Zwischen den Stühlen: Studien zur Wahrnehmung des Alexandrinischen Schismas in Reichsitalien (1159–1177)
In: Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom Bd. 125
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From classical antiquity forward, a tradition developed in Rome of throwing the corpses of one's political enemies into the Tiber as an act of damnatio memoriae or deletio memoriae. Clement III (Wibert of Ravenna) met this unenviable fate. Pope Paschal II ordered that his remains be exhumed and thrown into the Tiber so that no trace of him would remain, either for future liturgical remembrance or for veneration by his followers, who regarded him as a saint, rather than as a dead antipope. This essay asks whether Clement's «burial» in the Tiber was carried out clandestinely or as an act of high political symbolism: a purification ritual witnessed by the public. It also sketches the lines of this tradition from the Roman period to the present, underlining the specific political contexts in which such acts of intended damnatio and deletio memoriae occurred. The word «intended» is crucial, as the Tiber, paradoxically, often turned out to be not so much an instrument of oblivion, which erased all memory of the condemned, as the stage upon which a particular tradition of recollection took shape. By means of public political acts and rituals purportedly undertaken to delete memory, memories of dead political enemies were instead rendered inelible by forming – always before the public eye – a negative or deliberately defaming memory, a damnatio in memoria. ; A partire dalla antichità classica, a Roma si sviluppò la tradizione di gettare nel Tevere i cadaveri dei nemici politici quale atto di damnatio memoriae o di deletio memoriae. Clemente III (Guiberto di Ravenna) incorse in questo destino poco invidiabile. Papa Pasquale II ordinò di esumare i suoi resti e di gettarli nel Tevere così che non rimanesse traccia di lui, né per una futura memoria liturgica, né per una venerazione da parte dei suoi seguaci, che lo consideravano un santo piuttosto che un antipapa morto. Questo saggio si interroga se questa "sepoltura" nel Tevere sia avvenuta clandestinamente o come un atto di alto simbolismo politico: una purificazione rituale con un pubblico a far da testimone. Il saggio tratteggia anche lo sviluppo di questa tradizione dall'età romana fino ai giorni nostri, sottolineando gli specifici contesti politici in cui avvennero tali atti di intenzionale damnatio e deletio memoriae. L'aggettivo "intenzionale" è cruciale, dal momento che il Tevere, paradossalmente, rivelava spesso di costituire non tanto uno strumento di oblio, che cancellava radicalmente la memoria del condannato, quanto lo scenario su cui una particolare tradizione di ricordo prendeva forma. Tramite atti politici pubblici e rituali presumibilmente intrapresi per cancellare la memoria, il ricordo dei nemici politici morti era invece squalificato alimentando – sempre agli occhi del pubblico – una memoria negativa o deliberatamente infamante, una damnatio in memoria.
BASE
A partire dalla antichità classica, a Roma si sviluppò la tradizione di gettare nel Tevere i cadaveri dei nemici politici quale atto di damnatio memoriae o di deletio memoriae. Clemente III (Guiberto di Ravenna) incorse in questo destino poco invidiabile. Papa Pasquale II ordinò di esumare i suoi resti e di gettarli nel Tevere così che non rimanesse traccia di lui, né per una futura memoria liturgica, né per una venerazione da parte dei suoi seguaci, che lo consideravano un santo piuttosto che un antipapa morto. Questo saggio si interroga se questa "sepoltura" nel Tevere sia avvenuta clandestinamente o come un atto di alto simbolismo politico: una purificazione rituale con un pubblico a far da testimone. Il saggio tratteggia anche lo sviluppo di questa tradizione dall'età romana fino ai giorni nostri, sottolineando gli specifici contesti politici in cui avvennero tali atti di intenzionale damnatio e deletio memoriae. L'aggettivo "intenzionale" è cruciale, dal momento che il Tevere, paradossalmente, rivelava spesso di costituire non tanto uno strumento di oblio, che cancellava radicalmente la memoria del condannato, quanto lo scenario su cui una particolare tradizione di ricordo prendeva forma. Tramite atti politici pubblici e rituali presumibilmente intrapresi per cancellare la memoria, il ricordo dei nemici politici morti era invece squalificato alimentando – sempre agli occhi del pubblico – una memoria negativa o deliberatamente infamante, una damnatio in memoria.
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In: Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom Bd. 125
Das Alexandrinische Schisma (1159–1177) wurde und wird vornehmlich als Konflikt zwischen Papst Alexander III. und dem Stauferkaiser Friedrich I. Barbarossa interpretiert. Die Arbeit untersucht aus landeshistorischer Perspektive die unterschiedlichen Wahrnehmungen dieser kirchenpolitischen Krise in Reichsitalien und hinterfragt, in welchem Umfang die von den konkurrierenden Parteien mit absolutem Anspruch eingeforderte Obödienz unterhalb der höchsten politischen Ebene tatsächlich zu einer klaren Positionierung zwang oder aber doch Möglichkeiten zu einer unverbindlicheren, vorsichtigen Reaktion zuließ. Vor allem die politischen Datierungen in der reichen privaturkundlichen wie auch inschriftlichen, z. T. noch unedierten Überlieferung Reichsitaliens lassen hier sehr differenzierte Wahrnehmungs- und Handlungsstrategien erkennen, die weit über eine reduzierte Entscheidung für oder gegen einen der konkurrierenden Päpste hinausweisen und uns eine Vorstellung davon vermitteln, wie die Urkundenschreiber und ihre jeweiligen Auftraggeber die hochbrisanten kirchenpolitischen Ereignisse ihrer Gegenwart in unterschiedlichen Kontexten der mittelalterlichen Schriftproduktion und Gesellschaft reflektiert und in ihre Lebenswelten eingeordnet haben.
BASE
In: Mainzer Beiträge zur Demokratiegeschichte Band 1