sono il motivo principale per certificarsi e che le aziende sono più sensibili alla certificazione ISO 9000 rispetto a consumatori suggerendo che la certificazione è più efficace nel mercato Business to Business. In una ottica di segnale, si può concludere che i risultati quantitativi e qualititativi non sono in contrasto ma l'ipotesi che la certificazione ISO 9000 agisca da segnale è solo parzialmente supportata. Riguardo al seconda quesito, i risultati della tesi sembrano suggerire che la gestione della qualità e gestione dell'innovazione non sono in conflitto. Anche se distinguere tra effetto organizzativo e effetto di segnale non è agevole, i risultati qualitativi mostrano che le aziende certificate sono ,generalmente più propense a introdurre con successo nuovi prodotti e servizi o nuovi tipi di organizzazione e tecniche di marketing. Piú precisamente, la certificazione ISO 9000 è correlata con l'innovazione tecnologica (di prodotto e di processo) delle aziende manifatturiere e con l'innovazione delle imprese del settore dei servizi, quando l'innovazione non tecnologica è considerato (organizzative e di marketing). I risultati qualitativi suggeriscono che l' ISO 9000, soprattutto nelle versioni più recenti, non è ostacola l'innovazione. Complessivamente, appare che ISO 9000 può essere un valido strumento per i policy makers che desiderano migliorare l' innovazione di specifici tipi di aziende. Inoltre, gli operatori del settore possono comprendere meglio le caratteristiche di imprese per le quali la certificazione fornisce il miglior potenziale, anche in termini di innovazione. In questo senso, standards di gestione possono essere uno strumento efficace per diffondere capacità organizzative tra le imprese, in particolare tra le aziende che hanno meno accesso a competenze manageriali esterne, come le piccole e imprese. Complessivamente, i risultati presentati nella tesi possono essere interpretati come un esempio di impatto positivo che la standardizazione può avere sull'innovazione, in linea con le politiche dell'Unione Europea che riconoscono la standardizzazione come potenziale catalizzatore per l'innovazione. ; XXIII Ciclo ; 1981