Gender Studies in den Altertumswissenschaften: women and objects in antiquity
In: IPHIS - Beiträge zur altertumswissenschaftlichen Genderforschung Band 12
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In: IPHIS - Beiträge zur altertumswissenschaftlichen Genderforschung Band 12
In: Acta Instituti Romani Finlandiae volume 43
È noto come negli Stati Uniti il problema della violenza causata da armi da fuoco appartenenti a privati cittadini salga pressoché ogni anno agli onori delle cronache internazionali con episodi sconcertanti – risale a solo un anno fa la strage di Orlando in Florida, 12 Giugno 2016 - e costituisca, a ben vedere, un allarmante problema sociale e politico di affatto semplice soluzione. Esiste un dibattito molto complesso che riguarda non solo la legislazione in merito al controllo sull'utilizzo e la circolazione di armi, ma anche l'interpretazione di quello che storicamente costituisce la base giuridica del diritto alle armi negli Stati Uniti: il Secondo Emendamento alla Costituzione, contenuto nel Bill of Rights del 1791. Gli studi storici e giuridici che si occupano di indagare questa pagina di storia costituzionale hanno prodotto almeno tre indirizzi interpretativi: uno "collettivista", che vede nell'emendamento una prerogativa statale a creare milizie e inquadrarvi un corpo armato di cittadini; uno "individualista" che vede nell'emendamento e nelle sue fondamenta giuridiche risalenti al Bill of Rights inglese del 1689 la proclamazione del diritto individuale di ogni cittadino a "tenere e portare le armi" per propria autodifesa; infine, esiste un'altra corrente interpretativa detta "civic rights school" che tende a superare le visioni precedenti, ponendo una forte connessione tra il diritto individuale a possedere armi da utilizzare, però, non per pura difesa personale, ma nel contesto di una "milizia ben organizzata". Ad oggi è prevalsa giuridicamente una lettura individualista del Secondo Emendamento, affermata, nel 2008, in una sentenza della Corte Suprema, District of Columbia vs. Heller. Questa vittoria dell'indirizzo individualista può essere connessa con una svolta che avviene dalla seconda metà del XX secolo e che riguarda soprattutto l'universo politico conservatore. Negli anni Settanta si afferma tra le fila dei conservatori la visione del Secondo Emendamento come diritto individuale dei privati cittadini a possedere armi per la propria sicurezza personale, facendosi dunque rappresentante dei cosiddetti "gun rights", contrapponendosi alle misure di gun control che erano state promosse nel decennio precedente in seguito ai disordini sociali e ai celebri assassinii di Martin Luther King e del presidente J.F. Kennedy. Nella storica organizzazione promotrice delle armi e del loro utilizzo tra i cittadini statunitensi, la National Rifle Association, avviene lo stesso cambio di rotta: se in un primo momento la politica dell'organizzazione è indirizzata a favore del "law and order", a metà anni Settanta, in concomitanza dell'ascesa politica di Ronald Reagan e della svolta neoliberista in Occidente, comincia a porsi a difesa dei cosiddetti gun rights: lo stato federale non deve porre alcuna restrizione sul possesso di armi private per propria autodifesa. Armi che in passato hanno rappresentato per i padri fondatori il mezzo necessario per liberarsi dal potere tirannico della corona inglese e che, dunque, apparterebbero a una "tradizione di libertà" che non tollera intrusioni statali sulla vita dell'individuo privato, la cui sicurezza è direttamente consegnata nelle sue mani. Una visione che vede nelle armi anche un tratto distintivo della storia americana, fino a costituire un vero e proprio elemento culturale distintivo. In effetti, l'arma da fuoco rappresenta per molti cittadini (e cittadine) l'emblema della lotta per l'indipendenza e della glorificazione della frontiera, lo strumento col quale fu possibile l'espansione verso Ovest durante il XIX secolo. Tuttavia, l'idea che le armi siano da considerare un elemento culturale imprescindibile e immutabile nella storia degli Stati Uniti è, nell'analisi storica odierna, oggetto di dubbio. Le ricerche sulla "gun culture" si sono inoltre arricchite di chiavi interpretative che hanno permesso di indagare questo frangente attraverso la lente del genere. In questa sede, mi sono infatti occupata di seguire il percorso storico delle donne nella "gun culture", senza affatto esaurire la complessità e la vastità legate a questa tematica. Al contrario, molte altre indagini potrebbero essere fatte in questo ambito (ad esempio, esplorando possibili connessioni della gun culture con le questioni della comunità afroamericana). Una cultura delle armi che dunque si nutre dell'idealizzazione delle figure rivoluzionarie, dei padri fondatori e dei pionieri e che, almeno in apparenza, sembra non aver spazi di azione e celebrazione di modelli femminili capaci di determinare le sorti individuali e nazionali. È tuttavia poco esaustiva, l'idea di una "gun culture" come appannaggio di un'unica categoria di soggetti che, alla fine del XVIII secolo, acquistano automaticamente cittadinanza formale e sostanziale, vale a dire, cittadini maschi e bianchi. A ben vedere esistono, fin dal XVII e XVIII secolo, numerose narrazioni di soggetti femminili armati e che continuano a essere rappresentati successivamente, fino a essere inglobati nella cultura di massa del XX secolo. Se in alcune fasi e in alcuni contesti la rappresentazione della donna armata tende a mettere in crisi gli stereotipi legati ai ruoli di genere, in altri tale figura è utilizzata, al contrario, per ristabilire una "normatività", caricando il soggetto, seppur munito di un'arma letale, di qualità "femminili" familiari e rassicuranti. Contraddicendo l'assunto per cui la National Rifle Association - l'ambiente più rappresentativo della gun culture e anche il più intriso di miti "machisti" e individualisti – riuscirebbe a inquadrare con fatica al suo interno il pubblico femminile, negli ultimi decenni del Novecento le donne hanno assunto al suo interno un certo peso politico, schierandosi a difesa dei gun rights. Con la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, l'associazione ha aperto le porte della propria membership anche a una fetta presumibilmente crescente di donne interessate alle armi da fuoco e alla promozione e difesa dei gun rights. In questo stesso periodo si è aperto un discorso "post-femminista" che ingloba al suo interno la logica di strenua affermazione del diritto di portare le armi come un diritto individuale, connettendola ai temi dell'emancipazione e dell'autodeterminazione. La pistola costituirebbe per le donne un potente mezzo di autodifesa da aggressioni sessuali, un elemento chiave che farebbe la differenza in ogni situazione a rischio e che vanificherebbe la maggiore forza dell'aggressore portando il soggetto femminile armato in una situazione di parità. Attraverso l'analisi contenutistica di una rivista dedicata alle donne, alle armi da fuoco e ai loro vari utilizzi, "Women and Guns", nel capitolo finale ho cercato di rilevare il tipo di narrazione dispiegato per definire un'identità femminile armata. Se in passato il soggetto femminile munito di pistola costituisce, da un punto di vista storico-culturale una figura talvolta "ibrida", cioè capace di entrare in conflitto con le codificazioni dei ruoli di genere, in questo contesto assistiamo, invece, alla riproposizione di una figura femminile che si vuole sì autonoma nella difesa di se stessa e della propria casa da un'aggressione esterna, ma che non sembra sconvolgere una normatività bianca ed eterosessuale: le protagoniste indiscusse di questa rivista risultano essere, infatti, donne bianche, di mezz'età, madri singole o sposate con uomini. Ad essere celebrato in Women & Guns è il senso di responsabilità individuale che queste donne dimostrano di avere nella decisione di armarsi per proteggere se stesse, la famiglia e la proprietà privata. C'è poi l'idea che l'aggressione sessuale sia, nella maggior parte dei casi, agita da un soggetto maschile, "criminale", esterno alla propria cerchia familiare: questo fa sì che in Women and Guns la dinamica di aggressione venga fortemente individualizzata, facendo risaltare un soggetto femminile armato trionfante, che riesce a prevalere sul proprio aggressore, grazie alle sue abilità con la pistola. Nell'osservare questi materiali e mettendoli in relazione al contesto di riferimento di molte donne che coltivano l'interesse per le armi ( la NRA) mi è sembrato di riscontrare alcuni denominatori comuni non estranei, peraltro, a quelle correnti "post-femministe" di cui ho accennavo sopra: in primo luogo, il "mito individualista" costruito intorno alla storia e all'interpretazione del Secondo Emendamento, reso emblema del diritto alla difesa personale, slegato della sua componente "statale"; secondo, una sfiducia significativa nei confronti di misure legislative di gun control prese a livello federale e delle forze dell'ordine, ritenute incapaci di garantire, da sole, la sicurezza dei cittadini (e cittadine); terzo, una visione "moralizzata" del problema della gun violence in cui una comunità di individui armati e rispettosi della legge – a cui si lede un diritto individuale nel momento in cui si tenta di porre restrizioni e regolamentazioni - si contrappone ai criminali, "bad guys", la minaccia esterna alla proprietà e all'incolumità contro la quale è necessario non farsi trovare impreparati. Questo si traduce, in Women & Guns, in una visione della violenza di genere slegata da considerazioni più ampie sulle manifestazioni della misoginia e del patriarcato insinuate in ambito pubblico e privato, e in un'ossessiva ripetizione di un leit motiv: con la pistola, se si è in grado di usarla, decade qualunque disparità fisica e, dunque, anche il pericolo di sopraffazione. Una donna, se responsabile, è consapevole di questa opportunità ed è perfettamente in grado di scegliere di armarsi contare in modo autonomo sulle proprie forze e sui propri mezzi, rifiutandosi di essere una "vittima" e neutralizzando in modo esclusivo e individualistico il pericolo di un'intrusione illegittima di un aggressore nel proprio ambito privato e della violenza sessuale.
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In: Labour & industry: a journal of the social and economic relations of work, Band 15, Heft 1, S. 53-64
ISSN: 2325-5676
In: Generi e società 2
In: European university studies
In: Series 21, Linguistics 301
Attraverso un'analisi storico-concettuale, questa ricerca indaga la funzione sociale e politica attribuita alle donne e alle famiglie da Alexis de Tocqueville e Gustave de Beaumont. Esaminando la costruzione di ideali di femminilità specifici nelle opere dei due autori, si mette a tema la subordinazione della donna come fondamento del governo della democrazia liberale, per far emergere il fulcro patriarcale delle logiche del potere politico e sociale moderno nel quadro della rivoluzione del mercato. Guardando alla circolazione atlantica e coloniale dei concetti moderni e focalizzandosi sulla centralità degli Stati Uniti, dell'Algeria e dei Caraibi francesi nella definizione di un ordine all'altezza delle sfide poste dal processo rivoluzionario in Francia e dal capitalismo industriale, si mostra la necessità del riferimento alla donna come paradigma della moderazione, fondato sulla definizione sessuata delle virtù, e come strumento di contenimento del conflitto sociale. L'indagine su questo tema mostra la rilevanza della riflessione di Gustave de Beaumont, il cui romanzo-saggio Marie funge da contraltare delle riflessioni proposte da Tocqueville ne La democrazia in America, mentre L'Irlande e i contributi sull'Algeria e sul 1848 suggeriscono la necessità di pensare congiuntamente ordine familiare e ordine sociale. Ricostruendo la contesa - di cui i due autori sono parte - sulla differenza sessuale e sull'uguaglianza, emerge il suo legame con la necessità di una scienza politica che incida sull'inarrestabile rivoluzione democratica, e quindi sul futuro della civilizzazione. In un orizzonte articolato da molteplici temporalità rivoluzionarie, che mettono in tensione i concetti di eguaglianza, libertà, proprietà e fratellanza, la donna democratica funge da stabilizzatrice delle società e da garante tanto del rapporto politico tra individui e Stato, quanto delle esigenze del mercato globale, a fronte della crisi, già in atto, della figura di individuo proprietario e lavoratore. ; Through a historical-conceptual analysis, this research investigates the social and political function ascribed to women and families by Alexis de Tocqueville and Gustave de Beaumont. By examining the construction of specific ideals of womanhood in the writings of the two authors, this work thematizes the subordination of women as a cornerstone of the government of liberal democracy, to bring out the patriarchal fulcrum of the logics of modern political and social power in the context of the market revolution. Looking at the Atlantic and colonial circulation of modern concepts as central to the definition of an order at the height of the challenges posed by the revolutionary process in France and by industrial capitalism, the research shows that woman is understood as a paradigm of moderation, based on the gendered definition of virtues, and as a tool for the containment of social conflict. The investigation of this theme shows the relevance of the reflection of Gustave de Beaumont, whose novel-essay Marie serves as a counterbalance to the reflections proposed by Tocqueville in Democracy in America; L'Irlande and the contributions on Algeria and on the 1848 Revolution suggest the need to think jointly about family order and social order. By reconstructing the dispute over sexual difference and equality, it emerges its connection to the need for a political science to deal with the unstoppable democratic revolution, and thus with the future of civilization. In a horizon articulated by multiple revolutionary temporalities, which challenge the concepts of equality, freedom, property and brotherhood, the democratic woman operates as a stabilizer of societies and as a protector both of the political relationship between individuals and the state, and of the needs of the global market, facing the crisis, already underway, of the figure of the individual owner and worker.
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La ricerca indaga la presenza e l'opera di scrittrici italiane minori e poco visibili nel canone della scrittura educativo-letteraria fra Otto e Novecento, con una produzione editoriale letteraria rivolta alle scuole o ad un pubblico prevalentemente femminile. Essa si articola in tre parti, più una sezione introduttiva, in cui vengono analizzati i dati relativi a un campione di 277 autrici (definite scolastiche, non scolastiche, miste) preso come significativo di una realtà diffusa a livello nazionale. Nella prima parte della ricerca, dal titolo "Le idee", si evidenziano le diverse posizioni teoriche di alcune docenti all'interno della "questione femminile" nel corso dell'Ottocento, seguendo l'evoluzione delle teorie dell'educazione femminile che procedono di pari passo con il dibattito per l'allargamento dei diritti civili alle donne, e che ha il suo punto di maggiore avanzamento nel Congresso Nazionale delle Donne di Roma del 1908. Nella seconda parte, "I testi", vengono esaminati alcuni manuali scolastici (come quelli di Colombini, Pozzoli, Morandi, Vertua, Baccini), dal punto di vista letterario e di pratiche paratestuali, fra cui le dediche, che valorizzano genealogie femminili. Nella terza parte, "Le reti", si analizzano tre esempi di progettazione e coordinamento di opere femminili in rete (da Gualberta Beccari, Emma Tettoni, Emma Boghen Conigliani). La metodologia gender sensitive ha seguito un percorso indiziario, volto al reperimento di documenti, come lettere, opuscoli, conferenze, discorsi, recite scolastiche, saggi letterari poiché, secondo le indicazioni delle Annales (Aries, Duby, Lett, Ginzburg), riprese dalla storiografia dell'educazione, è importante partire nella ricerca proprio dalle micronarrazioni, dalle microstorie, dall'irrompere del quotidiano e delle vite ordinarie femminili nella grande storia politica, come in una black box of schooling, con una motivazione etica e democratica, mirata a uno spostamento di sguardo sulle dimensioni territoriali, locali, sulle omissioni e sulla rilevanza delle fonti e delle testimonianze private nella grande storia e nella storia sociale. ; This research focuses the presence and work of minor Italian women writers in the canon of literary-educational writing between the 19th and the 20th centuries, whose publications were meant for schools or for a female readership. Our study is divided into three parts, plus an introductory section in which the data relative to a sample of 227 women authors is analyzed. The writers are defined as educational, non- educational and mixed, and the sample is taken as representative of the wider national reality. In the first part, entitled "Ideas", we follow the theoretical positions about the "Woman Question" during the 19th century, as well the theories of female education, whose moment of greatest progress was The Congresso Nazionale delle Donne in Rome in 1908. In the second part, "Texts", famous schoolbooks (Colombini's, Pozzoli's, Morandi's, Vertua's, Baccini's one), are examinated in order from literary standpoint and para-textual practices, such as dedications, which highlight female historical or literary genealogies. In the third part, entitled "Networks", attention is given to three examples of networking, those projects and coordination of works were achieved by women (Gualberta Beccari, Emma Tettoni, Emma Boghen Conigliani). The gender sensitive methodology has followed a trail of clues aimed at locating documents such as letters, pamphlets, lectures and speeches, school recitals and literary essays since, according to the indications of the Annales (Aries, Duby, Lett, Ginzburg), influential in the historiography of education, it is important for research to start from micro-narrations, micro-stories, from when the everyday ordinary lives of women break into political history at large, as in a black box of schooling, with an ethical and democratic intent aimed at redirecting our attention to the local and territorial dimensions, to omissions and to the importance of private sources and testimonies in political and in social history.
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Il trasferimento in Occidente di reliquie provenienti dai principati latini d'Oriente nel XII secolo fu spesso utilizzato come strategia politico-religiosa nel sostegno al movimento e agli stati crociati. Il ruolo svolto dalle donne laiche o religiose in questo campo presenta connotazioni specifiche, dovute alla realtà multiculturale di Outremer, che rimandano sia ai modelli bizantini di trasmissione ereditaria delle reliquie sia a innovative strategie di legittimazione del potere femminile in un contesto politico molto delicato (in particolare per l'invio di reliquie della Vera Croce). Tra i casi analizzati spicca quello delle badesse del monastero di Santa Maria la Grande di Gerusalemme, la cui autorità di custodi del santuario gerosolimitano e di garanti dell'auten- ticità delle reliquie inviate consentiva un ampio margine di autonomia nella gestione del sacro. ; During the twelfth century the translation of relics from the Crusader states to the West was often used as a religious and political strategy to disseminate the crusading ideas and support the Latin East. Noble and religious women played a special role in this phenomenon, which deserves to be studied. Thanks to the cross-cultural background of the Latin East, women were able to re-use previous Byzantine patterns of relic translation and new strategies to legitimize their power in a difficult political situation (especially for translating relics of the True Cross). One of the best examples involved the abbesses of Saint Mary Maior of Jerusalem, whose au- thority as guardians of the holy shrine allowed them to guarantee the authenticity of the relics they sent in the West, thus gaining considerable independence in managing sacred items.
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In: Italian Political Science Review: Rivista italiana di scienza politica, Band 37, Heft 3, S. 459-469
ISSN: 0048-8402
In: Collana di sociologia 443
The essay shows a teaching Unit about the theme of women's work, through the study of two industrial realities: the Tabacco Factory and the Cotton Factory. The key points of the lessons are the legal condition of women, established by the Pisanelli's Code (1865), the economic, social and cultural conditions of the workers, and the drafting of protection legislations of female workers: these themes are dealt in the wider context of the first Italian feminism and the Socialist movement. An important moment of the didactic activity is the visit to "History's places", during which students come into direct contact with the urban places where people have lived and where the events have been. After that, there is a proposal of some documents about the discussion regarding the protection of women workers. Lastly, some activities about "Civic Education" are recommended and are provided some possible interdisciplinary paths. ; Il saggio illustra un'Unità didattica sul tema del lavoro femminile attraverso lo studio di due realtà industriali: la Manifattura tabacchi e il Cotonificio di Venezia. Le direttrici fondamentali delle lezioni sono la condizione giuridica delle donne sancita dal Codice Pisanelli (1865), le condizioni economiche, sociali e culturali delle operaie e la redazione delle leggi di tutela delle lavoratrici; questi temi vengono trattati nel contesto più ampio dello sviluppo del primo Femminismo italiano e del movimento Socialista. Un momento centrale dell'attività didattica è costituito da una visita sui "Luoghi della storia", nel corso della quale gli studenti entrano in contatto diretto con gli spazi urbani in cui sono vissute le persone e si sono svolti gli avvenimenti. Segue una proposta di lettura di documenti intorno al dibattito sulla tutela delle donne lavoratrici. Infine, vengono suggerite alcune attività di Cittadinanza e Costituzione e vengono indicati alcuni possibili percorsi interdisciplinari.
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In: Idee/ antropologia., Nuova serie 142