Suchergebnisse
Filter
9 Ergebnisse
Sortierung:
Mussolini's Mobilities
In: Journal of migration history, Band 1, Heft 1, S. 100-120
ISSN: 2351-9924
This article taps into a growing literature interested in the multifold relations between sending-states and their migrants who have settled in foreign countries. Specifically, it considers circular and transnational (symbolic and concrete) mobility that Mussolini's Italy put in motion towards, and including, its communities of emigrants. The dictator sought to use migrants as lobbies and incorporate them in a totalitarian building-state project in Italy. With the objective of reinforcing ties with the communities themselves and obtaining their consent, the fascist regime established an outflow of propagandistic materials and a network of travellers who were entrusted to export a 'visual presence' of the homeland outside of Italy. At the same time, Rome encouraged ethnic Italians to undertake root-tourism in Italy to observe the supposed 'achievements' accomplished by the regime in the homeland. After the proclamation of the Italian empire in 1936, fascism elevated its tone and by the outbreak of the Second World War the regime sought the repatriation of Italians settled abroad. Yet this project failed because of the unwillingness of migrants to betray their host countries and favour the imperialist designs of the Italian dictator.
Italian Migrants in Italian Exhibitions from Fascism to the Early Republic
Between the 1880s and the outbreak of WWI, Italy experienced an outflow of 13 million migrants who settled in particular in Europe and the Americas. This movement started a couple of decades after the national unification of the country in 1861. In addition, from the late 1800s Italy became a colonial power through penetration into the Horn of Africa and later a full annexation of Eritrea and Somalia, Libya in 1912, and Ethiopia in 1936, the year of proclamation of Mussolini's empire. From the time of national unity onwards, Italy became part of an international scenario in which the European powers and the United States organised their own national exhibitions, or took part in international fairs where national pavilions raced to affirm each country's particular economic and nationalist achievements. Late 1800 Italian exhibitions proved to instill a sense of national belonging that was traditionally lacking in the Italian population since Italy had always functioned as a collection of small- to medium-size states. A small number of scholars has studied how Italian migration has been portrayed in national exhibitions during the liberal era of Italy's history (1861-1922), but these same scholars have not as yet undertaken a thorough analysis of the fascist period (1922-1943) and the early postwar period, when Italy moved from a dictatorship to a republican political system. Based on an intensive study of primary sources and taking into account certain major national exhibitions ‒ specifically the 1932 Exhibition of Fascist Revolution, organised for the celebration of fascist takeover of power; the 1940 Exhibition of Italian Overseas Lands; the plans for 1942 Rome World's Fair (never held because of the outbreak of WWII); the 1952 Exhibition of Overseas and Italian Labor in the World ‒, and even relating to the participation of Italy to main international exhibitions such as the 1939 New York World's Fair, this essay aims to answer the following questions: what role did Italians outside of Italy have in national exhibitions promoted in Italy by the fascist regime? Were these Italians conceived of as part of a process of fascist nation-building and construction of a totalitarian state? After the proclamation of the Italian empire in the Horn of Africa in 1936, what role did Italians abroad - including both migrants in foreign countries and settlers in Italian colonies - play in events like the Exhibition of Italian Overseas Lands held in Naples in 1940, or in the plans for the 1942 World's Fair in Rome? Lastly, after the collapse of the fascist regime, the end of WWII, and return of Italy to a democratic political system how did the perception of Italians outside of Italy change at the 1952 reopening of the Neapolitan exhibition now renamed as the Exhibition of Overseas and Italian Labor in the World? Did Naples' new exhibition experience fractures or similarities with former events organised under Benito Mussolini's dictatorship? All in all this essay aims to reconstruct the depiction of Italian migrants outside Italy in the context of national exhibitions in the crucial period of recent Italian history of the fascist age, WWII, and the period of transition to the new republican system.
BASE
CULTURA E LINGUA ITALIANA COME STRUMENTI DI PROPAGANDA FASCISTA E AFFERMAZIONE D'ITALIANITA' FRA GLI IMMIGRATI ITALIANI E I LORO FIGLI NEGLI STATI UNITI D'AMERICA
2003/2004 ; A oggi esiste una corposa letteratura sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, e di questa è assai cospicua quella inerente le relazioni della comunità italo-americana con il regime fascista in Italia. Questo studio ha cercato di colmare un'assenza presente negli ethnic studies, che riguarda lo studio delle politiche di propaganda culturale dell'Italia fascista negli Stati Uniti e nelle Little ltalies. In particolare si è cercato di chiarire il concetto di «diplomazia culturale», mostrando come da Roma si intendesse utilizzare in politica estera la cultura italiana a fini propagandistici, cioè associando proprio la tradizione culturale italiana ai presunti «successi» socio-politici del fascismo. Tale proposito rientrava nel generale progetto del regime di fornire all'estero un'immagine apologetica di sé. Obiettivo dichiarato furono sia le opinioni pubbliche straniere, sia le l comunità di connazionali residenti all'estero, a cui si propinò costantemente un'immagine accattivante del regime, espressione di un'Italia forte, fiera e potente. Una volta delineate le strutture del regime attive in campo propagandistico, si è mostrato come da Roma si cercasse di promuovere all'estero l'immagine del duce e le «realizzazioni» del regime attraverso l'invio di articoli di giornale, monografie e opuscoli, l'utilizzo di conferenzieri, le trasmissioni radiofoniche e le proiezioni cinematografiche. Mussolini, in particolare, era una figura carismatica che riscontrava particolare successo nelle élites politico-economiche occidentali per il suo ruolo di anticomunista e di restauratore dell'ordine sociale in Italia. Per gli italiani ali' estero, invece, specialmente quelli residenti negli Stati Uniti, il duce rappresentava lo statista che aveva restituito prestigio internazionale alla madrepatria, ottenendo un rispetto che leniva, almeno in parte, le discriminazioni etniche cui erano generalmente fatti oggetto da parte degli anglosassoni, i quali erano soliti etichettare gli italiani come esseri inferiori. Inoltre la propaganda legava l'immagine di Mussolini a quella della madrepatria rinata sotto il fascismo, verso la quale il regime pubblicizzò costantemente il ritorno degli immigrati, affinché potessero vedere di persona i «miglioramenti» apportati dal Governo fascista. In maniera simile anche gli stranieri furono invitati a visitare la «nuova» Italia. Questo lavoro ha cercato di delineare le linee generali di propaganda politica fascista all'estero, mentre grazie ali' analisi comparata si è tentato di recuperare gli approcci particolari messi in atto dal regime nelle diverse realtà nazionali con cui si confrontava. Sono state messe in evidenza le notevoli difficoltà logistiche riscontrate nell'esplicazione di tale propaganda, difficoltà accentuate anche dall'ingombrante presenza della Germania nazista che, l ungi dali' essere un fedele alleato, si pose in aspra competizione con l'Italia mussoliniana per l'affermazione in campo propagandistico. Inoltre la peculiarità dell'ambiente statunitense, particolarmente restio a ingerenze straniere sul proprio territorio, impose al fascismo un adattamento (in forma e contenuto) della propria politica propagandistica alla mentalità del pubblico americano, anche se tale sforzo fu lento a realizzarsi e infruttuoso. Negli anni trenta negli Stati Uniti forme di propaganda dichiaratamente politica furono drasticamente ridimensionate. Nel decennio precedente i fasci, cioè sezioni del Pnf nate su suolo americano, cercarono di diffondere il verbo di Mussolini e convogliare i connazionali sotto l'orbita del fascio. Le violenze da loro perpetuate contro gli esuli antifascisti, le marce in camicia nera, l'opposizione alla perdita della cittadinanza italiana degli immigrati, i forti contrasti con i diplomatici italiani, alienarono da queste organizzazioni il consenso degli oriundi e provocarono la forte reazione americana nei loro confronti. Alla fine del 1929 Mussolini impose la chiusura delle sezioni, promuovendo un nuovo corso propagandistico, più moderato, volto a conservare l'italianità degli immigrati attraverso la promozione nelle Little Italies della lingua e della cultura italiana. Tali elementi furono propagandati dal fascismo come elementi imprescindibili del carattere italiano (quindi fascista) degli immigrati all'estero, nonché strumento indispensabile per conservare i vincoli delle nuove generazioni con la madrepatria. Questo lavoro ha inoltre ricostruito gli obiettivi generali della «diplomazia culturale» fascista, i valori che desiderava esportare all'estero, le strategie e le difficoltà cui incappò. Anche in questo tipo di ricerca si è mantenuto il livello comparativo, mostrando le differenti strategie applicate nelle diverse aree del mondo. In contesti nei confronti dei quali il fascismo espresse forti rivendicazioni territoriali (come Malta, la Tunisia, la Svizzera) la propaganda culturale assunse forme piuttosto violente, divenendo un'arma della politica imperialista del regime. Invece in altri contesti, come negli Stati Uniti, la «diplomazia culturale» assunse connotati più moderati. La chiusura dei fasci oltre oceano fece maturare a Roma la convinzione che fosse necessano favorire l'acquisizione della cittadinanza americana da parte degli immigrati italiani, in quanto destinati inevitabilmente all'assimilazione nella società locale. Favorendo invece l'assimilazione si sarebbe potuto contare su una /obby etnica simpatizzante del regime e capace di condizionare con il proprio voto la politica americana in termini favorevoli alla madrepatria. Per fare questo diveniva però prioritario mantenere vivo il legame dei giovani con l'Italia: la preservazione della lingua italiana nelle Little Ita/ies aveva quindi il compito di creare una nuova generazione di italo-americani, giuridicamente americani ma legati spiritualmente alla madrepatria. Ogni agente di propaganda fascista negli Stati Uniti venne coinvolto in questa strategia: i giornali e le associazioni etniche, i «prominenti» e le scuole italiane si adoperarono per sostenere il progetto di creazione del «nuovo» italiano ali' estero, fiero della propria origine e legato ai valori fascisti di onestà, sobrietà, laboriosità e religiosità. Tale campagna assumeva un'importanza particolare, visto che fra le due guerre le Little Italies stavano perdendo progressivamente il carattere italiano, mentre i giovani figli degli immigrati, nati ed istruiti nel paese di adozione, stavano allentando progressivamente i vincoli con l'Italia, che avvertivano ormai come un paese straniero. La strategia fascista fu estremamente attiva nel promuovere la crescita sia di nuove scuole italiane, sia di nuovi corsi di lingua e cultura italiana nelle istituzioni scolastiche americane di ogni livello. Le comunità italo-americane furono incoraggiate a sostenere tale campagna, e incentivate a creare appositi comitati scolastici incaricati di agire sulle autorità scolastiche americane per far introdurre la lingua di Dante nei programmi scolastici. Quello statunitense rappresenta un caso emblematico di adattamento e moderazione dell'aggressività fascista a un contesto locale, reso evidente anche dalla rinuncia alla creazione di strutture giovanili paramilitari e dali' assenza nei programmi delle scuole italiane di una retorica sovversiva anti-americana. Ciononostante il regime mantenne forme di ambiguità, elemento del resto costantemente presente nella propria politica estera. Infatti negli Stati Uniti si continuò parzialmente a sostenere l'attività di circoli etnici e di personaggi di indirizzo estremista; inoltre alcuni passaggi eminentemente nazionalistici, presenti nei libri di testo stampati dalla Direzione Generale degli Italiani all'Estero per le scuole italiane all'estero, vennero epurati solo dopo una protesta ufficiale del Dipartimento di Stato, contrario all'utilizzo di questi volumi da parte di giovani studenti di origine italiana ma di cittadinanza americana. La strategia propagandistica fascista fu un fallimento. Le mancanze strutturali e di fondi impedirono di attuare efficacemente il proprio programma. Fallì anche l'idea di creare una nuova generazione di italo-americani fedeli al regime: troppa era ormai l'affinità che questi avevano con la patria di adozione che, nel corso della guerra, chiese loro inequivocabili prove di fedeltà, che li allontanò definitivamente da un'Italia del resto già considerata lontana. Pearl Harbor segnò definitivamente la fine delle aspirazioni italiane in Nord America, mentre dall'esperienza bellica anche la cultura italiana venne fortemente ridimensionata, con la chiusura di molte istituzioni scolastiche italiane e il drastico calo di corsi di lingua e cultura italiana nelle scuole americane. Inoltre il conflitto rappresentò la definitiva spinta verso la piena americanizzazione del gruppo etnico italiano, desideroso di mostrare la propria lealtà al paese di adozione proprio attraverso la piena integrazione nel tessuto sociale statunitense. ; XVII Ciclo ; 1975 ; Versione digitalizzata della tesi di dottorato cartacea.
BASE
Migrazioni e terrorismo
In: Archivio storico dell'emigrazione italiana. Quaderni 16
Refugee roulette: fences, deflected responsibilities and the politics of excision
In: Australian journal of human rights: AJHR, Band 20, Heft 1, S. 163-202
ISSN: 1323-238X