Immagini dell'alterità nei media, nelle arti e nella percezione collettiva
In: Contesti antropologici 4
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I saggi raccolti nel presente volume affrontano un tema centrale della tradizione ebraica: il sogno, e in secondo luogo il surreale. Per quanto concerne lo studio dei testi, i contributi spaziano lungo un arco temporale assai ampio, dalla Bibbia alla poesia moderna, prendendo in esame una vasta gamma di argomenti; nell'ambito delle arti visive, attraverso epoche e media diversi, ci si muove dagli affreschi della sinagoga di Dura Europos fino alla pittura del Novecento, senza dimenticare il cinema. Estremamente variegato è il panorama linguistico offerto dai documenti considerati, che all'ebraico nelle sue varie fasi affianca i Jewish Languages e le lingue non specificamente giudaiche adottate nei secoli dagli ebrei della Diaspora.
In: Spagna contemporanea: semestrale di storia e bibliografia, Band 7, Heft 13, S. 81
ISSN: 1121-7480
In: Gruppi: nella clinica, nelle istituzioni, nella società, Heft 1, S. 95-110
ISSN: 1972-4837
2006/2007 ; Studiare gli ambiti metaforici cui Seneca attinge con maggior frequenza nella sua opera filosofica è un mezzo per avvicinare molti aspetti della sua cultura stilistico-retorica e, allo stesso tempo, del suo mondo ideologico e psicologico. Oltre ai realia – alle realtà sociali, politiche, materiali del mondo che lo circonda – l'immaginario di Seneca accoglie e contribuisce a convogliare soprattutto realtà culturali: esse si traducono in immagini che rivelano le convergenze tra la sua opera e quella di chi lo precedette. Tra esse rientra anche il motivo della luce che, per il suo carattere intuitivo, 'assiomatico' , si presta a convogliare nell'immaginario senecano una lunga tradizione di simbolismo letterario, filosofico, teologico. Per misurare l'originalità del trattamento senecano si tratterà di precisare innanzitutto in che modo egli disponga di tale eredità, valutando contemporaneamente gli effetti di quello scambio incessante che, nello sviluppo dell'immaginario, avviene tra gli elementi che giungono dall'ambiente circostante – sociale e culturale – e le pulsioni psicologiche e soggettive di chi se appropria, che tende ad assimilare questi elementi al proprio personale linguaggio letterario. La descrizione e l'analisi della fenomenologia delle immagini della luce in un testo filosofico, con le cui istanze proprie essa interagisce naturalmente, esige altresì che si individui in che misura e in quali forme si compenetrino immagine e concetto, ovvero l'aspetto retorico e l'aspetto propriamente logico-teoretico del testo. Un necessario presupposto per l'individuazione di tali rapporti è costituito, per le Epistulae morales, dalla definizione dell'atteggiamento che Seneca matura consapevolmente verso la funzione delle imagines all'interno del discorso filosofico, nonché verso il ruolo dell'immaginazione creatrice come autonoma facoltà dell'artista. Sebbene non sia attestata in Seneca una teoria della letteratura organicamente espressa, la coerenza del suo atteggiamento sul piano della dottrina estetica si radica in un costante riferimento al sistema di pensiero stoico, attraverso l'autorevolezza del quale Seneca reperisce una sorta di garanzia a priori del proprio impianto teorico. Così facendo, però, abbiamo visto che il filosofo si trova a fare i conti, in campo estetico, con la tradizione di scuola: la concezione stoica di un ideale di linguaggio trasparente, adatto a esprimere la verità del pensiero morale, imponeva la svalutazione delle istanze stilistiche e la loro subordinazione all'integrità dell'espressione. Seneca non si discosta mai esplicitamente da questa posizione di condanna dell'elemento stilistico-formale e quando prende in considerazione lo stile della predicazione filosofica lo fa sempre in relazione diretta al suo fine, che è di ammaestramento alla virtù e di esortazione a una condotta attivamente morale. Così, nella teoria senecana, anche l'uso delle immagini nella prosa filosofica è giustificato solo sulla base della funzione didattica che esse possono svolgere in tale contesto e dell'utilità pedagogica che ne deriva: ho cercato di mostrare come questo sia il tratto che spicca maggiormente nelle notazioni sulla letteratura e sullo stile presenti nelle Epistulae. Tuttavia, proprio la ricerca di un'eloquenza che, attraverso la bellezza e la ricercatezza delle espressioni, sappia dare risalto non a sé stessa bensì ai contenuti che mira a comunicare, permette parallelamente a Seneca di operare una rivalutazione degli aspetti stilistico-formali. Il filosofo sostiene con convinzione la necessità di un'admonitio che agisca psicagogicamente su chi ascolta, e concepisce l'uso di un linguaggio energico, che sappia farsi forte dei mezzi della persuasione al fine di rispecchiare e trasmettere la verità del contenuto filosofico. Quanto allo specifico uso delle immagini all'interno della prosa filosofica, abbiamo visto che esso è giustificato innanzitutto al fine di sopperire all'egestas linguae, ma soprattutto è concepito come un imprescindibile mezzo di sostegno della debolezza intellettiva: la principale funzione delle immagini per Seneca è appunto quella di demonstrare attraverso la loro concretezza e vividezza. Esse trovano pertanto il loro definitivo riscatto come strumenti utili al filosofo per mettere a fuoco problemi e argomentazioni, all'ascoltatore per appropriarsi i concetti con maggiore immediatezza. A questa concezione fa da pendant, nella concreta prassi stilistica di Seneca filosofo, un uso costante delle immagini. Quelle che sviluppano il motivo della luce trovano nel corpus delle Epistulae due principali ambiti di applicazione: la conoscenza e la virtus. La prima di queste associazioni, quella che assimila luce e conoscenza, è un risultato di quel 'pensare per immagini' che è all'origine stessa del linguaggio filosofico: ho ripercorso nella parte introduttiva di questo lavoro le idee che nella speculazione psicologico-estetica e nella cultura retorica disponibili a Seneca, avevano stabilito un nesso tra immaginazione e meditazione filosofica, e di concerto l'affinità tra il poeta e il filosofo, accomunati dalla capacità di 'scorgere il simile' attraverso le apparenze della varietà fenomenica. Nel poeta, secondo Aristotele, questa capacità è alla base dell'arte della metafora, ed è nativa, non insegnabile. A propria volta, il pensiero filosofico si svolge in origine attraverso metafore: così come si è visto, questo tipo di immagini traducono il pensiero astratto, per la prima volta, in contenuto sensibile. Le metafore divengono pertanto uno strumento naturale della predicazione filosofica. È il caso appunto della luce come metafora della conoscenza: la natura della luce come chiarezza che rende possibile il vedere e l'intuitiva associazione dell'atto conoscitivo all'atto della visione, dell'anima agli occhi, sono elementi esplorati dalla lunga tradizione retorica e filosofica che nella mia ricerca ho cercato di ripercorrere. Anche Seneca rientra in questa tradizione filosofica, che aveva avuto nei dialoghi di Platone – molto più che nell'elaborazione della scuola stoica – il suo momento centrale. Certo, nel caso di Seneca, il quale non è l'inventore del sistema filosofico che espone, la metafora della luce come conoscenza non conferisce ex novo una forma al pensiero, ma serve piuttosto a vivificarlo, ad animarlo, permettendo al filosofo di ripercorrerne i nessi secondo le proprie categorie mentali attraverso un apparato di immagini consolidate dalla tradizione. A loro volta, metafore poco evidenti o quasi completamente lessicalizzate, limitate a un solo verbo o sostantivo, si riattivano per mezzo dei procedimenti stilistici che Seneca mette in atto nella sua prosa filosofica. Sulla base dei testi presi in considerazione, mi sembra si possano individuare come segue: 1. Accumulazione di immagini dallo stesso campo figurativo al fine di rafforzarne l'evidentia, come nell'epistola 88, dove un complesso sistema di richiami collega i motivi della luce come conoscenza, dell'accecamento, dell'orientamento: insieme essi collaborano alla costruzione di un impianto metaforico coeso e coerente, che serve a guidare il lettore nello sviluppo dell'argomento. 2. Interazione del motivo della luce con motivi tratti da altri ambiti metaforici: nell'epistola 94 la complessa costellazione metaforica che si sviluppa intorno all'associazione vista fisica / vista interiore, è rafforzata dall'innesto del motivo tipicamente senecano della salute / malattia come condizioni morali. 3. Trapasso continuo dal piano connotativo a piano denotativo, come nell'epistola 48, dove la metafora dell'iter, che interagisce strettamente con quello della luce dell'orientamento morale, è anticipata dal riferimento di cornice al viaggio di Lucilio; l'immagine resta evidente al lettore funziona poi da Leitmotiv nello sviluppo dell'epistola. Per quanto riguarda l'applicazione del campo metaforico della luce al tema della virtus, l'analisi della fenomenologia presa in considerazione ci mostra una più complessa compenetrazione tra l'aspetto letterario e l'aspetto propriamente logico-teoretico. Ho operato nel mio studio una distinzione dei materiali essenzialmente tecnici o dossografici da quelli che propriamente letterari; sulla base di questo criterio mi sembra che il rapporto tra le immagini della luce e il contenuto filosofico si possa definire come segue: 1. Un primo tipo è costituito da metafore puramente ornamentali che, proprio perciò, non si fa carico di particolare significato dottrinale. È il caso della luce come attributo dell'eccellenza del sapiens: questo motivo, che è convenzionale già in Cicerone e che è presente nelle Epistulae in moltissime occorrenze, è stato citato a proposito di epist. 120,13, un'occorrenza che può essere ricollegata a una più estesa presenza dell'immaginario della luce nella medesima epistola. 2. Un secondo tipo, più significativo, è rappresentato da formulazione analogiche le cui implicazioni sono intese a contribuire alla determinazione del senso della dottrina enunciata. Tali metafore si possono distinguere a loro volta in due sottocategorie: a. vi sono analogie essenziali alla giustificazione della dottrina enunciata, come quella di epist. 31,2: Seneca riconduce il rapporto che intercorre tra bene e virtù ai precetti della fisica stoica in cui tale rapporto si radica, assimilando i processi invisibili dell'interiorità umana a quelli visibili del mondo naturale, e in particolare alla luce, fenomeno visibile per eccellenza. La mixtura lucis di cui hanno parte le cose luminose richiama la teoria della kra~siı tra lo pneu~ma e le parti del cosmo che esso compenetra, teoria che sul piano fisico fonda la dottrina etica della partecipazione delle cose buone al bene, ovvero la ratio divina che le compenetra. Un altro caso di questo tipo di occorrenze è quello di epist. 66,20, dove la grandezza assoluta della virtus in rapporto agli incommoda è assimilata alla potenza luminosa del sole: esso, con l'intensità della sua luce, rende impercettibile ogni fonte di luce minore. Anche qui l'analogia, perfettamente organica alla dottrina enunciata, funziona in base ai principi della fisica stoica che identificavano lo hJgemonikovn del cosmo nel sole. b. viceversa in altre analogie, sebbene si stabiliscano anch'esse sulla base di una stretta correlazione fra immagine e contenuto filosofico, prevale l'aspetto icastico. In questa sottocategoria ricadono i casi di epist. 92,5 e 17, dove l'intensità luminosa del sole è tertium comparationis comune a due similitudini, le quali però illustrano due rapporti diversi, quello tra virtus e commoda e quello tra virtus e incommoda: Seneca indulge in variazioni su uno stesso motivo il cui sviluppo, pur contribuendo alla determinazione di senso dell'insegnamento enunciato nell'epistola, mostra come l'equilibrio tra istanze teoretiche e istanze letterarie si sbilanci a favore delle seconde. 3. Un terzo tipo di immagini è il più caratteristico dell'usus senecano: è costituito dai casi in cui una metafora è adottata per rivitalizzare o per corroborare l'impatto di una teoria senza che ciò sia inteso a determinare la sostanza della teoria stessa. Anche in questo caso ho individuato due distinte applicazioni: a. talvolta Seneca introduce elementi e idee coerenti con la teoria presentata. È il caso di epist. 21,2 dove la concezione stoica dell'autosufficienza della virtus prende corpo in una similitudine che gioca sul contrasto tra due diverse manifestazioni luminose: la lux rappresenta la vita ritirata nel godimento del sicuro possesso della virtus, che dipende dall'autonoma volontà e intenzione dell'individuo, appunto come una cosa che abbia in sé la fonte della propria luminosità. A essa si oppone lo splendor riflesso, cui è associata la vita pubblica, la quale deriva il suo valore da beni e condizioni che non dipendono direttamente dalla condotta individuale e che sono pertanto incerti ed effimeri; b. in altri casi attraverso l'immagine Seneca introduce elementi e idee in parte fuorvianti rispetto alla sostanza della teoria enunciata. Un esempio macroscopico di questo procedimento è costituito dalla similitudine solare in epist. 41: l'anima che alberga nell'uomo e lo rende partecipe della propria divina natura pur restando congiunta alla propria origine, è assimilata ai raggi del sole, che toccano la terra ma hanno la propria fonte nell'astro da cui sono emessi. L'immagine di matrice platonica sembra implicare una concezione psicologica ed escatologica dell'anima a sua volta non scevra da spunti platonici. L'immagine occupa dunque una posizione contraddittoria, che si spiega col fatto che Seneca attinge da fonti diverse elementi anche molto eterogenei tra loro, e li assimila in un organismo retorico che di ognuno di essi sa avvalersi ai fini dell'incisività della predicazione morale. Questa prassi è indizio di un atteggiamento non già eclettico o poco rigoroso, bensì aperto a recepire spunti significative dalle altre scuole e a integrarli in una cornice di pensiero che rimane fondamentalmente stoica. Naturalmente, in un autore letteratissimo come Seneca, ci sono momenti – forse l'epistola 41 si può considerare uno di questi – in cui l'immagine prende il sopravvento sul ragionamento che doveva illustrare o corroborare. ; XX Ciclo ; 1975
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L'immagine paese (country image) rappresenta notoriamente uno dei principali elementi di vantaggio competitivo del sistema di offerta nazionale, sia come fattore in grado di supportare la reputazione e la visibilità dei prodotti nazionali che come leva di attrattività turistica e culturale rispetto alle numerose destinazioni e attrazioni che caratterizzano le diverse aree di un paese. Sul piano scientifico, il tema della country image (CI) ha assunto oramai già da anni una rilevanza peculiare nella letteratura di marketing, anche in seguito alla frequente adozione da parte dei policy maker nazionali di strategie di nation branding finalizzate a rafforzare la notorietà e la reputazione complessiva dei Paesi nei mercati internazionali. Al riguardo, gli studi di marketing incentrati sulla country image sono riconducibili a due diversi livelli di concettualizzazione: un livello "macro" o "generale" e un livello "micro" o "prodotto". Il livello "macro" vede l'immagine del paese (general country image) come un incubatore di giudizi dei consumatori sul progresso generale, sulla modernizzazione, sull'ambiente politico, la popolazione (Martin and Eroglu, 1993; Fishbein and Ajzen, 1975; Roth and Diamantopoulos, 2009) e l'importante dimensione del patrimonio culturale (cultural heritage image), i cui studi sono recenti e ancora poco condivisi ma di rilevanza primaria soprattutto in paesi come l'Italia. Il livello "micro" si dirama invece in due filoni di gran lunga più indagati: la product country image (PCI) che afferisce al marketing internazionale e racchiude l'insieme degli studi finalizzati ad analizzare l'influenza dell'immagine paese sulla percezione delle produzioni nazionali e sui relativi comportamenti di consumo (Bilkey e Nes, 1982; Papadopoulos e Heslop, 1993; De Nisco, 2006; Mainolfi, 2010), e la tourism destination image (TDI) la quale, con una logica analoga, si concentra sulle componenti della country image più specificamente connesse alla dimensione turistica, indagandone gli effetti sui processi di scelta del visitatore (Beerli e Martin, 2004; Bigné, Sanchez e Sanchez, 2001; Chen e Tsai, 2007; Joppe, Martin e Waalen, 2001). In entrambi i livelli di studio, l'immagine paese viene intesa come un costrutto multidimensionale, che include sia caratteristiche di tipo generale (il livello di avanzamento tecnologico, le caratteristiche della popolazione e la qualità della vita complessiva), sia attributi specifici connessi alla reputazione dei prodotti nazionali (qualità, diffusione, design) e alle attrazioni turistiche (bellezze paesaggistiche, aspetti storici e culturali, gastronomia, etc.). Nonostante la natura complessa del processo di categorizzazione della country image e delle sue dinamiche di funzionamento, sia gli studi a livello macro che quelli micro sono concordi nel conferire al cosiddetto "effetto country of origin" – quale corrente di ricerca originaria – una funzione preminente nei processi di valutazione e nei comportamenti di scelta dei consumatori esteri, evidenziando il ruolo strategico dell'immagine nazionale nelle politiche di promozione dei prodotti e delle destinazioni turistiche sui mercati esteri. In considerazione della rilevanza di questa tematica, il presente lavoro pone in luce i risultati di un'indagine facente parte di uno studio ampio relativo alla percezione della country image del Bel Paese e la sua segmentazione su un campione di 4.550 individui residenti nei Paesi Emergenti (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Indonesia, Turchia), intercettati attraverso la somministrazione di un questionario on-line. In particolare, l'indagine si sofferma sulle quattro componenti della country image giudicate di maggior rilevanza rispetto all'attrattività complessiva dell'Italia: a livello macro, l'immagine generale (general country image) e l'immagine culturale (cultural heritage image); e a livello micro, l'immagine turistica (tourism destination image) e l'immagine relativa ai prodotti (product country image). Più nello specifico, gli obiettivi del presente lavoro di tesi sono: 1) indagare il ruolo del cultural heritage nella formazione della country image; 2) investigare la percezione estera delle componenti dell'immagine Paese italiana (general country image, tourism destination image, product country image e cultural heritage image) considerate più rilevanti nella letteratura sul tema in 7 mercati emergenti; 3) individuare e descrivere segmenti transnazionali omogenei per similarità nella valutazione della country image valutando i consumatori esteri maggiormente "sensibili" al fascino della cultura italiana. A livello metodologico, dopo aver mostrato i risultati in termini di statistiche descrittive per ciascuna dimensione, è stata effettuata una cluster analysis in cui le 4 dimensioni dell'immagine dell'Italia delineano tre segmenti: gli Insoddisfatti, i Conviviali e gli Esteti. L'analisi mostra differenze significative tra i cluster in termini di intenzioni di visitare il paese, acquistare prodotti e percepire la cultura italiana e i suoi effetti. È stata inoltre stimata una ANOVA inserendo le tendenze etnocentriche come variabili dipendenti e l'appartenenza a un cluster come fattore fisso. I risultati confermano che i tre segmenti sono significativamente diversi l'uno dall'altro e al fine di specificare ulteriormente i profili dei cluster identificati, ciascun segmento è stato poi incrociato con variabili esterne come profili socio-demografici e variabili attitudinali. Sulla base dei risultati, la tesi fornisce una discussione sul ruolo che l'immagine paese svolge per il successo dei prodotti e delle destinazione turistiche italiane nei principali mercati emergenti e delle implicazioni di ricerca derivanti dall'inclusione della dimensione dell'immagine culturale – ad oggi ancora troppo trascurata – nella letteratura sul tema tracciando il sentiero per ulteriori ricerche future.
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L'articolo analizza le immagini della Vergine, pittoriche e musive, presenti a Roma dalla metà del VII secolo ai primi decenni del IX. Il taglio prescelto cerca di usare in parallelo le diverse chiavi interpretative proposte dalla storiografia: l'analisi storica, le ricerche iconografico-iconologiche, le letture stilistico-formali. Nelle rappresentazioni di Maria si riflettono le dinamiche religiose dello sviluppo dottrinale e della pratica devozionale, legate prima alla eresia monotelita poi alla crisi iconoclasta; in seguito in esse convergono nuovi significati politici connessi alla nascente ideologia dello Stato della Chiesa. Lo sviluppo delle immagini mariane mostra nel corso dei quasi duecento anni esaminati il progressivo distacco dalla cultura bizantina ed il profilarsi di una nuova identità culturale.
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DUCROT, MOBILI E ARTI DECORATIVE Attiva fin dagli anni Settanta del XIX secolo fino al 1970, estendendosi gradualmente da Palermo alle maggiori città d'Italia e poi a diverse aree del Mediterraneo, la fabbrica assume la denominazione Ducrot, Mobili e Arti Decorative, Società Anonima per Azioni a partire dal 1907, quando viene registrata alla Borsa di Milano, con capitale sociale di L. 1.500.000 sede e officine a Palermo in via Paolo Gili, nella contrada dell'Olivuzza. Dal 1939, in seguito al rilevamento dell'impresa ad opera di un gruppo finanziario genovese, muta il nome in Società Anonima Ducrot. Mobili, Sede Genova – Officine Palermo, con uffici anche in piazza Piccapietra n. 83 a Genova. Fra il 1902 e il 1907, prima della trasformazione in società, l'impresa opera con la denominazione Ducrot, Successore di Carlo Golia & C. e di Solei Hebert & C., Palermo, essendone diventato proprietario unico Vittorio Ducrot, figliastro di Carlo Golia, fondatore della omonima ditta, originariamente di rappresentanza dei prodotti (stoffe per l'arredamento) della Solei Hebert & C. di Torino. Già negli anni Settanta del XIX secolo la ditta, con lussuoso negozio in corso Vittorio Emanuele a Palermo, integrava l'attività di emporio di stampo britannico per l'arredo alto borghese, con quella di atelier per tappezzerie e, poi, per la costruzione di mobili (inizialmente da giardino) e per la realizzazione di decorazioni di interni. È Vittorio Ducrot, prima come direttore poi come comproprietario (dal 1900 fino alla morte di Carlo Golia avvenuta nel 1901), a innescare l'accelerazione industriale grazie anche al reperimento di nuovi capitali di giovani benestanti palermitani, che sottraggono la ditta al fallimento (sfiorato nel 1895) e alla parziale dipendenza commerciale dalla Solei Hebert. Oltre a mettere a punto prototipi, poi derivati in serie economiche di alta qualità tecnico-formale, e a ideare arredi completi autonomamente, interpreti del principio della Gesamtkunstwerk, coordinando l'opera di scultori (Antonio Ugo, Gaetano Geraci), di pittori (Ettore de Maria Bergler, Giuseppe Di Giovanni, Michele Cortegiani, Rocco Lentini, Giuseppe Enea e Salvatore Gregorietti), di qualificate imprese artigiane o industriali nel campo delle arti applicate (la Ceramica Florio, il maestro ferraio Salvatore Martorella, la fabbrica di lampadari e apparecchi di illuminazione Carraffa, tutti di Palermo o straniere come la viennese fabbrica di tappeti Haas), Ernesto Basile, in accordo con Vittorio Ducrot, mette in atto uno dei rari esperimenti riusciti in ambito internazionale, di parziale "riorganizzazione del visibile" atto a connotare, propagandisticamente, in maniera unitaria l'immagine colta di una impresa produttiva. Di questa ricercata ufficialità modernista la manifestazione più eclatante, oltre alla progettazione delle carte intestate, dei locali di vendita dei marchi, delle nuove officine (progetto poi non realizzato), è costituita dalla partecipazione della ditta Ducrot, sempre in coppia con Ernesto Basile, ad alcune delle più importanti mostre ed esposizioni di arti decorative e industriali organizzate in Italia nel primo decennio di questo secolo. In alcuni consistenti settori, i più rappresentativi, la ditta consegue un'inappuntabile peculiarità figurale siciliana (tanto come espressioni di cultura "alta" quanto come rivalutazione e risemantizzazione di tradizioni tecnico-artistiche popolari) sostenuta dalla collaborazione di Ernesto Basile e della sua cerchia di artisti e da qualificati disegnatori di mobili (non di rado allievi di Basile) fra i quali primeggiano Michele Sberna e Ludovico Li Vigni. Conforme alla messa a punto di logiche serie di mobili aderenti ad una estetica della riproducibilità industriale, e tuttavia strutturati in insiemi dalle espressività (localizzate o complessiva) di matrice fisio-psicologica, il programma di riorganizzazione dell'impresa, attuato da Vittorio Ducrot, comprendeva anche la documentazione sistematica dell'attività produttiva, la rigida divisione del lavoro (anche all'interno delle due categorie creativa ed esecutiva), la realizzazione di nuovi e dettagliati cataloghi di vendita, l'espansione del mercato con moderni criteri persuasivi (fondati sul concetto di irrinunciabilità inoculato nei potenziali acquirenti dalle stesse comunicative e riconoscibili qualità tecnico-formali dei prodotti e da un'abile azione propagandistica). In quest'ottica rientra, oltre all'impegnativa partecipazione alle manifestazioni espositive, la proliferazione sul territorio nazionale di eleganti succursali di vendita, in gran parte arredate da Basile: a Catania, in via Stesicoro, nel 1904; a Milano, in via T. Grassi, nel 1907; a Roma, in via del Tritone, nel 1910 (poi trasferita in via Condotti); a Napoli, in via G. Filangeri, nel 1917. Fra gli arredi particolari realizzati prima della guerra del 1915-1918 ricordiamo, inoltre, quelli del 1906 per il Palazzo d'Estate dell'Ambasciata Italiana a Therapia (Istanbul) nell'Impero Ottomano e quelli per gli uffici della FIAT a Milano del 1911. Dal 1912 al 1930 Giuseppe Capitò, sia pure in maniera discontinua, collabora con la Società come Direttore Artistico. Durante il Primo Conflitto Mondiale gli impianti vengono adattati alla costruzione di biplani idrovolanti caccia-bombardieri per i governi italiano, francese e inglese; viene realizzato, pertanto, un distaccamento delle officine sull'arenile della città balneare di Mondello. Dal 1919 inizia la produzione di arredi navali; dopo la realizzazione dei mobili e delle decorazioni per il Regio Yacht Savoia i principali committenti saranno la Navigazione Generale Italiana e la Società Italiana di Servizi Marittimi. Per queste società di navigazione (soprattutto per la prima creata dai Florio), dal 1919 al 1932 gli stabilimenti di via P. Gili (poi coadiuvati nelle sole fasi di montaggio, nei Cantieri di Genova, da una ditta subalterna dell'ingegnere Tiziano De Bonis) arredano la turbonave Esperia (1919-20), i transatlantici Giulio Cesare (1920-21), Duilio (1922-23), Roma (1925-26) e Augustus (1926), la turbonave Ausonia (1926-28), i transatlantici Città di Napoli (1927-28) e Rex (1930-32). Dal 1923 al 1930 nella Sezione Navale dell'Ufficio Tecnico operano Giuseppe Spatrisano e altri giovani architetti e artisti palermitani, fra cui Vittorio Corona. Fra le tante collaborazioni per gli arredi navali figura quella di Galileo Chini. A cavallo fra gli anni Venti e gli anni Trenta la Ducrot realizza innumerevoli arredi, spesso déco, per navi di privati (del 1931 è l'incarico per la nave dello Scià di Persia), per panfili, per sontuose residenze patrizie. Nel 1930 Carlo Ducrot, figlio di Vittorio, assume la carica di Direttore Tecnico e imprime la definitiva svolta "moderna" all'impresa paterna. Nel 1932 entrano in produzione i mobili in tubolare metallico, ma appena due anni dopo la Società accusa forti difficoltà economiche causate anche dalla caduta delle grandi commesse navali (fra questi ricordiamo gli arredi per le cabine e gli ambienti comuni degli ufficiali nelle unità della Regia Marina Militare). Nel 1936 l'estensione degli stabilimenti si riduce a soli 8.500 mq.; i rimanenti due terzi del complesso vengono riformati per l'istallazione della Società Anonima Aeronautica Sicula creata in seguito alla fusione con la fabbrica Caproni: Vittorio Ducrot ne è Vice Presidente. La fabbrica di mobili nel 1939 cade nelle mani del gruppo finanziario capeggiato da Tiziano De Bonis; Vittorio Ducrot conserva la carica di Presidente della nuova Società (sarebbe morto tre anni dopo). Dopo le forniture per il Consolato Alleato (1943-45), l'attività del mobilificio ritorna al mercato libero e alle grandi commesse, perpetuando, nei venticinque anni di attività del secondo dopoguerra, la proverbiale fama di imperabilità tecnica e onestà costruttiva dei suoi prodotti, ma perdendo inesorabilmente il ruolo di propositrice di forme nuove e originali. La Società continua ad avvalersi di qualificati progettisti palermitani e non (fra questi ricordiamo V. Monaco, A. Luccichenti, M. Marchi, M. Collura, M. De Simone) e della collaborazione di artisti di primo piano (fra cui Giuseppe Capogrossi e Edgardo Mannucci), ma non persegue una originale politica culturale, limitandosi a registrare, con garbato gusto reinterpretativo, gli esiti dei nuovi orientamenti della cultura della progettazione industriale.
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Affrontare la questione dell'antimperialismo in José Martí risulta particolarmente impegnativo sia per l'ampiezza e la multiformità dell'opera dell'eroe nazionale cubano, attraversata da questo tema in tutte le sue declinazioni, sia per la mole di studi che da più di un secolo hanno cercato di approfondirla, prendendola in considerazione da molte angolazioni diverse. Attorno al progetto di integrazione dei popoli dell'America latina come unico modo per affrontare l'incipiente imperialismo nordamericano, intuito da Martí nelle sue basi socio-economiche, ruota un intreccio di implicazioni politiche, filosofiche, culturali, artistiche. La dialettica costante tra esperienza e capacità di rielaborazione creativa sotto il profilo artistico e filosofico, che ha sempre trovato la sintesi sul piano dell'azione, rende l'opera multiforme di Martí un unico "sistema", alla cui costruzione permanente concorrono una molteplicità di trame e di percorsi, affidati a linguaggi diversi, dalla poesia all'articolo di giornale, dalla lettera al racconto per l'infanzia, dal teatro al romanzo. Accanto a studiosi, come il cubano Roberto Fernández Retamar, che hanno proposto una chiave di lettura complessiva dell'antimperialismo martiano, ve ne sono moltissimi altri che hanno affrontato il tema a partire dallo studio di specifici aspetti del pensiero e dell'opera di Martí, guardando ad esso da prospettive diverse, dalla critica letteraria, alla storia, all'antropologia, e contribuendo ad arricchirne la comprensione sempre più profonda. Purtroppo, se in America Latina e in primo luogo, ovviamente, a Cuba, gli studi martiani continuano ad essere fiorenti, e, in concomitanza con i processi di integrazione continentale in atto da circa quindici anni, vivono una fase di particolare fermento, altrettanto non si può dire dell'Europa, dove Martí è ancora poco conosciuto. Questo lavoro si propone di individuare e approfondire alcuni filoni tematici, seguendone il dipanarsi all'interno dell'opera martiana, con l'obiettivo di approssimarsi ad una visione di insieme della dimensione antimperialista del pensiero e dell'opera martiani, permettendo di indagarne la complessità attraverso l'analisi di alcuni testichiave, e di stabilire relazioni all'interno della sua produzione. Nel primo capitolo, ripercorrendo brevemente la traiettoria della vita e dell'azione di Martí, dalle cospirazioni giovanili alla fondazione e alla guida del Partito Rivoluzionario Cubano, strumento della guerra di liberazione, si metteranno in evidenza le tappe principali della presa di coscienza della sottomissione a cui andava assoggettandosi l'America latina ad opera della crescente potenza nordamericana, e della necessità di concepire la lotta di liberazione di Cuba dal dominio spagnolo all'interno di un progetto di integrazione continentale. Nel secondo capitolo verrà analizzata l'esperienza di Martí in Messico, Guatemala e Venezuela, mettendo in risalto il percorso che porterà il cubano a quella che Fernández Retamar, nel suo saggio Martí en (su) Tercer Mundo, ha chiamato «la rivelazione della "nostra America"»: nei tre paesi latinoamericani, Martí si inserisce nella vita politica e culturale, e assume progressivamente la coscienza della profonda unità del continente, che chiamerà "nostra America", e della necessità che il progetto di liberazione ed integrazione latinoamericana segua percorsi politicamente e culturalmente autonomi rispetto ai modelli delle metropoli coloniali. Si farà riferimento in particolare al lavoro portato avanti da Martí prima con il tentativo di pubblicazione della "Revista Guatemalteca" e poi con i due numeri della "Revista Venezuelana", per poi gettare uno sguardo alla visione martiana dei grandi uomini della "nostra America", degli "eroi" latinoamericani, prendendo in considerazione la relazione di Martí con la figura del Libertador Simon Bolívar. Il terzo capitolo è dedicato alle Escenas nortemericanas, il corpus degli articoli scritti da Martí durante il suo soggiorno di quindici anni negli Stati Uniti. L'esilio gli permise di conoscere a fondo l' "altra" America, quella a nord del Messico, caratterizzata dall'ascesa di un nuovo, feroce modello di sviluppo economico e culturale, che iniziava a rivelare in quegli anni le proprie ambizioni imperialiste verso l'America latina. Martí entra nel marchingegno del nascente imperialismo, cogliendone i fondamenti socio-economici e culturali, e il sostrato di sfruttamento e sottomissione, e descrivendolo nel caleidoscopio delle sue cronache, destinate a pubblicazioni giornalistiche di vari paesi latinoamericani e determinante terreno di sperimentazione per un profondo rinnovamento della lingua. Martí raggiunge una comprensione profonda dei caratteri della modernità nordamericana, da un lato fonte di stupore e di apprezzamento, dall'altro vista, nei suoi risvolti "mostruosi", come inadatta ad essere importata in America latina, oltre che come una delle cause stesse del permanere di quest'ultima in una condizione di arretratezza e sottosviluppo. Preso in esame il percorso che porta il cubano a cogliere le dinamiche dell'imperialismo statunitense, si analizzeranno alcune cronache che rivelano la visione martiana della modernità, e alcuni ritratti martiani di nordamericani, figure eminenti della politica e dell'arte contemporanee, attraverso i quali è possibile cogliere una strategia educativa rivolta ai lettori latinoamericani, attraverso la presentazione di modelli e antimodelli di comportamento: al centro delle cronache si colloca l'esigenza di mettere in guardia da un'adesione acritica a modelli alieni dalle specificità della "nostra America", e di denunciare il pericolo mortale costituito dall'imperialismo. Infine si prenderanno in considerazione, analizzando alcune cronache che raccontano gli scioperi operai e le proteste anarchiche del maggio 1886 a Chicago, le idee di Martí rispetto ai problemi sociali e al ruolo delle classi lavoratrici; le esperienze e le riflessioni elaborate negli Stati Uniti saranno determinanti al momento di gettare, pochi anni dopo, le basi teoriche e organizzative della guerra di liberazione, quando Martí riconoscerà negli operai e nei lavoratori i soggetti principali che avrebbero potuto condurre, in nome dei valori del lavoro e della giustizia sociale, la battaglia antimperialista. Negli anni trascorsi in America latina Martí ha individuato nel mestizaje, ovvero nel confluire di europei, indios, afroamericani nella costruzione dell'identità latinoamericana, il tratto distintivo di quella che ha chiamato "nostra America"; nel quarto capitolo si proverà ad approfondire questa concezione, rispondendo ad alcune domande, che chiamano in causa aspetti fondamentali dell'antimperialismo martiano. Qual è la visione martiana della storia dell'America latina? Quale posto occupano gli indios discendenti delle grandi civiltà precolombiane nel progetto di integrazione latinoamericana? Si ricostruirà, attraverso una selezione di testi, la concezione martiana della Storia del continente, e i tratti del suo pensiero indigenista, che risulta caratterizzato in senso antimperialista, distinguendosi nettamente dalla visione della componente indigena dell'America latina propria, ad esempio, del contemporaneo Domingo Faustino Sarmiento. Si vedrà come gli indios rappresentassero per Martí una delle componenti che concorrono alla definizione identitaria del continente, portatori di valori e forme di pensiero con cui ogni latinoamericano è chiamato a confrontarsi: ogni forma di razzismo nei loro confronti è rigettato. Martí immaginava l'America latina futura non come mera risultante di una coesione politica, ma come spazio nel quale si sarebbe realizzata pienamente l'identità "mestiza". In altre parole, riconosceva nitidamente che era la cultura il terreno dove si doveva giocare la partita politica. L'attenzione rivolta alla cultura come arma dei popoli oppressi da un sistema non ancora definito "imperialismo" ma del quale aveva colto di fatto i nodi più profondi, si traduce in Martí in una costante preoccupazione per la questione della formazione dell'uomo. Si vedrà come nella raccolta di racconti per bambini intitolata La Edad de Oro, diversi testi, come "El padre Las Casas" e "Las ruinas indias", sono dedicati alla presentazione di personaggi e vicende della storia del continente, nei quali emerge chiaramente l'importanza attribuita da Martí alla componente degli indios. Il quinto ed ultimo capitolo si propone di sviluppare alcune considerazioni a proposito della riflessione martiana sulla cultura. La letteratura e l'arte emergono, in relazione al suo progetto storico antimperialista, come una vera e propria esigenza strategica: l'arte coeva gli appariva inefficace in quanto non era espressione dei tempi, e se lo scopo di Martí era quello di raccogliere attorno alla cultura la frammentazione sociale del continente latinoamericano, non era possibile scindere il percorso verso l'emancipazione dell'America latina da un'arte che fosse all'altezza del progettato rinnovamento. Si metteranno in luce in particolare le caratteristiche dell'ideale di intellettuale e di uomo di lettere latinoamericano, impegnato attraverso la sua opera creativa nella battaglia per la liberazione del continente dal colonialismo culturale, e della nuova letteratura concepita da José Martí, valutando come in essa confluiscano i tratti principali dell'antimperialismo studiati in questo lavoro: si vedrà come essa debba essere riflesso del mestizaje, incorporandone tutte le componenti per tendere ad una espressione originale, che rifiuti la copia di stili e correnti letterarie proprie aliene dall'autenticità latinoamericana. Gli ideali martiani riguardo alla letteratura e all'arte avranno un'influenza fondamentale su molte delle correnti del '900 latinoamericano: risulta particolarmente interessante valutare i punti di contatto tra le idee espresse da Martí e la teorizzazione del "real maravilloso" da parte del cubano Alejo Carpentier, autore impegnato, in continuità con Martí, in una riflessione costante sull'identità latinoamericana, che attraversa tutta la sua opera di giornalista e di romanziere.
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Uno degli ambiti di studio al momento più ricchi di implicazioni per l'approccio geografico è la percezione sociale dell'incertezza associata ai cambiamenti climatici. In particolare, un contesto interessante è rappresentato dalla percezione del futuro da parte delle generazioni più giovani. Il presente studio, utilizzando una metodologia qualitativa, indaga alcune modalità attraverso cui il cambiamento climatico è percepito da alcuni giovani studenti di età compresa tra 16 e 20 anni di varia nazionalità che vivono in Sicilia. Attraverso un questionario elaborato ad hoc e una contestuale osservazione partecipante di tipo etnografico, ai giovani è stato chiesto di indicare sia le proprie conoscenze sul cambiamento climatico (apprese nei propri percorsi di formazione o attraverso i media), sia la percezione soggettiva del rischio che quest'ultimo potrebbe implicare nell'immediato e nel futuro, includendo le eventuali soluzioni/strategie di contrasto/adattamento messe in atto (che implicano comportamenti individuali e/o collettivi), nonché le possibilità di incidere sulle opportune politiche decisionali. Le interviste permettono non solo di ricostruire i modi in cui gruppi di giovani studenti guardano a una possibile crisi climatica, ma anche di riflettere sulle possibili modalità di intervento che si rendono utili o necessarie sul piano della formazione e della comunicazione delle emergenze ambientali. A tale proposito, il contributo evidenzia come le criticità rilevate negli ultimi anni dall'acceso dibattito sulla contrazione dell'insegnamento della Geografia presso la scuola secondaria di II grado in Italia confermino la necessità di azioni sistemiche in grado di valorizzare il sapere, l'approccio e la didattica della disciplina. ; Nowadays, one of the most significant study areas for the Geographical approach is the social perception of uncertainty associated to climate change. More in particular, an interesting context is represented by the perception of the future in teenagers and young adults. By using a qualitative methodology, this study explores some ways in which climate change is perceived by high-school students aged between 16 and 20 of various nationalities living in Sicily, Italy. Through the use of a questionnaire made ad hoc and a contextual ethnographic participant observation, young people were asked to provide information on what they knew on climate change (based on schooling and on general knowledge acquired from medias). Moreover, students were asked what their own perception of risk was, in the short and long term, connected to climate change also in reference to solutions/strategies - including individual/collective behaviors - adopted to contrast this global issue. Finally, questions focused on the possibility of influencing the appropriate decision-making policies. Interviews not only allow us to outline and explore the ways in which groups of young students look at a possible climate crisis, they also help us track innovative communication paths especially in school when debating on environmental emergencies. This paper thus also highlights the potential problems connected to the reduction of the amount of hours spent studying Geography in Italian high schools and supports the idea of taking action in order to promote this subject in the Italian national education system.
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In: Italian Political Science Review: IPSR = Rivista italiana di scienza politica : RISP, Band 13, Heft 1, S. 139-181
ISSN: 2057-4908
IntroduzioneSolo negli anni più recenti il fenomeno della rivoluzione ha trovato nelle scienze sociali statunitensi una significativa collocazione teorica nel repertorio dei processi che trasformano il sistema sociale. Nei primi due decenni del secondo dopoguerra lo struttural-funzionalismo e la teoria del pluralismo democratico, in virtò dell'influenza decisiva esercitata fin nella definizione dei paradigmi della scienza politica e della sociologia nord-americana, hanno orientato gran parte della teoria e della ricerca a sottolineare gli elementi di stabilità e di equilibrio del sistema e a trascurare quelli di conflitto. Uno spartiacque analitico ha, perciò, rimarcato una netta discontinuità tra la violenza collettiva (e la rivoluzione quale sua forma estrema) e il conflitto istituzionalizzato che rientra nel novero delle normali relazioni sociali. Sulla scorta di questa implicita, e tuttavia operante distinzione, si è arrivati ad ipotizzare una sostanziale similarità tra le cause che generano i movimenti rivoluzionari e i fenomeni di panico, le manie, le improvvise esplosioni di ostilità. Apparentato al sorgere di questo tipo di comportamenti collettivi, il problema della genesi della rivoluzione è stato spesso affrontato con un approccio socio-psicologico considerato come il più adeguato sul piano concettuale a comprendere fenomeni collegati a tensioni non sempre razionali. Anche nei casi in cui, con stretta aderenza al paradigma funzionalista, la rivoluzione è stata interpretata come una disfunzione multipla e simultanea dei sottosistemi sociali, l'insorgere del fenomeno è stato comunque ridimensionato a degenerazione patologica di sistemi che élites politiche competenti e flessibili possono prevenire con riforme ed iniziative adeguate ad evitare la diffusione della violenza politica e dello squilibrio sociale.
2010/2011 ; L'intento del mio lavoro è quello di offrire una presentazione e una lettura di una rivista, «L'Italia d'Oltremare», che uscì a Roma tra la fine del 1936 e il settembre del 1943. Si tratta di un quindicinale, diretto da Osea Felici e parzialmente finanziato dal Ministero delle colonie, che aveva come scopo dichiarato quello di avvicinare gli italiani alle questioni legate al neonato "impero coloniale" in Africa. Questa rivista, pur presentando alcune caratteristiche che la rendono degna di attenzione per il posto che occupa nella storia del colonialismo e del razzismo nella cultura italiana, non è mai stata studiata in modo sistematico. A differenza di altre testate dell'epoca, «L'Italia d'Oltremare» non fa riferimenti specifici ad atteggiamenti o posizioni dichiaratamente razziste, eppure tali discorsi si insinuano sottilmente tra le pagine acquisendo forza e rilevanza significative. Questo periodico, dunque, pur non offrendo ai propri lettori degli articoli in cui si faceva esplicitamente riferimento alle teorie e alle politiche razziali elaborate e messe in atto dal regime, riuscì ugualmente a diffondere stereotipi e luoghi comuni sugli abitanti dell'Africa in grado di incrementare sentimenti razzisti e di spiegare il senso e la necessità delle leggi razziali. Lo scopo di questo mio lavoro è quello di analizzare e riflettere sul modo in cui tutto questo riuscì a farsi strada, sulle diverse modalità di discorso adottate nei diversi articoli e dai diversi autori che scrissero sulle pagine dell'«Italia d'Oltremare», sulle costruzioni narrative che riuscirono a mettere in atto dispositivi di legittimazione del razzismo, senza per questo aderirvi apertamente. Il primo capitolo è dedicato alla presentazione della storia, degli obiettivi e degli argomenti dell'«Italia d'Oltremare». In un primo momento, fornisco dei "dati tecnici" funzionali sia alla lettura della rivista stessa sia alla sua contestualizzazione all'interno del panorama giornalistico contemporaneo. Successivamente, attraverso l'analisi del primo articolo pubblicato (La consegna), illustro gli obiettivi che il direttore e i redattori perseguivano. Infine, propongo una divisione degli articoli in cinque categorie: politica, economia, cronaca, cultura ed etnografia. Di queste, le prime quattro vengono considerate in questo capitolo, mentre, agli articoli etnografici è dedicata la parte successiva. La classificazione degli articoli in categorie tematiche mi permette da un lato di esporre gli argomenti trattati nel corso degli otto anni di vita del periodico, dall'altro di dimostrare come il tema del razzismo, pur non venendo affrontato da un gruppo specifico di scritti, attraversasse tutte le categorie individuate. Infatti, la rivista di Felici non insiste esplicitamente sull'immoralità della pratica del madamato, sull'accusa di «lesione del prestigio di razza» o sulle relative sanzioni previste dalla legge. Tuttavia, gli articoli di qualsiasi categoria sono pieni di riferimenti volti a sottolineare l'inferiorità razziale dei neri. Tale inferiorità assume una duplice funzione: giustificare il colonialismo e scongiurare il pericolo della contaminazione razziale. Nella seconda parte, mi concentro sugli articoli di argomento etnografico dell'«Italia d'Oltremare». Questo gruppo di articoli rappresenta il canale principale attraverso il quale la rivista di Felici veicolò sentimenti razzisti nei confronti delle popolazioni delle colonie. Dopo aver parlato del ruolo che il fascismo assegnò all'etnografia, presento i temi e i toni di un dibattito che si sviluppò tra il 1940 e il 1941 tra le pagine della rivista, a proposito del ruolo che questa disciplina avrebbe dovuto assumere in relazione alle politiche coloniali. Infine, illustro in che modo, attraverso quali immagini e con quali stratagemmi stilistici, gli autori degli articoli etnografici costruirono l'ambiente coloniale e i suoi abitanti. Le descrizioni etnografiche ripropongono in una veste "scientifica" idee e immagini dell'alterità africana già consolidate all'interno del senso comune. L'ultima parte di questo lavoro si concentra sull'analisi dei Prigionieri del sole (Vita dei concessionari di Genale), il romanzo di Dante Saccani, la cui prima parte è uscita a puntate sull'«Italia d'Oltremare» nel 1939. Dopo aver individuato le caratteristiche principali dei romanzi coloniali degli anni Trenta, cerco di inserire I prigionieri del sole all'interno del panorama letterario rappresentato da queste opere. Infine, mi concentro sul ruolo giocato dal razzismo che, nell'opera di Saccani, non solo determina le caratteristiche dei personaggi, ma svolge anche una funzione narrativa. Anche il romanzo, come gli articoli etnografici, ha, quindi, contribuito a diffondere un'immagine degradante degli abitanti delle colonie, costruita in opposizione a quella del uomo nuovo fascista e volta a consolidare negli italiani la certezza della propria superiorità razziale. Siccome la versione integrale del romanzo di Saccani non è mai uscita in volume, riporto in una prima appendice la parte dei Prigionieri del sole pubblicata dell'«Italia d'Oltremare», mentre, in una seconda appendice, pubblico gli indici complessivi della rivista, suddivisi per anno e per numero. ; XXIV Ciclo ; 1983
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La ricerca analizza la comunicazione delle organizzazioni non profit, con un focus sulla comunicazione universitaria. L'obiettivo principale è di verificare se l'utilizzo di contenuti mediali di tipo visuale sia una modalità idonea a rispondere alle strategie comunicative di una organizzazione non profit. In particolare, cercando di individuare quali elementi caratterizzano una strategia comunicativa efficace, senza trascurare la complessità di analisi dell'ambito considerato, quello dei social media, nel quale convergono fattori di diversa natura, tecnologici e sociali. Per individuare questi elementi comunicativi è stata analizzata la strategia comunicativa del PhD+17, evento formativo organizzato dall'Università di Pisa nei mesi di aprile e maggio 2017. Sono stati analizzati: i contenuti pubblicati sulle tre piattaforme più utilizzate nella strategia, Facebook, Instagram e Twitter; i post con più engagement utilizzando una scheda di analisi del contenuto; il network composto dai post e dagli utenti della strategia attraverso l'analisi di rete. I risultati principali indicano che l'inserimento di fotografie e i video nei post pubblicati genera un engagement più elevato rispetto ai post di solo testo, in particolare se il contenuto coinvolge utenti con una fitta rete di relazioni sociali sui social media. Lo studio dimostra, inoltre, che nella rete di relazioni i post contenenti video o fotografie sono il nodo che ha permesso a utenti in posizioni periferiche di entrare a far parte del network. La principale conclusione indica che l'utilizzo di materiale visuale nella costruzione di una strategia comunicativa di un'organizzazione non profit, e in particolare dell'università, è una valida risorsa per rispondere a obiettivi quali la promozione e documentazione di attività, la divulgazione di idee, di progetti e temi legati alla ricerca, l'interazione con il pubblico e che video e fotografie sono strumenti che consentono di ampliare la comunità di persone che segue un evento.
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In: http://hdl.handle.net/11573/918821
open ; DOTTORATO IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE Dott. Stefano LOFFREDI IL NUCLEARE COME CONFLITTO SOCIALE NEI NEW MEDIA (Dal Rinascimento nucleare a Fukushima) Il disastro della centrale nucleare di Fukushima avvenuto a seguito del terremoto giapponese dell'11 marzo 2011 ha confermato come i processi comunicativi dei media siano in grado di modificare la visione di un determinato oggetto sociale. Il fortissimo impatto avuto dalla diffusione delle notizie riguardanti tale evento hanno infatti indotto nella percezione dell'opinione pubblica un radicale cambiamento nei confronti della prospettiva sul nucleare. In brevissimo tempo si è passati da una visione possibilista, condensata nell'espressione simbolica Rinascimento Nucleare, ad una cornice interpretativa fondata essenzialmente sugli aspetti del rischio e dell'impatto derivante da tale scelta energetica. Questo processo di reinterpretazione dell'oggetto sociale nucleare è risultato abbastanza evidente anche nei media digitali, compreso il giornalismo on line preso in esame nella presente ricerca. L'ipotesi di partenza è quella che nei processi comunicativi anche i new media (e nel caso particolare l'editoria on line) costituiscono un attore sociale attivo e partecipe delle controversie. Tale ruolo viene esplicitato attraverso l'utilizzo di argomentazioni e parole chiave a cui vengono concessi diversi gradi di accessibilità e visibilità. Per valutare questa parte attiva si è scelto di confrontare l'approccio comunicativo di alcune testate on line in condizioni di normalità rispetto a situazioni di emergenza. E' stata quindi effettuata un'analisi del contenuto su un anno (novembre 2009 – ottobre 2010) di articoli, riguardanti il nucleare, pubblicati on line dalle tre testate giornalistiche di cronaca Corriere della Sera, la Repubblica e la Stampa, aventi il maggior numero di lettori web secondo la fonte Audipress. Di seguito è stata effettuata un'analoga analisi delle parole chiave da parte delle medesime testate durante la settimana successiva al disastro di ...
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Le ricerche e gli studi sull'iconografia musicale hanno riscosso in questi ultimi anni un notevole interesse. Per quando riguarda la Grecia antica, accanto alle fonti letterarie l'analisi e l'interpretazione delle pitture vascolari costituisce un'importante fonte documentaria per conoscere più a fondo la storia, le funzioni e le occasioni della musica nella vita sociale del tempo. In modo diretto, anche se attraverso le convenzioni dell'arte figurativa, i vasi ci forniscono infatti preziose informazioni sul ruolo della musica, e del singolo strumento musicale nei diversi contesti sociali e religiosi. L'obiettivo del presente lavoro è stato quello di tracciare, nelle sue linee essenziali, la storia dell'origine e dell' utilizzo del Barbitos sulla base sia delle fonti letterarie sia di quelle iconografiche. Questo metodo ha permesso di esaminare la questione, consentendo di capire come, nell'ambito più generale della musica i Greci distinguessero, a seconda dei contesti, i diversi tipi di melodie e di strumenti musicali. La ricerca è stata quindi suddivisa in cinque parti: nella prima si è esaminato, nelle sue linee generali, il ruolo della musica; nella seconda viene illustrata la morfologia dello strumento preso in esame con cenni di organologia; nella terza invece sono state prese in esame le fonti letterarie sull'origine e l'uso dello strumento nei diversi contesti, uno dei quali, quello della festività religiosa delle Antesterie, ci è sembrato meritevole di una parte tutta sua. L'ultima parte, la quinta, è costituita dal catalogo delle immagini vascolari organizzato in modo cronologico, in cui il barbitos compare. Non si tratta di un catalogo esaustivo, ma sufficiente a dimostrare quali fossero i contesti in cui lo strumento veniva usato e quale sia stato il periodo della sua utilizzazione. Ognuno dei vasi considerati è corredato di una scheda, comprensiva della bibliografia essenziale, rappresentata dalle opere di J.D.Beazley, Attic Red Vases, Attic Black Vases con Paralipomena e Addenda e del CVA. La documentazione figurativa costituisce uno straordinario patrimonio culturale la cui conservazione e studio rende possibile l'individuazione delle radici di uno degli aspetti dell'eredità culturale dell'Occidente profondamente influenzata dal pensiero greco: la funzione educativa della musica. Gli antichi autori greci, proprio nella musica, videro la guida indispensabile per l'educazione dell'uomo e del cittadino . E' meraviglioso poter affermare che le raffigurazioni, vero «specchio» dell'immaginario musicale degli antichi Greci , evidenziano il ruolo privilegiato affidato alla musica e consentono ancora oggi di essere a contatto con i luoghi e le occasioni delle esecuzioni musicali: dai rituali del culto, a quelli del matrimonio e della morte, dal simposio alla scuola, alla palestra, dalle rappresentazioni teatrali all'ambito militare, occasioni tutte in cui si faceva uso di uno o più strumenti musicali.
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