In literature in English, and in the popular imagination in English-speaking countries generally, the Minoan period is a kind of golden age, an Atlantis or Garden of Eden before the Fall. And, in such a construction, the Fall comes with the Mycenaeans, who are represented as a tough, militaristic people who destroyed Troy for trade reasons. This chapter traces the emergence of the idealistic depiction of the Minoans in response to the circumstances before, during, and after World War II. While some recent authors have begun to challenge the image of happy and peaceful Minoans, it suggests that the Minoans and Mycenaeans are still locked into antithetical perceptions that hinder real understanding of the cultures.
The article analyzes the developments of the alternative editorial circuit promoted by the artistic-literary avant-gardes and counter-cultural movements in Italy during the 1960s and 1970s, with specific reference to the production of literary texts. The organization of the production system and the intent of the producers are taken into particular consideration, identifying the cultural objectives defined within a strategy of social and political opposition. The characteristics of the literature born in the countercultural field are also studied in depth. ; Nell'articolo vengono analizzati gli sviluppi del circuito editoriale alternativo promosso dalle avanguardie artistico-letterarie e dai movimenti controculturali in Italia negli anni '60 e '70, con specifico riferimento alla produzione di testi letterari. Vengono presi in particolare considerazione l'organizzazione del sistema di produzione e l'intento dei soggetti produttori, identificando gli obiettivi culturali stabiliti nell'ambito di una strategia di opposizione sociale e politica. Vengono inoltre approfondite le caratteristiche della letteratura nata in ambito controculturale.
For none of the prison administrations European Union, the relationship between parents and children prisoners is a priority.Yet all fit this theme in their work agendas. All argue that the issue of childhood needs to be addressed. And that's good, isprogress. But between making this issue a subject of reflection, and make it a priority in the choice of prison policy, there isa big difference. Our contribution is focused on the role and the relationship between fatherhood and prison, treated fromthe perspective of fathers and sons detained outside the penal institutions, live all the contradictions of a parenting recluse ; Per nessuna delle amministrazioni penitenziarie dell'Unione europea la relazione tra genitori detenuti e figli è una priorità.Eppure tutti inseriscono questo tema nelle loro agende di lavoro. Tutti sostengono che la questione dell'infanzia debba essereaffrontata. E questo è un bene, è un progresso. Ma tra il fare di questo problema un tema di riflessione, e farne una prioritànelle scelte di politica penitenziaria, c'è una grande differenza. Il nostro contributo è focalizzato sul ruolo e sul rapporto trapaternità e carcere, trattato dal punto di vista dei padri detenuti e dei figli che, al di fuori delle istituzioni penitenziarie,vivono tutte le contraddizioni di una genitorialità reclusa.
2011/2012 ; Questa tesi è dedicata a esplorare gli sviluppi - letterari, editoriali, critici - della fantascienza Italiana a partire dai primi anni Cinquanta fino agli ultimi anni Settanta. Il lavoro si suddivide in tre macrosezioni. La prima, di carattere introduttivo e preliminare, fornisce lo sfondo teorico e storico alle due seguenti. Ho indicato alcuni riferimenti teorici relativamente al concetto di genere e in particolare alla circoscrizione del genere fantascientifico, adottandone una concezione tassonomica, ossia intendendo il genere fantascientifico piuttosto che come un insieme al quale le opere possono appartenere o meno, come un repertorio di topoi e temi tipici, passibili di un riuso stereotipizzato o rifunzionalizzante a seconda delle intenzioni dell'autore. Ho anche cercato di dare almeno in parte conto del complesso dibattito che accompagna il problema definitorio e che si riflette nelle numerose posizioni storiografiche relativamente alle origini del genere e alla sua periodizzazione. Infine una ricostruzione delle vicende della fantascienza in Italia ha offerto l'occasione per tentare di rispondere ad alcune domande fondamentali: ci sono precedenti italiani alla fantascienza del secondo Novecento? Come mai nel secondo dopoguerra la fantascienza viene principalmente importata da altri paesi attraverso le traduzioni dall'inglese e dal francese? Chi ha letto fantascienza in Italia in questi decenni? E, infine, quale è stato il rapporto che la critica letteraria italiana ha avuto con la fantascienza? Il problema dei rapporti tra letteratura fantascientifica e critica ha offerto anche l'occasione di posizionare il presente lavoro nel panorama degli studi esistenti, fornire alcuni rilievi metodologici e motivare la circoscrizione dell'oggetto di studio. Se come momento iniziale del percorso è stato scelto simbolicamente il 1952, anno di nascita delle prime pubblicazioni specializzate e di invenzione del termine "fantascienza", il termine ad quem del lavoro è invece posto alla fine degli anni Settanta, in virtù del fatto che in un breve torno d'anni vi furono alcuni importanti studi e convegni (il più importante dei quali tenutosi a Palermo nel 1978), che segnarono l'entrata del genere nell'ambito degli studi universitari. Dunque il periodo considerato comprende i primi tre decenni in cui la fantascienza è stata scritta, pubblicata e letta come tale in Italia, ossia con la consapevolezza, da parte degli attori in gioco, di aver a che fare con un genere codificato, dotato di un suo repertorio di topoi e di un suo canone di modelli. Alle principali pubblicazioni specializzate di questi anni è dedicata la seconda sezione: «Urania» di Mondadori (1952-corrente), «I Romanzi del Cosmo» di Ponzoni (1957-'67), la romana «Oltre il Cielo» (pubblicata da Armando Silvestri, 1957-'70), la piacentina «Galassia» (dell'editore La Tribuna, 1961-'79), la romana «Futuro» (edita dalla piccola sigla omonima, 1963-'64), «Robot», pubblicata a Milano da Armenia (1976-'79). Si tratta di riviste o serie periodiche vendute in edicola: la prima fantascienza italiana si presenta come un genere contraddistinto da una vocazione popolare e, almeno inizialmente, assente dalle librerie. Di ciascuna pubblicazione ho ricostruito la storia e la politica editoriale: che tipo di editore la pubblicava, chi ne era il curatore e chi vi collaborava, che tipo di testi - narrativi, critici, informativi, venivano pubblicati e, dunque, che interpretazione ciascuna di esse dava del genere fantascientifico e a che pubblico si rivolgeva. Le fonti adoperate comprendono, oltre alle testate medesime, studi, testimonianze appositamente raccolte e carte d'archivio edite e inedite. Le significative differenze che corrono tra questi periodici danno conto di un'ampia serie di concezioni possibili del genere: se la mondadoriana «Urania» si inserisce a pieno titolo nel settore periodici del grande editore industriale con tirature che arrivano a superare le 40.000 copie a numero negli anni Sessanta, tra le altre testate «Oltre il Cielo», rivista in cui la narrativa affianca gli articoli di missilistica e aeronautica, sopravvive soprattutto grazie agli abbonamenti sottoscritti dal Ministero dell'aeronautica, «I Romanzi del Cosmo» non superano le 20.000 copie di tiratura, «Galassia» le 10.000, fino alle 5.000 di «Futuro». Così, mentre «Urania» sosteneva con una distribuzione capillare la politica editoriale dei curatori (Giorgio Monicelli prima, Fruttero e Lucentini in seguito) rivolta un pubblico il più possibile ampio, e «I Romanzi del Cosmo» ne inseguivano i successi presso un pubblico giovane e desideroso di intrattenimento, le altre si rivolgevano piuttosto a nicchie particolari di pubblico. «Galassia» ad esempio, sotto le successive direzioni di Roberta Rambelli, Ugo Malaguti, Vittorio Curtoni e Gianni Montanari, offriva agli appassionati più raffinati le tendenze recenti e sperimentali della fantascienza internazionale e vantava traduzioni integrali e di qualità; «Futuro», creata da Lino Aldani, Carlo Lo Jacono e Giulio Raiola tentava la via di una fantascienza letterariamente impegnata, e così via. Altrettanto differenziati sono stati gli atteggiamenti di queste pubblicazioni - o meglio: di ciascun curatore - nei confronti degli autori italiani. Svantaggiati dalla concorrenza di una produzione angloamericana cospicua e già pronta da tradurre, gli scrittori italiani che si sono cimentati col genere hanno dovuto fare i conti con le opere tradotte anche in termini di modelli letterari e di repertori tematici consolidati. La relativa ristrettezza del mercato delle pubblicazioni specializzate e le sue periodiche contrazioni non hanno favorito d'altronde la professionalizzazione degli scrittori, che in molti casi si sono rivolti anche ad altri settori del lavoro intellettuale. La seconda e la terza sezione del lavoro ritraggono insomma la fitta rete di legami tra produzione editoriale e produzione letteraria. Proposito in particolare della terza sezione è esemplificare gli esiti di queste dinamiche, attraverso la lettura critica ravvicinata della produzione di tre autori e un'autrice: Lino Aldani, Gilda Musa, Vittorio Curtoni e Vittorio Catani. Si tratta di scrittori che hanno esordito sulle pubblicazioni considerate prima, e in molti casi ne sono stati a lungo lettori, collaboratori o curatori. Le opere di questi quattro autori incarnano modi differenti di intendere la fantascienza, come differenti sono i percorsi da cui ciascun autore proviene. Aldani si impadronisce dei meccanismi e dei topoi tipici del genere per dar vita a una narrativa in cui coesistono un'anima avventurosa e una distopica. Musa coniuga elementi tipicamente fantascientifici a una spiccata sensibilità linguistica, adoperando il genere per riflettere sui destini dell'uomo nella modernità e soprattutto per raggiungere un pubblico più ampio di quello delle sue raccolte poetiche. Curtoni sperimenta le tendenze più recenti della fantascienza anglosassone proponendo racconti che guardano a modelli come quelli di Philip K. Dick e James Graham Ballard. Infine Catani offre l'esempio di una fantascienza italiana meno concentrata sulla sperimentazione formale, ma in grado di incorporare elementi tecnologici e scientifici nelle sue tematiche profonde - dal rapporto tra tecnologia e corpo umano al ruolo dell'economia finanziaria nel mondo post-industriale. Nel complesso questi autori dimostrano non solo l'esistenza di una fantascienza italiana, ma l'esistenza di una fantascienza italiana di qualità. ; XXV Ciclo ; 1984
In the aftermath of Japan's closing edicts of the 1640s, the curious episode of the mission of the Dutch agent Andries Frisius to the court of Iemitsu in 1650 was an emblematic case of the new course of the diplomatic relations established by the Tokugawa government with Europeans. Local authorities' occasional contacts with the Dutch still revealed uncertainty in diplomatic and commercial exchanges based on rules set by the central government, not yet fully implemented at the local level. Besides the embarrassment in developing official relations, the few European agents admitted in the archipelago had to satisfy the numerous requests from the authorities, as evidenced by the singular case of Frisius. Agents' commitments also included the presentation of official reports, the so-called fūsetsugaki, the news on overseas affairs and European historical events that envoys of the Dutch East India Company were asked to present regularly to the shogunal authorities in Edo. These chronicles had implications in terms of the reception of the image of Europe, influencing to some extent the foreign policy of the time. ; In the aftermath of Japan's closing edicts of the 1640s, the curious episode of the mission of the Dutch agent Andries Frisius to the court of Iemitsu in 1650 was an emblematic case of the new course of the diplomatic relations established by the Tokugawa government with Europeans. Local authorities' occasional contacts with the Dutch still revealed uncertainty in diplomatic and commercial exchanges based on rules set by the central government, not yet fully implemented at the local level. Besides the embarrassment in developing official relations, the few European agents admitted in the archipelago had to satisfy the numerous requests from the authorities, as evidenced by the singular case of Frisius. Agents' commitments also included the presentation of official reports, the so-called fūsetsugaki, the news on overseas affairs and European historical events that envoys of the Dutch East India Company were asked to present regularly to the shogunal authorities in Edo. These chronicles had implications in terms of the reception of the image of Europe, influencing to some extent the foreign policy of the time.
L'obiettivo di questa tesi è quello di analizzare la rappresentazione letteraria dei movimenti politici e delle sottoculture musicali in Italia e in Inghilterra. Mediante l'utilizzo degli strumenti concettuali elaborati dagli Studi culturali britannici e dalla Critical Theory, l'attenzione in questo lavoro è rivolta a quei romanzi la cui struttura cronologica articola al suo interno differenti temporalità, quella degli anni Settanta e quella del presente: da una parte questa strategia di lettura permette di investigare l'influsso del conflitto politico contemporaneo sulla formazione del sapere storico riguardante quel decennio e dall'altra essa consente di osservare la capacità delle sollevazioni passate di alimentare nel presente il mito della rivolta. Evidenziando il ruolo cruciale della narrazione in prima persona presente nei romanzi di Coe, Tassinari e King, in questa tesi si sottolinea la capacità della letteratura di finzione di dare voce alle soggettività subalterne: attraverso un paragone tra la figura del militante degli anni Settanta italiani e i coevi punk, skinhead e soulie inglesi, si ipotizza che la protesta politica e la rivolta sottoculturale siano stati due modi differenti di reagire alla crisi economica e sociale comune ai due paesi negli anni Settanta. Grazie ad esempi rintracciabili nelle rappresentazioni letterarie delle rivolte e delle rivoluzioni del passato o del Sud del mondo, nelle conclusioni di questo lavoro si riconosce alla letteratura la capacità di veicolare di generazione in generazione il mito della rivolta. ; This thesis aims at analysing the literary representation of political movements and subcultures in Italian and English contemporary literature. Using the hermeneutic tools elaborated by British Cultural Studies and Critical Theory, this work focuses on the novels which articulate in their chronological structure different temporalities, as the Seventies and the present: on the one hand this reading strategy allows to investigate the influence of the latter on the formation of historical knowledge and on the other hand it shows the effects of the myth of the former on the present. Underlining the crucial role of first-person narrative in Coe, King, and Tassinari's novels, this work highlights the capacity of fiction of giving voice to subaltern subjectivities: comparing the figures of the Italian militant of the Seventies to punks, skinheads and soulies of the Seventies in England, this thesis also suggests that political protest and subcultural revolt are two different ways of reacting to the economic and social crisis of the Seventies. Providing examples from literary representations of past revolutions and revolts, the conclusions of this work defines literature as an extremely useful instrument to convey in our day the spirit of revolt.
Parlando di monacazione forzata ci si riferisce al fenomeno storico relativo alla violenza esercitata sulle ragazze nel momento in cui esse venivano destinate al chiostro contro la loro volontà. Le ragioni di tale atto sono riconducibili ai meccanismi familiari in ambito di politica matrimoniale, laddove i genitori preferivano risparmiare l'esborso dotale per salvaguardare la trasmissione del patrimonio. Dopo il Concilio di Trento e l'introduzione della clausura, che rese la condizione delle forzate drammatica, si è sviluppato in letteratura un fil rouge di testi che si sono fatti testimoni di questo abuso discutendolo, constatandone le cause socioeconomiche e trasformando in narrazione tante delle vicende cronachistiche che venivano fuori dalla storia. In questo elaborato viene perciò proposto un approfondimento dettagliato delle dinamiche sociali e culturali che caratterizzavano il sistema forzatorio e poi vengono ricostruiti i legami che hanno fatto sì che sul tema si sviluppasse una vera e propria tradizione interstestuale sparsa tra Italia, Francia, Regno Unito e Stati Uniti nei secoli tra il XVII e il XXI. Del tema viene poi fornita un'interpretazione generale sul piano delle analogie di sviluppo nelle dinamiche d'azione dei vari intrighi e delle relazioni di conflitto tra il pattern di personaggi che continua sistematicamente a ricomparire. Tale operazione è condotta attraverso l'utilizzo di alcune chiavi di lettura estrapolate dalla ricerca stessa e volte a evidenziare la problematica sottesa al tema principale: la concezione sociale e civile della donna nella società occidentale in riferimento alle aree geografico-linguistiche in questione. ; Forced monastic vows refers to the historical phenomenon concerning the violence perpetrated against girls assigned to the convent against their will. The reasons behind such an action originate in marriage family policies: parents wanted to spare the amount of marriage dowry in order to save their family net worth. After the Council of Trent and the introduction of seclusion, when forced nuns' conditions turned tragic, literature developed a tradition of texts in order to discuss this mistreatment and investigate on its socioeconomic causes. The result was the transformation of many of historical sources of this kind in narrative material. Therefore, this thesis intends to explore the social and cultural dynamics which typified the forcing system and the intertextual texture that enabled a truly literary tradition in Italy, France, UK and USA from the 17th to 21th centuries. We also provide a general interpretation of the main similarities between the plots of these texts. focusing on various intrigues' action dynamics and on conflict relationships between characters pattern which tends to appear systematically in this tradition. Research work furnished interpretation keys used as a tool to highlight in the final part of the thesis the main hidden issue in this literary front: woman's social and civil position in the examined geographical and linguistic areas and, in wider terms, in Western civilization.
The representation of the life in the trenches during the Great War has always been an epitome for the trauma. Yet, my article aims at focusing, in a comparative framework, on the trauma's processing that took place, narratively, in spaces at the side of the trenches, highlighting how this change of focus helped the authors to reflect on the indescribable shock expressed by the trenches themselves. This change of focus, I argue, was necessary for processing exactly that trauma related to the new – technological and Taylorist – nature of the conflict. ; La rappresentazione della vita nelle trincee durante la Prima guerra mondiale ha sempre rappresentato uno dei luoghi cardine del '900 per ciò che concerne la figurazione del trauma, caratterizzandosi quasi, a partire dalle pagine famose di Benjamin, come manifestazione epitomica del trauma stesso. Dalle prime descrizioni narrative (Barbusse, Remarque, ecc.) fino alle più attente ricostruzioni storiografiche (a cominciare da Leed e Fussell), la trincea ha fatto da correlativo metaforico dell'ingresso in una modernità – il '900 – da subito posta sotto l'egida proprio del trauma.Il mio intervento, pur non trascurando l'approccio allo spazio topico del primo conflitto mondiale, intende però, in ottica comparativa, concentrarsi su quell'elaborazione del trauma che ha luogo, narrativamente, in una serie di luoghi laterali rispetto alla trincea stessa, evidenziando come tale spostamento spaziale sia servito, agli autori in questione, per riflettere sull'indicibile che la trincea comunicava loro, cioè appunto per elaborare quel trauma connesso alla nuova, tecnologica e taylorizzata, natura del conflitto in corso. Gli spazi altri dalla trincea sono cioè venuti a rappresentare il luogo, pur con la trincea in stretto rapporto dialettico, all'interno del quale riflettere su quanto in trincea stava accadendo. Farò notare innanzitutto come la scelta del luogo altro in questione non sia mai casuale, ma sia invece sempre allegoricamente fatta per suggerire un'interpretazione del conflitto in corso: dalla birreria di Remarque al bordello udinese di Soffici, dalla caserma di Stanghellini al cimitero del Drieu La Rochelle di La comédie di Charleroi, dalle case abbandonate dei contadini in cui il giovane Ernst Jünger ritrova oggetti ormai, a contatto con la nuova realtà, privi di qualsivoglia valore, alla strada su cui le truppe fuggono in La rivolta dei santi maledetti di Malaparte. In seconda battuta spiegherò come tanto il luogo scelto per l'elaborazione del trauma quanto gli accadimenti lì narrati, siano strettamente correlati al giudizio dall'intellettuale espresso riguardo tanto al conflitto stesso quanto alle modalità della sua conduzione, militare e ideologica.
2013/2014 ; La tesi tratta della radio e della sua funzione culturale, partendo dal presupposto che essa ha, per sua natura, una finalità di esternazione di suoni (parole o musiche) rivolti ad un pubblico, e ha l'intento di insegnare, divertire e intrattenere. Attraverso i contenuti che essa trasmette, infatti, è possibile disegnare un quadro che descrive l'orientamento e i valori che trasmette, e quindi, la specificità non solo degli argomenti trattati, ma anche della più generale linea di pensieri e intenzioni che persegue. Nel corso del lavoro, si è cercato di dimostrare che la radio svolge, per la sua natura, una funzione culturale nel formare un'identità e nel far circolare un certo tipo di canone della letteratura. Infatti, nonostante gli studi sui mezzi di comunicazione di massa in Italia abbiano conosciuto un'accelerazione nel loro sviluppo solo negli ultimi anni, la radio da sempre ha costituito, per le sue caratteristiche di dinamicità e versatilità, un media molto ricettivo delle istanze della società, influenzando profondamente il tessuto connettivo. Fra l'altro, per la sua inclinazione a essere, allo stesso tempo, mezzo di aperta diffusione e di fruizione intimistica, essa ha sempre mantenuto un'impronta evidente di comunicazione personale, non massificata, ma creatrice di una comunità di ascoltatori che condividono informazioni e pratiche sociali. Si è così notato che, attraverso le sue messe in onda, la radio veicola i contenuti, gli argomenti e le forme del pensiero prevalente, incoraggiati evidentemente dai responsabili dell'emittente stessa che assumono un'importanza non secondaria. Essa può trasformarsi, allora, in uno strumento di politica culturale perché ha la capacità e la possibilità di diffondere, attraverso i programmi, una certa visione del mondo e della storia, fornendo gli strumenti per far riflettere e convincere chi è in ascolto e proponendo un deciso orientamento interpretativo dei fatti. Non solo, però, mezzo emanatore di prodotti informativi e culturali, ma anche mediatore di condivisione e confronto con un'altissima incidenza sul sistema politico, sociale, culturale stesso. Insomma, la radio costituisce un attore importante nel condizionamento della società alla quale si rivolge e dalla quale è ispirata e influenzata. Il caso preso in esame è quello più particolare di Radio Trieste dal 1954 al 1976, un periodo emblematico per la storia del secondo Novecento della realtà giuliana, fra la fine del Governo Militare Alleato con la firma del Memorandum di Londra e la sigla del Trattato di Osimo, che ridefinivano rispettivamente l'autorità italiana e i confini dell'Italia a nord-est, dopo gli anni tormentati di divisioni fra la Zona A e la Zona B. Con il 1975, poi, iniziò un periodo di distensione fra le due più potenti forze militari mondiali e, sul piano locale, si risolse, pur amaramente, la vicenda della terra istriana, che passò senza diritto di replica alla Jugoslavia di Tito. Radio Trieste rappresentava un'emittente del tutto anomala, nel quadro più generale delle radio, in quanto poteva disporre, come si vedrà, di mezzi e strumenti di primo livello, ed era capace di un'autonomia invidiabile, dovuta proprio alla sua storia particolare. Il periodo preso in esame, fra l'altro, costituisce l'ultimo segmento temporale nel quale l'emittente radiotelevisiva pubblica aveva ancora una centralità riconosciuta, nel più vasto panorama nazionale, poi in parte erosa, a partire dall'approvazione della Riforma interna della RAI (del 1975) che autorizzava il proliferare delle reti e dei canali radiofonici privati e, soprattutto, vedeva nella spartizione netta fra i partiti la sua nuova identità. In quegli stessi anni, fra l'altro, si assisteva all'affermazione indiscutibile della televisione come mezzo di diffusione di massa privilegiato dal pubblico, e, prevalendo sulla radio, costringeva ad un ruolo minoritario, quasi d'élite, la radiofonia, che comunque seppe reinventarsi una funzione e ricostruire intorno a sé un pubblico specifico. Per tutte queste coincidenze, l'esempio di Radio Trieste, dunque, appare assai emblematico, per il significato e le motivazioni che essa assunse negli anni già indicati: vent'anni considerati cruciali non solo per la storia locale, ma anche per la cultura e la letteratura ad essa legata. Infatti, come si cercherà di dimostrare, l'emittente triestina divenne allora il centro della vita intellettuale della città stessa, concedendo larghissimi spazi alla presenza delle principali voci della cultura, della letteratura e dell'arte locale, rappresentanti e portatori più autentici dei valori e dei principi risorgimentali e primo-novecenteschi, che intesero seminare in un territorio ferito e lacerato dalle due guerre mondiali proprio quanto da loro ritenuto fondante della società stessa. Vi furono allora due generazioni di letterati, intellettuali, scrittori, pensatori, poeti che, fra il 1954 e il 1976, presero parte ai programmi di Radio Trieste, nel tentativo di far riprendere l'abitudine della parola a una città straziata dai silenzi muti dei precedenti cinquant'anni, di fornire degli elementi di verità di quanto avvenuto e, soprattutto, di aprire un nuovo orizzonte di fiducia per la città giuliana. L'uso di nuove parole-chiave, la rievocazione dei fatti storici, i contesti narrativi, il ricordo di mondi passati, la ricerca dell'identità furono allora il centro stesso del fermento creativo di questi anni che si raccolse intorno alla radio, affidata alla direzione dell'ing. Guido Candussi (fino al 1976). Se è vero, infatti, che l'emittente pubblica in Europa (a differenza degli Stati Uniti) ha come intento quello di concorrere alla costruzione e alla difesa dell'identità culturale e civile del Paese, Radio Trieste cercò di esercitare questa funzione attraverso tutti gli strumenti che aveva a disposizione. Il lavoro di ricerca, così, ha voluto entrare nel vivo della programmazione della Radio, andando ad individuare quali fossero le trasmissioni in onda nel ventennio considerato, quali le voci che trovarono spazio, quali i contenuti delle stesse, e quindi, quale fosse il messaggio che si lasciava intendere. Non esiste, infatti, ad oggi alcuno studio specifico al riguardo, se si escludono due contributi, seppur preziosi, costituiti dal lavoro ciclopico di Guido Candussi, Storia della filodiffusione, (Trieste 1993, 2003 e 2008), e quello divulgativo a cura di Guido Botteri e Roberto Collini, Radio Trieste 1931-2006: un microfono che registra 75 anni di storia (Eri, Roma 2007). Inoltre, è da considerare che il patrimonio archivistico consultabile presso la sede regionale della RAI di Trieste consta di un numero esiguo di documenti, e, non di meno, manca del tutto un elenco completo del posseduto, che comunque è stato ridotto a forma digitale e non consente, dunque, un'indagine che permetta una visione ampia dell'archivio intero. Fra l'altro, sembra che le modalità con le quali si è proceduto allo scarto dei materiali non siano state regolate ordinatamente, ma dettate da qualche indicazione dirigenziale interna alla sede stessa (di cui resta un chiacchiericcio, ma nessuna documentazione effettiva), quando non dalla pura casualità. Anzi, alcune fonti orali riportano che, oltre ai documenti conservati presso la RAI di Trieste, sopravvissuti in parte all'incendio che ha devastato la sede alla fine degli anni Cinquanta, esiste ancora del materiale in qualche stanza della sede RAI o accolto negli archivi personali dei dipendenti dell'azienda. Solo il buonsenso dei singoli ha, quindi, salvato alcuni materiali originali dalla distruzione; infatti gli scarti sarebbero stati prodotti, anno dopo anno, senza una vera e propria logica che tenesse in considerazione la totalità del materiale, causando la dispersione di migliaia di riferimenti e contenuti. Per quantificare il patrimonio inerente a Radio Trieste, sia quello conservato che quello andato variamente disperso, non esistendo un vero e proprio catalogo, era necessario un lavoro di ricerca più lungo nel tempo e più approfondito. Era necessario, prima di tutto, costruire un elenco di programmi andati in onda in quegli anni: per farlo, si è ricorso allora allo spoglio dei periodici del tempo, in particolare de «Il Piccolo» e del «Radiocorriere TV» nella parte dedicata ai programmi radiofonici e televisivi, per dedurne gli orari di messa in onda e la programmazione giorno per giorno, mese per mese, anno per anno, trascrivendo pazientemente quanto previsto per la messa in onda. Circa sei mesi della ricerca, quindi, sono stati dedicati così all'annotazione meticolosa, paziente e fruttuosa dei riferimenti programmatici, dedotti dai riquadri delle trasmissioni che, giornalmente o settimanalmente, erano riportate sui due periodici, ottenendo così un elenco quanto più verosimile e puntuale possibile. Le fonti sono state reperite, per quanto riguarda «Il Piccolo», presso l'Archivio di Stato di Trieste, e «Il Radiocorriere TV» presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. Si sono così potuti individuare 1058 titoli di programmi radiofonici di impronta culturale e letteraria, in onda fra il 1954 e il 1976 su Radio Trieste. Si trattava di trasmissioni che accoglievano e davano voce agli intellettuali giuliani, sia a quelli già noti, sia a quelli emergenti, ai quali era concesso uno spazio di conversazione, presentazione o commento e lettura delle opere. Questi programmi rappresentano una parte molto rilevante del palinsesto dell'emittente e possono essere usati, appunto, per considerare la funzione politico-culturale che essa assunse, come luogo di elaborazione e esternazione dei contenuti che la città sentiva più urgenti e che il gruppo intellettuale vide la necessità di esternare attraverso le onde radio. Il tentativo, infatti, che gli intellettuali fecero fu quello di ridare slancio, attraverso la loro promozione artistica, ai valori fondamentali di libertà, tolleranza e dignità umana che avevano dato a Trieste i suoi anni migliori. Attorno alla radio, allora, si costruì non solo una classe di intellettuali colti, creativi, autonomi, ma anche una vera comunità, quella cittadina, nuovamente aggregata, resa più consapevole e acculturata dalle trasmissioni stesse: essa vedeva nel mezzo di comunicazione di massa una modalità non soltanto di svago e intrattenimento, ma anche di conoscenza e riflessione, rappresentando quanto di più vivo e autentico esisteva nella realtà giuliana. Radio Trieste costituisce così un caso del tutto eccezionale e straordinario di come la radio poté incidere profondamente in un territorio difficile ma ricco di intelligenze e di capacità che furono messe a disposizione della collettività, e assolse così la funzione propria di un servizio pubblico. Mentre le ricerche erano in fase avanzata, è emersa, fra l'altro, una fonte preziosissima, grazie alla disponibilità generosa di un ex dipendente RAI, che, venuto a conoscenza di queste ricerche, ha voluto condividere i preziosissimi quaderni della signora Silva Grünter, autrice, programmista e assistente ai programmi di Radio Trieste, che egli aveva trovato per caso negli armadi del suo ufficio. Qui sono diligentemente appuntati titoli, autori e numero di catalogazione dei programmi culturali di Radio Trieste corrispondenti proprio agli stessi anni d'interesse. Si tratta dunque di una preziosa controprova del lavoro svolto, che ne evidenzia, pur con qualche differenza, la validità e la scientificità. Il lavoro di ricerca presente rappresenta, pertanto, un tassello prezioso e finora sconosciuto del mosaico della cultura giuliana del dopoguerra, che delinea l'azione di Radio Trieste nel contesto sociologico, culturale e letterario del capoluogo di regione, rapportato all'ambiente degli intellettuali giuliani e al contributo in termini di cultura e conoscenza diffusa. Esso dimostra il ruolo della radio come strumento di diffusione e riflessione su determinati valori e principi che gli autori dei programmi, e la direzione stessa, ritenevano evidentemente cruciali. Porre l'accento sull'importanza culturale di Radio Trieste nel dopoguerra, significa, infine, scoprire uno spazio comune solo parzialmente esplorato in cui si sono intrecciati cultura, mezzi di comunicazione di massa e territorio, nel grande canovaccio della storia tormentata e complessa delle terre giuliane del Novecento. ; XXVII Ciclo ; 1986
Moroccan literature of the Years of Lead is a very interesting case of literature and law relationship. Moroccan society is still anchored to the past; nevertheless, it is crossed by radical political changes, in particular as far as the attention towards human rights is concerned. While from a legal perspective Ali Mezghani has referred to the Arab countries as an instance of "unfinished State", from a literary point of view a distinction should be drawn between the historical moment of the Years of Lead in which young activists were imprisoned (Seventies) and the cultural moment in which these years' experience resurfaced (Nineties). Writers, testimonies, interviews, films are all revolved around the same need to deal with a past which has been forgotten too often and by too many. The analysis of some of the most significant literary works of this period allows us to connect the writers' fictions with their desire to build a future while positioning themselves in relation with a society they perceive as detached from themselves. Writing, then, becomes an elaboration of an endless mourning in which the acceptance of loss does not always turn into a composition of the modern citizen.
This essay offers an analysis of J. Rancière's "politics of literature" through the style of G. Flaubert's realist novel. Literature as a "new regime of the art of writing" is characterized by its distancing from the rules of the representative regime of Aristotelian origin, based on the hierarchy of themes and subjects of art. Literature, and in particular the realist style, suspends all forms of hierarchy and raises the anyone and the anonymous to the dignity of artistic subjects, thus defining one's own democratic politics. ; Il saggio propone un'analisi della "politica della letteratura" di J. Rancière attraverso lo stile del romanzo realista di G. Flaubert. La letteratura come "nuovo regime dell'arte dello scrivere" si caratterizza per la presa di distanza dalle regole del regime rappresentativo di matrice aristotelica fondato sulla gerarchia dei temi e dei soggetti d'arte. La letteratura e in particolare lo stile realista sospende ogni forma di gerarchia e innalza alla dignità di soggetti artistici il qualunque e l'anonimo definendo in tal modo la propria politica democratica.
Belgium's institutional, legal, sociological and cultural context reflects a fracture that tangibly splits the country in two, with every decision concerning the country's organisation responding to the need to preserve the existence of the two major linguistic communities: Flemish and French. The aim of this paper is to assess whether, as regards the judiciary, the typically Belgian linguistic division does not reflect a simple issue of representation of different national groups within Institutions, or whether this division reflects a general ideological approach strongly embedded in the federal structure: regardless of their impact, whether demographic, political or economic, the Flemish and Francophone communities must be balanced. All state powers, including the judiciary, must engage in maintaining this difficult balance. Below, we will seek to demonstrate this argument.
The aim of this contribution is to refresh my studies on Gaspare Beretta, published in the 90's. At the service of three kings, Philip IV, Charles II, Philip V, thanks to his memory of 1696 we know a lot about his life: from the first enrollment 1639-51, to his election as State's First Engineer in 1657, up to being designated as Engineer of Factories, from 1651 to 1703. The documents analyzed, which are often autograph, are locate in: Biblioteche Trivulziana e Ambrosiana, Civica Raccolta «Bertarelli», Archivi di Stato di Milano e Torino; Archivo General de Simancas, and Osterreichisches Staatsarchiv, Kriegsarchiv, Vienna. The accurate drawings, of great skill, often with captions, reveal a mature awareness in the theories and techniques of representation of cities, fortresses and territory, especially when compared to the previous generation. The new grammar of the bastioned front is characterized by bulwarks of larger sizes, multiple levels of artillery in casemates and open pit, greater use of advanced works - ravelins, crescents, counterguards, lunettes, arrows, batten - with ditches, covered roads and feasting divided by gabions, paradoxes, bearers stands, with border squares, hub, supportive. The drawings will be cross evaluated with various documents and compared with drawing schools, geometry and military strategies. Beretta, therefore, has a strong profile in European defense context. If the predecessors are Baldovino, Prestino e Richino, his collaborators Formenti, Sesti, Joseph Chafrion Serena, the new masters - strangers to Italy - Pagan, Vauban, Frenchs; van Rusensteen, van Coehoorn, Storf de Belleville, Dutch; de Verboom, Flemish.
When Italo Calvino wrote "Le città invisibili" in 1972, he was aware of the period of transition that urban life was facing. The 'city' is a polysemous subject, and since it encompasses issues related with both the man-made environment and the human experience itself, the concept of the city must be examined by using multidisciplinary methodologies. The utopian space is symbolic: it is created through an act of deliberate volition, and each planning starts with the spatial configuration of buildings in order to establish relationships between objects and beings. The utopian political and social frame of mind shapes the topography and the blueprint of the utopian city. The project stems from the mind of the author as a mere speculation, and it is built and made real through textuality: it is a non-place that does not exist outside the text. The essay focuses on two moments in the long history of utopian cities: the relationship between architectural theories on the ideal city and utopia during the Renaissance; and the relationship between normative and legislative utopia (both having the city as their prime expression), and the Arcadian-pastoral utopia (for which the garden and the relation of human beings to nature is essential). In this last case, the author will take into consideration the utopian city of the 19th Century, and look at two architectural schools, the constructivist and the cultural one.
Il seguente testo consiste in un'intervista allo scrittore croato-bosniaco Miljenko Jergović in merito al suo romanzo-memoir Il padre (Otac, 2010), pubblicato in Italia nel novembre 2020. Discutendo delle esperienze biografiche del genitore raffigurate nel libro, l'autore affronta inoltre ulteriori tematiche ricorrenti nella sua produzione letteraria: il legame metaforico tra memorie di famiglia e storia nazionale, la scelta di una lingua "ibrida" in opposizione al purismo delle politiche nazionaliste e il continuo intrecciarsi tra finzione narrativa e veridicità autobiografica. ; The following text consists of an interview with Bosnian-Croatian writer Miljenko Jergović, released after the Italian translation of his novel-memoir The Father (Otac, 2010) in November 2020. In addition to his father's controversial life experiences, the author analyzes other recurring themes in his literary production: the usage of family memories as metaphors for national history, the adoption of a "hybrid" language as an opposition device against nationalist politics, and the constant intermingling between fiction and non-fiction.