Codeterminare senza controllare: la via futura delle assemblee elettive regionali
In: Collana del Dipartimento di scienze giuridiche dell'Università degli studi di Brescia
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In: Quaderni brevi del Dipartimento di Scienze Giuridiche 4
La legge 15 marzo 2017, n. 33 ed il decreto legislativo attuativo n. 147 del 2017, dando seguito, a ben diciassette anni di distanza, all'art. 22, c. 2, lett. a), della legge n. 328 del 2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) che contempla, tra i livelli essenziali delle prestazioni (art. 2, c. 2), le "misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompagnamento", hanno introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento e con decorso dal primo gennaio 2018, il Reddito di Inclusione (ReI), costituito da una componente economica ed una di servizi (in cash and in kind benefits). Facendo seguito alla ricostruzione della portata complessiva e dell'iter dell'intervento normativo, sono stati isolati alcuni profili di particolare "impatto" costituzionale: da un lato, profili classici, relativi all'intersecarsi dell'intervento uniformatore nazionale con le competenze regionali ed alla connessa questione sostanziale relativa alla complessa tematica dei diritti sociali; dall'altro lato, profili di maggiore attualità, che vertono sul trinomio "universalità-selettività-condizionalità" nell'ambito dell'ampio dibattito intorno ai concetti di reddito minimo, reddito di base, reddito di cittadinanza, nonché relativi al binomio cittadinanza-residenza ai fini dell'accesso al beneficio ed alla titolarità individuale o meno del medesimo. Infine, non di minore impatto costituzionale è l'effettività dell'intervento normativo in termini (negativi) di riduzione delle disuguaglianza e (positivi) di promozione del pieno sviluppo della persona. Allo scopo è sembrato di poter individuare una lacuna nel difetto di inclusione dell'attività amministrativa di monitoraggio del ReI tra i livelli essenziali, in quanto strumentale, sia per il profilo oggettivo che soggettivo, alla concreta realizzazione del diritto fondamentale ad una esistenza libera e dignitosa
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Quale che sia l'opinione in merito alle teorie economiche dominanti in Europa sembra indubbio che le dinamiche del mercato unico e della governance economica abbiano inciso sul "modello sociale europeo" con ricadute sui diritti sociali nazionali. Ciò si è reso tanto più evidente in seno all'UEM dove, oltre alla moneta unica, vige un sistema rafforzato di sanzioni e di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio. Sulla base di questo scenario, il "dialogo tra le Corti", che pure tanto ha fatto nella tutela multilivello dei diritti, ha poco o punto funzionato, non essendo – finora – riuscito a rinvenire adeguati ed efficaci strumenti di "contenimento" delle prioritarie finalità economico-finanziarie e dell'impatto sociale delle connesse misure rigoriste. Le Corti costituzionali nazionali si sono pertanto trovate sole, con l'imbarazzo di "bilanciare" grandezze economiche e fondamentali diritti sociali. Finalmente, però, qualcosa sembra si stia muovendo in seno all'UEM dove, soprattutto a partire dal 2015, la «social fairness» dei processi di governance economica ed un «european pillar of social rights» stanno divenendo le parole d'ordine di una nuova fase di "maturazione" tecnico-politica. L'obiettivo, messo in atto da recenti iniziative della Commissione, mira ad andare oltre il MAC, per integrare la dimensione sociale nel cuore dei processi di governance economica e riequilibrarne la posizione "deteriore" rispetto ai prevalenti valori "economicisti".
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La clausola di supremazia, inserita dalla riforma costituzionale nell'art. 117, c. 4, Cost. si pone sul crinale della certezza/incertezza giuridica. Da un lato, risolve i dubbi che l'art. 120, c. 2, Cost. ha fatto sorgere; dall'altro lato, però, attraverso il riferimento all'interesse nazionale, introduce alcune "criticità di sistema", sia in ragione dell'elasticità della clausola che nel suo collegamento sistematico con il riparto competenziale Stato-Regioni. La rassegna della giurisprudenza costituzionale dimostra peraltro l'immanenza all'ordinamento delle istanze unitarie: l'interesse nazionale, infatti, sotto le mentite spoglie di una "creativa" elaborazione "criteriologica" (sussidiarietà, continuità normativa, eccezionalità, prevalenza) o di una interpretazione estensiva dei titoli di competenza (materie trasversali, materie non materie) ha nella sostanza sempre rappresentato, anche successivamente alla riforma del 2001, la base di legittimazione di interventi legislativi statali "usurpativi" di competenze regionali. Nelle conclusioni dello scritto si pone quindi in evidenza come il patrimonio giurisprudenziale di "allora", accumulato nel corso degli anni, potrebbe tornare di utilità "ora" nella definizione dei confini entro i quali la clausola di supremazia è chiamata ad operare.
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E' generalmente riconosciuto, in dottrina, che lo studio della forma di governo così come del ruolo e delle funzioni del Presidente della Repubblica non può essere limitato all'analisi, pure indispensabile ed imprescindibile punto di partenza, delle disposizioni positive (regole), dovendo essere arricchito con le prassi, consuetudini e convenzioni che si sono venute consolidando nel tempo (le c.d. regolarità), in un rapporto di reciproca – ineliminabile – implicazione. La laconicità e – conseguente – flessibilità delle disposizioni costituzionali sul Capo dello Stato ha reso quanto mai evidente il peso e l'importanza di tali dati fattuali. Partendo da questa premessa e dalla catalogazione delle funzioni presidenziali che inserisce quelle relative alla gestione delle crisi di governo (in particolare la formazione di un nuovo Esecutivo in corso di legislatura e lo scioglimento anticipato delle Camere) nel novero dei poteri di intermediazione politica e, giunto ormai al termine il settennato del Presidente Napolitano, si è cercato di tracciare un bilancio dell'esercizio di tali poteri da parte di quest'ultimo. Analizzandone la prassi è emerso un chiaro filo conduttore. In particolare, la maieutica presidenziale nel recuperare l'incancrenito sistema politico italiano per condurlo sul binario di una più matura democrazia dell'alternanza ha attraversato coerentemente sia le "parole" (rectius, esternazioni) pronunciate sin dal discorso di insediamento e tradotte plasticamente nell'impegno profuso per la celebrazione del 150° anniversario dall'Unità d'Italia, che gli "atti" adottati dal Presidente, con particolare riguardo a quelli che rivestono – appunto – una maggiore pregnanza politica in quanto sollecitati durante i periodi di crisi di sistema. In un crescendo di incisività e fermezza, il Presidente Napolitano ha pedagogicamente accompagnato il cammino delle forze politiche invitandole ad abbandonare l'eccesso di faziosità e partigianeria in vista dell'interesse generale. Le ha esercitate alla coesione nazionale incalzandole nell'approvazione rapida e congiunta (sotto sua stretta sorveglianza) dei provvedimenti di riforma economico-finanziaria richiesti dall'Unione europea per recuperare credibilità ed affidabilità al nostro Paese sul piano internazionale (basti ricordare quanto accaduto durante estate ed autunno del 2011). Le ha, infine, «operosamente» coadiuvate nella formazione di un'esperienza governativa più inclusiva, dando vita all'Esecutivo guidato dal Prof. Mario Monti. Ha, tuttavia, dovuto prendere atto «con rammarico» dell'incapacità del sistema politico italiano a compiere il necessario «salto di qualità», procedendo «suo malgrado» allo scioglimento anticipato del Parlamento senza che neppure fosse stato trovato un accordo sull'ormai annoso dibattito della riforma elettorale, quale suggello dell'insanabile, accesa contrapposizione e delegittimazione tra le forze politiche. Con ogni biasimo verso un sistema politico-partitico italiano a tal punto malato, resta comunque aperto un interrogativo, reso tanto più evidente dal «senno del poi» suscitato dall'esito elettorale del febbraio 2013: come sarebbe spontaneamente evoluto tale sistema politico senza il costante e serrato paracadute tutorio aperto dal Presidente Napolitano con l'esperienza del Governo Monti? Ed ancora, riprendendo l'insegnamento di Rescigno, il Presidente Napolitano si è comportato come arbitro che lascia alle forze politiche il gioco della partita o ha contribuito a determinarne il risultato?
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Il contributo esamina l'ulteriore metamorfosi dell'istituto del decreto-legge nell'ambito del nostro sistema delle fonti con l'avvento del Governo presieduto dal prof. Mario Monti . Una parabola evolutiva che, nel primo semestre del 2012, si è snodata tra le opposte spinte di due distinti "poli istituzionali": da un lato quello degli organi contitolari dell'indirizzo politico, il Governo ed il Parlamento, mentre dall'altro quello costituito dagli organi preposti alla garanzia della legalità costituzionale, vale a dire la Presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale. Il saggio analizza quei decreti-legge del Governo Monti che hanno toccato in modo decisamente penetrante ampi settori dell'ordinamento giuridico, precedentemente gestiti dal solo legislatore, utilizzando delle tecniche normative quanto meno "inedite".
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