IntroduzioneAffrontando il tema delle consultazioni popolari dirette si pongono due problemi principali: perché tale tipo di processo elettorale è più usato in certi casi che non in altri e quali sono le conseguenze del ricorso ad esso sul sistema politico nel complesso. Rispetto al primo problema molti anni addietro, nel 1912, William E. Rappard sottolineava l'incoerenza degli avversari delle consultazioni popolari. Costoro, pur consentendo che le masse scelgano liberamente i loro rappresentanti, «fanno affidamento, per la loro sicurezza, sulle discrepanze che possono sorgere tra gli atti della maggioranza degli eletti e i desideri della maggioranza degli elettori». Rappard formulava, quindi, una previsione «In teoria … l'ulteriore estensione del controllo popolare mediante la legislazione diretta sembra inevitabile in tutti i paesi dove il suffragio universale prevale». È facile intuire che la previsione si basasse sulla conoscenza e l'analisi delle esperienze svizzera e statunitense. In altri Paesi, in quegli anni, si discuteva sulla opportunità di adottare forme di consultazione popolare come in effetti accadde con alcune costituzioni elaborate subito dopo la prima guerra mondiale, in primo luogo con la costituzione di Weimar.
Lo scritto esamina le diverse configurazioni che assume il referendum nei Paesi UE: in alcuni, come la Germania, esso non è contemplato a livello nazionale, in altri è previsto, ma solo su iniziativa delle istituzioni, in altri i referendum sono attivabili anche da parte del corpo elettorale, mentre in altri il referendum è obbligatorio in casi determinati, soprattutto in materia di revisione costituzionale. Negli ultimi anni si è avuta un'esplosione di consultazioni referendarie, specie in tema di UE e di autodeterminazione. Si tratta di una sfida alla democrazia rappresentativa di cui la politica è chiamata a tener conto.
IntroduzioneA nove mesi dalla prima elezione diretta dei membri del Parlamento europeo, si registrano due fenomeni apparentemente contraddittori: la accresciuta vivacità del Parlamento e la pratica irrilevanza, per non dire la scomparsa, dei cosiddetti partiti europei — Unione dei partiti socialisti, Federazione dei partiti liberali e democratici (Lde), Partito popolare europeo (Ppe) — sorti in previsione della consultazione elettorale del 10 giugno 1979.
La tesi si propone di affrontare il tema della "Comunicazione" visto da due differenti punti di vista: da una parte quella creata dalla dittatura di Mussolini, basata sui due concetti fondamentali di censura e propaganda; dall'altra, la risposta della Resistenza con le sue azioni clandestine. Il testo è strutturato in tre capitoli e sviluppato con il reperimento di informazioni all'interno di libri di testo, tramite la ricerca internet e la consultazione dell'Archivio di Stato di La Spezia e dell'Istituto della Resistenza spezzina. Il primo capitolo, Propaganda e censura fascista, analizza il controllo dei mezzi di comunicazione durante il regime instaurato da Mussolini. Una manipolazione che mirò a forgiare le menti dei più giovani, con grandi opere di scolarizzazione ed educazione, per creare una cultura popolare che lo appoggiasse in ogni scelta, che lo adorasse. La stampa rappresentò il principale veicolo propagandistico e culturale attraverso il quale il regime fascista cercò di creare un solido consenso di massa. Mussolini intuì che l'illegalità e le violenze rischiavano di screditare il suo partito di fronte all'opinione pubblica nazionale. Con ciò non si intende affermare che Mussolini fosse disposto a rinunciare ai metodi intimidatori e repressivi degli squadristi, ma che affiancò e sovrappose a questa prassi il potere dello Stato, attraverso una legislazione che mise definitivamente il bavaglio alla stampa. Lo stesso valeva per il cinema o la radio, dove si potevano ascoltare solo informazioni che venivano accuratamente scelte, selezionate, solo programmi che non andassero contro l'ideologia fascista. Il fascismo quindi, non solo tacitò con la forza ogni forma di dissenso ma, una volta giunto al potere, organizzò una fitta rete di disposizioni che assicuravano un'informazione asservita al regime. Nel secondo capitolo Resistenza clandestina, si analizza il contrattacco sempre più organizzato dei partigiani e di tutti coloro che si impegnarono nella lotta contro il fascismo, mettendo a repentaglio la propria vita, attraverso la diffusione di trasmissioni radio, volantini e giornali che misero a nudo le oscure verità celate dal regime. La libertà di stampa non era morta; essa si rifugiò, come tutte le organizzazioni antifasciste, nei rischiosi e difficili anditi della clandestinità. Si trattò fondamentalmente di volantini e di giornali con uno stile semplice e diretto, in antitesi alla retorica della propaganda di regime. Il lavoro delle tipografie clandestine fu prezioso, indispensabile; la libertà di stampa è in fondo il potere di criticare il potere, e proprio per questo reca con se formidabili potenzialità. Informazione è libertà, qualità dell'informazione significa qualità della democrazia. L'ultimo capitolo La Tipografia della Rocchetta di Lerici, tratta nello specifico il caso della stamperia clandestina allestita in una antica villa, nella provincia della Spezia; un punto nevralgico, di massima importanza per la diffusione di informazioni, l'organizzazione di scioperi e la continua lotta contro i fascisti. I collegamenti con la tipografia furono un capolavoro di paziente e di intelligente tessitura. Niente venne affidato al caso: un solo passo falso avrebbe potuto pregiudicare irrimediabilmente non solo ciò che, con grande capacità politico-organizzativa, era stato messo insieme a Lerici, ma forse tutta l'organizzazione politica clandestina nell'intera provincia, compresa quella militare. C'è in tutti coloro che furono protagonisti di quelle difficili battaglie, la piena consapevolezza che la stampa clandestina costituì, nello svolgersi degli avvenimenti più significativi della Resistenza spezzina, una delle prove più alte della capacità di lotta e di direzione politica della classe operaia e del complesso intrecciarsi della iniziativa antifascista nelle fabbriche e nella guerra partigiana, con le masse popolari e con altri ceti della città e della campagna. Si vogliono ricordare alcuni lavoratori, tra le migliaia che organizzarono la resistenza e parteciparono alla lotta antifascista, che prepararono l'insurrezione nei confronti del regime, partecipando all'organizzazione degli scioperi o stampando clandestinamente i giornali che appoggiavano la resistenza al fascismo. Furono gli uomini di una delle infrastrutture decisive e strategiche, perché consentirono ai partiti antifascisti, ai collettivi e alle organizzazioni che hanno partecipato alla lotta di liberazione, di comunicare il proprio pensiero, di far conoscere le malefatte di regime. Penso che questa sia un'importante pagina della storia del mio territorio, un momento fondamentale nella costruzione del nostro Stato democratico, e per questo importante da diffondere e ricordare, per onorare la memoria dei nostri morti e la necessità di libertà che li ha spinti ad agire in quella direzione. In quest'epoca di dibattito sul valore della libertà e sulle tipologie di violazioni di quest'ultima che, quotidianamente ci troviamo a dover fronteggiare, mi è sembrato opportuno un focus su un momento del passato che può ancora dirci molto.
International audience ; Par deux fois en moins d'un siècle, en 1792 et en 1860, le Duché de Savoie est rattaché à la Grande Nation française à l'issue d'une consultation populaire. Pourtant, au-delà des apparences le contexte comme la signification de chacun de ces évènements diffère sensiblement même si, à l'évidence, ces deux annexions successives de la Savoie à la France se révèlent intimement liées en dépit de leurs soixante-dix ans de distance. Comment en effet comprendre 1860 en faisant artificiellement abstraction du précédent de 1792 ? Tant la référence ambiguë à l'idéologie révolutionnaire contemporaine de la Convention joue, au cours du second épisode, le rôle d'argument de poids en faveur ou à l'encontre du thème de la nécessaire fusion de la petite patrie alpine dans le creuset de la Grande Nation. Peu importe en l'occurrence et très paradoxalement, le retournement soudain de sensibilité politique des militants en faveur de l'option française lors de ces deux événements majeurs de l'histoire alpine occidentale. Puisqu'en toute logique les plus ardents promoteurs de l'Annexion, en 1860, conservateurs cléricaux bon teint, ne devraient pas se prévaloir contre nature d'une référence à ce point connotée à l'Invasion révolutionnaire de la Savoie pour en réclamer ultérieurement les bienfaits. Mais l'histoire des Etats de Savoie et a fortiori celle, en leur sein, des provinces savoyardes proprement dites, s'avère si complexe que les confusions en tout genre se perpétuent avec une désolante constance depuis des lustres, malgré le patient travail de vulgarisation entrepris de longue date par plusieurs générations d'historiens.C'est donc dans un cadre politique résultant d'enjeux doctrinaux de prime abord assez étrangers à l'histoire savoyarde qu'il convient ainsi de replacer l'analyse des deux annexions consécutives de la Savoie à la France, puis celle de leur légitimation, voire de leur amalgame définitif dans la plupart des mémoires locales au gré des cérémonies officielles, dans la construction de récits fondateurs ambigus affectés au processus d'assimilation tardive des seuls départements métropolitains français bénéficiaires à ce titre, du privilège de conserver dans leur nouvelle dénomination une référence explicite à leur appellation ancestrale d'Ancien Régime.
International audience ; Par deux fois en moins d'un siècle, en 1792 et en 1860, le Duché de Savoie est rattaché à la Grande Nation française à l'issue d'une consultation populaire. Pourtant, au-delà des apparences le contexte comme la signification de chacun de ces évènements diffère sensiblement même si, à l'évidence, ces deux annexions successives de la Savoie à la France se révèlent intimement liées en dépit de leurs soixante-dix ans de distance. Comment en effet comprendre 1860 en faisant artificiellement abstraction du précédent de 1792 ? Tant la référence ambiguë à l'idéologie révolutionnaire contemporaine de la Convention joue, au cours du second épisode, le rôle d'argument de poids en faveur ou à l'encontre du thème de la nécessaire fusion de la petite patrie alpine dans le creuset de la Grande Nation. Peu importe en l'occurrence et très paradoxalement, le retournement soudain de sensibilité politique des militants en faveur de l'option française lors de ces deux événements majeurs de l'histoire alpine occidentale. Puisqu'en toute logique les plus ardents promoteurs de l'Annexion, en 1860, conservateurs cléricaux bon teint, ne devraient pas se prévaloir contre nature d'une référence à ce point connotée à l'Invasion révolutionnaire de la Savoie pour en réclamer ultérieurement les bienfaits. Mais l'histoire des Etats de Savoie et a fortiori celle, en leur sein, des provinces savoyardes proprement dites, s'avère si complexe que les confusions en tout genre se perpétuent avec une désolante constance depuis des lustres, malgré le patient travail de vulgarisation entrepris de longue date par plusieurs générations d'historiens.C'est donc dans un cadre politique résultant d'enjeux doctrinaux de prime abord assez étrangers à l'histoire savoyarde qu'il convient ainsi de replacer l'analyse des deux annexions consécutives de la Savoie à la France, puis celle de leur légitimation, voire de leur amalgame définitif dans la plupart des mémoires locales au gré des cérémonies officielles, dans la construction de récits fondateurs ambigus affectés au processus d'assimilation tardive des seuls départements métropolitains français bénéficiaires à ce titre, du privilège de conserver dans leur nouvelle dénomination une référence explicite à leur appellation ancestrale d'Ancien Régime.
L'articolo ripercorre la vicenda professionale e umana di Anita Mondolfo (Senigallia, 1886-1977), figura di indiscutibile originalità nel panorama bibliotecario italiano, che - per le sue origini ebraiche e per le convinzioni politiche non allineate - dovette subire le persecuzioni del regime fascista. Laureatasi all'Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento a Firenze - una scuola di studi rigorosi e di severità intellettuale e morale - dopo la specializzazione in paleografia, la Mondolfo intraprende per scelta (ma sarebbe più giusto dire per vocazione) la carriera nelle biblioteche governative. Prima sede di servizio è la Biblioteca nazionale di S. Marco a Venezia (1909-1911), dalla quale viene trasferita, per suo espresso desiderio, alla Nazionale centrale di Firenze (1911), dove in breve diventa responsabile delle sale di consultazione. Negli anni della prima guerra mondiale frequenta gli ambienti antifascisti e partecipa ad iniziative di soccorso in favore dei profughi rifugiatisi a Firenze, avvicinandosi alle idee di Gaetano Salvemini e Piero Calamandrei, al cui movimento parteciperà più direttamente nel secondo dopoguerra (sarà candidata con "Unità Popolare" alle elezioni del 1953). Risale probabilmente a questo periodo la conoscenza di Croce e Gentile, che avranno un ruolo centrale nei momenti cruciali della sua biografia. Dopo due anni di reggenza della Biblioteca governativa di Lucca (1926-1928), la Mondolfo viene chiamata a dirigere la Marucelliana di Firenze (1928-1936), dove dà prova di notevoli doti organizzative continuando l'azione intrapresa anni prima da Guido Biagi. Spinta dalla preoccupazione di conservare il suo lavoro (da lei più volte definito «lo scopo della mia vita») che sente minacciato dalla progressiva irreggimentazione ideologica, si iscrive - seppur tardivamente - al Fascio di Firenze: è il 1933, anno in cui l'appartenenza al partito diventa requisito obbligatorio per i dipendenti pubblici. Nel 1936 è chiamata a ricoprire la direzione della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, dove dà inizio a uno schema unificato di soggetti che, col titolo di Soggettario per i cataloghi delle biblioteche italiane, uscirà nel 1956 con la sua prefazione. Circa un anno dopo, il Ministero le comunica il trasferimento alla Biblioteca universitaria di Padova: da tempo la Mondolfo era sorvegliata dalla questura fiorentina (che aveva anche intercettato una sua lettera diretta all'«oppositore Benedetto Croce»), e le era stata, inoltre, annullata d'ufficio l'iscrizione al PNF. Riesce - con l'aiuto di Gentile - a essere mandata a Roma, dove lavorerà alla collana ministeriale «Indici e cataloghi delle biblioteche italiane» e alla redazione dell'Enciclopedia italiana, alla quale collaborava già da qualche anno. Con l'applicazione delle leggi razziali (1938) Anita Mondolfo viene licenziata dal Ministero e collocata in pensione. Il 10 giugno 1940, giorno dell'entrata in guerra dell'Italia, è tratta in arresto come «ebrea antifascista» giudicata «capace di turbare l'ordine pubblico in tempi eccezionali». Dopo alcuni giorni di detenzione nel carcere di Regina Coeli, viene tradotta a Montemurro (Potenza) e poi a Senigallia, entrambe località d'internamento per dissidenti politici: dovrà attendere il dicembre del 1942 quando - per intervento di Gentile - potrà tornare libera in seguito alla grazia concessale da Mussolini. Dopo la Liberazione riesce, con qualche difficoltà, a essere reintegrata al suo posto di direttrice della Nazionale (che, nel frattempo, il Ministero aveva affidato ad Anna Saitta Revignas): riorganizza la biblioteca e la dirige, con riconosciuta autorevolezza e competenza, dal 1945 fino al 1953, anno in cui le viene conferito l'incarico di ispettrice generale bibliografica, col quale chiuderà la sua carriera (1955). Nel corso della sua lunga attività Anita Mondolfo ha dato un apporto fondamentale ai più importanti temi di politica bibliotecaria, intervenendo ai congressi dell'AIB (lungimirante, in quello del 1931, la sua proposta di «accentramento di schedatura»), ricoprendo importanti incarichi (fu membro del Centro nazionale per il catalogo unico e docente di biblioteconomia all'Università di Firenze), pubblicando contributi originali sulle principali riviste e repertori italiani. I suoi scritti sono riuniti per la prima volta nell'esauriente bibliografia che segue all'articolo, omaggio postumo a una singolare figura di bibliotecaria sino ad oggi non abbastanza ricordata dalle nostre riviste professionali. ; The article traces the professional and personal history of Anita Mondolfo, an Italian librarian of Jewish origins who in 1940, on the day (June 10th) of the declaration of war, was arrested and accused of being an element capable of disrupting the public order in exceptional times. She, then at the age of 54, was released only in December 1942, after two and a half years of political confinement. Born in Senigallia in 1886, even as a teenager Anita Mondolfo was conspicuous by her temperament, which was inclined to literature and study. After high school, she studied philosophy and philology at Florence's Institute of Higher Practical Studies (today's University). After a short period as a teacher, she was appointed assistant librarian in 1909 and from 1911 worked at the National Central Library of Florence, where she was responsible for the reference department. During the First World War, Mondolfo worked for soldiers and their families, being an active participant in solidarity and aid initiatives. Matured by the experiences of difficult years, Mondolfo increasingly rejected the culture and rhetoric of the fascist regime, a rejection which was to become more radical over the years. Hers was not so much political acceptance of the ideas of her many antifascist friends, but rather a sort of intellectual and moral attraction. In 1926 she was appointed to her first executive position, as director of the State Library of Lucca, and in 1928 she moved to Florence's Marucelliana Library. In 1931 she was one of the speakers at the first conference of the Association of Italian Librarians, where she proposed arrangements for central and cooperative cataloguing. In 1933 she joined the Florence branch of the Fascist Party, because membership was mandatory for public servants. In 1936, she was appointed director of the National Library of Florence, a post from which she was dismissed a year later because she was considered an opponent of the fascist regime. Until her confinement Anita Mondolfo lived in Rome, working for the national series of printed library catalogues («Indici e cataloghi») and the Enciclopedia italiana. After the Liberation, in 1945, Anita Mondolfo was reappointed as director of the National Library of Florence, where she undertook various projects, including the revision of the alphabetical catalogues and of the reference rooms, as well as the updating of the subject headings. Of Mondolfo's long career, we would mention also a number of publications (an exhaustive bibliography is appended) and her activities as a lecturer at the School for Librarians and Archivists-Palaeographers of Florence. Anita Mondolfo died in Senigallia in 1977, aged 91.
Gli eurobond non sono un tema nuovo. Sono presenti nella letteratura economica, meno in quella giuridica, da oltre trent'anni, con denominazioni che spesso mutano a seconda delle formulazioni proposte. Rientrano in quella categoria di idee che hanno valore non solo sotto il profilo della tecnica finanziaria o della finanza pubblica, ma anche perché rappresentano un primo passo verso la realizzazione di un'unione politica dell'Europa. I favorevoli vedono in questo tipo di proposte non solo una risposta alla crisi attraverso il finanziamento degli investimenti pubblici, ma anche la costruzione di una politica fiscale europea da affiancare a quella monetaria della Banca centrale europea. Gli scettici pongono, invece, l'accento sui tempi troppo lunghi che tali proposte richiederebbero per essere attuate e sul consenso non unanime che esse riscuotono da parte dei Paesi dell'Eurozona. L'introduzione degli eurobond presenta, infatti, ostacoli legali e distributivi. Quelli legali hanno a che fare, in particolare, con l'articolo 125 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che dispone il divieto di salvataggio da parte dell'Unione a favore di un Paese membro in difficoltà e, in particolare, vieta a ciascuno Stato membro di rispondere o di subentrare nei debiti di altri Stati membri (cosiddetta "clausola di no bail out"). Gli ostacoli distributivi sono legati alle modalità di partecipazione dei Paesi membri alle emissioni congiunte dei titoli del debito europeo in termini di risorse finanziarie e ai timori dei Paesi virtuosi del Nord Europa di dover fornire un contributo maggiore rispetto ai Paesi meno virtuosi del Sud Europa. La tesi affronta, innanzitutto, il tema della fragilità della costruzione europea, che dipende essenzialmente dall'aver creato – contrariamente a quanto avvenuto nella storia dei popoli – "una moneta senza Stato". Questa circostanza ha condotto, alla fine del 2009, alla crisi dell'euro e dei debiti sovrani. Per rimediare a tale fragilità istituzionale, bisognerebbe por mano a una serie di riforme come il rafforzamento del ruolo della Banca centrale europea come prestatore di ultima istanza, il completamento dell'unione bancaria, l'approfondimento dell'unione del mercato dei capitali, l'allargamento del bilancio europeo e l'accentramento delle politiche fiscali nazionali. Tra queste riforme rientra anche quella di dar vita all'emissione congiunta di debito sovrano a livello di Eurozona, o, in alternativa, a schemi che non prevedono la mutualizzazione del debito. Al riguardo, la ricerca prende in esame l'esistenza di eventuali basi giuridiche per emettere un debito federale dell'Unione europea, distinto dal debito degli Stati membri o, in alternativa, per procedere alla mutualizzazione dei debiti degli Stati membri. La tesi passa, poi, in rassegna le varie proposte avanzate in tema di eurobond, classificandole in due gruppi principali, a seconda che prevedano o meno la mutualizzazione del debito. Nell'ambito delle proposte che si basano sulla mutualizzazione del debito rientrano gli eurobond in senso stretto, gli union bond, gli stability bond, le obbligazioni blu e rosse. Tali proposte, in quanto fondate sulla mutualizzazione del debito, non sono compatibili con l'articolo 125 del TFUE e richiederebbero pertanto la sua modifica. Nel secondo gruppo di proposte – che non contemplano la mutualizzazione del debito e pertanto non richiedono la modifica del TFUE – rientrano il programma PADRE (Politically Acceptable Debt Restructuring in Europe), il Fondo di ammortamento del debito a livello europeo (European Redemption Fund), gli European Safe Bond - ESB (acronimo inglese di "Titoli europei sicuri"), i Sovereign Bond Backed Securities - SBBS (acronimo inglese di "Titoli garantiti da obbligazioni sovrane"). La ricerca esplora i possibili approcci alla prosecuzione del progetto europeo: la via della riduzione del rischio (risk-reduction), la via della condivisione del rischio (risk-sharing), la via della sintesi tra riduzione e condivisione del rischio. Quest'ultima via appare a chi scrive come l'unica politicamente percorribile. La stessa unione monetaria si è realizzata come combinazione tra i due approcci: il processo di convergenza delle finanze pubbliche (risk reduction) ha condotto alla creazione di un'unica banca centrale con il compito di mettere in atto un'unica politica monetaria e del cambio (risk sharing). Vi è però la necessità per l'Italia di fare la propria parte invertendo la traiettoria del rapporto debito-Pil attraverso un serio e rigoroso piano pluriennale di rientro dal debito (risk reduction), per acquisire, agli occhi dei principali partner europei, quella credibilità necessaria per convincerli a dar vita a un vero e proprio debito federale europeo (risk sharing). Gli eurobond non sono l'unico mezzo per raggiungere la finalità di una unificazione politica dell'Europa ma hanno il pregio di mettere insieme l'approccio funzionalista dei passi graduali con quello federalista della meta finale. Analogamente a quanto avvenuto nella storia di alcuni popoli (in particolare negli Stati Uniti d'America) in cui il processo di unificazione dei debiti ha segnato la nascita dello Stato, anche nel vecchio continente l'europeizzazione del debito degli Stati membri, al di là della valenza in termini di finanza pubblica, potrebbe assurgere a un vero e proprio atto "costitutivo" di un futuro Stato federale europeo. Sotto il profilo metodologico, la ricerca è stata condotta attraverso la strumentazione propria dell'analisi economica del diritto, nella consapevolezza che il mercato – vale a dire il meccanismo economico che orienta il comportamento di individui e gruppi – da solo non è sufficiente ma ha bisogno di regole per poter funzionare. Anzi, se ben regolato, il mercato può essere fattore di sviluppo e di benessere. Questo ragionamento vale anche per il mercato comune e per la moneta unica europea, che da soli non bastano più. Come si è tentato di mostrare in questo lavoro, anche l'Eurozona, per poter sopravvivere e progredire, ha bisogno di un adeguamento delle proprie istituzioni che passa anche attraverso l'emissione congiunta di debito sovrano. Coerentemente con tale impostazione, l'indagine cerca di avere un approccio critico al tema degli eurobond, tentando di analizzarne i singoli aspetti con indipendenza di giudizio. La stesura dei capitoli e dei singoli paragrafi è stata preceduta da un lavoro di documentazione e consultazione di testi, riviste specializzate e articoli. Le conoscenze teoriche acquisite e le idee maturate sono state verificate sul campo, grazie ad un confronto diretto con i dirigenti che, nell'ambito del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'Economia e delle Finanze, hanno la responsabilità dell'emissione e della gestione del debito pubblico italiano. Chi scrive lavora presso la direzione del Debito pubblico del Dipartimento del Tesoro; cionondimeno, le opinioni che qui esprime sono personali e non rappresentano o impegnano in alcun modo l'amministrazione di appartenenza. Alla luce delle considerazioni svolte, si ritiene che davvero gli eurobond possano spingere l'Eurozona verso una maggiore integrazione politico-istituzionale. L'analisi economica e giuridica può dare il proprio contributo alla comprensione della questione, ma la scelta dei passi da compiere in concreto spetta alle leadership politiche europee in quanto investite del consenso popolare. Il ricercatore può esporre gli effetti che derivano dall'adozione di una particolare misura o di uno specifico strumento. Oltre non può andare. ; Eurobonds are not a new topic. They have been present in the economic literature, less in the legal literature, for thirty years, with denominations which change according to the proposed formulations. They are relevant not only in terms of financial economics or public finance, but also because they represent a first step towards the realization of a political union of Europe. Those in favor look at eurobonds not only as a response to the crisis through the financing of public investments, but also as a tool to build up a European fiscal policy in addition to the monetary policy of the European Central Bank. On the contrary, the skeptics underline the fact that such proposals would require too mach time to be implemented and the fact that they have short consent in the Eurozone countries. The introduction of eurobonds presents legal and distributive barriers. The legal barriers are linked to the Article 125 of the Treaty on the Functioning of the European Union (TFEU), which provides for so-colled "no bail out clause" ("A Member State shall not be liable for or assume the commitments of central governments, regional, local or other public authorities, other bodies governed by public law, or public under¬ takings of another Member State"). The distributive obstacles, on the other hand, are linked to the way in which Member States could participate in joint issuance of European debt securities. In particular, the virtuous countries of Northern Europe are afraid that they would pay a greater share than the less virtuous countries of the Southern Europe. First of all, the thesis analyzes the fragility of the European institutions, which depends essentially on having created – contrary to what has happened in the history of peoples – "a currency without a State". In the end of 2009, this fragility led Europe to the crisis of euro and sovereign debts. To face this fragility, some institutional reforms should be carried out, such as the strengthening of the role of the European Central Bank as a lender of last resort, the completion of the banking union, the deepening of the capital market, the enlargement of the European budget and the centralization of national fiscal policies. These reformes also include the joint issuance of sovereign debts of Eurozone Member States. In this regard, the research examines the existence of possible legal bases for issuing a federal debt of the European Union, different from the debt of the Member States or, alternatively, for joint issuing the debt securities of the Member States. Secondly, the thesis examines the various proposals of eurobonds, classifying them in two main groups. The first group, based on the joint issuance of debt, includes eurobonds in the strict sense, union bonds, stability bonds, blue and red bonds. These proposals, being based on the joint issuance of debt, are contrary to Article 125 of the TFEU and therefore would require its modification. The second group of proposals – which do not contemplate the joint issuance of debt and therefore do not require the modification of the TFEU – include the PADRE program (Politically Acceptable Debt Restructuring in Europe), the European Redemption Debt Fund, the European Safe Bonds, the Sovereign Bond Backed Securities. Thirdly, the research explores the possible approaches to the continuation of the European project: the risk-reduction path, the risk-sharing path, the synthesis between risk reduction and risk sharing. This third path seems to be the only politically feasible. As we know, also the monetary union was realized as a combination of the two approaches: the process of convergence of public finances (risk reduction) led to the creation of a single central bank with the task of managing a single monetary policy (risk sharing). However, Italy has to reverse the trend of the debt-to-GDP ratio through a serious and rigorous long-term debt reduction plan (risk reduction), in order to convince the main European partners to issue European federal debt (risk sharing). Eurobonds are not the only tool to achieve the goal of a political unification of Europe but they have the merit of putting together the functionalist approach based on the gradual steps with the federalist approach based on the final goal. Similarly to what has happened in the history of some peoples, such as the United States of America, where the process of unification of debt of the single States has marked the birth of the federal State, even in Europe the consolidation of debt of the Member States might be a constitutive act of the United States of Europe. Methodologically, the research is based on the economic analysis of law. According to this view, market – the economic mechanism which guides the behavior of individuals and groups – is not enough but needs good regulation. Indeed, if it is well regulated, market may be a factor of development and welfare. This way of thinking is also valid for the European single market and for the euro, which are no longer enough. As we have tried to show in this work, also the Eurozone institutions need a deep reform – including the joint issuance of sovereign debt – for their surviving and progress. This work tries to have a critical approach to the topic of eurobonds. The theoretical knowledge and ideas have been checked thanks to a direct dialogue with managers who, within the Treasury Department of the Ministry of the Economy and Finance, are responsible for issuance and management of the Italian public debt. The author of this research works in the Public Debt Directorate at Treasury Department; nevertheless his opinions are personal and do not represent the Treasury Department. For these considerations, eurobonds might really push the Eurozone towards a greater political and institutional integration. The economic and legal analysis may give its contribution to the debate, but the actual choices are up to the European policy-makers.