Il presente lavoro di tesi verte sull'analisi della teoria del programma, come strumento di valutazione, negli interventi di cosviluppo promossi dalla Regione Toscana. Il cosviluppo è stato identificato, in sintesi come il nesso che lega la migrazione allo sviluppo ovvero una pratica in cui vi è la partecipazione, nei progetti di sviluppo, del migrante come attore e protagonista dello sviluppo del proprio Paese di origine, mediatore tra i contesti locali del Paese di origine e quello d'immigrazione. Nel primo capitolo l'attenzione è stata posta, inizialmente, sulla relazione che intercorre tra migrazione e sviluppo analizzando la nascita del discorso ufficiale su migrazione e sviluppo in EU e in ambito UN, con particolare riferimento all'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dove, per la prima volta, la migrazione è stata inserita nella programmazione strategica delle politiche di sviluppo globale ed è stata riconosciuta come contributo allo sviluppo sostenibile, se adeguatamente gestita. In seguito, si è proceduto ad analizzare i concetti che sono stati ritenuti maggiormente significativi a favorire la comprensione del tema della migrazione e sviluppo e di conseguenza del cosviluppo, ovvero quelli di Cooperazione Internazionale allo sviluppo, Cooperazione Decentrata, transnazionalismo, agency dei migranti e ruolo delle diaspore. La migrazione, che è stata una costante nella storia del genere umano, è uno dei grandi temi del nostro tempo che ha effetti demografici, antropologici, sociali, economici e politici significativi sia sui paesi di partenza che su quelli d'arrivo del migrante. Negli ultimi sessant'anni il fenomeno della mobilità umana è notevolmente aumentato, anche in connessione ai processi di globalizzazione e transnazionalizzazione. Nell'era della globalizzazione le migrazioni hanno assunto nuove caratteristiche, in primis sono divenute globali poiché implicano quasi tutti i paesi del mondo e devono pertanto essere analizzate come un fenomeno sociale globale, inerente tutti gli ambiti della vita sociale e individuale che coinvolge tanto gli emigrati, le società di partenza quanto quelle di arrivo. Da qui il concetto di migrazione circolare. La Commissione Europea, dagli anni 2000, ha iniziato a produrre una serie di documenti in cui sono stati messi in relazione fra loro i concetti di migrazione temporanea e circolare, migrazione e sviluppo nonché di controllo delle migrazioni irregolari nel territorio dell'Unione. Con il documento COM (2007) 248, è stata elaborata una definizione di migrazione circolare: "una forma di migrazione gestita in modo tale da consentire un certo grado di mobilità legale di andata e di ritorno tra due paesi", ponendo quindi l'accento sulla caratteristica della circolarità, cioè del ritorno nel paese di origine del migrante. Grazie a periodi di permanenza all'estero, e di successivo rientro nel contesto di origine, il migrante avrebbe la possibilità di interagire con due diverse tipologie di contesti, quello di origine e quello ospitante. Nel Paese di destinazione ha la possibilità di contribuire allo sviluppo dell'economia mettendo a disposizione conoscenza, manodopera e capacità. In quello di origine, una volta tornato e re-inseritosi, può mettere in campo e spendere le esperienze e le abilità implementate o acquisite ex novo. Studio e lavoro possono implementare l'acquisizione di capacità che, in un futuro prossimo, possono avere ripercussioni positive nella sfera economica, e in quella socio-politica, del Paese di partenza. Il cosviluppo è stato poi analizzato, inizialmente, con riferimento al livello internazionale, europeo e nazionale e infine regionale toscano. Per ciò che concerne il cosviluppo nel contesto internazionale si è fatto riferimento al Progetto Messicano Tres Por Uno Inciativa Ciudadana, mentre in quello europeo sono state passate in rassegna alcune esperienze comparate di cosviluppo in Francia, in Catalogna e in Belgio. Rispetto al cosviluppo nel contesto nazionale, l'attenzione è stata focalizzata al Sistema italiano della Cooperazione allo Sviluppo, alla Legge n.125 del 2014 con la quale i flussi migratori sono stati individuati come i processi che possono sostenere e facilitare lo sviluppo e le relazioni con i paesi d'origine, all'OIM (Organizzazione Internazionale per le migrazioni) di cui l'Italia è uno dei paesi fondatori. Il lavoro dell'OIM si basa sull'idea che tutte le migrazioni organizzate in condizioni umane, siano un beneficio sia per i migranti sia per la società di partenza che di arrivo, pertanto le migrazioni sono state ricomprese nel quadro dello sviluppo economico e sociale di un Paese. L'analisi del cosviluppo in Toscana si è sviluppata, dapprima, attraverso la descrizione del contesto normativo di riferimento in particolare della Legge n. 26 del 22 maggio 2009 "Disciplina delle attività europee e di rilievo internazionale della Regione Toscana" e della Legge n. 29 del 9 giugno 2009 "Norme per l'accoglienza, l'integrazione partecipe e la tutela dei cittadini stranieri nella Regione Toscana", in seguito attraverso la descrizione di alcuni bandi regionali per proposte progettuali di cosviluppo tra cui il "Bando per micro progetti per il cosviluppo e il progetto "Senza Frontiere. Associazioni di migranti protagoniste di una nuova dimensione della cooperazione internazionale Toscana". Prima di giungere all'analisi della teoria del programma negli interventi di cosviluppo promossi dalla Regione Toscana, nello specifico sui cinque progetti vincitori del suddetto bando, nel quarto capitolo tale teoria è stata analizzata negli interventi di cosviluppo in Francia (il GRDR: Groupe de recherche et de realisations pour le dèveloppement rural- Francia / Regione del bacino del fiume Senegal), in Catalogna (il Fons català de Cooperaciò al Desenvolupament- Cataluna/ Spagna) e in Belgio (il CIRE'asbl: Coordination et Initiatives pour et avec les Rè fugiès et Etrangers- Belgio). Tale scelta è derivata dalla volontà di far emergere convergenze e divergenze nei progetti/programmi di cosviluppo nei differenti paesi. La teoria del programma, di cui la teoria del cambiamento ne costituisce uno sviluppo (ToC), costituisce uno strumento sia di programmazione/progettazione che di valutazione dei programmi/progetti, è un insieme di approcci teorici che si caratterizzano, come ha affermato Weiss (1997), "per innescare una riflessione circa il perché dell'esistenza di alcune catene causali che permettono ai beneficiari di un programma o una politica di trasformare, o di non trasformare, le risorse che una politica mette loro a disposizione in vista della produzione di un cambiamento". Esistono molteplici definizioni della teoria del programma ma tutte convergono nell'identificarla come un insieme di assunzioni relative ai risultati che un determinato programma prevede di produrre e alle strategie, tattiche adottate dal programma stesso per raggiungere i suoi obiettivi. La Toc consiste, quindi, in una serie di assunti volti a spiegare come, e attraverso quali meccanismi, un programma può avere successo in determinate condizioni ovvero si esplicitano i requisiti necessari per ottenere i risultati attesi ovvero il meccanismo che collega input a output. Il cambiamento è prodotto dalla risposta che la sequenza di input genera nei beneficiari e nell'ambiente ( meccanismi). L'ultimo capitolo del presente elaborato è stato dedicato interamente all'analisi della ToC negli interventi di cosviluppo promossi dalla Regione Toscana e nello specifico nei cinque progetti vincitori del progetto "Senza Frontiere. Associazioni di migranti protagoniste di una nuova dimensione della cooperazione internazionale Toscana": "JOKKO: Migranti, reti territoriali, cosviluppo. Un ponte con il Senegal", "Italia–Bangladesh, un ponte per l'ambiente, la sostenibilità e la salute", "Diasporaid: Azione peril coinvolgimento della diaspora Tunisina in Toscana per il sostegno dell'imprenditoria femminile a Sidi Bouzid", "Un filo conduttore. Relazioni tessili e catene di valore tra Toscana e Perù" e "L'esperienza dei migranti al servizio delle comunità locali di origine". Il progetto "Senza Frontiere. Associazioni di migranti protagoniste di una nuova dimensione della cooperazione internazionale Toscana", è stato promosso nell'ambito delle iniziative finanziate dalla Regione Toscana e realizzato da ARCI Toscana, in collaborazione con Anci Toscana, CESVOT, COSPE, Euroafrican Partnership e Funzionari Senza Frontiere. Il progetto si propone di rafforzare le associazioni di migranti, valorizzare le loro competenze e conoscenze in materia di cooperazione internazionale e sostenere la creazione di reti di partenariato tra queste e gli attori della cooperazione toscana, gli attori istituzionali e della società civile. Come riportato dal Rapporto sulla Cooperazione Internazionale della Regione Toscana 2016-2019, la Cooperazione Internazionale della Regione Toscana si basa sul sostegno alla micro-progettualità che ha permesso, alle Associazioni interessate, di accedere a Bandi rivolti a finanziare progetti di cosviluppo e quindi ha garantito l'attivismo del locale e dei migranti. Il cosviluppo, come evidenziato nel corso nel presente elaborato, ha comportato e comporta un approccio innovativo al governo dei fenomeni migratori la dove si riconosce la migrazione come un motore di crescita per la società di accoglienza e per lo sviluppo della società di origine. Il tema del cosviluppo è un fattore fondamentale dell'associazionismo straniero in Toscana in quanto la maggioranza delle realtà associative ha una forte relazione con le varie comunità all'interno del paese di accoglienza, come anche con i paesi e le comunità di origine.
The author considers that working 'for others' must constitute the basis of the protections ensured by labour law. The "labour" that deserves social protection cannot be limited to the narrow sphere of technical and legal subordination, but it is necessary to identify a new reference type that goes "beyond" subordination. More specifically, the labour law system must be reconstructed on two interrelated levels: a first civil contractual level in which the regulation takes place on the basis of types and cases; a second "labour law level", in which the distribution of protections, according to the value of labour, takes also place on the basis of new criteria for expressing the social vulnerability. The interpretative adaptation of the notion of subordination, while feasible, would not lead to satisfactory results. The meaning of the normative statement in Article 2094 of the Italian Civil Code does not seem so uncertain as to justify a "purposive" interpretation and to attribute a different and broader normative content to the concept of subordination. It seems preferable to adopt a universalistic approach in which protections can be selectively extended to the whole world of labour, starting from subordination but going beyond subordination, and declined according to the specific needs of social protection expressed and the material conditions in which the work (without adjectives) is performed. In conclusion, it is necessary that the labour law continues to protect dependent work possibly more than before, but at the same time, it is necessary a movement beyond subordination, using the techniques of selective universalism. Notions such as "economic dependence", "personal labour relations", "hetero-organisation" are not alternative criteria to subordination, but criteria that help labour law to recover its strength and justification, from a legal and moral point of view. ; El autor considera que el trabajo "por cuenta ajena" debe constituir la base de las protecciones garantizadas por el derecho laboral. El "trabajo" que merece protección social no puede limitarse a la estrecha esfera de la subordinación técnica y jurídica, sino que es necesario identificar un nuevo tipo de referencia que vaya "más allá" de la subordinación. Más concretamente, el sistema de derecho laboral debe reconstruirse en dos niveles interrelacionados: un primer nivel contractual civil en el que la regulación se lleva a cabo sobre la base de tipos y casos; un segundo "nivel de derecho laboral", en el que la distribución de las protecciones, según el valor del trabajo, se lleva a cabo también sobre la base de nuevos criterios para expresar la vulnerabilidad social. La adaptación interpretativa de la noción de subordinación, si bien es factible, no dará resultados satisfactorios. El significado de la declaración normativa del artículo 2094 del Código Civil italiano no parece tan incierto como para justificar una interpretación "intencionada" y atribuir un contenido normativo diferente y más amplio al concepto de subordinación. Parece preferible adoptar un enfoque universalista en el que las protecciones puedan extenderse selectivamente a todo el mundo del trabajo, partiendo de la subordinación pero yendo más allá de la subordinación, y declinarlas según las necesidades específicas de protección social expresadas y las condiciones materiales en las que se realiza el trabajo (sin adjetivos). En conclusión, es necesario que el derecho laboral siga protegiendo el trabajo dependiente posiblemente más que antes, pero al mismo tiempo es necesario un movimiento más allá de la subordinación, utilizando las técnicas del universalismo selectivo. Nociones como "dependencia económica", "relaciones laborales personales", "hetero-organización" no son criterios alternativos a la subordinación, sino criterios que ayudan al derecho laboral a recuperar su fuerza y justificación, desde el punto de vista jurídico y moral. ; L'autore del saggio ritiene che il lavorare "per altri" debba costituire il fondamento razionale delle tutele assicurate dal diritto del lavoro, indipendentemente dal lavorare "alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore". Il "fare per altri" meritevole di tutela sociale non può essere infatti limitato alla stretta sfera della subordinazione tecnico-giuridica. E' necessario identificare una nuova fattispecie di riferimento che si collochi "oltre" la subordinazione. Più specificamente, il sistema del diritto del lavoro va ricostruito su due livelli normativi interrelati: un primo livello civilistico contrattuale in cui la normazione avviene per tipi e per fattispecie, senza che avvenga l'aggregazione tipologica delle prestazioni di fare; un secondo livello, giuslavoristico, in cui l'aggregazione delle tutele e la loro distribuzione razionale rispetto al valore, pur senza prescindere del tutto dal primo livello, avviene sulla base di movimenti trans-tipici e di nuovi criteri di espressione del deficit democratico e della vulnerabilità sociale. La strada dell'adattamento interpretativo della nozione di subordinazione, pur percorribile, non porterebbe a risultati soddisfacenti. E' molto difficile sostenere che il senso dell'enunciato normativo di cui all'art. 2094 c.c., sia talmente incerto da giustificare un'interpretazione "purposive" e, di conseguenza, attribuire al concetto di subordinazione un contenuto normativo diverso e più ampio. Ad ogni modo, rispetto all'elaborazione di una nozione ampia di subordinazione pare preferibile adottare una visione universalistica, ma modulare delle tutele, da estendere selettivamente all'intero mondo del lavoro a partire dalla subordinazione ma oltre la subordinazione, e declinate in ragione degli specifici bisogni di protezione sociale espressi e delle condizioni materiali in cui il lavoro (senza aggettivi) viene prestato a favore di altri. in conclusione, occorre che la cultura del diritto del lavoro, continui a tutelare il lavoro dipendente come prima e possibilmente più di prima, ma al contempo muova oltre la subordinazione, espandendo le tecniche dell'universalismo selettivo. Nozioni come "dipendenza economica", "relazioni personali di lavoro", "etero-organizzazione" non rappresentano criteri alternativi alla subordinazione, ma compagni di viaggio grazie ai quali il diritto del lavoro può recuperare la sua forza e la sua giustificazione, non solo legale-razionale ma anche (e soprattutto) morale.
The aim of the article is to present the social, economic and environmental conditions underlying food loss and waste. According to the United Nations Food and Agriculture Research Authority, every year 1.3 billion tonnes of food are wasted worldwide, while around 1 billion people suffer from malnutrition. In order to counteract these negative tendencies, the European Commission has developed a new European internet platform dedicated to counteracting food loss and food waste. The platform is intended to support all those who wish to engage in the efforts to eliminate food waste at all stages of production, to promote best market practices in agricultural activity and production, to monitor progress in combating food loss and food waste, and to encourage cross-sectoral cooperation. According to the author, although the measures taken by the European Union in this areadeserve to be welcomed, they are nevertheless inadequate. Food waste is a consequence of many factors that affect the final and actual value of a product. These include, in particular, the social and environmental costs generated by the production and transport of food, as well as costs associated with the process of preparing food for consumption. In order to counteract this situation, measures should be taken to introduce substantive changes in the way food is produced, processed, distributed and consumed, which would contribute to the creation of a more environmentally sustainable and socially responsible production process. ; El objetivo del artículo es presentar las condiciones sociales, económicas y ambientales que subyacen a la pérdida y el desperdicio de alimentos. Según la Autoridad de Investigación Agrícola y Alimentaria de las Naciones Unidas, cada año se desperdician 1.300 millones de toneladas de alimentos en todo el mundo, mientras que alrededor de 1.000 millones de personas padecen desnutrición. Para contrarrestar estas tendencias negativas, la Comisión Europea ha desarrollado una nueva plataforma de Internet europea dedicada a contrarrestar la pérdida y el desperdicio de alimentos. La plataforma está destinada a apoyar a todos aquellos que deseen participar en los esfuerzos para eliminar el desperdicio de alimentos en todas las etapas de la producción, promover las mejores prácticas de mercado en la actividad y producción agrícola, monitorear el progreso en la lucha contra la pérdida y el desperdicio de alimentos, y fomentar cooperación intersectorial. Según el autor, aunque las medidas adoptadas por la Unión Europea en este ámbito merecen ser bien recibidas, no obstante son insuficientes. El desperdicio de alimentos es consecuencia de muchos factores que afectan el valor final y real de un producto. Estos incluyen, en particular, los costos sociales y ambientales generados por la producción y transporte de alimentos, así como los costos asociados con el proceso de preparación de alimentos para el consumo. Para contrarrestar esta situación, se deben tomar medidas para introducir cambios sustantivos en la forma en que se producen, procesan, distribuyen y consumen los alimentos, lo que contribuiría a la creación de un proceso de producción más ambientalmente sostenible y socialmente responsable. ; Lo scopo dell'articolo è di presentare le condizioni sociali, economiche e ambientali della perdita e dello spreco di cibo. Secondo l'Organizzazione delle Nazioni unite per l'alimentazione e l'agricoltura, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo sono sprecate in tutto il mondo e circa 1 miliardo di persone soffrono di malnutrizione. Per contrastare queste tendenze negative,la Commissione europea ha preparato una nuova piattaforma Internet europea dedicata alle questioni relative alla lotta contro la perdita e lo spreco alimentare. È una forma di sostegno per tutti i soggetti che operano per eliminare lo spreco alimentare in ogni fase di produzione, un luogo per divulgare le migliori pratiche di mercato nel campo della produzione agricola, uno strumento per monitorare i progressi nella lotta contro la perdita e lo spreco alimentare e una forma di incoraggiamento per avviare le cooperazioni intersettoriali. Secondo l'autrice, le azioni intraprese dall'Unione europea nell'ambito discusso meritano l'approvazione, tuttavia non sono sufficienti. Il fenomeno dello spreco alimentare è condizionato da molti fattori che influenzano la finale e reale qualità del prodotto. In particolare si tratta dei costi sociali e ambientali generati dalla produzione e dal trasporto, nonché in relazione al processo di preparazione degli alimenti per il consumo. Al fine di contrastare la situazione, andrebbero intraprese azioni volte a introdurre cambiamenti significativi nel modo in cui il cibo è prodotto, trasformato, distribuito e consumato, il che contribuirebbe a creare un processo produttivo più sostenibile dal punto di vista ambientale e socialmente responsabile. ; Celem artykułu jest przedstawienie społecznych, ekonomicznych i środowiskowych uwarunkowań utraty i marnowania żywności. Według Urzędu ds. Badań Żywności i Rolnictwa ONZ każdego roku na całym świecie marnuje się 1,3 miliarda ton żywności, a około 1 miliarda ludzi cierpi z powodu niedożywienia. Aby przeciwdziałać tym negatywnym tendencjom, Komisja Europejska stworzyła nową europejską platformę internetową, której celem jest przeciwdziałanie utracie i marnowaniu żywności. Platforma ma wspierać wszystkich, którzy chcą angażować się w działania na rzecz eliminacji marnowania żywności na wszystkich etapach produkcji, promować najlepsze praktyki rynkowe w działalności rolniczej i produkcji, monitorować postępy w zwalczaniu strat i marnotrawienia żywności oraz zachęcać do współpracy międzysektorowej. Zdaniem autorki, choć działania podjęte w tym zakresie przez Unię Europejską zasługują na pochwałę, to są one niewystarczające. Marnowanie żywności jest spowodowane przez wiele czynników, które wpływają na ostateczną i rzeczywistą wartość produktu. Należą do nich koszty społeczne i środowiskowe generowane przy produkcji i transporcie żywności, a także koszty związane z procesem przygotowania żywności do spożycia. Aby temu przeciwdziałać, należy podjąć działania mające na celu wprowadzenie istotnych zmian w sposobie produkcji, przetwarzania, dystrybucji i konsumpcji żywności, które przyczyniłyby się do powstania bardziej zrównoważonego środowiskowo i odpowiedzialnego społecznie procesu produkcji.
The contribution aims to illustrate the evolution of national and European legislation on the subject of the protection of unaccompanied minors; the effectiveness of the Italian discipline and the French one in a comparative perspective as well as the European strategy are the core of the analysis. The adoption of the Italian Law 7 Aprile 2017 n. 47, so called Zampa Law, represents an important step towards the recognition of a complete protection of migrant child in the national background; the study on the enforcement of the reform will allow the evaluation of the Italian legal system's efficiency. On the other hand, I will analyze the remedies offered by the French system; in this context the regulation concerning children in civil code gets along with different legal source. Particular attention will be paid to the state of art in the European context looking for common rules or guidelines. The analysis of national and European results will be the objective of some conclusive remarks. ; cinzia.valente@unimore.it ; Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (University of Modena and Reggio Emilia, Italy) ; Aït Ahmed L., Gallant E., Meur H., Quelle protection pour les mineurs non accompagnés? Actes du colloque du 21 juin 2018, 2019. ; Albano F., Minori stranieri non accompagnati nella prospettiva dell'autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, "Minorigiustizia" 2017, 3. ; Alikhan S., Floor M., Guardianship Provision Systems for Unaccompanied and Separated Children Seeking Asylum in Europe: Initial Mapping, Geneva, United Nations High Commissioner for Refugees, Bureau for Europe, 2007 in: http://www.un hcr.org.ua/img/uploads/docs/ Guardianship%20 Procedures%20euro-pe_2007_ENG.doc ; Attias D, Khaiat L., Les enfants non accompagnes. 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La ricostruzione giuridica delle principali tematiche di rilevanza penale che interessano l'opera audiovisiva ha consentito di portare alla luce le maggiori criticità applicative della normativa di settore e i nodi interpretativi non ancora sciolti, che sono probabilmente destinati a intricarsi ulteriormente nel prossimo futuro con l'inarrestabile evoluzione delle tecnologie di comunicazione e diffusione. Un preliminare inquadramento delle nozioni giuridiche di opera cinematografica e audiovisiva si è reso indispensabile, al fine di impostare l'intero lavoro prendendo necessariamente in prestito dal diritto d'autore alcuni concetti posti a fondamento della tutela delle opere dell'ingegno e ipotizzando una ripartizione della fenomenologia penalistica in esame a seconda del ruolo svolto dall'opera filmica rispetto alla fattispecie incriminatrice. Sulla falsariga di simili catalogazioni già proposte in diritto penale per i reati in materia di stampa e televisione, si sono perciò individuati i "reati dell'audiovisivo" in quelle ipotesi criminose previste dagli artt. 171 e ss. della legge 22 aprile 1941 n. 633 a tutela, appunto, dell'opera e i "reati per mezzo dell'audiovisivo" nelle fattispecie in cui il film diviene la modalità di realizzazione dell'offesa a interessi penalmente tutelati, quindi i delitti di diffamazione e di pubblicazioni e spettacoli osceni. Nell'ambito della tutela penale del diritto d'autore, si è rivelata quanto mai interessante e articolata la problematica del reato di plagio audiovisivo, per come è stato concepito dal legislatore italiano e per le difficoltà di coordinamento con la contigua disciplina di natura civilistica sulle elaborazioni creative, pur essendo entrambi i fenomeni contenuti nella citata legge 633/1941. La mancata presa di posizione in modo esplicito da parte del legislatore a favore della natura di fattispecie circostanziata o reato autonomo per il plagio (art. 171, co. III L.D.A.) ha, infatti, portato a un acceso dibattito al momento dell'entrata in vigore della legge di depenalizzazione n. 689 del 1981, per decidere se vi si applicasse o meno. Pur prevalendo la tesi della fattispecie circostanziata, che ha consentito di mantenere in vigore l'illiceità penale del plagio, si è riscontrata, tuttavia, l'ineffettività in concreto della norma in esame, accentuata dalla sua stessa natura di circostanza che richiede, ai fini dell'addebito, che si sia già integrata una violazione penalmente sanzionata dei diritti di utilizzazione economica su un'opera. L'incriminazione del plagio audiovisivo, posto a tutela del diritto morale d'autore, come del resto l'incriminazione di Fenomenologia penalistica dell'audiovisivo tutte quelle condotte di contraffazione per comodità ascrivibili al concetto di pirateria, è la conferma del carattere speculare e della stretta dipendenza che lega le fattispecie in esame a situazioni giuridiche già descritte e disciplinate dal diritto civile, caratteristica ricorrente nel diritto penale complementare che perciò assume spesso le vesti di diritto privato rafforzato dalla sanzione penale. L'analisi della giurisprudenza in materia di plagio, prevalentemente civile per le ragioni sopra dette, fornisce inoltre all'interprete una prima fotografia della complessità insita in operazioni giuridiche che calino nelle aule giudiziarie valutazioni prettamente estetiche, filtrando i concetti di creatività e originalità attraverso parametri (pre)definiti. Se la pirateria audiovisiva costituisce il vero banco di prova della tenuta complessiva del sistema penale costruito dalla legge 633/1941, a un attento esame delle fattispecie incriminatrici ivi previste e della loro capacità di descrivere con precisione e sanzionare con certezza, oltre che secondo criteri di proporzionalità, il fenomeno, la prova non sembra possa dirsi superata. È ormai evidente come la sfida lanciata al legislatore dalla tecnologia digitale di duplicazione, riproduzione e diffusione online dei contenuti audiovisivi abbia fatto emergere l'inadeguatezza del diritto penale come mezzo "tecnico" di prevenzione e repressione e la forza, talvolta autodistruttiva, della sua strumentalizzazione politica, in mano alle lobby del momento. Ne è la riprova l'avvicendarsi caotico e asistematico delle riforme di settore o il progetto della direttiva europea "IPRED 2", naufragato a seguito della levata di scudi del popolo di Internet. L'interprete rimane perplesso di fronte all'elencazione delle fattispecie di cui agli artt. 171 e ss. L.D.A., non tanto per il grado di tecnicismo, a dir il vero neanche così elevato né aggiornato, quanto perché pleonastiche, indeterminate, sproporzionate. Sembra di essere di fronte a un puzzle non riuscito, costituito da pezzi spesso uguali che si sovrappongono lasciando enormi buchi e finendo per non rappresentare nessuna immagine definita alla fine del lavoro di assemblaggio. Eppure l'emergenza della pirateria audiovisiva è reale ed è in continua espansione: il criterio c.d. follow the money, che in Italia ha portato a notevoli risultati nelle indagini condotte negli ultimi anni, ha dimostrato con dati oggettivi, al di là di manipolazioni e amplificazioni mediatiche o lobbistiche, la quantità di denaro quotidianamente prodotta dalla pirateria digitale, una vera e propria industria clandestina che sottrae risorse Fenomenologia penalistica dell'audiovisivo finanziarie e introiti di varia natura a quella legale, con danni che si ripercuotono direttamente sulla produzione di ricchezza in ciascun Paese. Consapevole della scarsa effettività delle fattispecie penalistiche che colpiscono in modo "diretto" il fenomeno dell'immissione abusiva dell'opera audiovisiva in Internet, attraverso sistemi di uploading, downloading e file sharing, il legislatore ha altresì percorso la strada dell'anticipazione della tutela, arretrando la soglia di rilevanza penale del fatto a momenti prodromici distanti dall'offesa, e della c.d. "amministrativizzazione" del diritto penale, sanzionando penalmente la violazione di obblighi procedimentali. La giurisprudenza ha, invece, dato vita a un acceso dibattito sul fenomeno della responsabilità penale degli Internet Service Provider, a titolo di concorso e/o per omissione impropria, scontrandosi tuttavia con una normativa tutt'altro che favorevole a questa incriminazione, questione che dovrebbe essere oggetto di disciplina a livello europeo nella nuova strategia del Digital Single Market di prossima istituzione. Condivisa appieno l'esigenza di una tutela penale del diritto d'autore, per i molteplici interessi di rango costituzionale a esso sottesi, le sfide che questo settore ora lancia alla politica, di cui il legislatore è emanazione, e all'interprete che dovrebbe coadiuvarla nell'opera di aggiornamento e perfezionamento del diritto positivo, sono essenzialmente due: da un lato, circoscrivere, possibilmente in un processo europeo di armonizzazione delle legislazioni nazionali, i confini della rilevanza penale dei fatti di pirateria per garantire un'adeguata tutela anche alle esigenze della platea di utenti e fruitori dei contenuti digitali, in prima istanza implementando la disciplina delle c.d. libere utilizzazioni ed eccezioni al diritto d'autore; dall'altro, riportare l'attuale assetto panpenalistico a un più rigoroso modello di diritto penale minimo, sfruttando e potenziando le soluzioni alternative di tutela, in parte già offerte dall'ordinamento con le Misure Tecnologiche di Protezione e i poteri di site blocking dell'AGCom. L'esigenza e la ricerca di un difficile bilanciamento è al centro anche della seconda parte di questo studio, incentrata sui due fenomeni della diffamazione a mezzo film e dell'incriminazione dell'opera oscena ex artt. 528 e 528 cod. pen. Per analizzare la prima problematica si è dovuto, innanzi tutto, affrontare il tema del rapporto tra il diritto all'onore e alla reputazione, tutelato dal reato di diffamazione di cui all'art. 595 cod. pen., e la libertà di manifestazione del pensiero. L'applicabilità delle scriminanti del diritto di cronaca e di critica, ormai consolidatesi in linea generale nella Fenomenologia penalistica dell'audiovisivo prassi giurisprudenziale, all'opera audiovisiva non è, tuttavia, così pacifica, venendo in rilievo altresì la libertà artistica, anch'essa costituzionalmente garantita. Da qui la necessità di soffermarsi, anche attraverso l'esame di alcune pronunce, sulle caratteristiche dei c.d. film-verità, a contenuto documentaristico o biografico, che presentano un maggior rischio di lesione della reputazione altrui nella misura in cui rendano riconoscibili contesti e personaggi direttamente riconducibili a situazioni o persone reali. L'ipotizzabilità di una autonoma "scriminante artistica", paventata da alcuni in forza della maggior ampiezza della libertà dell'arte rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero, pur non avendo trovato cittadinanza nella categoria dei film-verità data la ricostruzione fortemente realistica che li connota, ha tuttavia imposto alla giurisprudenza un ripensamento sui requisiti delle scriminanti del diritto di cronaca e di critica al fine di modularli e riadattarli alla potenzialità offensiva del film sicuramente diversa da quella insita in un articolo giornalistico diffamatorio. Quanto alla tematica dell'arte cinematografica oscena, binomio del tutto antinomico come sembrerebbe voler dire lo stesso art. 529 cod. pen. quando prevede che non si debba considerare oscena l'opera d'arte, si tratta di un capitolo della nostra storia che, forse, può definitivamente ritenersi concluso, soprattutto in seguito alla recente parziale depenalizzazione del delitto di spettacoli osceni ex art. 528 cod. pen., contestualmente alla riforma, ormai prossima, del sistema di revisione amministrativa preventiva (più comunemente conosciuta come censura) delle opere cinematografiche. Gli elementi normativi extragiuridici dell'oscenità e dell'artisticità – quest'ultima con tutte le difficoltà interpretative connesse alla sua funzione dogmatica rispetto all'integrazione della fattispecie incriminatrice – restano, tuttavia, in vita nel codice penale: innanzi tutto per delimitare, con le loro definizioni tutt'altro che determinate, quel che resta dei reati di osceno; ma soprattutto per testimoniare un passato non così lontano di pellicole d'autore sottoposte a sequestro penale e per ricordare che l'espressione artistica non può essere subordinata alla morale, secondo la ratio legis del Codice Rocco, in perfetta corrispondenza con quanto poi ribadito dall'Assemblea costituente nella stesura dell'art. 33 Cost., che definisce in modo assoluto e incondizionato la libertà dell'arte.
L'elaborato Il Totalitarismo negli scritti di intellettuali fascisti e di oppositori italiani tratta del concetto di totalitarismo, di come nasce e di come viene percepito dagli attori politici del tempo. A differenza di quel che si pensa il termine totalitarismo non ha radici molto lontane, infatti, viene coniato agli inizi del secolo scorso dagli intellettuali italiani per indicare il Fascismo. Il primo capitolo tratta delle prime apparizioni di questo nuovo termine, infatti, lo ritroviamo negli scritti di Amendola, Sturzo e Gramsci e molti altri intellettuali, che usano la parola totalitario per sottolineare la novità di ciò che accade in Italia, proprio a mostrare la differenza che c'è tra le dittature passate e il nuovo tipo di politica fascista. Il capitolo due viene suddiviso in tre parti: Antonio Gramsci, Luigi Sturzo e il Partito Nazionale Fascista. Questi tre attori fanno parte di schieramenti del tutto diversi, infatti, Gramsci è uno dei massimi pensatori italiani del comunismo, mentre Sturzo è il padre del Partito popolare italiano. Nonostante le divergenze di pensiero tutti e tre utilizzano il termine totalitario. Gramsci ha intuito già prima del suo arresto, la presa di potere forte che il Mussolini ha imposto alla Camera dei deputati. Gramsci è consapevole che il tempo per i comunisti italiani non è ancora maturo ma combatte strenuamente contro i fascisti che si stanno accaparrando tutto il potere in maniera autoritaria. Anche dopo essere stato arrestato e costretto alla carcerazione con una condanna di 20 anni, Gramsci continua il suo lavoro. La produzione del carcere sarà raccolta in seguito nei Quaderni del carcere, l'opera più conosciuta dell'autore. Anche se questo saggio vede la luce dopo la morte del suo autore, i compagni del partito non abbandonano la lotta che Gramsci aveva a cuore. Don Luigi Sturzo è uno dei primi intellettuali a chiamare lo Stato fascista totalitario, la sua lotta per il popolo, con la creazione di casse rurali e di mutuo soccorso per i più deboli fece acquistare molta popolarità al partito popolare, ma Sturzo come Gramsci e tutti gli altri esponenti politici combattono le loro battaglie legalmente, mentre il fascismo è un'organizzazione che basa il suo potere sulla violenza e l'illegalità. Le denunce del prete contro Mussolini non sono servite a molto ma gli sono valse l'allontanamento dalla carica di capo del partito e poi di ministro all'interno della Camera, su volere del Vaticano, che ha già appoggiato il fascismo. Dal suo esilio Sturzo scrive Italia e Fascismo, l'opera conosce un grande successo a livello europeo e viene tradotta in più lingue. Il saggio di Sturzo è una denuncia a ciò che è accaduto in Italia, l'analisi di come il fascismo abbia assunto tanto potere, diventando il primo prototipo di stato totalitario e la somiglianza che questo regime ha con l'Urss. Dal canto suo il Partito Nazionale Fascista una volta imposto il potere ed eliminate le opposizioni, si allontana dal termine totalitario. All'inizio del suo percorso politico Mussolini aveva assunto con grande orgoglio il termine totalitario per descriversi, ma negli anni '40 del 900 prende le distanze da questa etichetta, ridimensionandola. La storia e le azioni fasciste si possono leggere nel Dizionario di politica redatto dal partito e voluto da Mussolini in persona. The paper Il Totalitarism in the writings of fascist intellectuals and Italian opponents deals with the concept of totalitarianism, how it was born and how it is perceived by the political actors of the time. Unlike what is thought, the term totalitarianism does not have very distant roots, in fact, it was coined at the beginning of the last century by Italian intellectuals to indicate Fascism.The first chapter deals with the first appearances of this new term, in fact, we find it in the writings of Amendola, Sturzo and Gramsci and many other intellectuals, who use the word totalitarian to emphasize the novelty of what happens in Italy, just to show the difference. which exists between past dictatorships and the new type of fascist politics. Chapter two is divided into three parts: Antonio Gramsci, Luigi Sturzo and the National Fascist Party. These three actors are part of completely different camps, in fact, Gramsci is one of the greatest Italian thinkers of communism, while Sturzo is the father of the Italian People's Party. Despite the differences of thought, all three use the term totalitarian. Gramsci had already guessed before his arrest, the strong takeover that Mussolini imposed on the Chamber of Deputies. Gramsci is aware that the time for the Italian Communists is not yet ripe but he fights strenuously against the fascists who are grabbing all power in an authoritarian way. Even after being arrested and forced into jail with a 20-year sentence, Gramsci continues his work. The prison production will later be collected in the Prison Notebooks, the author's best known work. Even if this essay sees the light after the death of its author, the comrades of the party do not abandon the struggle that Gramsci had at heart. Don Luigi Sturzo is one of the first intellectuals to call the fascist state totalitarian, his struggle for the people, with the creation of rural funds and mutual aid for the weakest, made the popular party gain a lot of popularity, but Sturzo like Gramsci and all other politicians fight their battles legally, while fascism is an organization that bases its power on violence and illegality. The priest's complaints against Mussolini did not help much but earned him the expulsion from the office of party head and then minister in the Chamber, at the behest of the Vatican, which has already supported fascism. From his exile Sturzo wrote Italy and Fascism, the work enjoyed great success at European level and was translated into several languages. Sturzo's essay is a denunciation of what happened in Italy, the analysis of how fascism took on so much power, becoming the first prototype of a totalitarian state and the similarity that this regime has with the URSS. For its part, the National Fascist Party, once it has imposed power and eliminated the opposition, moves away from the term totalitarian. At the beginning of his political career Mussolini had taken on the term totalitarian with great pride to describe himself, but in the 1940s he distanced himself from this label, resizing it. The history and fascist actions can be read in the Political Dictionary drawn up by the party and wanted by Mussolini himself. .
Fiorinda Li Vigni Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF) I. The Disobedience In Paradise lost John Milton outlines two different patterns of rebellion and disobedience, intended as attempts – destined for defeat – of a misleading self-affirmation in front of a Sovereign, at the same time God and Father. The recognition acquires thus a vertical and asymmetrical structure. With Satan, one of the great protagonists of the interior conflict that leads to evil, the rebellion makes use of a republican political lexicon; with Adam and Eve it focuses on the search for a reconciliation between divine will and free will. II. The Fight On the background of Milton's work, Hegel appears to move away from the vertical dimension of the political theology: subjectivity is not the starting point, but the result of the progressive acquisition of a spiritual and universal nature, through the horizontal encounter/clash between self-consciousnesses, in the figures of love, struggle and experience of "the doing of each and all". Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) I. The Archetypes Paradise lost by John Milton This text is the first stage of the trilogy of readings Scene del riconoscimento: Milton, Hegel, Camus. In this work – freely inspired by Paradise Lost by John Milton – Satan and Eve suffer because Father-God doesn't recognize their aspirations. II. Branches from Hegel From the Autobiografia di un servo This text is the second stage of the trilogy of readings Scene del riconoscimento: Milton, Hegel, Camus. In this work – freely inspired by the theme of recognition in Hegelian philosophy – an imaginary servant tells the story of his renunciations and indicates in the struggle for recognition a method for the social claim. Rosalba Quindici Hochschule der Künste Bern I. The Archetypes Paradise lost by John Milton musical score The musical score of the opera-reading The Archetypes "Paradise Lost" by John Milton is published here. Music is the result of an in-depth timbre research of the composer about the nature of percussion, but also of her specific investigation into the text of the opera-reading to obtain a full adhesion of sound to the word. II. Branches from Hegel From the Autobiografia di un servo musical score The musical score of the reading Branches from Hegel. From the "Autobiografia di un servo" is published here. Music is the result of an in-depth timbre research of the composer about the nature of the piano and its possible preparations, but also of her specific investigation into the text of the opera-reading to obtain e full adhesion of the sound to the word. Nera Prota Accademia di Belle Arti di Napoli Designing as a Flight of Ideas In many creative operations the final result is not the visible and legible sum of the elements that inspired it, on the contrary, they are no longer traceable in the object we observe, they are lost and only with a careful rereading of the design path is possible to bring than back to surface and tell them. In this essay the Author reconstructs and documents the process of elaborating the scenography for the trilogy of readings about the recognition. ; Fiorinda Li Vigni Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF) I. La disubbidienza Nel Paradise lost John Milton illustra due modi della ribellione e della disobbedienza, intesi come conati, votati alla sconfitta, di una malintesa affermazione di sé rispetto a un'istanza sovrana, allo stesso tempo Dio e Padre: il riconoscimento acquisisce in tal modo una struttura verticale e asimmetrica. In Satana, uno dei grandi protagonisti del conflitto interiore che conduce al male, la ribellione si colora di un lessico politico repubblicano; con Adamo ed Eva essa si incentra sulla ricerca della conciliazione fra volontà divina e libero arbitrio. II. La lotta Considerata sullo sfondo dell'opera di Milton, la riflessione hegeliana lascia trasparire l'abbandono di uno schema verticalizzato, di carattere teologico-politico, a favore di una costruzione orizzontale: la soggettività del singolo non è per Hegel punto di partenza, ma esito della progressiva acquisizione di una natura spirituale e universale, attraverso l'incontro/scontro orizzontale fra le autocoscienze, nelle figure dell'amore, della lotta, del saputo "operare di tutti e di ciascuno". Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) I. Gli archetipi Paradiso perduto di John Milton Si pubblica qui il testo della prima tappa della trilogia di opere-reading Scene del riconoscimento: Milton, Hegel, Camus. In questo lavoro – dedicato a Paradiso perduto di John Milton – Satana ed Eva soffrono per il mancato riconoscimento delle loro aspirazioni da parte del Dio-Padre. II. Diramazioni da Hegel Dall'Autobiografia di un servo Si pubblica qui il testo della seconda tappa della trilogia di opere-reading Scene del riconoscimento Milton, Hegel, Camus. In questo lavoro – liberamente ispirato al tema del riconoscimento nella filosofia hegeliana – un servo immaginario racconta la storia delle sue rinunce e indica nella lotta per il riconoscimento un metodo per la rivendicazione sociale. Rosalba Quindici Hochschule der Künste Bern I. Gli archetipi Paradiso perduto di John Milton partitura musicale Si pubblica qui la partitura musicale dell'opera reading Gli archetipi "Paradiso perduto" di John Milton. La musica è il risultato di una approfondita ricerca timbrica sulla natura delle percussioni compiuta dalla compositrice, ma anche di una sua indagine specifica sul testo dell'opera-reading finalizzata a ottenere una piena adesione del suono alla parola. II. Diramazioni da Hegel Dall'Autobiografia di un servo partitura musicale Si pubblica qui la partitura musicale dell'opera reading Diramazioni da Hegel. Dall'"Autobiografia di un servo". La musica è il risultato di una approfondita ricerca timbrica sulla natura del pianoforte e delle sue possibili preparazioni compiuta dalla compositrice, ma anche di una sua indagine specifica sul testo dell'opera-reading finalizzata a ottenere una piena adesione del suono alla parola. Nera Prota Accademia di Belle Arti di Napoli Progettare per fuga di idee In molte operazioni creative il risultato finale non è la somma visibile e leggibile degli elementi che lo hanno ispirato, al contrario, essi non sono più rintracciabili nell'oggetto che osserviamo, si perdono e solo con un'attenta rilettura del percorso progettuale è possibile riportarli in superficie e raccontarli. In questo saggio l'Autore ricostruisce e documenta il processo di elaborazione della scenografia per la trilogia di opere-reading su riconoscimento.
Pravo na samoodređenje naroda jedno je od najspornijih pojmova u međunarodnome javnom pravu. Jednako tako, taj je pojam ne samo pravni već i filozofski, politološki, sociološki i povlači za sobom razna pitanja i reperkusije. Zbog toga se njegovoj analizi treba pristupiti detaljno, postupno i interdisciplinarno kako bi se sagledali razni važni aspekti toga pojma koji dovode do odgovora na pitanje je li samoodređenje naroda princip ili pravo i koga se tiče, je li to pravo jus cogens de facto i de iure ili je uvjetovano i ograničeno drugim pravilima suvremenoga međunarodnopravog poretka. Tu se prije svega misli na kogentnu zabranu narušavanja teritorijalnoga integriteta postojećih država te ugrožavanja međunarodnoga mira i stabilnosti proklamiranih još u Povelji Ujedinjenih naroda. To povlači za sobom razmatranje načela uti possidetis i njegovih korijena i obveznosti primjene, jednako kao i secesije kao najčešće posljedice afirmativnoga ostvarivanja prava na samoodređenje naroda. Također se na to nadovezuje i pitanje disolucije država, najčešće federalnih, za koju se treba proanalizirati ima li ona materijalne razlike s obzirom na secesiju koja također nije izrijekom ni dopuštena ni zabranjena. Autor sve te povezane pojave i pojmove interpretira kroz nama najbliže poznat slučaj, i dalje nedavnoga, raspada bivše Jugoslavije koja je bila moderni presedan za federalne države, a ima odjeka i u aktualnim zbivanjima poput onih u Ukrajini i Španjolskoj. Da bi se imao još potpuniji dojam o povezanosti prava, politike i raznih interesa, progovara se i o konstitutivnosti naroda, manjinama i njihovim pravima na osnovi raznih dokumenata i mišljenja teoretičara te i o državotvornosti i državnom priznanju za koje jednako tako nema konsenzusa o tome je li ono konstitutivni ili deklaratorni akt trećih država i međunarodne zajednice. Da bi se izbjegao najgori mogući scenarij, a to je onaj prihvaćanja pravnoga "statusa quo", treba kroz otvoreno raspravljanje i davanje prijedloga de lege ferenda precizirati pravnu problematiku kako se ne bi političkim i javnim diverzijama ili distrakcijama prikrivali interesi koji su ili suprotni duhu Ujedinjenih naroda ili su, s druge strane, legitimno suprotstavljeni jedni drugima. ; The right to self-determination of peoples is one of the most controversial concepts in public international law. Also, this concept is not only legal, but also philosophical, and also pertains to political science, sociology and entails various issues and repercussions. Therefore, its analysis should be approached in detail, gradually and with an interdisciplinary approach in order to comprehend the various important aspects of the concept that leads toward the answer to the following question - Is the self- determination of peoples a principle or a right and what else in involved here? Is this right jus cogens de facto and de jure or is it conditioned by the organic other rules of contemporary international order? This primarily refers to the cogent ban of breaching the territorial integrity of existing states and jeopardizing international peace and stability as proclaimed in the Charter of the United Nations. This entails a consideration of the principle of uti possidetis and its roots, as well as secession, the most common consequence of the affirmative exercising of the right to self-determination of peoples. Also on the continuation and dissolution of states, mostly federal, which is necessary for an analysis whether or not there are any material differences in relation to secession, which is also neither permitted nor prohibited. The author here will interpret our closest known case (one still recent) the breakup of the former Yugoslavia, which was a modern precedent for a federal state and has reverberation in current events like those in the Ukraine. In order to have a more complete impression of law, policy and various interests will also make mention of the constitutionality of peoples, minorities and their rights through a variety of documents and the opinions of scholars and also concepts concerning the nation and state recognition. There is no consensus whether it is a constitutive or declaratory act by third countries and the international community. In order to avoid a worst case scenario, the acceptance of the legal "status quo", it should be openly debated in order to avoid political and public diversions or distractions that hide interests which are either contrary to the spirit of the United Nations or, on the other hand, legitimately opposed to each other. ; Il diritto di autodeterminazione dei popoli è uno dei termini più discussi del diritto internazionale pubblico. Inoltre, questo termine non è soltanto giuridico, ma anche filosofico, politico, sociologico e lega a sé varie polemiche e ripercussioni. È per questo che l'approccio all'analisi del termine dev'essere dettagliato, graduale ed interdisciplinare affinché si possano osservare i vari aspetti del termine che portano alla risposta del quesito se l'autodeterminazione nazionale è un principio o un diritto e relativo a chi, se è un diritto jus cogens de facto e de iure o se è condizionato e limitato da altre norme del diritto internazionale contemporaneo. Qui si parla in primis del divieto cogente di lesione dell'integrità territoriale e della pace internazionale e della stabilità proclamati persino nella Dichiarazione delle Nazioni Unite. Il tutto suppone l'osservazione del principio uti possidetis, delle sue radici e dell'obbligo d'implementazione, come anche della secessione, conseguenza più frequente della realizzazione affermativa del diritto di autodeterminazione dei popoli. Inoltre, ciò è relativo al fenomeno della dissoluzione degli stati, soprattutto federali, per i quali è doveroso analizzare la presenza di distinzioni materiali riguardanti la secessione, la quale di per sé non è esplicitamente né opzionale né vietata. L'autore interpreta i relativi fenomeni e termini per mezzo del caso a noi più vicino e più familiare, la dissoluzione dell'ex Jugoslavia, la quale è stata un precedente moderno per gli stati federali, e che ha ripercussioni anche nei casi attuali dell'Ucraina e della Catalonia in Spagna. Con lo scopo di cristalizzare il legame fra il diritto, la politica e i vari interessi, si parla anche della costitutività dei popoli, delle minoranze e dei loro diritti in base ai molti documenti e alle opinioni degli analitici, ed infine della creazione e del riconoscimento di uno stato, per i quali nemmeno prevale un consenso se si tratta di un atto costituente o declaratorio da parte di terzi e della comunità internazionale. Al fine di evitare degli esiti catastrofici, ossia l'interiorizzazione dello "status quo" a livello giuridico, è opportuno discutere in maniera aperta per precisare la problematica legislativa ed evidenziare gli interessi contrari allo spirito delle Nazione Unite o semplicemente giustificatamente opposti.
Dopo più di un ventennio dalla sua comparsa sulla scena del dibattito scientifico, il 12 ottobre 2017 il Consiglio dell'Unione ha finalmente adottato, attraverso una procedura di cooperazione rafforzata che vede la partecipazione di 20 Stati membri,il regolamento sull'istituzione di una Procura europea (EPPO),regolamento 2017/1939/UE. L'EPPO avrà sede in Lussemburgo e sarà, almeno per il momento, competente ad indagare e perseguire, dinanzi alle giurisdizioni nazionali degli Stati partecipanti, gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione. Il regolamento, art. 120, è entrato in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione- consentendo di dare avvio alle attività propedeutiche alla sua entrata in funzione, a cominciare dalla selezione del procuratore capo e dei procuratori europei - ma il concreto avvio delle indagini e delle azioni penali avverrà a non meno di tre anni di distanza, attraverso una separata decisione della Commissione su proposta del procuratore capo europeo e solo dopo l'avvenuta adozione del regolamento interno e degli altri atti di normazione secondaria quali le "direttive" cui è rimessa la disciplina di numerose scelte inerenti l'esercizio stesso dell'azione penale. Tutto questo induce a collocare intorno al 2021 il momento in cui potremo assistere all'avvio delle prime indagini direttamente condotte dalla procura. Con la sua nascita si assiste finalmente alla creazione di un organismo giudiziario inquirente a vocazione realmente sovranazionale che costituisce un "unicum" a livello mondiale. Si tratta inoltre di una novità di estrema rilevanza anche all'interno dell'odierno panorama delle attività legislative dell'Unione in materia di cooperazione giudiziaria penale, concentrato sull'attuazione dei numerosi strumenti adottati prima e dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona ed al tempo stesso tramortito dalla quasi esclusiva attenzione rivolta dal livello politico agli aspetti della cooperazione di intelligence e di law enforcment od al contrasto del traffico di migranti. Eppure il nuovo regolamento si porta dietro una serie di dubbi ed interrogativi. Innanzitutto, le resistenze a cedere la sovranità nazionale in campo giudiziario hanno fatto sì che il regolamento non registrasse, in seno al Consiglio, l'unanimità (richiesta dall'art. 86 TFUE) a sostegno della proposta. Il ricorso a tale meccanismo non ha di certo risolto gli ambiziosi problemi a cui si voleva porre rimedio attraverso l'istituzione della Procura europea, non essendo in garantisce né l'uniforme applicazione del diritto dell'Unione europea e né l'efficace ed equivalente protezione degli interessi finanziari dell'Unione . Ed è stato necessario procedere ad un vero e proprio "annacquamento" dei compiti e delle modalità di azione originariamente affidati all'organo. Questo ha portato ad abbandonare l'idea di un "Ufficio europeo" con il potere di indagare su tutto il territorio dell'Unione e di esercitare l'azione penale davanti al Tribunale di una giurisdizione nazionale prescelta, finendo per sostenere un meno invasivo "collegio" di pubblici ministeri designati dai governi nazionali, preposto al solo coordinamento delle attività di indagine e di accusa condotte nei e dai singoli Stati membri. Va rammentato altresì che il governo italiano si era opposto a questa oggettiva rivisitazione del progetto originario. Tant'è che quando in mancanza delle condizioni per un'approvazione unanime, sedici Paesi hanno deciso di dare vita alla nuova Procura europea, sfruttando il meccanismo delle c.d. cooperazioni rafforzate, l'Italia aveva scelto di non partecipare. Solo all'indomani di un incontro con Francia e Germania, il rifiuto del Governo italiano è stato superato e ad oggi sono venti gli Stati che parteciperanno alla Procura europea , con l'auspicio che in futuro altri Stati aderiscano alla cooperazione rafforzata e che le competenze dell'EPPO vengano estese ad altri reati gravi, diversi dalla tutela degli interessi finanziari comunitari. Tuttavia, proprio con specifico riferimento all'opportunità di limitare l'azione di un organo tanto potente alla tutela del solo bilancio dell'Unione, già all'indomani della presentazione della proposta della Commissione, da più parti era stato evidenziato come vi fossero anche altri delicatissimi settori che giustificherebbero un'azione investigativa centralizzata. Basterebbe pensare, a titolo meramente esemplificativo, al terrorismo, alla tratta degli esseri umani, la criminalità informatica, alla pedopornografia digitale, ovvero a tutti quei reati che, avendo una dimensione transfrontaliera, difficili da contrastare con un'azione repressiva esclusivamente nazionale, richiedono una lotta comune ed uguale in tutti gli Stati membri. Era, pertanto, preferibile che la competenza della Procura europea fosse stata estesa "alla lotta contro la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale", così come previsto dall'art. 86, par. 4, TFUE. Nondimeno, l'ostacolo all'estensione della competenza ratione materiae è insito nel dettato dell'art. 86 TFUE, che richiede necessariamente una decisione unanime del Consiglio per ampliare le attribuzioni della Procura europea alla "lotta contro la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale". Vale a dire che manca, per quest'ipotesi di estensione di competenza, un'esplicita alternativa all'unanimità in termini di cooperazione rafforzata fra alcuni Stati membri. Invero, la previsione dell'unanimità fa sorgere taluni dubbi, in quanto avendo imboccato la strada della cooperazione rafforzata, non ha senso ritenere che gli Stati non partecipanti possano ostacolare l'ampliamento delle attribuzioni della Procura europea alla cui istituzione hanno scelto di non aderire. Non solo. Alla luce delle criticità emerse nel contrasto dei fenomeni criminosi lesivi degli interessi finanziari dell'UE, l'istituzione della Procura europea mira a realizzare plurimi obiettivi: in primis, quello di introdurre un sistema europeo coerente di indagine e azione penale per i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, offrendo un contributo concreto a rafforzare la tutela di tali interessi e lo sviluppo dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e ad accrescere la fiducia delle imprese e dei cittadini dell'Unione nelle sue istituzioni, nel rispetto dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Il che mi consente di riallacciarmi ad un altro aspetto critico, vale a dire la mancanza, all'interno del regolamento, di una normativa di diritto sostanziale, infatti come è noto, l'art.22 del regolamento nell'individuare la competenza materiale della Procura europea rinvia alla direttiva n.1371 del 2017 , senza, però, assicurare una repressione equivalente in tutti gli Stati membri dei reati lesivi degli interessi finanziari comunitari. La Direttiva PIF, infatti, si limita a dettare soltanto norme minime; anche con riferimento alle sanzioni applicabili alle persone fisiche, di cui all'art.7, prevede che gli Stati membri devono assicurare che i reati da essa indicati siano puniti con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive oltreché con una pena massima che preveda la reclusione, lasciando gli Stati membri, in concreto, liberi di stabilire la sanzione effettivamente applicabile a tali reati, con la conseguenza che in ogni Stato lo stesso reato sarà punito con pene detentive diverse. Per questi motivi sarebbe stato opportuno che il regolamento contenesse una normativa di diritto sostanziale che stabilisse quali fossero i reati di competenza della Procura europea e le rispettive sanzioni, in modo tale da avere una disciplina uniforme in tutti gli Stati membri. Tale direttiva include, fra l'altro, le frodi all'IVA, ed in tal caso la Procura europea sarà competente soltanto qualora esse siano connesse al territorio di due o più Stati membri e comportino un danno complessivo pari ad almeno 10 milioni di euro, nonché quelle di partecipazione ad un'organizzazione criminale (di cui alla decisione quadro 2008/841/GAI), quando l'attività dell'organizzazione criminale sia incentrata sulla commissione dei reati PIF. Anche questa previsione ha suscitato perplessità in quanto secondo la Commissione ed il Parlamento europeo la soglia prevista è troppo alta. Persino la norma riferita al diritto penale sostanziale non detta un corpo di norme omogeneo comune a tutti gli Stati membri, prevedendo piuttosto una costante interazione tra le norme contenute nel regolamento e le norme nazionali con la conseguenza che anche in questo caso avremmo delle differenze tra gli Stati membri. Particolari questioni applicative potrebbero sorgere quando, nella repressione di reati transfrontalieri, le misure investigative devono essere eseguite in uno Stato membro diverso da quello in cui l'indagine è stata avviata e non partecipante alla cooperazione rafforzata. In tali circostanze, il PED titolare delle indagini e che ha disposto il loro avvio non potrebbe fare affidamento sulla collaborazione del suo omologo dello Stato in cui deve essere eseguita la misura investigativa, proprio perché mancante. Con la conseguenza che la prova potrà essere ottenuta facendo ricorso alle modalità già vigenti, quali gli strumenti di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie di un altro Stato membro, l'attività di coordinamento delle indagini penali svolta a livello sovranazionale da Eurojust, o, da ultimo, la presentazione di rogatorie nei vari Stati interessati. Sarebbe, dunque, necessario contemplare tali situazioni negli accordi tra l'EPPO e gli Stati non partecipanti alla cooperazione rafforzata. Non può non essere menzionata, ancora, la questione relativa al valore da attribuire al principio del giudice naturale in tutti i casi in cui siano coinvolti Stati membri partecipanti e non, quando i criteri di individuazione della giurisdizione radicherebbero la competenza giurisdizionale di uno Stato non partecipante. In simili casi, la Procura europea, in ossequio alle disposizioni del regolamento, non potrebbe esercitare l'azione penale dinanzi alle autorità giudiziarie di tale Paese né potrebbe decidere di farlo altrove, pena la violazione del principio del giudice naturale di cui all'art. 6 par. 1 della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo. Altresì, oltre all'inefficacia dell'azione repressiva, di fronte a casi trattati da Stati membri non partecipanti e azioni esercitate dalla Procura europea, potrebbe configurarsi la violazione, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, del principio di uguaglianza davanti alla legge, che richiede che casi uguali siano trattati con procedure uguali. Infatti, fattispecie criminose perseguibili dall'EPPO, se poste in essere negli Stati in o dai cittadini di tali Stati, potrebbero restare impunite se commesse negli Stati out. Si sottolinea, pertanto, ancora una volta, la necessità che simili ipotesi trovino puntualmente regolamentazione negli accordi tra gli Stati out e la Procura europea. La Commissione aveva annunciato che nel 2018 le disposizioni del regolamento in esame sarebbero state accompagnate da nuove misure, in parallelo con una radicale revisione dello statuto dell'OLAF, per adeguare l'Ufficio alla nuova realtà e con l'adozione di una comunicazione "in prospettiva 2025", in occasione della quale sarà affrontato il tema di una possibile estensione della competenza dell'EPPO anche ai reati di terrorismo. Il nuovo organo, frutto di un vero e proprio compromesso, con tanti limiti e numerosi difetti, rappresenta dunque un punto di partenza, non certo di arrivo, verso risultati più ambiziosi. Invero, come già notato, la tutela penale degli interessi finanziari dell'Unione non può più essere affidata alle sole "risorse" sanzionatorie degli Stati membri anche perché come sottolineato dalla Commissione europea nella Relazione sulla proposta di Direttiva PIF del 2012, l'attuazione degli strumenti PIF negli Stati membri ha dato risultati assolutamente insoddisfacenti, in specie sotto il profilo dell'armonizzazione e prassi sanzionatoria; sicché sarebbe necessario, in una cornice di contestualità temporale, l' "equivalenza" della tutela penale mediante norme incriminatrici comuni e sanzioni omogenee, come richiesto dall'art. 325 TFUE; equivalenza essenziale, anche e soprattutto, per un corretto ed "efficace" funzionamento della Procura europea.
Background: Un tema oggi sempre più diffuso e carico di significato, non solo in ambito strettamente scientifico ma anche sociale e politico, è quello riguardante l'uso di sostanze e le relative conseguenze: l'ampia diffusione in commercio di prodotti potenzialmente causa di dipendenza (ad esempio alcol e nicotina) nonché la numerosità progressivamente crescente di individui direttamente ed indirettamente interessati (soprattutto tra le fasce giovanili) hanno suscitato molteplici dibattiti ed un consistente interesse da più fronti. L'addiction può essere considerata un'entità diagnostica a sé stante, il cui perno è rappresentato dalla continua ricerca della gratificazione; i sintomi principali che la caratterizzano sono il craving, le ricadute e la perdita del controllo da parte dell'individuo (coincidente con l'impulsività). Secondo i primi inquadramenti nosografici (DSM I e II) la tossicodipendenza non era definibile come un'entità psicopatologica distinta e autonoma, ma andava considerata espressione e indice di un sottostante disturbo di personalità, la psicopatia. Viene riconosciuta come disturbo indipendente solo con il DSM III. Pochi anni più tardi con l'introduzione del DSM III-R (1987) sembra prevalere una nuova corrente di pensiero, in cui un emergente interesse per gli aspetti psichici e comportamentali della patologia fa scivolare in secondo piano le componenti di natura somatica; in questa nuova cornice il focus viene spostato sul livello di pervasività del disturbo, ossia la sua costanza nella vita dell'individuo, il livello di interferenza e la natura delle relative conseguenze: si parla quindi di disabilità come esito della compromissione delle attività sociali, lavorative o scolastiche. L'intricato panorama nel quale si inserisce il concetto di Doppia Diagnosi rende ancor più difficile comprendere quali siano le possibili implicazioni derivanti dalla compresenza, in uno stesso individuo, di caratteristiche cliniche appartenenti a disturbi diversi: ciò non solo ai fini della formulazione diagnostica, ma anche relativamente all'analisi funzionale e strutturale del quadro sindromico. Recentemente è stata avanzata un'ulteriore ipotesi in merito all'eziopatogenesi di un quadro comorbile tra tossicomania e psicopatologia: secondo alcuni ricercatori infatti la Doppia Diagnosi risulterebbe essere conseguenza di un'erronea riconduzione, sotto il dominio di altri disturbi psichiatrici, di quella parte di sintomatologia identificabile come appartenente alla psicopatologia della dipendenza; come conseguenza, il concetto stesso di comorbidità rappresenterebbe in realtà un artefatto. Da quanto esposto finora appare evidente come il problema relativo alla natura della Doppia Diagnosi sia decisamente complesso e controverso, non essendo la comunità scientifica ancora prevenuta ad una risposta univoca in proposito. Nonostante le difficoltà sopramenzionate, la mole di dati testimoniante la relazione tra tossicomania e disturbi psichiatrici è tuttavia davvero consistente: uno studio ha mostrato ad esempio come l'uso di crack sembri aumentare le probabilità di sviluppare dipendenza verso altre sostanze, mentre un'anamnesi di consumo di crack o cocaina parrebbe associarsi allo sviluppo di quadri sindromici quali Ansia Generalizzata, Depressione e Distimia. Nell'urgenza psichiatrica è dominante il concetto di crisi quale imminente minaccia, caratterizzata da una gravità tale da richiedere un tempestivo intervento; essa si verificherebbe in seguito alla rottura dell'equilibrio omeostatico e conseguente incapacità, da parte dell'organismo, di far fronte alle richieste ambientali cui è sottoposto. In linea generale le cause di ricovero più frequenti sono rappresentate dagli episodi psicotici acuti, i quali possono essere di natura organica, funzionale o indotta da sostanze; altre cause abituali sono gli atti di autolesionismo e i tentativi anticonservativi, l'abuso di alcolici e gli stati di intossicazione indotti da sostanze. Da queste poche righe emerge immediatamente una consistente incidenza di uso di sostanze e disturbi correlati nell'ambito delle urgenze, si evince il loro coinvolgimento anche nei quadri sindromici più acuti e severi nonché la necessità di una tempestiva presa in carico. Metodi: Lo scopo principale di questa tesi è valutare l'impatto dell'uso di sostanze illegali e voluttuarie, della Doppia Diagnosi e del Disturbo da Uso di Sostanze sull'espressione psicopatologica di pazienti ricoverati in regime di urgenza presso un Servizio di Diagnosi e Cura di Psichiatria (SPDC). Per la raccolta dei dati sono state utilizzate una scheda anagrafica anonima e due schede di rilevazione: una per l'autovalutazione di sintomi psicopatologici (SCL-90) e una per l'etero-valutazione della presenza di psicopatologia (BPRS). L'uso di sostanze e le sue conseguenze sono stati indagati con un questionario impiegato in genere per le sostanze d'abuso (AbSo o DAH-Q). Le diagnosi sono state effettuate attraverso i criteri diagnostici del DSM-5 e registrate con i relativi codici senza un limite nel numero delle comorbidità possibili. Seguendo l'approccio teoretico del DSM è stata considerata una diagnosi principale e poi tutte le altre diagnosi possibili, sempre in ordine di importanza. Il campione è risultato composto da 54 pazienti, 23 maschi (42.6%) e 31 femmine (57.4%) di età media 62.29±15.8 (min 25; max 93). Di questi, 43 (79.6%) non avevano un partner ; 28 (51.9%) riportavano una scolarità superiore agli 8 anni di studio; 10 (18.5%) svolgevano un lavoro di concetto, 12 (22.2%) uno manuale e 26 (948.1%) erano disoccupati al momento dell'intervista. Le condizioni economiche di 19 pazienti (35.2%) risultavano essere sotto la soglia di povertà; 16 (29.6%) vivevano da soli. Sulla base delle diagnosi formulate i pazienti sono stati sottotipizzati nel seguente modo: la diagnosi principale è stata allocata in uno dei 22 raggruppamenti del DSM-5; coloro che presentavano diagnosi principale di DUS sono stati suddivisi, in base alla comorbidità o meno con un altro Disturbo Mentale, in pazienti senza e con Doppia Diagnosi (DD). I soggetti rimanenti, le cui diagnosi non comprendevano un DUS, sono stati inseriti nel gruppo di controllo (NO-DUS) . I pazienti sono stati tipizzati anche sulla base dell'assunzione di sostanze legali o illegali, con la seguente procedura statistica: un'analisi fattoriale è stata compiuta sui punteggi degli item della AbSo (DAH-Q) che indagano l'uso di sostanze per classi farmacologiche in modo tale da evidenziare eventuali dimensioni composite; i fattori iniziali sono stati estratti per mezzo dell'analisi delle componenti principali (tipo 2) e sono stati poi rotati secondo il sistema varimax per semplificarne la struttura. Il criterio usato per selezionare il numero dei fattori è stato un eingenvalue >1.5 per evitare una eccessiva frammentazione. Gli item con un peso maggiore di 0.40 sono stati utilizzati per descrivere il fattore. Questa procedura minimizza le correlazioni fra i fattori permettendo di utilizzare gli stessi come un sistema classificativo. I punteggi ottenuti da ogni paziente nelle singole dimensioni dell'uso di sostanze sono stati standardizzati in punteggi z per facilitare il confronto fra le dimensioni. Tutti i soggetti sono stati quindi raggruppati sulla base del punteggio z maggiore relativo ad ogni dimensione: si sono così ottenuti dei gruppi che si caratterizzano per una sola delle dimensioni considerate (gruppi a qualità dominante). Questa procedura permette, infatti, di selezionare i soggetti sulla base di una cluster sintomatologica che si dimostra essere la più abnorme in senso statistico; in questo modo è possibile evitare l'individuazione di un cut-off per l'inclusione dei soggetti all'interno di determinati gruppi. Nella comparazione tra le categorie evidenziate (NO-DUS, DUS e DD), le variabili continue sono state analizzate per mezzo dell'analisi di varianza a una via seguita dal test di Scheffee. Le variabili categoriali sono state analizzate mediante il test del chi-quadro con analisi dei contrasti a posteriori secondo il metodo di Buonferroni. Per tutte le analisi sono state utilizzate le routines statistiche dell'SPSS versione 20.0. Risultati: Tra le diagnosi principali, quella maggiormente rappresentata è stata la Schizofrenia, riscontrata nel 31.5% dei soggetti; sono seguiti il Disturbo da Uso di Sostanze (20.4%) e il Disturbo Bipolare (16.7%); sono stati raccolti anche casi di Disturbi Depressivi (13.0%), Disturbi di Personalità (5.6%), Disturbi dell'Alimentazione (3.7) e Disturbi del Controllo degli Impulsi (3.7). Scarsamente rappresentati i Disturbi d'Ansia, quelli legati al Trauma e i Disturbi Indotti dai Medicamenti. Sia i Disturbi Da Uso di Sostanze che quelli di Personalità sono risultati ben rappresentati anche tra le diagnosi secondarie, rispettivamente al 14.8% e al 13.0%. Entrambe erano ancora presenti nella diagnosi terziaria (al 5.6% per il Disturbo da Uso di Sostanza e al 3.7% per i Disturbi di Personalità). Infine, Il Disturbo da Uso di Sostanze è apparso ancora presente al quarto livello diagnostico (3.7%); nessun paziente ha ottenuto più di 4 diagnosi comorbili. La sostanza maggiormente abusata è risultata essere il tabacco (81.5%), seguita dalla caffeina (51.9%), dall'alcool (46.3%), dagli stimolanti e dai depressori del SNC (entrambi al 27.8%). Relativamente raro l'uso di oppiacei (7.4%) ed energizzanti (7.4%). Tre sono state le dimensioni riscontrate: la prima, risultata dominante in 13 soggetti, comprende in ordine di importanza stimolanti, cannabinoidi, alcool e oppiacei; nella seconda, riguardante 24 pazienti, figurano caffeina e tabacco; la terza tipizza 17 soggetti e prevede depressori del SNC (BDZ) ed energizzanti. In base alle diagnosi principali e secondarie è stato inoltre possibile operare una ulteriore suddivisione dei pazienti: 10 sono infatti risultati avere una DD (ossia una copresenza di un DUS e un altro Disturbo Mentale), 8 presentavano un DUS senza altri disturbi mentali, 36 mostravano disturbi psichiatrici, diversi dal DUS, variamente combinati (NO-DUS). Si sono riscontrate differenze significative in merito alle condizioni economiche: l'80.0% dei soggetti in DD è risultato infatti vivere sotto la soglia di povertà, mentre solo il 23.5% dei NO-DUS ha riportato questa condizione. I pazienti DD, nonostante la presenza di due diagnosi, si sono distinti dai NO-DUS e DUS per un maggiore numero di diagnosi aggiuntive. È possibile inoltre constatare come pazienti DUS e DD abbiano mostrato un più frequente uso di alcolici e stimolanti rispetto ai NO-DUS. Riguardo ai cannabinoidi, invece, i NO-DUS hanno riportato un uso meno frequente dei DD; nei pazienti affetti da DUS la frequenza è apparsa intermedia. Parlando di poliabuso, soggetti con DUS e DD sono sembrati utilizzare maggiormente la combinazione stimolanti-alcool-cannabinoidi-oppiacei rispetto agli altri malati mentali, mentre i soggetti in Doppia Diagnosi hanno utilizzato maggiormente la combinazione tabacco-caffè dei soggetti con DUS. Se consideriamo la storia tossicomanica dei nostri pazienti attraverso un questionario che fornisce informazioni sullo stato fisico, psicopatologico e di adattamento sociale, l'unica differenza significativa si osserva in merito ai problemi legali, la cui frequenza è risultata più alta fra soggetti affetti da DUS e DD rispetto ai pazienti NO-DUS. Gli aspetti indagati dalla BPRS nel loro insieme non sono minimamente differiti fra pazienti con e senza DUS, indipendentemente dalla presenza di DD; soltanto l'eccitamento è apparso più grave nei soggetti DD, mentre nei soggetti con DUS è risultato di fatto assente. Coerentemente il fattore attivazione della BPRS ha distinto i soggetti con DUS da quelli con DD, i quali hanno mostrato una maggiore gravità. All'autovalutazione dei sintomi di psicopatologia non sono apparse differenze significative fra i gruppi né per quanto riguarda i fattori specifici della tossicodipendenza, né per quanto concerne gli indici globali della scala. Sono invece emerse differenze nell'uso prevalente di sostanze tra i pazienti tipizzati a seconda del DUS: l'uso di stimolanti, alcol, cannabinoidi e oppioidi è risultato infatti più frequente sia nei pazienti con DUS che con DD; chi ha utilizzato prevalentemente tabacco e caffè è sembrato appartenere più di frequente al gruppo dei pazienti NO-DUS, ma in maniera non statisticamente significativa. Anche i soggetti che hanno usato prevalentemente benzodiazepine e bibite energizzanti erano rappresentati più frequentemente nel gruppo dei NO-DUS, purtroppo sempre in maniera statisticamente non significativa. Conclusioni: La Schizofrenia rimane la diagnosi maggiormente rappresentata nelle urgenze psichiatriche, ma il DUS rappresenta la seconda diagnosi principale. Le sostanze d'abuso più utilizzate, nelle urgenze psichiatriche, appaiono quelle voluttuarie che vanno anche a formare la dimensione più frequentemente osservata rispetto a quella degli stimolanti e dei depressori del SNC. Le diagnosi di DUS e di DD, nei soggetti ricoverati per urgenza psichiatrica in SPDC, comunque, continuano ad essere minoritarie e a non provocare un quadro psicopatologico specifico, almeno nelle situazioni di urgenza. Solo l'eccitamento sembra essere, comunque, una caratteristica dei pazienti con DUS.
La presente tesi affronta il tema della modulazione degli effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale intrecciandolo con l'analisi dell'esperienza tedesca delle Unvereinbarkeitserklärungen, le quali costituiscono lo strumento privilegiato con cui il Bundesverfassungsgericht modula nel tempo gli effetti della declaratoria di incostituzionalità. L'analisi congiunta del modello italiano e tedesco consente di valutare sotto un diverso angolo prospettico la questione relativa ai limiti dell'efficacia retroattiva delle sentenze di accoglimento, la quale ha interessato l'attività della Consulta sin dai primissimi anni della sua attività. Nel primo capitolo della tesi verrà analizzata la disciplina relativa agli effetti delle sentenze di accoglimento, ragionando in particolar modo sul principio di retroattività che presidia la declaratoria di incostituzionalità; nel secondo capitolo, verrà dedicato ampio spazio alla prassi temporalmente manipolativa della Corte costituzionale, evidenziandone le esigenze sottese e i relativi nodi problematici. Il terzo capitolo ospiterà una ricognizione delle decisioni di incompatibilità tedesche: l'analisi, che prenderà le mosse da una riflessione sul dogma della nullità e dell'annullabilità della norma incostituzionale, interesserà non solo le ragioni che conducono il Bundesverfassungsgericht a scindere il momento dell'accertamento da quello della declaratoria dell'incostituzionalità, ma anche gli effetti che si ricollegano alle diverse varianti decisionali delle Unvereinbarkeitserklärungen. Infine, l'ultimo capitolo sarà dedicato ad un raffronto tra l'esperienza temporalmente italiana e quella tedesca: esso si strutturerà principalmente intorno al profilo relativo al rapporto tra Giudice costituzionale e legislatore, ovverosia il perno intorno al quale si muove (o, meglio, dovrebbe muoversi) la giurisprudenza temporalmente manipolativa. ; The present thesis deals with the issue of modulating the effects of the sentences of the Constitutional Court by intertwining it with the analysis of the German experience of the Unvereinbarkeitserklärungen, which constitute the privileged temporally manipulative instrument with which the Bundesverfassungsgericht modulates over time the effects of the declaration of unconstitutionality. The analysis of German and Italian constitutional justice makes it possible to assess under a different perspective angle the question concerning the limits of the retroactive effectiveness of the declaration of unconstitutionality, which has affected the activity of the Corte Costituzionale since the very first years of its activity. If in the first chapter of the thesis the discipline relative to the effects of the sentences of unconstitutionality will be analyzed, reasoning in particular on the principle of retroactivity which oversees the declaration of unconstitutionality itself, in the second chapter ample space will be dedicated to the temporally modulative practice of the Constitutional Court, highlighting the underlying needs as well as the related problem areas. The third chapter is devoted to the study of the German incompatibility decisions. The analysis, which starts from a reflection on the dogma of nullity and the annulment of the unconstitutional rule, concerns not only the reasons that lead the Bundesverfassungsgericht to split the moment of assessment from that of the declaration of unconstitutionality, but also the effects that relate to the different decision-making variants of the Unvereinbarkeitserklärungen. Finally, the last chapter is devoted to a comparison between the temporally modulative Italian and German experience: it will be structured mainly around the profile relative to the relationship between the constitutional judge and the legislator, which constitutes the pivot around which the temporally modulative case-law moves (or, better, should move). ; In dieser Doktorarbeit wird das Thema der Handhabung der Rechtswirkungen im Verlauf der Zeit der vom Verfassungsgerichts getroffenen Annahmeurteile (die "sentenze di accoglimento") mit besonderer Beachtung der Steuerung der zeitlichen Rechtswirkungen durch das Bundesverfassungsgericht untersucht. Vor der Erläuterung des Inhalts dieser Doktorarbeit erscheint es mehr als notwendig, einleitend kurz die Gründe für diese Überlegung zur deutschen Praxis hervorzuheben. In diesem Sinn ist die Behauptung des Verfassungsrichters Lattanzi zur Rechtsprechung im aktuellen Fall "Cappato" von großer Bedeutung: Es geht hier im Wesentlichen um die Ähnlichkeit des Typs der vom Verfassungsgericht getroffenen Entscheidung mit dem der deutschen Unvereinbarkeitsentscheidungen, die Hauptthema dieser Untersuchung sind, und zwar nicht nur, da diese einen zeitlichen Aufschub der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung (wenn auch auf eine ganz eigne Art) verfügen, sondern auch weil sie, wie in der deutschen Rechtslehre bestätigt, ein wichtiges Mittel zur Untersuchung der Beziehungen zwischen Verfassungsgericht und Gesetzgeber darstellen. Auf der Ebene der Rechtslehre stellen die deutschen Unvereinbarkeitserklärungen den Gegenstand eines erneuten Interesses heute und sorgfältiger Untersuchungen in der Vergangenheit dar: In diesem Sinn ist das Studienseminar über die Modulation der Rechtswirkungen der von demselben Verfassungsgericht gefassten Annahmesprüche, bei denen die maßgebliche Rechtslehre die typischen Merkmale der Unvereinbarkeitsentscheidungen untersuchte, um eine mögliche Übertragung in die Sammlung der Entscheidungshilfen des Verfassungsgerichts zu erwägen, von Bedeutung. Bei jener Gelegenheit wurden viele Probleme eines solchen Entscheidungstyps vorgebracht: Insbesondere betrafen diese erstens die Schwierigkeit, ihre konkreten Rechtswirkungen zu erkennen, zweitens die Schwierigkeit, ihr in dem untätigen italienischen Parlament Folge zu leisten und drittens die abweichende Rolle, die das Bundesverfassungsgericht innerhalb der deutschen Regierungsform innehat. Es handelt sich um drei im letzten Teil dieser Doktorarbeit untersuchte Punkte, die in der Tat nicht wenige Probleme aufwerfen, vor allem angesichts der Aufnahme durch das Verfassungsgericht einiger Urteile, die unter verschiedenen Aspekten den deutschen Unvereinbarkeitserklärungen ähneln. Dabei handelt es sich insbesondere um die Urteile Nr. 243 von 1993, Nr. 170 von 2014, Nr. 10 von 2015 und Nr. 207 von 2018. Ein enger Vergleich mit der Ratio und den Problempunkten der deutschen Unvereinbarkeitserklärungen ist somit nützlich, nicht nur, um deren möglichen Chancen in der italienischen Verfassungsrechtsprechung zu erwägen, sondern auch, um eine noch offene Frage zu erörtern, die das Verfassungsgericht seit Anbeginn ihrer Tätigkeit als Hüter des Grundgesetzes betrifft. Nach dieser Einleitung wird im ersten Kapitel der Doktorarbeit die gesetzliche Regelung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile untersucht; das zweite Kapitel ist der Analyse der zeitlich handhabenden Praxis des Verfassungsgerichts gewidmet. Das dritte Kapitel ist der deutschen Praxis der Unvereinbarkeitserklärungen gewidmet, während im vierten Kapitel die wichtigsten Punkte der Vergleichsstudie zwischen der zeitlich steuernden italienischen und der deutschen Praxis behandelt werden. Die Wahl eines solchen Aufbaus erklärt sich angesichts der Möglichkeit einer Analyse ex ante der mit der Handhabung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile verbundenen Problempunkte, um dann das Verständnis ex post der Gründe, die diese Doktorarbeit zu einer Untersuchung der "flexiblen" Rechtsprechung des Bundesverfassungsgerichts geführt haben, zu erleichtern. Im letzten Kapitel schließlich wird versucht, einige Aspekte, die mit den heutigen Schwierigkeiten der zeitlich steuernden Rechtsprechung der Verfassungsgerichte zu tun haben, nach der Logik von Ähnlichkeit und Gegensatz hervorzuheben, darunter insbesondere die Beziehung zwischen Verfassungsorgan und Legislativorgan. Das erste Kapitel ist vollkommen der Regelung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile gewidmet, die, wie bereits angedeutet durch Art. 136 des ital. GG, Art. 1 des ital. Verfassungsgesetzes Nr. 1 von 1948 und Art. 30, 3. Abs. des ital. Gesetzes L. Nr. 87 von 1953 vorgegeben sind. Das Kapitel ist in acht Abschnitte unterteilt, die teilweise auf den Entscheidungstyp der Unvereinbarkeitserklärungen Bezug nehmen. Der 1. Abschnitt (Rückkehr zu Kelsen zur Neuentdeckung möglicher, vom Verfassungsgericht umsetzbarer Perspektiven: Die Handhabung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile im Verlauf der Zeit und die Beziehung zum Gesetzgeber) ist einführend der These Kelsens hinsichtlich der Beziehung zwischen Verfassungsgericht und Gesetzgeber gewidmet, in Anbetracht der Tatsache, dass, wie im letzten Kapitel erläutert, gerade die Rückkehr zum Ursprung und somit zur Lehre Kelsens bezüglich der Wirkung der Verfassungswidrigkeitserklärung in dieser Doktorarbeit (mit der erforderlichen Vorsicht) als wünschenswert angesehen wird. Während im 2. Abschnitt (Der heutige Stand: ein "flexibles" Verfassungsgericht, fern vom ursprünglichen Gerüst der Rechtswirkungen der Annahmeurteile) eine zum Teil die Erläuterungen des zweiten Kapitels vorwegnehmende Überlegung zu einem Verfassungsgericht, das "fern" vom ursprünglichen Gerüst der Rechtswirkungen der Annahmeurteile ist, wird im 3. Abschnitt (Die Regelung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile: Grundgedanken des Art. 136 ital. GG der verfassungsgebenden Versammlung. Einige Anregungen zur zeitlich handhabenden deutschen Praxis) versucht, zum Kern des Art. 136 der ital. GG vorzudringen, wo im ersten Absatz Folgendes vorgesehen ist: "Wenn das Gericht die Verfassungswidrigkeit einer gesetzlichen Vorschrift oder einer gesetzeskräftigen Maßnahme erklärt, endet deren Wirksamkeit ab dem Folgetag der Veröffentlichung der Entscheidung". Im Verlauf des Abschnitts wird versucht, einen Überblick der wichtigsten Entwürfe bezüglich des ursprünglichen Art. 136 ital. GG zu liefern, wobei der Entwurf der Abg. Mortati, Ruini, Cappi, Ambrosini und Leone kurz untersucht wird. Besonders interessant ist, auch zum Zweck einer Vergleichsstudie mit den deutschen Unvereinbarkeitserklärungen, der Entwurf des Abg. Calamandrei, der vorschlug, die Legislativorgane sollten im Anschluss an die Aufnahme eines Annahmeurteils sofort das Verfahren zur Gesetzesänderung einleiten, sodass sich, wenn auch mit der erforderlichen Vorsicht eine charakteristische Form der dem Legislativorgan zukommnenden "Nachbesserungspflicht" abzeichnet. Abschnitt 3.1. (Der Vorschlag Perassis: eine Modulation der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung ante litteram?) konzentriert sich in Übereinstimmung mit der deutschen Praxis auf den Vorschlag des Abg. Perassi, der vorsah, die Wirksamkeit des als verfassungswidrig erklärten Gesetzes sollte ab der Veröffentlichung erlöschen, außer bei Bedürfnis des Gerichts eine andere Wirkungsfrist (in jedem Fall nicht über sechs Monate) zu bestimmen; in diesem Sinn ist der Vorschlag des Abg. Perassi der österreichischen (und zum Teil der deutschen) Praxis ähnlich, und zwar einer Fristsetzung mit dem Ziel einer nützlichen Zusammenarbeit zwischen Verfassungsgericht und Legislativorgan. Perassi behauptete, dass "beim Erlöschen der Wirksamkeit einer gesetzlichen Vorschrift in bestimmten Fällen heikle Situationen auftreten können, da das Erlöschen dieser Vorschrift möglicherweise Probleme mit sich bringt, wenn man nicht vorsorgt". Die Annäherung an eines der wichtigsten Anwendungsgebiete der Unvereinbarkeitsentscheidungen, d.h. dem auf dem Argument der rechtlichen Folgen begründeten, ist in diesem Sinne eine unvermeidliche Pflicht. Gleichfalls interessant erscheint die Entgegnung auf die Voraussicht einer solchen Lösung durch den Abg. Ruini, der erklärte, eine derartige Regelung der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung würde praktisch eine Situation voller übermäßig belastender Folgen hervorrufen, in der insbesondere die Gerichte fortfahren würden, "eine verfassungswidrige Norm anzuwenden". Daher die Bedeutung, die der durch die mit Fortgeltungsanordnung ergänzten Unvereinbarkeitsentscheidungen dargestellte Problempunkt hat. In Abschnitt 3.2 (Zeitlicher Rahmen des Art. 136 ital. GG) wird versucht, Art. 136 ital. GG innerhalb seines zeitlichen Rahmens zu untersuchen. In Kürze: Während der wortwörtliche Gehalt der besagten Verfügung sich anscheinend (nach einem Teil der Rechtslehre) auf eine lediglich zielgerichtete Wirksamkeit der Verfassungswidrigkeitserklärung bezieht, stellt dieser doch, nachdem er sich durch Art. 1 des ital. Verfassungsgesetzes Nr. 1 von 1948 und Art. 30 des ital. Gesetzes L. Nr. 87 von 1953 gefestigt hatte, die verfassungsrechtliche Verfügung dar, auf die sich die ex tunc-Wirkung der Verfassungswidrigkeitserklärung gründet. Andererseits wäre es, wie ein anderer Teil der Rechtslehre behauptet, an und für sich nicht folgerichtig, ein System der Rechtswirkungen zu erfinden, das nur ex nunc-Wirkung hat, um dann anschließend den Richtern die Nichtanwendung des verfassungswidrigen Gesetzes "mit Wirkung lediglich nach eigenem Urteil" anzuvertrauen. In Abschnitt 3.3 (Räumlicher Rahmen des Art. 136 ital. GG) wird ein weiterer, an die Wirksamkeit der Verfassungswidrigkeitserklärung gebundener Punkt untersucht, nämlich die "räumliche" Ausdehnung der Wirksamkeit von Art. 136 ital GG. Außer der allgemein verbindlichen Wirksamkeit der Annahmeurteile, an welche die Untersuchung der von den Verfassungsgebenden gewählten Art der Normenkontrolle anknüpft, wird der mit der gerichtlichen oder gesetzgebenden Art der Verfassungswidrigkeitserklärung verbundene Rechtslehredisput, an den die "allgemeine" Wirksamkeit derselben unvermeidlich anknüpft, kurz untersucht. Während in den letzten vier Abschnitten der Art. 136 der ital. GG allein im Mittelpunkt steht, ist der 4. Abschnitt (Die "Revolution" des ital. Verfassungsgesetzes Nr. 1 von 1948) vollständig der "Revolution" gewidmet, welche das ital. Verfassungsgesetz Nr. 1 von 1948 darstellt. Für diese "Revolution" (oder besser die Spezifikation) ist der erste Artikel des besagten Gesetzes bezeichnend, wo es heißt: "Die amtlich erfasste oder von einer Partei im Verlauf eines Rechtsverfahrens erhobene und vom Richter nicht als offensichtlich unbegründet angenommene Frage der Verfassungsmäßigkeit eines Gesetzes oder einer gesetzeskräftigen Maßnahme der Republik wird dem Verfassungsgericht zur Entscheidung übertragen". Im Wesentlichen hat der besagte Artikel als tragendes Element der Inzidentalität des Verfassungssystems Art. 136 ital. GG Bedeutung verliehen, nicht nur, indem die Bedeutung tatsächlich im Einzelnen erläutert wird, sondern vor allem dadurch, dass der Klage vor dem Verfassungsgericht dort, wo es angerufen wird, für alle zu entscheiden (mit wenn auch innerhalb bestimmter Grenzen allgemein verbindlichen Rechtswirkungen) eine "logische" Bedeutung auf Grundlage einer "genetisch zwiespältigen" Erneuerung verliehen wird, und zwar anhand eines konkreten Einzelfalls". Es erscheint notwendig, anzumerken, dass die besagte Verfügung in Bezug auf die Ratio Art. 100, 1. Abs. des deutschen GG ähnelt, auf dessen Grundlage die sogenannte konkrete Normenkontrolle beruht. Und tatsächlich übernimmt das zwischenrangige Verfahren eine grundlegende Rolle in Bezug auf die Handhabung der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung im Verlauf der Zeit, da es konkreter der in der Notwendigkeit, die diachronischen Rechtswirkungen der Verkündigung zu steuern, enthaltenen Ratio vollkommen antithetisch gegenübersteht. Wie können die Jura angesichts einer Handhabung der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung für die Zukunft geschützt werden? Während Art. 1 des ital. Gesetzes L. Nr. 1 von 1948 das zwischenrangige Verfahren kennzeichnet und definiert, so hat Art. 30, 3. Abs. des ital. Gesetzes Nr. 87 von 1953, der Hautuntersuchungsgegenstand des 5. Abschnitts (Die Rückwirkung der Annahmeurteile: Art. 30, 3. Abs. ital. Gesetz L. Nr. 87 von 1953) ein weiteres Element zur Erläuterung der Ratio der zeitlichen Orientierung, welche die Rechtsauswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung im Verlauf der Zeit annehmen, hinzugefügt. Im Anschluss an das Inkrafttreten desselben, wo es heißt, "die als verfassungswidrig erklärten Normen können nicht ab dem Folgetag der Veröffentlichung der Entscheidung Anwendung haben", hat die Rückwirkung des Annahmeurteils begonnen, die Form der ius receptum anzunehmen, wie durch die maßgebliche Rechtslehre bestätigt. Nun war diese, mit Art. 1 des ital. Gesetzes L. Nr. 1 von 1948 in die Verfassung eingeführte "Errungenschaft" das Ergebnis einer umfassenden theoretischen Analyse und Überlegung: Es ist kein Zufall, dass einer der zentralen Mechanismen der Normenkontrolle eher das "Ergebnis der beharrlichsten Arbeit der Rechtslehre war, statt ein präziser Gesetzesentwurf" und hauptsächlich auf der Notwendigkeit beruhte, nicht nur den Grundsatz der Gleichheit, sondern auch den der Verteidigung zu bewahren, und dies unter Ausschluss der s.g. abgeschlossenen Rechtsbeziehungen, die bei Eintritt der Rechtskraft, Verjährung, Verwirkung und Vergleich bestehen. Hinzu kommt, dass das Prinzip der Rückwirkung der Verfassungswidrigkeitserklärung laut Art. 30, 3. Abs. ital. Gesetz L. Nr. 87 von 1953 – vielleicht auch angesichts der Möglichkeit die Rückwirkung der Verfassungswidrigkeitserklärung in verschiedenen Abstufungen und somit nicht absolut zu klassifizieren – auch Gegenstand einer erheblichen Kontroverse zwischen Verfassungsgericht und Strafkammer des Kassationshofs eben zum Thema der Nichtanwendung der als verfassungswidrig erklärten Norm war. In diesem Sinne treten die Urteile Nr. 127 von 1966 und Nr. 49 von 1970 hervor: beim ersten hatte das Verfassungsgericht über die notwendige Rückwirkung der Verfassungswidrigkeitserklärung von Prozessvorschriften befunden; mit der zweiten Verkündigung dagegen bestätigte das Gericht vollkommen überraschend, den Richtern "das letzte Wort" zu lassen. Dieses Prinzip kann nicht übergangen werden: So hatte beispielsweise im Anschluss an das in keiner Weise rückwirkende Urteil Nr. 10 von 2015 das Verfassungsgericht einer bedeutenden Form der Rebellion durch das vorlegende Gericht beigewohnt, das nicht befunden hatte, sich in Bezug auf die zeitliche Rechtswirkung der Verfassungswidrigkeitsaussprüche vom Gesetzesrahmen zu distanzieren. Gleichzeitig erhält auch in der zeitlich handhabenden deutschen Praxis die Rolle der Richter Bedeutung: Sollte beispielsweise der Gesetzgeber seiner Reformpflicht im Anschluss an die Aufnahme eines Unvereinbarkeitsspruchs nicht nachkommen und dadurch die Ratio der Unvereinbarkeitsentscheidung vollkommen zunichte gemacht werden, können die Richter angerufen werden, um "letztendlich" und in Übereinstimmung mit der Verfassung einzugreifen. Im 6. Abschnitt (Der zeitliche Rahmen der verfassungswidrigen Norm: Nichtigkeit oder Vernichtbarkeit? Eine Überlegung ausgehend vom amerikanischen und vom österreichischen Modell. Hinweise auf die Art der Annahmeurteile) lässt die Studie der gesetzlichen Regelung der zeitlichen Auswirkungen des Verfassungswidrigkeitsspruchs Raum für eine Untersuchung bezüglich der Vernichtbarkeit oder Nichtigkeit der als verfassungswidrig erklärten Norm und dies angesichts einer anfänglichen Überlegung zum amerikanischen und zum österreichischen Modell des Verfassungsrechts, die bekanntlich gegensätzlich zueinander eingestellt sind. Und tatsächlich ist die zeitliche Orientierung des Annahmeurteils nicht nur direkt an die Art derselben Verfassungswidrigkeitserklärung gebunden, sondern ist in ihrem Wesen indirekt an die Wahl des Modells zur Normenkontrolle geknüpft: Irgendwie scheint die ursprüngliche Zweideutigkeit des Art 136 ital. GG tatsächlich an die "gemischte" Natur des italienischen Verfassungsrechts anknüpfen zu können, das sich aus einigen typischen Elementen des amerikanischen Systems (Diffusivität der jedem Richter zukommenden Kontrolle) und dem österreichischen System (ausschließliche Zuständigkeit des Verfassungsgerichts in Bezug auf die Verfassungswidrigkeitserklärung einer nicht mit der Verfassung übereinstimmenden Norm mit allgemeiner Rechtswirkung) zusammensetzt. Nun wirkt die Wahl des Systems zur Kontrolle der Verfassungsmäßigkeit auf die von der Ungültigkeit der verfassungswidrigen Norm angenommene Form ein, welche ihrerseits nach der typischen Logik des Teufelskreises die Art der Verfassungswidrigkeitserklärung beeinflusst: Im amerikanischen Verfassungsrechtssystems ist die verfassungswidrige Norm null and void, da sie dem Willen einer superior Norm widerspricht und somit unwirksam ist; im österreichischen System dagegen ist die verfassungswidrige Norm lediglich vernichtbar, und zwar deshalb, weil Grundlage des Systems die Idee ist, dass, da die gesamte politische Macht auf dem Gesetz gründet, "das Konzept eines von Beginn an nichtigen Gesetzes" vollkommen inakzeptabel ist. Übrigens darf nicht verwundern, dass im Bereich des amerikanischen Verfassungsrechts die Verfassungswidrigkeitserklärung eine Norm erklärender Art ist, während sie im Bereich des österreichischen Verfassungsrechts eine verfassungsgebende Natur annimmt. Nun teilt im Bereich des italienischen Verfassungsrechts nur eine Minderheit die Idee der Nichtigkeit der verfassungswidrigen Norm und somit des Annahmeurteils erklärender Natur, die Mehrheit teilt die These der Vernichtbarkeit der verfassungswidrigen Norm, die also der verfassungsgebenden Natur des Gerichtsspruchs entspricht. Dass die obigen Ausführungen wahr sind, ist daran zu erkennen, dass in der maßgebenden Rechtslehre bestätigt wurde, dass die Verfassungsgebenden dachten, ein im Wesentlichen von dem im österreichischen Grundgesetz vorgesehenen System der Verfassungsgerichtsbarkeit abgeleitetes System eingeführt zu haben. Auch erklärt sich die verfassungsgebende Bedeutung der Verfassungswidrigkeitserklärung angesichts der Betrachtung, dass das allgemeine Verbot, die verfassungswidrige Norm anzuwenden, tatsächlich nur im Zeitraum vor der Aufnahme der Verfassungswidrigkeitserklärung durch das Verfassungsgericht besteht. Wenn man zur nicht statischen sondern "dynamischen" Ebene der Verfassungswidrigkeitserklärung wechselt, ist Zagrebelskys Theorie zu betrachten, nach der im Anschluss an die Aufnahme des Annahmeurteils das Verfassungsproblem entsteht, dem bezüglich anderen institutionellen Stellen wie Richtern und dem Gesetzgeber umfangreicher Spielraum gelassen wird. In diesem Sinn ist das Verfahren der Unvereinbarkeitserklärungen interessant, welche eben hinsichtlich des "Verfassungsproblems" eingreifen, um dies dank der Mitarbeit anderer Verfassungsorgane, unter denen zumindest anfangs der Gesetzgeber zu nennen ist, zu lösen. Im 7. Abschnitt (Erste Zeichen für die Zulässigkeit eines Verfassungsgerichts als "Verwalter" der Rechtswirkungen seiner eigenen Entscheidungen) wird die mögliche Legitimation (auf theoretischer Ebene) des Verfassungsgerichts als Verwalter der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitsurteile angedeutet, wobei insbesondere die Tatsache diskutiert wird, dass der zeitgenössische Konstitutionalismus wegen seiner substantialistischen Eigenschaft die Suche der für den spezifischen Fall am besten geeigneten Lösung und somit die "Negativ-Neuqualifizierung der Automatismen" erfordert, um zu starre Lösungen zu vermeiden. In diesem Sinn ist die Praxis des Bundesverfassungegsricht und dessen Erfindung der Unvereinbarkeitsentscheidungen von großer Bedeutung. In der Tat ist ein "flexibler" Ansatz an den zeitlichen Faktor der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung in verschiedenen europäischen Erfahrungen erkennbar; andererseits ist das was als "Naivität der Verfassungsgebenden" bezeichnet wurde, und zwar die "allzu simple Formulierung des Art. 136 ital. GG" hauptsächlich auf zwei Ursachen zurückzuführen, erstens die Notwendigkeit des Schutzes des Prinzips der Gewaltenteilung, unmittelbar nach dem Zweiten Weltkrieg und zweitens der Schutz der Rechtssicherheit. Im 8. Abschnitt (Verwaltet das Verwaltungsgericht die Rechtswirkungen im Verlauf der Zeit?) tritt das Verfassungsrecht in den Hintergrund, um zumindest in Kürze über die Steuerung der Rechtswirkungen der Annullierungsurteile durch das Verwaltungsgericht nachzudenken, wobei von einer Betrachtung ausgegangen wird, welche in der Rechtslehre – recht eindrucksvoll – klar ausgedrückt werden sollte, und zwar, dass die Verwaltungsprozessregeln wegen ihres entscheidenden kreativen Beitrags zur Rechtsprechung einen Ausgangspunkt und sicher keinen Endpunkt darstellen: In diesem Sinn erhielt das von der 4. Kammer des Staatsrats getroffene Urteil Nr. 2755 von Mai 2011 Bedeutung, wie auch das vom selben Verwaltungsrechtsorgan getroffene Urteil Nr. 13 von 2017. In beiden Fällen scheint der Staatsrat bestimmt zu haben, die Rechtswirkungen der eigenen Verkündigung angesichts der Notwendigkeit, einen übermäßigen Bruch innerhalb der Rechtsordnung zu verhindern, zeitlich zu steuern. Insbesondere hätte der Staatsrat ("Consiglio di Stato") beim ersten Spruch eine neue Art der Verkündigung gebildet, indem er bei der Untersuchung – nach einer vollkommen neuen Logik – den Bereich der zeitlichen Rechtswirkung des eigenen Spruchs so definierte, dass eine lediglich für die Zukunft geltende Rechtswirkung der eignen Entscheidung vorhergesehen wurde, sodass das Prinzip der Effektivität des Schutzes über das des Antrags der Partei siegt. Es ist unbedingt anzumerken, dass, wenn die Aufrechterhaltung der Rechtswirkungen der rechtswidrigen Maßnahme spiegelbildlich der Beibehaltung des Allgemeininteresses entspricht, die urteilende Tätigkeit des Verwaltungsgerichts dem des "Verwaltungsorgans" zu ähneln scheint. Auch bei seiner zweiten Verkündigung steuerte der Staatsrat die Rechtswirkungen mit Wirksamkeit pro futuro; die ganze Versammlung befand nämlich, das Urteil Nr. 10 von 2015 anzuführen, fast als Rechtfertigung des Argumentationskonstrukts zur Wahl einer derartigen Wirksamkeit, wobei im Übrigen bestätigt wurde, dass "die Ausnahme von der Rückwirkung […] auf dem Grundsatz der Rechtssicherheit beruht: […] die Möglichkeit für die Betroffenen, die Rechtsnorm wie ausgelegt anzuwenden, wird eingeschränkt, wenn die Gefahr schwerer wirtschaftlicher oder sozialer Auswirkungen besteht, die zum Teil auf die hohe Anzahl von in gutem Glauben begründeten Rechtsbeziehungen zurückzuführen ist […]". Darüber hinaus befand der Staatsrat, als spezifische Bedingungen, die es ermöglichen, die Rückwirkung einzuschränken oder richtiger "die Anwendung des Rechtsgrundsatzes auf die Zukunft zu beschränken" folgende: die objektive und erhebliche Unsicherheit bezüglich der Tragweite der auszulegenden Verfügungen; das Bestehen einer mehrheitlichen Orientierung entgegen der eingeführten Auslegung und die Notwendigkeit zum Schutz eines oder mehrere Verfassungsgrundsätze oder in jedem Fall, um schwere sozialwirtschaftliche Rückwirkungen zu verhindern. Das zweite Kapitel dieser Doktorarbeit ist gemeinsam mit dem ersten Kapitel darauf ausgerichtet, zu zeigen, dass die Frage bezüglich der Grenzen der Rückwirkung der Annahmeurteile seit den allerersten Jahren der Verfassungsrechtsprechung eine nicht nebensächliche Rolle gespielt hat, wie man sehen konnte. Daher die Bedeutung der Behauptung der neuesten deutschen Rechtslehre, die bestätigt, dass die Entscheidungshilfsmittel eines Verfassungsgerichts nicht vollkommen von der fortlaufenden "Konstitutionalisierung" der "neuen Rechte" entbunden sind. Somit scheint es eben diese dynamische Sicht zu sein, die Grundlage der Aufnahme der deutschen Unvereinbarkeitsentscheidungen war (und vor allem heute noch ist) und auch Grundlage einiger neuerer Verkündigungen des Verfassungsgerichts ist, darunter vor allem die Verordnung Nr. 207 von 2018. Wie im Übrigen im dritten Kapitel dieser Doktorarbeit ausgeführt wird, gab es bei der Regelung bezüglich der Wirksamkeit der Verfassungswidrigkeitserklärung zwei Änderungsversuche innerhalb der deutschen Ordnung, die beide darauf abzielten, die Wirksamkeit der Nichtigkeitserklärung "flexibler" zu machen. Angesichts der obigen Ausführungen ist im Verlauf der Zeit nicht nur - wie schon geschrieben - eine gemeinsame Tendenz der Verfassungsgerichte erkennbar, die insbesondere den Umgang mit der Wirksamkeit der Verfassungswidrigkeitserklärung prägt, sondern auch ein "konstantes" Bedürfnis, die "starre" Regelung der Rechtswirkungen zu reformieren, die – wenn auch nur zum Teil – eine wichtige Form der Umsetzung im Bundesverfassungsgerichtsgesetz fand. Das zweite Kapitel beginnt im 1. Abschnitt (Eine Stellungnahme: die Furcht vor den "Folgen" der Verfassungswidrigkeitserklärung und die Regelung der Rechtswirkungen im Verlauf der Zeit) mit einer Überlegung zur Furcht des Verfassungsgerichts, die Ordnung im Anschluss an die Aufnahme einer Verfassungswidrigkeitserklärung negativ zu beeinflussen; wie in der maßgeblichen Lehre Sajas bestätigt, darf das Verfassungsgericht "das Gewicht" seiner eigenen Entscheidungen nicht übersehen, denn dieses ist voll und ganz in einen sozialwirtschaftlichen Rahmen eingefügt, dessen Dynamik es tatsächlich nicht kennen kann; das Bedürfnis einer größeren "Flexibilität" der dem Verfassungsgericht zur Verfügung stehenden Entscheidungshilfsmittel ist, wie im Übrigen im Verlauf des Abschnitts gezeigt wird, verschiedenen europäischen Erfahrungen gemein. Auch aus diesem Grund legte der Gesetzgeber – was vielleicht nicht überrascht – mit der Zeit verschiedene Gesetzesentwürfe vor, die darauf abzielten, den Aspekt der Regelung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile zu ändern. Diese Änderungsvorschläge werden (in der Zeit zurückgehend) im 2. Abschnitt (Die Reformversuche hinsichtlich der Regelung der Verfassungswidrigkeitserklärung) dargelegt: Die Analyse beginnt bei dem Gesetzesentwurf A. S. 1952, der verzeichnet ist unter "Änderungen der Gesetze Nr. 87 vom 11. März 1953 und Nr. 196 vom 31. Dezember 2009 zur Ermittlung und Transparenz in Verfahren zur Verfassungsmäßigkeit", der nie diskutiert und daher nie aufgenommen wurde. Dieser letzte Änderungsversuch war durch das "Kostenurteil" Nr. 70 von 2015 angeregt worden, das wegen seiner vollständigen Rückwirkung die Wirtschaftsstruktur des Staates besonders belastete und den Gesetzgeber dazu veranlasste, eine Form der Positivierung der zeitlichen "Steuerung" der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung zu erfinden. In Art. 1, lit. c) des Gesetzesentwurfs ist vorgesehen, den Inhalt des dritten Absatzes, Art. 30, ital. Gesetz L. 87 von 1953 zu erweitern und somit neben der Nichtanwendung der als verfassungswidrig erklärten Norm den Einwand der Verfügung durch das Verfassungsgericht einer "anderen Handhabung der Wirksamkeit im Verlauf der Zeit derselben Entscheidung zum Schutz anderer Verfassungsgrundsätze" vorzusehen. Bedeutend scheint dabei der Verweis auf "Verfassungsgrundsätze", die, wenn korrekt und ausführlich beschrieben, nach der Ratio des vorliegenden Gesetzesentwurfs, den Antrag auf Steuerung der Wirksamkeit der Verfassungswidrigkeitserklärung legitimieren können. Es folgt eine kurze Analyse des Verfassungsgesetzesentwurfs Nr. 22 von 2013, der, wie es schien, eine wesentliche Änderung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile einführen wollte und eine Bevollmächtigung des Gesetzgebers zur effektiven Steuerung der Wirksamkeit der erfolgten Verfassungswidrigkeitserklärung vorsah, denn der Gesetzesentwurf verwendete den Begriff "Abschaffung" für das Phänomen des aufhebenden Eingriffs des Verfassungsgerichts. Was vermutlich an diesem Änderungsentwurf am meisten interessiert, ist die Voraussicht der Spaltung zwischen dem Zeitpunkt der Feststellung und dem der "verfassungsgebenden" Wirksamkeit der Verfassungswidrigkeitserklärung: Man beachte in diesem Sinne Art. 1 der Gesetzesvorlage, laut der "[…] die Regierung […] die Initiative ergreift, den Kammern ein Aufhebungsgesetz oder eine Änderung des als verfassungswidrig erklärten Gesetzes vorzulegen; diese Initiative kann direkt von den Versammlungen ergriffen werden, […] sofern der Gesetzesentwurf nicht innerhalb der Frist der folgenden sechs Monate bzw. neun Monate bei Verfassungsgesetzen verabschiedet wird; dieselben Versammlungen erklären die Wirksamkeit des als verfassungswidrig erklärten Gesetzes als erloschen". Schließlich ist der am 30. Juni 1997 verabschiedete Entwurf zu beachten, in dem vorgesehen war, dass "wenn das Gericht die Verfassungswidrigkeit einer gesetzlichen Vorschrift oder einer gesetzeskräftigen Maßnahme erklärt, die Wirksamkeit dieser Norm am Folgetag der Veröffentlichung der Entscheidung endet, außer dem Gericht bestimmt eine andere Frist, in jedem Fall nicht über einem Jahr ab Veröffentlichung der Entscheidung". Der besagte Entwurf ähnelt der österreichischen Praxis sehr, wo der Verfassungsgerichtshof über einen bestimmten Ermessensspielraum in Hinsicht auf die Möglichkeit verfügt, den Stichtag zeitlich zu verschieben, wie es zum Teil auch in der Praxis des Bundesverfassungsgerichts geschieht. Im 3. Abschnitt (Ein Verfassungsgericht, das handelt und die "traditionellen Einschränkungen" des Verfassungsrechts über die Verwaltung der Verfahrensregeln des Verfassungsprozesses hinaus überwindet) wird das Thema der Überwindung der traditionellen Einschränkungen des Verfassungsrechts durch die italienischen Verfassungsgerichte behandelt, insbesondere in Hinsicht auf die Einschränkung des Ermessensspielraums des Gesetzgebers. In diesem Sinne tritt der Beschluss Nr. 207 von 2018 hervor – der es vielleicht ermöglicht, das Thema der zeitlichen Steuerung der Rechtswirkungen wieder mit dem der Beziehung zwischen Verfassungsgericht und Parlament auf dem Gebiet des Strafrechts zu verbinden – mit dem das Verfassungsgericht meinte, mit einer ganz eigenen und besonders "gefestigten" Mahnung einzugreifen; weiter verfolge das Verfassungsgericht, wie der Verfassungsrichter Lattanzi schreibt, in letzter Zeit einen eher interventionistischen und weniger von Selbstbeschränkung geprägten Trend. In diesem Sinn treten einige Verkündigungen im Strafrecht hervor, darunter Urteil Nr. 236 von 2016 (auf das auch in dem erst kürzlich ergangenen Urteil Nr. 242 von 2019 verwiesen wird und das die "Sage" Cappato beendete), Urteil Nr. 222 von 2018, Urteil Nr. 233 von 2018, das allerdings nicht im Strafrecht eingeführte kürzliche Urteil Nr. 20 von 2019, das jedoch für die Rolle, die das Verfassungsgericht in Bezug auf das Legislativorgan einnimmt, von Bedeutung ist. Im 4. Abschnitt (Die Form der Entscheidungstechniken, mit denen das Verfassungsgericht die Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung "Richtung Vergangenheit" verwaltet) wird die "Form" der Entscheidungstechniken, mit denen das Verfassungsgericht die Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung steuert, untersucht: in diesem Sinn tritt das Mittel der Urteile der verschobenen Verfassungswidrigkeit hervor, welche den Urteilen der plötzlichen Verfassungswidrigkeit im weiteren Sinn ähneln, und sich dagegen von den Urteilen der Verfassungswidrigkeit im engeren Sinn, da letztere das Phänomen der Abfolge der Nomen im Verlauf der Zeit betreffen, abheben. Kurz gesagt, im 4. Abschnitt wird versucht – auf theoretischer Ebene – zu zeigen, wie das Verfassungsgericht das Hilfsmittel der eintretenden Verfassungswidrigkeit (in diesem Sinn ist Urteil Nr. 174 von 2015 vollkommen unerheblich) oder der verschobenen Verfassungswidrigkeit unter Ausschluss des Fehlens jeglicher Form der Positivierung des Umgangs mit dem Zeitfaktor hinsichtlich der Wirksamkeit der Annahmeurteile, verwendet. In diesen Fällen kommt dem Verfassungsgericht ein bestimmter Ermessensspielraum in der Bestimmung des Stichtags zu. Im 5. Abschnitt (Die Entscheidungen, die der Handhabung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile in Bezug auf die Vergangenheit zugrunde liegen) dagegen sollen die Gründe erkannt werden, die dem Bedürfnis, die Rechtswirkungen der Urteile im Verlauf der Zeit zu steuern, zugrunde liegen. Erstens tritt die Notwendigkeit hervor, den Grundsatz der Rechtskontinuität ganz allgemein zu schützen, der als ein zu schützender Grundsatz definiert wurde und tatsächlich zu den von der Verfassung abgesicherten Grundsätzen, Interessen und Rechtssituationen gehört, zweitens tritt das Bedürfnis hervor, schwere Schädigungen des öffentlichen Haushalts oder neue und höhere finanzielle Ausgaben für den Staat und die öffentlichen Einrichtungen zu verhindern. Dieser Grundsatz wurde, wie zu unterstreichen ist, als ein allgemeiner verfassungsrechtlicher Wert definiert. Nach einem ersten theoretischen Teil wird im zweiten Kapitel versucht, die zeitlich handhabende Praxis des Verfassungsgerichts zu untersuchen. Ende der achtziger Jahre führte das Verfassungsgericht die allerersten zeitlich handhabenden Urteile ein (Abschnitte 5.1 und 5.2) und begann mit den Urteilen Nr. 266 von 1988, 501 von 1988 und 50 von 1989 die zeitlichen Rechtswirkungen der Annahmeurteile zu regulieren; später verwaltete das Verfassungsgericht den Zeitfaktor der Rechtswirkungen der eigenen Entscheidungen weiter und beträchtlich, ohne allerdings jemals ausdrücklich zu erklären, in die Steuerung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile einzugreifen (eingreifen zu wollen). Zur Sparte der ersten zeitlich handhabenden Urteile gehört auch das Urteil Nr. 1 von 1991, das hinsichtlich der finanziellen Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung (wie auch bezüglich der vom Verfassungsgericht vor der Einführung desselben durchgeführten Ermittlung) von besonderer Bedeutung ist. Wenig später führte das Verfassungsgericht das Urteil Nr. 124 von 1991 ein (über dessen Wesen die Rechtslehre diskutiert, da sie teilweise der Meinung ist, es handele sich um ein Urteil zur plötzlichen Verfassungswidrigkeit im engeren Sinn), bei dem man ein weiteres Mal der Steuerung der Wirksamkeit der Verfassungswidrigkeitserklärung beiwohnen konnte. Von Bedeutung ist auch Urteil Nr. 360 von 1996: bei dieser Gelegenheit erklärte das Verfassungsgericht die (alleinige) Verfassungswidrigkeit der ihm zur Beurteilung vorgelegten Verfügung der Gesetzesverordnung, ohne die Tragweite allgemein auf die wiederholten Verordnungen auszudehnen. In diesem Fall hätte das Verfassungsgericht in seiner Eigenschaft als Hüter der Rechtsordnung befunden, die Annullierung der wiederholten Gesetzesverordnungen angesichts des Grundsatzes der Rechtssicherheit zu "einzusparen". Am Rande der genannten Verkündigungen werden andere Entscheidungen in der Hauptsache untersucht, bei denen das Verfassungsgericht, wenn auch keine wahre zeitliche Handhabung der Rechtswirkungen vornahm, so doch eine erhebliche Furcht vor dem gezeigt hatte, was in der Rechtslehre als horror vacui bezeichnet wird. In Abschnitt 5.2.1 (Fokus: Urteil Nr. 1 von 2014: "ausgleichende" Bedeutung und horror vacui) wird Urteil Nr. 1 von 2014 Gegenstand der Untersuchung, bei dem das Verfassungsgericht zum Thema Wahlsystem eingriff und die Verfassungswidrigkeit des s.g. Porcellum erklärte, d.h des proportionalen WahlgesetzesmitMehrheitsprämieund starren Listen, welche die Wahl derAbgeordnetenkammerund desSenats der Republikin Italien in den Jahren2006,2008und2013 geregelt hatte. Das Verfassungsgericht hatte bei diesem Anlass von der Kategorie der abgeschlossenen Rechtsbeziehungen Gebrauch gemacht, um sich Handlungsspielraum hinsichtlich der zeitlichen Handhabung der Wirksamkeit der eignen Urteile zu verschaffen, nicht ohne die Prozessregeln politisch zu nutzen: Es handelt sich hierbei um einen der Fälle, bei denen das Verfassungsgericht angesichts des Nichtbestehens der Möglichkeit zur Steuerung der Rechtswirkungen der eignen Urteile bestimmt hat, die Regeln des eigenen Verfahrens vollkommen elastisch zu nutzen. Die Elastizität der Interpretation der Kategorie und der Regeln des Verfassungsverfahrens war im untersuchten durch das Bedürfnis, den Grundsatz zum Schutz des Staats und der verfassungsgemäß notwendigen Funktionen beizubehalten, vorgeschrieben. In diesem Sinn ähnelt die Ratio, die der besagte Spruch mit sich bringt, zum Teil einem der Anwendungsthemen der Unvereinbarkeitserklärungen, und zwar dem der "Rechtsfolgen". Nun tritt das Urteil Nr. 1 2014 in dieser Doktorarbeit hervor, da die Eigentümlichkeit der Wirksamkeit der Verfassungswidrigkeitserklärung (wie auch der Kategorie der s.g. abgeschlossenen Rechtsbeziehungen) angesichts der verfassungsgemäßen Bedürfnisse "gesteuert " worden wäre. Während in Abschnitt 5.2.2. (Am Rande des Urteils Nr. 1 von 2014) nochmals auf das Thema des s.g. horror vacui hingewiesen wird, so wird im 6. Abschnitt (Das Haushaltsgleichgewicht als Gegenspieler der Rückwirkung von Annahmeurteilen) der Grundsatz des Haushaltsgleichgewichts als möglicher, im Übrigen nach Inkrafttreten des ital. Gesetzes L. Nr. 1 von 2012, das den Grundsatz des Haushaltsgleichgewichts einführte, erstarkter Gegenspieler der in den Annahmeurteilen verwurzelten Rückwirkung, untersucht. Kurz gesagt, obwohl Art. 81, dritter Abs, ital. GG ("Jedes Gesetz, das neue oder höhere Ausgaben mit sich bringt, muss für die dafür notwendigen Mittel sorgen") nicht für die Tätigkeiten des Verfassungsorgans gilt, sondern nur für den Gesetzgeber, haben der Grundsatz des Haushaltsgleichgewichts und somit die streng finanziellen Bedürfnisse das Verfassungsgericht dazu geführt, Entscheidungsmittel zur Steuerung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile einzusetzen (wie auch im Bereich der französischen und der spanischen Verfassungsjustiz), und zwar deshalb, weil das Verfassungsgericht sich – unvermeidlicherweise – in einem durch eingeschränkte wirtschaftliche Ressourcen charakterisierten Umfeld bewegt. Nicht nur hat es in der Verfassungsrechtsprechung verschiedene Verkündigungen gegeben, bei denen die Rückwirkung mit der konkreten Notwendigkeit zur Aufrechterhaltung der Wirtschafts- und Finanzstruktur kontrastierte (man beachte, wenn auch unter anderen Gesichtspunkten, die Urteile Nr. 137 von 1986, Nr. 1 von 1991, Nr. 240 von 1994, Nr. 49 von 1995, Nr. 126 von 1995) und nicht nur wurde der letzte Änderungsvorschlag der Regelung der Annahmeurteile im Anschluss an die Aufnahme eines Kostenurteils vorgebracht, sondern vor allem beschloss das Verfassungsgericht mit Urteil Nr. 10 von 2015 zum ersten Mal mit Kenntnis der Sachlage, die Möglichkeit zur zeitlichen Handhabung der Rechtswirkungen der eigenen Urteile zu erklären. In dieser Arbeit wird insbesondere in Abschnitt 6.1 (Fokus: Das Urteil Nr. 10 von 2015: ein unicum in der Geschichte der Verfassungsjustiz) dem Urteil Nr. 10 von 2015 viel Raum gewidmet, da dieses tatsächlich ein unicum in der Geschichte der italienischen Verfassungsjustiz darstellt: Dabei bestimmte das Verfassungsgericht, den Verfassungsprozess nach vollkommen kreativen Regeln zu steuern und setzte das um, was als "Verfassungsgewalt" bezeichnet wurde und das, wie anscheinend behauptet werden kann, auf einer bestehenden starken Korrelation zwischen der Verfassungsjustiz und dem materiellen Verfassungsrecht basiert. In der Tat kann nicht geleugnet werden, dass das Thema der Handhabung der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung im Verlauf der Zeit ein Thema des materiellen Verfassungsrechts ist, welches bedeutende Anregungen für eine Überlegung zur Beziehung zwischen dem Verfassungsgericht und seinem Verfahren bietet. Weiter zwingt die Überbeanspruchung des Mechanismus, auf den sich die Inzidentalität des Systems gründet, dazu, über die Bedeutung nachzudenken, welche die Abwägung der Interessen, die einen verfassungsmäßigen Schutz verdienen, erwirbt. Vor allem scheint sich das Thema der Identifizierung jener Interessen zu stellen, die einen derartigen verfassungsmäßigen Schutz verdienen, dass sie vielleicht eine Ausnahme von der Regelung zur Steuerung der Wirksamkeit der Annahmeurteile rechtfertigen. Nun meinte das Verfassungsgericht mit Urteil Nr. 10 von 2015 die Rückwirkung mit dem Grundsatz des Haushaltsgleichgewichts aufwiegen zu können und somit Art. 81 ital. GG im Sinne eines "Übergrundsatzes" einzuordnen. Das materielle Recht, der Schutz der Verfassungsgrundsätze und -werte kollidierte also mit der Garantie der Jura und somit der Anrechte der Einzelnen. Der Grundsatz der Gleichheit und der Grundsatz der Verteidigung waren somit Gegenstand einer Abwägung mit Art. 81 ital. GG: Das Ergebnis war der Sieg des letzteren, da das Verfassungsgericht befand, dem besagten Urteil eine bloße ex nunc-Wirkung zu verleihen. Mit dem besagten Urteil erklärte das Verfassungsgericht die Verfassungswidrigkeit der s.g. Robin Hood tax, einer 2008 eingeführte der Erdölbranche auferlegte Steuer. Das Verfassungsgericht bestätigte äußerst vielsagend – nach einer vollkommen innovativen Logik – Folgendes: "Bei der Verkündigung der Verfassungswidrigkeit der angefochtenen Verfügungen kann dieses Verfassungsgericht den Einfluss, den eine solche Verkündigung auf andere Verfassungsgrundsätze ausübt, nicht unbeachtet lassen, um die eventuelle Notwendigkeit einer Abstufung der zeitlichen Rechtswirkungen der eigenen Entscheidungen über die anhängigen Beziehungen zu beurteilen. Die diesem Gerichtshof übertragene Rolle als Hüter der Verfassung in ihrer Gesamtheit erfordert es, zu verhindern, dass die Verfassungswidrigkeitserklärung einer gesetzlichen Verordnung paradoxerweise "mit der Verfassung noch weniger vereinbare Rechtswirkungen bestimmt" (Urteil Nr. 13 von 2004) als die, welche zur Zensierung der Gesetzesordnung geführt haben. Um dies zu verhindern, muss der Gerichtshof seine eigenen Entscheidungen auch unter dem zeitlichen Aspekt modulieren, sodass die Behauptung eines Verfassungsgrundsatzes nicht die Opferung eines anderen zur Folge hat. Dieser Gerichtshof klärte mit den (Urteilen Nr. 49 von 1970,Nr. 58 von 1967undNr. 127 von 1966) dass die Rückwirkung der Verfassungswidrigkeitsverkündigungen ein allgemeines Prinzip ist (und sein muss), das in den Urteilen vor diesem Gerichtshof gilt; dieses ist jedoch nicht uneingeschränkt. Zunächst ist unbestreitbar, dass die Wirksamkeit der Annahmeurteile nicht in soweit rückwirkend ist, dass sie "in jedem Fall rechtskräftig gewordene Rechtslagen" d.h. "abgeschlossene Rechtsbeziehungen" umkehrt. Andernfalls wäre die Sicherheit der Rechtsverhältnisse beeinträchtigt (Urteile Nr. 49 von 1970,Nr. 26 von 1969,Nr. 58 von 1967undNr. 127 von 1966). Der Grundsatz der Rückwirkung "gilt […] nur für noch anhängige Verhältnisse, mit daraus folgendem Ausschluss der abgeschlossenen, die weiter durch das als verfassungswidrig erklärte Gesetz geregelt bleiben" (Urteil Nr. 139 von 1984, zuletzt wieder aufgenommen imUrteil Nr. 1 von 2014). In diesen Fällen gehört die konkrete Erkennung der Einschränkung der Rückwirkung, die von der besonderen Regelung der Abteilung abhängt – zum Beispiel bezüglich der Ablauf-, Verjährungs- oder Unanfechtbarkeitsfristen von Verwaltungsmaßnahmen – die jede weitere Rechtsmaßnahme oder -behelf ausschließt, in den Bereich der ordentlichen Auslegung, für den die gewöhnlichen Gerichte zuständig sind (ex plurimis bestätigter Grundsatz durchUrteile Nr. 58 von 1967undNr. 49 von 1970)". Das Verfassungsgericht behauptet weiter, um sein praeter legem-Vorgehen zu rechtfertigen: "der Vergleich mit anderen europäischen Verfassungsgerichten, wie beispielsweise dem österreichischen, dem deutschen, dem spanischen und dem portugiesischen zeigt im Übrigen, dass das Einschränken der Rückwirkung der Verfassungswidrigkeitsentscheidungen auch in zwischenrangigen Verfahren eine verbreitete Vorgehensweise darstellt, unabhängig davon, ob die Verfassung oder der Gesetzgeber dem Verfassungsgericht diese Befugnisse ausdrücklich übertragen haben". Somit verließ das Verfassungsgericht bei dieser Verkündigung den Weg der "getarnten" Handhabung der Rechtswirkungen im Verlauf der Zeit, um das Thema des Interventionismus zur Steuerung der Wirksamkeit der eigenen Verkündigungen im Verlauf der Zeit ausdrücklich in Angriff zu nehmen. In Abschnitt 6.2 (Die Rebellion des vorlegenden Gerichts gegenüber des mit Rückwirkungsklausel ausgezeichneten Aufschubs der Rückwirkung) wird versucht, über die von den vorlegenden Gerichten an den Tag gelegte Rebellion gegenüber dem Aufschub der Rechtswirkungen durch die Verkündigung Nr. 10 von 2015 nachgedacht: Der Kurzschluss Verfassungsgericht – Richter läuft Gefahr, mit der Handhabung der Rechtswirkungen im Verlauf der Zeit beinahe ein unicum zu werden, sollte letztere nicht Gegenstand einer Positivierung durch den Gesetzgeber werden. Wie durch die maßgebliche Rechtslehre bestätigt, haben im Übrigen "die Richter" das letzte Wort. Wie im dritten Kapitel ausgeführt wird, übernehmen in diesem Sinn die Richter auch im deutschen System eine Hauptrolle in Bezug auf die Flexibilisierung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile, nicht nur hinsichtlich der "Folgen" der Unvereinbarkeitssprüche, sondern auch in dem Fall, wo der Gesetzgeber nicht innerhalb der vom Bundesverfassungsgericht angegebenen Frist handelt, denn diese, wie durch maßgebliche Rechtslehre bestätigt, werden angerufen, um verfassungsmäßig zu entscheiden. In Abschnitt 6.3 (Ein inkohärentes Verfassungsgericht? Der "Einzelfall" des Urteils Nr. 10 von 2015 und die anschließende Rechtsprechung) werden die beiden, im Anschluss an das Urteil Nr. 10 von 2015 eingeführten Kostenurteile untersucht: das Urteil Nr. 70 von 2015 und das Urteil Nr. 178 von 2015. Bei erstgenanntem erklärte das Verfassungsgericht die Verfassungswidrigkeit derital. Gesetzesverordnung Nr. 201 vom 6. Dezember 2011 (Eilverfügungen zum Zuwachs, zur Angemessenheit und zur Konsolidierung der Staatsfinanzen), das mit Änderungen durch Art. 1, 1. Abs. ital. Gesetz Nr. 214 vom 22. Dezember 2011 umgewandelt wurde, ohne jegliche zeitliche Modulation der Rechtswirkungen vorzunehmen. Aus diesem Grund stufte die Rechtslehre die besagte Verkündigung als ein "überraschendes" Urteil ein, in Anbetracht der Tatsache, dass die aus den Einwirkungen auf die wirtschaftlich-finanzielle Basis entstehenden Kosten entschieden höher waren als die, welche aus der Aufnahme des Urteils Nr. 10 von 2015 entstanden wären, hätte man dieses ganz einfach mit Rückwirkung ausgestattet. Andererseits, während der Gerichtshof beim Urteil Nr. 10 von 2015 meinte, eine Ausnahme von der den Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärung zugrunde liegenden Regelung zu machen, obwohl die Aufnahme einer "physiologischen" Verfassungswidrigkeitserklärung von sich aus hohe Kosten "nur" in Bezug auf die Erdölbranche und insbesondere in Bezug auf einen bestimmten Unternehmenszweig bewirkt hätte, ist es schwer zu verstehen, warum das Verfassungsgericht im Fall des Urteil Nr. 70, das nicht nur die s.g. Goldpensionen, sondern auch das Rentensystem insgesamt betraf, befand, nicht nach derselben Logik zu verfahren. In diesem Sinn liegt eine Antwort auf diese Entscheidungsinkohärenz vielleicht in der mangelnden Verwendung durch das Verfassungsgericht der Ermittlungsbefugnisse, die weiter unten behandelt werden. Sicher ist, dass das Verfassungsgericht eine vollkommen ungeordnete Steuerung seiner Prozesse an den Tag legte und tatsächlich eine freie und unbefangene Vorgehensweise hinsichtlich der Regeln des verfassungsrechtlichen Prozesses bewies. Die obige Behauptung wird durch die Aufnahme des zum Thema Tarifverhandlungen eingeführten Urteils Nr. 178 von 2015 bewiesen, bei dem das Verfassungsgericht durch Verwendung des Hilfsmittels der plötzlichen Verfassungswidrigkeit erneut die zeitliche Wirksamkeit der Verfassungswidrigkeitserklärung steuerte. Das Verfassungsgericht behauptet nämlich: "Erst jetzt offenbarte sich vollkommen, wie strukturpolitisch die Verhandlungsaussetzung war, daher kann die eintretende Verfassungswidrigkeit, deren Rechtswirkungen im Anschluss an die Veröffentlichung dieses Urteils beginnen, als eingetreten angesehen werden. Der unversehens begonnene Mangel an Verfassungsmäßigkeit erklärt sich angesichts der Kritiken, die dem Verfassungsgericht im Anschluss an das "denkwürdige" Urteil Nr. 10 von 2015 entgegengebracht wurden. Darum kommentierte die Rechtslehre die besagte Verkündigung im Sinne eines Falls, bei dem "ein Mangel am selben Tag auftritt und verschwindet, an dem er durch den Richter erklärt wird, welcher gleichzeitig das Fehlen zum Zeitpunkt der Überweisung der Maßnahmen an das Verfassungsgericht feststellt". Im Wesentlichen ist unzweifelhaft, dass das Verfassungsgericht einen Aufschub der Rechtswirkungen seiner eigenen Verkündigung aus plausiblerweise mit den finanziellen Folgen verbundenen Gründen in die Tat umsetzte. Hier soll in jedem Fall hervorgehoben werden, dass, wie in dem der deutschen Praxis gewidmeten Kapitel ausgeführt wird, auch das Bundesverfassungsgericht manchmal, vor allem auf wirtschaftlichem Gebiet zeitlich handhabende und nicht vollkommen mit der grundlegenden Ratio kohärente Verkündigungen einführte. Außerhalb des Rahmens des zwischenrangigen Verfahrens führte das Verfassungsgericht im Bereich des Hauptverfahrens das Urteil Nr. 188 von 2016 ein, bei dem eine vollkommene Rückwirkung der Verkündigung, wieder einmal zum Zweck der maximalen Verminderung der finanziellen Beeinträchtigung durch die rückwirkende Rechtskraft verfügt wurde. Der Fall ergab sich aus einer Klage der Region Friuli Venezia Giulia bezüglich des Haushaltsgesetzes 2013, da die Region mit besonderer Rechtsstellung befand, dass einige Artikel einigen Bestimmungen der besonderen Rechtsstellung der Region, einigen Durchführungsbestimmungen dieser Rechtsstellung und anderen, aus dem System zur Steuerung der Beziehungen zwischen dem Staat und dieser Region ableitbare Grundsätzen auf finanziellem Gebiet widersprachen. Im Wesentlichen kommt das Verfassungsgericht, auch angesichts der Durchführung einer Ermittlung zu dem Schluss der Verfassungswidrigkeit der beurteilten Norm und behauptet im Einzelnen wie folgt: "Der Grundsatz des dynamischen Gleichgewichts, der eng verbunden ist mit dem für die Aufrechterhaltung des wirtschaftlichen, finanziellen und vermögensrechtlichen Gleichgewichts im Verlauf der Zeit grundlegenden Prinzip der Haushaltskontinuität, […] kann auch zum Zweck des erweiterten Schutzes der Finanzlage der öffentlichen Hand angewendet werden, indem gestattet wird, die finanziellen Beziehungen bei Abkommen auch in Hinsicht auf die vergangenen Betriebsjahre angemessener umzugestalten" (Urteil r. 155 von 2015).Im Übrigen behauptete dieser Gerichtshof, wenn man einen anderen auf steuerrechtlichem Gebiet zwischenrangig eingeleiteten Fall untersucht, dass der Gesetzgeber rechtzeitig eingreifen muss, "um die verfassungsmäßige Auflage des Haushaltsgleichgewichts auch in dynamischer Hinsicht zu erfüllen (Urteile Nr. 40 von 2014,Nr. 266 von 2013,Nr. 250 von 2013,Nr. 213 von 2008,Nr. 384 von 1991eNr. 1 von 1966), […] dies eventuell auch, indem die erkannten Mängel der untersuchten Steuerregelung behoben werden" (Urteil Nr. 10 von 2015). Schließlich kann das Urteil Nr. 27 von 2018, ebenfalls auf wirtschaftlichem Gebiet interessieren. Im 7. Abschnitt (Eine Betrachtung über die Handhabung der Wirkungen: die Untersuchungsbefungnisse des Verfassungsgerichts) wird das Thema der Ermittlungsbefugnisse des Verfassungsgerichts untersucht, insbesondere in Bezug auf die Handhabung der Rechtswirkungen im Verlauf der Zeit, ausgehend von der Voraussetzung, dass die Annahmeurteile tatsächlich "systemische" Rechtswirkungen erzeugen: daher erscheint es im höchsten Maße relevant, dass das Verfassungsrechtsorgan in Hinsicht auf die eventuell durch seine Urteile erzeugten Einwirkungen auf die Ordnung bewusste Entscheidungen aufnehmen kann. Der kritische Punkt ist, dass das Verfassungsgericht selten von seinen Ermittlungsbefugnissen Gebrauch macht (obwohl die vom Verfassungsgericht tatsächlich verwendbaren Hilfsmittel in den ergänzenden Normen besonders detailliert erläutert werden), was sich nicht nur, wie oben beschrieben in wirtschaftlich-finanzieller Hinsicht auswirkt, sondern auch auf dem Gebiet der Wissenschaft (vgl. Urteile Nr. 162 von 2014, Nr. 96 von 2015 und Nr. 84 von 2016). Ab dem 8. Abschnitt (Die Verschiebung des Stichtags: die Gründe, die der zeitlich Richtung Zukunft handhabenden Verfahrensweise zugrunde liegen) ist das zweite Kapitel der Arbeit den ein Prinzip ergänzenden Urteilen, den Urteilen zur ermittelten aber nicht erklärten Verfassungswidrigkeit und den mahnenden Urteilen gewidmet. Im Allgemeineren ist dieser Abschnitt den Gründen gewidmet, die der zeitlich handhabenden Vorgehensweise, bei denen der zukünftige Zeitabschnitt hervortritt, zugrunde liegen: Es handelt sich um die Fälle, in denen das Verfassungsgericht nicht festlegt (oder nicht nur festlegt), die Rückwirkung der Verfassungswidrigkeitserklärung bzgl. der Vergangenheit einzuschränken, sondern (auch) entscheidet, einen Anschluss zum Gesetzgeber zu suchen, indem der Stichtag aufgeschoben wird. Weiter im Einzelnen nutzt das Verfassungsgericht einige Entscheidungsstrategien, um der Bildung der s. g. Gesetzeslücken vorzubeugen, die an sich der Kontinuität der staatlichen Funktionen wie auch der Stabilität der Rechtsverhältnisse, der positiven Tendenz der Finanzlage der öffentlichen Hand wie auch der öffentlichen Verwaltung schaden. Die Gründe, auf denen die besagte zeitlich handhabende Vorgehensweise aufbaut, sind ein weiteres Mal denen sehr ähnlich, die den Unvereinbarkeitserklärungen zugrunde liegen: die Gefahr, dass sich im Fall der Einführung eines die Verfassungswidrigkeit einer Norm ganz einfach erklärenden Urteils ein "Chaos" innerhalb der Rechtsordnung bildet. Im 9. Abschnitt (Die Mittel zur Vorverlegung des Stichtags: Die Urteile zur ermittelten aber nicht erklärten Verfassungswidrigkeit) werden die Hauptmerkmale der ermittelten ab nicht erklärten Verfassungswidrigkeit dargelegt ("sentenze di incostituzionalità accertata ma non dichiarata") die den Entscheidungen der Unvereinbarkeitserklärungen erheblich ähneln, denn in beiden Fällen besteht der Mangel der Verfassungsmäßigkeit und der Gerichtshof mahnt gleichzeitig den Gesetzgeber zur (mehr oder weniger unverzüglichen) Handlung, um die Beseitigung der Verfassungswidrigkeit, die das Rechtssystem insgesamt gefährdet, zu beschleunigen. Der grundlegende Unterschied besteht in der Tatsache, dass im Fall der Unvereinbarkeitserklärungen, die Verfassungswidrigkeit einer Norm nicht nur ermittelt, sondern auch erklärt wird und dies eben in Form der Unvereinbarkeitserklärung (und also nicht der Verfassungswidrigkeitserklärung). In Abschnitt 9.1 (Die Aufschiebung des Stichtags: die ein Prinzip ergänzenden Urteile) werden die ein Prinzip ergänzenden Urteile ("sentenze additive di principio") ebenfalls in ihren Hauptmerkmalen zum Gegenstand der Untersuchung; diese gehören, wie von der neuesten Rechtslehre bestätigt zu einem ungeschriebenen, der Rechtsprechung entspringenden Prozessrecht, auf das erst kürzlich vom Gerichtshof zum Thema der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitserklärungen auch mit Bezugnahme auf ausdrücklich komparatistische Bezüge verwiesen wurde. Mittels dieser Art der Entscheidung erklärt das Verfassungsgericht zwar die Verfassungswidrigkeit einer Norm für den Teil, in welchem diese keine bestimmte Voraussicht oder Regelung enthält, stellt jedoch gleichzeitig einen Grundsatz auf, der prinzipiell vom Gesetzgeber ausgeführt werden muss (welcher je nach Fall mehr oder weniger Schwierigkeiten bei der Umsetzung dieses Grundsatzes haben kann). Wie man sieht, ähnelt das besagte Entscheidungshilfsmittel in seiner Art den Unvereinbarkeitserklärungen, da diese eine synergetische Form der Zusammenarbeit zwischen den Organen Verfassungsgericht, Gesetzgeber und Richter mit sich bringen. Doch nicht nur das: Der Gesetzgeber wird außerdem dazu aufgerufen, die Wiederherstellung der verletzten Verfassungslegalität zu optimieren, so wie mit Bezug auf die zeitlich handhabende deutsche Praxis, denn das, was die Unvereinbarkeitserklärung auszeichnet, ist die Reformpflicht, die s.g. Nachbesserungspflicht. Im Fall einer legislativen Untätigkeit im Anschluss an die Aufnahme eines ein Prinzip ergänzenden Urteils muss die "juristische Ebene" aktiviert werden: in Wirklichkeit ist vor dem Eingriff des Legislativorgans immer eine gewisse Zusammenarbeit zwischen den Richtern und dem Verfassungsgericht notwendig: in diesem Sinne haben die ein Prinzip ergänzenden Urteile eine weitere Ähnlichkeit mit den deutschen Unvereinbarkeitserklärungen. Den Urteilen der "reinen" Unvereinbarkeit ebenfalls sehr ähnlich sind die mit einer allgemeinen Beschlussformel ausgestatteten, ein Prinzip ergänzenden Urteile ("sentenze additive di principio dotate di un dispositivo generico"): in diesem Fall im Anschluss an die erfolgte Verfassungswidrigkeitserklärung, wenn es dem Gericht schwerfällt, im Anschluss an eine wissenschaftliche Auslegung des vom selben Verfassungsgericht erkannten Grundsatzes eine anzuwendende Norm zu bestimmen. Nach diesen Erläuterungen darf das Urteil Nr. 243 von 1993, das in dieser Doktorarbeit ausgiebig behandelt wird, nicht unberücksichtigt bleiben. Mit diesem Urteil erklärte das Verfassungsgericht die Verfassungswidrigkeit eines bestimmten Mechanismus, der vom Gesetzgeber im Rentensystems erkannt wurde, ohne jedoch mit der Aufnahme eines Verfassungswidrigkeitsurteils mit ex tunc-Wirkung fortzufahren. Die mit der Aufnahme eines Urteils der ganz einfachen Annahme verbundenen Folgen wären nämlich für die Staatskassen übermäßig belastend gewesen. Die Rechtswirkungen einer derartigen Verkündigung, die daher von der Rechtslehre akkurat als ein einen Mechanismus ergänzendes Urteil definiert wird, erwiesen sich als denen der deutschen Unvereinbarkeitsurteile vollkommen ähnlich, insbesondere in Bezug auf die Beziehung zum Gesetzgeber: Letzterer wird nicht nur dazu angerufen, zu handeln, um den festgestellten Legitimitätsmangel zu beseitigen, sondern wird auch aufgefordert, innerhalb einer präzisen Frist einzugreifen; die Festsetzung einer Frist ist nämlich einer der Aspekte, der die zeitlich handhabende Praxis der Unvereinbarkeitserklärungen am stärksten auszeichnen. Ebenfalls von Bedeutung ist das Urteil Nr. 170 von 2014, das eben durch den allgemeinen Grundsatz ein Paradox innerhalb der Rechtsordnung erzeugte: Es wurde eine homosexuelle Ehe vorgesehen, obwohl die homosexuelle Ehe in Italien noch nicht legalisiert ist (man beachte im Übrigen, dass dasselbe Verfassungsgericht "BVerfG 1. Senat Beschluss vom 27. Mai 2008, 1 BvL 10/05" zitiert). Der Fall ergab sich aus einem von einem Ehepaar (bei dem eine Person, ihr Geschlecht verändert hatte) eingeleiteten Verfahren, um die Löschung der Eintragung "Beendigung der Rechtswirkungen des amtlichen Ehebundes" zu erwirken, die der Standesbeamte zusammen mit der Eintragung im Auftrag des Gerichts zur Berichtigung (von "männlich" in "weiblich") des Geschlechts des Ehemanns unter die Heiratsurkunde gesetzt hatte; das Verfassungsgericht befand, das Fehlen jeglicher Regelung des besagten Paars stelle eine Verletzung der unantastbaren Menschenrechte laut Art 2 ital. GG dar. Dennoch behauptete das Verfassungsgericht: "Die reductio adlegitimitatemdurch eine handhabende Verkündigung, welche die automatische Scheidung durch eine beantragte Scheidung ersetzt, ist nicht möglich, da dies gleichbedeutend mit einer Fortdauer des Ehebundes zwischen Personen desselben Geschlechts, im Widerspruch zu Art. 29 ital. GG wäre. Es wird also Aufgabe des Gesetzgebers sein, eine alternative (und von der Ehe verschiedene) Form einzuführen, die es den Ehepartnern ermöglicht, den Übergang von einem Zustand höchsten rechtlichen Schutzes zu einer auf dieser Ebene absolut unbestimmten Bedingung zu verhindern. Und der Gesetzgeber wird angerufen, diese Aufgabe mit höchster Eile zu erfüllen, um die erkannte Gesetzeswidrigkeit der untersuchten Regelung unter dem Gesichtspunkt des heutigen Rechtsschutzdefizits der betroffenen Personen zu überwinden". Schließlich ist das ein Prinzip ergänzende Urteil Nr. 278 von 2013 zur Anonymität der Mutter und das Recht des Kindes, seine Herkunft zu kennen, um seine Grundrechte zu schützen, von Bedeutung. Abschnitt 9.2 (Der Aufschub des Stichtags: die Appelle und die "Geisterhandhabung ", die diese mit sich bringen) schließlich ist den Mahnungsurteilen gewidmet, die, obwohl sie nicht in die Steuerung der Verfassungswidrigkeitserklärung eingreifen, dennoch einen Ausgleich zwischen Grundsätzen und Werten mit sich bringen, der "typischerweise" die Grundlage der zeitlichen Handhabung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile ist: Der Gesetzgeber wird im Bereich eines Unzulässigkeitsurteils oder eines ablehnenden Urteils aufgefordert, in Bezug auf eine bestimmte Gesetzesordnung zu handeln, um die Legalität wiederherzustellen, von der angenommen wird, dass sie tatsächlich verletzt wurde. In Bezug auf Mahnungen ist Abschnitt 9.3 (In Bezug auf gefestigte Appelle: die Beziehung zwischen Verfassungsgericht und Gesetzgeber angesichts des Beschlusses Nr. 207 von 2018) vollständig dem Fall Cappato gewidmet, einem wichtigen und bedeutenden juristischen Fall, der es gestattet, die Wechselbeziehungen zwischen Verfassungsgericht und Gesetzgeber unter einer besonderen Lupe (auf dem Gebiet des Strafrechts) zu untersuchen. Zunächst scheint es relevant, die Sachlage zu erläutern: Der allgemein als DJ Fabo bekannte Fabiano Antoniani, der durch die Folgen eines Autounfalls 2014 querschnittsgelähmt und blind geworden war, bat Marco Cappato im Januar 2017, ihm zu helfen, die Schweiz zu erreichen, wo er die Euthanasie durch den sogenannten unterstützten Suizid beantragt hatte und am 27. Februar 2017 erhielt. Marco Cappato, dem bekannt war, dass auch die alleinige Hilfe bei der Beförderung in die Schweiz des Kranken, der darum bittet, nach italienischem Recht verboten ist, verklagte sich selbst bei seiner Rückkehr nach Italien. Gegen Marco Cappato wurde ein Verfahren eingeleitet, das später der Ausführung der Straftat nach gemäß Art. 580 ital. StGb als "Verleitung oder Hilfe zum Selbstmord" rubriziert wurde, nach dem "jeder, der Andere zum Selbstmord bringt oder sie in ihrem Suizidvorhaben bestärkt bzw. auf jedwede Weise dessen Ausführung erleichtert, wird, sofern der Selbstmord erfolgt mit fünf bis zwölf Jahren Haft bestraft". Die Prozessverhandlungen fanden am 8. November 2017, am 4. Und 13. Dezember 2017, am 17. Januar 2018 und am 14. Februar 2018 mit Verlesung des Beschlusses durch den Vorsitzenden des Geschworenengerichts Mailand statt, das die Beurteilung der Verfassungsmäßigkeit der Norm an das Verfassungsgericht verwies. Das Mailänder Gericht hatte zwei verfassungsrechtliche Legitimitätsfragen aufgeworfen: a) "dort, wo das Verhalten zur Hilfe zum Selbstmord statt des Verhaltens zur Verleitung zu Last gelegt wird und somit abgesehen von seinem Beitrag zur Entscheidung oder Bestärkung des Suizidvorhabens" wegen angenommenen Widerspruchs zu den Artikeln 2, 13, erster Absatz und 117 des ital. GG zum Schutz der Menschenrechte und der Grundfreiheiten (EMRK, das in Rom, am 4. November 1950 unterzeichnet, ratifiziert und durch Gesetz Nr. 848 vom 4. August 1955 vollstreckbar wurde); b) "dort, wo das Verhalten der Erleichterung in der Ausführung des Selbstmords vorgesehen ist, das nicht auf den Weg der Entscheidungsfindung des Suizid-Anwärters einwirkt, mit einer Haftstrafe von 5 bis 10 [recte: 12] Jahren, ohne Unterschied zum Verhalten der Verleitung bestraft werden kann", wegen angenommenen Widerspruchs zu den Artikeln 3, 13, 25, zweiter Absatz, und 27, dritter Absatz, ital. GG. Das Verfassungsgericht bestätigte bei der Aufnahme des Beschlusses Nr. 207 von 2018 die Nicht-Unvereinbarkeit der Beschuldigung der Hilfe zum Selbstmord mit dem Grundgesetz; dennoch befand das Verfassungsgericht, spezifische Fälle zu erkennen, in denen das besagte Verbot fallen müsse. Es handele sich um völlig außergewöhnliche Situationen, und zwar solche, in denen die unterstützte Person sich selbst wie folgt identifiziere: (a) als an einer unheilbaren Krankheit leidend, die (b) körperliches und psychisches Leiden mit sich bringt, die von der Person als absolut nicht auszuhalten betrachtet werden, welche (c) durch lebenserhaltende Maßnahmen am Leben gehalten wird, aber (d) in der Lage ist, Entscheidungen frei und bewusst zu treffen. In allen anderen Fällen könnte sich der Sterbewille dank Anwendung des ital. Gesetz L. Nr. 219 von 2017 erfüllen, das als Normen zur aufgeklärten Einwilligung und Patientenverfügung) rubriziert ist und durch die Voraussichten des ital. Gesetzes Nr. 38 vom 15. März (Bestimmungen zur Gewährleistung des Zugangs zu Palliativpflege und Schmerztherapie) ergänzt wurde. Anschließend bestätigt das Verfassungsgericht bedeutungsvoll: "Dieses Gericht befindet im Übrigen, zumindest zu diesem Zeitpunkt, keine Abhilfe schaffen zu können gegen die erkannte Rechtsverletzung hinsichtlich der oben aufgeführten Grundsätze durch die bloße Ausweisung aus dem Anwendungsbereich der Strafverfügung jener Fälle, in denen die Hilfe gegenüber Personen geleistet wird, die sich in den gerade beschriebenen Zuständen befinden", denn "eine solche Lösung würde an sich die Leistung materieller Hilfe gegenüber von Patienten in diesen Zuständen, in einem ethisch-gesellschaftlich höchst empfindlichen Bereich, in welchem jeder mögliche Missbrauch mit Bestimmtheit auszuschließen ist, vollkommen ungeschützt lassen". Die besagte Regelung müsste anfangs dem Parlament anvertraut werden, da die normale Aufgabe dieses Gerichtshofs die Überprüfung der Vereinbarkeit der vom Gesetzgeber in Ausübung seines politischen Ermessensspielraums bereits vorgenommenen Entscheidungen mit den durch die Notwendigkeit der Beachtung der verfassungsrechtlichen Grundsätze und der Grundrechte der betroffenen Personen vorgeschriebenen Einschränkungen ist. Das Verfassungsgericht bestimmt also, "seine eigenen Befugnisse zur Steuerung des Verfassungsprozesses" zu nutzen und die nicht mit dem Grundgesetz übereinstimmende Vorschrift beizubehalten, ohne jedoch deren Anwendung durch die Richter zu verfügen, in Anbetracht der Tatsache, dass die Wirksamkeit der zensierten Regelung im vorliegenden Fall angesichts "dessen besonderer Eigenschaften und wegen der Bedeutung der damit verbundenen Werte" nicht als erlaubt gelten könnte. Wie man bemerken kann, scheint die Ratio der Unvereinbarkeitserklärung in diesem Fall tatsächlich die Rolle des "steinernen Gastes" übernommen zu haben. Der Gerichtshof bestätigt somit: "Um zu verhindern, dass die Vorschrift in dem hier angefochtenen Teil in der Zwischenzeit angewendet werden kann, wobei dem Parlament dennoch die Möglichkeit gegeben ist, die notwendigen Entscheidungen zu treffen, die grundsätzlich in seinem Ermessensspielraum bleiben – die Notwendigkeit, den Schutz der Patienten in den mit dieser Verkündigung angegebenen Einschränkungen zu gewährleisten, bleibt unangetastet – befindet der Gerichtshof somit auf andere Weise vorsorgen zu müssen, indem er also die Aufschiebung des laufenden Verfahrens verfügt und die Verhandlung zur neuen Diskussion der Verfassungsmäßigkeitsfragen für den 24. September 2019 anberaumt; in den anderen Verfahren dagegen obliegt es den Richtern, zu beurteilen, ob, angesichts der Angaben in dieser Verkündigung ähnliche Fragen zur Verfassungslegitimität der untersuchten Verfügungen als erheblich und nicht offensichtlich unbegründet anzunehmen sind, um die Anwendung derselben Verfügung in dem hier angefochtenen Teil zu vermeiden". Die besagte Verkündigung ist durch die nun sehr bekannte Beschlussformel, charakterisiert, welche die getroffene Erklärung der Verfassungswidrigkeit von Art. 580 ital. StGb nicht enthält. Darin heißt es: "Aus diesen Gründen wird die Behandlung der mit dem im Rubrum angegebenen Beschluss aufgeworfenen Fragen zur Verfassungsmäßigkeit auf die öffentliche Verhandlung am 24. September 2019 verschoben". Es handelt sich nämlich um einen vorläufigen Beschluss, mit dem das Verfassungsgericht entschied, das Gerichtsverfahren aufzuschieben und die Verfassungswidrigkeit von Art. 580 ital. StGb auf die in derselben Verkündigung beschriebene Weise zu überprüfen. Die deutschen Unvereinbarkeitserklärungen ähneln jedoch in Ratio und Aufbau der besprochenen Verkündigung, denn derselbe Verfassungsrichter Modugno verwies in Bezug auf Beschluss Nr. 207 von 2018 bei der öffentlichen Verhandlung am 24. September 2019 ausdrücklich auf die deutsche Rechtsprechung. In erster Linie tritt die "Anwendungssperre der verfassungswidrigen Norm" hervor; in zweiter Linie tritt die für den Gesetzgeber vorgesehenen Frist und der Verweis auf eine "faire und dialektische institutionelle Zusammenarbeit" hervor; in dritter Linie tritt der weite Ermessensspielraum, den das Verfassungsgericht dem Gesetzgeber zur verfassungsgemäßen Gestaltung der Regelung gelassen hat, hervor. Wie in der Rechtslehre bestätigt, handele es sich um ein "gefestigter" Appell, ein Urteil zur ermittelten aber nicht erklärten ganz eigenen Verfassungswidrigkeit, eine italienische Unvereinbarkeitserklärung. Außerdem besonders hervorzuheben ist die Tatsache, dass das Gebiet, auf welchem die besagte Verkündigung eingriff, das Strafrecht ist, indem das Ermessen des Gesetzgebers erheblich bedeutend ist. Trotz der Absicht des Verfassungsgerichts handelte der Gesetzgeber nicht innerhalb der vorgesehenen Frist, aus diesem Grund referierte das Verfassungsgericht in der am 25. Oktober 2019 veröffentlichten Pressemeldung, dass "der Gerichtshof in Erwartung eines unerlässlichen Eingriffs des Gesetzgebers die Nicht-Strafbarkeit der Beachtung der Verfahren, die in der Vorschrift zur aufgeklärten Einwilligung, zur Palliativpflege und zur kontinuierlichen tiefen Sedierung (Artikel 1 und 2 des ital. Gesetzes 219/2017) und der Überprüfung sowohl der erforderlichen Bedingungen als auch der Ausführungsverfahren durch eine öffentliche Einrichtung des staatlichen Gesundheitsdienstes nach Anhörung des Bescheids des örtlich zuständigen Ethik-Kommission vorgesehen sind, unterstellt". Vor wenigen Tagen wurde das Urteil Nr. 242 von 2019 hinterlegt, mit dem das Verfassungsgericht die "Sage" Cappato "abschloss": aus zeitlichen Gründen konnte diese Verkündigung, die jedoch in Bezug auf die Beziehung zwischen Verfassungsgericht und Gesetzgeber von erheblicher Bedeutung für diese Doktorarbeit ist, nicht untersucht werden. Das Verfassungsgericht entschied somit, die "Verfassungswidrigkeit von Art. 580 des ital. Strafgesetzbuchs dahingehend" zu erklären, "dass die Strafbarkeit dessen nicht ausgeschlossen wird, der mit der in den Artikeln 1 und 2 des ital. Gesetzes Nr. 2019 vom 22. Dezember 2017 (Normen zur aufgeklärten Einwilligung und Patientenverfügung)– d.h. in Bezug auf die Tatbestände vor der Veröffentlichung dieses Urteils im Amtsblatt der Republik mit gleichwertigen Vorgehensweisen wie in der Begründung – vorgesehenen Art und Weise die Ausführung des sich selbständig und frei gebildeten Suzidvorhabens einer durch lebenserhaltende Maßnahmen am Leben gehaltenen Person, die an einer unheilbaren Krankheit leidet, welche körperliche und psychische Leiden mit sich bringt, die von dieser als nicht auszuhalten angesehen werden, welche aber in der Lage ist, Entscheidungen frei und bewusst zu treffen, sofern diese Bedingungen und die Ausführungsverfahren durch eine öffentliche Einrichtung des staatlichen Gesundheitsdienstes überprüft werden nach Anhörung des Bescheids des örtlich zuständigen Ethik-Kommission erleichtert". Der Gesetzgeber, der zum Handeln im Anschluss an die erfolgte Aufschiebung der Rechtswirkungen des Urteils der "ermittelten" Verfassungswidrigkeit laut Beschluss Nr. 207 von 2018 aufgerufen wurde, scheint zusammen mit und vor allem durch seine Untätigkeit im Urteil Nr. 242 von 2019 in den Vordergrund zu treten. Das dritte Kapitel ist vollumfänglich der deutschen Praxis der Unvereinbarkeitserklärungen gewidmet, deren wichtigste Vorteile und Problempunkte untersucht werden. Im 1. Abschnitt (Die Ratio eines Vergleichs zwischen der "alternativen Tenorierung" des BVerfG und der zeitlich handhabenden Rechtsprechung des Verfassungsgerichts) wird versucht, die Gründe, auf denen das Interesse für die zeitlich handhabende deutsche Praxis beruht zu erklären. Erstens entspricht, wie weiter unten ausgeführt sowohl in der italienischen Ordnung wie auch in der deutschen die Verfassungswidrigkeit einer Norm faktisch seiner Ungültigkeit. Trotz dieser gemeinsamen Voraussetzung, eben in Hinsicht auf die Notwendigkeit, eine Steuerung der Rechtswirkungen im Verlauf der Zeit der Verfassungswidrigerklärung vorzunehmen, sah der deutsche Gesetzgeber eine Änderung des BVerfGG vor, während dagegen, obwohl die Corte costituzionale in einigen Fällen befunden hatte, von der Rückwirkung der Annahmeurteile abzuweichen, das Verfassungssystem, wie im ersten und zweiten Kapitel zu zeigen versucht wurde, noch keine Form der Positivierung der Handhabung der Rechtswirkungen im Verlauf der Zeit erfahren. Und dies trotz der kürzlichen Einführung von Urteil Nr. 10 von 2015 und Beschluss Nr. 207 von 2018: erstes enthält, wie bereits besprochen, einen ausdrücklichen Verweis auf die deutsche Praxis; zweiter dagegen verweist lediglich implizit auf den Aufbau und die Ratio der deutschen Unvereinbarkeitserklärungen. Die besagten Entscheidungen werden aufgrund ihrer Bedeutung Untersuchungsgegenstand in Abschnitt 1.1. (Die Ratio des Vergleichs: zwei aktuelle Beispiele). In Abschnitt 1.2. (Die Problematik eines Vergleichs zwischen der italienischen und der deutschen Praxis) wird die Problematik bezüglich eines Vergleichs zwischen der italienischen und der deutschen Praxis hervorgehoben. In erster Linie tritt die verschiedene gesetzliche Regelung der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigerklärung hervor; in zweiter Linie die ungleichen Beziehungen zwischen den verschiedenen Verfassungsorganen (zu denen das Verfassungsgericht offensichtlich gehört). In diesem Abschnitt werden diese beiden Aspekte beleuchtet, wobei jedoch nicht zu vergessen ist, dass, wenn auch die Beziehung zwischen BVerfG und dem Gesetzgeber entschieden entspannter ist als in der italienischen Situation, werden in der deutschen Rechtslehre dennoch die Problematiken hervorgehoben, die ein eventuelles Nicht-Erfüllen des Gesetzgebers der Vorgabe des Verfassungsgerichts mit sich bringt; gleichzeitig weisen die Unvereinbarkeitserklärungen Elemente der Unklarheit auf, und zwar in Bezug auf die Möglichkeit, ihre juristischen Folgen sicher kennen zu können, da diese konkret von den Entscheidungen des BVerfG abhängen; aus diesem Grund ist dieser Entscheid zum Teil auch Gegenstand der Kritik durch die deutsche Rechtslehre. Im Übrigen, während in Bezug auf die italienische Praxis die Unvereinbarkeitserklärungen vor allem angesichts der "unvorhersehbaren" Folgen kritisiert werden, kann man gleichzeitig nicht übersehen, dass dieselbe Kritik (und nicht nur diese) in der deutschen Rechtslehre angeführt wird, in der auch einige Problempunkte in Bezug auf die Beziehung zwischen Gesetzgeber und BVerfG mit besonderem Verweis auf die zeitlich handhabende Praxis hervorgehoben werden. In Abschnitt 1.3. (Ziel des Vergleichs mit den deutschen Unvereinbarkeitserklärungen) wird das Ziel des Vergleichs unterstrichen, das nicht nur in einer Überlegung zur hypothetischen Übertragung dieses Entscheidungstyps in die Sammlung der Entscheidungsmittel des Verfassungsgerichts ist, sondern auch in einer Überlegung zum Thema der "Einschränkung" der Rückwirkung besteht. Die nachfolgenden Abschnitte sind der Untersuchung der Norm gewidmet. Im 2. Abschnitt (Die Nichtigkeitslehre und die Theorie der Vernichtbarkeit) geht es auf rein theoretischer und allgemeiner Ebene um die Grundzüge der Nichtigkeitslehre und der Vernichtbarkeitstheorie. Abschnitt 2.1. ist vollumfänglich der Ipso-iure-Nichtigkeit gewidmet, die das Panorama der deutschen Rechtslehre seit den fünfziger Jahren beherrscht; es werden die juristischen Modelle untersucht, auf denen sie beruht und auf die Verfassungsnormen und das einfache Recht verwiesen, auf das sie aufbaut. Abschnitt 2.2. (Die Theorie der Nichtigkeit im Grundgesetz) ist den Verfassungsnormen gewidmet, welche die Grundlage der Nichtigkeitslehre darzustellen scheinen. Abschnitt 2.3. (Die Nichtigkeit des Verfassungsgesetzes und die Hauptquelle: §78 BVerfGG) ist der Untersuchung von § 78 BVerfGG gewidmet, wo es heißt, "Kommt das Bundesverfassungsgericht zu der Überzeugung, dass Bundesrecht mit dem Grundgesetz oder Landesrecht mit dem Grundgesetz oder dem sonstigen Bundesrecht unvereinbar ist, so erklärt es das Gesetz für nichtig". Wie man sieht, bestätigt diese Verfügung die Nichtigkeit der für verfassungswidrige erklärten Norm und steht so im Widerspruch zur "bloßen" Erklärung der Unvereinbarkeit der verfassungswidrigen Norm. Abschnitt 2.4. (Die Gesichtspunkte der Flexibilisierung der Rechtswirkungen der Entscheidung angesichts der Ipso-iure-Nichtigkeit) ist den allerersten Versuchen des BVerfG gewidmet, eine Ausnahme vom Dogma der Nichtigkeit zu machen und sich auf dieser Weise dem zu nähern, was als "Anwendbarkeit des Rechts" definiert wurde. Abschnitt 2.5. ist vollumfänglich der Vernichtbarkeitstheorie des Gesetzes gewidmet; insbesondere werden im Verlauf desselben die theoretischen und gesetzlichen Grundlagen dieser These untersucht, die sich teilweise mit der Notwendigkeit der Überwindung der die Nichtigkeitserklärung charakterisierenden Problempunkten deckt, wobei die Bedeutung, die diese Theorie hinsichtlich der Unvereinbarkeitserklärungen annimmt zu berücksichtigen ist. Der 3. Abschnitt (Die Folgen der Nichtigkeitserklärung, §79 BVerfGG) ist der Untersuchung der Folgen (gegenüber Vergangenheit und Zukunft) der Verfassungswidrigerklärung gewidmet: Diese Analyse entwickelt sich angesichts einiger von einigen Autoren der deutschen Rechtslehre, darunter vor allen Kneser, Gusy und Ipsen vorgebrachten Thesen. Abschnitt 3.1. (Die Vorschläge zur Änderung der Rechtswirkungen der deutschen Nichtigkeitserklärung) ist, fast symmetrisch zum 2. Abschnitt des 2. Kapitels, der Untersuchung zweier bedeutender Versuche zur Änderung der Rechtswirkungen laut § 79, Abs. 1 BVerfGG (BT-Drs. V/3916) und (BT-Drs VI/388) gewidmet, die, obwohl nie verabschiedet zur Verbreitung einer möglichen Rechtfertigung der Theorie der Vernichtbarkeit der verfassungswidrigen Norm beigetragen haben. Nach einem Teil der Rechtslehre war der Grund für die mangelnde Änderung der Rechtswirkungen des Nichtigkeitsurteils laut §79 BVerfGG sehr einfach, denn jede Form der Kodifizierung würde die notwendige Handlungsflexibilität des BVerfG einschränken, welches im Übrigen durch den Gebrauch der Unvereinbarkeitserklärungen immer anwendbare Handlungen gefunden hat. In jedem Fall änderte der Gesetzgeber im Jahr 1970 durch das Vierte Gesetz zur Änderung des BVerfGG den §79 1. Abs. und den § 31 2. Abs., in denen die Möglichkeit vorgesehen ist, dass die verfassungswidrige Norm nicht nur nichtig erklärt wird, sondern auch unvereinbar. Der umfangreiche 4. Abschnitt (Die deutschen Unvereinbarkeitserklärungen) ist den deutschen Unvereinbarkeitserklärungen gewidmet, die unter mehreren Gesichtspunkten untersucht werden und in diesem Kapitel Hauptgegenstand der Studie sind. In Abschnitt 4.1. (Grundlage und Legitimation der Unvereinbarkeitserklärungen) werden die allgemeinen Gründe untersucht, die das BVerfG dazu führten, trotz der Vorgabe des § 78 BVerfGG einen von der Nichtigkeitserklärung verschiedenen Entscheidungstyp einzuführen. Der zu untersuchende Entscheidungstyp ist mit der Zeit nach einem Teil der Rechtslehre zu einer "Regel" geworden, denn §78 BVerfGG hätte (nach der Lehre Burkiczaks) ein primitives Wesen angenommen. Andererseits weist der Pragmatismus des BVerfG einige bedeutende Schwierigkeiten auf, wie hier hervorzuheben versucht wird: Erstens die der Erkennung einer juristisch-theoretischen Rechtfertigung des besprochenen Entscheidungstyps und zweitens das Problem der Beschreibung der Anwendungstopoi, in Anbetracht der Tatsache, dass die Anwendungskriterien der Unvereinbarkeitserklärungen oft Überlagerungen aufweisen. In Abschnitt 4.2. (§ 79 1. Abs. des BVerfGG und § 31, 2. Abs. BVerfGG: die Revolution des Vierten Gesetzes zur Änderung des BVerfGG) wird das Thema der Revolution des Vierten Gesetzes zur Änderung des BVerfGG in Angriff genommen, das §79 1. Abs. des BVerfGG und § 31 2. Abs. BVerfGG änderte und die Möglichkeit einfügte, die Norm für unvereinbar zu erklären. Während in Abschnitt 4.3. (Der § 31 des BVerfGG) eben § 31 des BVerfGG, untersucht wird, befasst sich Abschnitt 4.4. (Der § 35 des BVerfGG) mit § 35 des BVerfGG, welcher nicht nur die Grundlage der Fortgeltungsanordnung der unvereinbaren Norm, sondern auch die möglichen Formen zu deren Vollstreckung begründet. Gerade wegen der "pragmatischen" Natur der Unvereinbarkeitserklärungen ist es schwierig, die Anwendungstopoi dieses Entscheidungsmittels zu erkennen; nicht ohne Grund wird in der maßgeblichen Rechtslehre auf eine pragmatische, flexible und nicht dogmatische zeitlich handhabende Praxis verwiesen, die im 5. Abschnitt (Das Problem der Erkennung einer Kasuistik der Unvereinbarkeitserklärungen: die pragmatische, flexible und nicht dogmatische Praxis) behandelt wird. Ganz allgemein werden Unvereinbarkeitserklärungen in folgenden Fällen angewendet: a) wenn der Gesetzgeber verschiedene Möglichkeiten hat, um den Mangel an Verfassungsmäßigkeit zu beseitigen, für gewöhnlich, wenn der Gleichheitsgrundsatz verletzt wird, da dem Gesetzgeber ein großer Ermessensspielraum zukommt, um die verletzte Legalität wiederherzustellen. In diesem Fall ist es der Schutz der Ermessenssphäre des Gesetzgebers der zur Grundlage der Beurteilung (oder wenn man will der Abwägung) der juristischen Folgen der Verfassungswidrigerklärung wird. Hinsichtlich der Beziehung zum Gesetzgeber wird in der Rechtslehre eine Form der spezifischen Koordinierung zwischen BVerfG und Gesetzgeber bezeichnet, in Anbetracht der Tatsache, dass die Unvereinbarkeitserklärung den Ermessensspielraum des Gesetzgebers in Hinsicht auf den Zeitraum zwischen der Erklärung der Unvereinbarkeit und der Einführung der neuen Gesetzesverordnung schützt. b) wenn ein Übergang von der verfassungswidrigen Lage zur verfassungsmäßigen Situation im Gemeininteresse notwendig ist. Im Wesentlichen erhält dieser Anwendungsbereich in dem Fall Bedeutung, wo die Aufnahme einer Verfassungswidrigerklärung die Verfassungswidrigkeit innerhalb der Rechtsordnung noch verschlimmern würde. In diesem Sinne tritt die "Chaos-Theorie" hervor, die im Übrigen an die Verletzung der Artt. 33. 1. Abs., 2. Abs., 3. Abs. und 21 1. Abs. GG anknüpft. Während man die Einwendung der möglichen Unbestimmtheit der s.g. Anwendungstopoi der Unvereinbarkeitserklärungen eben wegen des Fehlens einer umfassenden Gesetzesgrundlage, die in Abschnitt 5.1. (Gibt es einen Numerus clausus der Anwendungsfälle der Unvereinbarkeitserklärungen?) angesprochen wird, im Hinterkopf behält, wird im 6. Abschnitt (Die Unterkategorien der Unvereinbarkeitserklärungen) auf die notwendige Unterscheidung zwischen den Unvereinbarkeitsentscheidungen und den s.g. Appellentscheidungen hingewiesen, um dann im Verlauf von Abschnitt 6.1. (Das "reine" Unvereinbarkeitserklärung) zur Untersuchung der Hauptmerkmale der reinen (oder schlichten) Unvereinbarkeitserklärung überzugehen, die sich vor allem durch eine Reformpflicht (mit dem Ziel der Garantie der freien Ausübung durch den Gesetzgeber seines Werks zur Beseitigung des vom BVerfG entschiedenen Legitimitätsmangels) und durch die s.g. Anwendungssperre des für verfassungswidrig erklärten Gesetzes charakterisiert, wie im Übrigen in der allerersten Unvereinbarkeitsentscheidungen, BVerfGE 28, 227 (Steuerprivilegierung Landwirte) vorgesehen war. Abschnitt 6.2. (Die Unvereinbarkeitserklärung und die s.g. weitere Anwendbarkeit des für unvereinbar erklärten Gesetzes) ist der Untersuchung des Aufbaus der vom BVerfG verfügten Anordnung der Anwendung des für unvereinbar erklärten Gesetzes: wie in diesem Abschnitt gezeigt wird, betrachtet die Rechtslehre das Mittel der Fortgeltungsanordnung als eine Art "Ebene" des "reinen" Unvereinbarkeitsurteils; gleichzeitig wird deren so verschiedenartiger Aufbau untersucht. In diesem Sinn wird auf die vorläufige Weitergeltungsanordnung und die endgültige Weitergeltungsanordnung verwiesen. Die Fortgeltungsanordnung wird auch in Abschnitt 6.2.1. untersucht, wo die gesetzliche Grundlage der Fortgeltungsanordnung zum Analyseobjekt wird; gleichzeitig erfolgt eine Überlegung zur Möglichkeit, die Voraussicht der zeitlich beschränkten Anwendung des für unvereinbar erklärten Gesetzes mit der Normenhierarchie zu vereinen. Die Lösung scheint in dem vom BVerfG verspürten Bedürfnis, die verfassungsfernere Lösung auszuschließen zu liegen. In Abschnitt 6.2.2. (Die in der Motivation der Unvereinbarkeitserklärungen liegende Schwierigkeit, vor allem in Bezug auf die mit Fortgeltungsanordnung verbundenen Erklärungen) wird der Problempunkt der schwierigen Erkennung der Folgen, die sich aus den Unvereinbarkeitsurteilen ergeben können, behandelt, und insbesondere im Fall der mit Anordnung der s.g. weiteren Anwendbarkeit, verbundenen Entscheidungen, in Anbetracht der Tatsache, dass das BVerfG die Folgen der Unvereinbarkeitsentscheidungen offen lässt. In Abschnitt 6.3. (Die mit einer Übergangsregelung verbundenen Unvereinbarkeitserklärungen) werden dagegen die mit einer vom selben BVerfG bestimmten Übergangsregelung verbundenen Unvereinbarkeitsentscheidungen analysiert. Die besagten Übergangsregelungen bestehen auch unabhängig von der Anwendung der Unvereinbarkeitserklärungen, denn diese können an Nichtigkeitserklärungen gebunden sein: Man denke beispielsweise an die Entscheidungen BVerfGE 1, 39 – Schwangerschaftsabbruch 1 und BVerfGE 88, 203 – Schwangerschaftsabbruch II. Wie weiter unten gezeigt, übernehmen die Übergangsregelungen, wenn sie in Begleitung der Unvereinbarkeitserklärungen beschlossen werden, die Rolle der "Entscheidungsgrundlage", und zwar deshalb, weil die Übergangsregelung keinen unabhängigen Entscheidungstyp darstellt. Der 7. Abschnitt (Die Anwendungsgebiete der Unvereinbarkeitserklärungen) besteht aus mehreren Unterabschnitten und beschäftigt sich mit Überlegungen zu den Anwendungsgebieten der deutschen Unvereinbarkeitserklärungen, die vor allem in Bezug auf die italienische Praxis von besonderem Interesse sind. Wie weiter unten gezeigt, basieren die Unvereinbarkeitserklärungen auf denselben Gründen wie die vom Verfassungsgericht entwickelte umfangreiche Sammlung an Entscheidungsmitteln, d.h. zum Beispiel die Urteile mit verschobener Verfassungswidrigkeit, die ein Prinzip ergänzenden Urteile und die Urteile zur ermittelten aber nicht erklärten Verfassungswidrigkeit. Erstens ist der Anwendungstopos der Verletzung des Gleichheitsgrundsatzes, zu berücksichtigen, der in Abschnitt 7.1. (Die Verletzung des Gleichheitsgrundsatzes und der Schutz des Ermessensspielraums des Gesetzgebers) ausgehend von der ersten "offensichtlichen" Entscheidung mit Verzicht auf die Anwendung der Nichtigkeitserklärung BVerfGE 22, 349 (361-362) – Waisenrente und Wartezeit – untersucht wird. Das Ziel, die Optimierung der Beseitigung des Mangels an Verfassungsmäßigkeit zu gewährleisten, vereint sich im Fall der Verletzung des – in Art. 3 GG dargelegten Gleichheitsgrundsatzes – mit dem Schutz des Ermessensspielraums des Gesetzgebers (vgl. BVerfGE 17, 148; BVerfGE 93, 386; BVerfGE 71, 39; BVerfGE 105, 73; siehe schließlich auch das Urteil zum dritten Geschlecht vom 10. Oktober 2017). Während in Abschnitt 7.1.1. (Die Einführung der Nichtigerklärung im Fall der Verletzung des Gleichheitsgrundsatzes) die (außergewöhnlichen) Gründe behandelt werden, aufgrund derer das BVerfG verfügt, die Nichtigerklärung anzuwenden, obwohl ein Gleichheitsgrundsatz verletzt wurde, beschäftigt sich Abschnitt 7.2. (Die s.g. Chaos-Theorie) mit der Theorie, die auch als "Argument der juristischen Folgen" bezeichnet wird: Dieses Argument liegt, wie man im Verlauf dieses Kapitels sieht, dem Verzicht auf die Anwendung der Nichtigerklärung zugrunde, d.h. die Gefahr eines noch "verfassungsferneren Zustands bei Nichtigerklärung" (vgl. BVerfGE 37, 217; BVerfGE 33, 303; BVerfGE 132, 134). Es ist interessant zu bemerken, dass dieser Anwendungstopos im Bedürfnis, die Rechtssicherheit und den Rechtsstaat zu gewährleisten, substanziiert werden kann; weiter könnte das BVerfG nicht nur gesellschaftliche, sondern auch durch das Grundgesetz gewährleistete Grundrechte schützen wollen. Wegen der Bedeutung der Kategorie der Rechtssicherheit in der Praxis der Unvereinbarkeitserklärungen ist Abschnitt 7.2.1. (Rechtssicherheit . Eine elastische Kategorie) einer Untersuchung der Beziehung zwischen diesem juristischen "Gut" und der zeitlich handhabenden Praxis des BVerfG gewidmet; in Abschnitt 7.2.2. (Der Schutz des Gemeinwohls und die mit Fortgeltungsanordnung verbundenen Unvereinbarkeitserklärungen) wird eine Überlegung zur Beziehung zwischen den mit Fortgeltungsanordnung verbundenen Unvereinbarkeitserklärungen und der verfassungsrechtlichen Notwendigkeit zum Schutz des Gemeinwohls entwickelt (vgl. BVerfGE 91, 186; BVerfGE 198, 190; BVerfGE 109, 190); der nächste Abschnitt 7.3. (BVerfG und Strafrecht) behandelt die Verwendung der Unvereinbarkeitserklärungen (insbesondere der mit Fortgeltungsanordnung verbundenen) durch das BVerfG auf dem Gebiet des Strafrechts. Dieser Abschnitt ist für italienische Forscher besonders interessant, nicht nur angesichts des weiten Ermessensspielraums, der dem Gesetzgeber auf dem Gebiet des Strafrechts zukommt, sondern auch angesichts der Aufnahme des kürzlichen Beschlusses Nr. 208 von 2017, der im späteren Verlauf seine "Folge" in Urteil Nr. 242 von 2019 fand (vgl. BVerfGE 109, 190; die Verkündigung zur Sicherungsverwahrung vom 4. Mai 2011, oder weiter die Entscheidung vom 20. April 2016 zum Thema Bundeskriminalamtgesetz). Wie man sehen wird, scheinen der Gesetzgeber und das BVerfG auf dem Gebiet des Strafrechts zwischen den Vorgaben der Beachtung des legislativen Ermessens und der erfolgten Unvereinbarkeitserklärung der nicht mit der Verfassung zu vereinbarenden Strafnorm zu "dialogisieren". Abschnitt 7.4. (Der Topos der Finanz- und Haushaltsplanung) ist der zwischen der Annahme der Unvereinbarkeitserklärung, seiner zeitlichen Wirkung und der Notwendigkeit zum Schutz des Staatshaushalts bestehenden Beziehung gewidmet. Zu diesem Zweck darf man die Tatsache nicht vergessen, dass die Weitergeltungsanordnung eine ausreichende juristische Grundlage ist, um die Zahlung der Steuern von den Bürgern zu fordern und dass diese gleichzeitig ein mögliches Mittel darstellt, um das Auftreten einer unsicheren Rechtssituation zu verhindern, da die Steuereinnahmen des Bundes oder der Länder verloren gehen könnten (vgl. BVerfGE 138, 136; Urteil vom 15. Januar 2019 2 BvL 1/09). Der Abschnitt 7.5. (Die Unvereinbarkeitserklärungen gegenüber der legislativen Unterlassung) behandelt die Beziehung zwischen der Unterlassung des Gesetzgebers und dem Verzicht auf die Nichtigkeitserklärung einer Norm. Es handelt sich im Wesentlichen um ein vollkommen primitives – und problematisches – Kriterium der Anwendung der Unvereinbarkeitserklärungen, wie es auch die Kategorie hinsichtlich des Ermessens des Gesetzgebers ist, dessen Hauptmerkmale in Abschnitt 7.6. (Ein primitives Kriterium: der Ermessensspielraum des Gesetzgebers) untersucht werden. Im 8. Abschnitt (Die Folgen der Unvereinbarkeitserklärungen: Eine allgemeine Übersicht) werden die Folgen analysiert, die ganz allgemein die Anwendung der Unvereinbarkeitserklärung betreffen, wobei jedoch zu unterstreichen ist, dass die Folgen je nach der "konkreten" Praxis, die dasselbe BVerfG befindet, Änderungen unterliegen können. Die Auswirkungen der Unvereinbarkeitserklärung haben keine "klare Linie". Ganz allgemein folgt der Anwendung einer Unvereinbarkeitserklärung die Pflicht des Gesetzgebers, den Mangel an Verfassungsmäßigkeit zu beseitigen und die Pflicht der Richter, die Vorgabe des Gerichts in Bezug auf die für unvereinbar erklärte Norm zu befolgen. In Bezug auf die Beziehung zwischen BVerfG und Gesetzgeber wird in Abschnitt 8.1. (Die aus der Pflicht zur Reform der unvereinbaren Norm, der s.g. Nachbesserungspflicht entstehenden Folgen) die Reformpflicht des Gesetzgebers untersucht und deren ex tunc- bzw. ex nunc-Wirkung je nachdem, wie das Bundesverfassungsgericht von Fall zu Fall entscheidet. In diesem Abschnitt wird versucht, auch die Natur und das Gebundensein an die Frist zu untersuchen, einem nicht ganz unbekannten Instrument im Bereich des italienischen Verfassungsrechts. Obwohl der Deutsche Bundestag häufig innerhalb der vom BVerfG, vorgesehenen Frist eingreift, gibt es doch auch Fälle, in denen der Gesetzgeber nicht innerhalb des vorgesehenen Zeitraums gehandelt hat (vgl. BVerfGE 99, 300; und das Urteil zur Erbschaftssteuer vom 17. Dezember 2014). In Bezug auf Problematiken hinsichtlich der Untätigkeit des Gesetzgebers kommt man nicht umhin, das in der übermäßigen zeitlichen Verlängerung der Anwendungssperre liegende Risiko zu betrachten (vgl. BVerfGE 82, 136). In Hinsicht auf die anderen Verfassungsorgane hat die Rechtslehre im Fall von legislativer Untätigkeit zwei verschiedene Möglichkeiten zum "Sperren" des verfassungswidrigen Zustands erkannt: Eingriff der Gerichte, die dazu aufgerufen sind, verfassungsmäßig zu entscheiden und Eingriff desselben BVerfG in "Einzelfall" gemäß § 35 des BVerfGG. Hinzu kommt, wie man weiter unten sieht, dass es schwierig ist, die Nichtigkeit der für unvereinbar erklärten Norm bei Untätigkeit des Gesetzgebers vorauszusehen. In jedem Fall sind die Probleme hinsichtlich des mangelnden Nachkommens der Nachbesserungspflicht eher theoretischer Art, wenn man die bestehende gute Zusammenarbeit zwischen Gesetzgeber (Richtern) und BVerfG bei der Umsetzung der zeitlich handhabenden Praxis bedenkt. In Abschnitt 8.2. (Die spezifischen Folgen der Unvereinbarkeitserklärungen) werden die spezifischen juristischen Folgen der Unvereinbarkeitserklärungen untersucht, wobei vor allem die "reinen" und die mit weiterer Anwendbarkeit verbundenen Unvereinbarkeitserklärungen betrachtet werden. Der 9. Abschnitt (Der Zeitfaktor der Unvereinbarkeitserklärungen: ein flexibles Entscheidungsmittel) widmet sich der zeitlichen Orientierung, welche die Rechtswirkungen der Unvereinbarkeitsurteile annehmen können, und zwar ex tunc- oder ex nunc-Wirkung, je nach der ihrerseits von der Reformpflicht des Gesetzgebers angenommenen zeitlichen Orientierung. Die mit der bloßen ex nunc-Wirkung der Unvereinbarkeitserklärungen verbundenen Problematiken, die in den Bereichen zur Beurteilung der konkreten Normenkontrolle und der Verfassungsbeschwerde am deutlichsten hervortreten, sind für das italienische Verfassungsrecht besonders interessant, in Anbetracht der Tatsache, dass dieses weitgehend durch die Inzidentalität des Systems charakterisiert ist, das durch die Unterbrechung des Inzidentalitätszusammenhangs stark beeinträchtigt würde. Die gleichen Problematiken scheinen sich laut der deutschen Rechtslehre in Bezug auf die beiden eben angeführten deutschen Urteilstypen zu stellen; ein deutliches Beispiel ist das in diesem Abschnitt untersuchte Urteil, die Entscheidung vom 10. April 2018 – 1 BvL 11/14. Angesichts der Ausführungen im ersten, zweiten und dritten Kapitel werden im letzten die Schlüsse dieser Doktorarbeit gezogen und versucht einen roten Faden zwischen der zeitlich handhabenden Rechtsprechung des ital. Verfassungsgerichts und der des BVerfG zu finden, und zwar anhand der Untersuchung einiger Aspekte, die das heutige Verfassungsrecht zu "modellieren" scheinen und deren korrekte Funktionsweise dadurch beeinflussen. Die abschließenden Betrachtungen (4. Kapitel) drehen sich um die Beziehung zwischen Verfassungsgerichtshof und Gesetzgeber der italienischen Praxis einerseits und der deutschen andererseits (1. Abschnitt), um die Beachtung des legislativen Ermessens in der italienischen Praxis einerseits und der deutschen andererseits (2. Abschnitt) und um die Notwendigkeit, "übermäßige Folgen" zu verhindern, sowohl in der italienischen als auch in der deutschen Praxis (3. Abschnitt). Weiter angesichts der deutschen Praxis, die sich auf den Schutz der Grundrechte aber weitgehend auch der Rechtsordnung insgesamt zu konzentrieren scheint, wird versucht, über eine mögliche neue Theorie der "Verfassungsfestigkeit" des Rechtssystems nachzudenken (4. Abschnitt - Eine neue Theorie der "Verfassungsfestigkeit" des Rechtssystems? Überlegungen zur deutschen Praxis). Nach dieser Klarstellung kommt man zur Endaussage dieser Doktorarbeit, die mit dem 5. Abschnitt (Reformbedarf der Regelung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile. Auf welche Weise?) schließt: Es ist unbestreitbar, dass die Unumgänglichkeit der Rückwirkung den verfassungsrechtlichen (materiellen) Problematiken zugrunde liegt. Die deutsche Praxis der Unvereinbarkeitserklärungen beeinflusst das Verfassungsrecht unter mehreren Gesichtspunkten. Erstens in Hinsicht auf die Verbindung zwischen Verfassungsgericht und Legislativorgan. Eine Bestimmung des zeitlichen Elements der Rechtswirkungen der Entscheidungen der koordinierten Verfassungswidrigkeit gestattet es dem Gerichtshof, die Grenzen des Ermessensspielraums des Gesetzgebers zu ziehen. Daher die Bedeutung der Frist zur Eingrenzung der gesetzgebenden Gewalt innerhalb der verfassungsrechtlichen Trasse, um eine gemeinsame Beseitigung des Mangels an Verfassungsmäßigkeit zu fördern. Im Gegenfall muss das italienische Verfassungsgericht "alles alleine machen". Wie bereits angemerkt, sind die Schwierigkeiten zu berücksichtigen, die beispielsweise die mangelnde Reform des Strafgesetzbuchs von 1930 mit sich bringt, das unter anderem zu einem "unsystematischen und ungenauen" wie auch nicht in den Werterahmen der Verfassungsurkunde passendes Strafsystem geworden ist. Von erheblicher Bedeutung ist in dieser Hinsicht die kürzliche Pressemitteilung in Bezug auf die endgültige Entscheidung in der "Cappato-Sage", die auf der offiziellen Website des Verfassungsgerichts am 25. September 2019 veröffentlicht und durch das entsprechende nachfolgende Urteil Nr. 242 von 2019 bestätigt und in dieser Studie bereit ausgiebig behandelt wurde. Aufgrund seiner Relevanz wird hier der Text der Mitteilung vollumfänglich wiedergegeben: "Das Verfassungsgericht hat sich zur Urteilsfindung zurückgezogen, um die vom Mailänder Geschworenengericht zu Artikel 580 des Strafgesetzbuchs aufgeworfenen Fragen zur Strafbarkeit der Hilfe zum Selbstmord gegenüber einer Person, die entschlossen ist, ihrem Leben ein Ende zu setzen, zu untersuchen. In Erwartung der Urteilshinterlegung lässt die Presseabteilung wissen, dass der Gerichtshof eine Person, welche die Ausführung des selbständig und frei gebildeten Suizidvorhabens eines durch lebenserhaltende Maßnahmen am Leben gehaltenen Patienten, der an einer unheilbaren Krankheit leidet, welche körperliche und psychische Leiden mit sich bringt, die von diesem als nicht auszuhalten angesehen werden, welcher aber in der Lage ist, Entscheidungen frei und bewusst zu treffen, erleichtert, unter bestimmten Bedingungen für nicht strafbar laut Artikel 580 des Strafgesetzbuchs hält. In Erwartung eines unerlässlichen Eingriffs des Gesetzgebers hat das Verfassungsgericht die Nicht-Strafbarkeit der Beachtung der Verfahren, die in der Vorschrift zur aufgeklärten Einwilligung, zur Palliativpflege und zur kontinuierlichen tiefen Sedierung (Artikel 1 und 2 des ital. Gesetzes 219/2017) und der Überprüfung sowohl der erforderlichen Bedingungen als auch der Ausführungsverfahren durch eine öffentliche Einrichtung des staatlichen Gesundheitsdienstes nach Anhörung des Bescheids des örtlich zuständigen Ethik-Kommission vorgesehen sind, unterstellt. Der Gerichtshof unterstreicht, dass die Festlegung dieser spezifischen Bedingungen und Verfahrensweisen, die aus bereits in der Ordnung vorhandenen Normen abgeleitet werden, notwendig wurde, um die Risiken des Missbrauchs gegenüber besonders schwachen Personen zu verhindern, wie bereits in Beschluss 207 von 2018 hervorgehoben. Gegenüber den bereits umgesetzten Verhalten wird das Gericht das Bestehen äquivalenter materieller Bedingungen zu den oben angeführten beurteilen". Wie man beim einfache Lesen der Mitteilung erahnen kann, war es Absicht des Verfassungsgerichts, bei der Erklärung der Nicht-Strafbarkeit der Person, die unter bestimmten Bedingungen die Ausführung des Suizidvorhabens erleichtert (es handelt sich um die in Beschluss Nr. 207 von 2018 festgelegten Bedingungen), den Gesetzgeber aufzufordern, der erneut auf dem Gebiet des Lebensendes durch eine eigene Regelung eingreifen soll: Zweck des Beschlusses Nr. 207 von 2018 war gerade die zeitliche Verschiebung der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigerklärung, um "vor allem dem Parlament zu gestatten, durch eine angemessene Regelung einzugreifen". Und wie man sieht, befand das Verfassungsgericht, gegenüber der fehlenden gesetzgebenden Handlung in der Rechtsordnung eine Form des Schutzes der Einzelnen durch Anwendung der bestehenden Bestimmungen zum Lebensende zu erkennen: Daher die (offensichtliche) Bedeutung, die dem Thema der Abstimmung zwischen Verfassungsgericht und Legislativorgan zukommt. Der Fall Cappato bestätigt die Idee, dass die Zusammenarbeit zwischen Gerichtshof und Parlament, sich eben in Richtung einer möglichen Einführung der Trennung zwischen dem Zeitpunkt der Feststellung und dem der Erklärung der Verfassungswidrigkeit bewegen könnte, ohne den Inzidentalitätszusammenhang zu opfern. In diesem Sinn treten die Unvereinbarkeitsentscheidungen hervor, bei denen der Gesetzgeber dazu verpflichtet ist, den Mangel an Verfassungsmäßigkeit mit Rückwirkung zu "bereinigen", sodass ein solches Modell funktionieren kann; dennoch ist es notwendig, der Abstimmung zwischen Gerichtshof und Parlament – wenn möglich – einen bestimmten Grad juristischer Gebundenheit zu verleihen. Anhand der deutschen Praxis und in Hinsicht auf das (entschieden kreative) zu formulierende Gesetz könnte eine bedeutende Verfassungsreform, in dieser Richtung vom Verfassungsgesetzgeber in Betracht gezogen werden (auch in diesem Fall unter Voraussicht der Rückwirkung im vorgelegten Verfahren). Wie man sehen konnte, sind die Entscheidungen des BVerfG gesetzeskräftig und bindend für alle Verfassungsorgane; sicher ist diese Grundlage in erster Instanz vorgesehen und sicher beruht auch die Pflicht des deutschen Gesetzgebers zur Beachtung der Entscheidung des BVerfG theoretisch auf Verfassungsgesetzen: dennoch wäre es vielleicht nützlich, die Vorgaben des Art. 136 2. Abs. ital. GG aufzuwerten, der, wenn auch in Bezug auf eine Beurteilung der Nützlichkeit des Eingriffs durch die Kammern und die betroffenen Regionalversammlungen doch "eine ausdrückliche und dynamische Verbindlichkeit […] der Legislativfolgen" darzustellen scheint. Eine mögliche Festigung der Verbindung zum Gesetzgeber könnte also durch eine Verfassungsreform umgesetzt werden, und zwar insbesondere durch die Änderung von Art. 132 2. Abs. ital. GG. Auf diese Weise würde die Möglichkeit des Verfassungsgerichts zur Festlegung einer Frist für den Gesetzgeber gerechtfertigt, ein Verfahren, das im Übrigen in unserem Verfassungssystem sicher nicht unbekannt ist, wie man sehen konnte. Sollte das Verfassungsgericht aufgrund verfassungsrechtlicher Bedürfnisse befinden, auf eine Form der Modellierung der Rechtswirkungen im Verlauf der Zeit und damit einer zeitlichen Verschiebung der Wirksamkeit der Verfassungswidrigerklärung durch eine Rückwirkungsklausel nicht verzichten zu können, dann gäbe es zwei mögliche Lösungen, die in Bezug auf ihre konkrete (aber eventuelle) "leichte" Umsetzbarkeit in absteigender Reihenfolge erläutert werden, im Bewusstsein jedoch, dass die Annahme einer der drei Vorschläge erhebliche Schwierigkeiten aufweist, sodass es vielleicht ratsam wäre, dass der Gesetzgeber sie alle untersucht und so dem Gerichtshof Spielraum lässt, durch eine Abwägung nach Feststellung einer elastischen Regelung der Rechtswirkungen zu handeln. Es ist jedoch sicher, dass die zuerst umrissene Lösung in jedem Fall die zu sein scheint, die am ehesten einer "Rückkehr zum Ursprung" des Verfassungsrechts entspricht, einschließlich der für das österreichische Verfassungsrecht im Bereich der ex nunc-Wirkung so typischen "Umfassungsprämie", die es ermöglicht, gleichzeitig sowohl den Einzelfall als auch die Ordnung insgesamt zu schützen. a) angesichts einer angemessenen Ermittlung könnte das Verfassungsgericht die Rechtswirkung der Verfassungswidrigerklärung auf Grundlage einer strengen Reglementierung aller an die Folgen der Einschränkung oder "Aussetzung" der mit der Rückwirkung verbundenen Aspekte und der Fälle, in denen eine derartige relevante und bedeutende Ausnahme in vollkommen außergewöhnlicher Weise erfolgen könnte, in der Zeit verschieben (wie es in Bezug auf die deutsche Praxis nicht geschehen ist), ebenfalls nach einer "kelsenschen Orientierung" der Reform des Artikels 30 3. Abs. ital. GG. In diesem Sinn tritt das Gesetzesdekret d.d.l. Lanzillotta hervor, wo befunden wurde, zu einer "schlichten" Reglementierung jener Fälle überzugehen, in denen der Gerichtshof eine Modulation der Rechtswirkungen im Verlauf der Zeit legitimerweise hätte tätigen können. In Art. 1 des Gesetzesentwurfs A.S. 1952 war vorgesehen, "c)im dritten Absatz des Artikels 30 werden am Ende folgende Worte hinzugefügt: ", außer falls der Gerichtshof eine andere Handhabung der Wirksamkeit im Verlauf der Zeit derselben Entscheidung zum Schutz anderer Verfassungsgrundsätze verfügt". Die "allgemeine" Formulierung ähnelt dem ersten Änderungsvorschlag für § 79 des BVerfGG: Die Ausdehnung der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigerklärung war in beiden Fällen vorgesehen, in denen wie hervorzuheben ist, das deutsche und das italienische Verfassungsgericht "freie Hand" gehabt hätten. Vielleicht könnte man aber in Hinsicht auf die gemeinsame Trendlinie bemerken, dass Grundlage einer eventuellen Positivierung der zeitlichen Handhabung der Rechtswirkungen der Verfassungswidrigkeitssprüche eine übermäßige Versteifung der Fälle, welche die Verfassungsgerichte zur Abweichung von der Rückwirkung der Verfassungswidrigerklärung legitimieren würden, sein könnte. b) man könnte – mit der angemessenen Vorsicht und im Bewusstsein der erheblichen Problematik, die diese aufweist – eine dritte Lösung von anderer Art erfinden, die von einer ganz einfachen bloßen ex nunc,-Wirkung geprägt und von der Zusammenarbeit des Gesetzgebers und der Gerichte begleitet wäre (grundsätzlich nach dem Vorbild jener Unvereinbarkeitsentscheidungen, die keine "reinen" Unvereinbarkeitsentscheidungen sind). Eine solche Hypothese und extreme Lösung könnte von der Betrachtung ausgehen, dass die Rettung allein des vorgelegten Verfahrens vor der gesetzlichen Priorität den Gleichheitsgrundsatz (und auch den damit verbundenen Grundsatz des Rechts auf Verteidigung) verletze. Abgesehen von der Vorliebe für das erste vorgeschlagene Modell könnte es sich vielleicht auch auf Grundlage einer elastischen Reform der Regelung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile als nützlich erweisen, dem Verfassungsgericht die Wahl des verfassungsrechtlich zwingenden Wegs – Auswegs – dem, welcher der geringsten Qual am nächsten kommt, zu überlassen, wobei alle Möglichkeiten sorgfältig abzuwägen sind, wenn man bedenkt, dass in der Tat im Fall a) einer "ungeregelten" Modulation ohne juristische Grundlage, b) der Vorgabe einer Modulation unter Beachtung des Grundsatzes der Rückwirkung nur im vorgelegten Verfahren und c) einer ganz einfachen Modulation ohne Beachtung des Rückwirkungsprinzips, man in jedem Fall einer Verletzung des Gleichheitsgrundsatzes oder des Grundsatzes des Rechts auf Verteidigung (oder beider) beiwohnt. Sicher ist es nicht einfach, eine angemessene Änderung der Regelung der Rechtswirkungen der Annahmeurteile in Anlehnung an das deutsche Modell vorzusehen: Mit jeder Hypothese für das zu formulierende Gesetz sind erhebliche Schwierigkeiten verbunden. Und doch ist zum heutigen Stand vielleicht sicher, dass die Lösung, die Augen vor den vom Verfassungsgericht verspürten Bedürfnissen zu schließen, dem Rahmen, in welchem dieses sich bewegt, nicht gerecht werden würde, denn dieses sollte manchmal, eben aufgrund der Beachtung des Grundsatzes der höheren Stellung der Verfassung, die Möglichkeit haben, die Rückwirkung angesichts einer größeren Verfassungswidrigkeit auszuschließen und dem Gesetzgeber gestatten, durch eine gute Verwendung seines Ermessensspielraums wieder zu einer größeren Verfassungsmäßigkeit zu gelangen.
Gli eurobond non sono un tema nuovo. Sono presenti nella letteratura economica, meno in quella giuridica, da oltre trent'anni, con denominazioni che spesso mutano a seconda delle formulazioni proposte. Rientrano in quella categoria di idee che hanno valore non solo sotto il profilo della tecnica finanziaria o della finanza pubblica, ma anche perché rappresentano un primo passo verso la realizzazione di un'unione politica dell'Europa. I favorevoli vedono in questo tipo di proposte non solo una risposta alla crisi attraverso il finanziamento degli investimenti pubblici, ma anche la costruzione di una politica fiscale europea da affiancare a quella monetaria della Banca centrale europea. Gli scettici pongono, invece, l'accento sui tempi troppo lunghi che tali proposte richiederebbero per essere attuate e sul consenso non unanime che esse riscuotono da parte dei Paesi dell'Eurozona. L'introduzione degli eurobond presenta, infatti, ostacoli legali e distributivi. Quelli legali hanno a che fare, in particolare, con l'articolo 125 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che dispone il divieto di salvataggio da parte dell'Unione a favore di un Paese membro in difficoltà e, in particolare, vieta a ciascuno Stato membro di rispondere o di subentrare nei debiti di altri Stati membri (cosiddetta "clausola di no bail out"). Gli ostacoli distributivi sono legati alle modalità di partecipazione dei Paesi membri alle emissioni congiunte dei titoli del debito europeo in termini di risorse finanziarie e ai timori dei Paesi virtuosi del Nord Europa di dover fornire un contributo maggiore rispetto ai Paesi meno virtuosi del Sud Europa. La tesi affronta, innanzitutto, il tema della fragilità della costruzione europea, che dipende essenzialmente dall'aver creato – contrariamente a quanto avvenuto nella storia dei popoli – "una moneta senza Stato". Questa circostanza ha condotto, alla fine del 2009, alla crisi dell'euro e dei debiti sovrani. Per rimediare a tale fragilità istituzionale, bisognerebbe por mano a una serie di riforme come il rafforzamento del ruolo della Banca centrale europea come prestatore di ultima istanza, il completamento dell'unione bancaria, l'approfondimento dell'unione del mercato dei capitali, l'allargamento del bilancio europeo e l'accentramento delle politiche fiscali nazionali. Tra queste riforme rientra anche quella di dar vita all'emissione congiunta di debito sovrano a livello di Eurozona, o, in alternativa, a schemi che non prevedono la mutualizzazione del debito. Al riguardo, la ricerca prende in esame l'esistenza di eventuali basi giuridiche per emettere un debito federale dell'Unione europea, distinto dal debito degli Stati membri o, in alternativa, per procedere alla mutualizzazione dei debiti degli Stati membri. La tesi passa, poi, in rassegna le varie proposte avanzate in tema di eurobond, classificandole in due gruppi principali, a seconda che prevedano o meno la mutualizzazione del debito. Nell'ambito delle proposte che si basano sulla mutualizzazione del debito rientrano gli eurobond in senso stretto, gli union bond, gli stability bond, le obbligazioni blu e rosse. Tali proposte, in quanto fondate sulla mutualizzazione del debito, non sono compatibili con l'articolo 125 del TFUE e richiederebbero pertanto la sua modifica. Nel secondo gruppo di proposte – che non contemplano la mutualizzazione del debito e pertanto non richiedono la modifica del TFUE – rientrano il programma PADRE (Politically Acceptable Debt Restructuring in Europe), il Fondo di ammortamento del debito a livello europeo (European Redemption Fund), gli European Safe Bond - ESB (acronimo inglese di "Titoli europei sicuri"), i Sovereign Bond Backed Securities - SBBS (acronimo inglese di "Titoli garantiti da obbligazioni sovrane"). La ricerca esplora i possibili approcci alla prosecuzione del progetto europeo: la via della riduzione del rischio (risk-reduction), la via della condivisione del rischio (risk-sharing), la via della sintesi tra riduzione e condivisione del rischio. Quest'ultima via appare a chi scrive come l'unica politicamente percorribile. La stessa unione monetaria si è realizzata come combinazione tra i due approcci: il processo di convergenza delle finanze pubbliche (risk reduction) ha condotto alla creazione di un'unica banca centrale con il compito di mettere in atto un'unica politica monetaria e del cambio (risk sharing). Vi è però la necessità per l'Italia di fare la propria parte invertendo la traiettoria del rapporto debito-Pil attraverso un serio e rigoroso piano pluriennale di rientro dal debito (risk reduction), per acquisire, agli occhi dei principali partner europei, quella credibilità necessaria per convincerli a dar vita a un vero e proprio debito federale europeo (risk sharing). Gli eurobond non sono l'unico mezzo per raggiungere la finalità di una unificazione politica dell'Europa ma hanno il pregio di mettere insieme l'approccio funzionalista dei passi graduali con quello federalista della meta finale. Analogamente a quanto avvenuto nella storia di alcuni popoli (in particolare negli Stati Uniti d'America) in cui il processo di unificazione dei debiti ha segnato la nascita dello Stato, anche nel vecchio continente l'europeizzazione del debito degli Stati membri, al di là della valenza in termini di finanza pubblica, potrebbe assurgere a un vero e proprio atto "costitutivo" di un futuro Stato federale europeo. Sotto il profilo metodologico, la ricerca è stata condotta attraverso la strumentazione propria dell'analisi economica del diritto, nella consapevolezza che il mercato – vale a dire il meccanismo economico che orienta il comportamento di individui e gruppi – da solo non è sufficiente ma ha bisogno di regole per poter funzionare. Anzi, se ben regolato, il mercato può essere fattore di sviluppo e di benessere. Questo ragionamento vale anche per il mercato comune e per la moneta unica europea, che da soli non bastano più. Come si è tentato di mostrare in questo lavoro, anche l'Eurozona, per poter sopravvivere e progredire, ha bisogno di un adeguamento delle proprie istituzioni che passa anche attraverso l'emissione congiunta di debito sovrano. Coerentemente con tale impostazione, l'indagine cerca di avere un approccio critico al tema degli eurobond, tentando di analizzarne i singoli aspetti con indipendenza di giudizio. La stesura dei capitoli e dei singoli paragrafi è stata preceduta da un lavoro di documentazione e consultazione di testi, riviste specializzate e articoli. Le conoscenze teoriche acquisite e le idee maturate sono state verificate sul campo, grazie ad un confronto diretto con i dirigenti che, nell'ambito del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'Economia e delle Finanze, hanno la responsabilità dell'emissione e della gestione del debito pubblico italiano. Chi scrive lavora presso la direzione del Debito pubblico del Dipartimento del Tesoro; cionondimeno, le opinioni che qui esprime sono personali e non rappresentano o impegnano in alcun modo l'amministrazione di appartenenza. Alla luce delle considerazioni svolte, si ritiene che davvero gli eurobond possano spingere l'Eurozona verso una maggiore integrazione politico-istituzionale. L'analisi economica e giuridica può dare il proprio contributo alla comprensione della questione, ma la scelta dei passi da compiere in concreto spetta alle leadership politiche europee in quanto investite del consenso popolare. Il ricercatore può esporre gli effetti che derivano dall'adozione di una particolare misura o di uno specifico strumento. Oltre non può andare. ; Eurobonds are not a new topic. They have been present in the economic literature, less in the legal literature, for thirty years, with denominations which change according to the proposed formulations. They are relevant not only in terms of financial economics or public finance, but also because they represent a first step towards the realization of a political union of Europe. Those in favor look at eurobonds not only as a response to the crisis through the financing of public investments, but also as a tool to build up a European fiscal policy in addition to the monetary policy of the European Central Bank. On the contrary, the skeptics underline the fact that such proposals would require too mach time to be implemented and the fact that they have short consent in the Eurozone countries. The introduction of eurobonds presents legal and distributive barriers. The legal barriers are linked to the Article 125 of the Treaty on the Functioning of the European Union (TFEU), which provides for so-colled "no bail out clause" ("A Member State shall not be liable for or assume the commitments of central governments, regional, local or other public authorities, other bodies governed by public law, or public under¬ takings of another Member State"). The distributive obstacles, on the other hand, are linked to the way in which Member States could participate in joint issuance of European debt securities. In particular, the virtuous countries of Northern Europe are afraid that they would pay a greater share than the less virtuous countries of the Southern Europe. First of all, the thesis analyzes the fragility of the European institutions, which depends essentially on having created – contrary to what has happened in the history of peoples – "a currency without a State". In the end of 2009, this fragility led Europe to the crisis of euro and sovereign debts. To face this fragility, some institutional reforms should be carried out, such as the strengthening of the role of the European Central Bank as a lender of last resort, the completion of the banking union, the deepening of the capital market, the enlargement of the European budget and the centralization of national fiscal policies. These reformes also include the joint issuance of sovereign debts of Eurozone Member States. In this regard, the research examines the existence of possible legal bases for issuing a federal debt of the European Union, different from the debt of the Member States or, alternatively, for joint issuing the debt securities of the Member States. Secondly, the thesis examines the various proposals of eurobonds, classifying them in two main groups. The first group, based on the joint issuance of debt, includes eurobonds in the strict sense, union bonds, stability bonds, blue and red bonds. These proposals, being based on the joint issuance of debt, are contrary to Article 125 of the TFEU and therefore would require its modification. The second group of proposals – which do not contemplate the joint issuance of debt and therefore do not require the modification of the TFEU – include the PADRE program (Politically Acceptable Debt Restructuring in Europe), the European Redemption Debt Fund, the European Safe Bonds, the Sovereign Bond Backed Securities. Thirdly, the research explores the possible approaches to the continuation of the European project: the risk-reduction path, the risk-sharing path, the synthesis between risk reduction and risk sharing. This third path seems to be the only politically feasible. As we know, also the monetary union was realized as a combination of the two approaches: the process of convergence of public finances (risk reduction) led to the creation of a single central bank with the task of managing a single monetary policy (risk sharing). However, Italy has to reverse the trend of the debt-to-GDP ratio through a serious and rigorous long-term debt reduction plan (risk reduction), in order to convince the main European partners to issue European federal debt (risk sharing). Eurobonds are not the only tool to achieve the goal of a political unification of Europe but they have the merit of putting together the functionalist approach based on the gradual steps with the federalist approach based on the final goal. Similarly to what has happened in the history of some peoples, such as the United States of America, where the process of unification of debt of the single States has marked the birth of the federal State, even in Europe the consolidation of debt of the Member States might be a constitutive act of the United States of Europe. Methodologically, the research is based on the economic analysis of law. According to this view, market – the economic mechanism which guides the behavior of individuals and groups – is not enough but needs good regulation. Indeed, if it is well regulated, market may be a factor of development and welfare. This way of thinking is also valid for the European single market and for the euro, which are no longer enough. As we have tried to show in this work, also the Eurozone institutions need a deep reform – including the joint issuance of sovereign debt – for their surviving and progress. This work tries to have a critical approach to the topic of eurobonds. The theoretical knowledge and ideas have been checked thanks to a direct dialogue with managers who, within the Treasury Department of the Ministry of the Economy and Finance, are responsible for issuance and management of the Italian public debt. The author of this research works in the Public Debt Directorate at Treasury Department; nevertheless his opinions are personal and do not represent the Treasury Department. For these considerations, eurobonds might really push the Eurozone towards a greater political and institutional integration. The economic and legal analysis may give its contribution to the debate, but the actual choices are up to the European policy-makers.
1.1- Uno sguardo al percorso normativo sovranazionale Alla metà del XIX secolo, le scienze antropologiche cominciarono a manifestare l'esigenza di riformare la giustizia penale nei confronti dei minori, adattandola alle peculiari caratteristiche di tali soggetti. La particolarità del diritto penale minorile è infatti che i suoi destinatari sono soggetti nei quali le caratteristiche psico-fisiche e la personalità sono ancora in fase di sviluppo. Se da un lato il minore risulta essere educabile con maggiore facilità rispetto all'adulto, dall'altro risulta più incline agli influssi criminogeni che possono scaturire da trattamenti penali non adeguati ad un soggetto con tante peculiarità1. Prima del secolo scorso il minore era considerato alla stregua dell'adulto dal punto di vista procedimentale ed erano i singoli Stati a disciplinare discrezionalmente la materia: quasi ovunque si riconosceva una potestas assoluta del padre sul figlio minorenne. Il primo Tribunale per minorenni, chiamato Juvenile Court, fu istituito a Chicago nel 1899: un giudice specializzato che poteva applicare sanzioni correttive o anche soltanto educative, competente a giudicare tutti i minori di anni dieci. Si trattava, comunque, di un istituzione con una marcata impronta paternalistica, che mancava delle garanzie necessarie secondo i criteri della giurisprudenza classica, e per il quale non fu mai prevista una disciplina speciale2. In seguito altri Tribunali, sull'esempio di Chicago, furono istituiti a Boston e New York. Per quanto riguarda l'Europa, nel 1895 venne inaugurata la Juvenile Court di Birmingham e nel 1908 tali istituzioni divennero obbligatorie in Inghilterra, in Scozia ed in Irlanda con il Children Act, con il quale venne abolita quasi del tutto la pena di morte per i minori e stabilito che nessun minore di 16 anni potesse essere condannato al carcere3. Seguendo quest'esempio, altri Paesi sentirono il bisogno di istituire un organo giurisdizionale idoneo ad esaminare sia il crimine commesso dal minore sia il contesto sociale e familiare in cui è maturata la sua personalità. Il primo atto internazionale non vincolante a disciplinare specificatamente la giustizia penale minorile furono le Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile (c.d. Regole di Pechino), adottate dal VI Congresso dell'ONU il 29 Novembre 1985. Questo atto è stato fonte per tutti i codici penali moderni, compreso quello italiano, poiché per primo disciplinò forme di giustizia specifiche per il minore, che tendessero a rieducare e reinserire il minore, uscendo da una concezione puramente retribuzionistica. Alcune novità sono così rilevanti che ancora oggi le troviamo nei moderni codici di giustizia penale minorile, quali: la limitazione della libertà personale soltanto come extrema ratio, la quale deve essere sostituita tutte le volte che risulti possibile da misure alternative quali la sorveglianza o l'affidamento alla famiglia o ad una comunità (agenzia educativa); la custodia preventiva disposta in istituti separati dagli adulti o in una parte distinta dell'istituto; la previsione di cure, protezione e assistenza individuale necessari per l'età, il sesso e la personalità; la previsione di sanzioni alternative come multa, risarcimento e restituzione; l'applicazione di misure di probation. Le Regole di Pechino furono incorporate nella Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata a New York il 20 Novembre del 1989: si tratta di un documento vincolante per gli Stati firmatari che costituisce il trattato in materia di diritti umani con il maggior numero di ratifiche (sono 194 gli Stati firmatari). In Italia fu resa esecutiva con la l. n. 176/91, che, oltre a ribadire ciò che era stato affermati nei precedenti documenti in ambito di giustizia minorile, introduce alcune importanti novità sebbene non inerenti all' ambito processuale. Le Regole di Pechino, assieme alla Raccomandazione del Consiglio d'Europa n. R(87)20, del 17 Settembre 1987, sulle risposte sociali alla delinquenza giovanile4, sono espressamente prese in considerazione dal legislatore delegato, come confermato dalla Relazione al progetto preliminare delle disposizioni sul nuovo processo minorile ove si afferma che questi atti "ribadiscono il diritto del minore a tutte le garanzie processuali e ne sollecitano il rinforzo". Per quanto riguarda la collocazione di questi atti nel sistema delle fonti, è stato osservato che anche il processo penale minorile deve "adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale" come stabilito al primo alinea dell'art. 2 della l. 16 Febbraio 1987 n. 81 per il nuovo processo penale, in ragione del riferimento ai principi generali di questo processo espresso per il processo penale minorile dall'art. 3 comma uno l. n. 81 del 1987. Appare evidente come anche a livello internazionale è mutato profondamente l'approccio nei confronti del minore, inizialmente visto soltanto come soggetto da contenere e correggere nell'ottica della tutela della comunità (che pure non ha perso la sua rilevanza), in seguito come un'identità in piena evoluzione, in capo alla quale sorgono dei diritti, bisognosa di misure ad hoc capaci di rieducarlo allontanandolo da quelle situazioni che sono causa di devianza. 1.2- Gli inizi del percorso legislativo in Italia In Italia un sistema penale autonomo per i minori è giunto con leggero ritardo rispetto ad altri Paesi Occidentali, il primo passo in tal senso fu la Circolare dell'11 Maggio 1908 ad opera del Ministro Guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando, con la quale venivano poste le basi per l'affermazione, nell'ambito del diritto minorile, dei principi della specializzazione del giudice dei minorenni, della non pubblicità del processo in cui è coinvolto un minore e della necessità dell'indagine diretta ad acclarare la personalità del minore. L'importanza di questa circolare, che pure non sortì nell'immediato gli effetti sperati, nel percorso che ha portato all'affermazione del principio di specializzazione del giudice dei Minorenni è stata richiamata anche recentemente dalla Corte di Cassazione (sez. V pen., 16 Settembre 2008, n. 38481): attualmente infatti il giudice dei minori è caratterizzato sì dalla specifica competenza in ambito minorile, ma soprattutto dalla presenza, accanto ai magistrati ordinari, di giudici non togati esperti in psicologia e/o pedagogia. Nel 1909 ebbe inizio il progetto per la redazione di un Codice dei Minorenni, che prevedeva l'istituzione di un Tribunale specializzato, affidato a un'apposita commissione al cui vertice vi era il senatore Quarta. Il progetto non divenne legge, ma costituì la base per i seguenti progetti Ferri e Ollandini. Nel 1921 Enrico Ferri a capo di un'apposita commissione formulò un progetto di riforma che, prevedendo anch'esso l'istituzione di un giudice specializzato, andasse ad indagare l'insieme delle cause sociali, familiari, psicologiche, ereditarie ed evolutive del minore portato a delinquere. L'approccio particolarmente scientifico alla base della riforma fu forse una delle cause che non lo portò all'approvazione da parte del Parlamento. Il progetto Ollandini invece prevedeva l'istituzione di un Tribunale specializzato in ogni città con popolazione superiore ai duecentomila abitanti, ma nemmeno questo tentativo legislativo giunse all'approvazione. Nel 1930 furono approvati il nuovo codice penale (il codice Rocco) e il codice di procedura penale. Fu fissata a 18 anni la piena capacità penale, mentre nei casi riguardanti minori tra i quattordici anni e i diciotto anni il compito di accertare l'eventuale imputabilità veniva rimesso al giudice, in riferimento al possesso della capacità di intendere e di volere. Nel caso in cui il minore fosse ritenuto non imputabile ma comunque socialmente pericoloso poteva essere applicata una misura di sicurezza come il riformatorio giudiziale o la libertà vigilata. Per i minori imputabili invece era previsto che scontassero le pene in istituti separati da quelli degli adulti fino al compimento della maggiore età, inoltre la pena doveva essere finalizzata a una rieducazione morale. 1.3- Il r.d.l. n. 1404 del 1934 La creazione di un Tribunale specializzato per i minori arrivò nel 1934 con il r.d.l. n. 14045 (che rappresenta la prima disciplina sistematica del settore), convertito con la l. n. 835 del 1935, in cui trovarono finalmente attuazione tutti i precedenti progetti di riforma esaminati e i movimenti umanitari sviluppatisi negli anni precedenti. Al Tribunale venne attribuita la competenza di giudice di primo grado in materia penale, civile e amministrativa, distinta da quella del giudice ordinario. Era prevista all'art. 5 la possibilità di proporre appello, nei casi stabiliti dalla legge, presso una sezione specializzata della Corte d'Appello. Nello stesso edificio dove era situato il Tribunale, era prevista la creazione dei centri di rieducazione dei minori composti da un riformatorio giudiziario, un riformatorio per corrigendi, un carcere per minorenni, uffici di servizio sociale per i minorenne, nonché un centro di osservazione per minorenni. Una delle particolarità del decreto del '34 fu la possibilità per il giudice, introdotta con l'art. 25, di adottare misure rieducative nell'ambito della propria competenza amministrativa quali l'internamento al riformatorio per corrigendi6, applicabile al minore di diciotto anni che "avesse dato, per abitudini contratte, manifeste prove di traviamento" e risultasse per questo "bisognevole di correzione morale". Col tempo però i giudici non seguirono più i criteri guida fissati dal testo della legge e finirono con l'applicare l'internamento al riformatorio anche a soggetti non traviati, le cui situazioni familiari denotavano uno stato di degrado e abbandono. Inoltre, non essendo previsto un limite alla permanenza in questi istituti, essa si concludeva solo quando il soggetto non si mostrasse agli occhi del giudice più necessario di correzione oppure col compimento dei diciotto anni, con conseguente allontanamento prolungato dalla comunità, trasformando i minori in delinquenti veri e propri senza perseguire il fine rieducativo cui in astratto si sarebbe voluto tendere. Tali istituti si rivelarono avere caratteristiche non difformi da vere e proprie carceri penali: i minori venivano collocati in edifici rigorosamente chiusi e protetti da inferriate e cancelli dai quali non potevano allontanarsi, perdendo ogni contatto con il contesto sociale dal quale provenivano. Questo decreto, quindi, seppur ideato con nobili fini, rispecchia il difficile contesto politico-sociale in cui venne alla luce, che ne rappresenta il limite più evidente: uno Stato forte come quello fascista, che aveva il pieno controllo su ogni aspetto della vita degli individui, era, in quell'ottica, la prima forma di prevenzione per la devianza dei giovani. Di fronte al manifestarsi di un'eventuale devianza, lo Stato la affrontava in termini di malattia: la pena, dunque, era vista come una sorta di terapia per il soggetto malato, con la conseguenza che ci si concentrò di più sul controllo e la contenzione del minore, che sul fornire aiuto e sostegno per eliminare le cause devianti. Con l'entrata in vigore della Costituzione si ha l'introduzione di una serie di nuovi principi che si collocano come fonte primaria nell'ordinamento: tali principi rispecchiano i valori e gli ideali dei Padri Costituenti come reazione al regime fascista. Per quanto riguarda il processo minorile si fa riferimento all'art. 27, terzo comma e al 31, secondo comma. L'art. 27, terzo comma, afferma il principio rieducativo della pena: "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". La mancanza, in questa disposizione e nei lavori preparatori, di un esplicito riferimento ai minori è stata colmata successivamente dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale7. L'articolo 31, secondo comma, dispone invece che la Repubblica "protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo". Appare quindi evidente che l'impianto fascista su cui è stata costruita la competenza amministrativa del Tribunale e l'impianto delle misure rieducative necessitavano di essere riviste alla luce dell'entrata in vigore della Costituzione, affinché si potessero realizzare al meglio i principi in essa affermati. 1.4- La l. n. 888 del 1956 La risposta a queste esigenze arrivò con la l. n. 888 del 1956 la quale modificò notevolmente il r.d.l. n. 404/1934 attraverso un ampliamento della competenza amministrativa del Tribunale e un sistema di individualizzazione delle misure e del trattamento che limitasse la detenzione carceraria soltanto ai casi in cui risultasse strettamente necessaria. Fu previsto che le indagini per la personalizzazione delle misure fossero svolte non più dal pubblico ministero ma da un componente del Tribunale e inoltre furono previsti o modificati, all'art. 1, una serie di istituti per l'assistenza al minore, quali: gli istituti di osservazione, i gabinetti medico-psico-pedagogici, le case di rieducazione ed istituti medico-psicopedagogici, gli uffici di servizio sociale per minorenni, i "focolari" di semi-libertà e pensionati giovanili, le prigioni scuola e i riformatori giudiziari8. La novità più significativa è costituita dalla definitiva creazione dell'ufficio del servizio sociale per i minorenni (già previsto dal r.d. n. 1404/34 ma mai entrati concretamente in funzione), chiamato inizialmente a collaborare con il giudice minorile per l'esecuzione dei provvedimenti amministrativi ed in particolare della misura di rieducazione dell'affidamento ai servizi sociali introdotta con la medesima legge9. In tal senso è significativa la valorizzazione, all'interno delle case di rieducazione, della figura dell'educatore10 al quale è devoluto il compito di costituire un modello di identificazione positivo affinché il minore possa (ri)costruire la propria personalità e il mondo dei valori e delle norme11. L'intento era quello di limitare al massimo l'internamento del minore, privilegiando un'assistenza nelle forme della libertà assistita, attraverso la previsione e la realizzazione di un progetto educativo che vedeva la collaborazione tra servizi e giudice nel momento di adozione della misura stessa12. Questa riforma portò a un cambiamento dei presupposti per l'applicazione della misura: non si tratta più di giovani "traviati", bensì di "soggetti irregolari per condotta o carattere", irregolarità che deve essere accertata attraverso "approfondite indagini sulla personalità del minore", esplicate da uno dei componenti del Tribunale per i minorenni designato dal Presidente13: questo cambiamento permise di circoscrivere l'intervento amministrativo a quei minori che esprimevano una concreta devianza con il rischio di incorrere nella commissione di reati. Vi erano quindi tutti i presupposti per un effettivo mutamento negli interventi amministrativi, grazie ad una adeguata individuazione delle tipologie di soggetti destinatari degli stessi che, con rigore interpretativo andavano circoscritti solo a quelli effettivamente a rischio dimissione di reati ed il cui comportamento fosse espressione di devianza. Ciò avrebbe consentito di distinguere chiaramente gli interventi comunque limitativi della libertà personale finalizzati, oltre che ad una ripresa dei processi educativi del minore, anche a concorrenti esigenze di tutela dell'ordine pubblico, dagli interventi di carattere meramente assistenziale, indirizzati a soggetti in situazioni di carenza familiare e, quindi, bisognevoli esclusivamente di supporto e sostegno14. Purtroppo però questo sistema non raggiunse i risultati sperati: istituti identici venivano usati per far fronte a situazioni che avrebbero richiesto trattamenti differenziati e inoltre alcuni interventi che il legislatore aveva voluto differenziare si rivelarono sostanzialmente identici fra loro. Così la richiesta di internamento dei figli da parte della famiglie, prevista dalla l. n. 888/56, finì col supplire alle carenze educative familiari o scolastiche, piuttosto che rappresentare una risposta a irregolarità nella condotta o nel carattere del minore, cancellando di fatto la differenza fra il fine rieducativo e quello assistenziale. Il risultato fu che, nonostante un'apertura alle necessità ed esigenze del minore, continua non si riuscì a separare nettamente l'assistenza dal controllo con la conseguenza che l'ideologia rieducativa convive di fatto con quella custodiale degli anni passati15. La crisi del sistema alimentò negli anni '70 un dibattito fra gli stessi operatori incentrato da un lato sull'esigenza di superare l'istituzionalizzazione prolungata e l'internamento in strutture chiuse che nei giovani sono causa della formazione di una identità negativa, di immagini di sé e di ruoli sociali degradanti16, dall'altro di giungere a una completa depenalizzazione delle norme sanzionatorie che portasse a una decarcerizzazione per i minori, sospinta anche dall'approvazione della riforma penitenziaria del 1975 che, seppur sembrò non interessarsi particolarmente allo specifico minorile, ne influenzò il relativo dibattito. 1.5- Il d.p.r. n. 616 del 1977: il decentramento agli enti locali Fu in questo clima che si giunse al d.p.r. n. 616 del 1977 con il quale si attribuiva la competenza della giurisdizione minorile in campo amministrativo e civile ai servizi sociali dei Comuni (decentralizzazione) e si aboliva la negativa esperienza delle Case di rieducazione. Si arrivò quindi a una distinzione fra la competenza in campo penale attribuita allo Stato (con finalità punitiva) e quella in campo amministrativo e civile attribuita agli Enti Locali (con finalità rieducativa): l'idea era quella di discostarsi dal precedente modello in cui il minore era rinchiuso all'interno di un istituto lontano dalla società e di agire direttamente sul proprio contesto sociale al fine di rimuoverne quegli ostacoli che erano fonte di devianza. Questo prevedeva la permanenza del minore all'interno dell'ambito sociale di appartenenza, li dove sarebbero intervenuti i servizi sociali comunali. Molti Comuni però si trovarono impreparati a fronteggiare la situazione, finendo col fornire le sole misure assistenziali anche di fronte ai comportamenti devianti che avrebbero necessitato invece di risposte rieducative; il vuoto legislativo creatosi comportò per i giudici di trovarsi di fronte alla scelta di rinunciare a qualsiasi intervento o di applicare pene detentive sproporzionate al caso in esame. Appariva ormai chiara l'ambivalenza sia delle misure di rieducazione che dell'intero sistema penale minorile che oscillava fra provvedimenti meramente clemenziali, quali ad esempio il perdono giudiziale, il quale veniva applicato in modo automatico per fatti di lieve entità, e la risposta meramente retributiva, non marcatamente differenziata rispetto agli adulti, sia per quanto riguarda l'entità della pena inflitta, sia per quanto riguarda le modalità di esecuzione o l'eventuale diversificazione delle risposte sanzionatorie. Senza dubbio è in questo periodo storico che si ha la presa di coscienza, come evidenziato dalle pronunce della Corte Costituzionale17, in ordine all'esigenza di ridurre al massimo sia la carcerazione, ma soprattutto anche gli interventi rieducativi all'interno di strutture chiuse, limitando l'intervento giudiziario a casi e situazioni ben definiti18. 1.6- Il nuovo processo penale minorile: il d.p.r. 448 del 1988 In seguito alle numerose sentenze della Corte Costituzionale, alle Convenzioni e alle Dichiarazioni internazionali che si susseguirono prese il via in Italia il progetto di redazione di un nuovo processo penale minorile. Al momento della redazione del provvedimento vennero alla luce due possibili e contrapposte impostazioni: la prima sosteneva la necessità di inserire la normativa del nuovo processo minorile all'interno del codice di procedura penale, la seconda invece riteneva necessaria la predisposizione di un autonomo decreto delegato; questa seconda opinione fu quella prevalente sia per la specificità della materia in oggetto e in–oltre per non "appesantire" in maniera ulteriore un codice di notevole estensione e complessità19. Il d.p.r. 448, emanato il 22 Settembre del 1988 in seguito alla legge delega n. 81 del 1987, e completato poi dal d.lgs n. 272 del 1989 recante norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, delinea un sistema di giustizia penale diversificato, dove il momento più significativo è rappresentato dal passaggio del minore da oggetto di protezione e tutela a soggetto titolare di diritti. Infatti, per la prima volta si parla esplicitamente di "interesse del minore", di "esigenze educative" e di "tutela del minore" come criteri giuridicamente rilevanti destinati a influenzare esplicitamente le decisioni e le scelte in tutto il percorso processuale attraversato dal minore20. Occorre innanzitutto sottolineare che non fu toccato l'aspetto ordinamentale, e neppure quello sostanziale: si ebbe così un processo penale minorile del tutto nuovo, da celebrarsi però davanti a un giudice "vecchio", che applicava un sistema sanzionatorio che era stato previsto fin dalla sua origine per gli imputati adulti. E una conferma a quello che si è appena detto la si trova nei continui richiami, da parte dell'intero d.p.r. n. 448/88, alle esigenze educative del minore, che pongono contrasti con i principi di tassatività della pena e di legalità: un tale sistema pone dubbi di legittimità costituzionale alla luce dell'art. 13 Cost. secondo cui le limitazioni alla libertà personale devono avvenire nei "casi e modi previsti dalla legge". Ciò si concretizza nell'ampia discrezionalità lasciata al giudice al momento della scelta delle misure cautelari da adottare nei confronti dell'imputato, per le quali egli dovrà tener conto, in aggiunta ai criteri ex art. 275 c.p.p., anche di non interrompere i processi educativi in atto: si faccia riferimento, ad esempio, alla misura delle prescrizioni, il cui contenuto può essere fra i più ampi e disparati dall'obbligo di frequentare attività di volontariato al divieto di stare fuori casa oltre una certa ora. Sarebbe stato più opportuno ridurre i margini di questa discrezionalità attraverso l'introduzione di ulteriori criteri che riflettessero la specificità del processo minorile. 1.7- I principi generali del processo minorile Il codice processuale minorile contiene una serie di principi che si discostano da quello per gli adulti proprio in virtù della specificità della condizione del minore al momento dell'instaurazione del processo penale: all'articolo 1 viene enunciato il principio di sussidiarietà: "Nel procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale"21. La norma quindi ci avverte che le disposizioni contenute nel presente decreto non sono del tutto autosufficienti e laddove siano presenti delle lacune si dovrà fare riferimento all'ordinario codice di procedura penale. Il rinvio operato dall'articolo 1 ha posto dubbi interpretativi circa la sua natura: se si tratta di un rinvio materiale ogni modificazione (pronunce di incostituzionalità e abrogazioni) alle disposizioni del codice processuale ordinario non opererebbe per il d.p.r. n. 448 il quale, invece, continuerebbe a fare riferimento al testo originario del codice; se invece si accoglie l'impostazione di chi vi abbia ravvisato un rinvio formale, si consentirebbe al nuovo codice di adeguarsi all'evoluzione dell'ordinario codice processuale penale, applicando disposizioni concretamente vigenti, previa compatibilità delle norme alla luce delle modificazioni. La dottrina maggioritaria ha adottato quest'ultima impostazione per non condannare i due sistemi a muoversi lungo linee inevitabilmente divaricate, in quanto il quadro di riferimento per il rito minorile rimarrebbe fermo nel tempo, mentre la giustizia penale per adulti seguirebbe propri itinerari evolutivi in grado di mutarne, anche in modo significativo, i caratteri connotativi22. A sostegno di questa interpretazione anche la sentenza n. 323/2000 della Corte Costituzionale, che ha evidenziato come nel dubbio circa l'applicazione fra due norme si debba il principio del favor rei nei confronti dell'imputato minorenne. Un altro problema che sorge nell'interpretazione dell'articolo 1 d.p.r. n. 448/88 riguarda la scelta delle norme del c.p.p. cui si deve fare rinvio: esse devono essere applicate secondo un'interpretazione sistematica per escludere eventuali situazioni di incompatibilità con le norme o i principi del processo dei minori. Contestualmente al principio di sussidiarietà, all'art. 1, è affermato il principio di adeguatezza: "Tali disposizioni sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne". Si fa riferimento alla fase applicativa delle norme posta in essere dal giudice, quando vengono individuate le misure cautelari e definitive da applicare al minore: in accordo con questo principio il giudice non dovrà limitarsi a una mera applicazione automatica ma dovrà individuare le varie misure facendo riferimento alla situazione del minore: ambiente familiare, problemi personali e percorso educativo passato od eventualmente in atto. Solo tenendo conto di questi elementi il giudice potrà perseguire il fine rieducativo e di reinserimento sociale cui l'intero sistema tende. Un altro dei principi fondanti del processo penale minorile è quello di minima offensività del processo in quanto esso concretizza il fine del recupero sociale del minore che ha commesso un reato. Il contatto fra il minore e il processo penale può essere causa di notevoli sofferenze psicologiche che potrebbero arrecare grave pregiudizio al percorso educativo e di crescita del minore: espressione di questo principio in ambito cautelare è la facoltatività che caratterizza l'intervento del giudice, su cui ci soffermeremo meglio nel prossimo capitolo. L'ultimo principio riguarda la residualità della detenzione che, in conformità alle pronunce della Corte Costituzionale, sottolinea che la pena detentiva nei confronti del minore deve rappresentare l'extrema ratio: per questo sono previste misure alternative alla custodia detentiva che riducano l'impatto sulla sfera psico-emotiva del minore.