Pourquoi les hommes se fatiguent-ils ?: une histoire des sciences du travail (1890-1920)
In: Collection Travail et activité humaine
8 Ergebnisse
Sortierung:
In: Collection Travail et activité humaine
In: Communications, Band 112, Heft 1, S. 35-48
L'article suit l'histoire technique du podomètre en pointant l'évolution de son mécanisme et de ses usages du xvi e siècle jusqu'à sa « révolution numérique ». Il s'agit en outre de questionner la configuration sociotechnique qui a conduit la comptabilisation du pas à devenir un des supports centraux de ces pratiques contemporaines que l'on appelle self-tracking , consistant à enregistrer et comptabiliser des dimensions à première vue anecdotiques de l'existence quotidienne afin d'en valoriser un aspect.
In: Loisir & société: Society and leisure, Band 45, Heft 3, S. 466-481
ISSN: 1705-0154
In: Histoire_372Politique: politique, culture, société ; revue électronique du Centre d'Histoire de Sciences Po, Heft 39
ISSN: 1954-3670
In: L' homme et la société: revue internationale de recherches et de syntheses en sciences sociales, Band 207, Heft 2, S. 51-74
À la fin du xix e siècle émerge un discours scientifique concevant le corps « comme une machine à feu » dont il serait possible de calculer le rapport entre sa dépense énergétique et son rendement moteur. Dans ce contexte apparaissent différents instruments censés traduire dans des graphiques cartésiens l'évolution de l'activité corporelle. Ces instruments sont conçus selon le principe d'un corps qui inscrit directement la trace de son activité. Cela grâce à l'usage d'appareils capables de capter les moindres mouvements et de produire une courbe « autographique ». Or, l'activité du moteur humain apparaissant toutefois dépendre non exclusivement du fonctionnement mécanique de l'organisme, mais également de l'engagement volontaire du sujet, le terme « autographie » et l'idée de « capteur d'activité » se révèlent extrêmement ambivalents (inscription automatique ou inscription « de soi »). Suivant l'histoire de la méthode graphique la fin du xix e siècle, l'article aborde ainsi certaines problématiques ouvertes par la diffusion contemporaine des objets connectés.
In: Mil neuf cent: revue d'histoire intellectuelle, Band 32, Heft 1, S. 69
ISSN: 1960-6648
Alla fine del XIX secolo, nel contesto dello sviluppo della società salariale in Europa, appare un progetto positivista di studio del lavoro umano che non si è esitato a chiamare "ergologia". Questo progetto, che traverserà diverse scienze umane, cercava di definire e d'inquadrare normativamente il lavoro sulla base dallo studio delle potenzialità e dei limiti psico-fisiologici dell'attività corporale (fatica, attitudini psicomotrici, monotonia, attenzione …). Lo studio psico-fisiologico s'iscrive dunque in una progetto sociale più largo di "ottimizzazione" delle attività umane (igienismo, pace sociale, eugenismo.), in questo senso la conoscenza del corpo al lavoro appariva come una parte della razionalizzazione del suo "uso" . Da questa prospettiva, alcuni storici hanno interpretato il programma ergologico come un tentativo di "reificazione" del corpo nell'intento di trasformarlo in strumento al servizio del profitto capitalista e/o in supporto del controllo disciplinare dello Stato (Rabinbach, 1992). Tuttavia, osservando lo sviluppo epistemologico e politico di questo progetto "ergologico", si può vedere che i tentativi di stabilire una misura e una gestione scientifica del corpo inteso come strumento della produzione fanno emergere in continuazione la necessità di prendere in considerazione la scelta volontaria attraverso la quale l'uomo definisce l'obiettivo della sua attività corporale. In effetti, se il lavoro umano può essere definito come un'attività tecnica utile a raggiungere un obiettivo "voluto", l'uomo appare come l'utilizzatore del suo proprio corpo per realizzare un "progetto" . Quindi, misurare e governare gli uomini attraverso il lavoro del corpo, come cerca di farlo "l'ergologia", non si significa solamente ridurre quest'ultimo ad oggetto malleabile, ma anche pensare l'attività corporale come il momento in cui l'uomo definisce gli obiettivi della sua azione in funzione delle differenti costrizioni materiali che determinano la sua azione vitale. L'obiettivo epistemologico di questa ricerca sarà dunque di mostrare che le scienze umane, di fronte l'oggetto di lavoro, vale a dire, di fronte ad un'attività tecnica orientata al raggiungimento di un obiettivo, si confrontano con un doppio pericolo : da un lato, quello di trasformare l'uomo in ingranaggio, concependolo come completamente "determinato" dalle condizioni di realizzazione, e, in secondo luogo, quello di considerare l'uomo "autentico" come completamente estraneo alle questione "tecnologiche" che gli impone il suo ambiente e ciò per preservare la sua "libertà". Attraverso la sua concezione dell'attività volontaria come un'azione strumentale, la psicofisiologia del lavoro mostrerà la possibilità di una riflessione sull'uomo che non oppone l'oggettivazione strumentale alla riflessione morale e politica sul significato delle azioni umane. In questo senso, anche se il progetto di una scienza del lavoro, per il suo riduzionismo energetista e la sua etica "lavorista", apparirà come una riflessione tipica del tardo positivismo, le questioni epistemologiche che l'attraversano sembrano uno spunto di riflessione importante per i dibattiti sociali contemporanei in cui la pratica della gestione economica è continuamente opposta alla riflessione politica e morale.
BASE
In: L' année sociologique, Band 67, Heft 2, S. 453-480
ISSN: 1969-6760
Cet article est consacré à l'énergétisme social du philanthrope belge Ernest Solvay, théorie de la fin du xix e siècle concevant la sociologie comme une discipline appelée à faire en sorte que la société tende vers son rendement maximum à travers l'application des lois énergétiques physico-chimiques aux phénomènes sociaux. Cette théorie conduit à des impasses riches d'enseignements pour les tentatives contemporaines qui s'attachent à fonder une sociologie de l'énergie. Comme le montre Max Weber dans un texte critique qui sera au cœur de notre article, en réduisant l'efficacité sociale de l'énergie à sa mesure technique, Solvay ne saisit pas l'enjeu de toute analyse sociologique de l'énergie : l'étude des processus socioculturels par lesquels une société valorise comme « utile » une certaine transformation d'énergie.