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IntroduzioneIl dibattito sulle riforme istituzionali, dopo molti anni di andamento "carsico" con improvvise emersioni ed altrettanto rapide scomparse, sembra avere trovato con le campagne referendarie del Comitato promosso dall'on. Segni la via maestra per giungere ad un qualche sbocco. I promotori del referendum si propongono di modificare i sistemi elettorali in senso maggioritario con il triplice obiettivo di aumentare la governabilità, sottraendo la scelta dei governi al gioco dei partiti e rimettendone la formazione a forme più dirette di investitura popolare; favorire un più diretto rapporto tra eletti ed elettori; e migliorare la qualità della classe politica. Un evidente filo rosso lega questi obiettivi: la convinzione che ilparty governmentabbia fatto il suo tempo e che la nostra società richieda una democrazia meno mediata. Le concrete alternative sollevate nel dibattito e dai quesiti referendari sottendono dunque questioni più ampie, cui non possiamo dedicarci nel breve spazio di questorejoinder, e cui accenniamo solo per sottolineare che esse non potevano non destare l'attenzione di uno studioso che, come Sartori, ha fatto nella democrazia, e dei partiti e sistemi di partito, il focus principale dei suoi interessi. Nell'esaminare il saggio di Sartori va dunque innanzitutto detto che il suo è un contributo non solo estremamente topico, ma anche che discende direttamente da molte sue affermazioni teoriche.

IntroduzioneAnticipato molti anni or sono dall'acume cntico di alcuni isolati studiosi, a lungo confinato in una cultura politica a ragione o a torto considerata di «destra», adombrato piò volte nel corso degli anni sessanta e settanta, ed esploso finalmente sul finire dell'ottava legislatura, il dibattito sulle riforme istituzionali è ormai non solo un argomento trattato da riviste specializzate o in convegni specialistici, ma è diventato anche uno dei temi dominanti di questa nona legislatura.

ABSTRACTThe inadequate results and the lack of progress of all attempts at measuring power are primarily due to two factors: 1) the tendency to focus on a single dimension of the measurement problem, that is, either on the intensity of power in interpersonal relations, or on the distribution of power within a given social system, failing to link these two aspects; and 2) the inadequacy of community power studies to provide comprehensive models, and the continuing stubborn tendency to conceive measurement in strict, quantitative terms, failing to recognize the value of other less exact forms of measurement. The two problems of the intensity of power in interpersonal relations and of its systemic distribution may be tackled simultaneously by representing the actual impact and behaviour of power in a given system rather than measuring it quantitatively. This is done by means of a graphic, curvilinear representation of the power process, which allows the identification of different "phases", where power has a substantially different nature (authority, influence, force), elicits different responses (obedience, passive resistance, submission), and results in different power relations (anarchy, legitimacy, bargaining, coercion). The curve bears considerable resemblance to the heuristic instruments of classical economics, and – though it is not without limitations – it offers substantial advantages, particulary its capacity to provide an instrument for comparing the power process in different political systems.