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Quello del cosiddetto Antropocene, ossia l'era delle alterazioni climatiche in corso, è un concetto elaborato nelle scienze naturali, pur essendo di natura eminentemente storica. Esso mostra una tendenza ad informare le politiche climatiche a livello globale, e dunque merita un esame attento. L'articolo offre una critica radicale del concetto di Antropocene svelandone le connotazioni di genere, di classe, e neocoloniali. ; The Anthropocene concept, indicating the current age of climate change, has been elaborated within the natural sciences, although it has an eminently historical meaning. Due to its tendency to orientate global climate politics, the concept deserves a critical scrutiny. The article offers a radical critique of the Anthropocene narrative, revealing its gender, class, and neo-colonial connotations.
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Heathen Earth: Trumpism and Political Ecology looks beyond the rising fortunes of authoritarian nationalism in a fossil-fueled late capitalist world to encounter its conditions. Trumpism represents an alternative to the forces undermining the very cosmology of the modern West from two opposing directions. The global economy, the pinnacle of modernization, has brought along a dark side of massive inequality, corrupt institutions, colonial violence, and environmental destruction, while global warming, the nadir of modernity, threatens to undo the foundations of all states and all markets. To the vertigo of placelessness, symptomatic of globalization, is added the ecological vertigo of landlessness. With reality slowly fragmenting, it is only too obvious in this light that Trumpism and other nationalist movements would attract massive hordes of supporters. Promising to expel foreigners and to restore unity and equality by taking power back from the global elites, while utterly denying the climate science that calls ordinary means of subsistence and consumption radically into question, Trumpism can be seen as an antidote to the toxic combination of global markets and global warming. The irony, of course, is that Trumpism only responds to these dangers by doubling down on the reckless expansionist logic that gave rise to them in the first place. This book, composed entirely between November 8, 2016 and January 20, 2017, examines Trumpism according to its regime of political representation (despotism), its political ontology (nativism), and its political ecology (geocide), while laying the groundwork for an alternative politics and a resistant, responsive ecology of the incompossible.
In: Vite parallele, Ibridazioni e Società Mutagena - Open Access
Rapid changes are transforming the world and some of these represent the guiding thread of this volume. Unpredictable, dramatic consequences may occur if effective measures are not put in place. Measures that can reverse the destructive course that contemporary civilization is following and with which we are undermining the conditions of existence of that same civilization. By addressing various topics ranging from the cultural construction of modern Norway to the issue of ideological overheating up to young people, the challenge of this volume is to offer a profound reflection on our society.
Se dobbiamo chiederci come sarà la pratica del Design nel prossimo futuro, certamente bisogna osservare il presente e capire quali sono i segnali di cambiamento che si stanno verificando e provare a proiettarli in una logica di forecasting. E il segnale più evidente che non possiamo non considerare è la presa d'atto sempre più pressante della inadeguatezza del sistema di consumo massivo a cui la società contemporanea, almeno quella nei paesi ad economie mature, si era conformata e informata nel corso del secolo precedente. Il Design, nato e sviluppatosi in quello stesso sistema, oggi sta dimostrando la necessità di un ripensamento e di un cambiamento dei propri paradigmi. A livello di riflessione teorico critica, questo ripensamento e cambiamento è un dato oramai certo e già se ne sono immaginate possibili evoluzioni. Ma quello che qui ci interessa conoscere è se e quali cambiamenti stanno avvenendo anche nel fare Design, in quella dimensione pratica con cui il Design, o meglio i designer, si esprimono e danno il loro contributo al sistema sociale, culturale, produttivo ed economico. Per far questo gli autori hanno aperto un dialogo informale con due realtà progettuali che già nella loro struttura si configurano come un seme di cambiamento e che attraverso un agire riflessivo, critico ma altrettanto germinativo hanno fatto del loro lavoro e di loro stessi un campo di sperimentazione per il fare Design del prossimo futuro. Ne emerge un quadro interessante dove la parola chiave è "resilienza", intesa qui non nella sua accezione politica di "resistenza" ma in quella più vicina alla psicologia che parla di "riorganizzazione positiva", di "ricostruzione sensibile" di "valorizzazione della identità". Ecco quindi una pratica fatta di idee prima ancora che di forme, di pensieri critici che sotto forma di oggetti ridisegnano "resilientemente" il prossimo futuro quasi a rispondere al quesito "leviano" del "se non ora, quando?"
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In questo saggio si sostiene che il cambiamento climatico metta sotto pressione una distinzione che sta al cuore della teoria e della pratica liberale, quella tra il pubblico e il privato, in modi nuovi e sistematici. Molti dei comportamenti individuali che contribuiscono al cambiamento del clima – - quali usare il computer, farsi una doccia calda, guidare una macchina, riscaldare casa, prendere l'aereo, investire qui o lì, mangiare questo o quello, e fare uno o più figli – sono generalmente considerati privati. E però oggi questi comportamenti hanno conseguenze pubbliche notevolissime, per quanto indirette, che trascendono confini sia spaziali che temporali. Il saggio considera la distinzione pubblico/privato e discute alcune forme che essa ha preso nella storia della teoria politica liberale; spiega i modi in cui il fenomeno del cambiamento climatico metta quella distinzione sotto forte pressione; e considera alcune opzioni per allentare la pressione, nessuna delle quali appare pienamente soddisfacente in ottica liberale.
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Le toponimie native sono state un tema assai poco frequentato dall'etnografia classica, nonostante la riflessione sulle terminologie native (etno-tassonomie, termini di parentela etc.) sia stato un asse fondamentale del pensiero antropologico del novecento. In questo saggio si ripercorrono le ragioni di questo relativo disinteresse, riconducibili, a posteriori, al posizionamento geo-politico coloniale implicito nella nozione stessa di indigenità. Alla luce dei risultati degli studi accumulati nell'ultimo trentennio, e di una comparazione fra i sistemi toponimici amerindiani ed australiani, le etno-toponimie si rivelano invece un dato di primaria importanza per indagare e mappare etnograficamente un rapporto nativo con i luoghi dato troppo spesso per scontato dietro le metafore del "radicamento" e dell'"ancestralità" e riconoscere, oltre la nozione stessa di indigenità, la vigenza di diverse "geontologie" native. Le rivendicazioni dei diritti territoriali nativi hanno fatto emergere nell'ultimo trentennio la valenza politica che tali parole rivestono in contesti giuridici nazionali ed internazionali in cui si negoziano tali diritti. Da questa prospettiva, l'accresciuta agency politico-giuridica dei popoli nativi in seno alle nazioni post-coloniali si rivela strategica in una congiuntura di crisi ecologica conclamata dove l'agentività della terra (terremoti, alluvioni, cambiamenti climatici etc.) pretende una voce ed un ascolto politico che sembrano latitare del tutto a livello di governance internazionale. I diritti nativi possono diventare in tal senso cruciali per l'elaborazione di nuove frontiere di diritto orientate a promuovere e garantire nuove forme di convivenza fra umani e non umani (compresi gli enti geologici e meteorologici "inanimati"), spostando i confini della soggettività politica e giuridica.
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Il saggio propone alcune riflessioni introduttive all'intero volume collettaneo Natura come soggetto di diritti. Prospettive antropologiche e giuridiche a confronto, per mettere in luce quanto i diritti dell'ambiente stentino a decollare e ad affermarsi ovunque, ma anche quanto i diritti acquisiti dei popoli indigeni (soprattutto in vari contesti dell'America latina) si mostrino fragili se non inconsistenti di fronte alle attuali politiche energetiche e di sfruttamento delle risorse. C'è una evidente connessione tra i due aspetti, diritti della Natura e dei popoli nativi, in un certo senso "sancita" da alcune riforme costituzionali dell'Ecuador e della Bolivia, sostenute da indicazioni dalle Agenzie delle Nazioni Unite, che dovrebbero tutelare sia la Natura quanto i popoli nativi entrambi percepiti come strettamente interconnessi e dunque particolarmente esposti alle intemperie dell'Antropocene. Lo scenario della predazione senza scrupoli di fonti energetiche e di risorse, frutto del consolidarsi di ideologie antropocentriche sempre più diffuse e radicali, appare tanto più distruttivo, caotico e senza senso se a testimoniare sono le voci dei popoli nativi che ci interrogano sul tipo di pianeta che vogliamo lasciare alle generazioni future.
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We are living in an age in which disasters are a basically constant backdrop of breaking news, but that can be named as natural provided only that we ignore the evolutionary path leading to the present situation.Namely, the present pandemic – interpreted as a stress test of our model of development – shows itself as a real «anthropocenic catastrophe». As a catastrophe, not only because of its unquestionable tragic impact on lives, but also, following René Thom, as an abrupt evolutionary discontinuity, as acatastrophe of a representation of the world. Anthropocenic, because, despite the ongoing debate over such concept, it is hard to ascribe SARS-CoV- 2 to nature.The present essay aims at framing the pandemic within the model of territoriality by Claude Raffestin, showing how the neoliberal paradigm has taken to the extreme its choices in terms of blind trust in digitalisation and automation (algocracy), regarding decision-making, work, and health, so finally disrupting the evolutionary inner adjustment process through which territorialities have been able through time to settle singularities into a common framework. ; Les désastres et calamités qui, avec une obsédante répétitivité, forment le fond têtu du flux quotidien des nouvelles ne peuvent désormais être qualifiés de « naturels » qu'à la seule condition d'ignorer le chemin évolutif qui a conduit à la situation que nous vivons.En particulier, la pandémie en cours, en tant que test de résistance du modèle de développement actuel, se présente comme une véritable « cata -strophe anthropocènique ». Comme catastrophe, non seulement en raison de ses effets dramatiques incontestables dans la vie quotidienne, mais aussi au sens de René Thom, comme brusque discontinuité évolutive, catastrophe d'une représentation du monde. Anthropocènique, car, bien que ce concept fasse encore l'objet de débats, il est difficile de nier que le SARS-COV- 2 soit attribuable à l'impact des activités humaines.Cet essai tente de cadrer la pandémie dans le modèle de territorialité de Claude Raffestin, en essayant de montrer comment le paradigme néolibéral a poussé ses options à l'extrême, en termes de foi aveugle à l'égard du numérique et l'automatisation (algocratie), dans les sphères du politique, du travail et de la santé, interrompant ainsi définitivement le processus évolutif de régulation interne qui a permis dans le passé aux territorialités de composer les singularités dans un cadre commun. ; I disastri e le calamità che con ossessiva ripetitività fanno da sfondo ostinato al flusso delle notizie sono designabili ormai come naturali solo a patto d'ignorare il percorso evolutivo che ha portato alla situazione che stiamo vivendo. In particolare, l'attuale pandemia come stress test del modello di sviluppo corrente, si presenta come una vera «catastrofe antropocenica». Come catastrofe, non soltanto nei suoi indubbi effetti drammatici nel quotidiano, ma anche nel senso di René Thom, come brusca discontinuità evolutiva, catastrofe di una rappresentazione del mondo. Antropocenica, perché, nonostante tale concetto sia ancora oggetto di dibattito, è difficile negare che il SARS-CoV-2 sia ascrivibile all'impatto delle attività umane. Il presente saggio cerca di inquadrare la pandemia all'interno del modello di territorialità di Claude Raffestin, nel tentativo di mostrare come il paradigma neoliberista abbia portato alle estreme conseguenze le proprie opzioni in termini di cieca fiducia nella tecnologia digitale e nell'automazione (algocrazia), nella sfera politica, lavorativa, della salute, in tal modo interrompendo definitivamente il processo evolutivo di regolazione interna che consentiva alle territorialità di comporre le singolarità in un quadro comune.
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In: Stan rzeczy: S Rz ; teoria społeczna, Europa Środkowo-Wschodnia ; półrocznik, Heft 1(14), S. 109-134
Jak twierdzi Martín Caparrós, "ekologia urasta do rangi znaku naszych czasów, czasów bez pomysłu na przyszłość". Świetną ilustrację tej tezy stanowi interdyscyplinarna debata na temat propozycji E.F. Stoermera i P.J. Crutzena, którzy z uwagi na skalę i zakres ludzkich ingerencji w systemy planetarne zasugerowali, by współczesną epokę geologiczną nazwać antropocenem – epoką człowieka. Naukowcy zatroskani skalą obecnego kryzysu planetarnego formułują kolejne już ostrzeżenia dla ludzkości. Czy rzeczywiście antropocen to epoka bez pomysłu na przyszłość? Utraciliśmy rafy koralowe, stabilność klimatu, pory roku, poszczególne gatunki, a nawet naturę. Jak rozumieć tezę o utracie przyszłości w epoce człowieka? Jak się wydaje, nieprzekraczalną blokadą dla myślenia o przyszłości w XXI wieku jest dominacja myślenia rynkowego. W jego ramach horyzont inwestycyjny to najwyżej 20–30 lat. Czy ignorowanie kosztów klimatycznych i środowiskowych rozwoju współczesnych gospodarek nie świadczy o braku wyobraźni i zbiorowym wyparciu samej idei przyszłości? Czy ryzyko nagłej zmiany klimatycznej nie kwestionuje myślenia linearnego i dotychczasowego, zachodniego pojmowania czasu? W artykule szukam odpowiedzi na powyższe pytania, opierając się na wcześniejszej analizie wybranych narracji w debacie na temat antropocenu. Należą do nich: 1) naturalistyczna narracja przyrodoznawców (E. Stoermer, P. Crutzen, W. Steffen, J. Zalasiewicz, J. Rockström), 2) narracja humanistów w nurcie postnaturalizmu: D. Haraway, B. Latour, I. Stengers, D. Chakrabarty, 3) dyskurs eko-marksistowski, operujący etykietką kapitalocenu i krytyczny wobec etykietki antropocenu: J. Moore, I. Angus, A. Hornborg, A. Malm, C. Bonneuil, J.-B. Fressoz, S. Lewis, M. Maslin, 4) dyskurs eko-katastroficzny (C. Hamilton, E. Crist, J. McBrien, E. Swyngedouw, N. Oreskes i E. Conway), a także 5) narracja ekomodernistów mówiąca o dobrym, a nawet wspaniałym antropocenie (T. Nordhaus, M. Schellenberger, D. W. Keith).
Heathen Earth: Trumpism and Political Ecology looks beyond the rising fortunes of authoritarian nationalism in a fossil-fueled late capitalist world to encounter its conditions. Trumpism represents an alternative to the forces undermining the very cosmology of the modern West from two opposing directions. The global economy, the pinnacle of modernization, has brought along a dark side of massive inequality, corrupt institutions, colonial violence, and environmental destruction, while global warming, the nadir of modernity, threatens to undo the foundations of all states and all markets. To the vertigo of placelessness, symptomatic of globalization, is added the ecological vertigo of landlessness. With reality slowly fragmenting, it is only too obvious in this light that Trumpism and other nationalist movements would attract massive hordes of supporters. Promising to expel foreigners and to restore unity and equality by taking power back from the global elites, while utterly denying the climate science that calls ordinary means of subsistence and consumption radically into question, Trumpism can be seen as an antidote to the toxic combination of global markets and global warming. The irony, of course, is that Trumpism only responds to these dangers by doubling down on the reckless expansionist logic that gave rise to them in the first place. This book, composed entirely between November 8, 2016 and January 20, 2017, examines Trumpism according to its regime of political representation (despotism), its political ontology (nativism), and its political ecology (geocide), while laying the groundwork for an alternative politics and a resistant, responsive ecology of the incompossible
In questo lavoro rifletto su come la caduta del confine tra natura e società, e tra forme di esseri viventi diversi messa in atto dalle scienze biologiche, stia offrendo una sorta di continuità tra ontologie scientifiche, in particolare quelle che studiano le piante, e le ontologie native che si fondano su presupposti continuativi e relazionali tra forme di vita a cui le scienze della vita stanno giungendo avendo percorso cammini nella storia attraverso metodi e teorie controverse. Avanzo l'ipotesi che i diversificati pensieri nativi che non aderiscono al paradigma naturalista Occidentale, si riconoscerebbero nelle consapevolezze raggiunte dalle odierne scienze botaniche. Questa "continuità" tra scienza ed ontologie indigene, ma soprattutto tra pratiche e saperi ha una grande rilevanza in relazione alle possibili risposte congiunte da dare per un'azione politica contro l'insostenibilità del sistema attuale di accaparramento delle risorse e dei territori, e a difesa dei diritti che vedono senza discontinuità popoli, nativi e ambiente (Rose 2005; Hallison 2015). Risposte che hanno capacità di incidenza indubbiamente diverse a seconda delle posizioni inferiorizzate e marginalizzate che le popolazioni native sono state costrette ad occupare all'interno dei propri Stati e a seconda dello status giuridico, assegnato alla "natura" e/o all'ambiente. La messa in atto politica della continuità tra ontologie scientifiche e native potrebbe dare strumenti giuridici a favore della difesa dei diritti della "Natura" non più separata dalla nozione di società/cultura, e non più gerarchizzata al suo interno. Tale separazione ha storicamente alienato "natura" e "società", rendendo risorse e persone isolate, mobili e dunque soggetti vulnerabili all'esproprio. Le antiche e attuali forme di colonizzazione hanno imposto nel corso della storia i loro principi di predazione negando l'intreccio tra la forme di vita umane e non umane, come la botanica ci sta indicando, ma anche come i saperi e le pratiche native da tempo ci hanno mostrato, secondo quella che Rose (2005) ha definito the "indigenous ethic of connection." Questo lavoro e i suoi intenti sono divisi in due parti connesse ma ben distinte: nella prima si propone di riflettere su aspetti centrali della svolta botanica a partire dai punti di vista delle odierne scienze delle piante, come rappresentative di un rilevante processo di auto-decolonizzazione che obbliga a ripensare in maniera radicale le basi ideologiche e politico-economiche su cui si regge molta parte delle pratiche socioeconomiche capitaliste, neocolonialiste delle società industrializzate in generale. Tale svolta botanica è in linea con un complesso ontologico condiviso nelle sue fondamenta da molte popolazioni indigene, non in senso strettamente etnobotanico. Rifletterò su tale convergenza nella seconda parte di questo lavoro, a partire dagli ikoots (huave) di San Mateo del Mar (Oaxaca, Messico), pescatori di ambienti lagunari lungo le coste dell'Oceano Pacifico, per mettere in evidenza come la costruzione delle relazioni con e tra forme di vita siano continuative. Le continuità sono tanto dense da interrogarsi se gli ikoots "agiscano come" delle piante condividendo quei principi e quelle strategie necessarie ai viventi per fondare e garantire una vita collettiva su questa terra costruita soprattutto sulla base della "ethic of connection".
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In: Grindsted , T S 2018 , ' Algorithms and the Anthropocene : Finance, Sustainability, and the Promise and Hazards of New Financial Technologies ' , Financial Geography Working Paper , vol. 2018 , no. 16 .
This paper addresses how high frequency trading in financial markets is increasingly discursively related to climate change and producing peculiar iterative patterns of accommodation and reinforcement of climate change. Stock market trades have accelerated at a rate at which shares change hands in microseconds. This increases the risk of systemic crises. I examine the ways in which high frequency trading both reconfigures the dynamics of finance and changes the global financial system in different spatio-temporal ways, as well as produces political ecologies of engagement, divergence, and convergence between the financial and Earth Systems. Accordingly, I examine technological change and algorithmic strategies at stock exchanges. By analyzing algorithmic strategies, I interrogate the connections between algorithms at stock exchanges and the environment, and how algorithmic financialization intersects the Anthropocene debate. The analysis explains the nature of high frequency trading strategies and market responses to natural disasters, tsunamis, typhoons, draught and wild fires. In the final section, I discuss whether algorithmic economies singularly contribute to worsening environmental crises and how financial investment algorithms may adapt to climate change. ; This paper addresses how high frequency trading in financial markets is increasingly discursively related to climate change and producing peculiar iterative patterns of accommodation and reinforcement of climate change. Stock market trades have accelerated at a rate at which shares change hands in microseconds. This increases the risk of systemic crises. I examine the ways in which high frequency trading both reconfigures the dynamics of finance and changes the global financial system in different spatio-temporal ways, as well as produces political ecologies of engagement, divergence, and convergence between the financial and Earth Systems. Accordingly, I examine technological change and algorithmic strategies at stock exchanges. By analyzing algorithmic strategies, I interrogate the connections between algorithms at stock exchanges and the environment, and how algorithmic financialization intersects the Anthropocene debate. The analysis explains the nature of high frequency trading strategies and market responses to natural disasters, tsunamis, typhoons, draught and wild fires. In the final section, I discuss whether algorithmic economies singularly contribute to worsening environmental crises and how financial investment algorithms may adapt to climate change.
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At a time of when the global crises of pandemic and climate change could be said to offer sufficient challenges to life in the British and Irish Isles, the implementation of Brexit provides a further gargantuan difficulty. Borders, bureaucracies and belief systems dissolve like the certainty that subjects once felt to their connection to states or Unions. Or new borders and systems appear, bringing with them unwieldy new protocols and practices. Shelves empty, goods sit locked in containers; caught up in the holding pattern of another new normal of online retail inertia. Dislocation, fear and anger rise. The epicentre of the Brexit shambles can be said to be located in the ever betwixt and between location of Northern Ireland. Here with its newly imposed sea border with Great Britain and its maintenance of European Union relations with the Republic of Ireland we see a fractured and fractious society struggling as ever to come to terms with how to balance the aspiration of opposing ideologies and national ambitions with an additional level of chaos. In a time of catastrophe what can literature do? This question, often posed during "The Troubles" has very much come back to be painfully reiterated to writers, readers and critics at a time of multiple lockdowns. However, if an examination is made of publishing in Ireland in the last couple of years, we see a buoyant press offering a number of intriguing responses to the significance and efficacy of literature to respond to the current human predicament. In this article I will examine the work of three contemporary writers, Gerald Dawe, Angela Graham, and Dara McAnulty. I will argue that their use of genre (memoir, short story, nature diary) provides a fresh and robust response to the chaotic present of Northern Irish political life. In their separate ways they contest the fixed, static and impermeable political echo chamber of Northern Ireland. Dawe, I contend, seeks a means through his autobiographical work to retrace time and space in the history of the province and articulate alternative ways of interpreting the past. He is able to draw sustenance and restoration from often overlooked times of possibility in his own and the wider story of Belfast. In Graham's case, I would suggest that her bold and assertive first collection of short stories provides an acerbic and raw inspection of the past but one that also provides glimpses of reconciliation and genuine hope in the face of trauma. I conclude by exploring the work of McAnulty. Ostensibly a diary that traces his engagements with nature, his book is a tour de force that reimagines Ireland as a location gripped in the ravages of the Anthropocene startlingly brought to life by a young man faced with the challenges of autism. Part memoir, part praise poem to nature, it is a remarkable coming of age non-fiction work, which along with Dawe's and Graham's writing suggests that Northern Irish literature offers a broad and brilliant retort to the current local and global calamities that we face. ; W czasie, kiedy globalny kryzys w postaci pandemii i zmian klimatycznych już od pewnego czasu dostarcza wielu poważnych wyzwań na Wyspach Brytyjskich i Irlandzkich, wprowadzenie w życie brexitu napotyka na gigantyczne trudności. Dotychczasowe granice, biurokracja i różnice w wyznaniach rozpływają się we mgle, podobnie jak pewność, którą poddani Korony odczuwali co do związku z państwem brytyjskim oraz Unią. Pojawiają się za to nowe granice i systemy, przynosząc ze sobą nowe, nieefektywne protokoły i praktyki. Widać puste półki, a dobra konsumpcyjne zalegają w kontenerach i magazynach, uwięzione tam przez inercję "nowej normalności" w ramach handlu online. Narasta poczucie niepewności, strachu i złości. Wygląda na to, że epicentrum brexitowego chaosu zostało zlokalizowane w przestrzeni wiecznego pomiędzy – u granic Irlandii Północnej. Tutaj właśnie wprowadzono na morzu nową granicę z Wielką Brytanią, która zmienia też sposób, w jaki Irlandia Północna definiuje swoje stosunki z Unią Europejską i Republiką Irlandii, a jej podzielone i skonfliktowane społeczeństwo zmaga się z potrzebą zrównoważenia aspiracji ścierających się ze sobą ideologii i ambicji narodowościowych z brexitem jako dodatkowym czynnikiem prowadzącym do chaosu. Co może zrobić literatura wobec katastrofy? To pytanie, pojawiające się często w czasie wojny domowej zwanej Konfliktem trzydziestoletnim (ang. The Troubles), powróciło jak bolesny refren w twórczości pisarzy i w opiniach czytelników oraz krytyków podczas kolejnych lockdownów. Przyglądając się jednak rynkowi wydawniczemu w Irlandii, dostrzeżemy wielość inicjatyw i ciekawych odpowiedzi na pytanie o znaczenie i skuteczność literatury wobec aktualnych dramatów. Artykuł przedstawia twórczość trojga pisarzy: Geralda Dawe'a, Angeli Graham i Dary'ego McAnulty'ego. Dowodzi, że wybrany przez nich gatunek (wspomnienia, opowiadanie, pamiętnik przyrodniczy) stanowi świeżą i dynamiczną reakcję na chaos politycznej codzienności w Irlandii Północnej. Na różne sposoby pisarze ci kontestują sztywny, statyczny, nieprzenikniony porządek polityczny Irlandii Północnej. Dawe, jak wynika z artykułu, szuka rozwiązań w swojej autobiografii, by odtworzyć czas i miejsca związane z historią prowincji i dać wyraz alternatywnym metodom interpretacji przeszłości. Czerpie energię twórczą z pomijanych i niedocenianych potencjałów swojej własnej przeszłości oraz historii Belfastu. W przypadku Graham pierwszy, śmiały zbiór opowiadań oferuje cierpki i surowy wgląd w przeszłość, jednocześnie uwzględniając akcenty pojednawcze i autentyczną nadzieję w obliczu traumy. Ostatni fragment artykułu poświęcony jest twórczości McAnulty'ego. Na pierwszy rzut oka to pamiętnik skupiający się na jego kontaktach z przyrodą, a przede wszystkim książka stanowiąca prawdziwy tour de force, w którym Irlandia jawi się jako kraina znajdująca się w destrukcyjnych kleszczach antropocenu, przedstawiona w zaskakujący sposób przez młodego człowieka zmagającego się z wyzwaniami autyzmu. Jako połączenie pamiętnika i poematu chwalącego przyrodę, praca McAnulty'ego stanowi zapis dorastania, który obok dzieł Dawe'a i Graham dowodzi, że literatura północnoirlandzka ma w zanadrzu wszechstronną i wnikliwą ripostę na współczesne wyzwania i nieszczęścia – zarówno lokalne, jak i globalne.
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The environmental crisis that began during the Industrial Revolution and that has worsened since the last 50 years of the XX Century, has produced deep changes in the Planet. It has being proposed that we are facing a new geological era: the Anthropocene. The extraction of natural resources and the mobilization of materials and energy is the result of a predatory economy of the industrialized countries to their ancient colonies. In this context, the human right to a healthy environment and free from pollution is not enough, nor is the concept of sustainable development. In that sense, the Constitution of Ecuador made a radical change, when it recognizes rights to nature and makes the Sumak Kawsay the road that we must transit to improve our relationship with our environment. This implies that economic activities must respect the right of the maintenance and regeneration of the vital cycles, structure, functions and evolutionary processes of nature. ; La crisis ambiental indicada durante la Revolución Industrial y agudizada a partir del último quinquenio del siglo XX, ha producido cambios tan profundos en el planeta; lo que la levaría a enfrentar una nueva era geológica: el Antropoceno. La extracción de recursos naturales y la movilización de materiales y energía ha respondido a una economía de rapiña por parte de los países industrializados hacia sus excolonias. Por tal motivo, el derecho humano a un medio ambiente sano y libre de contaminación ya no es suficiente, como tampoco lo es el concepto de desarrollo sustentable. En ese sentido, la Constitución del Ecuador hace una propuesta radical cuando reconoce derechos a la naturaleza y establece que es el Sumak Kawsay el camino por donde debemos transitar para mejorar la relación con nuestro medio. Esto implica que las actividades económicas deben respetar el derecho al mantenimiento y regeneración de los ciclos vitales, estructura, funciones y procesos evolutivos de la naturaleza.
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