L'amministrazione generale della maggior parte degli stati europei si rafforzò e modernizzò nel corso del XIX secolo. In questo contesto, la creazione di nuove forze di polizia consolidò la penetrazione capillare degli stati in tutto il territorio. Dal 1861 il giovane Stato italiano poté disporre dei Carabinieri Reali e delle unità della Pubblica Sicurezza. Nell'ambito di un'analisi di lungo periodo sulla creazione e distribuzione degli Uffici della Pubblica Sicurezza (1862-1914), realizzata sulla base dei dati del Calendario Generale del Regno, questa tesi di dottorato mostra che la Sicilia è stata la regione in cui la polizia italiana era maggiormente presente. Gli agenti della Pubblica Sicurezza inviati nei piccoli villaggi siciliani non potevano contare su corpi di polizia alle loro dipendenze dirette. Di conseguenza, erano costretti ad adeguarsi e riadattare la loro posizione a vari problemi di ordine pubblico, non solo per quanto riguardava le esigenze della popolazione, ma anche le rivalità amministrative tra fazioni, l'antagonismo e la collaborazione con altre forze di polizia, le richieste specifiche dei superiori, dei parlamentari e dei notabili locali. Il caso di studio della tesi si muove nel contesto di questa analisi di lungo periodo, concentrandosi sugli anni 1896-1897. Il 3 marzo 1896, dopo la sconfitta di Adua, Francesco Crispi si dimise dalla presidenza del Consiglio italiano. Il 10 dello stesso mese Antonio Starabba, marchese di Rudinì, fu nominato alla guida di un governo conservatore. La penisola italiana era afflitta da gravi problemi economici. La situazione era particolarmente delicata in Sicilia: sia la produzione di agrumi che il settore minerario risentivano di una profonda crisi economica. Come se la crisi non bastasse, violente rivalità politiche turbavano le città dell'isola, costituendo una seria minaccia per l'ordine pubblico. Di Rudinì aveva un progetto chiaro e ottenne l'approvazione di un Regio Decreto che istituiva un Regio Commissariato Civile in Sicilia, una sorta di luogotenenza della Corona. Il 5 aprile 1896, il senatore Giovanni Codronchi Argeli, originario dell'Emilia Romagna, fu nominato Regio Commissario Civile e Ministro senza portafoglio. Per via del Regio Decreto, convertito in legge nel mese di luglio, tutte le province, i comuni e le prefetture siciliane vennero posti sotto la sua autorità per un anno. Attraverso il prisma della polizia è possibile analizzare concretamente quanto avvenuto in Sicilia durante il periodo del Regio Commissariato Civile, esaminando l'adeguarsi delle pratiche di polizia al contesto siciliano e il collegamento tra il centro e le aree periferiche reso possibile dalle forze dell'ordine. La ricerca si basa sulle carte dell'archivio privato di Codronchi, sui documenti conservati nell'Archivio Centrale di Stato di Roma e in alcuni archivi pubblici siciliani. Vengono inoltre analizzati archivi di personalità politiche dell'epoca, giornali, monografie e periodici. Dalla tesi emerge l'immagine di uno Stato ancora in formazione a trent'anni dall'Unità. Per quanto riguarda la parte della tesi relativa alla posizione degli uffici di Pubblica Sicurezza, emerge invece l'accentuata regionalizzazione delle forze di polizia italiane e il loro diverso adattarsi ai vari contesti della penisola. ; The general administration of most of the European states strengthened and modernized during the XIX century, in this context the creation of new police forces allowed to expand the capillary penetration of the states throughout their territories. Since 1861, the young Italian State could dispose of the Carabinieri Reali (Military State police) and of the units of Pubblica Sicurezza (Civil State police). Within the framework of a long period analysis about the creation and distribution of Pubblica Sicurezza Offices (1862-1914), created on the basis of data found on the Calendario Generale del Regno, this PhD thesis shows that Sicily was the region where the Italian police most widely spread. The Pubblica Sicurezza officers sent to little Sicilian villages could not rely upon police corps for their exclusive use. Consequently, they were forced to adjust and re-adjust their position to various problems of public order, not only with regard to people needs, but also to administrative rivalries between factions, antagonism and collaboration with other police forces, specific requests of superiors, of Parliament members and of local notables. The case study of the thesis moves in the context of this long-term analysis, focusing on the years 1896-1897. The 3rd of March 1896, after the defeat in Adua, Francesco Crispi resigned as President of the Italian Council. The 10th of the same month, Antonio Starabba, marquis of Rudinì, was appointed as the leader of a conservative government. The Italian Peninsula was troubled by economic problems. The situation was particularly delicate in Sicily: both the production of citrus fruits and the mining sector were affected by a deep economic crisis. In fact, these were the two main Sicilian economic sectors. As if the crisis was not enough, violent political rivalries troubled every town and city of the Island, constituting a serious threat to public order. Di Rudinì had a clear project for Sicily and he obtained approval for a Royal Decree establishing a Regio Commissariato Civile in Sicily, a sort of lieutenancy of the Crown. The 5th of April 1896, senator Giovanni Codronchi Argeli, native of Emilia Romagna, was appointed as Regio Commissario Civile and as Minister without portfolio. Because of the Royal Decree, converted into law during July, all Sicilian provinces, municipalities and prefectures were to be under his authority for a year. Looking through the prism of police is possible to analyse concretely what happened in Sicily under the authority of Codronchi, examining the adaptation of police practices to the Sicilian context and the connection between the centre and peripheral areas made possible by police forces. The research is based on the papers of Codronchi's private archive, on the documents kept in the Archivio Centrale di Stato of Rome and in some of the Sicilian public archives. Also, archives of political personalities of the time are analysed, as well as newspapers, monographies and periodicals of the period. From the thesis emerges the image of a State still in formation thirty years after Unification. As for the research concerning the position of the Public Security offices, what emerges is the accentuated regionalization of the Italian police forces and their different adaptation to the various contexts of the peninsula.
In tutta Europa il XIX secolo fu un tempo di modernizzazione e di crescita degli stati. Il processo di costruzione delle amministrazioni determinò, nel corso di quegli anni, l'invenzione o il rafforzamento di molte istituzioni per controllare il territorio, una storia europea e anche della nostra Penisola. Il passato delle forze di polizia italiane postunitarie è una storia agli inizi e, tra i vari autori, si possono indicare almeno gli interventi di Jonathan Dunnage, Steven C. Hughes, John Davis, Giovanna Tosatti e, più recenti, di Nicola Labanca, Luigi Vergallo, Simona Mori, Michele Di Giorgio, Laura di Fabio e Francesco Benigno. Nel riferimento a tali studi, e nel quadro di un'analisi di lungo periodo, ho ricostruito, per la mia tesi di dottorato, la collocazione sul territorio degli uffici di pubblica sicurezza, vale a dire dei luoghi ove erano impiegati gli ufficiali di polizia dello Stato italiano, dal 1862 al 1914. Sulla base dei dati riportati dal Calendario Generale del Regno, annuario dello Stato italiano, la mia tesi mostra che la Sicilia era la regione ove la presenza della Pubblica Sicurezza italiana era maggiore e più capillarmente diffusa. Poste le riflessioni sviluppate a partire da tale constatazione, e in particolare l'analisi del rapporto tra presenza di polizie e forza delle élite locali, è nel quadro di questa indagine di lungo periodo che la mia ricerca si è poi sviluppata in un focus sulla Sicilia della fine del XIX secolo, al tempo del "viceré" Codronchi. All'indomani della sconfitta di Adua, nel 1896, il nuovo presidente del Consiglio, Antonio di Rudinì, diede vita a una istituzione di decentramento burocratico, il Regio Commissariato Civile per la Sicilia. Tra le prime forma di intervento speciale nel Mezzogiorno, tale istituzione prevedeva la subordinazione di tutte le province siciliane alle indicazioni di un commissario civile, appunto il senatore Giovanni Codronchi Argeli, allo scopo di sanarne i bilanci comunali e provinciali e pacificarle dopo la militarizzazione seguita alla repressione dei Fasci siciliani. Sulla base dell'ampia documentazione conservata in molti archivi della Penisola, la tesi ricostruisce anche lo svolgersi degli eventi tra il 1896 e il 1897, lungo i rapporti tra Codronchi e i socialisti siciliani, nella descrizione delle vicende legate agli scioperi dei minatori e nei vari e importanti episodi di storia locale. Ciò che emerge, oltre al chiaro modello di una polizia fortemente dipendente dalle forze militari, è il ruolo centrale dei delegati di pubblica sicurezza nella vita dei comuni dell'Isola, in un difficile equilibrio tra esigenze del centro e richieste di élite e popolazioni locali. Nello snodo di questi rapporti, la tesi si conclude con l'analisi della riapertura del processo Notarbartolo, incarico segreto affidato a Codronchi da Rudinì e che, più che l'emergere di una tenebrosa organizzazione mafiosa, rappresenta il primo esempio del manifestarsi del paradigma sicilianista, ma, forse ancor di più, dell'apparire sulla scena nazionale del cosiddetto paradigma democratico, spesso accennato dalla storiografia ma raramente affrontato in maniera sistematica.
The article analyzes the repression of the Mafia phenomenon in Sicily between 1896 and 1901. The close attention paid to the Mafia by the authorities during this period produced a strong evidence base which this article examines through the lens of policing practices. These practices remain neglected as to date the historiography has focused on tracing legal developments rather than examining the application of laws by the forces of law and order. Accordingly, the article puts forward a series of historiographically important questions: what was the attitude of police forces in controlling dangerous individuals? How much do the practices adopted by police forces tell us about the possibilities for state intervention and the limits of its influence? What was the relationship between the perception of a criminal threat, police operations and the construction of judicial truth? The article reveals a very clear image of the Italian state in the liberal era. In fact, state officials and high-ranking institutional figures seemed interested in strengthening the social and political order by establishing control networks which could operate in any circumstances. They aimed to make it impossible not to interact with state officials. In this sense, rather than seeking a complete monopoly of violence, they aimed to oblige local power holders, social groups and semi-public figures to bargain with state officials. The effect was that social groups with means of violence at their disposal did not necessarily become a threat to the maintenance of order and nor did they necessarily forestall the possibility of state mediation and hegemony.
Falta resumen ; Camelamos naquerar (Queremos hablar), espectáculo flamenco-teatral dirigido por José Heredia y Mario Maya, se estrenó el 20 de febrero de 1976 en el Aula Magna de la Facultad de Ciencias de la Universidad de Granada. El espectáculo fue dado a conocer, en principio, por los medios locales, y fue especialmente reconocido por el diario Ideal (Granada). Desde las páginas de la publicación granadina se inició una cobertura mediática en torno a la situación de discriminación histórica que había vivido el pueblo gitano y que se veía reflejado en tres ordenanzas de la Guardia Civil donde mandaban vigilar escrupulosamente a los gitanos. Desde el primer día de representación, periodistas como José García Ladrón de Guevara o Eduardo Castro acompañaron a aquel grupo que representaba la obra. El recorrido del espectáculo llega desde Granada hasta París, donde se representa ante la Unesco como obra representativa del arte andaluz, un camino de un año en el que más de cuarenta medios impresos hablaron sobre el montaje escénico. Ese fue su recorrido físico, pero su impacto mediático llegará hasta la denuncia de Juan de Dios Ramírez Heredia en las Cortes, el 7 de junio de 1978, y hasta la posterior derogación de los últimos artículos contra los gitanos de la Guardia Civil, el 19 de julio de 1978. En esos momentos, publicaciones como El País o Triunfo difundían crónicas sobre Camelamos naquerar, donde defendían el valor de la obra y denunciaban la situación del pueblo gitano. Si retrocedemos unos años antes, durante la dictadura española podríamos identificar las dos caras de la labor periodística. Alrededor del tratamiento hacia el pueblo gitano encontramos dos vertientes: la que denuncia y defiende los derechos de la comunidad gitana y la que margina. A lo largo de esta investigación mostraremos algunos ejemplos de informaciones que marginan al gitano y otras que sirven como ejemplo y constituyen un aliciente para un periodismo con espíritu crítico, que rehúye de los estereotipos. Muchos medios presentan una clara dicotomía, de manera que aparecen en informaciones folklóricas o en un contexto delictivo, y ambos casos muestran a la etnia de manera estereotipada. Durante la transición a la democracia aún permanecen algunos casos de maltrato a la etnia pero, al mismo tiempo, aparecieron informaciones ajenas a estos tópicos, donde se denunciaba la persecución y marginación a la que se había visto sometida la minoría gitana. La relación que muchas publicaciones establecieron con el pueblo gitano en aquellos años sentó un claro precedente para la tolerancia, porque como afirmó Antonio Gómez Alfaro (1980: 311), ¿el comportamiento general de los medios de comunicación ha intervenido últimamente de manera positiva para la consecución de un nuevo talante comprensivo hacia los problemas de nuestra comunidad¿. Esta tesis se dispone a analizar el papel de la prensa como actor determinante en la abolición de las pragmáticas discriminatorias contra los gitanos. Para alcanzar este objetivo, se parte de una hipótesis de partida: la puesta en escena de Camelamos naquerar tuvo un gran impacto mediático y su repercusión en la prensa de la España de esos momentos cruciales del tránsito de la dictadura a la democracia contribuyó a conocer la persecución sufrida por la minoría gitana, lo que favoreció una mayor toma de conciencia por parte de la sociedad que alcanzó a la esfera política, y que desembocó en medidas legales y actuaciones para la integración. Partiendo de esta hipótesis señalada como punto de arranque, proponemos investigar y desarrollar distintos aspectos para alcanzar objetivos que perseguimos: - Estudiar la contribución de los periodistas en la abolición de las órdenes contra los gitanos. - Analizar cómo Camelamos naquerar se convirtió para la prensa en lema y símbolo de la lucha del pueblo gitano por sus derechos. - Estudiar cómo los periodistas andaluces contribuyeron a visibilizar los problemas del pueblo gitano. - Analizar cómo Camelamos naquerar dibuja un mapa de la Transición en España. El presente trabajo de investigación consta de siete capítulos contando con la bibliografía y el anexo, cada uno de ellos dividido en diferentes apartados que favorecen la adquisición progresiva y pausada de conocimientos. En la introducción se exponen los objetivos y la hipótesis de partida, así como los métodos de investigación empleados para alcanzar los objetivos propuestos. En este primer apartado se presenta la estructura de la investigación y el proceso de elaboración. El segundo capítulo está dedicado al contexto periodístico de la dictadura y la Transición en España. En el contexto de la prensa estudiamos el papel de los medios de comunicación antes de la muerte de Francisco Franco, en noviembre de 1975, y durante los primeros años de la Transición, hasta la promulgación de la Constitución en diciembre de 1978. El tercer capítulo está centrado en el compromiso de las artes y las influencias teatrales de Camelamos naquerar. En este bloque se abordan los precedentes teatrales de la obra de Heredia y Maya, y se describe el ambiente que se generó, principalmente en Andalucía, en la oposición a la dictadura franquista. En el cuarto capítulo se estudian las pragmáticas históricas y el impacto mediático de Camelamos naquerar. Se trata de un bloque donde se estudia la relación de la obra con la prensa. Para ello, se realiza un recorrido mediático por las diferentes informaciones que trataron del espectáculo y denunciaron la situación que vivían los gitanos. Iniciamos, a partir de este punto, un recorrido que parte desde Granada. En las páginas de Ideal se gestó la denuncia, desde las crónicas de José Ladrón de Guevara, la visión desde Almería de Miguel Ángel Blanco, las páginas flamencas de Eusebio Rioja, o desde las secciones locales de Abdón y José María Guadalupe. La obra continúa su recorrido por Andalucía y las informaciones en favor de los gitanos se extienden por medios regionales, como es el caso de Ideal en Almería, el diario Sol de España en Málaga, ABC o El Correo de Andalucía. En este itinerario es necesario hablar del papel de las revistas, ya que desde las páginas de Cuadernos para el diálogo o Triunfo, dos de las revistas más significativas en la lucha antifranquista, también se apoyó a la causa gitana. Este camino por la prensa llega hasta la prensa nacional, el espectáculo se difunde en los medios como Arriba, Ya, Pueblo, La Vanguardia, Informaciones, ABC y El País, entre otros. En el quinto capítulo se aborda el análisis del contenido de informaciones que se publicaron en torno a Camelamos naquerar. Este bloque incluye un estudio pormenorizado, tanto cualitativo como cuantitativo, de los textos periodísticos que hablaron de la obra y de la causa gitana durante la Transición. Los primeros textos datan de enero de 1976, y los últimos en mencionar a Camelamos naquerar llegan hasta diciembre de 1978, como por ejemplo, la crónica parlamentaria de Víctor Márquez Reviriego (1978: 16-17) del número 803 de la revista Triunfo, en la que aborda la ponencia en las Cortes del diputado de UCD Juan de Dios Ramírez Heredia, con el título Camelamos naquerar, y que resume mucho de lo andado hasta ese momento. Se trataba del punto y final de una denuncia, el último gesto que posibilitó la derogación de las ordenanzas contra los gitanos.
Un periódico debiera ser "la Historia que pasa" (Mainar, 2005: 31). Esa Historia que pasó es la que tratamos de plasmar en este estudio. Nos situamos en 1976, unos meses después de la muerte de Francisco Franco, en los primeros meses de la Transición española. En este contexto, un grupo de gitanos encabezado por el poeta y escritor José Heredia Maya y el bailaor Mario Maya representa la obra Camelamos naquerar , un espectáculo flamencoteatral donde se denuncia la persecución sufrida por el pueblo gitano a lo largo de la Historia de España. Los periodistas que presenciaron aquel montaje teatral en 1976 vieron la Historia pasar. En cierto sentido, se podría decir que la Historia no pasó, porque los periodistas se hicieron eco de la denuncia de Camelamos naquerar . Durante cinco siglos se registraron innumerables episodios de persecución y discriminación racial, pero en 1976 supuso un cambio significativo. Desde las redacciones se denunció la situación, quedó constancia de esa Historia, que ahora rescatamos. El título de la investigación, "Impacto mediático de Camelamos naquerar en la Transición democrática", hace referencia a la repercusión que la obra de José Heredia y Mario Maya tuvo en la prensa española desde su estreno en 1976 hasta la promulgación de la Constitución en diciembre de 1978, convirtiéndose así en símbolo para el pueblo gitano durante la Transición democrática y elemento clave para la abolición de las pragmáticas discriminatorias contra los gitanos. Camelamos naquerar , que en castellano significa 'queremos hablar', se estrenó el 20 de febrero de 1976 en el Aula Magna de la Facultad de Ciencias de la Universidad de Granada. El espectáculo fue dado a conocer, en principio, por los medios locales, y fue especialmente reconocido por el diario Ideal (Granada). Desde las páginas de la publicación granadina se inició una cobertura mediática en torno a la situación de discriminación histórica que había vivido el pueblo gitano y que se veía reflejado en tres ordenanzas de la Guardia Civil donde mandaban vigilar escrupulosamente a los gitanos. Desde el primer día de representación, periodistas como José García Ladrón de Guevara o Eduardo Castro acompañaron a aquel grupo que representaba la obra. El recorrido del espectáculo llega desde Granada hasta París, donde se representa ante la Unesco como obra representativa del arte andaluz, un camino de un año en el que más de cuarenta medios impresos dieron voz a los marginados. Ese fue su recorrido físico, pero su impacto mediático llegará hasta la denuncia de Juan de Dios Ramírez Heredia en las Cortes, el 7 de junio de 1978, hasta la posterior derogación de los últimos artículos contra los gitanos de la Guardia Civil, el 19 de julio de 1978. En esos momentos, publicaciones como Triunfo difundían crónicas sobre Camelamos naquerar , donde defendían el valor de la obra y denunciaban la situación del pueblo gitano. La denuncia está en la esencia misma del Periodismo, o al menos el espíritu crítico al que apela Ernesto Villanueva cuando afirma: "Los periodistas basan su trabajo en los valores fundamentales tales como el espíritu crítico que les impone dudar metódicamente, la imparcialidad que les hace buscar y exponer los diversos aspectos de una situación, la equidad que les lleva a considerar a todos los ciudadanos como iguales delante de la prensa, como lo son delante de la ley, la independencia que les mantiene a distancia de los poderes y de los grupos de presión, el respeto al público y la compasión que les hace observar normas de sobriedad, la honestidad que les impone respetar escrupulosamente los hechos" (Villanueva, 2002: 93). Ese espíritu crítico es necesario especialmente en una época como ésta, en plena Transición democrática, con leyes franquistas aún vigentes. "El periodismo debe buscar temas propios, transgresores en relación con los intereses de los poderes, temas de denuncia, y actualidad valorada por los profesionales del periodismo, sin estar presionados por múltiples factores. El periodismo es, en efecto, un contrapoder" (Reig, 2007: 122). El periodismo siempre ha ejercido como contrapoder, aunque también se le podría considerar como un brazo fuerte al servicio del mismo poder. Durante la dictadura española podríamos identificar las dos caras de la labor periodística. Alrededor del tratamiento hacia el pueblo gitano encontramos dos vertientes: la que denuncia y defiende los derechos de la comunidad gitana y la que margina. A lo largo de esta investigación mostraremos algunos ejemplos de informaciones que marginan al gitano y otras que sirven como ejemplo y constituyen un aliciente para un periodismo con espíritu crítico, que rehúye de los estereotipos. En el caso de los gitanos durante la dictadura, muchos medios presentan una clara dicotomía, de manera que aparecen en informaciones folklóricas o en un contexto delictivo, y ambos casos muestran a la etnia de manera estereotipada. Durante la transición a la democracia aún permanecen algunos casos de maltrato a la etnia pero, a l mismo tiempo, aparecieron informaciones ajenas a estos tópicos, donde se denunciaba la persecución y marginación a la que se había visto sometida la minoría gitana. Para el estudio es fundamental el análisis empírico de la materia analizada, pero al investigador le acompaña un espíritu alimenta do por obras que no inciden directamente en el tema que se pretende investigar pero que abordan tangencialmente la esencia del problema. Son trabajos que irradian energía . Entre todas las obras literarias y ensayísticas hemos de destacar tres: - La primera de ellas es La herencia del olvido , de Reyes Mate, Premio Nacional de Ensayo en 2009. La obra de Mate analiza los abusos de Occidente y la imposición de su propia visión del mundo, de la filosofía y la moral. Se trata de un ensayo cuya esencia no se aleja mucho de la función del periodismo. - Por otro lado, y en segundo lugar, José Heredia Moreno, hijo del autor de Camelamos naquerar , sostiene que si tomamos Orientalismo de Edward Said y sustituimos la palabra árabe por gitano, encontramos todo un tratado sobre la situación de la etnia calé. - En el tercer libro de referencia, Encuentro con el Otro , confluyen el periodismo y "el Otro", es decir, los marginados, los olvidados o desatendidos, o simplemente los miembros de otras culturas. Sin duda, Ryszard Kapuscincki es un punto de apoyo para cualquier periodista, especialmente si hablamos del abuso de poder, la violencia ante las minorías y el Encuentro con el Otro . Por otro lado, para obtener resultados científicos intentamos abordar un proyecto interdisciplinar donde hay que poner en relación diferentes estudios. Las profesoras María del Carmen García Galera y María Rosa Berganza Conde insisten en que el investigador debe desarrollar su trabajo con una perspectiva histórica, "interrogarse e interrogar a la realidad social acerca del cursus sufrido por aquello que estudia, sobre cómo ha llegado a ser lo que es e incluso por qué ha llegado a serlo" (Berganza y Ruiz, 2005: 28). Camelamos naquerar recorrió toda la geografía española y sus miembros movilizaron a la prensa y a la sociedad del momento para conseguir abolir las últimas ordenanzas de la Guardia Civil que mandaban vigilar escrupulosamente a los gitanos. Su grito escénico, su impacto mediático desde nuestra perspectiva, fue tal que llegó a las Cortes y hasta la abolición de las leyes persecutorias contra la etnia gitana. Las pragmáticas que nacieron en la época de los Reyes Católicos y que llegaron hasta la dictadura de Franco se extinguieron en el periodo democrático. Reyes Mate recoge unos pensamientos de Walter Benjamin para hablar de la fuerza de un gesto, de un hecho que resume una historia: "La historia de un pueblo, decía el pensador alemán Walter Benjamin, puede condensarse en una época; una época condensarse en una vida; y, una vida, en una obra. Lo decía para llamar la atención sobre el poder del detalle, la fuerza subversiva de la anécdota o la riqueza misteriosa de una única palabra" (Mate, 2008: 35). Camelamos naquerar : queremos hablar. La fuerza de esas dos palabras acabó con esos cinco siglos de persecución. Desde la primera pragmática, firmada por los Reyes Católicos en Medina del Campo en 1499 (Sánchez Ortega, 1994: 331) hasta la abolición de las ordenanzas de la Guardia Civil, en julio de 1978, pasaron 479 años de persecución durante los que se dictaron innumerables leyes discriminatorias contra los gitanos. Sobre la memoria se ha escrito mucha literatura pero de entre todas las citas nos quedamos con una muy breve de Tennessee Williams: "La obra es memoria" (Williams, 1970: 23). Camelamos naquerar es memoria, y en ella se difunde el sufrimiento del pueblo gitano; los periodistas quisieron hacer perdurar su memoria. Esta investigación intenta modestamente recuperar aquel momento histórico e impactante desde el punto de visto mediático . El momento exacto, en 1425, de la llegada de los gitanos a España (Sánchez Ortega, 1994: 327) podría describirse como conciliador, pero esos primeros años de encuentro en tierras españolas fueron realmente un espejismo. A partir de la Real Pragmática de 1499, fechada en Medina del Campo, la persecución legal hacia los gitanos fue incesante hasta la promulgación de la Constitución de 1978. Desde un punto de vista histórico, el trato a las minorías en España no ha sido especialmente ejemplar, y precisamente "la marginación es el resultado de un largo proceso histórico" (Sánchez Ortega, 1986: 18). Según la historiadora Mª Helena Sánchez Ortega, en torno a las minorías en España, Francia o Inglaterra "nos encontramos siempre con las mismas quejas repetidas monótonamente, las misma descripciones adversas que han llegado a formar un persistente estereotipo" (Ibíd.) El caso de los gitanos podría extenderse hacia otras minorías, como la de los judíos, que fueron expulsados siete años antes de la promulgación de la primera pragmática contra los gitanos. Lo mismo ocurriría con los moros, para quienes, como explica Julio Caro Baroja, "no había más que una dura alternativa o convertirse al cristianismo o padecer grandes prisiones y torturas" (Caro Baroja, 1991: 48). Nuestra investigación se detiene, de forma directa, en la dictadura franquista, ya que el germen de la obra que nos ocupa y la labor de los periodistas que denunciaron la persecución se sitúan en este periodo. Fue en esta época cuando se inicia el movimiento de liberación del pueblo gitano, el asociacionismo, la reivindicación de la cultura caló, con el empuje de la prensa que apuesta por las libertades frente a los últimos estertores de la dictadura. En este contexto, la prensa jugó un papel de denuncia, ejerció una labor ejemplar de cara a nuevas generaciones y sirvió como espejo en el que mirarse en el presente. La relación que muchas publicaciones establecieron con el pueblo gitano en aquellos años sentó un claro precedente para la tolerancia , porque como afirmó Antonio Gómez Alfaro (1980: 311), "el comportamiento general de los medios de comunicación ha intervenido últimamente de manera positiva para la consecución de un nuevo talante comprensivo hacia los problemas de nuestra comunidad ". Nos referimos a una prensa marcada por la denuncia social; la ausencia, en general, de paternalismo; y la cesión de su voz al perseguido, señalando a la sociedad responsable. Por otro lado, Camelamos naquerar se convirtió en buque insignia de la lucha por la igualdad y los periódicos tomaron esta obra como referencia para denunciar la situación del pueblo gitano. Con esta tesis nos disponemos a analizar el papel de la prensa como actor determinante en la abolición de las pragmáticas discriminatorias contra los gitanos. Para alcanzar este objetivo, nos apoyamos en una hipótesis de partida: la puesta en escena de Camelamos naquerar tuvo un gran impacto mediático y su repercusión en la prensa de la España de esos momentos cruciales del tránsito de la dictadura a la democracia contribuyó a conocer la persecución sufrida por la minoría gitana, lo que favoreció una mayor toma de conciencia por parte de la sociedad que alcanzó a la esfera política, y que desembocó en medidas legales y actuaciones para la integración. Como plantea Zetterberg, las hipótesis son aquellos enunciados que queremos verificar, es una proposición provisional por verificar y se configura como una conjetura emitida de un hecho o fenómeno que vamos a investigar (Zetterberg, 1976: 20). Al mismo tiempo, esta hipótesis de partida que plateamos se ramifica en una serie de acontecimientos sustanciales que debemos tener en cuenta para el estudio: - Centramos nuestra investigación principal en 1976, tan sólo unos meses después del fallecimiento del dictador, Francisco Franco, en un tiempo histórico convulso, por lo que representa la muerte del dictador y la posibilidad ya real de alcanzar el régimen democrático. Es el año durante el cual se produce la representación por todo el país del montaje flamenco-teatral de José Heredia y Mario Maya. - En este año ya se atisban cambios sustanciales en la prensa, se produce un progresivo declive de los periódicos del Movimiento "como consecuencia del surgimiento de una nueva prensa más acorde a los nuevos tiempos democráticos ( El País , Avui , Diario 16 , Deia )" (Iturriaga, 2005: 476). - En el avance hacia la democracia se celebran las elecciones generales del 15 de junio de 1977. En este corto pero sustancial cambio de signo político, la Constitución de 1978 deroga la última pragmática contra los gitanos, orden dictada el 14 de mayo de 1942 por el gobierno franquista. - En todo este proceso, tenemos en cuenta tres pilares fundamentales para alcanzar algunos de los objetivos que pretenden lograr los creadores de Camelamos naquerar : a) Que los autores de la obra y sus contenidos proceden de la comunidad gitana. b) Que desde la prensa pre-democrática se impulsa y difunde la injusticia histórica que sufre el pueblo gitano. De esta forma, la prensa actúa como nexo necesario entre el pueblo gitano, representado en Camelamos naquerar , y los políticos, encargados de modificar leyes que empezaban a ser consideradas injustas. c) Que son ya los diputados democráticos los que plantean ante la nueva Constitución de 1978 la derogación de la última pragmática. Partiendo de esta hipótesis señalada como punto de arranque, nos proponemos investigar y desarrollar distintos aspectos para alcanzar objetivos que perseguimos: - Estudiar la contribución de los periodistas en la abolición de las órdenes contra los gitanos. Con esta tesis doctoral pretendemos mostrar la contribución de algunos periodistas de la época en la liberación del pueblo gitano. La denuncia, por parte de la prensa, fue clave, ya que durante dos años, en más de doscientos textos periodísticos, en más de cuarenta medios escritos, se apoyó al pueblo gitano. De hecho , muchas de las informaciones que publicaron hablaban sobre la persecución aún vigente y de la necesidad de acabar con las injusticias contra el pueblo gitano. Los profesionales que con sus informaciones acompañaron a Camelamos naquerar consiguieron la derogación de las ordenanzas discriminatorias de la Guardia Civil. La lista de medios que cubrieron el evento es amplísima. Desde periódicos locales y regionales, como Ideal , ABC , El Correo de Andalucía o La Vanguardia Española , hasta revistas clave para entender la Transición, como Cambio 16 , Cuadernos para el diálogo , Triunfo , Destino o Realidades . En cuanto a los profesionales que escribieron sobre la obra y sobre la situación de los gitanos, destacan tanto cronistas como críticos de arte, columnistas y flamencólogos: Víctor Márquez Reviriego, José García Ladrón de Guevara, Antonio Ramos Espejo, Antonio Burgos, Eduardo Castro, Fernando Lázaro Carreter, Antonio Checa, Pere Bonnin, José Monleón, Enrique Llovet, entre muchos otros. De todos los periodistas y medios, tan sólo uno dudó de la importancia del espectáculo, José Antonio Blázquez, en la Hoja del Lunes , mientras que en este mismo medio, otros periodistas valoraron positivamente a la obra. Por lo tanto, la repercusión mediática fue crucial en la lucha por la igualdad legislativa. - Analizar cómo Camelamos naquerar se convirtió para la prensa en lema y símbolo de la lucha del pueblo gitano por sus derechos. La instauración por parte de los medios de la obra como lema y símbolo de una lucha y una denuncia supuso un altavoz para la sociedad. Desde las páginas de Ideal se destacó en todo momento la función de Camelamos naquerar como guía para el pueblo gitano. El propio Juan de Dios Ramírez Heredia, diputado de UCD tras las primeras elecciones, dijo: " Camelamos naquerar representó en su día, yo me atrevería a decir, que una revolución, en el ámbito intelectual y en el ámbito creativo. En primer lugar, porque mi primo José Heredia es un artista, es un artista de la palabra y es un artista de la pluma. Y lo que se dice en esa obra, indudablemente en una época en la que no se podía hablar, en una época en la que las libertades cívicas estaban absolutamente colapsadas, que saliera un gitano escribiendo una obra, diciendo "queremos hablar", era todo un síntoma, ¿no?, de algo que empezaba a nacer en el pueblo gitano. Un sentido revolucionario, pero revolucionario en el sentido hermoso de la palabra. Revolucionario en el sentido de lucha contra la injusticia, contra la marginación, contra el deseo inherente a todo ser humano de poder expresar con libertad lo que piensa y lo que siente" (Juan de Dios Ramírez Heredia, entrevista personal, 20 de febrero de 2008). - Estudiar cómo los periodistas andaluces contribuyeron a visibilizar los problemas del pueblo gitano. Otro objetivo que consideramos importante es la contribución de la prensa andaluza, que hasta nuestros días se ha visto arrinconada en favor de la prensa madrileña o catalana. La labor de los periodistas andaluces en el camino hacia la democracia fue tan importante como la de profesionales de otras regiones. En ocasiones ha sido olvidada, e incluso denostada, al igual que en otras cuestiones de la realidad nacional. No sólo hay que destacar la labor de los profesionales que trabajaban en medios andaluces; también los grandes medios nacionales se nutrían de cronistas andaluces, como la amplia nómina de andaluces que componían la revista Triunfo , o muchos colaboradores de Cuadernos para el diálogo , y otros periodistas que hablaron sobre la problemática gitana en El País , como Fermín Vílchez o Eduardo Castro. También en las páginas de Cambio 16 escribieron periodistas como Juan de Dios Mellado y Antonio Guerra. La lista es amplísima. - Analizar cómo Camelamos naquerar dibuja un mapa de la Transición en España. Del análisis de los medios y su relación con la obra Camelamos naquerar se puede extraer todo un contexto social del tardofranquismo y los primeros años de la transición. Una vez estrenada, en febrero de 1976, va trazando un recorrido por el cual se va dibujando también la democracia española, aparece en las crónicas del homenaje a Lorca en Fuente Vaqueros, forman parte de la fiesta socialista a Tierno Galván, actúan en el I Congreso de Historia de Andalucía, apoyaron a los cincuenta y cuatro detenidos del Cerro del sombrero en Granada, fue seleccionada en el Festival de Cannes, José Heredia Maya acudió a los homenajes de los grandes poetas como Antonio Machado o Miguel Hernández. El proceso de elaboración de un trabajo de investigación debe partir de un plan bien definido. Antes de redactar las conclusiones de nuestro estudio, es preciso tener muy claro cómo vamos a distribuir los contenidos, de manera que la exposición siga una línea lógica y facilite la comprensión del lector. El orden es esencial para avanzar en nuestras indagaciones y, una vez terminadas, transmitir a la comunidad intelectual los resultados obtenidos. Este último cometido, comunicar con éxito nuestras observaciones, puede desarrollarse gracias al tradicional desglose en capítulos, epígrafes y parágrafos. El presente trabajo de investigación consta de siete capítulos contando con la bibliografía y el anexo, cada uno de ellos dividido en diferentes apartados que favorecen la adquisición progresiva y pausada de conocimientos. En la introducción se exponen los objetivos y la hipótesis de partida, así como los métodos de investigación empleados para alcanzar los objetivos propuestos. En este primer apartado se presenta la estructura de la investigación y el proceso de elaboración. El segundo capítulo está dedicado al contexto periodístico de la dictadura y la Transición en España. En el contexto de la prensa estudiamos el papel de los medios de comunicación impresos antes de la muerte de Franco, en noviembre de 1975, y durante los primeros años de la Transición, hasta la promulgación de la Constitución en diciembre de 1978. Un apartado importante de la investigación es el dedicado a la relación de los gitanos con la prensa a lo largo de la dictadura franquista. A ntes de iniciar la investigación sobre el impacto mediático del montaje escénico de Heredia y Maya era necesario comentar el papel de la prensa durante la dictadura y en la incipiente democracia, especialmente en Andalucía, donde nace y transcurre la denuncia de Camelamos naquerar contra la represión hacia los gitanos. El tercer capítulo está centrado en el compromiso de las artes y las influencias teatrales de Camelamos naquerar. En este bloque se abordan los precedentes teatrales de la obra de Heredia y Maya, y se describe el ambiente que se generó, principalmente en Andalucía, en la oposición a la dictadura franquista. No tan importante como el papel de la prensa, pero sí pertinente, sería hablar de las artes escénicas durante la dictadura, aquellos caminos que confluyen en este espectáculo teatral de denuncia. En el cuarto capítulo se estudian las pragmáticas históricas y el impacto mediático de Camelamos naquerar. Se trata de un bloque donde se estudia la relación de la obra con la prensa. Para ello, se realiza un recorrido mediático por las diferentes crónicas y noticias que trataron del espectáculo y denunciaron la situación que vivían los gitanos. El cuarto bloque de la investigación está dedicado al itinerario mediático de Camelamos naquerar , la denuncia que desde el escenario de la prensa española se hizo de la represión que durante siglos había sufrido el pueblo gitano y que iba a desaparecer, al menos a nivel legislativo, gracias a una serie de actores que se dieron cita en la democracia. Dentro de este cuarto bloque se abre un apartado que describe las distintas pragmáticas contra los gitanos a lo largo de la historia. Es necesario desmenuzarlas en la investigación porque estas pragmáticas protagonizaron la denuncia de la obra y de la prensa de la época. Son las leyes que provocaron la situación de marginación de los gitanos en España. Iniciamos, a partir de este punto, un recorrido que parte desde Granada. En las páginas de Ideal se gestó la denuncia, desde las crónicas de José Ladrón de Guevara, la visión desde Almería de Miguel Ángel Blanco, las páginas flamencas de Eusebio Rioja, o desde las secciones locales de Abdón y José María Guadalupe. En menor medida se hizo eco en las páginas de Patria , diario granadino de la Cadena del Movimiento. La obra continúa su recorrido por Andalucía y por lo tanto las informaciones en favor de los gitanos se extienden por medios regionales, como es el caso de Ideal en Almería, el diario Sol de España en Málaga, ABC (cuando la obra llegó a Sevilla), o El Correo de Andalucía , que tenía a Manuel Barrios como principal comunicador de la cuestión gitana. En este itinerario es necesario hablar del papel de las revistas, ya que desde las páginas de Cuadernos para el diálogo o Triunfo , dos de las revistas más significativas en la lucha antifranquista, también se apoyó a la causa gitana. Este camino por la prensa llega hasta la prensa nacional, diarios como Arriba , Ya , Informaciones , Pueblo , La Vanguardia , ABC o El País cubrirán el espectáculo. Finalmente, se destacan dos hechos importantes: por un lado, la representación de la obra en París con motivo de las jornadas granadinas de la UNESCO; y la posterior representación en el teatro Montparnasse de París y la consiguiente cobertura por la prensa. Las representaciones de Camelamos naquerar finalizan en París, en abril de 1977, pero el nombre de la obra seguirá apareciendo en la prensa en otros momentos clave para los derechos de la etnia calé como, por ejemplo, en la derogación de las leyes persecutorias contra los gitanos en julio de 1978. En el quinto capítulo se aborda el análisis del contenido de informaciones que se publicaron en torno a Camelamos naquerar . Como ya hemos mencionado en el apartado anterior, elaboraremos un bloque con un estudio pormenorizado, tanto cualitativo como cuantitativo, de los textos periodísticos que hablaron de la obra y de la causa gitana durante la Transición. Los primeros textos datan de enero de 1976, y los últimos en mencionar a Camelamos naquerar llegan hasta diciembre de 1978, como por ejemplo, la crónica parlamentaria de Víctor Márquez Reviriego (1978: 16-17) del número 803 de la revista Triunfo , en la que aborda la ponencia en las Cortes del diputado de UCD Juan de Dios Ramírez Heredia, con el título Camelamos naquerar , y que resume mucho de lo andado hasta ese momento. Se trataba del punto y final de una denuncia, el último gesto que posibilitó la derogación de las ordenanzas contra los gitanos. En el último apartado de la estructura de esta investigación, se incluyen dos anexos. Por un lado, las entrevistas más destacadas elaboradas en los años de investigación, en concreto las realizadas a: José Heredia, Mario Maya, Juan de Dios Ramírez Heredia, José Monleón y Curro Albayzín. Por otro lado, se incluyen los cincuenta textos periodísticos seleccionados para el análisis cualitativo de manera que se puedan consultar complementariamente.
"Learn how some of the world's most powerful women are using their growing economic power to create success and meaning in their lives while building a better world. Sheryl Sandberg's Lean In ignited a conversation about women and their careers, and resonated with millions of readers. Fast Forward, by two women leaders with experience and access throughout corporate America and around the world, takes the next step. Through interviews with a network of over fifty trailblazing women, it shows women how to accelerate their growing economic power and combine it with purpose to create success and meaning in their lives while building a better world"--