Le organizzazioni di soccorso ebraiche in età fascista: 1918 - 1945
In: Testimonianze sull'Ebraismo 14
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In: Testimonianze sull'Ebraismo 14
In: Studi 24
Il saggio ricostruisce il profilo del francesista torinese Leo Ferrero, critico letterario e teatrale, prosatore, poeta, drammaturgo, nel suo ruolo di mediatore tra cultura italiana e francese nel delicato periodo dell'affermazione in Italia del regime fascista. Di natali illustri (figlio dello storico Guglielmo Ferrero e nipote di Cesare Lombroso), per tradizione familiare legato alla Francia, dopo un'infanzia torinese e una prima giovinezza fiorentina che lo vede attivo negli ambienti di "Solaria", Ferrero nel 1928 si autoesilia a Parigi per sfuggire a un regime politico che rendeva poco agevole l'attività culturale in Italia. La conoscenza della cultura francese, humus della formazione e dell'attività di padre e nonno, la rete di contatti con gli ambienti dotti fiorentini dove è operativo il Julien Luchaire, poi il figlio Jean, fondatore de l'Institut de culture française, sono i prodromi per una breve ma intensa carriera di autore e critico che scrive nelle due lingue, in una condizione di pressoché impeccabile bilinguismo e biculturalismo. Oltre a drammi, perse e versi composti nelle due lingue, Leo Ferrero lascia un ingente corpus di interventi sulla stampa francese, dove si fa alfiere delle espressioni più felici delle lettere italiane del tempo, ma soprattutto si prodiga in quella missione che era stata di "Solaria" e de "Il Baretti": colmare il "ritardo culturale" italiano attraverso una migliore conoscenza delle lettere straniere, in ispecie francesi, e una collaborazione/emulazione di modelli.
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none ; The leit-motif of the Fascist propaganda in the matter of public works was the alleged fact the Fascist regime was able of a greater spending capacity compared to the previous Liberal governments. The aim of this study is to measure the economic commitment of the Fascist regime in terms of public works and verify the alleged higher public expenditure during the Fascist period. Based on the statement of expenses at the Ministry of Economy and Finance a time series has been designed. The period taken into account ranges from 1st January 1871 to 30th June 1940. The time series analysis shows that between 1926 and 1940 the public works expenditure was the highest (in absolute terms) amongst periods of equal length. However, due to the faster growth of the total public expenditure, the amount allocated to public works was significantly lower compared to the same amount during the so-called Età Giolittiana (1901 - 1914) and especially during the left-wing governments from 1876 to 1895. ; SOCIETA', POLITICA E CULTURE DAL TARDO MEDIOEVO ALL'ETA' CONTEMPORANEA ; open ; CECINI, STEFANO
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In: Storia delle idee e delle istituzioni politiche., Età contemporanea., Sez. Studi 8
Questa tesi di dottorato rappresenta un primo tentativo organico di ricostruzione delle caratteristiche strutturali e delle attività funzionali dell'Opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell'Infanzia (Onmi), ente parastatale istituto nel 1925 e soppresso nel 1975, finalizzato alla profilassi e all'assistenza medico-sociale delle donne, in quanto madri, e dei fanciulli, fino al raggiungimento della maggiore età, che si trovavano in stato di bisogno permanente e/o contingente. La ricerca è circoscritta al contesto storico—ideologico degli anni del fascismo, con il fine di evidenziare quanto ed in che modo la gestione e l'organizzazione amministrativa dell'Opera corra parallela con la storia istituzionale del regime, tenendo, pertanto, in considerazione aspetti tipici dell'ingerenza del fascismo nella pubblica amministrazione, tra cui maggiore rilevanza assumono: la strumentalità dei grandi istituti rispetto alle proprie politiche; la penetrazione del partito nell'apparato amministrativo degli enti; il loro disarmonico sviluppo in chiave nord-sud e centro-periferia. Seguendo questo percorso di ricerca emerge, in primo luogo, l'assenza di una reale comprensione dello spirito sociale ed assistenziale che il regime avrebbe voluto conferire all'Opera, basato non più su una cura dell'assistito in termini filantropici e caritativi, finalizzata al controllo ed alla sicurezza sociale, ma su un di un embrionale stadio di quello che oggi potremmo definire social security. L'ente finirà, perciò, per divenire il vettore di altri obiettivi del regime tra cui in primo luogo è stato riscontrato il forte legame con le politiche demografiche e propagandistiche finendo, anch'esso, come nel caso degli altri enti previdenziali ed assistenziali istituti dal fascismo, nelle mani, spesso inadeguate, di una dirigenza di estrazione prevalentemente partitica che ne legherà la gestione a pratiche particolaristiche e clientelari. L'analisi, in ultimo, dal punto di vista del gradiente territoriale finisce per vedere riprodotte le differenze strutturali e funzionali preesistenti tra il nord ed il sud del paese, mentre dall'analisi centro-periferia emerge una netta predominanza delle politiche statali rispetto a quelle locali ma anche un più stretto collegamento tra le due realtà che consentirà al regime di avere un quadro effettivo e concreto delle realtà provinciali coinvolgendo nel sistema di governo uomini e mezzi. Sistema di governo reticolato, dunque, che fu in grado di coinvolgere diverse articolazioni della vita politica ed amministrativa, che, se da un lato, posero adito a corruzioni e clientele, dall'altro posero l'accento su di un tentativo di riforma della pubblica amministrazione.
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Questo lavoro si propone l'analisi della fotografia coloniale alla ricerca di alcune retoriche o di streotipi nella presentazione della realtà africana e di verficare quanto di questo è sopravvissuto nelle foto dei militari italiani in Somalia che Panorama ha pubblicato nel 1997 e quali mutamenti siano incorsi nella loro visione rispetto a coloro che si recarono in colonia e lasciarono testimonianza fotografica del loro passaggio in età liberale e fascista.
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[Vorerst nur Inhaltsverzeichnis] Dalla metà degli anni Venti il regime fascista avviò il più grande esperimento di pedagogia politica di massa mai tentato nella storia italiana: forgiare una collettività organizzata di cittadini-sudditi, imbevuti sin dalla più tenera età di un'ideologia fascista nazionalpatriottica e militarista. Questo progetto, totalitario nelle intenzioni e propagato attraverso il termine di "uomo nuovo", divenne una forza trainante del regime, e diede occasione a gruppi di volonterosi esperti ed educatori di trovare una nuova collocazione sociale e opportunità di far carriera all'interno del regime, lavorando "incontro al Duce". Il volume analizza l'operato del regime e dei suoi esperti per realizzare l'ambizioso programma, concentrandosi su alcuni campi particolarmente significativi (partito unico di massa, scuola e organizzazioni giovanili, medicina, sport, arte futurista, politica demografica e assistenziale, propaganda, sfruttamento delle colonie, razzismo), presentando ideologia e politica legate alla formazione dell'uomo nuovo fascista nelle sue varie declinazioni, senza dimenticare il loro concorrente totalitario, la Chiesa cattolica. ; [Vorerst nur Inhaltsverzeichnis] Mitte der 20er Jahre leitete das faschistische Regime das größte Experiment zur politischen Massenerziehung ein, das bis dahin jemals in der italienischen Geschichte versucht worden war: die Schaffung eines organisierten Gemeinwesens von Bürgern-Untertanen, die von Kindesbeinen an einer nationalpatriotisch-militaristischen faschistischen Ideologie ausgesetzt wurden. Dieses der Zielrichtung nach totalitäre, mit dem Begriff des "neuen Menschen" propagierte Projekt wurde zu einer treibenden Kraft des Regimes und verlieh verschiedenen Gruppen von willigen Experten und Erziehern eine neue gesellschaftliche Rolle bzw. öffnete ihnen in dem Maße Karrierewege, als sie dem Duce zuarbeiteten. Der Band analysiert die Maßnahmen, die das Regime und seine Experten ergriffen, um dieses ehrgeizige Programm zu verwirklichen. Die ...
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El terrorismo etarra no ha recibido un tratamiento central en la narrativa española (salvo excepciones a comienzos del siglo XXI). Las novelas Ardor guerrero y Plenilunio, de Antonio Muñoz Molina, lo integran como elemento secundario mediante correspondencias con otros elementos principales. Así, adquiere relevancia de sentido y se convierte en objeto de reflexión moral indirecta. Mediante el análisis de la perspectiva narrativa, el espacio, los personajes y las secuencias narrativas, este artículo llama la atención sobre el hecho de que no se enjuicia el terrorismo directamente, sino que se le atribuyen juicios que sus términos de comparación sí reciben explícitamente. Por su equiparación con la violencia fascista, en el primer caso, y con la violencia común, en el segundo, estas novelas presentan una imagen crítica de ETA, que aparece como fuerza retrógrada frente a la democracia y como agente de terror. La narrativa contribuye, cuando aún no podía expresarse sin temor, al fin del terrorismo mediante sus recursos propios. ; ETA terrorism has not been given a central treatment within the Spanish narrative (with a few exceptions at the beginning of the twenty-first century). In the novels Ardor guerrero y Plenilunio by Antonio Muñoz Molina, it is integrated as a secondary element by correlation with other major elements. Thus, meaning becomes relevant and turns into a subject for indirect moral reflection. By analyzing the narrative perspective, space, characters, and narrative sequences, this article draws attention to the fact that terrorism is not directly criticized but attributed judgments that are explicitly given to its comparative terms. By equating with fascist violence, in the first case, and by common violence, in the second, these novels present a critical image of ETA which appears as a retrograde force against democracy and as an agent of terror. The narrative contributes, even it could not be expressed fearlessly, to the end of terrorism though its own resources.
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A monte del più noto fenomeno contemporaneo e dati i numerosi studi sulla camorra ottocentesca più strettamente napoletana nella prima età liberale, questa ricerca vuole indirizzarsi invece verso la storia per niente studiata della camorra nella Provincia di Terra di Lavoro, che si estendeva dall'agro nolano fino al sorano, dunque molto più vasta di quella che oggi è indicata come la Provincia di Caserta. Tre i periodi che vengono analizzati specificamente. Il primo è relativo alla fase repressiva post-unitaria culminata nell'introduzione della legge Pica il 15 agosto 1863. Il secondo periodo è quello primo-noveccenesco, in cui da una parte appaiono in espansione i reati contro la proprietà e contro le persone e d'altra parte la "camorra amministrativa", venuta alla ribalta durante la famosa Inchiesta Saredo svoltasi a Napoli alla fine dell'Ottocento. I documenti ritrovati in archivio e presentati in questa tesi di dottorato ci mostrano invece quanto la "camorra amministrativa" fosse molto più sviluppata nella Provincia di Terra di Lavoro, come ci mostra il caso dell'onorevole aversano Giuseppe – Peppuccio – Romano, il quale venne accusato anche in Parlamento di essere espressione diretta della camorra. Infine, l'ultimo periodo preso in esame è quello della repressione fascista degli anni Venti del Novecento, in cui il Maggiore dei carabinieri Anceschi viene incaricato di mettere "a ferro e a fuoco" la "plaga dei Mazzoni", vasta zona paludosa che si estende dalla zona a ridosso del fiume Volturno fino agli odierni confini con la Regione Lazio, abitata, stando al Discorso dell'Ascensione letto da Mussolini nel maggio 1926 in Parlamento, da una popolo di primitivi e selvaggi. Per quanto riguarda le fasi successive all'Unità si fa riferimento agli studi di Alfonso Scirocco sul Meridione nel passaggio dallo Stato borbonico a quello italiano, oltre ai vari studi di Marcella Marmo sulla camorra ottocentesca, nonché sul complesso rapporto tra camorra e brigantaggio, fenomeni spesso confusi e ritenuti se non contigui, strettamente interconnessi. Per il primo Novecento risulta fondamentale l'ampia ricerca sulla classe politico-amministrativa di Francesco Barbagallo, oltre a vari studi di microstoria di Terra di Lavoro, studi inerenti anche il periodo fascista, che sul fronte della mafia sono stati portati avanti da Salvatore Lupo. Per i documenti inerenti il periodo fascista le ricerche si sono svolte per lo più nell'ACS (Archivio Centrale dello Stato), mentre all'ASCe (Archivio di Stato di Caserta) ho analizzato i fondi Questura-Commissariati (QC), Prefettura-Gabinetto (PG), relativi ai primi due decenni del Novecento da cui si può trarre un quadro qualitativo-quantitativo dei singoli reati-scopo (QC) e dei reati di tipo amministrativo (PG), e il fondo Prefettura-Affari vari, da cui ho tratto le notizie circa gli effetti della Legge Pica del 1863.
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In connessione con i recenti orientamenti della storiografia internazionale, sempre più attenti al nesso scienza-imperialismo, questo lavoro prende in esame i meccanismi di formazione, nell'Italia liberale e durante il regime fascista, della conoscenza medica sulle malattie tropicali: un settore del sapere medico sviluppatosi a fine ottocento sulla base delle proposte teoriche di Patrick Manson, sollecitato dalle scoperte della batteriologia di Louis Pasteur e Robert Koch e dagli avanzamenti della parassitologia. L'intento del lavoro è indagare le connessioni che intercorrono tra le esigenze di governo dei territori d'oltremare e lo strutturarsi di questo nuovo settore del sapere medico, non solo delineando i poli di sviluppo della disciplina, le reti (locali e globali) che hanno contribuito alla loro formazione, ma mettendo in evidenza l'effetto di riconfigurazione dello spazio ("scientifico", geografico) che la nozione di "tropicale", fatta propria dalla medicina di fine XIX sec., porta con sé. Attraverso l'esame dei caratteri della sanità bellica delle campagne di conquista coloniali - in particolare del conflitto italo-turco e della guerra d'Etiopia - lo studio si interroga sulla relazione fra dimensione strutturale e forme congiunturali di sviluppo dei saperi medici, collocando le trasformazioni conosciute dalla sanità di guerra in colonia nel più ampio quadro dei processi di modernizzazione e specializzazione dell'istituzione militare, senza dimenticare gli effetti di discontinuità introdotti nella pratica medica dalla Grande Guerra. Guardando alla scienza come luogo di sedimentazione, oltreché di produzione, di idee e stereotipi razziali, e prestando attenzione alle dinamiche di circolazione dei saperi, il lavoro prende infine in esame le rappresentazioni che la letteratura medica offre sulla fisiologia e sui meccanismi funzionali dell'organismo ai "tropici" (quello del colono e quello del colonizzato), facendo emergere come la relazione tra organismo e ambiente - cioè tra europeo e il nuovo spazio di conquista e tra "indigeno" e il proprio ambiente di vita - costituisca un nodo simbolico attorno a cui si addensano le concezioni con cui la medicina si troverà ad affrontare il problema della diversità del vivente. A preoccupare i medici sia in età liberale, come in epoca fascista, è infatti la questione dell' "acclimatazione", dell'adattamento cioè del bianco al nuovo ambiente tropicale: un tema che offre ai clinici un vero e proprio strumento di lettura degli stati patologici dell'organismo al tempo dell'espansione coloniale otto-novecentesca; non l'organismo "statico" - anatomico, dell'anatomia comparata - ma l'organismo fisiologico, "in trasformazione" nello spazio ridisegnato dall'imperialismo europeo.
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Considerato che in epoca fascista è possibile rintracciare una pletora di elementi orientalistici di gusto differente e di valore assai vario e che fra questi è possibile selezionare alcuni vettori di ricerca e di rappresentazione delle culture orientali, che hanno permesso comunque il costituirsi di approcci scientifici e istituzionali rigorosi, sarà forse bene parlare per quel periodo di «Orientalismi» al plurale. Tale prospettiva rinvia per contesto alle plurime rappresentazioni dell'«Oriente» nella cultura italiana della prima metà del Novecento. Un'autentica "età dei padri" dell'orientalistica nazionale incarnata nell'opera di studiosi come Leone Caetani, Francesco Gabrieli, Carlo Formichi, Giuseppe Tucci; dall'altro, insieme, di suggestive appropriazioni filosofiche e di declinazioni geoculturali degli spazi orientali che aprono su un versante ancora poco esplorato, rispetto al quale si possono immaginare almeno tre direzioni principali di indagine: lo sviluppo scientifico e istituzionale degli studi orientalistici nella cultura accademica italiana; la ricezione e la ritrascrizione di elementi linguistici e di pensiero orientali nella cultura filosofica nazionale; infine, le articolazioni ideologiche degli spazi orientali nella storiografia politica. In particolare, alcuni nodi ci sembrano fondamentali: anzitutto la vicenda della fondazione dell'IsMEO, luogo istituzionale e politico di una koiné culturale che seppe riservarsi ampi margini di autonomia nella produzione e nell'organizzazione di un sapere certamente pionieristico negli studi orientali, la sua storia politico-istituzionale, il senso e la portata dei suoi progetti editoriali, compreso il supporto alle missioni scientifiche e alla costituzione di uno straordinario patrimonio di reperti archeologici, di fondi manoscritti, di fonti iconografiche. In secondo luogo, i ruoli rivestiti da diversi orientalisti nelle relazioni diplomatiche e nella politica estera del fascismo, delle funzioni diplomatiche svolte, anche attraverso vie carsiche, dagli orientalisti italiani all'interno della «politica orientale » fascista. Sullo sfondo, la figura centrale e attivissima, sul piano organizzativo come su quello scientifico, di Giuseppe Tucci.As far as Fascist age is concerned it is probably correct to refer to "Orientalisms", according to multiple representations of "East" in Italian culture in the first half of the twentieth century. In fact, it is possible to find out a great amount of Oriental elements of different tastes and various value in that period and among them it is possible to select some research vectors and modes of representation of Oriental cultures that allowed the establishment of scientific approaches and of rigorous institutional studies perspective. It was a true "age of the fathers" of national Orientalism, scholars such as Leone Caetani, Francesco Gabrieli, Carlo Formichi, Giuseppe Tucci. Moreover, it is possible to find out suggestive ideological perspectives and philosophical facets of geo-cultural spaces that open the eastern studies to an unexplored side, against which we can imagine at least three main directions of investigation: the scientific and institutional culture of academic Oriental studies in Italian, receiving and re-registration of linguistic elements of thought and philosophical culture in the Eastern National, and finally, joints ideological spaces in East political historiography. In particular, some points seem fundamental. First of all the story of the founding Is- MEO, which meant institutional and political rise of a cultural koiné that was able to reserve a large margin of autonomy in production and organization of knowledge and pioneering studies of the East. IsMEO's political-institutional history meant publishing projects, including support to scientific missions and the establishment of an extraordinary wealth of archaeological finds of manuscripts, of iconographic sources. The other important point is the roles played by the various Orientalists in diplomatic relations and in the foreign policy of fascism. They carried out diplomatic functions, including subterranean political paths directing to Eastern policy. In the background one can observe the central and leading personality of Giuseppe Tucci, who was very active in organizing and planning scientific studies.
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La tesi si propone di analizzare i diversi elementi che hanno generato ed agevolato l'emancipazione della condizione femminile in età contemporanea, muovendo dall'età giolittiana ed attraversando quasi l'intero Ventennio, fino ai preparativi del secondo conflitto mondiale. Lo studio inizia da una prospettiva generale per poi focalizzare l'attenzione sul vissuto di Margherita Sarfatti e Camilla Ravera. Attraverso le due parabole individuali, cioè, lo scopo è quello di evidenziare il superamento dell'ormai passata – parafrasando Victoria de Grazia – "eredità liberale", mediante un'attiva partecipazione alla vita politico-sociale, nonché artistico-culturale della Nazione – anche se non sempre ben accolta dall'uomo "nuovo". Con questa ipotesi di lavoro mi sono avvalsa delle fonti reperite presso i seguenti fondi documentali: l'Archivio Centrale dello Stato, l'archivio dell'Istituto Gramsci e l'Archivio del Novecento presso il Museo d'Arte Moderna e Contemporanea, MART, con sede a Rovereto. Come progettato, grazie alle carte compulsate in questi luoghi mi è stato possibile seguire una sorta di binario parallelo, una specie di confronto permanente tra le parabole umane, culturali e politiche della "piccola grande signora del PCI" – per dirla con le parole di Nora Villa – e dell' "altra donna del Duce" – come rimarcavano Cannistraro e Sullivan – intrecciando la loro vicenda con quella di osservatori esterni. Questo è stato utile per la ricostruzione di alcune vicende e per effettuare, laddove era fattibile, un confronto al fine di avere una visione il più possibile obiettiva. La Sarfatti e la Ravera muovono entrambe da convinzioni socialiste. La prima, la "vergine rossa", le professava fin dagli anni veneziani; la seconda, la riservata piemontese le scopriva invece nella "maturità". Come è noto, hanno poi preso strade profondamente diverse: Margherita accanto a Benito Mussolini e Camilla nella milizia tra le fila del Partito Comunista d'Italia. Pertanto, ho cercato di ricostruire alcune dinamiche partendo da un vissuto privato, dandone una percezione anche personale. In altre parole, ciò che ricostruisco è il corso degli eventi in relazione ai personaggi che li hanno vissuti – e alle relative impressioni, sensazioni. Proprio per questo, ovviamente, la narrazione deve tener conto di un limite intrinseco, poiché la fonte scritta, spesso, non riporta un fatto come è realmente accaduto, ma come l'autore del documento lo percepisce o come lo vuole percepire. In quanto tale, esso è corredato da una distorsione della verità, inevitabile e più o meno intenzionale. Ecco perché nel visionare le carte di cui sono venuta in possesso ho cercato di "guardare", contemporaneamente, sia dall'esterno che dall'interno, intersecando costantemente i piani e i punti di vista. Per assolvere a questo compito, in merito all'ex prima donna del Regime, sono stati utilizzati dei documenti dell'ACS – presenti in ridotta quantità perché, appartenendo lei alla fazione "giusta", non aveva a suo "carico", come nel caso dei dissidenti, nessun faldone di polizia zeppo di scartoffie bensì delle cartelline dalle modeste dimensioni – ma soprattutto le carte del MART. Di contro c'era Camilla Ravera. Per ricostruire il suo vissuto ho effettuato un duplice percorso: uno interno, basato cioè su fonti quasi dirette perché appartenute alla protagonista e comunque tramandate dalla sua frazione politica; e l'altro esterno, basato cioè su fonti custodite dagli uffici del Regime e pertanto deformi, in alcune informazioni – nel senso che tutto era guardato secondo l'ottica fascista. Per quel che ha riguardato, invece, il percorso "interno", con questa espressione mi riferisco al fatto che la documentazione è appartenuta direttamente alla Ravera o comunque non è soggetta a quel pregiudizio di cui possono risentire le carte custodite presso l'ACS. Si tratta, insomma, di ricerche condotte sempre a Roma, ma presso il "Gramsci". Presso questa struttura ho compulsato il Fondo Memorie e Testimonianze, relativamente al fascicolo personale di Camilla Ravera, reperendo varie carte riguardanti perlopiù il periodo degli anni '20 e '30 che narrano il periodo della segreteria clandestina, dell'arresto nel 1930 e qualche altra vicenda raccontata da lei stessa o da qualche suo "compagno". Ad ogni modo, al termine di questo lavoro ciò che si auspica è che si riesca – dall'intreccio delle notizie reperite – ad "impreziosire" questa pagina della storia italiana con qualche elemento di inedito interesse. ; The Great War is the peak of a radical shift in the world history; in other words, total war and mass society changed, irrevocably, habits and lifestyles, resulting in significant changes in political and social life, economic, financial and cultural aspects. There was no exception about the interaction between the sexes: World War I "redefined" the man- woman relationship, causing many changes in social and familiar dynamics. In this context, the objective of my research is to investigate about those tranformations that allowed the change of women status. The work, in short, is going to analyze the role of woman during fascist period, starting from a general prospect and then focuzed on Camilla Ravera and Margherita Sarfatti's experiences. Both of them had an intense political and social life: after a common militancy in the Italian Socialist Party, they made different choices: the second forward fascist movement, close to the duce; the first in the ranks of the Italian Communist Party. In other words, with my reconstruction of Sarfatti and Ravera's biographies, I'm going to focus on an important passage about early italian history: the collapse of the old liberal heritage, the birth of a dictatorship, the struggle against fascism, through the active partecipation of two very interesting women in the political, artistic and cultural events of Italian nation. For this purposes – that are under some aspect unreleased – I've examined many sources kept in some italian archives. As regards Sarfatti's Life, my studies are concentrated prevalently on documentations kept at MART (Museo d'Arte Moderna e Contemporanea) in Trento and at A.C.S'. (Archivio Centrale dello Stato) in Rome. As regards Ravera's biography, besides A.C.S.' papers, I've examined papers that are at Istituto Fondazione "Gramsci" in Roma. From my investigation I've discovered some original elements that add important details to the women's biography. In other words, for the Communist leader an interesting aspects emerged about her arrest and the following political detention. As regards, instead, Margherita Sarfatti, , I've discovered an original details reading her diaries. In these pages, she relates – in english, in french and in german language – a lot of facts of her life, expecially some political ones; in short, the pages help us to understand her thought, her ideas, all the "sarfattiana" originality. In conclusion, according with my studies and my analysis, I decided to structuralize my work in three parts: - Women in giolittiana age - The period of the Great War and the "building" of Fascism - Since consolidation of Fascist Regime at preparations of the World War II. ; Dottorato di ricerca in Storia della società italiana XIV-XX secolo (XXV ciclo)
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2006/2007 ; AQUILEIA MATER: IL MITO DELLE ORIGINI NEL DIBATTITO CULTURALE E POLITICO DEL LITORALE TRA XVIII E XX SECOLO. UN'INTERPRETAZIONE STORIOGRAFICA di Marco Plesnicar. Ricerca condotta con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia. Lo scopo del presente lavoro, strutturato nel lungo periodo, è quello di stimolare la riflessione intorno ad un "mito", ossia all'idealizzazione di una serie di eventi storicamente verificatisi che esprimono i valori di una società e ne determinano scelte e comportamenti. Ho scelto la tradizione del passato aquileiese perché sono stato attratto dalla curiosità di investigare se la sua presenza nell'ambito di una folta letteratura, corrispondesse o meno a questa definizione di "mito". I presupposti ci sono tutti: quella che ho denominato "imago aquileiensis" è fondata su un dato di fatto incontrovertibile: l'importanza, storicamente acclarata, dell'antica metropoli romana, divenuta, dal periodo costantiniano in avanti, centro d'irradiazione del cristianesimo di primaria importanza e sede titolare di un patriarcato sopravissuto per circa un millennio. Nonostante la scarsità delle fonti coeve, la memoria di Aquileia antica e paleocristiana si è rivelata quanto mai resistente al passare dei tempi, poiché ha continuato ad esistere nella rappresentazione che ne danno i contesti civili e culturali che ad essa si son richiamati, rielaborando ed interpretando frammenti del suo passato: rappresentazioni e rielaborazioni che in questo lavoro diventano a propria volta fonti. L'elaborazione dell'immagine polissemica e polimorfa di Aquileia ha potuto contare su di una bibliografia nutrita e pazientemente consolidata nel corso degli ultimi due secoli ad opera di valenti antiquari, bibliotecari e bibliografi. Ne ho seguito lo sviluppo nel tentativo di ricostruirne la progressiva affermazione, partendo dall'isolamento dei singoli elementi costitutivi del mito, di quei temi che riaffiorano di volta in volta assumento un significato ed una rilevanza notevoli e non sempre scontati: dalla grandezza della metropoli in età imperiale, alla sua decadenza apparentemente decisiva e, a tratti, "fatale"; dalla tradizione delle origini del cristianesimo aquileiese (la leggenda relativa alla fondazione di questa chiesa ad opera dell'Evangelista Marco), alla condensazione di tutti questi componenti nel momento in cui si affermano i nazionalismi, quanto mai sensibili ad un recupero funzionale del passato. Il primo capitolo (1.2 La culla del mito: Aquileia e la sua regione: brevi cenni di storia aquileiese; 1.2.1 Dalla colonia romana al centro d'irradiazione del Cristianesimo nella Venezia e nel Norico; 1.2.2 Aquileia patriarcale: la millenaria esperienza del "limes"; 1.2.3 Tra modernità e contemporaneità: il ruolo di Aquileia sull'incrocio del "confine mobile") serve a fornire un'agile introduzione storico-storiografica della parabola aquileiese, ab origine sino all'indomani della prima guerra mondiale, offrendo così un termine di paragone che aiuta il lettore a cogliere con maggior chiarezza i punti di contatto e di divergenza che caratterizzano le interpretazioni affiorate nel corso dell'indagine. Con il capitolo secondo ("Tra storia e tradizione" suddiviso nei seguenti paragrafi: 2.1 La distruzione e la lunga decadenza. L'altra faccia del mito; 2.2 La leggenda attiliana e l'origine della decadenza; 2.3 Il mito entra nella storia: al servizio del potere) il lavoro entra in medias res: ho proposto quella che definirei quasi una "radiografia" del mito, tanto nell'accezione che si ispira all'antichità romana, quanto allo sviluppo delle tradizioni relative ai primordi del cristianesimo nella Venezia e nel Norico, traendo spunto dagli esiti delle ultime ricerche condotte sull'argomento. Mi sono soffermato, in particolare, sui richiami costanti al tema della "distruzione" e della "rinascita" della fortuna di Aquileia, concentrandomi sull'immagine di Attila e sull'interpretazione letteraria sette/ottocentesca in ambito regionale della leggenda attiliana, strettamente connessa ad Aquileia ed al suo ruolo di "antemurale Italiae". Nel terzo capitolo Capitolo: Le radici del Mito, strutturato nei paragrafi 3.1. La visione aquileiese: identificazione dei caratteri costitutivi. 3.2. Traditio aquileiensis. Evoluzione del dibattito settecentesco; 3.3: Il mito fondante si delinea: il secolo XIX, proseguo coll'approfondimento di quanto anticipato precedentemente: tento di ricomporre lo sviluppo del dibattito settecentesco, sorto tra eruditi italiani tra Venezia e l'impero – ma non solo – intorno alle origini fondanti del cristianesimo aquileiese, in cui si fa strada una prima avanguardia della critica che agl'inizi del 1900, con Pio Paschini, raggiunge il suo acme, con lo smentire definitivamente la storicità della leggenda marciana. Il quarto capitolo Capitolo 4. "Dalla storiografia alla storia": il mito prende forma: 4.1. L'operazione culturale legata al recupero archeologico; 4.2 Gli scavi ed il Museo archeologico; 4.3 La Basilica, costituisce il discrimen del lavoro: dall'astrazione del dibattito tra intellettuali si passa all'attuazione di piani e strategie concrete tesi a riaffermare una nuova "rinascita" del glorioso passato aquiliese mediante la riqualificazione, la conservazione e la promozione del patrimonio archeologico ivi custodito, sia esso relativo all'antichità imperiale, sia alla più grande e significativa reliquia della cristianità: la basilica popponiana. È un ambito particolarmente interessante, in quanto permette di constatare l'impegno sostenuto da parte dell'autorità politica ed ecclesiastica del tempo a favore di una politica culturale che trae fondamento dal mito aquileiese e, contestualmente, lo alimenta, assecondandolo alle proprie linee d'azione. Nel quinto capitolo 5.1 "Aquileia nostra": la nascita della "terza Aquileia", ho voluto evidenziare le modalità dell'utilizzo strumentale del mito aquileiese prima, durante e dopo la guerra, nel momento il cui la parola passa alle armi e si comprende una volta di più che anche il frutto della riflessione scientifica può diventare uno slogan utile a rafforzare e costruire le ideologie. Aquileia diviene un luogo particolarmente adatto ad ospitare le grandi adunate popolari promosse dagli schieramenti che si fronteggiano sul piano politico degli anni Dieci del Novecento; il suo significato propagandistico esplode durante il primo conflitto mondiale, per essere infine sublimato nell'immediato dopoguerra, alla vigilia dell'avvento della dittatura fascista, in cui Aquileia finisce per divenire una pallida emanazione della "prima Roma". Il sesto capitolo, dedicato alla Liturgia ed in particolare alla parte dedicata al culto dei santi, ho voluto proporre l'accostamento dei testi delle lezioni che compongono gli uffici divini delle diocesi eredi del patriarcato aquileiese, Gorizia ed Udine, a partire dal Settecento sino agli inizi del Novecento. Mentre l'arcidiocesi di Udine gode di un'uniformità linguistica riconducibile all'area italiana, la sede metropolitana di Gorizia, al di là della tradizione liturgica patriarchina, ha ereditato la complessità che costituisce il tratto distintivo di quest'area, popolata da genti di ceppo friulano, sloveno e germanico. L'individuazione del richiamo a determinate figure di santi e martiri aquileiesi può rivelare la sensibilità di una Chiesa particolare nei confronti delle figure esemplari che hanno costituito il vanto e l'origine dell'esperienza cristiana delle proprie terre; tale richiamo conosce il suo punto di massima espansione nella metà dell'Ottocento, in modo abbastanza equilibrato anche se autonomo, tra le due sedi diocesane, per conoscere un significativo ridimensionamento a partire dal pontificato di Pio X, autore di una importante riforma del Breviario romano, ad opera della quale i calendari particolari delle diocesi subiscono un primo ridimensionamento a vantaggio delle feste comuni all'intera cattolicità. ; XIX Ciclo
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