L'intreccio di trasformazioni che tra Otto e Novecento cambia il volto dell'Europa fa da sfondo a uno dei momenti più alti della storia della cultura giuridica. Un comune afflato sembra ispirare gli indirizzi che in Italia, Francia e Germania sollecitano un rinnovamento del metodo e un ripensamento della stessa nozione di diritto. Le fibrillazioni della «Scuola sociale del diritto», già attiva in Italia negli anni Ottanta, incrociavano le inquietudini del "rinascimento giuridico" francese e le provocazioni del gius-liberismo tedesco, sovrapponendosi le une alle altre, percorrendo itinerarii contigui, attingendo a un patrimonio scientifico comune. Le componenti eterodosse della cultura giuridica condividevano il disagio verso ogni forma d'immobilismo, l'insofferenza per un quadro "assolutizzato" dalla fonte legislativa, la critica verso un diritto improntato all'individualismo. Instauravano dei«dialoghi a distanza», non perché tra luoghi geograficamente lontani, ma perché in buona parte maturati senza la piena consapevolezza dei protagonisti. ; The significant transformations that took place in Europe during the end of the 19th and the beginning of the 20th century provided the background for one of the most intense periods in the history of the legal culture. The legal movements which in Italy, France and Germany led to changes in the concept and in the method of law seemed to be inspired by a common mood. The energies of the Italian «Social School of Law» crossed the apprehensions of the French judicial "renaissance" and the challenges of the German «Freirechtsbewegung», entwining one with the other, following congruent paths, drawing from the same scientific believes. The non-orthodox elements of the European legal culture shared a common intolerance towards paralysis, a system of legal sources monopolyzed by the statute-law and a law shaped around individualism. They established «dialogues in parallel», for the most part independently of each other.
Negli anni Cinquanta del Novecento, la cultura giuridica europea convergeva su un terreno comune, avvitata intorno ad una questione cruciale, come paralizzata di fronte alla cosiddetta «crisi del diritto». Più che dal quadro politico, reso instabile da residue questioni irredentiste, da focolai di nazionalismo, dagli effetti della decolonizzazione, dalla tensione tra blocchi ideologici, lo sconforto e lo scetticismo derivavano dall'«immane crisi storica dell'umanità, rivelata dalle guerre mondiali» (Vittorio Emanuele Orlando), dal ricordo di quei regimi che, fra gli anni Venti e Quaranta, avevano abdicato ai princìpi dell'umana convivenza, calpestando, in nome di un cieco monismo, ogni forma di pluralismo. Dietro formule catastrofiche o catastrofiste, come «crisi» o «morte del diritto», si nascondeva quindi la crisi di uno specifico tipo storico di Stato, contro il quale si andavano via via appuntando le critiche. Le radici della crisi si annidavano nell'idea che il diritto potesse ridursi ad unità, nell'incapacità, tipica del modello liberale, di rilevare, rispettare e valorizzare la complessità sociale, il pluralismo ordinamentale, la pluralità di fonti. In crisi non era, né mai era stato, il diritto, ma la pretesa di ricondurre le sue manifestazioni concrete ad un monismo assolutizzante, che dallo Stato liberale, con la sua idea della legge quale espressione della volontà statuale, era confluita, sotto forme e con esiti diversi, nello Stato fascista e in quello nazionalsocialista. Lo Stato costituzionale di diritto avrebbe rappresentato la grande occasione per coniugare la certezza di una costituzione rigida e la concretezza di una società pluralistica, la determinatezza di norme certe e la storicità di un diritto ragionevole.
Negli stessi anni in cui la giuspubblicistica tedesca metteva a punto in chiave monistica la nozione di Rechtsstaat, la società si andava risistemando secondo moduli organizzativi e statuti complessi, rinnovando il suo carico di contraddizioni, differenziazioni, spinte aggregative e tendenze autonomistiche. La rassicurante immagine di uno Stato-persona in grado di neutralizzare mediante il suo diritto le tendenze centrifughe e di dissolvere nella sua unità politica le particolarità frazionali strideva con l'articolazione complessa e pluralistica della società industriale, con una realtà che non era formata da individui astratti, eguali e indifferenziati, ma da soggetti concreti, diseguali e differenti. Tra fine Ottocento e primo Novecento un insieme di teorie ispirate al pluralismo, al comunitarismo e all'istituzionalismo, dava voce all'esigenza di individuare giuridicamente la relazione tra Stato e corpi sociali, frantumando il monismo statualistico e restituendo pluralità al quadro delle fonti, fino a denunciare, secondo la celebre formula di Santi Romano, «una specie di crisi nello Stato moderno». La tentazione di un'unità semplificante, ora all'insegna del sistema normativo, ora dello Stato, ora del diritto popolare, si sarebbe tuttavia perpetuata, a livello teorico e costituzionale, in molte delle soluzioni elaborate nell'Europa continentale della prima metà del Novecento.
Dal primo Ottocento le dinamiche organizzative della produzione industriale proiettano l'impresa al cuore del sistema economico. La sua naturale vocazione a comporre in un'organizzazione unitaria gli elementi personali e patrimoniali della produzione ne fa il paradigma ideale di un modello economico-sociale fondato sulla complessità degli apporti, sulla pluralità dei contatti, sull'equilibrio degli interessi collettivi. Alla centralità assunta nella sfera economica, tuttavia, non corrisponde un'eguale considerazione dell'impresa sul piano giuridico. Il Code de commerce del 1807 disegna un diritto a misura d'individuo, segue le logiche semplici ed unilineari del nuovo ordine, votandosi allo scambio, alla circolazione della proprietà, all'intromissione e alla speculazione, senza nessuna concessione alla dimensione collettiva, ad una considerazione complessa del fenomeno imprenditoriale. «Commerçant» e «actes de commerce» rappresentano i due riferimenti, soggettivo ed oggettivo, di un impianto atomistico e molecolare, nel quale i secondi, elencati dal legislatore in un'analitica enumerazione, rivestono fin dal principio una posizione pregiudiziale. L'«entreprise», in questa cornice, non è l'organizzazione unitaria di capitale e lavoro, ma la pluralità di quegli «actes de commerce» per i quali il legislatore non reputa sufficiente una singola, isolata manifestazione. Nel 1900, a tre anni dalla sua approvazione, entra in vigore nella Germania guglielmina il nuovo Codice di commercio (HGB), con il quale, per la prima volta, il segno di riconoscimento della commercialità diventa l'esercizio di un'attività in forma commerciale, talché sarebbero stati commerciali tutti gli atti e i rapporti di ogni «Unternehmen» che avesse operato nel mercato commercialmente, cioè secondo le forme, le dimensioni e le logiche proprie di un'organizzazione imprenditoriale. Cominciava, nella dottrina austro-tedesca, un itinerario riflessivo volto a rappresentare l'assetto produttivo del capitalismo industriale non più secondo le logiche dell'individuo e degli atti di commercio, ma sulla base della nozione economica di «Unternehmen», di quel paradigma collettivo e complesso che designava, al di fuori di ogni chiave di lettura semplice, atomistica e individualistica, l'organizzazione unitaria di persone, competenze, energie e beni, materiali e immateriali, dai rapporti giuridici agli immobili, dal lavoro ai segreti di fabbrica, dai contratti alle macchine, dai diritti alle obbligazioni, dalla reputazione all'avviamento, riuniti e assemblati per il perseguimento del medesimo scopo economico. ; The development of industrial capitalism, since the early 19th Century, projects the enterprise, with its capacity to settle in an embracing organization the personal and patrimonial elements of the production, into the centre of the economic system. Something different happens in the legal sphere. The French Code de commerce of 1807, addressed to influence the European legal culture throughout two centuries, follows the individualistic and simple logics of the new order, not considering the complex and collective side of the entrepreneurial organization. In 1900 comes into effect in Germany the new commercial Code (HGB), according to which the caracteristic feature of commerciality becomes the management of a business by means of an organized structure. It could start, in the Austrian-German legal science, a theoretical itinerary focused on «Unternehmen», on that complex paradigm which would have been, out of every simple and atomistic perspective, congenial to the business law of the 20th Century. ; Desde el principio del siglo XIX las dinámicas organizatorias del capitalismo industrial proyectan la empresa al centro del sistema económico. A la centralidad adquirida en la esfera económica, sin embargo, no corresponde una equivalente consideración en la esfera jurídica. El Code de commerce francés de 1807, destinado a influenciar la cultura jurídica europea a lo largo de dos siglos, diseña un derecho a medida del individuo, sigue las lógicas simplificadoras del nuevo orden, dedicándose al cambio y a la circulación, sin ninguna concesión a la dimensión colectiva y compleja del fenómeno empresarial. Con la entrada en vigor, en 1900, del nuevo Código de comercio alemán (HGB), el principal signo de reconocimiento del carácter mercantil llega a ser la forma organizada del sujeto, punto de partida de un itinerario teórico a través del cual la doctrina austroalemana acoge en el plan jurídico el concepto de «Unternehmen», paradigma funcional para el nuevo derecho de la empresa del siglo XX.
La voce, pubblicata nell'ottava appendice dell'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti della Treccani, ricostruisce il processo attraverso il quale la nozione d'impresa si afferma in seno alla cultura giuridica italiana, in un quadro di respiro europeo, segnato da due momenti cruciali: l'emanazione, nel 1807, del Code de commerce francese, imperniato sulla dialettica tra commerciante e atti di commercio, e l'entrata in vigore, nel 1900, del Codice di commercio tedesco (HGB), seguìto dalla risolutiva elaborazione, da parte della dottrina, del concetto di «Unternehmen». Il confronto, talvolta scomodo, col piano economico, interessato dalle profonde trasformazioni generate dalla Rivoluzione industriale, rappresenta il filo conduttore di una vicenda caratterizzata dal continuo intrecciarsi di diritto ed economia, con quest'ultima, nel corso dell'Ottocento, sempre più a suo agio nelle logiche del capitalismo industriale, ed il primo a lungo in ritardo, "vittima" per un verso di una politica legislativa votata all'individualismo dominicale, dall'altro di una scienza giuridica impegnata in esercitazioni esegetiche, inizialmente poco attenta alle istanze dell'ordine economico. L'adozione di un impianto normativo imperniato sull'impresa avrebbe costituito una «svolta storica del diritto commerciale» (Asquini), giunta in Italia con il Codice civile unificato del 1942 all'esito di un itinerario riflessivo legato a doppio filo con l'esperienza francese e con quella tedesca.
Dai primi anni del Novecento, senza una precisa definizione legislativa, senza un tessuto normativo coerente ed univoco, la scienza giuridica austro-tedesca ripensò in profondità la nuova realtà economico-sociale dell'Europa industriale, scoprendo e giuridicamente rappresentando, in tempo di «individualismo atomizzante», la dimensione collettiva ed organizzativa del fenomeno imprenditoriale. Il diritto patrimoniale, fino ad allora terreno privilegiato della proprietà, si impregnava di diritto dell'economia, con al centro l'«Unternehmen», quale paradigma collettivo e complesso che, secondo il messaggio divulgato da Ohmeyer, Pisko, Müller-Erzbach, Isay, Geller, ripudiava ogni chiave di lettura semplice, atomistica, individualistica. Lungo un itinerario tracciato da più generazioni di giuristi, dall'emanazione del Codice di commercio tedesco del 1897 fino agli anni Quaranta del Novecento, i protagonisti di quest'avventura scientifica, valorizzando il ruolo attivo dell'interprete ed assumendo il piano economico a punto di partenza dell'analisi giuridica, rilevarono la centralità, nel diritto dell'economia capitalistica, dell'unità organizzativa imprenditoriale, ribaltarono l'impianto e il criterio di applicazione del diritto commerciale, prospettarono, infine, la necessità di un diritto d'impresa, gettando nuova luce sulla disciplina della cessione d'azienda, della concorrenza sleale, dei segni distintivi, delle invenzioni industriali, del fallimento.
This paper presents a novel conceptual framework for assessing design research projects. Present-day design research is typified by projects, which traverse disciplinary, methodological, and conceptual boundaries that often have wide-ranging social, cultural, and economic impact to industry, government bodies, and the wider public. Given design's application in addressing serious issues ranging from antimicrobial resistance to mobility, from ageing to migration it can be difficult to understand and unpick the exact nature and scale of design research and the roles that design researchers and designing (both processes and outcomes) play. The design research conceptual framework has been developed as a communicative tool for illustrating levels of design involvement in a project. The paper highlights the design input involved in current design research and provides a comparative measure of design's role in a wide range of projects that fall under the umbrella term of "design research" in the UK.