L'articolo opera un raffronto fra l'art. 24 del D.L. n. 133/2014 (c.d. "sblocca Italia") - oggi abrogato - e l'art. 190 del D. Lgs. n. 50/2016 (c.d. "baratto amministrativo"), evidenziando che l'abrogazione della prima norma non può essere valutata in un'ottica di armonizzazione della disciplina delle agevolazioni fiscali a favore delle attività di rigenerazione urbana. Semmai è segno di una scarsa sensibilità del nostro legislatore nazionale rispetto alla possibilità di utilizzare il fisco come una leva incentivante di quelle attività. Di fatti, già con riferimento all'art. 24, tanto l'IFEL quanto la Corte dei Conti avevano chiarito che il vincolo di "stretta inerenza" (sostituito oggi dal vincolo di "corrispondenza") doveva correre fra l'attività e l'agevolazione, limitando così fortemente l'applicazione della norma. Tuttavia si rimane convinti che le agevolazioni fiscali possano essere un reale fattore incentivante per le attività di rigenerazione urbana e per tal ragione si suggerisce di spostarsi dalla limitata prospettiva dei tributi locali a quella più ampia dei tributi erariali.
Già da tempo il nostro legislatore sembra aver riconosciuto che esiste un legame fra attività di rigenerazione poste in essere da privati cittadini e fiscalità, identificando in quest'ultima un fattore di stimolo per le prime. Rilevano in questo senso l'art. 24 del D.L. 133/2014 (c.d. Sblocca Italia) – oggi però abrogato – e l'art. 190 del D. Lgs. 50/2016 (problematicamente rubricato baratto amministrativo). Tuttavia, l'aspetto che immediatamente si rileva da un'analisi, anche sommaria, di queste norme è l'esclusivo riferimento a tributi amministrati dagli enti locali, che per lo più coincidono con le tasse. Circostanza, questa che, trattandosi non di disposizioni provenienti da enti locali (Comuni), ma dal legislatore nazionale, desta non poche perplessità, soprattutto ove si consideri che il modo in cui tali norme (oggi il richiamato art. 190) prevedono l'uso di agevolazioni dà l'idea di un incentivo fiscale inteso in termini di "corrispettività". Concetto, questo, che, per definizione, è estraneo all'area dei tributi e che considera l'incentivo fiscale come una forma di remunerazione delle attività di rigenerazione. Il che è esattamente ciò che non possiamo chiedere ai tributi. Peraltro, l'approccio esegetico a tali norme, quantomeno quello riconducibile all'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL) ed alla Corte dei Conti, sembra aver privilegiato proprio tale profilo di corrispettività e ciò, inevitabilmente, ha sensibilmente circoscritto il novero dei tributi cui riferire l'agevolazione. Il tributo più congeniale è stato così individuato nella TOSAP cui è stata affiancata la TARI giornaliera. Si tratta, con evidenza, di poca cosa. Muovendo, però, da una prospettiva diversa da quella classica, secondo la quale la riduzione d'imposta accordata con l'agevolazione è fondamentalmente estranea alla struttura ed alla ratio del tributo - poiché essa non persegue la tipica funzione strumentale del prelievo (e cioè la raccolta del gettito) ma un obiettivo finale, che è già allocativo e/o redistributivo – e ritenendo che il perseguimento di finalità di pubblico interesse sia un obiettivo (non indiretto, ma) diretto del tributo, come avviene nel caso dei c.d. tributi ambientali propri, è possibile approdare ad una concezione del tributo che non sia più e soltanto strumento di ripartizione del carico fiscale finalizzato al reperimento delle risorse finanziarie, ma sia altresì strumento che può perseguire direttamente un'utilità pubblica, e cioè una finalità di interesse per la collettività o per una comunità identificata. Questa diversa prospettiva consentirebbe di utilizzare qualsiasi prelievo come strumento incentivante delle attività di rigenerazione. Non più, dunque, solo le tasse, ma anche le imposte.
Nella commento alla sentenza della CTR della Campania (n. 10730/2015) si evidenzia che lo strumento della " fiscalità " in senso lato, e cioè non coincidente con il concetto di tributo, ma come mezzo per il raggiungimento di obiettivi di politica fiscale, può essere utilizzato per perseguire scopi di sussidiarietà orizzontale. Il c.d. " rapporto giuridico d'imposta " , però, è – in questo caso – rovesciato; non si guarda cioè allo Stato come soggetto che impone prestazioni patrimoniali, ma come soggetto che concede agevolazioni d'imposta. L'ottica, quindi, non è quella dello Stato, ma quella del contribuente, il quale – mercè lo strumento dell'agevolazione – ha la possibilità di contribuire alla realizzazione di obiettivi di utilità sociale.
Con la nuova disciplina dei reati tributari sembra che il legislatore abbia inteso rimediare alle incongruenze del precedente impianto normativo, in cui l'utilizzo della pena finiva con l'essere sovente inappropriato. La riforma, infatti, è ispirata al criterio della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta, per cui sono puniti più severamente i reati con comportamenti fraudolenti o simulati e, di contro, sono depenalizzate condotte che, basandosi su criteri valutativi o di mera classificazione, non manifestano un disvalore sociale così elevato da meritare l'uso della pena. L'obiettivo di adeguare la sanzione alla gravità della condotta, però, non è stato perseguito appieno; rimangono, infatti, delitti, quali l'omesso versamento IVA, in cui è assai discutibile che il comportamento mostri gravità tale da meritare la sanzione penale e rimangono ancora le cd. "soglie di punibilità" che, nell'attuale struttura, impediscono al giudice un reale apprezzamento del grado di disvalore del comportamento concreto. ; The reform of tax offenses, following the laws no. 23/2014 and no. 158/2015, aims to resolve some typical issues of previous system, which showed an inappropriate use of criminal sanction. As a matter of fact the core of reform is a proportionality criterion between criminal sanction and seriousness of behavior, so the sanction is harsher for fraudulent behaviors, and a decriminalization system is provided for behaviors consisting in evaluation criteria, since those behaviors show less social dangerousness. Anyway, the main purpose, link criminal sanction and seriousness of behavior, is not fully followed, because certain offenses, such as VAT non-payment, remain in force, and there is more than a reasonable doubt that the underlying behavior shows such as a social dangerousness, to be rightly linked to criminal sanction. Furthermore, the so called "punishment thresholds" are still in force, not allowing the judge a real appreciation of behaviors social danger degree.
The book interprets and recombines, within a subjective trajectory, some roots, pathways and conceptual frames of the planning thought that worked either as dissenting imaginations or generative source to critically question the modernist epistemologies. "Critical planning and design" is presented in this book as a field of research inspired by critical urban theory and developed along with ideas and theories that prove to be radical, alternative, dialectical to the mainstream history of planning. In this book, scholars present what they consider as the most important books in the field of planning, public policy and design. They have been asked to write about a book and its author, in their preferred manner. This freedom allowed passionate and original contributions. Three main threads - the three parts of the book - shape the choices of the authors. The first concerns the reconstruction of some genealogical roots of planning (including Cerdà, Yona Friedman, Alberto Magnaghi, and Ian McHarg). The second thread groups the authors who dialogue with contemporary protagonists of the planning debate (including John Friedmann, Leonie Sandercock, Doreen Massey, David Harvey, Tom Sievert, and Patzy Healey). The third thread includes authors who dig into relevant writings in social and philosophical sciences (including Max Weber, Charles Lindblom, Henri Lefebvre, Gilles Deleuze & Félix Guattari, Georges Didi-Huberman, Robert Nozick, and Philip K Dick). The book is addressed to researchers of planning and urban studies, who value the critical re-reading of some fundamental books. Including thoughtful and critical arguments on influential thinkers of the past two centuries, the book will enable students, scholars and researchers of planning, design, political science, geographical, environmental, and urban studies to better understand the socio-spatial and ecological transformations under the contemporary transition while relying on a "usable past." The book is also addressed to a wider audience of readers interested in the problems of the city and space.
Foreign investors have a privileged position under investment treaties. They enjoy strong rights, have no obligations, and can rely on a highly efficient enforcement mechanism: investor-state dispute settlement (ISDS). Unsurprisingly, this extraordinary status has made international investment law one of the most controversial areas of the global economic order. This book sheds new light on the topic, by showing that foreign investor rights are not the result of unpredicted arbitral interpretations, but rather the outcome of a world-making project realised by a coalition of business leaders, bankers, and their lawyers in the 1950s and 1960s. Some initiatives that these figures planned for did not emerge, such as a multilateral investment convention, but they were successful in developing a legal imagination that gradually occupied the space of international investment law.
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