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In: Manuali 15$eFacoltà di Diritto Canonico San Pio X
Gli anni Venti del Novecento, dopo il progetto Ferri del 1921, hanno visto il lento declino della Scuola Positiva rispetto ai consolidati princìpi della Scuola Classica e all'emergere del tecnicismo giuridico, fino all'emanazione del Codice Rocco del 1930, c.d. "dal doppio binario", tuttora vigente, per quanto profondamente rimaneggiato. I saggi del presente volume affrontano alcune tematiche proprie del pensiero positivista, cercando di delineare quanto esse abbiano influenzato la codificazione penale di quegli anni e quanto, di esse, sia ancora vitale nella legislazione e nella dottrina penalistica del nostro tempo. Sono, così, a tacer d'altro, i temi dell'imputabilità, della pericolosità, specie se presunta dalla legge, della colpa d'autore, delle misure di prevenzione ante delictum, della difesa sociale, delle pene criminali e delle misure di sicurezza ad essere oggetto dell'attenzione, interrogandosi se l'eredità giuridica e culturale della Scuola Positiva possa definirsi ancora patrimonio del nostro tempo.
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In: Ricerche giuridiche. Nuovissima serie 101
In: Procedura Penale. Sezione Studi; Collana diretta da M. Bargis - G. Giostra - V. Grevi - G. Illuminat
In: Procedura Penale. Studi 44
Nel presente lavoro si riflette sui rapporti tra concorso di reati e concorso apparente di norme, nonché sulle ipotesi di unificazione legislativa di plurime violazioni di legge. La premessa è l'adesione alle teorie normative del reato, secondo le quali non esiste in natura l'unità o pluralità di reati. L'unità di disvalore, quindi, dipende dalle scelte di politica criminale del legislatore nella redazione delle norme. Ci si interroga, però, sull'esistenza di limiti costituzionali alle valutazioni legislative nella determinazione di fattispecie ritenute concorrenti. Il primo capitolo è dedicato alla disciplina del concorso apparente di norme e, più in generale, ai problemi di qualificazioni giuridiche multiple. Questi ultimi, infatti, possono riguardare anche mere questioni di interpretazione tra fattispecie tra loro alternative e non convergenti su medesimi fatti. È bene chiarire, in ogni caso, che tale problematica attiene al piano della tipicità. L'analisi delle teorie pluralistiche e monistiche relative al concorso apparente di norme, fa emergere l'esigenza di ampliare gli spazi di riconoscimento di una unità di reati, ben oltre i limiti stringenti della specialità ex art. 15 c.p. Tale esigenza, sebbene comprensibile sul piano dell'equità e della ragionevolezza della risposta sanzionatoria dell'ordinamento rispetto ai fatti realizzati dall'autore, non sembra trovare risposta nelle norme sul concorso apparente di norme, almeno de iure condito. Dalla ricostruzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale su presupposti, criteri di valutazione dell'apparenza del concorso e parametri di selezione della norma prevalente, in ogni caso, emerge un costante riferimento di dottrina e giurisprudenza al principio del ne bis in idem sostanziale. Sorge, allora, la necessità di comprendere cogenza e contenuto assertivo di tale principio. Ad una più approfondita analisi, de iure condito, esso appare un limite costituzionale alla moltiplicazione di conseguenze sanzionatorie rispetto ad una stessa offesa allo stesso bene giuridico. Si criticano, quindi, quelle impostazioni che lo ricostruiscono come un criterio utile ad estendere i casi di concorso apparente di norme oltre i casi previsti dalla legge. Ci si interroga, infine, sull'estendibilità di tale limite sostanziale al concorso di illeciti, anche ai rapporti tra illecito penale ed illecito amministrativo. Il secondo capitolo si concentra sulle ipotesi criminose da qualificare come reato unico nonostante l'esistenza di violazioni plurime di norme di legge. Ci si sofferma, quindi, sulle figure del reato complesso, reato progressivo e della progressione criminosa. Il terzo capitolo è dedicato all'analisi della pluralità di reati e al suo trattamento sanzionatorio. Si analizzano, quindi, la disciplina del concorso materiale o formale di reati, della continuazione e le ipotesi di reato aberrante, con particolare riguardo al trattamento sanzionatorio. A differenza di quanto accade per il problema delle qualificazioni giuridiche multiple, quindi, tale analisi non è limitata al piano della tipicità. In tema di concorso apparente di norme e di concorso di reati si tenta un confronto con la disciplina tedesca al fine di comprendere meglio i riferimenti della dottrina italiana al dibattito e alle esperienze d'oltralpe. Il lavoro, infine, si conclude con un'analisi sistematica della problematica dell'unità o pluralità di reati eterogenei de iure condito e con la riflessione su alcune prospettive de iure condendo.
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In: Politiche e servizi sociali 213
In: Pubblicazioni dell'Istituto di Diritto Penale e Processuale Penale 38
In: Procedura penale
In: Nuovi itinerari 3
In: Politiche e servizi sociali 216
La globalizzazione ed il multiculturalismo stanno ponendo all'ordinamento giuridico e, in specie, al diritto penale, una sfida inedita. L'intensificarsi dei flussi migratori ha infatti posto in discussione la tavola valoriale su cui si fondava l'ordinamento e ha sconfessato e reso labili i confini nazionali, che, lungi dal rispecchiare la tradizionale geografia delle confessioni religiose, vengono rimodellati dal continuo fluire di individui e gruppi provenienti da luoghi e culture profondamente diverse. In una società multiculturale e multireligiosa, il ricorso al diritto penale come mezzo di gestione dei conflitti che sorgono dal rapporto tra valori tutelati dalle fattispecie di reato e modelli culturali con essi confliggenti, rischia però di rendere il suo intervento inefficace e controproducente. La coesistenza di modelli culturali diversi richiede, infatti, strumenti flessibili, mentre il diritto penale è tradizionalmente un mezzo rigido di soluzione dei conflitti. Nel contesto di questa società complessa, nella quale le tensioni sociali e politiche indotte dai flussi migratori ed il timore del terrorismo internazionale, ostacolano la percezione delle diversità culturale come valore aggiunto di arricchimento attraverso il dialogo con "l'altro" e ne accentuano piuttosto le differenze in funzione di rafforzamento del senso identitario, è di notevole interesse indagare sul valore da attribuire all'orientamento culturale-religioso nel sistema penale italiano sia sul piano del c.d. "formante legislativo" che su quello "giurisprudenziale". E' proprio la prassi applicativa infatti che, in un contesto normativo connotato dall'assenza di un'esplicita presa di posizione da parte del legislatore, è in grado di restituirci la sensibilità del "diritto vivente" il quale nell'esperienza italiana presenta un approccio di tipo assimilazionista, connotato da minore elasticità rispetto alle posizioni emerse in dottrina, propense invece a riconoscere al fattore culturale effetti quantomeno in termini di mitigazione della risposta sanzionatoria. La giurisprudenza affronta la questione in termini di bilanciamento tra interessi, facendo tendenzialmente prevalere la tutela penale sul "fattore culturale-religioso". Se questa soluzione giurisprudenziale in favore della tutela penale appare però ragionevole quando viene in rilievo l'offesa ad interessi fondamentali della persona, diventa meno giustificabile quando è trasposta sui reati posti a tutela dell'ordine pubblico. E' diffusa in dottrina la convinzione che tutto ciò rifletta uno Zeitgeist ispirato a sentimenti di chiusura nei confronti del diverso così da far scontrare vistosamente il "fattore culturale-religioso" con l'euristica della paura provocando un'estremizzazione delle istanze di tutela.
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