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Tra potere e servizio: informazione e giustizia in Italia
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All'indomani della consolidata giurisprudenza costituzionale sulla ragionevolezza della scelta legislativa la querelle sull'interpretazione dell'art. 20 del t.u.r. può ritenersi finalmente conclusa?
Con la recente sentenza n. 39 del 16 marzo 2021, la Corte costituzionale è tornata nuovamente a pronunciarsi (si spera per l'ultima volta) sull'annosa questio della legittimità costituzionale dell'art. 20 del d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (d'ora in poi, t.u.r.), così come risultante a seguito delle modifiche apportate dalle leggi di Bilancio 2018 e 2019 (rispettivamente, art. 1, 87° comma, lett. a), l. n. 205 del 2017 e art. 1, 1084° comma, l. n. 145 del 2018), dichiarando – in linea con l'orientamento espresso dalla precedente decisione – non fondate le questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna
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La creazione di valore secondo i principi internazionali
Le complessità del fenomeno "digital economy" sono molteplici e sottendono forti interessi di natura economica e politica che hanno generato ostacoli alla predisposizione di un sistema di regole che potesse garantire certezza, equità. Il tema della "creazione di valore" rappresenta senz'altro un nodo che pare difficile sciogliere, considerata la sostanziale incertezza che esiste tutt'ora con riguardo a tale concetto. L'auspicata soluzione definitiva che avrebbe dovuto essere raggiunta entro la fine del 2020 non sarà, purtroppo, individuata.
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LA MEDIAZIONE E LA CONCILIAZIONE NEL PROCESSO TRIBUTARIO
Gli istituti del reclamo e della mediazione, così come attualmente disciplinati dall'art 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, rappresentano il risultato di interventi modificativi succedutisi nel tempo. Difatti, la disposizione in esame è stata oggetto, sin dalla sua originaria introduzione nel nostro ordinamento , di giudizi contrastanti da parte della dottrina che ne ha accuratamente studiato i profili sostanziali e procedurali, nonché fonte di molteplici dubbi di illegittimità costituzionale che hanno trovato (parziale) risoluzione con la pronuncia della Corte costituzionale n. 98/2014. Nel tentativo di porre rimedio alle criticità emerse a seguito dell'introduzione di tale istituto, il Legislatore ha apportato alcune prime modifiche alla originaria formulazione della citata norma processuale già in occasione dell'approvazione della Legge di stabilità 2014 , emanata nelle more del relativo giudizio di legittimità costituzionale, nell'intento di «"mettere in sicurezza" il reclamo e la mediazione nella prospettiva dell'imminente pronuncia della Consulta» e di «minimizzare le eventuali conseguenze di una pronuncia di illegittimità costituzionale ». A breve distanza di tempo, tuttavia, la disciplina del reclamo/mediazione, così come risultante a seguito delle novità apportate dal Legislatore con la l. n. 147 del 2013, nonché a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 17-bis, co. 2, d.lgs. n. 546/1992, ha conosciuto una ulteriore e significativa evoluzione che ha condotto ad una sostanziale riformulazione della norma, all'interno della quale sono state senza dubbio introdotte alcune novità di pregio, senza però che siano state risolte tutte le perplessità sorte negli anni precedenti. Rispetto alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 156/2015, il cui art. 9, co. 1, lett. l) ha integralmente "riscritto" il previgente art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, contemplando novità di notevole rilevanza nel dichiarato intento di potenziare l'istituto del reclamo/mediazione e, conseguentemente, di incentivare ulteriormente rispetto al passato la deflazione del contenzioso tributario , l'intervento normativo da ultimo operato con l'art. 10, d.l. 24 aprile 2017, n. 50 (conv. con modificazioni dalla l. 21 giugno 2017, n. 96) ha una portata di certo meno pregnante, seppur degna di approfondimento. A tal riguardo si ricorda, anzitutto, che la novella del 2015 ha confermato l'impostazione adottata in sede di prima revisione dell'art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, senza riproporre l'originaria sanzione dell'inammissibilità del ricorso giurisdizionale in caso di mancata previa proposizione dell'istanza di reclamo e, altresì, ha mantenuto inalterato il limite di valore di ventimila euro. Il novellato art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, ha confermato che il ricorso diviene procedibile solo una volta trascorso il termine di novanta giorni previsto al fine di esperire la procedura amministrativa volta alla composizione della lite; tuttavia, diversamente rispetto alla disposizione precedentemente vigente, questo meccanismo è stato attuato prevedendo che il ricorso, proposto nelle forme di rito, produce anche gli effetti del reclamo, che può contenere una proposta di mediazione, con rideterminazione dell'ammontare della pretesa . Ne consegue che la proposizione dell'impugnazione produce, nelle controversie di valore non superiore (originariamente) a ventimila (attualmente cinquantamila) euro, oltre agli effetti sostanziali e processuali tipici del ricorso, anche quelli del reclamo/mediazione: in concreto, dunque, il procedimento amministrativo in esame è ora introdotto automaticamente con la presentazione del ricorso. Sotto il profilo soggettivo, è inoltre importante sottolineare come la novella del 2015 abbia decisamente esteso l'ambito di applicazione dell'istituto. Infatti, possono oggi ritenersi ricomprese nell'ambito delle controversie reclamabili anche quelle riguardanti tributi di competenza dell'Agenzia delle dogane, dell'Agenzia del territorio, dei Monopoli di Stato, degli Enti locali, nonché quelle di competenza dell'Agente della riscossione e dei Concessionari della riscossione. In queste ultime due eventualità, peraltro, è necessario precisare che, ai sensi dell'art. 17-bis, co. 9, d.lgs. n. 546 del 1992, il reclamo potrà applicarsi solo ove compatibile. Come sottolineato espressamente dalla Relazione illustrativa al Decreto di riforma, "la ratio sottesa all'estensione del reclamo risiede nel principio di economicità dell'azione amministrativa diretta a produrre effetti deflativi del contenzioso, anche alla luce del proficuo abbattimento riscontrato nel contenzioso contro gli atti emessi dall'Agenzia delle entrate". E sempre alla medesima ratio risponde altresì l'estensione del procedimento di reclamo/mediazione ai tributi di competenza comunale o di altri Enti locali. Da ultimo, il già citato art. 10, d.l. 24 aprile 2017, n. 50, ha apportato ulteriori modifiche all'impianto dell'art. 17-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, prevedendo, fra le altre, l'innalzamento del valore delle liti reclamabili da ventimila a cinquantamila euro per tutti gli atti impugnabili notificati a decorrere dal 1° gennaio 2018. Il saggio esamina infine le proposte di modifica degli istituti di reclamo e mediazione.
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LA TASSAZIONE DELLA DIGITAL ECONOMY: PROGETTO BEPS, INIZIATIVE EUROPEE E PROSPETTIVE NAZIONALI
Il recente tentativo, operato dal Legislatore italiano in occasione dell'approvazione della l. 30 dicembre 2018, n. 145 (c.d. 'Legge di Bilancio 2019'), di introdurre nel nostro Paese una «imposta sui servizi digitali», testimonia chiaramente la preoccupazione – condivisa dall'Italia e dalla maggior parte degliordinamenti europei – di individuare quanto prima una soluzione che sia in grado di far fronte alle indesiderate conseguenze cagionate, sotto il profilo fiscale, dall'avvento dell'economia digitale. Ciò nonostante, similmente a quanto già accaduto con riguardo all'imposta sulle transazioni digitali introdotta dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205 (c.d. 'Legge di Bilancio 2018'), nonché, ancora prima, con riferimento alla c.d. 'web tax transitoria' ed all'art. 17 bis, d.p.r. n. 633 del 1972 1, anche la neo-introdotta imposta sui servizi digitali sembra avere mancato il suo obiettivo, non avendo ancora trovato effettiva applicazione neppure a seguito delle più recenti modifiche apportate dalla Legge di Bilancio 2020. Ebbene, l'ultimo (presumibile) fallimento italiano in tema tassazione dell'economia digitale, offre l'occasione di ripercorrere brevemente le iniziative adottate sul tema nel contesto europeo, con particolare attenzione alle recenti conclusioni raggiunte in seno all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (di seguito 'OCSE').
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GLI ASPETTI TRIBUTARI DEL PASSAGGIO GENERAZIONALE DELLE IMPRESE ALLA LUCE DELLA RECENTE PRASSI DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
Il passaggio generazionale rappresenta un momento molto delicato nella vita di un'impresa sia per gli indubbi risvolti psicologici che connotano tale evento sia per le difficoltà che si incontrano nell'individuazione del più adeguato strumento giuridico per attuarlo. Con riferimento a tale ultimo profilo, assume un ruolo centrale l'accurata disamina ex ante di tutti gli aspetti tributari che connotano lo strumento prescelto, al fine di addivenire ad una soluzione che, quanto più aderente alle disposizioni di legge vigenti, nonché ai più recenti orientamenti di prassi e di giurisprudenza, presenti un buon grado di "resistenza" a possibili contestazioni da parte dell'Amministrazione Finanziaria. Ciò posto, nel presente contributo, dopo aver esaminato i più significativi aspetti tributari del passaggio generazionale dell'impresa, soprattutto in relazione agli istituti dell'abuso del diritto ex art. 10 bis, dello Statuto dei diritti del contribuente, e della fattispecie esentativa di cui all'art. 3, comma 4 ter del TUS, si proverà a dimostrare come, in taluni ambiti (come quello in esame), il mancato raggiungimento di un'adeguata certezza del diritto dipenda, in larga parte, dalla "vaghezza" e dalla "astrattezza" delle disposizioni normative attualmente in vigore, ragion per cui, allo stato, nell'attesa di auspicati interventi legislativi ad hoc, non è possibile prescindere dalle indicazioni provenienti dalla prassi amministrativa e dal diritto vivente.
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I PROFILI TRIBUTARI DEL PASSAGGIO GENERAZIONALE DELLE IMPRESE TRA CONDIZIONI DI OBIETTIVA INCERTEZZA INTERPRETATIVA E (PROBABILI) INTERVENTI DI RIFORMA
L'esame della più recente prassi dell'Agenzia delle entrate testimonia un sempre più crescente utilizzo di alcuni articolati strumenti giuridici finalizzati al passaggio generazionale delle imprese, con riferimento ai quali i dubbi interpretativi avanzati dai contribuenti han-no principalmente ad oggetto la verifica della sussistenza delle condizioni per legittima-mente fruire dell'esenzione dall'imposta sulle successioni e donazioni di cui all'art. 3, comma 4-ter, t.u.s. Nonostante le significative aperture dell'Agenzia delle entrate a riconoscere ampliamente la fruizione dell'esenzione in discorso, non vi è chi non si avveda di come il quadro complessivo potrebbe mutare da un momento all'altro, soprattutto all'indomani del monito espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 120 del 23 giugno 2020, che, a ben vedere, getta dense ombre sull'opportunità di mantenere in vita l'agevolazione de qua, per come attualmente strutturata. Non sembra dunque peregrino prevedere che nell'immediato futuro il Legislatore tributario decida di intervenire sull'ambito applicativo della suddetta fattispecie esentativa, laddove condivida il cristallino pensiero della Consulta per cui "risulta (.) eccessivo che anche trasferimenti di grandi aziende, di rami di esse o di quote di società, che possono valere centinaia di milioni o ad-dirittura diversi miliardi di euro, vengano interamente esentati dall'imposta, anche quando i beneficiari sarebbero pienamente in grado di assolvere l'onere fiscale", e decida, pertanto, di riequilibrare le finalità della agevolazione di cui all'art. 3, comma 4-ter, t.u.s., per renderle più coerenti anche rispetto all'art. 41 Cost. e quindi di ripristinare un'agevolazione che sia calibrata rispetto al passaggio generazionale che interessa il mondo delle sole piccole e medie imprese.
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Il passaggio generazionale delle aziende e l'imposizione successoria: dalla Consulta le indicazioni al legislatore per la revisione del (sospettato di incostituzionalità) vigente regime agevolativo
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 120 del 23 giugno 2020, pur respingendo i dubbi di costituzionalità sollevati dal giudice a quo riguardo all'esclusione del coniuge dal regime agevolato previsto per i soli discendenti dall'art. 3, comma 4-ter, TUS, ne ha sollevati altri, ben più gravosi, con riferimento alla legittimità costituzionale dell'intera disciplina agevolativa del tributo.
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LA TASSAZIONE DELLA DIGITAL ECONOMY: EVOLUZIONE DEL DIBATTITO INTERNAZIONALE E PROSPETTIVE NAZIONALI
Le complessità del fenomeno "digital economy" sono molteplici e sottendono forti interessi di natura economica e politica che hanno generato ostacoli ala predisposizione di un sistema di regole che potesse garantire certezza, equità. Il tema della "creazione di valore" rappresenta senz'altro un nodo che pare difficile sciogliere, considerata la sostanziale incertezza che esiste tutt'ora con riguardo a tale concetto. L'auspicata soluzione definitiva che avrebbe dovuto essere raggiunta entro la fine del 2020 non sarà, purtroppo, individuata.
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IL DIRITTO AD UNA BUONA AMMINISTRAZIONE E I PROVVEDIMENTI CAUTELARI
Nel presente contributo si esamineranno, anche alla luce della giurisprudenza nazionale ed europea, le norme di diritto nazionale che regolamentano, sia da un punto di vista sostanziale sia da un punto di vista procedimentale, i provvedimenti cautelari che l'Amministrazione finanziaria può adottare al fine di tutelare le ragioni del proprio credito nei confronti dei contribuenti destinatari di atti impo-esattivi. Più in particolare, si cercherà di offrire un inquadramento sistematico, da un lato, delle misure cautelari dell'ente impositore, ossia degli istituti dell'ipoteca e del sequestro conservativo ex art. 22, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (d'ora in avanti, per brevità, d.lgs. n. 472 del 1997), nonché dell'istituto della sospensione dei rimborsi ex art. 23, d.lgs. n. 472 del 1997; dall'altro lato, si esamineranno le misure "cautelari" dell'agente della riscossione, ossia gli istituti del fermo amministrativo di beni mobili registrati di cui all'art. 86, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (d'ora in avanti, per brevità, D.P.R. n. 602 del 1972), e dell'ipoteca esattoriale di cui all'art. 77, D.P.R. n. 602 del 1973. Con riferimento ad entrambi i menzionati ambiti di indagine, si approfondiranno, nello specifico, le garanzie procedimentali riconosciute dall'ordinamento tributario al contribuente destinatario dei suddetti provvedimenti ablativi/limitativi dei propri diritti proprietari. Trattandosi, per l'appunto, di provvedimenti che, in qualche modo, comprimono ovvero limitano i diritti proprietari dei contribuenti, le considerazioni che seguiranno saranno svolte tenendo ben presente come le garanzie procedimentali approntate dal Legislatore nazionale si ispirano, oltre che ai principi sanciti negli artt. 24 (diritto di difesa) e 97 (buon andamento e imparzialità della P.A.) della Costituzione, anche a taluni principi cardine dell'ordinamento euro – unitario, affermati segnatamente: i) nell'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), il quale, pur consentendo agli Stati membri di comprimere il diritto di proprietà dei cittadini per "(…) porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie (…) per assicurare il pagamento delle imposte (…)", impone, in ogni caso, il rispetto del principio di proporzionalità rispetto alle finalità perseguite da eventuali misure compressive o limitative del predetto diritto di proprietà; ii) nell'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (anche nota come "Carta di Nizza"), il quale definisce i contenuti del diritto ad una buona amministrazione; iii) negli artt. 47 e 48 della citata Carta dei diritti fondamentali, che garantiscono il rispetto dei diritti di difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale.
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IL PRIMATO DEL DIRITTO EUROPEO NELLA PRASSI AMMINISTRATIVA DELLE AUTORITÀ TRIBUTARIE ITALIANE
In linea generale, il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (breviter, "TFUE") non attribuisce competenze dirette all'Unione Europea in materia di imposizione diretta, ma soltanto in relazione alle imposte indirette . E' tuttavia noto che anche le imposte dirette possono ostacolare l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dai Trattati ed il funzionamento del mercato interno favorendo o meno certi tipi di investimenti e certi soggetti in base alle loro caratteristiche. E' quindi evidente l'esigenza di ridurre in ambito europeo le barriere fiscali anche nel campo dell'imposizione diretta. Questa esigenza, naturalmente, si scontra con l'esistenza di singoli sistemi fiscali indipendenti, con la conseguente necessità di individuare un compromesso tra le ragioni del mercato interno e quelle degli Stati membri. L'armonizzazione fiscale in ambito europeo è peraltro fondata, oltre che sulla disciplina positiva recata da strumenti normativi di diritto euro-unitario derivato (i.e., direttive e regolamenti) , anche sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia (d'ora in avanti anche "CGUE") che è chiamata a pronunciarsi secondo il meccanismo del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sulla compatibilità delle disposizioni fiscali nazionali più varie con i principi del diritto euro-unitario contenuti nel Trattato (c.d. diritto euro-unitario primario). A questo riguardo è importante ricordare che le sentenze della Corte di Giustizia vincolano l'interpretazione dei giudici nazionali e che nella sentenza Traghetti del Mediterraneo la Corte di Giustizia ha affermato la responsabilità civile dello Stato membro le cui autorità giudiziarie avevano emesso una decisione in contrasto con il diritto euro-unitario. Il processo di armonizzazione ed integrazione dei sistemi fiscali a livello euro-unitario per mezzo di direttive e regolamenti, quindi, è talvolta descritto come integrazione positiva, in contrapposizione alla c.d. integrazione negativa attuata dalla Corte di Giustizia che appunto "rimuove" gli ostacoli al funzionamento del mercato interno, dichiarando talune disposizioni nazionali incompatibili con il diritto euro-unitario . Ciò posto, la regola del primato del diritto dell'Unione sul diritto interno rinviene le proprie basi giuridiche nei Trattati ed in alcune disposizioni costituzionali, e segnatamente: i) nell'art. 4 par. 3, del TUE, a mente del quale: «In virtù del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. […] Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione»; ii) nell'art. 11 Cost., secondo il quale: «l'Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo»; iii) nell'art. 117, co. 1, Cost., in base al quale: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
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L'evoluzione normativa in tema di CFC e di tassazione dei dividendi e delle plusvalenze provenienti da regimi fiscali privilegiati
Negli ultimi anni si è progressivamente avvertita l'esigenza, sia a livello internazionale sia a livello europeo, di stabilire norme per rafforzare il livello minimo di protezione avverso fenomeni elusivi realizzati attraverso schemi di pianificazione fiscale aggressiva trans-nazionale. Tali obiettivi politici sono stati tradotti sia in raccomandazioni di azioni concrete nel quadro dell'iniziativa contro l'erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (c.d. "BEPS") promossa dall'OCSE sia in specifici interventi normativi dell'Unione Europea. In questo senso, assume un rilievo centrale la Direttiva 2016/1164 del Consiglio del 12 luglio 2016 (c.d. "ATAD 1"), come modificata dalla Direttiva 2017/952 del Consiglio del 29 maggio 2017 (c.d. "ATAD 2"), entrambe recepite nell'ordinamento domestico dal d.lgs. 29 novembre 2018, n. 142, il quale, tra le altre, apporta significative modifiche alla disciplina CFC e al regime di imponibilità dei dividendi e delle plusvalenze derivanti da regimi fiscali privilegiati. L'obiettivo del presente contributo è quello di esaminare in chiave evolutiva le novità legislative che hanno interessato la disciplina CFC e il regime di tassazione dei dividendi e delle plusvalenze derivanti da Paesi a fiscalità privilegiata, prestando particolare attenzione alle recenti novità contenute nel d.lgs. n. 142 del 2018, entrato in vigore a decorrere dal 12 gennaio 2019.
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