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In: Economia., Sez. 4.: Monografie 60
L'indagine, di carattere esegetico, è dedicata all'evoluzione del crimen ambitus nell'età imperiale di Roma antica (I-VI secolo d.C.), epoca nella quale tale reato politico ha perduto in larga misura la sua essenziale connotazione repubblicana, riconoscibile nell'uso, in occasione delle votazioni popolari dei magistrati cittadini, di mezzi di propaganda elettorale contra legem. L'adattamento di tale figura di reato al nuovo sistema di governo ha determinato in particolare una sua estensione alle nomine dei burocrati appartenenti all'amministrazione imperiale, con lo scopo di punire quei casi in cui l'insediamento in un ufficio fosse l'esito di pratiche corruttive (suffragia) volte ad aggirare le regole previste per gli avanzamenti di carriera, le quali privilegiavano il merito, l'anzianità di servizio e l'osservanza di tempi stabiliti per la progressione.
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L'indagine, di carattere esegetico, è dedicata all'evoluzione del crimen ambitus nell'età imperiale di Roma antica (I-VI secolo d.C.), epoca nella quale tale reato politico ha perduto in larga misura la sua essenziale connotazione repubblicana, riconoscibile nell'uso, in occasione delle votazioni popolari dei magistrati cittadini, di mezzi di propaganda elettorale contra legem. L'adattamento di tale figura di reato al nuovo sistema di governo ha determinato in particolare una sua estensione alle nomine dei burocrati appartenenti all'amministrazione imperiale, con lo scopo di punire quei casi in cui l'insediamento in un ufficio fosse l'esito di pratiche corruttive (suffragia) volte ad aggirare le regole previste per gli avanzamenti di carriera, le quali privilegiavano il merito, l'anzianità di servizio e l'osservanza di tempi stabiliti per la progressione.
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Il presente lavoro, senza eccessive pretese data l'inesperienza di chi scrive, si prefigge come obiettivo quello di fornire un quadro, il più possibile esaustivo, circa la disciplina del "crimen maiestatis". In particolare, si cercherà di evidenziare come il diritto penale romano, nonostante da sempre secondario rispetto al diritto privato, sia stato capace di una legislazione in grado di far scuola fino al XIX secolo e di influenzare l'età contemporanea e le rispettive codificazioni. Accingendosi allo studio di tale reato, ci si accorgerà di come l'esemplarità della pena costituisse un elemento connotante la fattispecie, tanto da non farsi eccezioni nemmeno per i soggetti ricoprenti le più alte cariche che, anzi, spesso erano proprio coloro che maggiormente erano perseguiti. Il processo si svolgeva in modo atipico rispetto a quello ordinario, con pene soggette, nel corso del tempo, a sempre maggiori inasprimenti : dall' "aqua et igni interdictio" alla pena capitale. Da quanto detto sarà facile desumere un'ulteriore caratteristica della fattispecie : la natura politica preponderante rispetto a quella penale, rinvenibile nell'utilizzo che se ne fece al fine di eliminare avversari politici o di incrementare le casse statali. Ma ciò che sicuramente caratterizzò il crimen maiestatis è la forte atipicità, tanto che, nemmeno oggi , se ne può dare una definizione precisa e universalmente valida, e soprattutto non sono chiari quali fossero i comportamenti che integrassero il reato, poiché, nel tempo, la fattispecie si dilatò fortemente tanto da ricomprendere realtà molto diverse tra loro, dalla "perduellio" alla magia. L'analisi, oltre a fare da cornice a suddetta fattispecie criminosa, persegue lo scopo di dimostrare come degli antichi istituti romani non abbiano perso, ancora oggi, il loro carattere di modernità e funzionalità , sebbene per molti aspetti , primi fra tutti l' " inciviltà" delle pene e la loro commistione con elementi magici, possano essere sentiti "lontani" dall'uomo di oggi, ma tale "distanza" verrà meno se si considera quanto segue. Il largo ricorso alle accuse di maiestas, infatti, ha sicuramente come motivazione più plausibile il timore, che in alcune epoche sfociò in un vero e proprio terrore, degli Imperatori di essere giustiziati da chi mirava ad ottenere il loro potere : fu proprio questa la motivazione che portò alla realizzazione di una macchina repressiva fino ad allora senza precedenti, finalizzata all'eliminazione dei nemici interni dell'Imperatore e di chiunque avesse potuto rivelarsi a lui scomodo ai fini della realizzazione della sua politica (oltre a garantire una cospicua attività al Fiscus romano). Ebbene, quanto appena descritto non potrà far altro che richiamare alla mente di chi legge ( e di chi sia munito di un minimo di conoscenze storiche ) proprio quello stesso regime di terrore politico che connotò il tanto discusso regime fascista caratterizzato dalla medesima forza repressiva autoritaria : alla luce di una così evidente somiglianza , forse, quindi non sbaglia chi sostiene che la storia altro non è che un cerchio chiuso che tende inevitabilmente a ripetersi.
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In: Osservatorio della giustizia penale
Con la legge sulle investigazioni difensive il processo penale ha vissuto un momento di completamento della sua impostazione complessiva, la quale, come è noto, ha visto nei caratteri del modello accusatorio i propri principi ispiratori.Soltanto intravista nella versione originaria del codice processuale - per di più, relegata nell'ambito di una norma generale collocata in sede di legislazione di attuazione - la necessità di predisporre un complesso organico di norme regolatrici dei diritti, delle facoltà e, anche, dei doveri del difensore investigante ha trovato puntuale soddisfacimento in un
In: Crime science 3
Il principio di legalità è riconosciuto come principio cardine degli ordinamenti statali liberali. La sua affermazione nella maggior parte delle costituzioni nazionali come diritto fondamentale dell'individuo deriva dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, elaborata durante la Rivoluzione francese. D'altronde, se il diritto penale è stato definito come " il potere punitivo legalmente limitato dello di uno Stato", il principio di legalità costituisce uno dei capisaldi, forse il più importante, dei limiti all'esercizio di quel potere. Ricopre inoltre un ruolo fondamentale nel concretare l'effettiva separazione dei poteri tra legislativo e giudiziario, tra chi ha il compito di determinare in modo chiaro le condotte punibili e chi ha il dovere di punire quelle e solo quelle. Si può dire, insomma, che il principio di legalità riveste due diverse, ma strettamente connesse, funzioni. Nell'ordinamento internazionale, come è noto, il principio di legalità opera essenzialmente in quanto diritto fondamentale volto a tutelare l'individuo attraverso la determinatezza e la prevedibilità del dato giuridico. Tuttavia, a livello internazionale, l'applicazione del principio di legalità solleva questioni in parte diversi da quelle che esso pone all'interno degli ordinamenti nazionali. Uno dei problemi sollevati dall'applicazione del principio di legalità in relazione alla repressione di crimini internazionali da parte di tribunali internazionali è legato alla natura non scritta di alcune fonti del diritto internazionale penale. Norme incriminatici aventi la loro fonte in consuetudini internazionali o in principi generali di diritto,infatti, hanno talora confini incerti e sono il risultato di un processo di formazione in cui è difficile stabilire il momento preciso di affermazione definitiva della regola. L'incertezza che ne consegue può apparire,a prima vista, difficilmente compatibile con un pieno rispetto del principio di legalità. Proprio in considerazione di questo dato, alcuni tribunali internazionali penali si sono interrogati intorno alla possibilità di fare riferimento, accanto alla norma internazionale, anche al diritto interno dello Stato che ha uno stretto collegamento con l'evento criminoso, sia esso lo Stato ove è stato commesso il crimine o quello di nazionalità dell'imputato, al fine di determinare l'effettiva prevedibilità ed accessibilità della norma incriminatrice da parte dell'individuo nei confronti del quale questa deve trovare applicazione. In particolare, tale questione è stata affrontata in una recente decisione delle Camere straordinarie per la Cambogia; in precedenza, alcuni spunti rilevanti in proposito erano stati sviluppati nella giurisprudenza del Tribunale internazionale penale per la ex Iugoslavia. La presente indagine si propone di chiarire quale possa essere la rilevanza del diritto interno dello Stato ove è stato commesso un crimine o di quello di nazionalità dell'imputato ai fini del rispetto del principio nullum crimen sine lege nel diritto internazionale penale. Prima di entrare nel merito della questione, si ripercorrerà, seppur brevemente, l'evoluzione storica del principio nullum crimen nel diritto internazionale penale, sottolineando la crescente importanza che esso ha assunto di fronte alle giurisdizioni internazionali penali. Saranno poi messi in risalto gli aspetti che più condizionano il rispetto del principio nell'ordinamento internazionale, insistendo in particolare sui problemi derivanti dall'applicazione di norme internazionali non scritte e dal decisivo ruolo dei giudici nello sviluppo e nella determinazione del contenuto delle stesse. Infine, sarà analizzata la giurisprudenza rilevante, individuando le diverse impostazioni che sembrano sottendere le soluzioni giudiziali accolte, al fine di metterne criticamente in luce pregi ed ambiguità.
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