Negli ultimi anni stanno emergendo sempre più preoccupazioni sul costante aumento del consumo di carne animale a livello mondiale, spinto da un aumento esponenziale della popolazione ed un'occidentalizzazione degli stili di vita. Numerosi studi evidenziano un sistema di produzione alimentare industriale che oltre ad implicazioni negative sulla salute e stili di vita, sfocia in sfruttamento animale non etico ed un devastante impatto ambientale. Inquinamento, allevamenti intensivi, sfruttamento del suolo incontrano una nuova consapevolezza del cittadino del mondo, oggi molto più sensibile ai temi del cambiamento climatico (esempio sono le manifestazioni del Fridays for Future), impronta ecologica e diritti degli animali. Se a questa consapevolezza aggiungiamo un maggior interesse per la salute alimentare ed un corretto stile di vita, si definisce il profilo di una popolazione sempre più aperta a rinunciare ad alcune attività e pratiche fin ora comuni, ed accoglierne nuove più sostenibili. Tra queste pratiche la scelta alimentare, ovvero una delle prime e fondamentali libertà individuali, rappresenta la più importante. L'interesse ed accoglienza di scelte e comportamenti alimentari sostenibili caratterizzati dalla riduzione o eliminazione del consumo di carne, come il vegetarianesimo, veganismo ed il recente "Flexitarianesimo" (onnivorismo etico), oggi rappresentano un fenomeno comune. E come conseguenza, il mercato alimentare si è adattato alle richieste dei consumatori. Nel mondo oggi esistono milioni di ristoranti vegetariani e la scelta negli scaffali dei supermercati è molto ampia. Con l'evoluzione scientifica e delle tecnologie alimentari, negli ultimi anni però sono emerse nuove prospettive del mercato vegetariano. Gli analoghi della carne rappresentano infatti una rivoluzione alimentare: tali prodotti cercano di mimare il sapore, gusto e consistenza della carne animale pur essendo di origine vegetale. Di fatto la scienza moderna è riuscita nell'intento di incontrare l'innato e primordiale piacere del gustarsi la carne, i benefici di nutrienti dati dalla loro assunzione, con la scelta etica di non mangiare un derivato animale sia la possibilità di assumere nutrienti salutari vegetali. Ma la produzione di questi prodotti non è affatto semplice. Oggi tali prodotti sono ancora di nicchia o comunque hanno successo commerciale solo in alcuni paesi perchè presentano ancora numerosi difetti ed ostacoli. Dietro alla loro produzione vi è una profonda e non semplice ricerca scientifica di chimica del gusto, delle texture, degli aromi, dell'impatto nutrizionale e degli ingredienti al fine di ricreare un sapore simile alla carne. I prodotti di oggi sono in fase di miglioramento e di anno in anno si scoprono nuove soluzioni. Si aggiungono ostacoli sociali, ideologici e comportamentali, come le neofobie, contrasti con le diete tradizionali e controversie nutrizionali. Attualmente è in corso un dibattito sul ruolo nutrizionale ed il benessere dei moderni analoghi della carne. Da un lato, l'aumento del consumo di alimenti a base vegetale è generalmente considerato salutare ed i moderni prodotti analoghi della carne spesso soddisfano la composizione di macronutrienti dei prodotti a base di carne tradizionali. Tuttavia, l'aumento del consumo di alimenti ultra-processati ed il consumo ridotto di intere categorie alimentari possono provocare conseguenze nutrizionali indesiderate e francamente sconosciute. Pertanto, lo scopo principale di questa tesi è quello di indagare sulla letteratura scientifica disponibile e fornire una discussione sull'argomento dei moderni analoghi della carne. Data la stretta somiglianza di nuove alternative di carne a base vegetale alla carne tradizionale, si discuterà gli impatti del mangiare alternative a base vegetale rispetto alle carni animali, fornendo anche una discussione più ampia sugli effetti ecologici e sulla salute di tale sostituzione. Oltre ad indagare le controversie nutrizionali di questi prodotti e la loro sostenibilità ambientale, la tesi indagherà anche la loro storia, i motivatori etici ed i demotivatori dietro al loro consumo, l'esplosione nel mercato, le moderne tecniche di produzione e strutturazione, la scienza dietro lo sviluppo del gusto, la sicurezza tossicologica e l'inserimento/regolamentazione legislativa di questi prodotti rivoluzionari nel settore agroalimentare. L'interesse per l'argomento della tesi è stato sviluppato durante la mia esperienza di tirocinio Erasmus in Belgio (Gent, Fiandre). L'intera tesi sarà quindi supportata da immagini e nozioni empiriche laboratoriali legate alla mia esperienza di tirocinio svolta presso l'istituto di ricerca ILVO (Food Pilot), specializzato nei processi di produzione e texturizzazione degli analoghi della carne. L'attività svolta è rientrata all'interno del progetto TexProSoy (TexProSoy, 2019), concentrato sullo studio delle funzionalità delle proteine di soia negli analoghi della carne e le loro modifiche nel processo di estrusione ad alta umidità. Pertanto il materiale aggiunto riguarderà principalmente il funzionamento dell'estrusore e le analisi chimiche laboratoriali delle materie prime e derivati del processo. In recent years, more and more concerns have emerged about the constant increase in the consumption of animal meat worldwide, driven by an exponential increase in the population and a westernization of lifestyles. Numerous studies highlight an industrial food production system which, in addition to negative implications on health and lifestyles, leads to unethical animal exploitation and a devastating environmental impact. Pollution, intensive farming, land exploitation meet a new awareness of the citizen of the world, today much more sensitive to the issues of climate change (such as the events of Fridays for Future), ecological footprint and animal rights. If we add to this awareness a greater interest in food health and a correct lifestyle, the profile of a population increasingly open to giving up some activities and practices common until now, and welcoming new more sustainable ones, is defined. Among these practices the food choice, that is one of the first and fundamental individual freedoms, represents the most important. The interest and acceptance of sustainable food choices and behaviors characterized by the reduction or elimination of meat consumption, such as vegetarianism, veganism and the recent "Flexitarianism" (ethical omnivorousism), today represent a common phenomenon. And as a result, the food market has adapted to consumer demands. In the world today there are millions of vegetarian restaurants and the choice on the supermarket shelves is very wide. With the evolution of science and food technologies, in recent years, however, new perspectives of the vegetarian market have emerged. Meat analogs represent a food revolution: these products try to mimic the flavor, taste and texture of animal meat while being of vegetable origin. In fact, modern science has succeeded in the intent to meet the innate and primordial pleasure of tasting meat, the benefits of nutrients given by their intake, with the ethical choice of not eating an animal derivative and the possibility of taking healthy vegetable nutrients. . But the production of these products is not simple at all. Today these products are still niche or in any case have commercial success only in some countries because they still have numerous defects and obstacles. Behind their production there is a profound and not simple scientific research into the chemistry of taste, textures, aromas, nutritional impact and ingredients in order to recreate a flavor similar to meat. Today's products are being improved and new solutions are discovered year after year. Added to this, there are social, ideological and behavioral obstacles, such as neophobias, conflicts with traditional diets and nutritional disputes. There is currently an ongoing debate on the nutritional role and welfare of modern meat analogs. On the one hand, the increased consumption of plant-based foods is generally considered healthy and modern meat analogs often satisfy the macronutrient composition of traditional meat products. However, the increased consumption of ultra-processed foods and the reduced consumption of entire food categories can lead to unwanted and frankly unknown nutritional consequences. Therefore, the main purpose of this thesis is to investigate the available scientific literature and provide a discussion on the topic of modern meat analogs. Given the close similarity of new plant-based meat alternatives to traditional meat, we will discuss the impacts of eating plant-based alternatives to animal meats, while also providing a broader discussion of the ecological and health effects of such substitution. In addition to investigating the nutritional controversies of these products and their environmental sustainability, the thesis will also investigate their history, the ethical motivators and demotivators behind their consumption, the explosion in the market, modern production and structuring techniques, science behind the development of taste, the toxicological safety and the legislative regulation of these revolutionary products in the agri-food sector. The interest in the topic of the thesis was developed during my Erasmus internship experience in Belgium (Ghent, Flanders). The entire thesis will therefore be supported by images and empirical laboratory concepts related to my internship experience at the ILVO (Food Pilot) research institute, specialized in the production and texturing processes of meat analogs. The activity carried out is part of the TexProSoy project (TexProSoy, 2019), focused on studying the functionality of soy proteins in meat analogs and their modifications in the high moisture extrusion process. Therefore, the added material will mainly concern the operation of the extruder and the laboratory chemical analyzes of the raw materials and derivatives of the process.
Nell'ambito del dottorato si è sviluppata una ricerca etnografica sui temi dell'identità in un contesto di diversità culturale, quale quello dell'immigrazione italiana a New York. La ricerca, in particolare, indaga l'identità tra le generazioni, focalizzandosi, sul caso molisano come rappresentativo dell'emigrazione meridionale. L'interesse conoscitivo è stato quello di comprendere come i caratteri socioculturali e etnici, storicamente connotativi i primi emigrati, abbiano inciso sul processo di costruzione dell'identità italo-americana, a partire dall'accoglienza fino all'assimilazione nella società ospitante. Durante il suo svolgimento sul campo, il lavoro si è orientato anche verso l'origine degli stereotipi culturali associati all'identità italo-americana contemporanea, al fine di capire come tali fattori si siano sviluppati attraverso le generazioni di ascendenza meridionale/molisana. Una volta illustrato il contesto storico culturale generale, si presenta il caso di studio del Molise analizzato anche in chiave letteraria attraverso, cioè, le opere di scrittori molisani di spicco emigrati negli Stati Uniti: Dopo l'analisi sul caso di studio specifico, questa prima parte del lavoro si conclude con l'esame delle caratteristiche della società di arrivo. Nella seconda parte del lavoro si traccia il percorso metodologico che ha guidato l'intero progetto, quindi, si elaborano i dati raccolti e si presentano i risultati finali. L'indagine si basa su una metodologia qualitativa di taglio etnografico, che rispetta le caratteristiche tecniche proprie della ricerca sul campo, con finalità di tipo esplorativo e descrittivo. Le motivazioni scientifiche poste alla base della ricerca risiedono prioritariamente nell'analizzare l'identità, e le sue trasformazioni, nel corso delle generazioni anche da un punto di vista interculturale. A questo scopo, si è scelto di focalizzare l'attenzione sui giovani per capire cosa significa essere un italo-americano e quali sono le principali differenze rispetto ai predecessori. Si è, dunque, esaminata la natura dei legami con la terra d'origine e come essi emergono, si manifestano e si trasformano tra i giovani e tra le generazioni. Per meglio indagare questo ultimo aspetto, si è scelto il caso di studio specifico, quello del Molise, cercando di interpretare in che modo l'esperienza migratoria e la conseguente identità di origine è cambiata rispetto alla prima, alla seconda e alla terza generazione. Dall'analisi dei dati si rilevano differenze importanti riguardo l'identità e le generazioni. Sembra emergere l'esigenza di riscoprire le proprie radici culturali sotto una nuova prospettiva, più moderna e scevra dai pregiudizi, ma, che assicuri, allo stesso tempo, una certa continuità culturale. In questo senso, sembra che l'identità italiana sia in grado di aumentare la stima e il prestigio del gruppo di appartenenza, quindi, l'identità culturale all'interno di una società multietnica come quella newyorkese. ; The Ph.D research aims at analyzing the cultural identity in a context of change and diversity, such as the immigration experience. From this prospective, the research will be part of a community's study, focusing on the lingering effects of Italian Cultural Heritage (or its signs and traces) after almost two centuries of immigration in the New York City area. For these reasons, the attention will be focused on the new generations, which are interested in having links with their cultural origins. Some goals are:to analyze how the cultural identity has changed in the younger generations in order to reveal the awareness of their origins; to identify the key elements of Italian-American identity, in particular Southern-Italian origins, in order to highlight the formation and evolution of stereotypes through the years linked to Italian cultural; to track the paths of Italian-Americans, in particular of Molise origin, which still have a link (virtual, symbolic or direct) with their origins in order to analyze needs, conflicts, attitudes and values; to identify the crucial factors of the Italian-American immigration experience that can be usefull to deal with the recent immigration phenomenon in Italy; to analyze what is the cultural demand in the youngest generations and to understand how the Italian-American community provide a support for this demand.The research aims analyzed analyze Italian-American cultural identity in New York City and in particular how it has been changing among younger generations. Moreover, the research identified the key elements which describe Italian-American identity in order to understand what being an Italian-American means today despite advanced generations and mixed ancestry. In conclusion, the research provides an interpretative analysis on the cultural identity linked to the immigration process. The Italian culture plays an important role because certain goods (such as food, fashion, art, and creativity) exchanged during the relationships, seem to be more linked to the Italian life style then American. Summing this new form of expression/identification puts Italian-Americans in a historical and social continuum related to Italian immigration's experiences in New York, while at the same time, changes the perception about Italian-American identity linked to these experiences. Italian culture improves interactions without adopting an ethnocentric approach and it seems to have a positive effect on the identity development and psychological well-being of new generations of Italian descendants, especially in New York City where intercultural skills are increasingly required to handle cultural diversity in order to interact successfully within a multiethnic environment. ; Dottorato di ricerca in Relazioni e processi interculturali (XXV ciclo)
Trieste è stata, per un certo periodo di tempo, un privilegiato punto di osservazione sui principali fatti del mondo, in quanto sede di importanti compagnie di navigazione e di assicurazioni che fondavano i loro traffici e i loro interessi sulla raccolta e l'analisi puntuale della situazione internazionale. Infatti il giornalista triestino Silvio Benco dimostra notevole attenzione per la "geopolitica", una disciplina che si afferma alla fine del XIX secolo come strumento di interpretazione dei fatti della politica internazionale in relazione alla geografia terrestre. Grazie agli strumenti scientifici della geopolitica, egli è in grado di esaminare la trasformazione degli equilibri internazionali nei primi 50 anni del XX secolo, prestando attenzione ad alcuni aspetti molto importanti: la corsa agli armamenti delle grandi potenze europee per ottenere il predominio marittimo con spese così pesanti da pregiudicare l'economia dei singoli Stati; l'affermazione di nuove potenze (Giappone e Stati Uniti) che si contendono l'Oceano Pacifico e il declino dell'Impero russo messo in crisi dalla grave situazione interna; il declino dell'Europa dove i sistemi politici sembrano troppo fragili ed incapaci di dare vita ad una società realmente democratica, in essi prevalgono le spinte autoritarie e l'ascesa delle caste militari in pieno accordo con i circoli finanziari e industriali; la crisi balcanica che accelera il processo di dissoluzione dell'Impero austro-ungarico e dell'Impero ottomano, aprendo un pericoloso varco negli equilibri dell'Europa sud orientale. Infine, dopo la seconda guerra mondiale, Silvio Benco ripone molta fiducia nella possibilità di costruire un nuovo spirito europeo in considerazione degli errori che hanno portato ad un conflitto più terribile del precedente. Benco è consapevole che l'Europa ha esaurito il suo ruolo storico rinunciando da tempo alla cultura e allo spirito liberale, il continente sembra escluso dal futuro. La maggiore preoccupazione di Benco è la perdita di identità: egli è attratto dal progresso e dalla modernità ma guarda con diffidenza i grandi movimenti di massa che sembrano non controllabili. ; U određenom povijesnom razdoblju Trst je bio istaknuto mjesto za promatranje glavnih svjetskih događanja jer je bio sjedište važnih pomorskih i osiguravateljskih kompanija koje su temeljile svoj promet i interese na prikupljanju podataka i raščlambi međunarodne situacije. Tršćanski je novinar Silvio Benco pokazivao znatan interes za geopolitiku, disciplinu koja se krajem XIX. stoljeća potvrdila kao sredstvo za tumačenje događanja u međunarodnoj politici u odnosu na zemljopisne okolnosti. Zahvaljujući znanstvenom instrumentariju geopolitike bio je u stanju razmatrati promjene međunarodne ravnoteže u prvih pedeset godina XX. stoljeća posvećujući pozornost pojedinim vrlo važnim gledištima: utrci u naoružanju velikih europskih sila kako bi postigle pomorsku prevlast uz tako velike troškove da su naškodili gospodarstvu pojedinih država; potvrđivanju novih sila (Japana i Sjedinjenih Američkih Država) koje su se otimale za Tihi ocean i opadanju Ruskoga Carstva upaloga u krizu zbog teškoga unutarnjeg stanja; slabljenju Europe u kojoj su politički sustavi pokazivali krhkost i nesposobnost da oživotvore stvarno demokratsko društvo i u kojoj su prevladavala autoritarna stremljenja i uspon vojnih staleža u punoj suglasnosti s financijskim i industrijskim krugovima; balkanskoj krizi koja će ubrzati proces raspadanja Austro-Ugarskog i Osmanskog Carstva otvarajući opasnu pukotinu u ravnoteži Jugoistočne Europe. Konačno, poslije Drugoga svjetskog rata Silvio Benco vjerovao je u mogućnost izgradnje novoga europskoga duha s obzirom na pogreške koje su dovele do toga sukoba koji je bio strašniji od prethodnoga. Benco je bio svjestan da je Europa iscrpila svoju povijesnu ulogu odrekavši se odavno kulture i liberalnoga duha, da je kontinent izgledao isključen iz budućnosti. Glavna je Bencova preokupacija bila gubitak identiteta: bio je znatiželjan prema napretku i modernosti, ali je s nepovjerenjem gledao na velike masovne pokrete, za koje nije smatrao da ih je moguće držati pod nadzorom. ; At a certain point in history, Trieste was a crucial place for observing main political events due to its role as a centre of important naval and insurance companies which based their trade and interests on collecting data and analyzing the international affairs. Silvio Benco, a journalist from Trieste, showed interest for geopolitics, a discipline which proved to be a useful instrument for analyzing international political events in regard to geographical circumstances at the end of the 19th century. Thanks to the scientific instruments of geopolitics, he was able to investigate the changes in the international balance of the first half of the 20th century, giving much attention to certain important aspects: the arms race of great European countries over the domination of the sea which resulted in an expense so large that it damaged the economies of certain countries, the appearance of new political powers (Japan and United States of America) which fought over the domination of Pacific, the decline of Russian Empire which was in deep crisis because of hard inner turbulence, the weakness of European countries, whose political systems were becoming more fragile and were unable to properly shift towards democratic societies and were dominated by authoritarianism and the rise of military class with the full approval of financial and industrial circles; the crisis of Balkans which will accelerate the decline of Austrian-Hungarian Empire and Ottoman Empire, revealing a dangerous crack in the balance of South-East Europe. Finally, after Second World War, Silvio Benco believed that a new European spirit could be created considering the mistakes which created a conflict even more terrifying than the one before. Benco was aware that Europe's historical role had faded when it gave up its culture and liberal spirit, that the continent was excluded from the process of creating the future. Benco's main concern was the loss of identity: he was curious to see what the progress and modern times shall bring, but he did not trust the great mass movements, he believed they could not be kept under control.
Dottorato di ricerca in Diritto dei contratti pubblici e privati ; Il settore dei servizi pubblici locali, sulla spinta dell'affermazione del principio di concorrenza anche nei servizi di interesse economico generale ad opera dell'Unione europea, è stato oggetto di vari tentativi di liberalizzazione, contraddistinti dalla negazione della titolarità dei compiti di gestione in capo agli enti locali e fondati sull'obbligo della gara per l'affidamento della gestione a privati, principi cui seguivano, come corollari, la separazione delle funzioni di regolazione e programmazione da quelle di gestione e la contrattualizzazione dei rapporti con l'impresa. Si mirava così a delineare un assetto concorrenziale del mercato dei servizi ed a valorizzare la funzione regolatoria degli enti locali, mediante la generalizzazione del ricorso alla gara per l'affidamento della gestione. Il disegno riformatore ha però incontrato sulla propria strada ostacoli rilevanti che hanno impedito il raggiungimento dei risultati sperati in termini di miglioramento dell'efficienza ed economicità delle gestioni, oltre che di qualità dei servizi erogati nell'interesse dell'utenza. Le oscillazioni in merito all'obbligo della gara hanno vanificato l'obiettivo di una compiuta separazione tra funzioni di regolazione ed attività di gestione, compromettendo il conseguimento degli obiettivi di efficienza ed economicità delle gestioni, mentre quelli di qualità dei servizi erogati e di tutela dell'utenza sono risultati depotenziati dalla situazione di conflitto di interessi dell'ente. I ripensamenti del legislatore sembrano in realtà conseguenza diretta dell'inadeguatezza del modello di liberalizzazione delineato in origine. Questo, incentrato prevalentemente sull'obbligo della gara, è stato introdotto in un contesto rimasto immutato sotto il profilo della titolarità soggettiva delle funzioni di governo, ancora attribuite ai singoli enti locali, senza alcuna prova dell'effettiva capacità di questi di regolare le complesse dinamiche di un sistema di concorrenza per il mercato. Si ritiene allora che la liberalizzazione sia stata ostacolata principalmente dalla mancanza di un adeguato assetto organizzativo e regolatorio, funzionale all'apertura dei servizi pubblici locali alla concorrenza per il mercato. Infatti, bacini di gestione di dimensione comunale si sono rivelati spesso troppo ristretti per avere un'effettiva rilevanza concorrenziale, mentre gli enti locali hanno manifestato la difficoltà di provvedere adeguatamente alla regolamentazione dell'attività svolta dai gestori privati tramite il contratto di servizio, a causa dei fallimenti tipici dei mercati dei monopolistici. In questa prospettiva le riforme in atto nei servizi pubblici locali – specie in settori come il trasporto pubblico locale ed i servizi idrici - finalizzate a creare nuovi assetti della governance mediante un'effettiva organizzazione in ambiti di area vasta e con l'assegnazione di funzioni di regolazione ad autorità indipendenti, sembrano invece poter creare le condizioni per avviare un nuovo e più solido processo di liberalizzazione. L'attuazione di tali riforme dovrà però avvenire con la flessibilità necessaria per far fronte alle esigenze riscontrabili nelle diverse realtà settoriali e territoriali. Nel frattempo il legislatore ha continuato ad esprimere un generale principio di preferenza per il mercato introducendo specifiche misure con cui incentivare il ricorso alle gare, ma senza ristabilire un obbligo in tal senso. Viene così a configurarsi una disciplina sulle modalità di affidamento della gestione improntata alla flessibilità, utile per accompagnare il consolidamento dei nuovi assetti organizzativi. ; The field of local public services, through the affirmation of the principle of competition also on services of general economic interest by the European Union, has been the subject of several attempts of liberalization, characterized by the denial of management role in chief local authorities and based on the obligation of the competition to select a private operator, principles which followed, as corollaries, the regulation by contract of private economic activity and the separation of the functions of planning with those of management. It was intended to create a competitive structure of the market for services and to enhance the regulatory function of local authorities, through the generalization of the competition for the commission of the management. The design reformer has however encountered major obstacles in their way that prevented the achievement of the expected results in terms of improving the efficiency and economy of management, as well as quality of services provided in the interest of consumers. Fluctuations on the obligation of the competition they defeat the purpose of a complete separation between control functions and management activities, undermining the achievement of the efficiency and economy targets, while the quality of services provided and the protection of consumers were weakened by the conflict of interests of the institution. The thoughts of the legislator seem a result of the inadequacy of the model of liberalization proposed. This focused primarily on the obligation of the competition, was introduced in a context unchanged about subjective competence of government functions, attributed to the individual local authorities without any evidence of the concrete ability to regulate the dynamics of the competition for the field. Then it can be said that liberalization has been hindered by the lack of an adequate organizational and regulatory structure, functional opening of local public services to competition.Indeed, management areas of municipal size have proved often too small to have any real competitive relevance; moreover local authorities have expressed the difficulty of providing to regulate the activities of private operators through service contract, because typical failures of monopolistic markets. In this perspective, the recent reforms in local public services - especially in areas such as public transport and water services - designed to create new structures of governance through effective organization in wide areas and with the allocation of functions to independent authorities, seem to be able to create the conditions to launch a new process of liberalization. However, the implementation of these reforms will take place with the flexibility to meet the needs of the different sectoral and territorial situations. At the same time, lawmaker continued to express a general principle of preference for the market by introducing specific measures to promote competition, but it did not renew obligation of public tender. It is thus constitute a discipline characterized by the flexibility, useful to accompany the consolidation of the new organizational structure.
Fiorinda Li Vigni Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF) I. The Disobedience In Paradise lost John Milton outlines two different patterns of rebellion and disobedience, intended as attempts – destined for defeat – of a misleading self-affirmation in front of a Sovereign, at the same time God and Father. The recognition acquires thus a vertical and asymmetrical structure. With Satan, one of the great protagonists of the interior conflict that leads to evil, the rebellion makes use of a republican political lexicon; with Adam and Eve it focuses on the search for a reconciliation between divine will and free will. II. The Fight On the background of Milton's work, Hegel appears to move away from the vertical dimension of the political theology: subjectivity is not the starting point, but the result of the progressive acquisition of a spiritual and universal nature, through the horizontal encounter/clash between self-consciousnesses, in the figures of love, struggle and experience of "the doing of each and all". Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) I. The Archetypes Paradise lost by John Milton This text is the first stage of the trilogy of readings Scene del riconoscimento: Milton, Hegel, Camus. In this work – freely inspired by Paradise Lost by John Milton – Satan and Eve suffer because Father-God doesn't recognize their aspirations. II. Branches from Hegel From the Autobiografia di un servo This text is the second stage of the trilogy of readings Scene del riconoscimento: Milton, Hegel, Camus. In this work – freely inspired by the theme of recognition in Hegelian philosophy – an imaginary servant tells the story of his renunciations and indicates in the struggle for recognition a method for the social claim. Rosalba Quindici Hochschule der Künste Bern I. The Archetypes Paradise lost by John Milton musical score The musical score of the opera-reading The Archetypes "Paradise Lost" by John Milton is published here. Music is the result of an in-depth timbre research of the composer about the nature of percussion, but also of her specific investigation into the text of the opera-reading to obtain a full adhesion of sound to the word. II. Branches from Hegel From the Autobiografia di un servo musical score The musical score of the reading Branches from Hegel. From the "Autobiografia di un servo" is published here. Music is the result of an in-depth timbre research of the composer about the nature of the piano and its possible preparations, but also of her specific investigation into the text of the opera-reading to obtain e full adhesion of the sound to the word. Nera Prota Accademia di Belle Arti di Napoli Designing as a Flight of Ideas In many creative operations the final result is not the visible and legible sum of the elements that inspired it, on the contrary, they are no longer traceable in the object we observe, they are lost and only with a careful rereading of the design path is possible to bring than back to surface and tell them. In this essay the Author reconstructs and documents the process of elaborating the scenography for the trilogy of readings about the recognition. ; Fiorinda Li Vigni Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF) I. La disubbidienza Nel Paradise lost John Milton illustra due modi della ribellione e della disobbedienza, intesi come conati, votati alla sconfitta, di una malintesa affermazione di sé rispetto a un'istanza sovrana, allo stesso tempo Dio e Padre: il riconoscimento acquisisce in tal modo una struttura verticale e asimmetrica. In Satana, uno dei grandi protagonisti del conflitto interiore che conduce al male, la ribellione si colora di un lessico politico repubblicano; con Adamo ed Eva essa si incentra sulla ricerca della conciliazione fra volontà divina e libero arbitrio. II. La lotta Considerata sullo sfondo dell'opera di Milton, la riflessione hegeliana lascia trasparire l'abbandono di uno schema verticalizzato, di carattere teologico-politico, a favore di una costruzione orizzontale: la soggettività del singolo non è per Hegel punto di partenza, ma esito della progressiva acquisizione di una natura spirituale e universale, attraverso l'incontro/scontro orizzontale fra le autocoscienze, nelle figure dell'amore, della lotta, del saputo "operare di tutti e di ciascuno". Rosario Diana Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF-CNR) I. Gli archetipi Paradiso perduto di John Milton Si pubblica qui il testo della prima tappa della trilogia di opere-reading Scene del riconoscimento: Milton, Hegel, Camus. In questo lavoro – dedicato a Paradiso perduto di John Milton – Satana ed Eva soffrono per il mancato riconoscimento delle loro aspirazioni da parte del Dio-Padre. II. Diramazioni da Hegel Dall'Autobiografia di un servo Si pubblica qui il testo della seconda tappa della trilogia di opere-reading Scene del riconoscimento Milton, Hegel, Camus. In questo lavoro – liberamente ispirato al tema del riconoscimento nella filosofia hegeliana – un servo immaginario racconta la storia delle sue rinunce e indica nella lotta per il riconoscimento un metodo per la rivendicazione sociale. Rosalba Quindici Hochschule der Künste Bern I. Gli archetipi Paradiso perduto di John Milton partitura musicale Si pubblica qui la partitura musicale dell'opera reading Gli archetipi "Paradiso perduto" di John Milton. La musica è il risultato di una approfondita ricerca timbrica sulla natura delle percussioni compiuta dalla compositrice, ma anche di una sua indagine specifica sul testo dell'opera-reading finalizzata a ottenere una piena adesione del suono alla parola. II. Diramazioni da Hegel Dall'Autobiografia di un servo partitura musicale Si pubblica qui la partitura musicale dell'opera reading Diramazioni da Hegel. Dall'"Autobiografia di un servo". La musica è il risultato di una approfondita ricerca timbrica sulla natura del pianoforte e delle sue possibili preparazioni compiuta dalla compositrice, ma anche di una sua indagine specifica sul testo dell'opera-reading finalizzata a ottenere una piena adesione del suono alla parola. Nera Prota Accademia di Belle Arti di Napoli Progettare per fuga di idee In molte operazioni creative il risultato finale non è la somma visibile e leggibile degli elementi che lo hanno ispirato, al contrario, essi non sono più rintracciabili nell'oggetto che osserviamo, si perdono e solo con un'attenta rilettura del percorso progettuale è possibile riportarli in superficie e raccontarli. In questo saggio l'Autore ricostruisce e documenta il processo di elaborazione della scenografia per la trilogia di opere-reading su riconoscimento.
Le celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia offrono anche l'occasione per interrogarsi sulla storia e lo sviluppo di questo Paese, in particolare in riferimento alla cultura del mare e al sistema dei trasporti via acqua. In un paese peninsulare come l'Italia, con i suoi 7.500 chilometri di fronte d'acqua, la presenza dei porti è sempre stata elemento determinante per la crescita economica e per la sua affermazione sui mercati internazionali. Ma, dalla seconda metà del Novecento, le città e i loro porti sono andati progressivamente separandosi, determinando situazioni di forti contrasti e di continue tensioni. Solo più recentemente – a seguito della legge n. 84 del 1994 – nuove forme di 'dialogo' hanno consentito, in talune occasioni, di riavviare politiche di concertazione sui piani di sviluppo delle aree portuali e sul miglioramento della situazione delle zone urbane prossime ai porti. Per tutti questi motivi, l'occasione del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia può rappresentare un momento significativo per riprendere la riflessione sul ruolo dei porti italiani nella storia del nostro paese, ed, eventualmente, sul potenziale rafforzamento che essi possono subire, alla luce dei dati positivi ed incoraggianti dell'intero cluster marittimo in questi ultimi anni, almeno fino alla crisi congiunturale del 2008.Al tempo stesso, si può analizzare la complessa relazione porto-città, in un'ottica di mutuo riconoscimento delle rispettive esigenze e della volontà di sviluppare le proprie attività in un quadro di concreto ed efficace spirito di collaborazione, che richiede sia una maggiore conoscenza reciproca, così come una più efficace definizione degli obiettivi per il raggiungimento di una qualità urbana sostenibile e duratura.La progressiva globalizzazione dell'economia e la liberalizzazione del mercato hanno determinato una generale crescita degli scambi commerciali a livello mondiale e in particolare il bacino del Mediterraneo è diventato un centro di flussi di traffico Est-Ovest e Nord-Sud. L'Italia, posta al centro del bacino del Mediterraneo, è tornata ad essere oggi il crocevia delle più importanti direttrici di collegamento mondiale di merci e passeggeri, vivendo una stagione di intensa crescita nei traffici marittimi. Ad eccezione per quei porti caratterizzati da una forte presenza del segmento crocieristico che ha registrato livelli di crescita interessanti, la crisi congiunturale e globale del 2008 ha avuto effetti molto pesanti anche in questo settore (traffico merci su mezzi pesanti e traffico container). Si pagano alcune lacune storiche della portualità del Mediterraneo, e di quella adriatica in particolare, quali la mancanza di collegamenti terrestri via ferrovia da e per i porti, anche se le Autorità Portuali stanno cercando di colmare il ritardo sia dal punto di vista infrastrutturale che di sostenibilità ambientale, attraverso politiche di condivisione e convivenza tra il porto e il territorio circostante e in una rinnovata e diffusa 'cultura del mare' e del ruolo attivo e 'creativo' dei porti. Solo attraverso un approccio culturale e una reciproca educazione potrà emergere una nuova percezione del porto in città e della città nel porto. In realtà, esistono già segnali incoraggianti di una recente appropriazione – o ri-appropriazione – del porto in chiave positiva e di un recupero della cultura del mare in alcune città portuali italiane. Attraverso un processo lento e complesso, articolato in eventi diversi, sta maturando un nuovo 'sentire' nei confronti dei porti, visti in chiave di risorsa e di parte integrante di una città, purché essi rispettino alcune regole necessarie per una vita urbana sostenibile. ; The celebrations for the 150th anniversary of the Unification of Italy also offer the opportunity to question the history and development of this country, particularly in reference to the maritime culture and the system of water transport. In a peninsular country like Italy, with its 7,500 km of waterfront, the presence of ports has always been crucial to economic growth and its success in international markets. But the second half of the twentieth century, cities and their ports have been gradually separated, resulting in situation of conflict and ongoing tensions. Only recently – following the Law 84, 1994 - new forms of 'dialogue' have allowed, on certain occasions, to restart political consultation on the development plans of the port areas and on improving the situation of urban areas close to ports. For all these reasons, the occasion of the 150th anniversary of the Unification of Italy can be a significant moment to resume the debate on the role of Italian ports in the history of our country, and possibly increase the potential that they may have, according to the positive and encouraging data of the entire maritime cluster in recent years, at least until the economic crisis of 2008. At the same time, the complex relationship port-city can be analyzed, with a view to mutual recognition of their needs and to the development of their activities in a framework of practical and effective, cooperative spirit, which requires both a greater mutual understanding as well as a more effective targeting to achieve a lasting and sustainable urban quality. The gradual economic globalization and market liberalization have led to a general increase in trade globally and in particular the Mediterranean has become a centre of traffic flows East-West and North-South. Italy, located in the middle of the Mediterranean basin, is now once again become the crossroads of the most important lines of goods and passengers connected world, experiencing a period of intense growth in maritime trade. Except for those ports with a strong presence of the cruise segment, which recorded growth rates of interest, the global economic crisis of 2008 has had very heavy in this sector (freight traffic to trucks and containers). This is also due to some historical gaps of the Mediterranean ports, such as the lack of rail connections to and from the ports, although Port Authorities are trying to bridge the gap both in terms of infrastructural interventions and environmental sustainability, through policies of sharing and coexistence between the port and the surrounding area and through a renewed and widespread 'culture of the sea'. Since only through a cultural approach and mutual education will emerge a new perception of the port in the city and the city in the port. In fact, there are already encouraging signs of a recent appropriation of the port in a positive light and of a recovery of marine culture in several Italian port cities. Through a slow and complex process, articulated through different events, is gaining a new 'feeling' in relation to ports, seen in the key of a resource and as an integral part of a city, provided they respect certain rules necessary for sustainable urban living.
Le celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia offrono anche l'occasione per interrogarsi sulla storia e lo sviluppo di questo Paese, in particolare in riferimento alla cultura del mare e al sistema dei trasporti via acqua. In un paese peninsulare come l'Italia, con i suoi 7.500 chilometri di fronte d'acqua, la presenza dei porti è sempre stata elemento determinante per la crescita economica e per la sua affermazione sui mercati internazionali. Ma, dalla seconda metà del Novecento, le città e i loro porti sono andati progressivamente separandosi, determinando situazioni di forti contrasti e di continue tensioni. Solo più recentemente – a seguito della legge n. 84 del 1994 – nuove forme di 'dialogo' hanno consentito, in talune occasioni, di riavviare politiche di concertazione sui piani di sviluppo delle aree portuali e sul miglioramento della situazione delle zone urbane prossime ai porti. Per tutti questi motivi, l'occasione del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia può rappresentare un momento significativo per riprendere la riflessione sul ruolo dei porti italiani nella storia del nostro paese, ed, eventualmente, sul potenziale rafforzamento che essi possono subire, alla luce dei dati positivi ed incoraggianti dell'intero cluster marittimo in questi ultimi anni, almeno fino alla crisi congiunturale del 2008.Al tempo stesso, si può analizzare la complessa relazione porto-città, in un'ottica di mutuo riconoscimento delle rispettive esigenze e della volontà di sviluppare le proprie attività in un quadro di concreto ed efficace spirito di collaborazione, che richiede sia una maggiore conoscenza reciproca, così come una più efficace definizione degli obiettivi per il raggiungimento di una qualità urbana sostenibile e duratura.La progressiva globalizzazione dell'economia e la liberalizzazione del mercato hanno determinato una generale crescita degli scambi commerciali a livello mondiale e in particolare il bacino del Mediterraneo è diventato un centro di flussi di traffico Est-Ovest e Nord-Sud. L'Italia, posta al centro del bacino del Mediterraneo, è tornata ad essere oggi il crocevia delle più importanti direttrici di collegamento mondiale di merci e passeggeri, vivendo una stagione di intensa crescita nei traffici marittimi. Ad eccezione per quei porti caratterizzati da una forte presenza del segmento crocieristico che ha registrato livelli di crescita interessanti, la crisi congiunturale e globale del 2008 ha avuto effetti molto pesanti anche in questo settore (traffico merci su mezzi pesanti e traffico container). Si pagano alcune lacune storiche della portualità del Mediterraneo, e di quella adriatica in particolare, quali la mancanza di collegamenti terrestri via ferrovia da e per i porti, anche se le Autorità Portuali stanno cercando di colmare il ritardo sia dal punto di vista infrastrutturale che di sostenibilità ambientale, attraverso politiche di condivisione e convivenza tra il porto e il territorio circostante e in una rinnovata e diffusa 'cultura del mare' e del ruolo attivo e 'creativo' dei porti. Solo attraverso un approccio culturale e una reciproca educazione potrà emergere una nuova percezione del porto in città e della città nel porto. In realtà, esistono già segnali incoraggianti di una recente appropriazione – o ri-appropriazione – del porto in chiave positiva e di un recupero della cultura del mare in alcune città portuali italiane. Attraverso un processo lento e complesso, articolato in eventi diversi, sta maturando un nuovo 'sentire' nei confronti dei porti, visti in chiave di risorsa e di parte integrante di una città, purché essi rispettino alcune regole necessarie per una vita urbana sostenibile. ; The celebrations for the 150th anniversary of the Unification of Italy also offer the opportunity to question the history and development of this country, particularly in reference to the maritime culture and the system of water transport. In a peninsular country like Italy, with its 7,500 km of waterfront, the presence of ports has always been crucial to economic growth and its success in international markets. But the second half of the twentieth century, cities and their ports have been gradually separated, resulting in situation of conflict and ongoing tensions. Only recently – following the Law 84, 1994 - new forms of 'dialogue' have allowed, on certain occasions, to restart political consultation on the development plans of the port areas and on improving the situation of urban areas close to ports. For all these reasons, the occasion of the 150th anniversary of the Unification of Italy can be a significant moment to resume the debate on the role of Italian ports in the history of our country, and possibly increase the potential that they may have, according to the positive and encouraging data of the entire maritime cluster in recent years, at least until the economic crisis of 2008. At the same time, the complex relationship port-city can be analyzed, with a view to mutual recognition of their needs and to the development of their activities in a framework of practical and effective, cooperative spirit, which requires both a greater mutual understanding as well as a more effective targeting to achieve a lasting and sustainable urban quality. The gradual economic globalization and market liberalization have led to a general increase in trade globally and in particular the Mediterranean has become a centre of traffic flows East-West and North-South. Italy, located in the middle of the Mediterranean basin, is now once again become the crossroads of the most important lines of goods and passengers connected world, experiencing a period of intense growth in maritime trade. Except for those ports with a strong presence of the cruise segment, which recorded growth rates of interest, the global economic crisis of 2008 has had very heavy in this sector (freight traffic to trucks and containers). This is also due to some historical gaps of the Mediterranean ports, such as the lack of rail connections to and from the ports, although Port Authorities are trying to bridge the gap both in terms of infrastructural interventions and environmental sustainability, through policies of sharing and coexistence between the port and the surrounding area and through a renewed and widespread 'culture of the sea'. Since only through a cultural approach and mutual education will emerge a new perception of the port in the city and the city in the port. In fact, there are already encouraging signs of a recent appropriation of the port in a positive light and of a recovery of marine culture in several Italian port cities. Through a slow and complex process, articulated through different events, is gaining a new 'feeling' in relation to ports, seen in the key of a resource and as an integral part of a city, provided they respect certain rules necessary for sustainable urban living.
Tra le strategie di contrasto ai multiformi fenomeni criminosi afferenti al patrimonio culturale, riveste un ruolo cruciale l'affermarsi, a livello internazionale, del principio della responsabilità penale individuale. A fronte dell'attuale scenario internazionale, in cui i beni culturali sono stati sovente oggetto della furia iconoclasta di gruppi estremisti, la presente ricerca si propone di acclarare quale rilevanza penale sia riconosciuta dal diritto internazionale, in una prospettiva de iure condito, alla distruzione intenzionale del patrimonio culturale quand'anche questa sia svincolata dai conflitti armati. Onde risolvere tale queastio iuris, la ricerca adotta quel preciso ragionamento giuridico, sviluppato dai tribunali internazionali penali, al fine di affermare la responsabilità penale individuale per la violazione di norme internazionali. In specie l'indagine si occupa di verificare la sussistenza dei tre requisiti che, in ossequio alla giurisprudenza internazionale penale, sono necessari affinché un individuo possa ritenersi penalmente responsabile a livello internazionale per la distruzione di beni culturali: ovverosia, (a) l'esistenza di una norma internazionale che imponga un determinato obbligo di tutela dei beni culturali; (b) la produzione di serious conseguenze in seguito alla violazione della suddetta norma; (c) la generalizzata comminatoria della sanzione penale negli ordinamenti nazionali. Ciò posto, la prima parte del lavoro – avente perlopiù carattere introduttivo – è volta a fornire un inquadramento sistematico del corpus normativo posto a tutela del patrimonio culturale all'interno del sistema di garanzia dei diritti umani. In questo contesto, viene in evidenza come l'interesse del legislatore internazionale in materia si sia declinato in diversi approcci connotati, sia da una progressiva estensione della nozione di bene giuridico protetto, che dall'evoluzione della ratio di tutela perseguita. Al fine di dimostrare quanto detto, si analizza: in primo luogo il diritto internazionale umanitario, le cui disposizioni hanno riconosciuto un'immunità al patrimonio culturale nella sua consistenza materiale, salvaguardandolo dai danni, seppur collaterali, derivanti dalle ostilità armate; e in secondo luogo, la normativa di più ampio respiro che, abbracciando la più estesa nozione di cultural heritage, ha inteso la tutela del bene culturale quale componente essenziale del rispetto dei diritti umani. Una volta chiarita la genesi del sistema normativo, ci si sofferma funditus sulla evoluzione dello stesso, prestando particolare attenzione all'emersione di nuove finalità di tutela. Tramite l'analisi del law enforcement attuato dalla Corte di Strasburgo e dalla Corte interamericana dei diritti umani, in materia di diritti culturali dell'uomo, si provvede ad inquadrare gli obblighi internazionali a protezione dei beni culturali sotto la lente dei diritti umani. Passaggio, questo, che appare centrale onde comprendere la reale portata del divieto di distruggere il patrimonio culturale in qualsivoglia contesto, e non solo in quello bellico. Esaurita la trattazione concernente le norme primarie, ed individuata dunque la sussistenza di specifici obblighi internazionali, l'indagine si concentra poi sulle conseguenze scaturenti, sul piano secondario, in caso di violazioni. Avendo riguardo alle reazioni poste in essere nella Comunità internazionale, essenzialmente realizzate tramite forme istituzionalizzate, quali quelle dell'UNESCO e delle Nazioni Unite, ci si occupa di appurare il grado di gravità riconosciuto alla rottura della legalità in materia. Sicché, guardando al dato fattuale, cioè all'azione solidale ed istituzionale attuata dagli omnes in risposta alla distruzione iconoclasta, si ricostruisce la natura erga omnes del divieto di distruggere il patrimonio culturale, e più in generale degli obblighi protettivi a questo relativi. Acclarato che la distruzione deliberata del patrimonio culturale integra una violazione grave del diritto internazionale, l'ultima parte dell'indagine – che rappresenta forse quella più innovativa – è volta ad accertarne la rilevanza penale nell'ambito dei sistemi giuridici nazionali. Infine, seguendo un ragionamento induttivo, che muove quindi dalle esperienze nazionali, e che si colloca comunque in una prospettiva de iure condito, potrà evincersi l'esistenza o meno di un principio generale, comune agli ordinamenti interni, volto a responsabilizzare penalmente l'individuo per la distruzione deliberata del patrimonio culturale in tempo di pace. ; The principle of individual criminal responsibility plays a crucial role among all the different strategies to face the manifold criminal phenomena which currently undermine cultural heritage. Against the recent historical background, where the cultural heritage has been intentionally injured because of iconoclastic waves, the present research pursues a main objective, which can be summarized into the following query: is it possible to affirm the consolidation of the principle of the individual criminal responsibility vis-à-vis the intentional destruction of cultural property committed during peace time? In order to solve this question, the research follows the reasoning adopted by international criminal courts in order to affirm the principle of individual criminal responsibility for violations of international law. In particular the present work, which consists of two parts, aims to ascertain the fulfillment of the three criteria enunciated by the international criminal courts: (a) the existence of rules of international law laying down a specific obligation to protect cultural property; (b) the production of serious consequences in case of violation of such rules; (c) the generalized criminalization, into national legal systems, of a such offence. Consequently, the first part of the work – of an introductive character – is addressed to a systematic overview of the relevant legal framework, whose evolution highlights how the international tools have been characterized by either a progressive extension of cultural good notion, or an evolution of the pursued ratio legis. Therefore, the analysis takes moves from the ius in bello norms which have granted an immunity to cultural property, based on its civilian character and aiming to prevent those damages which are typically caused by armed conflicts. Finally, and especially, it considers those norms of a wider scope which – embracing the broader notion of cultural heritage – have interpreted the cultural property protection as a constituent part of the human rights protection system. Thus, addressing the attention on the most recent achievements of this evolutional process, the research turns to those legal instruments – such as Article 27 of the Universal Declaration of Human Rights (1948) and Article 15 of the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights (1966) – whereby the international obligations related to cultural property could be interpreted as tools to defend a humankind interest, namely the peaceful enjoyment of the cultural rights: i.e. the right to take part to cultural life, as well as the right to have a cultural identity. However, the pivot of the present research is its second part, which is focused on the consequences deriving from the violations of the relevant international rules protecting cultural property and, consequently, from the cultural rights infringements. Indeed, the second part intends to establish whether the Rome Statute provisions has been overtaken by new rules of customary international law, according to which the intentional destruction of cultural heritage constitutes, besides a war crime, even a crime against humanity. To this scope, the analysis deals with the reactions that international actors have implemented for facing the iconoclasm plague. In order to ascertain the criminalization degree, the work firstly focuses on the pertinent case-law of the international criminal tribunals: indeed it is known that the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia before, and the Extraordinary Chambers in the Courts of Cambodia then, have already condemned the intentional attacks directed against cultural sites as crimes against humanity sub specie of persecution. Ultimately, the object of the last part is represented by the national legal systems, whereby it is given to retrace the criminal relevance degree which is recognized to the destruction of cultural heritage.
Civis oeconomicus e civis communis, sono le due figure antropologiche, animate da un eterno polemos figurato, attraverso cui in questo lavoro di ricerca abbiamo provato a raccontare la frattura tra due modelli dicotomici di cittadinanza e a ricostruire le trasformazioni dell'economia, delle istituzioni e delle tecniche di governo in era neoliberale nonché la crisi della cittadinanza politica moderna e le possibilità di reazione, resistenza, conflitto che si affacciano sul pianeta. Quella che abbiamo sottolineato a più riprese è in effetti proprio la novità drammatica di queste due figure antropologiche. Da una parte quella che racchiude nella sua stessa definizione i risultati della progressiva subalternazione della politica all'economia e dall'altra quella che alla luce di una inedita ridefinizione dei criteri d'inclusione in chiave economico-finanziaria, decide di sottrarsi e di scrivere, simbolicamente e non solo, nuovi statuti di cittadinanza. Di fatti, ripercorrendo le fasi di lenta affermazione delle tecniche politiche neoliberali e della retorica da esse generatesi, abbiamo ricostruito le forme della distruzione del vincolo biunivoco in cui erano stretti governanti e governati. Quello per cui un contratto sociale prevedeva, in cambio del rispetto di una serie di doveri, l'ottenimento di una serie di diritti. Abbiamo certo sottolineato come la stessa modernità, alcova di questa idea di cittadinanza fondata sulla scambiabilità tra diritti e doveri, sia stata influenzata dalla definizione liberale dell'homo oeconomicus, autocentrato, autoreferenziale, concentrato sul proprio interesse e sull'accumulazione di profitto singolare, anche a scapito del benessere della collettività. Abbiamo in effetti individuato, con l'aiuto di alcuni autori e autrici del pensiero politico contemporaneo, la presenza della frontiera economica, vale a dire di un criterio d'accesso alla cittadinanza assolutamente monetizzato già dalle prime formulazioni della cittadinanza moderna, proprio perché essa era del tutto influenzata dal paradigma antropologico legato all'individuo proprietario. Il liberalismo e la sua retorica di promozione della libertà controllata del soggetto proprietario, è di fatti lo sfondo che ha circondato la scrittura di una parte consistente delle costituzioni occidentali moderne ed ovviamente contemporanee. La civitas oeconomica è dunque il terreno di sperimentazione delle tecniche governamentali più spregiudicate, la preda di tutte le forme di bio-potere, la destinataria della costruzione del bio-iritto, la vittima delle pratiche di sacrificio collettivo e al contempo la protagonista dell'utopia della salvezza. Contro di essa, senza più tenere in conto la negoziazione con le carte dei diritti degli stati, si costituisce una cittadinanza di segno assolutamente opposto, la civitas communis. Essa, partendo dalle condizioni drammatiche che abbiamo elencato, sceglie delle linee di fuga differenziali, certamente condizionate dallo spazio materiale su sperimenta la propria inedita forma di legame sociale. La cittadinanza comune, come si legge nell'ultimo capitolo, appare sempre più spesso nei contesti urbani e si organizza, sempre collettivamente, per ritessere le fila dell'accesso ai diritti. Non chiedendo allo Stato, ma costruendo da sé nuove condizioni di accesso, di uso e di valorizzazione non monetaria. È evidentemente una figura non egemonica ma costante sullo spazio planetario. È la figura che difende innanzitutto con il proprio corpo le risorse primarie dalla privatizzazione e dunque dalla monetizzaizone dell'accesso, ma è anche la figura che ri-abita interi pezzi di città votati all'abbandono e ne fa erogatori di diritti e servizi che non hanno bisogno della ratifica del pubblico. Essa è tuttavia anche la condizione di cittadinanza che è la risultante del conflitto tra verticalizzazione dei processi decisionali e pratiche di disobbedienza delle istituzioni di prossimità. È la figura che prova a raccontare le resistenze collettive alla solitudine e all'atomizzazione neoliberale, la rivendicazione di qualunque diritto sottratto dalla mercatizzazione, la cittadinanza che ricostruisce il rapporto con il territorio e gli restituisce voce e dimensione. Non si muove in uno spazio vacuo come il cittadino economico. La civitas communis è di fatti una pratica di cittadinanza iperattiva, legata radicalmente alla prassi e all'azione politica. Il suo campo d'azione è pieno di corpi e di vita. ; Civis oeconomicus and civis communis are the anthropological figures, moved by a continous and figurative polemos, through which in this research work we've tried to narrate the fracture between two dichotomous models of citizenship and to reconstruct modern and contemporary traformation of politica economy, of istitutions, of government techniques in neoliberal era, as well as the crisis of modern poltical citizenship and the social reaction to this crisis. What we have underlined the dramatic novelty represented by these two figures. On the first hand the one that encloses in its own definition the subission of politics to economy (civis oeconomicus) and on the second hand the one which, according to the redefinition of inclusion's criterias, decide to write new citizenships statutes. Following the steps of slow affirmation of neoliberal techniques of government, we have registered the total destruction and decostruction of the bijective act between rulers and ruled. The act which provided poltical and social rights in exanghe for political and social duties. We have also noticed how the modernity, alcove of this idea of citizenship focused on exchangeability of rights and duties, has been influenced by the liberal definition of homo oeconomicus, self-centered, selfreferential, concentrated on its own interest and on the accomulation on its personal profit even if at the expense of the community. The research work for these reasons signal the existence of a "economic border" as criteria of access to citisìzenship, since from the earliest formulations of acts social right and duties just because of the influence of liberal paradigma focused on the anthropological figure of indidividual-proprietor. The liberalism and its rethoric of promotion of controlled freedom is the background which had surrounded the writing of a big part of the modern and conteporary costitutions. So civis oeconomicus is the experimentation ground of unscrupulous governamntal techniques, prey of alle the forms of bio-power, victim of all the practices of collective sacrofices. Against this form of citizenship we have individuated an opposite one, civitas communis. Starting from the dramatic features of civitas oeconomica, decide for the escape. Commune citizenship, as is possibile to read in the last chapter of thins work, appears in urban context and subverts access criteria to social rights. It doesn't ask anything to the State, but creates alone new conditions of inclusion. Is obiviously a not economnic figure but permantent in the planetary space. Is the figure which defend with its body primary sources from the privatization, but also the figure which recover abbandoned spaces in the city and returns themselves to collective use, providers of social services and rights. Its is the result of the conflict between verticalization of decisional processes and disobedient practices.
L'elaborato approfondisce la disciplina organizzativa degli obbligazionisti (artt. 2415-2420 cod. civ.) nella duplice prospettiva della dialettica tra diritti individuali e diritti collettivi di ciascun portatore del prestito e della possibile interferenza sul modello di legge di assetti organizzativi di natura convenzionale. Le disposizioni dedicate all'organizzazione degli obbligazionisti, per quanto limitate nel numero, rivestono una spiccata rilevanza nel più ampio sistema del diritto societario e dei mercati finanziari, sia per i riflessi dogmatici ed applicativi dei quesiti interpretativi che le stesse pongono, sia per la pluralità di interessi, compositi e sovente tra di loro confliggenti, che in esse tentano di trovare un difficile equilibrio e contemperamento. Tra i profili più delicati e controversi della disciplina si segnala indubbiamente l'attribuzione ex lege all'assemblea degli obbligazionisti di una serie di poteri e competenze (art. 2415 cod. civ.) che, entro taluni limiti, le consentono di porsi quale interlocutore unico dell'emittente e di approvare – a maggioranza – modificazioni, anche peggiorative, degli originari assetti negoziali dell'operazione di prestito. Si è infatti alimentato nel tempo un intenso e mai sopito dibattito su quale sia la reale portata di tali competenze assembleari e quali, di contro, le materie che debbano in ogni caso ritenersi sottratte alla disponibilità della maggioranza per essere rimesse al consenso individuale di ciascun obbligazionista. Ripercorrendo anzitutto i termini e lo stato attuale del dibattito, l'elaborato affronta e sviluppa la questione proponendone una diversa e più attuale chiave di lettura ed inquadrandola nel più ampio contesto della progressiva evoluzione del diritto societario e concorsuale e segnatamente degli sviluppi normativi più di recente intervenuti nel settore del c.d. "diritto della crisi d'impresa", nel quale la deviazione dalle regole di diritto comune e lo spazio assegnato al principio maggioritario divengono sempre più centrali e dirompenti, anche e soprattutto per la posizione dei creditori obbligazionisti. Il rapporto tra prerogative individuali ed azione collettiva potrebbe da questo angolo visuale assumere connotati ben diversi, a seconda che la volontà del gruppo creditorio debba essere espressa all'interno ovvero al di fuori delle procedure concorsuali, avuto riguardo in particolare alle cc.dd. procedure di composizione concordata della crisi. Nella prospettiva appena delineata, le richiamate procedure potrebbero rappresentare la sede di estensione massima delle competenze assembleari, anche in ragione dei presidi e rimedi ivi specificamente posti a protezione dei creditori dissenzienti, e al contempo costituire un importante parametro di riferimento per valutare quanto esteso (ovvero quanto circoscritto) possa essere il terreno d'azione dell'assemblea ove si tratti invece di alterare le originarie condizioni del prestito in via del tutto extra-concorsuale. Una volta ricostruita – anche con il supporto del dato comparatistico – la linea di confine tra competenze assembleari e prerogative individuali degli obbligazionisti dentro e fuori dalle procedure testé richiamate, verrà quindi posto il tema dell'eventuale interferenza dell'autonomia contrattuale rispetto agli assetti organizzativi tracciati dal legislatore, indagandosi in particolare la legittimità (o meno) di pattuizioni in deroga, siano esse modificative, integrative od anche sostitutive, rispetto al modello di legge. L'analisi sarà sviluppata muovendo anzitutto dalla natura degli interessi protetti dalla disciplina allo scopo di verificare, tra l'altro, (i) se sussistano profili di interesse pubblico o comunque interessi di natura sovraordinata che, da un punto di vista di diritto materiale interno, giustifichino una più o meno marcata compressione della libertà negoziale delle parti, vincolandole alla struttura organizzativa prevista dal codice civile, nonché (ii) nella prospettiva di diritto internazionale privato e volgendo precipuamente lo sguardo alle emissioni realizzate all'estero da parte di società italiane, se i profili di interesse generale o di ordine pubblico eventualmente ravvisati ne rendano necessaria l'applicazione anche oltre il territorio nazionale, per il sol fatto che l'operazione, sebbene collocata all'estero e legittimamente sottoposta a legislazione straniera, sia realizzata da un emittente italiano. Lo studio torna quindi ad occuparsi dell'equilibrio tra gruppo e individuo nelle dinamiche decisionali collettive, approfondendo in particolare le forme di tutela degli obbligazionisti dissenzienti ma in minoranza rispetto a condotte abusive della maggioranza e più in generale i rimedi disponibili a fronte di eventuali interferenze di interessi "esterni" o "atipici" all'interno dei predetti processi decisionali. Ci si interroga, da ultimo, circa la possibilità di rafforzare le richiamate forme di tutela e di affermare regole più efficaci e pervasive di prevenzione (oppure di soluzione) dei conflitti in presenza di un assetto organizzativo di natura pattizia. ; The thesis considers the rules of organization of the bondholders laid down in Articles 2415-2420 of the Italian civil code. The analysis focuses in particular on the dialectic between bondholders' collective and individual rights, as well as on the potential interference of contractual schemes – as from time to time developed by the relevant market practice – over the collective legal framework. The rules of the Italian civil code relating to the bondholders' collective organization appear of paramount importance both in light of the significant hermeneutic and practical issues arising from their interpretation and application, and for the plurality and variety of interests (indeed, often conflicting) that such rules try to harmonize and balance. In this context the powers granted by the Italian legislator to the bondholders' meeting to approve also potentially detrimental amendments to the original terms and conditions of the bonds, are still and strongly disputed by scholars and commentators. Once analyzed the main terms of the dispute and the state of the art, the thesis proposes to put into context the issue under discussion taking into account the progressive development of corporate and bankruptcy Italian legal framework, also considering the reforms recently enacted in respect of insolvency and formal creditors' composition procedures, where the majority rule reveals to increasingly play a key role also and especially in connection with the bondholders' rights and position. The balance between individual prerogatives and collective action depends on whether the bondholder's consent is requested within or outside of a creditors' composition procedure. In this perspective, the above procedures may be regarded as the place of wider and maximum extension of the majority powers, also in light of the specific safeguards and legal protections in favor of dissenting creditors, and at the same time constitute a significant parameter to assess the scope and limits of application of the majority rule when amendments are proposed to the bondholders outside of a formal creditors' composition procedure. The analysis then focuses on the possible intersections between legal and contractual collective schemes, addressing in particular the issue of the actual validity and enforceability of bond's terms and conditions providing for contractual collective rules that supplement, derogate or even replace the rules of organization laid down in the Italian civil code. The issue will be primarily explored moving from the nature of the interests protected by the Italian legislator through the legal organization of bondholders in order to assess, among others, if (i) general, public or in any event ultra partes interests are involved therein so that the collective legal framework should be deemed to qualify, under an Italian law perspective, as mandatorily applicable to the parties of the bonds' issuance and (ii), from an international law perspective, if the involvement of any general or public interests implies that such legal framework should apply to any and all bonds' issuances carried out by Italian companies, although listed on a foreign market and even if the relevant terms and conditions are subjected to a foreign law and jurisdiction. The thesis will then explore the protections of minority bondholders in the context of the majority resolution processes against abuses of majority and, more in general, against the interference of any "external" or "atypical" interests. In this connection, it will be also investigated the possibility to improve the protections available to the dissenting bondholders and to trace most effective methods to prevent and manage conflicts of interests when a contractual (rather than legal) collective scheme is applicable to a given bond's issuance transaction.
La ricerca mira a inquadrare l'evoluzione degli ambienti politici risorgimentali di impronta moderata attivi negli anni che hanno immediatamente preceduto il conseguimento dell'unità nazionale, con un'attenzione concentrata soprattutto sulla Società Nazionale, prima ed unica organizzazione strutturata capace di fare da contraltare al "partito" mazziniano e, più in generale, alle forze d'ispirazione democratica. Stabilendo come torno di tempo quello che corre dalla caduta della Repubblica Romana (settembre 1849) agli anni cruciali per l'unificazione italiana (1859-61), questo lavoro punta a ricostruire l'itinerario politico di quei numerosi patrioti che, muovendo da una cultura democratica o di stampo repubblicano, all'indomani del fallimento della stagione rivoluzionaria quarantottesca entrarono in profondo conflitto con gli ambienti mazziniani e iniziarono, sulla scorta dell'esperienza fatta nell'ambito dei governi provvisori e costituzionali, ad elaborare soluzioni politiche alternative per il raggiungimento dell'unità e dell'indipendenza d'Italia. L'analisi di questo inedito contesto politico muove dall'esperienza dell'esilio, un passaggio chiave nelle vicende di molti dei protagonisti del Risorgimento italiano, con una specifica attenzione alla vicenda di Daniele Manin, che nella seconda metà degli anni '50 da Parigi diventerà figura cardine e punto di riferimento per una vasta rete di liberali moderati, ex democratici, federalisti. Gli studi più recenti sulla simbologia risorgimentale e sulla mitizzazione di alcune figure di questa stagione sono stati messi in rapporto con la documentazione d'archivio per tracciare un profilo del ruolo di Manin sulla scena sociale e politica parigina non soltanto come influente propagatore delle ragioni della nazione italiana, ma anche come figura simbolica, capace di incarnare il prototipo dell'uomo di Stato virtuoso e del patriota equilibrato lontano dagli eccessi rivoluzionari. La scelta di focalizzare l'attenzione sul contesto parigino è stata dettata, oltre che dalla carenza di studi sull'esulato italiano in Francia nel cosiddetto decennio di preparazione, dalla constatazione che in questi anni la capitale francese iniziava a distinguersi come un vero e proprio laboratorio politico per i patrioti italiani. Personaggi come Giuseppe Montanelli o Aurelio Saliceti emergono per la propria iniziativa e per un'elaborazione politica autonoma, rappresentando altrettante alternative al progetto, destinato a prevalere per una maggiore organicità, facente capo a Manin. Esperimenti di stampo democratico come quello del Comitato Latino o tentativi di revival bonapartista come quello murattiano finirono infatti per condizionare l'articolazione della futura Società Nazionale, la cui elaborazione ideologica fortemente debitrice dal pensiero di Gioberti è stata approfondita anche grazie alle corrispondenze fra gli esuli italiani in Francia. Un processo non di mera riproposizione delle teorie contenute nel Rinnovamento condotto da Giorgio Pallavicino Trivulzio, referente torinese di molti esponenti dell'esulato italiano a Parigi e sodale di Manin nella costruzione del nuovo soggetto politico. La collaborazione fra Manin e Pallavicino Trivulzio nel consolidare la proposta politica della Società Nazionale e nel propagandarne il pensiero negli ambienti rappresenta un ulteriore aspetto preso in esame dalla ricerca, che ha teso a identificare le diverse anime dell'organizzazione analizzando nello specifico il salto di qualità rappresentato dall'ingresso nella compagine di Giuseppe La Farina, capace di trasformare il nascente partito da efficace macchina propagandistica e di mobilitazione a favore della causa italiana in una struttura articolata, aperta all'adesione di ampie fasce della popolazione, diffusa sul territorio della penisola attraverso dei comitati locali coordinati da quello centrale di Torino, dotata di un organo di stampa ufficiale e orientata, pur con tutti i limiti del caso, verso un'univoca ideologia, facendone insomma un proto-partito politico. ; The research aims to frame the evolution of the Risorgimento moderate political environments active in the years that immediately preceded the attainment of national unity, with attention focused mainly on the National Society, the first and only structured organization able to act as a counterpart to the Mazzini "party" and, more in general, the forces of democratic inspiration. Taking into account what runs from the fall of the Roman Republic (September 1849) to the crucial years for the Italian unification (1859-61), this work aims to reconstruct the political itinerary of those numerous patriots who, moving from a democratic culture or from a culture of republican inspiration, in the aftermath of the failure of the revolutionary 1848 season, they entered into a profound conflict with the Mazzinian environments and began, on the basis of their experience in the provisional and constitutional governments, to develop alternative political solutions for the achievement of the unity and independence of Italy. The analysis of this unprecedented political context moves from the experience of exile, a key passage in the events of many of the protagonists of the Italian Risorgimento, with specific attention to the story of Daniele Manin, who in the second half of the 50s from Paris will become a pivotal figure and a point of reference for a vast network of moderate liberals, former democrats and federalists. The most recent studies on the symbolism of the Risorgimento and on the mythization of some figures of this season have been put in relation with the archive documentation to trace a profile of Manin's role on the social and political Parisian scene, not only as an influential propagator of the reasons of the Italian nation, but also as a symbolic figure, able to embody the prototype of the virtuous state man and well-balanced patriot, far from the revolutionary excesses. The choice to focus the attention on the Parisian context has been dictated, in addition to the lack of studies on the Italian exile in France during the so-called decade of preparation, by the observation that in these years the French capital began to distinguish itself as a real political laboratory for Italian patriots. Figures such as Giuseppe Montanelli or Aurelio Saliceti emerge for their own initiative and for an autonomous political elaboration, representing many alternatives to the project, destined to prevail for greater unity, referring to Manin. Experiments of a democratic nature such as that of the Latin Committee or attempts at Bonapartist revival such as the Murattian ended up influencing the future National Society, whose ideological elaboration, strongly influenced by the thought of Gioberti, has been deepened thanks to the correspondence between the Italian exiles in France. A process not of mere repetition of the theories contained in the Rinnovamento conducted by Giorgio Pallavicino Trivulzio, representative in Turin of many Italian exiles in Paris and Manin's partner in the construction of the new political subject. The collaboration between Manin and Pallavicino Trivulzio, in the process of consolidation of the National Society political proposal and in the propagation of its thoughts, represents a further aspect taken into consideration by the research, which aims to identify the different souls of the organization by analyzing specifically the breakthrough represented by the arrival into the group of Giuseppe La Farina. He has been able to transform the nascent party from an effective propaganda and mobilization machine in favor of the Italian cause into a structured entity, open to large sections of the population, spread throughout the peninsula, through local committees coordinated by the central one of Turin, equipped with an official press organ and oriented, albeit with all the limits of the case, towards an unequivocal ideology, making it a political proto-party. ; La recherche vise à encadrer l'évolution des milieux politiques modérés du Risorgimento actifs dans les années précédant la réalisation de l'unité nationale, avec une attention toute particulière portée à la Société Nationale italienne, première et unique organisation structurée capable de constituer une réelle alternative au parti mazzinien et, plus largement, aux forces d'inspiration démocratique. Dans un cadre chronologique qui va de la chute de la République romaine (septembre 1849) jusqu'aux années décisives de l'unification italienne (1859-1861), ce travail vise à tracer l'itinéraire politique de ces nombreux patriotes qui, sortant d'une formation politique démocratique ou républicain, à la suite de l'échec du Quarante-huit, ils entrèrent en conflit profond avec Mazzini et commencèrent, sur la base de leur expérience dans les gouvernements provisoires et constitutionnels, à développer des solutions politiques alternatives pour l'unité et l'indépendance de l'Italie. L'analyse de ce contexte politique ne peut pas négliger celle de l'expérience de l'exil, un 'expérience formative décisive pour nombreux protagonistes du Risorgimento italien, avec une attention particulière au cas de Daniele Manin, qui dans la seconde moitié des années '50 à Paris devint le point de référence pour un vaste réseau de libéraux modérés, d'anciens démocrates et de fédéralistes. Les études les plus récentes sur le symbolisme du Risorgimento et sur la mythisation de certaines figures de cette saison ont été mises en relation avec la documentation d'archives pour retracer le rôle de Manin sur la scène sociale et politique parisienne, non seulement comme un propagateur influent des raisons de la nation italienne mais aussi comme figure symbolique, capable d'identifier le prototype de l'homme d'État vertueux et du patriote loin des excès de la révolution. Le choix de se concentrer sur le contexte parisien a été dictée non seulement par l'absence d'études portants sur les exilés italiens en France dans la décennie de préparation, mais aussi du constat qu'au cours des années '50 la capitale française s'était distinguée comme un véritable laboratoire politicien pour les patriotes italiens. Des personnages comme Giuseppe Montanelli ou Aurelio Saliceti émergent pour leur initiative et pour l'élaboration de solutions politiques nouvelles, qui peuvent faire concurrence au projet, destiné à obtenir plus de succès à cause de sa majeure organicité, dirigée par Manin. Les expériences démocratiques comme celle du Comité Latino ou les tentatives de relance bonapartistes comme celui fait par les murattistes conditionnèrent l'articulation de la future Société Nationale, dont l'idéologie influencé par la pensée de Gioberti a été étudiée grâce aux correspondances entre les italiens exilés en France. Il ne s'agissait pas d'une simple répétition des théories contenues dans le Rinnovamento, mais au contraire d'un travail de synthèse opéré par Giorgio Pallavicino Trivulzio, trait d'union entre Turin et nombreux exilés italiens à Paris ainsi que compagnon de Manin dans la construction de cette nouvelle entité politique. La collaboration entre Manin et Pallavicino Trivulzio dans la consolidation de l'idée politique de la Société Nationale et dans la propagation de sa réflexion représente un autre aspect pris en compte par cette recherche, visant à identifier les différentes âmes de l'organisation notamment après le saut qualitatif représenté par l'entrée dans le groupe de Giuseppe La Farina. Il fut ce dernier à transformer le parti naissant d'une machine de propagande et de mobilisation efficace en faveur de la cause italienne en une organisation structurée ouverte à l'adhésion de secteurs plus larges de la population, avec des comités locaux coordonnés par un comité central à Turin, équipée d'un organe de presse officiel et orientée, dans la mesure du possible, vers une idéologie unifiée, en faisant de la Société Nationale un proto-parti politique.
Dottorato di ricerca in Storia d'Europa: società, politica, istituzioni (XIX - XX secolo) ; La ricerca realizzata ha inteso studiare, in un'ottica di lungo periodo e in una prospettiva complessiva, ciò che ha rappresentato l'esperienza del fascismo in un contesto territoriale periferico e non omogeneo, di cui è espressione quel segmento dell'Umbria meridionale costituito in provincia nel gennaio 1927. Tale area si è rivelata un case study esemplare, in grado di offrire interessanti spunti interpretativi. In effetti, all'unico grande polo industriale della provincia, compreso nel territorio della conca ternana, si contrappone la restante parte del territorio provinciale, comprendente città come Orvieto e Amelia, contrassegnate da consolidate relazioni con le regioni limitrofe, espressione di un'Umbria verde, agricola e mezzadrile, ma anche francescana, terra d'arte, di misticismo, ritenuta dalla pubblicistica di regime "cuore" dell'Italia fascista. A partire da ciò, si è creduto opportuno impostare la ricerca attorno a tre questioni principali, ritenute essenziali per cogliere aspetti e dinamiche della società locale nel ventennio mussoliniano. Per fare questo è stata definita una griglia interpretativa funzionale a verificare il ruolo del Pnf nel quadro del rapporto centro-periferia, continuità-rottura. Si è così puntato a esaminare come il fascismo abbia influito sui processi di formazione e consolidamento dei ceti dirigenti locali, verificandone la capacità di rapportarsi con le vecchie élites, di promuoverne di nuove o, magari, di fare coesistere entrambe. Si è poi cercato di approfondire il ruolo che il partito ha svolto in ambito locale, la sua capacità di inserirsi nelle diverse dinamiche territoriali, di creare e controllare reti clientelari e, soprattutto, di rapportarsi con le due realtà che rimangono fuori dal suo controllo, il grande gruppo polisettoriale rappresentato dalla "Terni" polisettoriale di Bocciardo e la Chiesa locale, il tutto al fine di conseguire i propri obiettivi totalitari. Infine, si è affrontata la questione del consenso. In questo senso, è stato preso in considerazione non soltanto il ruolo della violenza attuata dal fascismo per conquistare il potere e la stessa azione repressiva dispiegatasi negli anni del regime, che si dimostra concreta e reale come è normale in una situazione di dittatura, ma si è provato a fare luce sul dissenso e sulle aree di rassegnazione o di consenso tiepido che sembrano persistere nella società locale. Nel procedere si è poi cercato di coniugare la storia politicoistituzionale con quella sociale e in parte economica, attraverso un costante lavoro di analisi e incrocio delle fonti studiate, scelta ritenuta utile per conseguire gli obiettivi prefissati. Certamente, la riflessione sulle origini, l'affermazione, il consolidamento del fascismo in provincia di Terni, offre sostanziali conferme a quanto una parte della storiografia aveva proposto. Nell'Umbria meridionale il fascismo, nei suoi vertici, sorge e si afferma come punto d'incontro dei ceti dominanti tradizionali. Esso si afferma in quanto strumento della reazione agraria e dei gruppi industriali monopolistici di 2 fronte alla conflittualità contadina e operaia e al dilagare del socialismo. La sconfitta delle élites politiche tradizionali alle elezioni politiche del 1919 e a quelle amministrative del 1920, che seguiva l'effervescenza sociale del biennio rosso; la stipula del patto colonico del 1920 sfavorevole per gli agrari; la stessa esperienza, sebbene breve e contraddittoria, dell'occupazione delle fabbriche, sullo sfondo di una situazione economica difficile, ne determina la reazione, che si concretizza per l'appunto nell'adesione al fascismo. Dapprima nella versione squadrista, capace di sconfiggere sul piano militare gli oppositori, anche grazie al diffuso sostegno degli apparati di sicurezza dello Stato, quindi come blocco elettorale e nuova struttura politica in grado di conquistare il potere, il fascismo si configura come una sorta di union sacrée contro il "bolscevismo", in cui confluiscono conservatorismo agrario ma anche impulsi industrialisti e modernizzatori. Più concretamente, esso viene accorpando tutte quelle correnti politiche, contrapposte tra loro nel primo quindicennio del secolo, che avevano costituito il frastagliato universo giolittiano. In questo senso, come l'analisi dei vertici del Pnf provinciale e degli amministratori locali ha permesso di verificare, sino al 1927 a essere protagonisti sulla scena politica locale sono le forze che tradizionalmente facevano parte del blocco agrario. In primo luogo i proprietari terrieri, molti dei quali appartenenti alla nobiltà, a cui si affiancano esponenti della borghesia delle professioni, le cui proprietà erano cresciute a cavallo tra Ottocento e Novecento, nonché alcuni settori espressione diretta del mondo rurale, come gli agenti di campagna, i fattori, ma anche quei contadini che nei primi anni venti erano riusciti ad accedere alla proprietà della terra. In provincia di Terni quindi, dalla conquista fascista sino all'introduzione della riforma podestarile ma, in gran parte, anche dopo, la presenza ai vertici delle amministrazioni municipali e di quella provinciale di esponenti del notabilato locale, essenzialmente aristocratici, proprietari terrieri, professionisti, si rivela dato costante che permette di accomunare la provincia di Terni a realtà come la Toscana, l'Emilia-Romagna e, anche, a parte dell'Italia meridionale. L'attuazione della riforma podestarile, con le prerogative concesse al prefetto nella nomina dei vertici delle amministrazioni comunali, non sembra variare di molto la situazione, almeno nella prima fase di attuazione della riforma. Come è emerso nei comuni della provincia di Terni, il criterio seguito dai prefetti per l'individuazione dei podestà era connesso con la rilevanza sociale ed economica riconosciuta in una comunità ai candidati alla carica che, senza dubbio, un titolo nobiliare e una professione adeguata erano in grado di assicurare, anche magari a scapito della mancanza di qualche requisito previsto dalla legge istitutiva della riforma podestarile. In questo senso, sembra dunque perpetuarsi un modello burocratico e ottimatizio insieme, grazie al quale il fascismo intendeva presentarsi alle comunità locali con un volto rassicurante, al fine di accattivarsi il favore della popolazione. L'analisi prosopografica dei profili relativi a presidi, consultori provinciali, podestà, membri delle consulte municipali, per il periodo 1926-1943, ha reso possibile definire un quadro che vede sostanzialmente confermata l'analisi fatta in una prospettiva nazionale da Luca Baldissara ormai più di una decina di anni 3 fa1. E' cosi emerso il carattere di classe della rappresentanza politico-amministrativa fascista in questi anni, sebbene con alcune differenze effetto delle specificità socioeconomiche caratterizzanti l'area esaminata. Nello specifico, l'esame condotto sul corpus di 147 amministratori (78 podestà e 69 commissari prefettizi) che si succedono nei Comuni della provincia nell'arco di tempo considerato, ha permesso di tracciare l'identikit di un funzionario con un'età compresa tra i quaranta e i cinquanta anni; in possesso di un titolo di studio elevato (laurea o diploma di scuola superiore); in cui la proprietà della terra riveste un ruolo essenziale, coerentemente al tessuto socio-economico prevalente in provincia, e in cui dal punto di vista della professione esercitata appare predominante la figura del libero professionista (in genere avvocato e notaio). Forte è poi il legame dei podestà con il Pnf, più della metà del campione individuato risulta nel partito dal biennio 1920-1922; al tempo stesso, la maggioranza delle designazioni effettuate dai prefetti avviene in accordo con la federazione provinciale fascista. Sembra quindi delinearsi un quadro d'assieme che nel corso degli anni trenta, in gran parte della provincia, vede la predominanza delle gerarchie notabilari nella gestione del potere locale. Da tale situazione si discosta in parte l'area industriale compresa tra Terni e Narni, in cui come avviene in altri contesti urbani o regionali, attraverso il Pnf si assiste all'ascesa di personalità espressione della media e piccola borghesia urbana, per i quali l'istituto podestarile diventa uno strumento di promozione sociale e di affermazione nella gerarchia del potere locale. L'immagine del governo locale che si profila non è però statica, appare invece dinamica e contrassegnata da una forte conflittualità che, a vari livelli, si dimostra uno dei tratti comuni percepibili sotto l'apparente pacificazione realizzata dal fascismo. La forte instabilità presente nelle amministrazioni comunali della provincia di Terni, attestata dall'elevato numero di commissari prefettizi e di podestà retribuiti che si succedono, è testimonianza non solo delle difficoltà incontrate dai prefetti nella selezione di un ceto dirigente adeguato ma, soprattutto, del tentativo delle élites tradizionali, attraversate da interessi diversi e relazioni clientelari e familiari molteplici, di resistere all'azione omologatrice del regime. Indubbiamente, lo Stato fascista, attraverso la promozione di un modello di podestà fondato su competenza, capacità di agire, allineamento alle direttive dei vertici, in nome della proclamata modernizzazione puntava a ricondurre le periferie sotto il controllo del centro. Ecco allora che la ricerca di una concreta azione di governo delle amministrazioni locali, frequentemente sollecitata dal prefetto, da perseguire, ad esempio, attraverso la realizzazione di opere pubbliche funzionali alla mobilitazione di settori diversi della società, diventava il riferimento attraverso cui misurare l'efficienza e, soprattutto, "l'operosità" degli amministratori locali. L'elevato turnover dei podestà rappresenta pertanto una spia che si presta a misurare significativamente le difficoltà incontrate dal regime nell'affermare la propria azione in periferia. Non di rado tuttavia l'intervento del prefetto sui podestà si rendeva necessario per stroncare le lotte intestine e di fazione che si scatenavano all'interno delle élites locali per la gestione del potere. Le modalità attraverso cui tali scontri si manifestano sembrano esprimere dinamiche del conflitto omogenee a quanto accertato da altri studi 1 Luca Baldissara, Tecnica e politica nell'amministrazione. Saggio sulle culture amministrative e di governo municipale fra anni Trenta e Cinquanta, Il Mulino, Bologna 1998. 4 riguardanti realtà comunali, provinciali e regionali diverse. Esse assumono la forma di lettere, esposti, denunzie anonime, che divengono lo strumento di lotta principale tra le fazioni in una dimensione comunale ma, come è stato accertato in chiave provinciale, anche tra i rappresentanti dei diversi poteri locali, oltre che all'interno degli stessi vertici della federazione fascista ternana. A partire dal 1927, con la nascita della Provincia e l'insediamento di istituzioni politiche e amministrative nella città capoluogo, anche per il fascismo locale inizia una fase nuova, l'esame della quale ha permesso di meglio comprendere come in questa realtà si viene definendo il rapporto con il centro. La genesi della nuova entità territoriale è frutto di una serie di variabili legate, da un lato, alle esigenze politiche amministrative dello Stato fascista divenuto regime; a cui si sovrappongono le dinamiche conflittuali interne al fascismo regionale, che portano alla pacificazione dello stesso e alla nascita della federazione provinciale del Pnf. Infine, un ruolo determinante lo ha l'affermazione della "Terni" polisettoriale, vero e proprio potere forte nella nuova provincia, in grado di dare vita a un originale sistema di fabbrica a metà strada tra paternalismo assistenziale e truck-system. Con essa il regime dialoga direttamente, baypassando la neonata federazione provinciale del Pnf e, se necessario, intervenendo per normalizzarla, come dimostra esemplarmente la vicenda politica e personale di Elia Rossi Passavanti, primo federale e podestà di Terni. In questo senso, la ricostruzione dei percorsi personali e professionali dei vertici dell'amministrazione statale (prefetti e questori), degli organi politici (federali, vicefederali, segretari amministrativi, componenti del Direttorio della federazione fascista) ed economici (membri del consiglio provinciale dell'economia, di quello delle corporazioni e del principale istituto bancario del capoluogo), è stata preziosa per le riflessioni che permette di realizzare rispetto al ruolo avuto dal Pnf in provincia e, specialmente, alle dinamiche politiche che si innescano nei rapporti che il partito instaura con le altre autorità, a cominciare da quella prefettizia. Proprio con riferimento ai prefetti, si è potuto osservare che sui nove che si succedono in provincia di Terni nel periodo considerato, ben sei provengono dal Pnf. Tale fatto non sottende necessariamente un'automatica collaborazione con la federazione fascista, quanto piuttosto sembra rispondere all'esigenza del centro di superare i contrasti esistenti tra la federazione fascista e la prefettura che, invece, è situazione ricorrente in provincia. Nel contempo, il succedersi di dodici federali alla guida del partito è prova di una significativa instabilità, dato peraltro ulteriormente confermato dalla netta prevalenza di personalità estranee all'ambiente locale, ben nove. Questo fatto non esprime solo una certa debolezza del fascismo locale, incapace di fornire un ceto dirigente adeguato, ma dimostra la stessa evoluzione che subisce la figura del segretario federale, nei termini di una spiccata professionalizzazione inquadrabile nel più generale contesto di crescente burocratizzazione del Pnf funzionale a consolidarne il ruolo di mediazione e di intervento nell'amministrazione dello Stato, che si rivela uno dei tratti tipici del Pnf staraciano. In questo senso, le guerre che si scatenano tra prefetto e federale nel corso degli anni trenta, ad esempio per la questione delle nomine dei podestà, in cui ruolo determinante lo acquista ancora una volta l'arma dell'esposto e della lettera anonima, attestano il tentativo portato avanti dal partito di far sentire il proprio peso al fine se non di sovrapporsi, quanto meno di affiancare lo Stato in periferia. Affiora così quella di5 mensione policratica che si configura come uno degli elementi caratterizzanti la politica in periferia negli anni del regime. Nonostante i contrasti che si scatenano tra i poteri, le lotte intestine all'interno del Pnf, la cronica debolezza dimostrata dai ceti dirigenti, la federazione provinciale fascista nel corso degli anni trenta riesce comunque a essere vitale e in grado di esercitare il proprio ruolo ai fini della fascistizzazione della società locale. D'altra parte, ai vertici del partito se si escludono i federali e i loro più stretti collaboratori, le restanti cariche continuano a essere gestite in larga parte dal medesimo nucleo originario fascista, fatto di appartenenti al ceto agrario e alla borghesia delle professioni provenienti, per la maggior parte, dall'area ternana. Ciò attesta lo scarso ricambio generazionale esistente all'interno della federazione, ma anche il peso politico ed economico ricoperto dal capoluogo rispetto all'intera provincia. Questi dirigenti fanno parte dei diversi Direttori federali che si succedono e, talvolta, ricoprono contemporaneamente, laddove la legislazione lo consente, incarichi in organismi quali il Consiglio provinciale dell'economia o, anche, alla guida della principale banca locale. Ai vertici del partito il peso degli appartenenti a settori della piccola borghesia e del ceto operaio è invece minore. Soltanto con l'approssimarsi del secondo conflitto mondiale, si fanno strada figure espressione del ceto impiegatizio, ma anche tecnici e qualche sindacalista con alle spalle una carriera nell'apparato burocratico della federazione provinciale, i quali assumono incarichi di un certo peso, come quello di segretario amministrativo o di componente del Direttorio. In questo modo sembra prefigurarsi, sebbene in maniera timida e non paragonabile a quanto accade in altre province, l'affermazione «dal basso e dalle periferie [di] una nuova classe dirigente del regime totalitario»2. Nel corso degli anni trenta dunque, sebbene tra molteplici difficoltà di natura anche economica, il Pnf riesce a dare vita in provincia a una struttura organizzativa in grado di penetrare e inquadrare la società locale. Peraltro, l'afflusso costante di contributi concessi da enti pubblici diversi (amministrazioni provinciali, comunali, Consiglio provinciale dell'economia) e soggetti privati (la Società "Terni" in primo luogo, ma anche altre aziende) a un partito alla continua ricerca di risorse, che la documentazione amministrativa della federazione ternana ha permesso di verificare, rappresenta testimonianza esemplare degli sforzi profusi dal regime per rendere il Pnf un volano di sviluppo del peculiare welfare funzionale alla fascistizzazione della società locale. In questa prospettiva, il rapporto con la Società "Terni" si è rivelato una chiave di lettura che non è possibile trascurare se si vuole comprendere la natura dell'esperienza fascista in provincia di Terni. Si è visto che la stessa nascita della nuova Provincia è connessa alla questione del controllo delle acque del sistema Nera-Velino, presupposto essenziale per la creazione dell'impresa polisettoriale; così come la stipula della convenzione tra il Comune di Terni e la società guidata da Bocciardo, sanziona di fatto in maniera prepotente la forza non solo della grande azienda, ma l'affermazione dello stesso "centro" sulla "periferia". Da quel momento e anche dopo l'inserimento della "Terni" nel sistema delle partecipazioni statali attra- 2 Marco Palla, Il partito e le classi dirigenti, in Renato Camurri, Stefano Cavazza, Id. (a cura di), Fascismi locali, "Ricerche di Storia politica", a. X, nuova serie, dicembre 2010, 3/10, p. 296. 6 verso l'Iri, operazione che garantì allo Stato il controllo pubblico sull'azienda e sul suo assetto produttivo, la grande impresa per il fascismo ma, più in generale, per la stessa società locale diventa emblematicamente una madre-matrigna. Essa viene percepita come un complesso capitalistico che invade la città e, con i suoi vertici, in grado di dialogare con il centro e, anche, direttamente con il duce, si pone rispetto al Pnf locale in una situazione super partes. Non è così casuale che i federali presentino come risultato della loro azione politica i buoni rapporti che riescono a intrattenere con i vertici aziendali, i quali peraltro si dimostrano costantemente impermeabili all'influenza della federazione fascista. D'altra parte, a partire dalla stipula della convenzione del 1927 e per tutto il decennio successivo la "Terni", insieme al partito, appare senza alcun dubbio uno dei pilastri del regime in provincia. Non soltanto sostiene la federazione provinciale con contributi costanti, essenziali per assicurargli la possibilità di svolgere la propria azione sul territorio; ma, più in generale, con tutto il suo peso di grande gruppo polisettoriale sposa in pieno le politiche economiche, sindacali, sociali del regime, garantendo allo stesso le condizioni per affermare «un sistema di aggregazione/costruzione del consenso/controllo sociale e politico che si adegua al modello del regime reazionario di massa»3. In queste dinamiche si inserisce anche, per quanto è stato possibile accertare in relazione alle fonti disponibili, l'atteggiamento tenuto dalla Chiesa cattolica locale nei riguardi del fascismo. L'analisi condotta con riferimento specifico alla diocesi di Terni-Narni e al vescovo Cesare Boccoleri che la guida nel Ventennio fascista, ha permesso di accertare che, come succede in altre diocesi italiane e coerentemente con le scelte fatte dai vertici vaticani, la Chiesa ternana sembra tenere una posizione di sostanziale appoggio al fascismo e di collaborazione con il Pnf. Ciò emerge in maniera evidente in alcuni momenti: ad esempio, in occasione delle campagne promosse dal regime sul terreno economico e sociale, come per la Battaglia del grano e, soprattutto, dopo la stipula del Concordato, o nel corso della guerra d'Etiopia e di Spagna. Al tempo stesso, anche quando si hanno tensioni nei rapporti tra Stato e Chiesa (per effetto della crisi del 1931 sulle prerogative dell'Azione cattolica o in occasione dell'introduzione delle leggi razziali), le conseguenze concrete per la Chiesa locale sono di scarso rilievo e, comunque, tali da non incidere sostanzialmente sulla natura dei rapporti esistenti con la federazione fascista. Anche la Chiesa locale quindi, sebbene con l'obiettivo di preservare e, per quanto possibile, incrementare la presenza cattolica nella società locale, contribuisce nella sostanza a consolidare e, anche, ampliare il consenso al regime. In particolare, essa si dimostra attiva nel favorire, specialmente nelle aree rurali, quell'azione di «modernizzazione politica» di natura reazionaria, conseguenza del tentativo di organizzazione della società italiana secondo criteri gerarchici e accentratori, che il fascismo è impegnato a portare avanti in periferia. Certamente, un ruolo essenziale ai fini della creazione e, soprattutto, del mantenimento del consenso lo esercita anche la costante opera di vigilanza e repressione di ogni forma di dissenso organizzato e di attività politica di opposizione, che si attua in provincia per opera degli apparati di sicurezza dello Stato fascista. Tale azione si rivela particolarmente efficace se negli anni del regime solo i comunisti, essenzial- 3 Renato Covino, L'invenzione di una regione, Quattroemme, Perugia 1995, p. 58. 7 mente nell'area industriale ternana, riescono a mantenere in vita, per quanto a fatica e in misura ridotta, una forma di opposizione organizzata. E tuttavia, il fatto che continuamente le autorità, sebbene nell'ambito del riconoscimento di quanto fatto dalle diverse organizzazioni del partito a favore del ceto operaio, lamentassero l'inadeguato grado di "comprensione fascista", quando non la scarsa fascistizzazione dei lavoratori delle industrie ternane e la loro "pericolosità" politica, sembra essere la conferma implicita di come in provincia, non solo non scompare l'insofferenza e il dissenso, anche politicamente organizzato, ma, più in generale, sotto la camicia nera, a prescindere dalla propaganda e dall'attività delle differenti istituzioni del regime, non vengono meno nemmeno gli interessi molteplici che contrassegnano la società locale e le diverse realtà presenti sul territorio. In ultima analisi, il fascismo locale appare in grado di esercitare un ruolo attivo nel disegno di fascistizzazione della società, coerentemente con l'accelerazione nel processo di creazione dello Stato totalitario di cui è strumento il Pnf staraciano. Il partito si rivela dunque un vero e proprio centro di potere, espressione di un regime autoritario e tendenzialmente totalitario, con cui, inevitabilmente, tutti i cittadini si trovano a confrontarsi per le necessità della vita quotidiana: in altre parole, a dover essere, almeno una volta nella vita, fascisti. ; This research project is an in-depth study, in a comprehensive and long-term perspective, of what Fascism represented at a local level in a peripheral and non-homogeneous context, as in the case of the Southern Umbria areas, established as an administrative province in 1927. This specific geographical district flagged-up all the prerequisites for an exemplary case study, featuring several significant explanatory points. To this unique large provincial administrative industrial hub located within the Terni basin, other districts, part of the same province, remained juxtaposed. Within their respective areas, these districts included towns such as Orvieto and Amelia, which had strong links with the neighbouring communities, representing the rural, agricultural and mezzadrile aspects of Umbria, land of Saint Francis of Assisi, rich in art and religious meanings, which the Fascist Regime came to proclaim officially as the "heart" of Fascist Italy. On the basis of these introductory remarks, the study focuses its scope of research on three main points, all but essential to understand fully the aspects and dynamics of the local society during the Fascist period, also referred to as the ventennio mussoliniano. An interpretative functional grid has been designed with a view to describe the role of the National Fascist Party (Nfp) within the centre-periphery and continuity-innovation relationships with the previous regime. The study seeks to investigate how Fascism exerted its influence on the establishment and process of strengthening of the local ruling ranks, attesting its ability to relate with the old dominant élites, or promote the emerging of new ones or, in addition, facilitate and support the coexistence of both. Furthermore, the research focuses on the role exerted by the Nfp at a local level, its capability to affect the various localised dynamics of power, to create and control networks of affiliates and, above all, to relate with the two main subjects which remained independent from its control, the important industrial group represented by "Terni" of Bocciardo and the local Catholic Church, with an overarching aim to achieve its totalitarian objectives. Finally, the question of popular consent has also been scrutinised. At one level, the study analyses the 2 role of fascist violence deployed to obtain power and the repressive actions carried out under the Regime, which were highly effective, as one might expect under a dictatorship. At another level, it investigates the popular dissent and the grey areas of passive acceptance and weak consent which were common among strata of the local population. Additionally, in a broader perspective, political and institutional historical analysis has been coupled with social and economic investigation, through a systematic scrutiny and cross-examination of the main sources, as a methodological approach needful to the achievement of the final outcomes of the research. Findings on the origins, development, and strengthening of Fascism within the Terni province appear to concur with the conclusions reached by previous historical research. In the Southern areas of Umbria, Fascism, at its highest level, was brought into power and successfully established by the traditional ruling classes. The establishment of Fascism was supported and facilitated by the agrarian reaction and the monopolistic industrial groups threatened by the discontent of the rural and working classes and the rapid advancement of Socialism. The political defeat of the traditional ruling élites at the 1919 general election and the 1920 local elections, which followed the social turmoil of the so-called red biennium; the agreement of the 1920 patto colonico, disadvantageous to landowners; the occupation of factories, though a brief and contradictory experience, against a background of economic difficulty, caused their reaction and prompted their acceptance and support for Fascism. Firstly, Fascism, in the form of Fascist action squads and their capability of defeating its opponents militarily, with the extensive assistance of the State security services, then as an electoral block and political force capable to achieve power, presented itself as a sort of union sacrée against the threat of Bolshevism into which various groups appear to converge: the agrarian conservatism but also industrial and more modern forces. Undoubtedly, Fascism drew together different political forces, which during the first decade of the twentieth-century had been mutually antagonistic, and segments of the complex and divided political establishment of the Giolitti era. The scrutiny of the highest levels of the local Nfp and civil servants has revealed that, at least till 1927, the main political figures belonged to those forces already part of the agrarian block. Firstly, the landowners, many of whom belonged to the local nobility, supported by members of the professional bourgeoisie, whose estates and wealth had augmented during the nineteenth- and twentieth-century, and other sectors which were the direct expression of the rural milieus, such as the rural agents, farmers, but also those peasants whom, during the first two decades of the twentieth-century, had succeeded in becoming landowners themselves. Therefore in the Terni province, from the establishment of the Fascist regime to the introduction of the office of podestà and, for some time even after, 3 the highest offices of the municipal and provincial administration were held by members of the local nobility, primarily aristocrats, landowners and professionals. This is an invariable characteristic which put the Terni province in alignment with similar situations in Tuscany, Emilia Romagna and other areas of Southern Italy. The administrative reform and the establishment of the podestà authority, together with the prerogatives of the prefectures in appointing members of the highest offices within the municipal administrations, did not radically change, at least during the early phases of the reform, established practice. A survey of the municipalities located within the Terni province, shows that the prefects in the selection process to appoint the podestà took greatly into account the candidates' social and economic status of and, without doubt, a honorific title and tenure of highly considered profession were often sufficient criteria for a candidate to be nominated even when lacking some of the prescribed requisites as outlined by the administrative reform. The Fascist regime therefore, in perpetuating a bureaucratic and grandees system, showed an intention to reassure the existing ruling élites and obtain the support of the local population. A prosopographical analysis of the biographical profiles of headmasters, members of the provincial advice bureaus, podestà, members of the municipal advisory councils, during the 1926-1943 period, has made it possible to outline a summary framework which strongly corroborates the analysis carried out at a national level by Luca Baldissarra over a decade ago.1 What has emerged from this analysis is the class-based character of the Fascist political and administrative representation during those years, though presenting various differences linked to the social and economic specificity of the area scrutinised. In more depth, the study carried out on a corpus of 147 civil servants (78 podestà and 69 prefectural officers) employed by the municipalities of the province during the examined period, made it possible to draw up a profile of the typical officer: between forty and fifty years of age; highly educated (having achieved a high-school or university degree); often a landowner, a characteristic consistent with the social and economic structure prevailing throughout the province, and among whom the status of self-employed (generally lawyer or public notary) represented the most frequent professional position held. Relations between the podestà and the Nfp appear to have been particularly close, over half of the sample identified is composed by individuals who had joined the Fascist Party at an early stage, during 1920-1922; additionally, the majority of the appointments made by the prefects were agreed in advance with the Provincial Fascist Federation. It would therefore appear that during the 1930s, in 1 Luca Baldissara, Tecnica e politica nell'amministrazione. Saggio sulle culture amministrative e di governo municipale fra anni Trenta e Cinquanta, Il Mulino, Bologna 1998. 4 large areas of the province, the highest hierarchies of grandees were the prominent figures holding local high office. The industrial area comprised within the administrative territories of the two municipalities of Terni and Narni, however, appears to contrast with other districts of the province. In this area, as for similar cases in other municipalities or other regional administrations, the Nfp supported the emergence of members of the small and medium local urban bourgeoisie, as the office of podestà became a vehicle of social advancement and an opportunity to climb up the local hierarchy of power. Despite the apparent pacification established forcibly by the Fascist regime, the dynamics of power within the local government remained characterised by extreme unrest and strong conflict at various levels. The sizeable number of prefectural commissioners and remunerated podestà who succeeded in office, often in rapid succession, bears witness to the instability which marred almost all the municipal administrations of Terni province. This is evidence of the obstacles encountered by the prefects during the selection process of a qualified managerial class but, above all, of the resistance put up by the traditional élites of power, motivated by divergent interests and loyalty to various networks of familial and personal relations, to the process of homologation pursued by the Fascist regime. Undoubtedly, the Fascist regime, in implementing a model of podestà based on competence, on the energetic ability to act, on its alignment to official directives, and in order to achieve a modernisation of the administrative system, aimed at placing the local authorities under the prescriptive control of a centralised State. The actual administrative actions implemented by the local administrative offices, frequently under the guidance and pressure of the Prefects, as for example in the case of the accomplishment of public works functional to the civil mobilisation of various segments of the local community, became a measure of their efficiency and, above all, a measurement of how industrious the local administrators should be. The high turn-over of podestà is a clear indication of how difficult it was for the Fascist regime to implement its plans of action in peripheral areas. Additionally, direct intervention by the Prefects was often necessary to put an end to rivalries and internal power struggles which frequently broke out among local élites. These clashes and their manifestations appear to be similar in their dynamics, as pointed out by previous studies, to other cases occurred in different municipalities, provinces and regions. Resorting to anonymous letters, official complaints, accusations, came to represent the instrument to attack and weaken the opposite factions at a local level, within the municipalities, but also within the provincial administration, among the various representatives of the local administration and even the highest offices of the Terni Fascist Federation. From 1927, following the establishment of the 5 Province and the set up of political and administrative authorities in Terni, now seat of local government, a new phase emerged for the local Fascist Party too. The study of this new province has facilitated the understanding of its relations with central authorities. The establishment of this new local administration was the result of various circumstances linked to the political requirements of the Fascist State following the transition to a totalitarian regime. Additionally, the internal conflict dynamics of the regional Fascist Party played an important role. These led to the inner pacification of the Party and the set up of a Nfp Provincial Federation. Finally, the establishment of "Terni" had a pivotal role too. "Società Terni" (also referred to as "La Terni") came to represent the real "strong power" of the province, capable of imposing a factory regimen based partially on paternalistic assistance and partially on a truck-system model. The Fascist regime dealt directly with "Terni", bypassing the newly-established Nfp Provincial Federation and, where necessary, intervened to impose its authority, as the political and personal vicissitudes of Elia Rossi Passavanti, the first Federal secretary and podestà of Terni, exemplified. In this perspective, drawing together personal and professional career paths of the highest officers (prefects and police commissioners), of both political (federals, deputy federals, administrative secretaries, members of the Fascist Federation Federal Bureau) and economic authorities (members of the Provincial Economic Council, members of the Provincial Corporations Council and of the main bank) has represented an invaluable study, conducive to the understanding of the Nfp's role within the province and, in addition, of the political dynamics at play among the Fascist Party and other authorities, such as the prefectures. With specific reference to the prefects, it is worth noticing that of the nine prefects in office in the Terni province during the period under scrutiny, as many as six were Nfp members. This situation, however, did not necessarily imply a spontaneous collaboration between the prefectures and the Fascist Federation, but it would appear to have been a response to the need of overcoming the conflictual antinomy between the two authorities, which was a recurrent event throughout the Terni province. In addition, the succession of twelve Federals as leaders of the Fascist Party bears witness to a pervasive instability, a fact which is also confirmed by the noticeable preference given to individuals, as many as nine, unconnected with the local milieu. This is certainly a clear manifestation of the local Fascist Party's weakness - which appeared unable to express and produce capable managerial ranks - and of the evolution of the Federal Secretary's role, becoming more and more a professional one, in the context of the remarkable bureaucratisation of the Nfp, aimed at strengthening its mediatory and interventional role on the local administration, one of the main characteristics of the Nfp 6 under the leadership of Starace. Within this framework, the contrast between the prefects and the Fascist Federal secretaries during the 1930s, with regard, as a case in point, to the appointments of the podestà, and the crucial utilisation of official complaints and anonymous letters, bears witness to the Party's attempt to impose its decisions or, at least, to influence the administration at a local level. This, in turn, resulted in a situation of polycracy, which was one of the factors denoting local politics during the Fascist regime. During the 1930s, despite deep rooted conflict among the authorities, the internal power struggles within the Nfp and the endemic ineptitudes of the ruling class, the Fascist Provincial Federation was successful in exerting and promoting the fascistisation of the local community. It is manifest that the highest authorities within the National Fascist Party, with the exception of the Federals and their closest advisors, remained the domain of the original Fascist core, composed by members of the rural class and the bourgeoisie originating primarily from the Terni area. This explains the inadequate generational change within the Fascist Federation and, in addition, the political and economic importance of the Terni area in comparison to the entire province. These political figures were part of the various Federal Bureau and, in some cases at the same time, if the law permitted, held additional offices in different institutional bodies, such as the Economic Provincial Council or were in charge of the main local bank. On the contrary, the influence exerted on the high levels of the National Fascist Party by the small bourgeoisie or by members of the working class remained negligible. It was only with the approach of the Second World War that members of the clerical class, but also technicians and a few tradeunionists already employed within the bureaucratic structure of the Provincial Federation, acquired an enhanced importance and gained access to higher office, such as administrative secretaries or members of the Federal Bureau. The Terni area too, though in a more limited way, which bears not comparison with other provinces, saw the rising «from the bottom and the periphery of a new ruling class within the totalitarian regime»2. During the 1930s therefore, despite various difficulties, including economic issues, the Nfp was successful in creating at a provincial level an organisational structure capable of influencing and organising the local community. Additionally, the regular flow of financial contributions bestowed by various public authorities (provincial administrations, municipalities, Provincial Economic Council) and private companies ("La Terni", first of all, but other businesses too) to a political party constantly seeking financial backing, as thoroughly documented by records of the Terni Fascist Federation, bears witness to the outstanding efforts the Regime made to 2 Marco Palla, Il partito e le classi dirigenti, in Renato Camurri, Stefano Cavazza, Id. (a cura di), Fascismi locali, "Ricerche di Storia politica", a. X, nuova serie, dicembre 2010, 3/10, p. 296. 7 successfully present the Nfp as a conducive mean to the development of this specific welfare model, with a view to promote the fascistisation of the local community. In this perspective, the Nfp's relation with the "Società Terni" is key to understanding the nature of the Fascist Regime and its role within the Terni province. The establishment of a Province was connected to the control of the water-system of the two rivers Nera-Velino, essential to create an industrial hub; similar reasons were behind the agreement stipulated between the Terni municipality and the Bocciardo Company, which came to sanction resolutely the importance of the Company and, additionally, the supremacy of the "centre" over the "periphery". It was from this period and following the inclusion of "Società Terni" within the system of state-controlled industries through the Institute for Industrial Reconstruction, a transaction which secured State control over the Company and its productive branches, that "La Terni" became firmly linked to Fascism and, more in general, to the local community, though in a controversial and ambivalent mutual relation. The Company was perceived as a capitalistic enterprise which took over the city, its directors being able to negotiate with the central Government directly and with the Duce himself, taking a super partes position in relation to the local Nfp. It was not a fortuitous occurrence that the Federal secretaries gauged their political influence against the effectiveness and strength of the relations they were able to maintain with the executive directors of "Società Terni", whom, on their part, appeared to be impenetrable to any influence exerted by the local Fascist Federation. Additionally, following the 1927 agreement and during the ensuing decade, "La Terni", in conjunction with the Fascist Party, appeared to become, without doubt, one of the main pillars of the province. At one level, it supported the Fascist Provincial Federation through a constant flow of financial contributions, vital to bankroll the Federation's activities within the province; but, at a more general level, asserting its influence as a large industrial group, it was capable of shaping the economic, trade-union and social policies of the Fascist regime, creating those conditions to establish «a system of aggregation/disaggregation of the social and political consensus/control conforming to the mass reactionary regime model»3. Within this dynamic interactions, and on the basis of documents available, the local Catholic Church played a significant role in relation to the Fascist Party. With reference to the specific case of the Terni-Narni dioceses and bishop Cesare Boccoleri, the Church's main leader during the Fascist ventennio, this research has showed that, as in the case of other Italian 3 Renato Covino, L'invenzione di una regione, Quattroemme, Perugia 1995, p. 58. 8 dioceses and in alignment with the decisions taken by the Vatican, the Church authorities in Terni supported the Fascist apparatus and adhered to a policy of collaboration with the Nfp. This was particularly manifest on specific occasions: for example during the economic and social campaigns promoted by the Regime, as a case in point the so-called "Battle of the wheat" and, above all, following the 1929 Concordat with the Catholic Church, or during the Ethiopian and Spanish conflicts. At the same time, even when tensions arose and marred the relations between the Fascist regime and the Catholic Church (following the 1931 crisis caused by the limitations imposed on the prerogatives of Azione Cattolica or the adoption of the 1938 racial laws), the consequences for the local Church were negligible and did not appear to affect the on-going relations with the local Fascist Federation. The local Church therefore in pursuing the aim of preserving and, wherever possible, augmenting the Church's influence on the local community, contributed to reinforce and widen consensus for the Fascist regime. More specifically, the Church's actions were particularly effective in encouraging, especially in rural areas, that precise process of "political modernisation", though reactionary at its core, based on organising the entire Italian society on hierarchical and centralising criteria, which Fascism was promoting particularly at a local level. Additionally, and without doubt, the important function to create and, above all, to maintain a high level of consensus was exerted by the pervasive surveillance and repression of any form of dissent and political opposition, enforced within the province by the Fascist security services. A repressive action which was extremely effective and, during the dictatorship, only the Communist Party, despite being hemmed in to the Terni industrial area, was able to maintain, albeit with great difficulty and in a limited way, a form of organised resistance. The fact that the Fascist authorities continuously, though recognising what had been achieved by the Party's multifarious organisations to favour and support the working classes, lamented the feeble "fascistisation" of the Terni industrial workforce and their being "politically dangerous", would appear to confirm implicitly that throughout the province the opposition and political dissent had not completely ceased. More in general, under the "black shirts", despite the propaganda and the activities of various Fascist authorities and institutions, it remained evident that the diversified interests which characterised the local society and the different realities rooted at local level persisted. Ultimately, the local Fascist Party appeared capable of exerting an active role in the "fascistisation" process of society, in alignment with the creation and implementation of a totalitarian state, being the main objective of the National Fascist Party under the leadership of Starace. The Nfp was therefore a real centre of power, expression of an authoritarian 9 regime leaning toward totalitarianism. A regime against which all citizens had to relate for their everyday life needs: that is to say, all citizens had to act, at least outwardly, as fascists.
La presente ricerca ha avuto ad oggetto l'analisi della criminalità culturale di matrice immigratoria nel contesto europeo contemporaneo. Tradizionalmente con il termine reato culturalmente orientato o motivato si intende quel comportamento realizzato dal membro di una cultura minoritaria che è considerato reato dall'ordinamento giuridico della cultura dominante, ma che viene accettato, condonato, o addirittura incoraggiato all'interno del gruppo culturale del soggetto agente. Dedicare la ricerca esclusivamente alla criminalità culturale di matrice immigratoria significa restringere il campo dell'analisi ai reati culturali commessi da immigrati, escludendo i reati culturali commessi da minoranze autoctone. Esulano, tra l'altro, dall'analisi i reati riconducibili all'immigrazione clandestina e le forme di terrorismo transnazionale di matrice ideologica. Il particolare tipo di reato culturale di cui si è occupata la presente ricerca può dunque essere definito come il comportamento che l'immigrato pone in essere in quanto normale, approvato, o incoraggiato dalla propria cultura e che, invece, è considerato reato nello Stato di residenza. Alla nozione di reato culturale e di cultural defence, nonché alla delimitazione dell'ambito di indagine è dedicato il primo capitolo della tesi, nell'ambito del quale vengono spiegate le difficoltà che si incontrano nel definire il concetto di cultura e di pratica culturale. La ricerca è volta a valutare la possibile rilevanza penale da riconoscere al condizionamento esercitato sul reo dall'appartenenza a una determinata cultura, ossia al c.d. fattore culturale. La definizione di reato culturale è tale da comprendere situazioni molto diverse tra loro, rispetto alle quali è necessario trovare un equilibrio tra tutela dei diritti fondamentali e diritto – o, meglio, diritti – alla specificità. Vengono alla mente pratiche riconducibili alle tradizioni di determinati gruppi etnici, quali la mutilazione degli organi genitali femminili, lo stupro che precede il matrimonio, l'impiego di minori nell'accattonaggio, o i matrimoni poligamici. Con ogni evidenza, si tratta di comportamenti che – ammesso e non concesso che siano (ancora) legittimamente praticati nei Paesi di provenienza dell'immigrato – rappresentano un problema nel momento in cui vengono posti in essere in uno Stato ospitante che ne riconosce la rilevanza penale. I flussi migratori che negli anni hanno accompagnato il processo di integrazione europea ed internazionale hanno messo in contatto persone portatrici di tradizioni culturali estremamente distanti tra loro, facendo della c.d. criminalità culturale uno dei temi più complessi, discussi e controversi del panorama giuridico contemporaneo. Dal punto di vista comunitario, tra l'altro, la nascita dell'area Schengen e il progressivo enlargement europeo hanno incrementato il fenomeno migratorio, imponendo anche a Paesi che non avevano vissuto in passato esperienze immigratorie di confrontarsi con le sfide del multiculturalismo. Spesso si pensa all'immigrazione e alla società multiculturale come una sfida per il diritto penale statale. L'area penale è, infatti, la più resistente alla sottrazione della sovranità che il processo di integrazione europea ed internazionale comporta perché rappresenta uno degli ambiti in cui maggiormente si riflette l'identità costituzionale degli Stati. La norma penale è una delle più alte manifestazioni dei valori prevalenti in una determinata area culturale. Da un lato, questo significa che l'ordinamento nazionale si riserva gelosamente la potestà di decidere quali comportamenti costituiscono reato all'interno del proprio territorio. Dall'altro lato, proprio per questo suo essere espressione della cultura di appartenenza di un determinato soggetto, la norma penale fa parte del bagaglio del migrante: l'individuo percepisce come reato ciò che per la propria cultura è reato e potrebbe non comprendere, e magari neanche percepire, le fattispecie vigenti nel territorio in cui emigra. Sullo sfondo dei reati culturali vi è una forma di conflitto culturale tra Paese ospitante e individuo ospite, che porta con sé la necessità di stabilire come devono essere giudicate le condotte poste in essere da chi appartiene a culture diverse da quella ritenuta dominante. Nell'ambito della ricerca che ha portato alla presente tesi è stato analizzato il trattamento dei culturally motivated crimes con particolare riferimento al sistema italiano e a quello del Regno Unito. L'Italia, alla quale è dedicato il secondo capitolo della tesi, storicamente è stata il punto di partenza dei migranti; soltanto nell'ultimo trentennio è divenuta una meta per gli immigrati e si è dovuta confrontare con la criminalità culturale di matrice immigratoria. Il modello italiano di gestione della diversità culturale, oltre ad essere particolarmente giovane, è considerato di stampo assimilazionista. La legislazione italiana non chiarisce la rilevanza penale da attribuire al fattore culturale, né tantomeno codifica una qualche forma di cultural defence. La strategia che, soprattutto negli ultimi anni, il nostro legislatore penale sembra portare avanti è quella di introdurre alcuni singoli reati culturalmente orientati, spesso con interventi caratterizzati da una decisa reazione sanzionatoria. In questo senso dal punto di vista legislativo vengono in particolare in rilievo due recenti interventi normativi: la legge n. 7 del 2006, con la quale è stato introdotto il delitto di mutilazioni genitali femminili e la legge n. 94 del 2009, con la quale è stato innalzata a delitto la contravvenzione di impiego dei minori nell'accattonaggio. Dal punto di vista giurisprudenziale in Italia si registra una mancanza di coerenza nelle decisioni che hanno ad oggetto i reati culturali. Per quanto attiene il sistema italiano vengono inoltre analizzate le sentenze pronunciate da tribunali esteri nell'ambito di procedimenti che hanno riguardato italiani accusati di reati culturalmente motivati. Si tratta di un'ottica molto interessante perché permette di superare l'atteggiamento paternalista mascherato da tolleranza che spesso accompagna il tema della diversità culturale. Il Regno Unito è stato scelto come secondo modello di riferimento e gli viene dedicato il terzo capitolo della tesi. Oltre ad aver vissuto un'esperienza immigratoria precedente rispetto all'Italia, la Gran Bretagna nel contesto europeo è considerata portatrice del modello c.d. multiculturalista di gestione della diversità culturale, che si contrappone al modello c.d. assimilazionista, al quale è invece riconducibile il sistema italiano. L'approccio multiculturalista è ispirato da una logica di uguaglianza sostanziale e tradizionalmente si caratterizza per il riconoscimento delle diversità culturali e l'elaborazione di politiche volte alla loro tutela. Nel Regno Unito l'appartenenza a una determinata minoranza culturale giustifica un diverso trattamento giuridico: si pensi al Road Traffic Act e all'Employment Act, che esonerano gli indiani sikh dall'uso del casco nei cantieri di lavoro e in moto, consentendo loro di indossare il tradizionale turbante. Espressione del multiculturalismo all'inglese sono anche gli Sharia Councils, pseudo-Corti formate da membri autorevoli della comunità islamica alle quali può rivolgersi la popolazione britannica musulmana affinché determinate controversie vengano risolte in applicazione della shari'a, la legge islamica. Lo studio degli Sharia Councils è stato una parte fondamentale del percorso di ricerca, svolto anche grazie alla partecipazione all'attività del Council di Londra. Questi organismi operano nell'alveo dell'Arbitration Act e sono oggi al centro di un fervente dibattito per due principali motivi. Prima di tutto nel Regno Unito si discute molto di parallel legal systems, ossia della possibilità di istituire per soggetti culturalmente diversi degli ordinamenti paralleli. Alcuni Autori ritengono che gli Sharia Councils esercitino una vera e propria competenza di carattere giurisdizionale. Assumendo questa tesi - invero minoritaria - il multiculturalismo all'inglese raggiungerebbe il cuore dell'ordinamento, all'interno del quale creerebbe una vera e propria spaccatura: ogni cittadino avrebbe la "sua" legge e il "suo" tribunale. Un altro problema fondamentale è quello dell'esercizio da parte dei Councils di una competenza di carattere penale: l'accusa rivolta a queste istituzioni è, infatti, quella di essersi arrogate una competenza in tema di violenza domestica forzando le maglie delle decisioni in tema di divorzio. Accanto all'analisi dedicata al sistema italiano e a quello inglese, per la ricerca si sono rivelate fondamentali anche le esperienze di Francia, Stati Uniti e Canada. Il sistema francese è considerato nel panorama europeo il principale modello assimilazionista: a questo proposito si parla di processo di francesizzazione degli immigrati, o anche cittadinizzazione senza integrazione. Gli Stati Uniti, spesso considerati la società multiculturale per eccellenza, sono la patria del dibattito sulla cultural defence, la strategia difensiva fondata sul fattore culturale come causa di giustificazione o come causa di diminuzione della pena. Il Canada, infine, è il portatore nel contesto internazionale del modello multiculturalista inglese: il multiculturalismo è espressamente previsto come principio nella Carta dei diritti e delle libertà, a partire dall'inizio degli anni novanta è stato reintrodotto per gli Inuit il circle sentencing, grazie al quale le decisioni, anche in materia penale, vengono adottate da una sorta di collegio composto dal giudice e da membri delle comunità interessate. Tra l'altro, è stata la Corte costituzionale canadese a formalizzare per la prima volta il c.d. test culturale, negli anni novanta. L'analisi del modello italiano, giovane e di stampo assimilazionista, e di quello multiculturalista inglese consente, anche grazie ai continui riferimenti ai sistemi adottati negli Stati Uniti, in Canada e in Francia, di assumere un punto di vista più generale sul trattamento dei reati culturali. I processi che riguardano vicende di criminalità culturale testimoniano spesso una difficoltà di integrazione degli immigrati che non è solo culturale, ma prima di tutto sociale. Sotto questo punto di vista ciò che accade nelle aule dei tribunali diventa il metro di valutazione della politica legislativa statale in tema di immigrazione. Obiettivo della ricerca è stato quello di identificare gli strumenti per gestire la criminalità culturale, individuando le strade che si possono concretamente percorrere per superare le tensioni tra società multiculturale e sistema penale, alla ricerca di un equilibrio tra tutela dei diritti fondamentali e diritti alla diversità che non metta in discussione principi cardine dell'ordinamento penale quali quello di eguaglianza e quello di proporzionalità della pena. Preso atto della complessità del problema, la prima conclusione cui si giunge all'esito della ricerca è l'impossibilità di conferire una rilevanza penale generale al fattore culturale. Non è possibile introdurre nella parte generale del Codice penale una causa di giustificazione culturale, così come non è possibile codificare una circostanza attraverso la quale dare un rilievo sanzionatorio predefinito e generale alla componente culturale che porta il reo a delinquere. Più volte tra le pagine del lavoro si sottolinea che rientrano nella nozione di reato culturale condotte che non sono neanche lontanamente paragonabili dal punto di vista del disvalore sociale che le connota e rispetto alle quali non è possibile fare un discorso di carattere generale. Così come non è possibile lavorare sulla parte generale del Codice penale, anche la scelta di introdurre fattispecie di reato create ad hoc per incriminare specifiche pratiche culturali non è condivisibile. Ed infatti, da un lato identificare e tipizzare una pratica culturale è spesso realmente difficile – e nel codice penale non c'è spazio per l'indeterminatezza – e dall'altro le esperienze italiana e inglese rivelano che l'operazione è alquanto inutile. A livello legislativo l'unica strada valutabile sembra essere quella di prevedere delle specifiche cause di non punibilità che permettano di dare una rilevanza – in maniera controllata – al fattore culturale in determinate ipotesi. Questa opzione consente di prendere in considerazione determinate pratiche culturali e di cucire su di esse la non punibilità, senza che questo implichi una scelta ordinamentale di carattere generale. Sembra, tuttavia, che sia una strada difficilmente praticabile: tra l'altro, un tema delicato come quello della criminalità culturale potrebbe non trovare facilmente una maggioranza parlamentare tale da consentire di legiferare e, comunque, ciò potrebbe avvenire in tempi decisamente lunghi. Ebbene, allo stato la chiave della questione è nel trattamento delle singole e concrete vicende di criminalità culturale e, dunque, nel ruolo del giudice. Anche in questo caso sorgono dei problemi: basti pensare che nel momento in cui il legislatore penale si astiene dal prevedere in via generale una forma di cultural defence, il fattore culturale potrebbe anche essere preso in considerazione contra reum, ad esempio a fini deterrenti, per chiarire inequivocabilmente l'intollerabilità di un determinato comportamento, o per prevenire una vendetta da parte del gruppo di appartenenza culturale della vittima. Il dato è preoccupante perché, come sottolineano gli Autori che si occupano di criminalità culturale, in presenza di un reato culturalmente orientato o motivato il grado di rimproverabilità dell'autore si attenua in conseguenza di una minore esigibilità della conformazione al precetto penale. Per arginare il rischio che il fattore culturale venga preso in considerazione per aggravare il giudizio di responsabilità del reo è dunque indispensabile sensibilizzare i giudici e munirli degli strumenti adatti per gestire la diversità culturale. In tale ottica la ricerca presenta l'analisi di alcuni strumenti che vengono utilizzati nei Paesi analizzati e dai quali è possibile prendere spunto: vengono così in rilievo l'Equal Treatment Bench Book inglese, il circle sentencing canadese, e la possibilità, sul modello francese, di integrare l'organo chiamato a giudicare un reato culturale. Di queste strade quella concretamente più praticabile è l'Equal Treatment Bench Book, un vademecum destinato agli operatori giudiziari nell'ambito del quale si rinvengono linee guida per la gestione pratica delle diversità culturali. Si tratta di un prodotto non immediatamente importabile, poiché non sarebbe sufficiente tradurlo per applicarlo, ad esempio, in Italia. È dunque necessario che i singoli Paesi adottino il proprio Bench Book; in quest'ottica la ricerca presenta alcune indicazioni da prendere in considerazione sia per quanto attiene chi potrebbe essere chiamato a scrivere il vademecum, sia per quanto attiene il contenuto del documento. In conclusione va richiamata una riflessione di carattere più generale: il modo corretto di affrontare la criminalità culturale di matrice immigratoria si basa sulla consapevolezza che prevenire è meglio che reprimere. Sicuramente, l'attenzione al ruolo del giudice e agli strumenti di concreta gestione della diversità culturale sono molto importanti, ma lo sono ancor di più le politiche per l'integrazione della società multiculturale, nella quale si assiste a un processo di scambio e di fusione culturale che si rivela il momento privilegiato per determinare l'equilibrio tra valori indiscutibili e diritti alla diversità. ; The research focuses on culturally motivated crimes related to migratory flows in the European area. A cultural offence is defined as an act by a member of a minority culture, which is considered an offence by the legal system of the dominant culture; that same act is nevertheless, within the cultural group of the offender, condoned, accepted as normal behaviour and approved or even endorsed and promoted in the given situation. The specific focus on immigration means that the research does not analyse crimes committed by native minorities. Moreover, crimes related to illegal immigration and transnational terrorism are not part of the dissertation. Thus, the specific type of cultural offences analysed in the research can be defined as the immigrant's behaviours that is normal, approved or promoted in his/her culture, but is considered offences in the State where he/she lives. The first chapter of the thesis is devoted to defining the notion of cultural crimes and cultural defence, and to outline the research analysis. This chapter acknowledges the difficulties encountered in defining the concepts of culture and cultural custom. The purpose of the research is to evaluate to what extent the fact that the defendant based his/her actions on a cultural norm can be taken into account in determining his/her responsibility within the criminal legal system of the country where the action takes place. Many different behaviours can be linked to cultural crimes and in all these circumstances there is the need to find a balance between fundamental rights protected by the domestic legal system and the specificity rights of minority groups. Consider the case of female genital mutilations, rape before wedding, or polygamy. These acts – even if they are (still) permitted in the country of the immigrant – may be considered offences in the country where the immigrant lives. Due to the immigration phenomenon related to the process of European and international integration, people coming from really different cultural backgrounds live together and nowadays the cultural crime rate has become one of the most problematic and debated legal issues. Furthermore with the gradual European enlargement more and more countries have had to face with problems related to multiculturalism. Immigration and multicultural society are often considered as a challenge for the criminal law, which is one of the more resistant areas of the whole legal system and opposes the process of European and international integration. This happens because the criminal law mirrors the essential nature of a country through the choice of the acts that are considered offences in the national territory. This choice is deeply influenced by the cultural background of the country and the criminal law is part of the cultural baggage of the immigrant. When people immigrate they bring with themselves the awareness that a behaviour is considered an offence in their country and they may not know or understand what is considered an offence in the country where they decide to live. Culturally motivated crimes stem from a conflict between the immigrant and the legal system of the country where he/she decides to live, between a cultural norm and a legal standard. With this regard, Van Broeck noted that the cultural offence has to be caused directly by the fact that the minority group the offender is a member of uses a different set of moral norms when dealing with the situation in which the offender was placed when he committed the offence: the conflict of divergent legal cultures has to be the direct cause of the offence. The research analyses how legislator and judges deal with cultural offences in Italy (Chapter II) and in the United Kingdom (Chapter III). For a long time Italy has been the starting point for immigrants and only in the last thirty years it has become their destination. For this reason the problem of determining the relevance of the cultural factor on the structure of an offence is more recent in Italy than in the United Kingdom, where the multicultural society is the result of the long story of the colonialism and the Commonwealth of Nations. Furthermore, the Italian system of handling cultural diversity is basically considered an example of assimilationism while the English one is considered an example of multiculturalism. This means that in the United Kingdom, more than in Italy, the legislation aims at preserving minority customs. In addition to the analysis of the Italian and the English systems, also the experience of France, of the United States and of Canada has been essential for the research. In the European context the French system is considered the best example of assimilationism. The law banning the wearing of a niqab or full-face veil in public is the clearest instance of this approach to different cultures which is usually regarded as gallicization of immigrants. The United States, often considered the multicultural society par excellence, are the birthplace of the debate about the cultural defence. In the international context Canada is considered an example of a multicultural system: multiculturalism is mentioned in the Canadian Charter of Rights and Freedoms of 1982 and since the 90's the circle sentencing can be used to solve disputes in the Inuit group with the participation of members of the community in addition to the judges. Furthermore, in the same period the Canadian court formalized for the first time the distinctive cultural test. The comparison between the Italian and the English systems in handling cultural differences deriving from immigration and all the references to the American, Canadian and French systems allow the research to adopt a more general point of view in analysing cultural crimes. Trials concerning culturally motivated crimes often give evidence of a difficulty in immigrants' integration; an issue that is not only a cultural problem, but primarily a social dilemma. From this point of view what happens in courtrooms becomes a device to evaluate a state immigration policy. The purpose of the research is to identify useful tools to manage cultural offences, finding a balance between victims' fundamental rights and the cultural specificity of a minority group. The first conclusion reached in the dissertation regards the impossibility to provide a general relevance to the cultural factor in the criminal system, so that it is not possible to introduce a cultural defence. Many different behaviours can be considered cultural offences and it is not possible to treat as homogeneous a broad range of acts. At the same time, also the introduction of type of offences to criminalize a specific cultural practice is not the right way to solve the problem of the cultural factor in the structure of the offence. First of all there would be many problems in identifying a cultural practice, because it is really hard to recognize which behaviour can be related to the cultural background of the minority group of the defendant. Moreover, as can be noticed when problems concerning the criminalization of the female genital mutilation in Italy and the United Kingdom are analysed, this way seems almost useless. A good option is to adopt methods which do not impose a penalty to the defendant, taking into account his/her cultural background in certain circumstances. This can be done using the absolute discharge of the English legal system or the category of the cause di non punibilità of the Italian one. In this case the chance not to impose a penalty to an immigrant defendant can be achieved without any consequence on the nature of offence of the behaviour in the legal system of the country where he/she decides to live. In a similar way in the Italian system it could be difficult to find the parliamentary majority to approve a legislation introducing the specific causa di non punibilità. Thus, the more practicable solution concerns the judges' activity. In this case, there is the need to avoid that the cultural factor is used contra reum worsening, for instance, the penalty. This modus operandi would not be fair because in the case of actions determined by a cultural norm commonly accepted by a minority group, the degree of reproach of these behaviours should be alleviated. In order to avoid that the cultural factor could be taken into account contra reum the first thing to do is to sensitize judges to the problems of the criminal law in a multicultural society. With this regard, the research analyses some tools used in the analised systems: in particular, the English Equal Treatment Bench Book, the Canadian system of the circle sentencing and the possibility, as in the French legislation, to integrate the judging body with lay judges in trials concerning cultural offences. The most workable solution is the Equal Treatment Bench Book, a guide for judges, magistrates, and all other judicial office-holders to handle cultural differences in trials. This English vademecum is not immediately importable in other European countries. In fact, it is not enough to translate it to solve the problem of sensitizing judges in so different legal systems. Thus, it is necessary to adopt a document like the English Bench Book in every country where immigration puts cultural offences on the agenda. From this point of view the research gives some hints about the drawing up of this vademecum. In conclusion it is possible to affirm that the correct way to approach cultural offences committed by immigrants is to understand that prevention is better than cure. Surely, it is important to pay attention to the role of judges and to the tools they can use in handling criminal offences. It is even truer that all the policies for the integration of the multicultural society are the most important instrument to determine the balance between fundamental rights and specificity rights of minority groups, that is also the key to handle cultural crimes.
Il presente lavoro di tesi si occupa di verificare la possibile applicabilità del divieto di concorrenza, previsto a carico dei soci nelle società di persone, dall'art. 2301 c.c., e degli amministratori nelle s.p.a., dall'art. 2390 c.c., alle s.r.l., nel regime legale. Le citate norme precludono ai rispettivi destinatari, di svolgere, per conto proprio o altrui, un'attività in concorrenza con quella della società, e di partecipare come socio illimitatamente responsabile a società che ugualmente svolgono attività concorrente. L'interrogativo in questione si pone a valle della Riforma del 2003, là dove viene eliminato dalla disciplina delle s.r.l. il richiamo, prima di allora presente, all'art. 2390 c.c., creando, tra l'altro, quelle condizioni per cui l'interdizione all'attività concorrenziale per gli amministratori possa non rivelarsi più appropriata in tale tipo sociale, a causa dei maggiori diritti di voice e di controllo spettanti ai soci. Il nuovo ruolo riconosciuto al socio di s.r.l. rappresenta, per altro verso, la motivazione di una plausibile estensione del divieto di concorrenza nei suoi confronti. Entrambi i quesiti sono stati, però, affrontati tenendo presenti le alterazioni subite dal tipo, all'esito dell'entrata in vigore dell'art. 57 d.l. n. 50/2017, e dell'art. 377 del d.lgs. n. 14/2019. Infatti, sia il possibile accesso al mercato, avutosi nel 2017 per tutte le s.r.l. P.M.I., che l'ipotetica esclusione dei soci della gestione, disposta dal Codice della Crisi e dell'Insolvenza, sono in grado di influire sulla risposta che il lavoro di tesi si propone di fornire. Dall'analisi svolta è emerso, prima di tutto, come il problema della portata del divieto di concorrenza non riguardi solo le s.r.l., ma entrambe le società lucrative in cui lo stesso è imposto, là dove molteplici sono i dubbi sull'estensione soggettiva ed oggettiva dell'istituto, in conseguenza di una scarsa chiarezza sul fondamento dello stesso. È stata, pertanto, approfondita la questione della ratio della prescrizione normativa, esaminando la dottrina sul punto a partire dalle origini della sua introduzione nel nostro ordinamento, ovvero dal Codice del Commercio del 1865. In tal modo, è stato accertato come il divieto di concorrenza, sia nei confronti dei soci che degli amministratori, svolga una funzione interna, volta a favorire l'imparziale esercizio dei poteri gestori ed una funzione esterna, andando a prevenire il danno prodotto dall'utilizzo delle informazioni privilegiate di cui il destinatario del divieto è in possesso, a causa del potere di controllo di cui dispone, da parte di un'impresa in concorrenza. La trattazione si concentra, poi, sulla specifica questione relativa all'applicazione del divieto di concorrenza all'amministratore di s.r.l., in modo da comprendere se la regola in questione, possa perseguire lo scopo di cui sopra, nei confronti degli amministratori, nel tipo sociale in oggetto. Sul punto sono state, in primo luogo, scardinate le motivazioni di coloro che si oppongono ad un'applicazione analogica nelle s.r.l. dell'art. 2390 c.c., fondate essenzialmente sul diverso tenore della disciplina degli interessi degli amministratori, tra s.p.a. e s.r.l. Viene, difatti, rilevato come siffatte divergenze dipendano dalla maggiore capacità dei soci nel modello legale di s.r.l. del 2003 di influire sulla gestione, e non dalla minore pretesa d'imparzialità, richiesta all'amministratore, come altrove sostenuto. Superate queste obbiezioni si è verificato se l'art. 2390 c.c. sia oggi vincolante per gli amministratori di s.r.l., a causa del nuovo tenore letterale dell'art. 2475, comma 1° c.c. il quale affida ai soli amministratori la gestione dell'impresa, rendendo potenzialmente affine la posizione dei gestori di s.r.l. a quella degli amministratori di s.p.a., rendendo i primi soggetti allo statuto legale dei secondi. Sul punto, si è appurato come la portata della novella debba essere ridimensionata nel senso di conferire in via esclusiva agli amministratori soltanto la gestione organizzativa della società, non escludendo i soci da quella operativa. Allo stesso modo, si è rilevato come l'integrazione della disciplina delle s.r.l. con quella delle s.p.a., comprendendo anche eventualmente l'art. 2390 c.c., per le s.r.l. che abbiano la dimensione delle P.M.I., debba avvenire solo in considerazione dell'assunzione da parte della società di uno specifico assetto statutario volto all'apertura al mercato, non anche in via generale. In questa maniera si è acclarato come non possa fondarsi sull'ibridazione dei tipi l'applicazione del divieto di concorrenza agli amministratori s.r.l. A tale approdo si è, comunque, giunti constatando come nella disciplina legale del tipo non esistono altre norme in grado di perseguire la specifica funzione riconosciuta al divieto di concorrenza a carico degli amministratori, sicché l'applicazione analogica dell'art. 2390 c.c. risulta ampiamente giustificata. Si affronta, infine, la delicata questione dell'applicazione del divieto di concorrenza a carico del socio di s.r.l. Ciò che si è verificato è se il complesso dei diritti e poteri riconosciuti al socio siano di intensità tale da generare quegli stessi presupposti per cui il legislatore ha posto la prescrizione a carico dei membri della compagine sociale di società di persone. Una volta risolto positivamente questo interrogativo, viene verificato se nel tessuto normativo della s.r.l. esistano altre norme volte a tutelare la società da un esercizio conflittuale dei diritti di voice e di controllo spettanti ai soci, come l'art. 2479-ter, comma 3° c.c., assenti, invece, nella disciplina delle società personali. Sul punto il lavoro dimostra come la funzione di prevenire negative interferenze nella gestione e di evitare alla società un danno da concorrenza differenziale, di cui agli artt. 2301 e 290 c.c., non sia assolta da alcuna regola della disciplina legale delle s.r.l. e come, quindi, anche per i soci debba valere una simile limitazione all'autonomia privata. Viene, poi, affrontato il profilo della estensione del divieto di concorrenza a tutti i soci o solo a quelli titolari di un'aliquota di capitale sociale tale da consentire l'esercizio dei poteri di cui all'art. 2479, comma 1° c.c., concludendo sulla necessità, anche in base ad una serie di indici sistematici di imporre il divieto a tutti i soci. Questa conclusione, peraltro, non genera conseguenza negative sul piano dell'appetibilità di questo modello societario, a causa delle limitazioni all'autonomia privata scaturenti dalla partecipazione allo stesso, data l'ampia possibilità per i soci di derogarvi. La tesi si conclude verificando, infine, in che termini lo statuto possa, menomando i diritti di voice e di controllo del socio, influire indirettamente sul suo assoggettamento al divieto di concorrenza. ; This research aims at investigating whether ban on competition set by the Italian legal system with regards to members of partnerships (società di persone: art. 2301 Italian Civil Code) and directors of public companies (società per azioni: art. 2390 Italian Civil Code) can be applied to members and directors of limited liability companies (società a responsabilità limitata). The mentioned legal provisions command to said subjects an absolute preclusion to exercise – both on their or a third party's behalf – activities that would result in a competitive behaviour vis-à-vis the entity they represent; and to acquire a non-limited participation in competing entities. The research question is grounded on the 2003 Reform that eliminated a referral to art. 2390 from the statutes of limited liability companies – the new statutes provide greater voice and control rights for members of such companies, thus rendering non-compete prohibitions inadequate. The new role that is played by LLCs members, on the contrary, justifies an interpretation that makes non-compete statutes applicable to them. LLCs have undergone a continuous reform process (see art. 57 d.l. n. 50/2017 and art. 377 d.lgs. n. 14/2019) that have opened them up to on-the-market financing, and the new Insolvency Code permits an exclusion of LLCs' members from the management – these trends obviously have an impact on the answers to the research question. The research shows that the issue at stake concerns both LLCs and PLCs – unclear are both the subjective and objective requisites for the application of non-compete statutes, given that unclear are the rationales behind it. The research investigated such rationales, by means of a literature review since the Codice di Commercio dated 1865. The outcome showed how non-compete statutes play both an internal and external role – the former favours an unbiased exercise of directors' powers while the latter prevents damages that might arise from the abuse of privileged information obtained through the exercise of control powers within a competing entity. The discussion then moves on to the application of non-compete statutes to LLCs' directors, so to understand whether the aims of the provision can be achieved with respect to said companies. First of all, the research shows how the arguments brought forward by those who oppose an analogical interpretation of PLC's statutes to LLCs are weak because limited to the consideration that highlights the differences in legal regimes on directors' conflicts of interests in the two legal models. Indeed, such differences are not grounded on a lesser request of impartiality in their mandate but, rather, on a stronger set of control rights that LLCs' members enjoy vis-à-vis PLCs' ones. Having overcome such arguments, the research investigated whether art. 2390 is still applicable to LLCs' directors, given the new wording of art. 2475 that assigns the management of the corporation to directors only, thus assimilating PLCs' directors to LLCs' ones, thus subjecting the latter to the statutes of the former. A distinction was made between organizational and operational direction, arguing that only the former is reserved to directors, while the latter can be exercised by members as well. Likewise, the research showed how such an analogical integration of the legal provisions set for LLCs can be operated only when companies adopt bylaws that allow them to resort to on-the-market financing, even if just sporadically. This outcome helped in showing that the adoption of a legal regime that resembles the one in which non-compete statutes are present cannot alone ground the analogical application of such provisions to the other legal regime. Such an outcome was actually grounded on the observation that no other provisions that protects non-competition interests are present in the statutes of Italian LLCs – this would result in a normative void that legal operators must fill resorting to analogy. Lastly, the research concludes by investigating the application of non-compete statutes to LLCs' members. The analysis examined the rights and powers enjoyed by LLCs' members so to understand whether their scope is so broad to (i) assimilate them to partnerships' members and thus (ii) justify the application of non-compete provisions to them. Given that the scope of such rights and powers does in fact justify a reaction of the legal system, the research continued in the analysis of the current legal system so to verify whether other legal provisions protect LLCs from a conflicting exercise of voice and control rights members enjoy; something absent in the statutes regulating partnerships. The outcome of this prong of research concluded by stating that no other provision shields LLCs from negative interferences in the management of the company, therefore having no rule in place that prevents damages from anticompetitive behaviour to occur. Concluding, the research continued in understanding whether such non-compete statutes are applicable to every member of an LLC or rather only to those who have a take that habilitates them to the exercise of the rights provided for by art. 2479 co. 1 c.c.: The point made is that the statutes should apply to every member. Such a conclusion has no impact on the preferability of LLCs vis-à-vis PLCs given that private autonomy can decide to opt out from the default system. A brief investigation on how bylaws can interfere on the application of non-compete statutes to LLCs members by altering their voice and control rights.
2009/2010 ; Lo scopo di questa ricerca di dottorato è l'analisi geopolitica di una regione transfrontaliera dell'Asia centrale: la valle del Fergana. Tre anni di ricerca sul campo: l'analisi delle frontiere di questa regione attualmente divisa politicamente tra Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan, la cartografia analitica, le osservazioni, le interviste alla popolazione e agli esperti, la ricerca nelle biblioteche della regione, nella capitale dell'Uzbekistan, Tashkent (presso l'Istituto Francese di Studi sull'Asia centrale – IFEAC) e la ricerca svolta in Francia principalmente presso l'Istituto Francese di Geopolitica (IFG) e la Biblioteca Nazionale di Francia (BNF), sono gli strumenti che hanno permesso lo studio di questo territorio. Il principale obiettivo del lavoro è l'analisi delle rivalità di potere della valle del Fergana. Grazie alla sua fertilità e alla sua importante posizione strategica all'interno del contesto geopolitico centrasiatico, il bacino del Fergana è stato e continua tuttora ad essere una posta in gioco ambita da differenti attori territoriali. La rivalità di potere tra i diversi attori si gioca soprattutto sullo scenario transfrontaliero della regione. Il secondo scopo di questa ricerca è la presentazione e la valutazione di un particolare attore territoriale della valle, il Regionalismo culturale. La parte introduttiva della ricerca si concentrerà su una presentazione del contesto centrasiatico e sulle peculiarità derivanti dalle sue frontiere. In seguito verrà introdotta la "posta in gioco" Fergana con le sue risorse fisiche ed economiche al fine di legittimare l'importanza del territorio. Infine l'introduzione si concluderà con la teoria geopolitica: il perché della scelta della scuola di geopolitica del geografo francese Yves Lacoste per questa ricerca e una prima analisi dello spazio Fergana come regione divisa tra confine e frontiera. Il lavoro è strutturato in due grandi parti. La prima, più teorica, è relativa all'analisi dei tre attori territoriali. Le rappresentazioni dei differenti attori che verranno presentate, non seguiranno un ordine cronologico, ma un ordine concettuale: eventi simultanei verranno dunque analizzati non nello stesso momento, perché relativi a rappresentazioni differenti del territorio Fergana. Il primo capitolo è consacrato all'attore Nazione. Con questa espressione si intende non solo l'attore Stato-Nazione in sé, o meglio gli Stati-Nazione (Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan), ma anche la Nazione come idea, come politica nazionalistica applicata ad un territorio. La valle del Fergana è diventata una regione transfrontaliera da quando, negli anni '20, fu divisa tra i tre Stati, allora all'interno della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Negli anni '90, in seguito alla caduta dell'URSS, il Fergana divenne una regione divisa da frontiere non più interne ma internazionali. Questo capitolo ha come scopo l'analisi di tutte le rappresentazioni dell'attore Nazione per quanto riguarda il contesto Fergana, dalla sua nascita (anni '20) fino all'indipendenza delle Repubbliche (anni '90). Sicuramente la rappresentazione più importante da analizzare è quella della creazione delle sue frontiere. L'attore Nazione è senza dubbio l'attore geopolitico più importante anche perché quello più legittimato in questo contesto territoriale. Il capitolo approfondirà anche le relazioni tra i differenti Stati-Nazione che rappresentano allo stesso tempo: un unico attore (contro la Religione e il Regionalismo culturale) e tre attori differenti quando competono tra loro per il territorio Fergana. Il secondo attore è la Religione. La valle del Fergana è una delle aree centrasiatiche più credenti e praticanti e la religione islamica ha sempre avuto un ruolo importante nella gestione della società ferganiana. Verrà proposta un'analisi di tutte le rappresentazioni della religione nel Fergana: il sufismo autoctono con un'analisi sulla geografia sacra dei luoghi ferganiani importanti per questa corrente dell'Islam; l'Islam tradizionale del periodo sovietico, divenuto un'arma legale utilizzata da Mosca per combattere l'ortodossia religiosa sufi del Fergana; il fondamentalismo wahabbita degli ultimi anni importato dall'Afghanistan, dal Pakistan, dall'Arabia Saudita, come conseguenza dell'invasione sovietica dell'Afghanistan del 1979 e dunque in seguito all'incontro tra i musulmani sovietici e i mujaheddin afgani. In seguito verrà analizzato come le differenti varianti dell'attore Religione si sono opposte, negli anni, all'attore Nazione per il controllo del potere e delle risorse del territorio Fergana. Un fenomeno particolarmente analizzato sarà la politicizzazione dell'attore Religione e come questa politicizzazione ha portato l'attore in questione ad essere l'elemento protagonista di numerosi eventi nel Fergana. Il terzo attore è il Regionalismo culturale. Con questa espressione si fa riferimento all'identità geo-culturale di questo insieme regionale che persiste nonostante le pressioni nazionalistiche e religiose. La valle del Fergana è sempre stata un insieme geografico, politico, sociale, malgrado negli ultimi secoli la sua popolazione si è sempre distinta per il suo alto livello di multietnicità e di disomogeneità linguistica. Questo però, non ha impedito un'amalgamazione sociale di tale popolazione che ha sempre considerato la multietnicità come la normalità e ha sempre attribuito ad ogni "etnia" un ruolo sociale integrato all'interno del sistema Fergana. Popolazioni di lingua e cultura persiana e sedentaria e popolazioni di lingua e cultura turca, sedentaria o nomade hanno sempre condiviso, ognuna con il proprio ruolo sociale, una vita comunitaria all'interno della regione e questa è sicuramente la caratteristica principale del Regionalismo culturale del Fergana. Questo equilibrio cambiò con la perdita di sovranità politica della regione, con l'istituzione dei nazionalismi e la conseguente spartizione della regione tra tre dei cinque nuovi Stati nazionali dell'Asia centrale sovietica. In questo capitolo verranno analizzate le principali rappresentazioni nel tempo dell'attore Regionalismo culturale e come esso si sia opposto agli altri attori territoriali, soprattutto all'attore Nazione. La seconda parte di questo lavoro è stata dedicata all'impatto che gli attori territoriali hanno oggi nella valle del Fergana, soprattutto nelle sue aree di frontiera. Questa parte è il risultato delle interviste e delle osservazioni sul campo effettuate in Asia centrale e in particolare nel Fergana nelle spedizioni del 2007, 2009 e del 2010. Nel primo capitolo verrà analizzata la frontiera di questa regione dal punto di vista teorico, in particolar modo con l'analisi del Fergana come" prima o ultima linea di difesa". Nel secondo capitolo, all'interno di un contesto di base: la differenza tra la frontiera all'epoca sovietica e all'epoca dell'indipendenza, ci sarà un approfondimento della definizione di frontiera centrasiatica, l'esame della burocrazia di frontiera, del posto di blocco e dei documenti del soggetto transfrontaliero. Saranno trattate, inoltre, le tematiche relative alle relazioni commerciali transfrontaliere, come i "tre" Fergana riescono ancora ad interagire malgrado la crescente rigidità delle frontiere e verranno studiate le relazioni sociali transfrontaliere sempre all'interno del panorama ferganiano di oggi. In questo contesto, verranno considerate le interviste svolte nel Fergana, le opinioni riguardo le difficoltà di passaggio e di comunicazione nella valle ed analizzeremo la presenza dei tre attori geopolitici che tuttora giocano un ruolo fondamentale nelle relazioni e nei conflitti di frontiera. Il terzo capitolo sarà dedicato ai centri urbani del Fergana; la loro storia, il rapporto dei ferganiani con le città e soprattutto le rappresentazioni interne ed esterne che i centri urbani hanno assunto all'interno di una regione oggi del tutto transfrontaliera. Il quarto capitolo si concentrerà sulle evoluzioni demografiche della popolazione: il Fergana, che durante gli anni zaristi e sovietici era terra di immigrazione, con l'indipendenza e dunque con la concretizzazione delle frontiere, si ritrova terra di emigrazione. Il quinto capitolo sarà dedicato al Fergana delle infrastrutture: come la strada ferrata e la rete stradale influiscono e sono influenzate dalle mutazioni frontaliere di questa regione. Il sesto capitolo riprenderà degli interrogativi teorici posti all'inizio del lavoro, con un analisi conclusiva sull'odierno "Fergana delle frontiere". La conclusione di questa ricerca, in realtà, è una vero e proprio capitolo di analisi, dove si farà il punto della situazione e si constaterà la persistenza dell'attore Regionalismo culturale, la sua evoluzione e il suo rapporto attuale con gli altri attori geopolitici. Un punto di arrivo fondamentale della ricerca è il fatto che la regione Fergana è cambiata, sotto differenti punti di vista e la popolazione ferganiana ha nuovi punti di riferimento culturali, politici e sociali. Differenti forme politiche e nuove strutture culturali hanno portato la popolazione del Fergana, nel tempo, a mutare la propria immagine e la propria identità: "russa, musulmana, ferganiana", in seguito "sovietica, uzbeca (o tagica o kirghiza), atea, ferganiana" e infine "uzbeca (o tagica o kirghiza), laica, ferganiana". Il territorio, le sue frontiere e la società che lo abita sono cambiati, ma vedremo che, nonostante i forti ostacoli posti dall'attore Nazione, il Regionalismo culturale riuscirà a sopravvivere, adattandosi alle nuove tendenze e ai nuovi modi di interpretare il Fergana. Come ultimo studio sul territorio, faremo degli esempi riguardanti gli eventi più recenti concernenti il Fergana (massacro di Andijan nel 2005, scontri ad Osh nel giugno 2010) ed analizzeremo questi fenomeni alla luce delle rivalità di potere geopolitiche che ancora persistono nella regione. ; Cette thèse de Doctorat propose une analyse géopolitique d'une région transfrontalière de l'Asie centrale, la vallée du Ferghana, aujourd'hui divisée entre les Républiques d'Ouzbékistan, du Tadjikistan et du Kirghizistan. Des séjours sur le terrain répartis sur trois ans ont constitué la base de la recherche, au travers de l'analyse des frontières, de la cartographie analytique, d'entretiens qualitatifs avec experts et habitants, et de recherches bibliographiques dans le Ferghana ainsi que dans la capitale ouzbèke Tachkent – notamment près l'Institut Français d'Etudes sur l'Asie Centrale (IFEAC). Ces périodes de terrain ont été complétées par un séjour de recherche en France, articulé principalement autour d'un approfondissement théorique à l'Institut Français de Géopolitique (IFG) de l'Université Paris VIII-Vincennes et de recherches bibliographiques à la Bibliothèque Nationale de France. L'objet de ce travail est donc l'analyse des rivalités de pouvoir entre les acteurs territoriaux sur l'enjeu territorial de la vallée du Ferghana, bassin fertile à la position stratégique dans le contexte géopolitique centrasiatique élargi. Si le Ferghana a toujours constitué un enjeu disputé par différents acteurs territoriaux, les rivalités des acteurs actuels jouent aujourd'hui surtout au niveau frontalier et transfrontalier. Ce faisant, cette thèse introduit un nouvel acteur dans le schéma d'analyse géopolitique classique: le Régionalisme culturel. Le Régionalisme culturel en tant qu'acteur territorial y fait donc l'objet d'une présentation approfondie ainsi que d'une évaluation de son importance passée et actuelle. Concentrée d'abord sur le contexte centrasiatique et les particularités qui découlent de ses frontières, l'introduction présente ensuite « l'enjeu » Ferghana et ses ressources physiques et économiques, qui expliquent l'importance de ce territoire. Elle se poursuit sur un rapide point théorique sur la géopolitique et la justification du choix de l'école de pensée géopolitique de Yves Lacoste comme cadre théorique de cette recherche, avant de s'achever sur une première analyse de l'espace Ferghana à l'aune des catégories de frontières et de confins. La thèse est structurée en deux grandes parties. La première, à dominante théorique, analyse à tour de rôle les trois acteurs territoriaux qui rivalisent pour le pouvoir sur le Ferghana: il s'agit de la Nation, de la Religion, et du Régionalisme culturel. La présentation des acteurs, de leurs différentes incarnations et de leurs représentations respectives du territoire ferghanien sont ainsi abordés selon un ordre conceptuel ; des évènements s'étant produits simultanément ne sont ainsi pas analysés chronologiquement mais séparément, en tant qu'ils se rapportent aux acteurs évoqués. Le premier chapitre est consacré à l'acteur Nation. Par cette expression nous entendons non seulement l'entité effective Etat-Nation et ses trois incarnations (Ouzbékistan, Tadjikistan, Kirghizistan), mais aussi la Nation comme idéologie qui agit sur le territoire au travers de politiques nationalistes. La force de légitimation de l'acteur Nation n'est pas étrangère à l'accroissement de son importance sur ce territoire, qui l'a sans aucun doute mené au sommet de la hiérarchie des acteurs géopolitiques dans cette région. Ce chapitre analyse les représentations du Ferghana définies et mises en oeuvres par l'acteur Nation depuis son apparition dans les années 1920. La vallée du Ferghana est en effet devenue une région transfrontalière à cette époque, avec son intégration à l'Union des Républiques Socialistes Soviétiques (URSS) et sa partition entre trois des cinq Républiques Socialistes Soviétiques nouvellement créées en Asie Centrale. Dans les années 1990, avec la chute de l'URSS et l'indépendance des trois Républiques, les frontières qui divisaient le Ferghana ne sont plus simplement internes, mais deviennent bel et bien internationales. Parmi les représentations majeures qui font l'objet d'une étude dans ce chapitre, une attention particulière est portée aux frontières nationales, leur création et leur évolution. Le chapitre s'intéresse également aux relations entre les différents Etats-Nations, qui constituent un acteur unique lorsqu'ils rivalisent contre les autres acteurs territoriaux – la Religion et le Régionalisme culturel – mais aussi trois acteurs différenciés lorsqu'ils se disputent le territoire Ferghana entre eux. Le deuxième chapitre est consacré au deuxième acteur territorial, la Religion. La vallée du Ferghana est l'une des régions d'Asie centrale les plus croyantes et pratiquantes, et la religion islamique y a toujours eu un rôle important dans la gestion de la société. Ce chapitre propose d'abord une analyse des représentations de la religion dans le Ferghana : le soufisme autochtone et la "géographie sacrée" des hauts lieux de ce courant de l'Islam dans le Ferghana ; l'Islam traditionnel de la période soviétique, devenu une arme légale utilisée par Moscou pour combattre l'orthodoxie soufie du Ferghana ; le fondamentalisme wahabbite récemment apparu, importé d'Afghanistan, du Pakistan et d'Arabie Saoudite à la suite de l'invasion de l'Afghanistan par les Soviétiques en 1979 et de la rencontre qui s'en est ensuivie entre les musulmans soviétiques et les moudjahiddines afghans. Ensuite est examinée la manière dont les différentes variantes de l'acteur Religion se sont opposées, au cours des années, à l'acteur Nation pour le contrôle du pouvoir et des ressources du territoire Ferghana. Nous y voyons comment la rivalité géopolitique entre deux acteurs varie du tout au tout selon que l'on parle de l'acteur Nation au cours de la période Soviétique ou bien au cours de l'ère ayant succédé à l'indépendance. Une attention particulière est portée au phénomène de politisation de l'acteur Religion et à la manière dont cette politisation a amené la Religion à assumer un rôle de protagoniste dans de nombreux évènements du Ferghana. Le troisième acteur est le Régionalisme culturel. Avec cette expression nous faisons référence à l'identité géo-culturelle de cet ensemble régional, qui persiste malgré les pressions nationalistes et religieuses. Car aussi loin que remonte son existence en tant que lieu, la vallée du Ferghana a toujours constitué un ensemble géographique, politique et social à part entière. Bien que sa population se soit distinguée au cours des derniers siècles par une grande multiethnicité et hétérogénéité linguistique, cela n'a pas empêché un amalgame sociétal de cette population qui a toujours considéré la multiethnicité comme normale, et toujours a attribué à chaque « ethnie » un rôle social déterminé au sein du système Ferghana. Qu'elles soient de langue et de culture persane et sédentaire, de langue et de culture turque et sédentaire, ou bien de langue et de culture turque et nomade, ces populations ont toujours partagé, chacune dans son propre rôle social, une vie communautaire au sein de la région, et ce phénomène est la caractéristique principale de ce que nous appelons le Régionalisme culturel du Ferghana. Cependant, cet équilibre change avec la perte de souveraineté politique de la région, l'avènement du nationalisme sous l'action de l'URSS, et la partition de l'espace entre trois Etats nations de l'Asie centrale soviétique. Ce chapitre analyse ainsi les principales représentations de l'acteur Régionalisme culturel au cours du temps, et comment il s'est opposé aux autres acteurs territoriaux, en particulier à l'acteur Nation. La seconde partie de ce travail est dédiée aux manifestations actuelles des acteurs territoriaux dans la vallée du Ferghana, plus spécialement dans ses zones de frontière. Cette partie est le résultat des entretiens et des observations de terrain réalisés en Asie centrale et dans le Ferghana au cours de séjours en 2007, 2009 et 2010. Le premier chapitre analyse la frontière de cette région du point de vue théorique, à la lumière notamment des catégories géostratégiques de "première ligne de défense" ou "dernière ligne de défense". Dans le contexte d'une modification de la frontière entre l'époque soviétique et celle de l'indépendance, le deuxième chapitre approfondit la définition de frontière centrasiatique, au travers principalement de l'analyse de la bureaucratie de frontière, des postes de contrôle et des documents requis pour le passage de la frontière. Les thématiques liées aux relations commerciales transfrontalières y sont examinées : comment les "trois" Ferghana parviennent encore à interagir malgré la rigidité croissante des frontières, quelles relations sociales transfrontalières subsistent au sein du Ferghana d'aujourd'hui. Les entretiens qualitatifs réalisés dans le Ferghana jouent un rôle majeur pour recenser les difficultés de passage et de communication dans la vallée et déceler, dans les descriptions et jugements recueillis, la présence des trois acteurs géopolitiques qui toujours jouent un rôle fondamental dans les relations et conflits de frontière. Le troisième chapitre est dédié aux centres urbains du Ferghana : leur histoire, le rapport que les Ferghaniens entretiennent avec eux, et surtout les représentations internes et externes que les centres urbains assument au sein d'une région désormais tout à fait transfrontalière. Le quatrième chapitre se concentre sur les évolutions démographiques de la population. Jusque là terre d'immigration tout au long des années tsaristes et soviétiques, le Ferghana est devenu une terre d'émigration avec l'indépendance et la concrétisation des frontières. Le cinquième chapitre s'intéresse au Ferghana des infrastructures, notamment les réseaux ferré et routier, et leur rapport d'influence réciproque mutations frontalières de cette région. Le sixième chapitre reprend les interrogations théoriques posées dans l'introduction et développe une analyse conclusive sur le Ferghana des frontières aujourd'hui. La conclusion de cette recherche dresse le bilan actuel du Ferghana et des rapports entre les différents acteurs géopolitiques, et observe la persistance de l'acteur Régionalisme culturel. Force est de constater l'existence de changements dans la région Ferghana à différents points de vue. La population ferghanienne dispose de nouveaux cadres de référence culturels, politiques et sociaux qui ont pris une importance majeure. Des nouvelles formes politiques et de structures culturelles ont eu un impact sur son image d'elle-même, sur son identité: "russe, musulmane,ferghanienne", puis "soviétique, ouzbèke (ou tadjike ou kirghiz), athée, ferghanienne", et enfin "ouzbèke (ou tadjike ou kirghiz), laïque, ferghanienne". Cependant, bien que le territoire, ses frontières et la société qui l'habite aient changé, et malgré les obstacles forts posés par l'acteur Nation, que Régionalisme culturel a réussi à survivre, en s'adaptant aux nouvelles tendances et aux nouveaux modes d'interprétation du Ferghana. La conclusion s'achève sur les évènements les plus récents du Ferghana; massacre d'Andijan en 2005 et affrontements à Osh en juin 2010, qui sont analysés à la lumière des rivalités de pouvoir géopolitique qui persistent encore dans la région. ; This PhD dissertation proposes a geopolitical analysis of a centrasiatic transborder region, the Ferghana Valley, which is today divided between the Republics of Uzbekistan, Tajikistan and Kyrgyzstan. A basis of the research, field trips spread over the past three years enabled the development of instruments such as border analysis, analytical cartography, qualitative interviews with experts and inhabitants, and bibliographical research in the Ferghana as well as the Uzbek capital city Tashkent – noticeably at the French Institute for Central Asian Studies (IFEAC). As a complement to the field trips in Central Asia, a research period in France permitted both a consolidation in geopolitical theory at the French Institute of Geopolitics (IFG) of the University of Paris 8-Vincennes, and additional bibliographical research at the French National Library (BNF). The topic of the research is hence the analysis of power rivalries between "territorial actors" over the "territorial stake" of the Fergana Valley, a fertile basin of strategical location within the larger geopolitical context of Central Asia. Always a stake disputed by various territorial actors over time, the Fergana Valley now experiences power rivalries from contemporaneous territorial actors first and foremost on the border and transborder levels. By doing so, the dissertation introduces a new actor in the classical geopolitical pattern of analysis: the cultural regionalism. The dissertation hence offers a detailed presentation of the cultural regionalism as well as an evaluation of its past and current importance. First focusing on the centrasiatic context and the peculiarities which stem from its borders, the introduction presents the "stake" Fergana and its economic and physical resources which explain its importance as a territory. A rapid summary of the theory of geopolitics follows, with the justification of the choice of the French Lacostian school as the theoretical frame of this work. The introduction closes on a first analysis of the Fergana as a space of border or frontier. The thesis is structured in two main parts. The first, more theoretical, analyses each of the three territorial actors which aim for power over the Fergana: the Nation, the Religion, and the Cultural Regionalism. The presentation of the actors, of their respective embodiments and of their manifestations within the ferganian territory is organised according to a conceptual rationale; events that occurred simultaneously are thus not considered following a chronological order, but separately, according to their respective relations with the actors evoked. The first chapter focuses on the actor Nation. By this word we understand not only the effective entity of the Nation-State, and its three embodiments (Uzbekistan, Tajikistan, Kyrgyzstan), but also the Nation as an ideology which acts upon the territory through nationalistic policies. The force of legitimation of the actor Nation did certainly not have a neutral role in the rise of this actor in the Ferganian landscape, a process which led the Nation to the top of the geopolitical actors' hierarchy in the region. This chapter also analyses the representations of the Fergana which are defined and implemented by the actor Nation since its birth in the 1920s. In fact, the Fergana valley first became a transborder region only in these years, through its integration to the Union of the Socialist Soviet Republics (USSR) and its partition between three of the five newly created Socialist Soviet Republics in Central Asia. In the 1990s, following the fall of the USSR and the independence of the three Republics, the borders which divided the Ferghana stopped being only internal, but became real and proper international borders. Among the main representations that this study looks at, a particular attention is devoted to the study of the national borders , their creation and their evolution. The chapter also looks at the relations between the different Nation-States, which form a unique actor when they rival against the other territorial actors – the Religion and the Cultural Regionalism –, but three well different ones when they rival among themselves. The second chapter concentrates upon the second territorial actor, the Religion. The Fergana valley is one of the most pious and practicing region of Central Asia, and the Islamic religion always played a major role in the society's administration and organization. The chapter proposes first an analysis of the religion's representations in the Fergana: the autochthonous sufism and its sacred geography within the Fergana valley ; the traditional Islam of the soviet times, which became a legal weapon used by Moscow to fight the sufi orthodoxy in the Fergana ; the recently appeared wahabbite fundamentalism, imported from Afghanistan, Pakistan and Saudi Arabia following the Soviet invasion of Afghanistan in 1979 and the encounter it induced between the soviet muslims and the afghan mujaheddins. It is then examined how the different variations of the actor opposed themselves to the actor Nation, over the years, for the control over the power and the resources of the Fergana. We look at how the geopolitical rivalries vary dramatically from the soviet era to that of the independence. A special attention is devoted to the phenomenon of politization of the actor Religion and the way this led the Religion to endorse a role of protagonist in many of the Fergana's events. The third actor is the Cultural Regionalism. It is hereby referred to the geo-cultural identity of this regional entity, which persists in spite of nationalistic and religious pressures. In fact, as long as the Fergana has existed as a place, it has always constituted a geographical, political and social whole. Although its population has been characterized during the past centuries by high levels of multiethnicity and linguistic heterogeneity, this did not prevent the societal amalgamation of populations which always held multiethnicity as normality, and always attributed to each "group" a specific social role within the system Fergana. Be they of language and culture persian and sedentary, turk and sedentary or turk and nomadic, these populations always shared, each in its own social role, a common life within the region. This very phenomenon is the main characteristic of what we call the Cultural Regionalism of the Fergana. However, this equilibrium changes with the loss of political sovereignty of the region and the rise of nationalism under the soviet sovereignty. This chapter analyzes the main representation of the actor Cultural Regionalism over time, and how it took stand against the other territorial actors, especially the Nation. The second part of the dissertation as dedicated to the current manifestations of the territorial actors in the Fergana valley, particularly in its border zones. This part results from the interviews and field observation undertaken in Central Asia and the Fergana in 2007, 2009 and 2010. The first chapter analyzes the border of this region from a theoretical point of view, especially in the light of the geostrategical categories of "first line of defence" or "last line of defence". In the context of a transformation of the border from the soviet era to that of the independence, the second chapter explores the definition of the centrasiatic border, mainly through the analysis of border bureaucracy, control posts and documents required to cross the border. The chapter looks at themes connected to the commercial transborder relations : how the "three" Fergana still manage to interact despite growing border rigidity, which social relationships subsist today. The qualitative interviews led in the Fergana are a major source in this process of reviewing the difficulties of passage and communication within the valley, and of tracking the actual presence of the three geopolitical actors which play a major role in the border relations and conflicts. The third chapter focuses on the Ferganian urban centres: their history, the relations that the Ferganians have with them, et above all the internal and external representations of these centres in a now fully transborder region. The fourth chapter concentrates on the demographical evolutions of the Ferganian population. Up until then a land of immigration, the Fergana became a land of emigration following the independence and the materialization of the borders. The fifth chapter deals with the Ferganian infrastructures, especially the rail and road networks, and their relationship of reciprocal influence with the mutation of the borders in the region. The sixth chapter builds on the theoretical interrogations evoked in the introduction of the dissertation and develops a conclusive analysis of the Fergana of the borders nowadays. The conclusion of this research depicts the current Fergana, the relations between the different geopolitical actors and underscores the persistence of the actor Cultural Regionalism. It establishes the existence of tremendous changes in the region Fergana from various viewpoints: the Ferganian population has new frames of cultural, political and social reference whose importance increased dramatically ; new political forms and cultural structures influenced its self-image, its very identity: "russian, muslim, ferganian", then "soviet, uzbek (or tajik or kyrgyz), atheist, ferganian", finally "uzbek (or tajik or kyrgyz), secular, ferganian". However, although the territory, its borders and inhabitants changed, and despite the strong obstacles set by the actor Nation, the cultural regionalism succeeded in maintaining itself, by adapting to the new tendencies and ways of interpretation of the Fergana. The conclusion ends with the most recent events of the Fergana, the Andjian massacre in 2005 and the Osh clash in 2010, which are both analysed in the light of the geopolitical power rivalries which persist in the region. ; XXIII Ciclo