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Arte, socialità, rivoluzione. «Il Rosai», Firenze, luglio 1930/Art, sociality, revolution. «Il Rosai», Florence, July 1930
Pubblicato nel luglio del 1930 come "numero zero" di una rivista destinata a non vedere la luce, «Il Rosai» è un documento tra i più importanti di quello che oggi chiamiamo fascismo-movimento. Vi collaborano tra gli altri, raccolti dall'ammirazione per il pittore fiorentino di cui porta il nome, Ottone Rosai appunto, Berto Ricci, "superfascista" che di lì a poco concepirà «L'Universale» come prosecuzione diretta de «Il Rosai»; Dino Garrone, scrittore e polemista tra i più brillanti della sua generazione e Edoardo Persico, cattolico integrale e antifascista, vicino tuttavia agli altri redattori nel proposito di riforma antiborghese dell'Italia di allora. «Il Rosai» è un incunabolo di quell'interventismo della cultura di cui ha scritto a lungo Luisa Mangoni; e insieme raccoglie urgenze e inquietudini che spingeranno in seguito al lungo viaggio. Ne «Il Rosai» riconosciamo anche, ai suoi inizi, un tratto di lungo periodo della storia culturale italiana del Novecento, vale a dire l'investitura insieme religiosa e civile di un artista o gruppo di artisti. Sotto questo profilo il significato storicodell'opuscolo si estende ben oltre il tempo della sua pubblicazione. Mentre autorizza a dubitare della legittimità della categoria storico-politica del "fascismo di sinistra", «Il Rosai» prefigura l'intreccio tra arte e politica che costituisce forse il più rilevante trait- d'union tra leavanguardie artistiche italiane degli anni Trenta e le avanguardie postbelliche, Arte povera inclusa, malgrado il profondo mutamento dicontesti geopolitici e ideologie.Published in July 1930 as the trial issue of a magazine to come, «Il Rosai» is a higly relevant document of what we call fascismo-movimento. Collaborate on «Il Rosai» Berto Ricci, "superfascist" and mystic of the national revolution; Dino Garrone, even "superfascist", writer and journalist, close to D'Annunzio and Malaparte; Gioacchino Contri, editor in chief of the florentine fascist magazine Il Bargello; and Edoardo Persico, catholic and anti- fascist, grown-up with Piero Gobetti between Neaples and Turin. They were gathered by the admiration for Ottone Rosai (1895-1957), the Florentine painter that gives the pamphlet its name, First World War ardito, patriot and fascist. «Il Rosai» is a sort of incunabulum of juvenile cultural dissent against Mussolini's regime: as such, it anticipates future anxieties and explores topics we find again associated with artistic or cultural moviments of the late Thirties|early Fourties, as Corrente di vita giovanile, if not later (as for example Arte povera). A closer analysis of «Il Rosai» pushes also, both on historical and ideologicalevels, to critically discuss the notion of «Left-Wing Fascism» and to ask if, and when, we can make a proper use of it. Politically distant as they are, Ricci and Garrone, Persico and Contri demand a major public role of the artist, whose duty, in their opinion, is to be a sort of political «saint» or|and a social hero, brave, selfless, sincere. Pushed pretty beyond its aesthetical limits in a way we can legitimatelybeware, art presents itself in «Il Rosai» as the most effective surrogate of politics.
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Religioni politiche. La storia dell'arte alla prova degli studi su fascismo, antifascismo e Resistenza / Political religions. History of art to the test of studies on fascism, anti-fascism and Resistenza
Si è talvolta osservato che gli studi di De Felice toccano in molti punti la storia dell'arte. Per ampiezza e dettaglio essi costituiscono in effetti una risorsa che sembrerebbe ineludibile. Tuttavia, malgrado questo loro spiccato tratto transdisciplinare, non si può dire che essi siano diventati lettura corrente per gli storici figurativi. Non lo sono diventati per motivi molteplici, di volta in volta tecnico-specialistici o politico-ideologici. La tesi che cerco di formulare è che la riflessione di De Felice sui temi del «consenso» e della «nazione» contiene spunti, indicazioni e prospettive di notevole interesse non solo per gli storici politici e sociali, ma anche per gli storici dell'arte italiana del primo e (forse ancor più) del secondo Novecento, ambito di studi, quest'ultimo, che appare modellato in profondità, in ambito nazionale e internazionale, da rigidità e distorsioni ideologiche. Essa induce infatti, per tenersi adesso a aspetti generali e di metodo, a interrogarsi sulla fondatezza o fecondità di taluni presupposti ideologici, diffusi tanto nel discorso storico-critico di estrazione accademica che nel discorso giornalistico e curatoriale; e a dare corso all'indagine sulle continuità esistenti tra le due metà del Novecento anche qualora questo si traduca in una ricostruzione meno conciliata e pacifica del progressivo inserimento dell'arte italiana postbellica nel contesto atlantico. It has been widely recognised De Felice's political historiography crosses art history in many points. In spite of this transdisciplinary relevance, it didn't become a customary resource for art historians because of political reasons or technical reasons. My thesis here is that De Felice's reflexion on such themes as «consensus» or «nation» is important not only for political|social historians, but even for art historians engaged in detecting complex continuities between the first half and the second half of xxth century in Italy and refusing both interpretative ready-madesand retrospective ideological distorsions. If we shift historical perspective or change paradigm, we'll find gradual insertion of Italian late Modernism in the new euro-atlantic artistical|cultural context born out of Second World War is much less obvious and immediate than usually assumed by contemporary narratives about Spazialismo, «monocromo» or Arte Povera.
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