Our dear friend and respected colleague Giacomo Sani died on Sunday, June 20, 2010, in Milan, Italy, at the age of 78. He is survived by his wife, Marina Dotti, his children, Giulia and Laura, and two grandchildren.
The article discusses the evolution of the Italian electoral market. As far as the class cleavage is concerned, the data show the persistent weakness of this variable in explaining voting behaviour. The religious cleavage, which was very strong during the "First Republic," has lost a huge part of its predictive power due to change in the political supply. Also the explanations based on issues & values do not show a close relationship with voting. The "political dimension" is much closer to voting behaviour, & it raises the question of exploring its determinants. Tables, Figures, References. Adapted from the source document.
IntroduzioneIn tutte le democrazie i mesi che precedono una scadenza elettorale sono caratterizzati da un certo grado di incertezza che, a seconda delle particolarità del sistema politico, può riguardare il nome del vincitore, il margine della vittoria (o della sconfitta) di questo o di quel gruppo politico, il raggiungimento da parte di un cartello elettorale della maggioranza dei seggi nelle assemblee legislative, o le conseguenze del verdetto per lepoliciesdel futuro governo. A posteriori l'esito di una consultazione qualche volta appare scontato; ma basta ricollocarsi nell'atmosfera delle settimane e dei mesi che precedono il voto per rendersi conto del clima disuspense, dei timori e delle speranze con i quali protagonisti, osservatori e cittadini vivono la vigilia.
IntroduzioneNel corso degli anni ottanta gli osservatori hanno colto molteplici segnali di mutamento del sistema dei partiti in Italia e, in particolare, nel rapporto partiti-elettori, vedendo nei risultati delle diverse consultazioni indicazioni di un (potenziale) maggior dinamismo dei comportamenti di massa rispetto al passato. In quella fase l'attenzione degli studiosi è caduta a volte sulla graduale erosione dei tassi di partecipazione elettorale, a volte sulla diminuzione delle quote di consenso raccolto dai grandi partiti storici, a volte sull'emergere di nuove formazioni, a volte ancora sui tassi di instabilità registratisi in alcune zone del paese (Corbetta, Parisi e Schadee 1988; Caciagli e Spreafico 1990; Mannheimer 1991). Segnali convergenti provenivano da ricerche sugli orientamenti degli elettori rilevati tramite indagini demoscopiche. Così uno studio condotto alla metà degli anni ottanta suggeriva che, sotto la spinta di fattori diversi, si era verificato un allargamento della quota di elettori «nel mercato», cioè di cittadini disposti a considerare di volta in volta opzioni diverse da quelle del passato. Se ne deduceva l'esistenza di un accresciuto potenziale di mobilità con potenziali riflessi in futuro sulla forza dei diversi gruppi politici (Mannheimer e Sani 1987). Sino alla fine dello scorso decennio, tuttavia, il mercato elettorale italiano continuava a mantenere molte delle caratteristiche di un tempo. Certo, non mancavano gli elementi di novità, ma era difficile sostenere che si fosse già verificata una vera e propria rottura rispetto alle caratteristiche prevalenti nel passato. In sostanza, ci si trovava in presenza di un forte scollamento tra il potenziale di cambiamento intravisto dagli osservatori e l'evidenza delle cifre all'indomani del voto.
IntroduzioneNell'interpretare la distribuzione delle preferenze politiche dell'elettorato italiano nel secondo dopoguerra, sono stati comunemente utilizzati, anche in funzione della natura dei dati usati, tre diversi gruppi di variabili. Alcuni studiosi, seguendo una ben affermata tradizione di sociologia politica, hanno sottolineato il ruolo dei fattori socio-economici, sia a livello individuale che a quello ecologico. Altri hanno dato risalto all'esistenza di tradizioni politiche profondamente radicate e alla continuità delle sub-culture politiche esistenti nelle diverse zone del paese. Infine, in alcune opere più recenti le preferenze politiche sono state messe in relazione con un altro gruppo di variabili strutturali, e cioè i circuiti di comunicazione direttamente o indirettamente collegati e ispirati a questa o quella organizzazione politica.
The impact of the Catholic & socialist subcultures on partisanship in postwar Italy was facilitated by the presence of politically homogeneous social contexts which aided the transmission & reinforcement of partisan preference & thus contributed to electoral stability. Aggregate data from two surveys of the Italian electorate conducted in 1968 & 1972 were used to assess the influence of primary groups, organizational affiliations, & the political traditions of the community. Multivariate analysis indicated that primary groups have been relatively more important in shaping & reinforcing partisanship. Post-1972 developments seem to be the result of a gradual desegmentation of Italian society &, particularly, of the decline of the Catholic tradition. 10 Tables, 1 Figure. Modified HA.
IntroduzioneIn un saggio apparso di recente su questa rivista ho tentato di valutare il successo ed i limiti della strategia adottata dal Partito Comunista italiano nei confronti dell'elettorato. Le conclusioni, suggerite dai risultati di due ricerche elettorali condotte nel 1968 e nel 1972, erano, in breve, queste: il seguito elettorale del PCI è, dal punto di vista della composizione sociale, notevolmente eterogeneo e si avvicina ad una configurazione di tipo ≪ pigliatutto ≫ simile a quella degli altri due partiti di massa, DC e PSI; tra i fattori determinanti del successo del PCI hanno preminenza l'insediamento organizzativo del partito e la tradizione politica della comunità, mentre l'influenza diretta del fattore status è ridotta; l'elettorato non comunista ha una immagine del PCI che è, nell'insieme, assai negativa; questa immagine negativa ha quattro componenti principali: l'anticlericalismo attribuito al partito, la percezione che esso rappresenta un pericolo per la democrazia, che esso non è sufficientemente un partito d'ordine e, infine, i legami col movimento politico internazionale e in particolare con l'Unione Sovietica.
IntroduzioneNelle discussioni sulle strategie dei partiti, che sono andate intrecciandosi di recente, viene dato giustamente risalto al ruolo delle élites di partito, nazionali e locali. Dico giustamente perché non c'è dubbio che nella elaborazione, applicazione e valutazione delle strategie generali e delle tattiche particolari utilizzate, le élites di partito svolgono un ruolo fondamentale. Tuttavia concentrare l'attenzione esclusivamente sull'atteggiamento del gruppo dirigente di un partito è poco soddisfacente in quanto, per definizione, la applicazione di una strategia coinvolge altri attori politici. Inoltre, quando la strategia riguarda la mobilitazione di grandi forze sociali i piani di osservazione si moltiplicano rapidamente. In questo caso, infatti, i leaders e gli attivisti di un partito debbono non solo tener conto della probabile ≪ risposta ≫ di altri attori al loro stesso livello, ma anche introdurre esplicitamente nel loro quadro di riferimento il gruppo o i gruppi sociali che costituiscono ≪ l'obbiettivo ≫ della loro strategia. Determinare se e in qual misura una strategia di conquista di un determinato gruppo sociale abbia avuto successo significa porsi degli interrogativi che riguardano non solo i fondamenti del proprio piano di azione, ma anche la reazione del bersaglio. Il problema analizzato in questo saggio è precisamente di questo tipo. Dal 1944 il partito comunista italiano persegue una strategia di inserimento quale protagonista della vita politica italiana che è basata, a livello di massa, sulla capacità di estendere la sua penetrazione in strati sociali sempre piú ampi, e, a livello di élites, sulla possibilità di instaurare rapporti di alleanza con altre forze politiche che consentano al partito di accedere a posizioni di governo almeno a livello locale. A quasi trent'anni di distanza dall'enunciazione di questa strategia ci possiamo chiedere: come ha reagito l'elettorato italiano a questo piano di penetrazione formulato e portato avanti dal PCI nel dopoguerra? Questo quesito di carattere generale si scompone in una serie di interrogativi particolari che tenterò di affrontare via via in questo articolo; e cioè: fino a che punto è riuscito il PCI ad assicurarsi il pieno appoggio della classe operaia e ad estendere la sua forza negli altri ceti sociali? In che misura il PCI è diventato una forza politica pienamente accettata a livello di massa? E, infine, come viene visto il PCI dall'elettorato non comunista e quali sono le principali componenti di questa immagine? In un successivo saggio analizzerò alcuni fattori attinenti alla struttura dei canali di informazione politica che hanno condizionato e limitato l'ulteriore sviluppo del seguito elettorale del partito.
IntroduzioneLa carriera dei dirigenti di partito è stata spesso considerata come una progressione o un passaggio da cariche a livelli organizzativi inferiori a cariche a livelli superiori. Ma il termine « carriera » denota anche una certa stabilità della occupazione o professione svolta, ed esso si può applicare, almeno per una certa parte del personale dirigente, come vedremo subito, anche in questa seconda accezione. In questo articolo, ci occuperemo dapprima delle professioni prevalentemente esercitate dai dirigenti, concentreremo poi la attenzione sul fenomeno della professionalizzazione e sul ruolo svolto dai dirigenti che si occupano solo di politica, e toccheremo, da ultimo, il tema del partito come veicolo di mobilità sociale.