La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell'urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l'intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l'economia e la politica, è oggi minoritaria; l'irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l'elevazione del livello di istruzione e quindi l'incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un'idea di welfare semplicemente basata sull'istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l'assistenza sociale. La città moderna ovvero l'idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l'oggetto "città" e la mancanza di un convincimento forte nell'interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell'identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l'immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell'ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all'idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L'urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle "effettive necessità delle persone": nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il "Piano dei servizi", che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di "piano regolatore sociale", per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l'avvento della cosiddetta "new economy", la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito "nuovo welfare", in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull'istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull'assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E' chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per "fare città" devono necessariamente superare i concetti di "standard" e di "zonizzazione", che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all'evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l'ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto "dalla casa alla città", perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell'ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di "qualità dello star bene". E' evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall'altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l'ambiente, quindi manifestazione concreta di un'esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell'inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città. ; The research aims to define guidelines for the preparation of a plan that deals with quality of life and well-being. The reference to the quality and well-being is positively innovative, because imposes to organs of the government to relate with the subjectivity of active citizens and, at the same time, makes clear the need for a broader and transversal approach to the city and a more close relationship of technicians/experts with the leaders of political and administrative bodies. The research investigates the limits of modern town-planning theory in front of the complexity of new needs expressed by contemporary urban populations. The demand for services has changed significantly compared to that one of the Sixties, not only on the quantity but also and especially in terms of quality, because of the social changes that have transformed the modern city, from the point of view of the structure and the cultural request: the intermittent citizenship, so cities are increasingly experienced and enjoyed by citizens of the world (tourists and/or visitors, temporarily present) and popular citizens (suburban, provincial, metropolitan); radical transformation of the family structure, so the family-type consisting of a couple with children, solid benchmark for the economy and politics, is now minority; the irregularity and flexibility of calendars, diaries and rhythms of life of the population active, and social mobility, so individuals have trajectories of life and daily practices less determined by their social origins of what happened in the past; the elevation of the level of education and thus the increase in demand for culture; the growth of elderly population and the strong social individualism have generated a demand for the city expressed by the people extremely varied and diverse, fragmented and volatile, and in some aspects quite new. Close to old and consolidated requests - the city efficient, functional, productive, accessible to all - there are new questions, ideals and needs such as beauty, variety, usability, security, the ability to amaze and entertain, sustainability, the search for new identities, questions that express a desire to live and enjoy the city, to fell good into the city, questions that can no longer be satisfied through a welfare simply based on education, health, pension system and social security. The modern city or the modern idea of the city, based only on the concepts of order, regularity, cleaning, equality and good governance was handed over to the past history turning into something very different hard to represent, describe, tell. The contemporary city can be represented in many different ways, both on town-planning way and social way: in the recent literature there is the obvious difficulty of defining and enclose within certain limits the subject "city" and the lack of a strong belief in the interpretation of political, economic and social transformations that have invested society and the world in the last century. The contemporary city, beyond the administrative areas, territorial expansion and urban structures, infrastructure, technology, functionalism and global markets, is also a place of human relations, representation of the relationship between individuals and urban spaces where these relationship move. The city is both physical concentration of people and buildings, but also variety of uses and groups, it's the place of dense social relations where processes of cohesion or social exclusion occur, a place of cultural norms that govern behaviour and identity, expressed physically and symbolically through public spaces of city life. It's necessary a new approach to study the contemporary city, made up of cross-contamination and knowledge provided by other disciplines such as sociology and human sciences, which help to build the image commonly known of the city and the territory, landscape and environment. The representation of the urban social life varies according to what it is considered, in a specific historic moment and in a given context, a situation of well-being. The modern town-planning aimed at maximum level of well-being for individuals and communities, modelling on "real needs of people": in the old urban systems manuals appears a "Plan of services" as an appendix to the master plan, which includes services distributed on the surrounding areas, a sort of "social master plan" to avoid neighborhoods separated by segments of population or classes. In the contemporary city globalization, new forms of marginalization and exclusion, the advent of the so-called "new economy", the re-definition of the production base and the labour market are urban expression of a social complexity that can be defined trough transactions and symbolic exchanges, rather than trough processes of industrialization and modernization towards which the historic city, adopted modern, was oriented. All of this questions are the expression of that complex of matters which are currently described as "the new welfare", opposed to the one essentially based on education, on health, on the pension system and on social assistances. The research has therefore examined the traditional tools of town-planning and territorial programming in their operational and institutional dimension: the main destination of these instruments is the classification and accommodation of services and urban containers. It's evident, however, that in order to answer to the many questions of complexity, needs and desires expressed by contemporary society the actual allocations to "make city" must necessarily overcome the concepts of "standards" and "zoning" that are too rigid and unable to adapt to a growing demand for quality and services and at the same time inadequate to manage the relationship between collective space and domestic space. In this sense it is important to consider the relationship between housing types and urban morphology and hence the environment around the house, which establishes the relationship "from the house to the city" because it is in this duality that it is possible to define the relationship between private domestic spaces and public spaces and contextualize questions of roads, shops, meeting places, accesses. After the convergence from the wide urban scale construction to the architectural scale, the attention moves from the architectural scale to the scale of urban constructions, since the criterion of well-being goes through the different scales of habitable space. Moreover, in territorial systems with a widespread well-being and a high level of economic development there's an emerging awareness that the very concept of well-being is no longer linked only to the ability of collective and/or individual income: today the quality of life is measured in terms of environmental quality and social inclusion. Thus the need of an instrument of knowledge of the contemporary city to be attached to the Plan, containing criteria to be observed in the design of urban spaces in order to determine the quality and well-being, in the meaning of "quality of feeling good", of urban environment. Obviously, to reach quality and well-being it is necessary to satisfy macroscopic aspects of social functioning and living standards, through the indicators of income, employment, poverty, crime, housing, education, etc., and also first needs, basic and elementary, and secondary, cultural and changing, moving through the welfare state to a general feeling of well-being, to wellness in a holistic sense, all expressions of a desire for mental and physical beauty and a new relationship of the body with the environment, then real expression of a need for an individual and collective wellbeing. And it is this need, new and difficult, which creates the widespread feeling of a starting new urban season, much more than physical changes of the city could represent.
"Mi sia concesso di cominciare con una confessione piuttosto imbarazzante: per tutta la mia vita nessuno mi ha dato piacere più grande di David Bowie. Certo, forse questo la dice lunga sulla qualità, della mia vita. Non fraintendetemi. Ci sono stati momenti belli, talvolta persino insieme ad altre persone. Ma per ciò che riguarda una gioia costante e prolungata attraverso i decenni, nulla si avvicina al piacere che mi ha dato Bowie." (Simon Critchley, Bowie) Quelli che non conoscono l'opera di Bowie, temo, avranno provato un po' d'irritazione per la quantità di cose dette e scritte dopo la sua morte nel gennaio scorso. O perlomeno stupore, viste le innumerevoli sfaccettature per cui è stato ricordato. Come ha scritto giustamente Francesco Adinolfi su Il manifesto del 12 gennaio, "non c'è un solo Bowie, e ognuno ha il suo Bowie da piangere". C'è ovviamente il Bowie che tra la fine dei '60 e i primi anni '70 porta in scena la libertà contro la soffocante pubblica morale, mescolando generi ed identità sessuali in canzoni e concerti, ostentando i suoi personaggi scandalosi per sbatterli in faccia a family day di ogni sorta. Lo scrittore Hanif Kureishi, per esempio, ricorda la canzone "Rebel rebel" (1974) come una spinta che lo porta a desiderare di andarsene dal monotono perbenismo del sud di Londra. Il filosofo Simon Critchley descrive l'impatto di "Rock'n'roll suicide" (1972), dove l'urlo "You're not alone!" ("Non sei solo"!) diventa detonatore emotivo per una generazione di giovani a disagio con se stessi e con il mondo, spingendoli a cercare di diventare qualcos'altro – "qualcosa di più libero, più queer (traducibile con 'eccentrico', e anche 'omosessuale'), più sincero, più aperto, e più eccitante." Ma questo Bowie, l'icona del gender bending, è stracitato. Molto meno noto è il Bowie dall'animo irriducibilmente politico. Intendiamoci, anche dal punto di vista politico Bowie è stato molte cose. Nel 1975 rilascia alcune dichiarazioni di simpatia verso il nazismo, che saranno poi rettificate e (molto parzialmente) giustificate con la sua pericolosa dipendenza dalle droghe di quel periodo. Il clamore è amplificato da una fotografia in cui sembra fare il saluto romano a una folla di fan che lo attende a Victoria Station (ma osservando il filmato dell'evento su Internet, pare che il fotografo abbia preso lo scatto proprio nel momento in cui il braccio si tende in un normalissimo saluto). Si tratta di un aspetto delicato ancora da chiarire completamente, in cui anche critici raffinati come Critchley non si avventurano troppo. E che comunque ha finito per offuscare, secondo me, la figura di Bowie cantore degli ultimi e dei margini. Il nodo cruciale di questo suo aspetto è l'album Scary Monsters (1980), alla fine di un decennio segnato da una serie di album memorabili, dal glam rock alle sperimentazioni berlinesi – storicamente, la fine delle utopie e l'inizio del cosiddetto riflusso. Nel brano "Ashes to ashes" Bowie riprende il personaggio che l'aveva portato al successo, il Maggiore Tom, astronauta che in "Space oddity" (1969) celebrava l'allunaggio ma al contempo si perdeva stranamente a galleggiare nello spazio. Seguendo una parabola analoga agli ideali bruciati di quel periodo, nel 1980 Major Tom ricompare travolto dalle droghe pesanti, schiavo dei mostri che lo perseguitano nello spazio: I want an axe to break the ice, I want to come down right now Ashes to ashes, funk to funky We know Major Tom's a junkie strung out in heaven's high hitting an all-time low Voglio un'ascia per rompere il ghiaccio, voglio venir giù subito Cenere alla cenere, funk al funky Lo sappiamo che Major Tom è un tossico sperso nell'alto dei cieli caduto in una depressione storica Ma anche la realtà in cui Major Tom desidera tornare non promette nulla di buono. In Scary Monsters si manifesta uno dei punti più alti della critica socio-politica nei testi di Bowie, che assume toni quasi profetici. Mi riferisco alla canzone che apre l'album, "It's no game (no. 1)": Silhouettes and shadows watch the revolution No more free steps to heaven and it's no game (…) Documentaries on refugees couples 'gainst the target (…) Draw the blinds on yesterday and it's all so much scarier Put a bullet in my brain and it makes all the papers Profili e ombre guardano la rivoluzione Niente più passi facili verso il paradiso e non è un gioco (…) Documentari su rifugiati coppie nel mirino (…) Chiudi la finestra sul passato ed è tutto più spaventoso Sparami un colpo in testa e ne parleranno tutti i giornali Qui Bowie sembra svelare quella che sarà la faccia oscura degli anni '80 e oltre: la questione dei rifugiati e delle vittime civili dei conflitti (come suonano profetici quei due versi…), l'oblio degli ideali del passato, lo sguardo onnipresente ma banalizzante dei mass media. E' importante ascoltare "It's no game (no. 1)" anche perché Bowie canta questa canzone a squarciagola, a voce quasi stridula, come se lo stessero torturando; l'insieme è reso più complesso dall'alternanza con una voce femminile che canta in giapponese una traduzione del testo, in tono aggressivo. Secondo Critchley, "il genio di Bowie risiede nell'armonizzare minuziosamente parole e musica attraverso il mezzo della voce". I versi finali della canzone introducono poi un riferimento più esplicitamente politico, forse riferendosi alla polemica menzionata sopra: So where's the moral? People have their fingers broken To be insulted by these fascists – it's so degrading And it's no game E allora dov'è la morale? La gente ha le dita spezzate Venir insultati da 'sti fascisti – è così degradante E non è un gioco La voce di Bowie si contorce soprattutto quando pronuncia il titolo della canzone, "non è un gioco": il dramma della 'fine delle ideologie' sta nel poter non prendere più nulla sul serio, neanche le grandi tragedie. C'è una coincidenza curiosa, a questo proposito. L'anno seguente Giorgio Gaber mette in scena il recital Anni affollati, e nel pezzo parlato "Il presente" offre (ovviamente con Sandro Luporini) una caustica riflessione sul nuovo clima dei primi anni '80, dove i più bravi e geniali riescono a togliersi di dosso la pesantezza di qualcosa che ingombra per dedicarsi allo 'smitizzante'. Perché di fronte all'idiozia dei vecchi moralisti, preferisco vedere l'uomo di cultura che si fa fotografare nudo su un divano a fiori. Eh sì, per questa sua capacità di saper vivere il gioco. Sto parlando insomma di quelli veramente colti, che con sottile ironia hanno riscoperto… l'effimero. Ecco che cos'è il presente: l'effimero. E devo dire che per della gente come noi, che non crede più a niente, questo è perfetto. (…) La cosa più intelligente da fare è quella di giocare d'astuzia con i segnali del tempo. Ma attenzione, perché tra l'avere la sensazione che il mondo sia una cosa poco seria, e il muovercisi dentro perfettamente a proprio agio, esiste la stessa differenza che c'è tra l'avere il senso del comico ed essere ridicoli… La canzone di Bowie non finisce qui, perché Scary Monsters ha una struttura circolare e si chiude con "It's no game (no. 2)" ("Non è un gioco, parte seconda"), dove viene riproposto lo stesso motivo – o quasi. Questa versione accentua la critica sociale (e la visionarietà profetica) aggiungendo una strofa finale sullo sfruttamento del lavoro minorile: Children 'round the world put camel shit on the walls Making carpets on treadmills, or garbage sorting And it's no game Bambini in tutto il mondo mettono cacca di cammello sui muri Fanno tappeti su macchinari, o frugano in discariche E non è un gioco Ma soprattutto, i versi di questa "parte seconda" sono cantati in modo radicalmente diverso, con voce lenta, calda, modulata, quasi da crooner in stile Frank Sinatra, quasi a voler dire: guardate che anche i miei pezzi apparentemente più commerciali possono essere qualcosa di più di semplici canzoni orecchiabili. E' una caratteristica dei suoi testi che viene colta anche dalla genialità sregolata di Lars Von Trier, il cui durissimo film Dogville (2003), sulla brutalità del sogno americano, si conclude con la scena del massacro di un intero villaggio e uno stacco improvviso sui titoli di coda: una sequenza di immagini di povertà e degrado statunitense con in sottofondo il pezzo "Young Americans" (1975), dal ritmo allegro ma con un sottotesto che accenna alla sterilizzante massificazione degli individui: We live for just these twenty years, do we have to die for the fifty more? Viviamo solo per questi vent'anni, dobbiamo morire per altri cinquanta? Questa ambivalenza è riscontrabile soprattutto nei dischi immediatamente successivi a Scary Monsters, quelli segnati da un disimpegno che per la prima volta fanno diventare Bowie un fenomeno commerciale mainstream, e che molti fan ancora rifiutano. Mi riferisco innanzi tutto a Let's Dance (1983), ovviamente, ricordando il videoclip della canzone omonima che mette in primo piano la condizione degli aborigeni australiani; come scrive Nicholas Pegg nel suo enciclopedico The Complete David Bowie, "prendendo spunto solo marginalmente dal testo della canzone per sposare la causa dei diritti degli aborigeni, il video costituisce il primo (sic) sostanziale esempio del ruolo da militante sociopolitico che Bowie cominciava a ritagliarsi negli anni '80." Sempre in Let's Dance, il brano "Ricochet" ("Pallottola di rimbalzo") è pervaso da un senso di totale sacrificabilità delle vite umane; come in "It's no game", i versi sembrano già descrivere il lato oscuro della globalizzazione neoliberista: Like weeds on a rock face waiting for the scythe (…) These are the prisons, these are the crimes teaching life in a violent new way (…) Early, before the sun, they struggle off to the gates in their secret fearful places, they see their lives unraveling before them (…) But when they get home, damp-eyed and weary, they smile and crush their children to their heaving chests, making unfullfillable promises. For who can bear to be forgotten? Come erbacce sulla roccia in attesa della falce (…) Queste sono le prigioni, questi i crimini che insegnano la vita con nuova violenza (…) Presto, prima del sole, sgomitano verso i cancelli nei loro spaventosi luoghi segreti, vedono la propria vita che gli si dipana di fronte (…) Ma quando arrivano a casa, stanchi e con occhi umidi, sorridono e si stringono i figli al petto ansante, facendo promesse inesaudibili. Perché chi può sopportare di venir dimenticato? Buona parte di questi versi sono parlati con voce metallica, come da un megafono, rimarcando così l'idea di omologazione oppressiva della società contemporanea. Su questi temi Bowie ritorna periodicamente anche nei dischi incisi dopo Let's Dance, dalla fine degli anni '80 fino a pochi anni fa – album quasi sempre di gran qualità, che le commemorazioni dello scorso gennaio hanno praticamente ignorato. Va menzionato, dall'album Tin Machine (1989) il brano "I can't read" ("Non so leggere"), che tratta di deprivazione culturale in un mondo dove "money goes to money heaven / bodies go to body hell" (" i soldi finiscono nel paradiso dei soldi / i corpi nell'inferno dei corpi"). Lo stesso LP contiene una cover di "Working class hero" ("Eroe della classe operaia") di John Lennon (1970), inno anti-sistema cantato da Bowie con voce carica di rabbia: When they've tortured and scared you for twenty-odd years then they expect you to pick a career when you can't really function you're so full of fear (…) Keep you doped with religion and sex and TV and you think you're so clever and classless and free but you're still fucking peasants as far as I can see (…) There's room at the top they're telling you still but first you must learn how to smile as you kill Dopo che ti hanno torturato e terrorizzato per una ventina d'anni poi si aspettano che tu ti scelga una carriera mentre non riesci neanche a pensare tanto sei pieno di paura (…) Ti drogano di religione, sesso e TV e ti credi d'essere così furbo e oltre le classi e libero ma sei ancora un cazzo di bifolco, mi sembra (…) C'è ancora posto là in cima, ti continuano a dire Ma prima, mentre uccidi, devi imparare a sorridere Una diffusa alienazione sociale emerge anche in "Dead man walking" ("Morto che cammina", 1997), un pezzo contaminato da sonorità drum'n'bass che martellano immagini come questa: an alien nation in therapy sliding naked, anew like a bad-tempered child on the rain-slicked streets una nazione aliena in terapia che scivola nuda, di nuovo come un bambino intrattabile per strade viscide di pioggia Due anni dopo, in "Seven", riprende la figura del fratello maggiore Terry, sofferente di schizofrenia e suicida nel 1985, tornando così ad un altro tema per lui ricorrente, quello dei meccanismi sociali che riproducono la malattia mentale: I forgot what my brother said I forgot what he said I don't regret anything at all I remember how he wept On a bridge of violent people I was small enough to cry I've got seven days to live my life or seven ways to die Ho scordato cosa diceva mio fratello ho scordato che diceva Non rimpiango davvero nulla mi ricordo come piangeva Sopra un ponte di gente violenta ero abbastanza piccolo da strillare Ho sette giorni per vivere la mia vita o sette giorni per morire L'attenzione di Bowie verso le vittime della Storia si può ritrovare, comunque, già prima del 1980. Quando ancora cantava ballate alla Bob Dylan, il pezzo "Little bombardier" ("Il piccolo artigliere", 1967) narra di un reduce solo, spaesato e affamato di affetti: War made him a soldier, little Frankie Mear. Peace made him a loser, a little bombardier La Guerra lo fece un soldato piccolo Frankie Mear La pace lo fece un perdente, un piccolo artigliere Per sua grande gioia, diventa amico di due bambine, ma si farà cacciare perché sospettato di pedofilia: Leave them alone or we'll get sore. We've had blokes like you in the station before Lasciale stare o cominceremo a seccarci. Ne abbiamo già avuti come te alla stazione di polizia. Pur puntando esplicitamente il dito contro l'autorità costituita, questa storia malinconica è musicata, scrive Pegg, con un "nostalgico valzer da fiera di paese (…) uno dei pochissimi brani di Bowie scritti in 3/4". Il testo è ispirato al racconto "Uncle Ernest" (1959) di Alan Sillitoe, uno dei più felici narratori del nuovo realismo proletario nel secondo dopoguerra. In quanto a temi socio-politici, Bowie tocca spesso anche l'imperialismo statunitense e la natura repressiva delle religioni istituzionali (si veda ad esempio lo 'scandaloso' videoclip di "The next day", 2013). Ma il Bowie che ho voluto ricordare qui è l'artista che non ha mai chiuso gli occhi di fronte alle ingiustizie, alla sofferenza degli ultimi. Potrà suonare paradossale, ma mi viene da pensare ad un altro grande cantore dei margini come Enzo Jannacci. Bowie torna spesso su ciò che in "Under pressure" ("Sotto pressione", 1981) definisce "the terror of knowing what this world is about" ("il terrore di sapere di cosa è fatto questo mondo"), mentre Love dares you to care for the people in the streets the people on the edge of the night L'amore ti sfida a prenderti cura della gente per le strade la gente al margine della notte Certo, è difficile accostare i maglioni sudati di Jannacci al Bowie che ha creato e curato la propria immagine, cui il prestigioso Victoria and Albert Museum di Londra ha dedicato una mostra di grande successo nel 2013. E la voce di Jannacci, sempre apparentemente sul punto di esaurire il fiato, condivide poco con le virtuosità bowiane. Dietro ad entrambi vedo però una sensibilità comune, e un simile atteggiamento di insofferenza verso ogni inquadramento, ogni norma imposta dall'alto. Per me, i testi di Bowie hanno rappresentato l'inizio di una passione per la letteratura in lingua inglese, e per la natura indecifrabile, sfuggente e mai omologabile che è propria della poesia. Critchley nota che, a partire dal periodo berlinese, i suoi versi diventano meno intellegibili e narrativi, e che "colpiscono maggiormente quando sono più indiretti. Siamo noi a doverli completare con la nostra immaginazione, col nostro desiderio." Continuo a citare Critchley anche perché mi ritrovo profondamente nel percorso del suo libro, purtroppo non ancora tradotto in italiano. Il volumetto si conclude con una frase che sottoscrivo, e che rappresenta il motivo per cui non ho ancora trovato il coraggio di ascoltare Blackstar, l'ultimo album uscito solo due giorni prima della morte: "Non voglio che Bowie finisca. Ma lo farà. E anche io."
Introduzione Il fine di questa ricerca è quello di individuare i luoghi in cui Apollo viene chiamato in causa e la funzione filosofica che questi richiami al dio assumono. Apollo, benchè in modo complesso e plurivoco, incarna un preciso tipo di ideale che non solo ha avuto una decisiva risonanza nella filosofia antica, ma rappresenta ed ha rappresentao un modello, un riferimentoper la divinazione e la sapienza oracolare, un paradigma di saggezza. Dunque, il mio intento è quello di individuare nel contesto platonico in che modo questa plurivocità di aspetti sia impegnata come strumento filosofico da Platone ogniqualvolta Apollo sia richiamato nei dialoghi. Emergerà che, benchè in modo complesso, Platone sembra isolare e impiegare maggiormente una dimensione dell'apollineo, quella forse più pura, legata all'ordine, alla razionalità, e a ciò che non a caso oggi si definisce "apollineo" di individuare nel contesto letterario, ogni qual volta l'apollineo si manifesta, dimostrando il modo in cui lo stesso strumento filosofico-letterario del dialogo utilizzato da Platone, corrisponda alla stessa concezione ordinata e razionale che si incarna nell'apollineo. Chiarezza e forma sono due elementi che hanno pienamente a che fare con l'intento di quella parte di grecità che ha abbandonato l'ebrezza dionisiaca per aspirare al raggiungimento di un equilibrio. Un primo passo necessario di questa idagine consiste nello stabilire alcune linee guida che gettino luce sul ruolo che Apollo ha nella cultura greca. Essa, in effetti, è permeata in innumerevoli aspetti - dalla musica, all'arte, alla poesia, alla scultura,- da caratteristiche proprie dell'ideale apollineo. Più nello specifico il capitolo primo riassume brevemente la leggenda mitologica della nascita di Apollo sull'Isola di Delo, avvenuta dopo i vagabondaggi della madre Latona perseguitata da Era, gelosa di Zeus e della sua permanenza nella terra degli Iperborei. Apollo è inoltre legato a varie figure mitologiche come Helios, Marsia ed anche Pitone, il serpente da lui sconfitto, a lui fanno capo differenti appellativi a seconda delle sue qualità via via attribuitegli nel tempo: il "raggiante", il "soccorritore dei mali". Apollo è inoltre il dio della musica, della danza, colui che soccorre dalle sventure, ma ne è anche foriero: la duplicità è un elemento di forte fascino, che colpisce colui il quale, scoprendo questa divinità, non potrà fare a meno di imbattersi in questa sua caratteristica. Il canto cultuale di Apollo è il Peana, canto risanatore intonato per la prima volta a Delo per celebrare la vittoria del Dio sul mostro mitologico, Pitone. Apollo è il kuros, il giovane bello e scolpito nelle sculture classiche, la sapienza a lui consacrata è una delle più antiche nella nostra cultura: la fondazione del tempio di Delfi a lui consacrato risale al 1400 a.C e nello stadio a fianco si svolgevano i famosi Giochi Pitici, che seguivano tre anni l'Olimpiade e prendevano il nome dalla Pizia, la sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nome di Apollo. Apollo è il più bell'esempio di un dio che esercitò per lungo tempo la massima influenza sulla vita religiosa della Grecia, pur senza far uso del suo potere per opprimere gli altri. Le due sezioni conclusive del primo capitolo sono dedicate rispettivamente: la prima agli edifici sacri e la seconda ad Asclepio, mitologico figlio di Apollo e divinità medica, legato al padre da molti aneddoti. Tali aneddoti in maniera interessante, anche per questo nostro elaborato, individuano una più ampia paternità apollinea: Apollo avrebbe creato Platone per curare i mali dell'anima con la sua filosofia e Asclepio, medico del corpo, per alleviare la sofferenza fisica all'umanità. Il secondo capitolo è dedicato alle fonti, in particolare ai poeti di età arcaica, le cui opere sono ausilio importante per rintracciare la storia di questa divinità e l'influenza che essa ebbe all'interno della cultura scritta e orale greca. La prima fonte ad essere presa in considerazione sono alcune sezioni dell'Iliade, dalla quale deriva la maggior parte delle nostre conoscenze letterarie sulla mitologia greca e nelle quali l'intervento di Apollo si fa importante permettendo di riflette su quello che abbiamo già detto essere il duplice volto della divinità. Esaminando Gli Inni Omerici, in particolare due che sono dedicati ad Apollo: l'Inno III e XXI insieme a l'Inno Alle Muse, notiamo che essi comprendono alcune tra le pagine più belle della letteratura greca e corporazioni di poeti (soprattuto i cosiddetti Omeridi) li andarono recitando per secoli in Asia Minore, e in Grecia, per rallegrare le feste dove si radunavano i greci. Passando alla lirica corale, faremo riferimento a Pindaro (Tebe 518 a.C circa, Argo 438 a.C). Le sue opere, Olimpiche, Pitiche (dedicate ai giochi per Apollo), Inni e Peani, sono ricche di riferimenti ad Apollo, divinità spesso al centro di espisodi mitologici al centro dei componimenti poetici di Pindaro. Da Omero a Pindaro erano fiorite intense stagioni di poesia e insieme discussioni radicali sui "generi": se in Pindaro ritroviamo una mistione di epos e lirica, di attualità e mito, in Omero si assisteva ad una pura ed estensiva narrazione mitologica, come anche negli Inni è presente l'invocazione al nume e l'evocazione delle sue gesta che si avvicendavano naturalmente. Spesso, infatti, Pindaro tocca un motivo epico al volo, ci ritorna a volte con impegno più profondo e lo sviluppa ariosamente. Tuttavia, non verrà trascurata la storiografia, in particolare Erodoto (Alicarnasso 484 a.C- Turi 430 a.C): storico greco fondamentale per la lettura della storia dei popoli esaminati nelle sue Storie, è indubbiamente utile per rintracciare l'importanza di Apollo e soprattutto della sapienza filosofico-oracolare a lui consacrata. Conclusi questi due capitoli, i quali hanno una funzione introduttiva dal punto di vista della tematica, si entra nel vivo della argomentazione che ritengo centrale: l'analisi delle sezioni dei Dialoghi platonici nei quali entra a fare parte Apollo. Il capitolo III "Apollo all'interno dei dialoghi platonici", sarà un breve excursus tra i Dialoghi, tra quelli in cui Apollo si manifesta, ed il suo mostrarsi noteremo che non avverrà in maniera casuale bensì in maniera strategica, a seconda della tematica affrontata nel dialogo. Si comincia con l'Apologia , nella quale, quasi all'inizio, il dio enigmatico di Delfi rivela a Socrate, tramite l'oracolo, che proprio lui, il più sapiente degli uomini, in quanto, il filosofo, "sapendo di non sapere", è consapevole che la vera sapienza sia solo raggiungibile pienamente dalla divinità e all'uomo è dato sperimentarla solo in parte, cercando di raggiugerla con l'esercizio filosofico. Nel Protagora, si cerca di dimostrare che la prassi educativa utilizzata dai cosiddetti sofisti sia inconsistente. Apollo qui non compare ma, Socrate, cita il tempio Delfico e la celebre massima del "conosci te stesso" incisa su la sua parete. All'interno dell'Eutidemo, il dialogo che si occupa della critica dell'eristica (arte di "battagliare" con le parole) Apollo compare in primo luogo, in maniera indiretta, venendo nominata la sua statua crisoelefantina di Delfi ed in secondo luogo è definito patrio da Socrate: secondo gli ateniesi infatti Apollo era ritenuto padre di Ione, antenato degli ateniesi, dunque capostipite degli Ioni, una delle quattro popolazioni elleniche dell'antica Grecia del II millennio. Nel Cratilo, il dialogo dedicato al tema della correttezza dei nomi, viene analizzata l'etimologia del nome delle divinità tra le quali anche Apollo, essa mostra al lettore il suo volto variopinto e nuovamente duplice: distruttore e purificatore ("colui che lava e scioglie"). Così facendo, Apollo è un ausilio che conferma la tesi della concezione naturalistica del linguaggio evinta dal dialogo, ovvero l'identità (di significato) tra nome e cosa nominata. Fedone, racconta le ultime ore della vita di Socrate e porta con sè il celebre tema dell'immortalità dell'anima, in questo dialogo, numerosi sono i riferimenti ad Apollo e al figlio Asclepio: si comincia con il ritorno delle navi recatesi a Delo per celebrare la vittoria della divinità sul Minotauro che fanno rientro ad Atene, ritardando così la morte del filosofo; nel corso del dialogo assisitiamo al discorso di Socrate, il quale si mostra sereno dinanzi alla morte grazie al conforto fornitogli da Apollo, ancilla di una musica altissima (filosofia). Nel Fedone si nota il modo in cui Socrate si assimili ai cigni, animali sacri ad Apollo, che alla fine della loro vita emettono un suono di gioia; questo comportamento è il medesimo del filosofo, che prima della morte appare disteso e sereno come testimoniano coloro che siedono intorno al maestro condividendo con lui le ultime ore della sua vita. Mentre, all'interno del celebre discorso sull'amore, il Simposio, Apollo è introdotto dal "Mito di Aristofane" nel quale si racconta la modalità con la quale avvenne la divisione nell'uomo che provocò in lui una perpetua ricerca della propria metà. La nostra divinità si inserisce nella argomentazione aristofanea come risanatore delle "cicatrici" provocate da suo padre Zeus, nel corpo umano: egli ricuce il ventre dell'uomo con la maestria di un artigiano. Apollo ritorna in seguito come discepolo di Amore il quale, guidandolo, gli ha permesso di esercitare quelle discipline che sono passate alla storia come sue proprie quali: medicina, musica e tiro con l'arco. Nel Fedro, si prende in esame un particolare tipo di sapienza mistica: la mantica. Essa appartiene senza dubbio ad Apollo, egli rende capace i suoi medium (la Pizia, profetessa di Delfi) di "vedere oltre" e lo scopo di Platone, per bocca di Socrate, è andare alla ricerca di questa "sapienza". Ma ciò è possibile solo solo mediante la guida delle Muse, le nove divinità della religione greca che hanno come guida proprio Apollo. Il Timeo, è il dialogo dedicato alla creazione del cosmo ed Apollo è qui personificato con Helios, il sole; si narra infatti che Fetonte sia figlio del sole e che, mal conducendo il suo carro bruciò una parte del cielo, cosicchè si creò la Via Lattea. L'ultimo dialogo che viene affrontato nel Capitolo III è il Crizia, in cui è presente una invocazione ad Apollo e alle nove Muse a lui consacrate per bocca di Ermocrate all'interno di una argomentazione da lui condotta. La modalità con la quale Apollo viene inserito in questo dialogo consente di far luce sulla maniera con la quale il culto apollineo era entrato a far parte a tutti gli effetti della vita degli abitanti della antica Grecia. Nell' Assioco (dialogo pseudo-platonico) Apollo ricorre ben due volte. In primo luogo, nel momento in cui si parla dei due fratelli Agamede e Trofonio, dei quali la leggenda narra avessero edificato il tempio di Apollo Pizio; in secondo luogo, un altro personaggio della mitologia che viene nominato nel dialogo è Anfiarao, indovino protetto da Zues e Apollo. Da questa ampia ricognizione si evince che ad Apollo è attribuito sicuramente un ruolo, che sia secondario o primario, all'interno delle varie tematiche (soprattutto richiami mitologici) dei dialoghi. Tuttavia l'elemento da sottolineare è che Platone ne fa comunque un uso molto ampio e lo fa soprattutto per richiamare l'ideale apollineo, il quale, rappresentando ordine e armonia, diviene lo stesso strumento ordinatore delle tematiche e dei dialoghi stessi. Il quarto, ed il quinto capitolo, si occupano degli scritti politici del filosofo, con particolare attenzione, ancora una volta, nei confronti del ruolo che Apollo svolge all'interno di essi, ma anche in relazione allo statuto della religione all'interno dei due grandi progetti politici della Repubblica e delle Leggi. Il quarto capitolo tratta del grande dialogo politico della Repubblica. Il ruolo che svolgerà la religione è funzionale all'assetto statale e di controllo in quanto, Platone, condanna ogni forma di religiosità misterica (soprattutto nel libro IV) o ispirata ed il cittadino dovrà osservare, al di là del culto per una particolare divinità, un grande rispetto per il sacro. Gli dei e le divinità in primis, tra le quali Apollo, saranno rispettate dal cittadino, insieme ai templi sacri a lui consacrati. Nel secondo libro della Repubblica Platone compie una critica della mitologia: i miti sono pericolosi perchè, pur costituendo il nucleo principale dell'educazione, falsificano l'idea delle divinità che sono le protagoniste dei racconti. Apollo ricorre spesso in altri passi della Repubblica che riportano racconti mitologici ma in ogni caso sarà raffigurato come una divinità positiva in quanto al fanciullo deve sempre essere consegnata dai miti ammessi all'interno della educazione statale, una immagine benevola della divinità. I libri VI e VII della Repubblica si occupano di analizzare due miti importanti il cosiddetto "mito della caverna" nel quale Helios svolge un ruolo fondamentale e Apollo è tirato in causa dai dialoganti alla stregua di una esclamazione ma, la sua apparizione, insieme alla metafora del sole, impone una riflessione: egli, grande divintà solare, assume sempre di più, a partire dall'epoca arcaica fino ad oggi, il carattere del dio della luce, purificatore e guaritore, Apollo sembra quasi che abbia una funzione ancillare in questo snodo dell'opera, nel quale Platone per bocca di Socrate spiega la sua teoria della conoscenza; la divinità, quindi, accompagnerebbe il lettore intento a cercare quel fascio di luce nella argomentazione della "teoria della conoscenza" platonica. Notiamo, dunque, tornando al principio della nostra riflessione, la quale è partita dalla concezione della religione nella Repubblica, che lo spirito apollineo, in questa opera ricorre spesso e la pervade tutta. La religione nel nuovo Stato rappresenta un ausilio alla norma generica della giustizia e del mantenimento dell'ordine e le stesse divinità sono si, certamente, ammesse, ma con precipue funzioni tutte dedicate al medesimo scopo: mantenere ordine e equilibrio nello stato. Il principio razionale, dunque è la luce che illumina il cammino della realizzazione dello stato platonico e l'ideale armonico apollineo, possiamo spingerci ad affermare, che si costituisce come una delle sue inesauribili fonti, senza ordine e misura la costruzione politica e filosofica della Repubblica non sussisterebbe. Nel quinto capitolo vengono esaminate le Leggi, nel dialogo, oltre ai riti è la tradizione che riveste una grande importanza. Sia che il discorso tratti di argomenti religiosi, di argomenti politici o di qualsiasi altro genere di problemi, è sempre chiaro che Platone ha alta considerazione per ogni genere di tradizione, soprattutto per ciò che è consacrato da un'antica origine e dalla credenza comune o collettiva. Le divinità regolano in generale i rapporti tra gli uomini a partire da quelli sociali fino ad arrivare a quelli economici; sono gli dei, infatti, a dare agli uomini le leggi, li puniscono, a volte, durante la loro esistenza terrena come anche nell'Ade. Se molte volte nelle Leggi si parla del dio o degli dei in forma impersonale, senza designarne specificatamente qualcuno, è anche vero che in parecchi luoghi le divinità della religione tradizionale sono espressamente designate per nome e viene ribadita, senza possibilità di fraintendimento, l'adesione alla religione concretamente esistente che è nelle Leggi una delle isitituzioni fondamentali, anzi, il perno essenziale di tutto l'ordine sociale e politico. In questo quadro, Apollo compare in modo ricorrente, quasi in ognuno dei dodici libri dell'opera. Apollo compare spesso nelle Leggi come ancilla della musica (mousikè)disciplina posta al vertice della piramide educativa dei fanciulli dello stato,Apollo dunque è foriero di ritmo ordinatore funzionale all'assetto statale,contrapposto al furore bacchico dionisiaco, e Platone, citandolo a proposito delle discipline a lui consacrate, sottolinea il suo equilibrio e misura. Nell'occasione della votazione del supremo magistrato preposto all'educazione, la quale avviene nel tempio di Apollo, ambito sacro e polis si intersecano, infatti nel libro XII i nuovi "revisori" dello stato ricoprono anche un ruolo semi-sacrale. Interessante è anche l'uso che il filosofo compie di Apollo chiamandolo molte volte Helios;sembra che ne faccia (di Apollo), nell'ecomia generale del discorso a proposito delle Leggi, un vero e proprio culto da osservare con devozione(i nuovi "revisori"diverranno essi stessi sacerdoti di Apollo) e, Platone, fa derivare la legislazione politica della polis, direttamente dalla divinità: l'Apollo patrio tanto caro agli abitanti della antica Grecia.Il libro X è ritenuto particolarmente importante per la tematica affrontata sulla empietà: l'ateismo nelle Leggi viene considerato un'infrazione alla connessione sussitente tra ordine cosmico e ordine politico ed in esso viene anche sviluppata l'idea di religiosità cosmica. Apollo è, in questa opera, colui che disciplina mediante le materie educative da lui incarnate il nuovo e vecchio cittadino, mettendolo su un cammino non oscuro ed incentro ma, su di una strada armonica e volta al rispetto delle norme vigenti lo Stato. L'uso che il filosofo fa in questa sede di Apollo è sostanzialmente di due tipi: regolativo, perchè guida l'individuo all'interno della legislazione statale ed educativo, in quanto, le discipline a lui corrispondenti formano il carattere del futuro cittadino. Il capitolo VI dedicato alle Espistole è il penultimo dell'elaborato, contiene in primo luogo una riflessione a proposito della loro autenticità (le lettere ad eccezione della VII e, con più dubbi, dell'VIII sono ritenute spurie), tuttavvia, la Lettera XIII anche se spuria, contiene un interessante riferimento ad Apollo, o meglio ad un kuros, una statuetta votiva della raffigurante un giovane ed in questo caso Apollo, commissionata da Dionisi di Siracusa a Platone: Apollo incarna l'ideale estetico di bellezza della classicità e le sue state sono una presenza costante in questa epoca e nei templi della antica Grecia, utilizzate dalla popolazione per invocare la divinità e concedergli preghiere. L'ultimo capitolo si occupa della aneddotica, in effetti, molto interessanti risultano gli aneddoti a proposito di Platone, celebri quelli che hanno a che fare con la sua nascita proposti da Giamblico e Diogene Laerzio: riuniscono Platone insieme a suo figlio Asclepio, sotto il segno di Apollo, il quale sembra egli stesso essere padre di Platone. Ampliando l'indagine con l'analisi di altri fonti e non solo, il capitolo stabilisce inoltre legame anche tra i due e Pitagora, altra figura posta sotto il segno di Apollo. Al termine di questa analisi potremo affermare da un lato che Apollo è presente in modo diffuso nelle opere di Platone, che riflettono la ricchezza e la complessità della sua figura, dall'altro che l'apollineo, inteso come spirito razionale e ordinatore, riflette la volontà platonica di marginalizzare in vari ambiti della sua riflessione tutto ciò che è asimmetrico e mancante di proporzioni. In fondo, la stessa forma del Dialogo come strumento filosofico rappresenta il tentativo di unificare un universo colmo di idee e concetti senza abolirne la complessità, anzi facendola fluire in una forma peculiare di comunicazione filosofica, quella dialogica. Si tratta, nei contenuti, di un progetto ambizioso, che va dal tentativo di utilizzare l'apollineo per ordinare una nuova vita comunitaria al programma di cogliere l'ordine divino e astrale: l'apollineo ordina, crea armonia, è luce (Helios). Quella luce che risplende, diffusa, in tutta la opera di Platone.
Dottorato di ricerca in Biotecnologie degli alimenti ; Lo smaltimento delle acque di vegetazione dei frantoi oleari costituisce, attualmente, uno dei principali problemi dal punto di vista ambientale, specialmente nei paesi del Mediterraneo dove si concentra la maggior parte della produzione mondiale di olio di oliva. Le acque di vegetazione sono tra i reflui agro-industriali a più alto tasso inquinante a causa del loro elevato carico organico, caratterizzato soprattutto da composti fenolici e polifenolici ad elevata azione antimicrobica e fitotossica. La purificazione biologica delle acque di vegetazione è particolarmente difficile poiché questo refluo presenta solidi in sospensione e un elevato carico organico, in particolare polifenoli con attività biostatica e/o biocida, che riduce fortemente le prestazione degli impianti di depurazione. Di conseguenza, l'impianto deve prevedere due o più stadi di trattamento che rendono la depurazione complessa e costosa. Attualmente, la normativa vigente consente la pratica dello spandimento delle acque di vegetazione sui terreni agrari; nonostante questa risulti, al momento, essere la soluzione migliore sia dal punto di vista pratico che economico, trova attuazione solo se si ha disponibilità di terreni sufficientemente vicini su cui spargere il refluo e comunque deve essere applicata in maniera controllata dal momento che gli eventuali effetti positivi o negativi sulla composizione, sulla carica microbica e la fertilità del terreno sono ancora oggi oggetto di studio. Inoltre, la migrazione di alcuni composti negli strati più bassi del terreno potrebbe causare la contaminazione di eventuali falde acquifere sottostanti con conseguenze per la salute dell'uomo. Negli ultimi anni sono state proposte soluzioni alternative finalizzate a sfruttare questo refluo, in quanto ricco di composti utili. La valorizzazione delle AV mediante il loro impiego per l'ottenimento di prodotti a medio o alto valore aggiunto attraverso processi fisico-chimici o fermentativi, riveste notevole interesse scientifico. Nelle AV sono presenti una grande varietà di biomolecole come acidi organici, polialcoli, zuccheri semplici e complessi e lipidi che le rendono una possibile base per i processi fermentativi. In virtù del contenuto residuo di lipidi, le AV potrebbero rappresentare un ottimo candidato come terreno liquido di crescita per la produzione di lipasi microbiche. Lo scopo della presente tesi di dottorato è stato quello di mettere a punto un processo fermentativo per la valorizzazione delle AV mediante produzione microbica di enzimi, in particolare enzimi lipolitici, ottenendo al contempo un abbattimento, o quanto meno una riduzione, del loro potere inquinante. Esiste una vasta bibliografia in cui viene presa in esame la produzione di lipasi da numerose specie microbiche tra cui Penicillium e Candida e sia il terreno che il processo fermentativo per la produzione di questo enzima è stato ampiamente ottimizzato. Nella maggior parte dei casi, una buona produzione di lipasi microbica prevede l'utilizzo di terreni sintetici piuttosto complessi che sicuramente incidono in maniera significativa sul prezzo finale del prodotto. Inoltre, negli ultimi anni anche la produzione di preparati enzimatici commerciali contenenti lipasi di origine microbica ha avuto un notevole sviluppo. Sigma, Amano, Roche, Novo Nordisk, etc., forniscono preparati lipolititici con varie composizioni e proprietà catalitiche utilizzati in diversi settori: industria alimentare, farmaceutica, dei detergenti e per la produzione di biodiesel. L'innovazione che dovrebbe introdurre questo lavoro è l'opportunità di produrre lipasi microbiche di possibile interesse industriale utilizzando un substrato costituito da un refluo agro-industriale. Con questa idea, si è cercato di mettere a punto un terreno di produzione a basso costo che permettesse di ottenere buoni livelli di attività e contemporaneamente un abbattimento del carico inquinante del refluo finale. In prima battuta, è stato effettuato uno screening di microrganismi (Geotrichum candidum, NRRL 552, 553; Rhizopus sp, ISRIM 383; Rhizopus arrhizus, NRRL 2286; Rhizopus oryzae, NRRL 6431; Aspergillus oryzae, NRRL 1988, 495; Aspergillus niger, NRRL 334; Candida cylindracea, NRRL Y-17506; Penicillium citrinum, NRRL 1841, 3754, ISRIM 118) in grado di crescere sulle acque di vegetazione producendo lipasi. Le produzioni più elevate di enzima sono state ottenute, in condizioni non-ottimizzate, dopo 168 h con Geotrichum candidum NRRL 553 (0,521 U/ml) e Candida cylindracea (0,460 U/ml). Inoltre, livelli di produzione molto interessanti sono stati raggiunti dopo 72 h con i ceppi di Penicillium citrinum (0,365, 0,320 e 0,375 U/ml per NRRL 1841, NRRL 3754 e ISRIM 118, rispettivamente). Questi ceppi sono stati selezionati per valutare, in via preliminare, l'effetto di alcuni fattori sulla produzione di lipasi quali tipologia di AV, utilizzo di vari oli come induttori di attività e impiego di diverse fonti di azoto. Per quanto riguarda la produzione di lipasi da P. citrinum NRRL 1841 su AV, l'attività è stata influenzata in maniera marcata dal tipo di fonte di azoto ma non era aumentata in maniera significativa dall'aggiunta di oli. Nel caso della produzione di lipasi da C. Cylindracea NRRL Y-17506, il cloruro di ammonio e l'olio di oliva rappresentavano rispettivamente la fonte di azoto e l'induttore più adatto; infatti questo ceppo cresciuto in condizioni parzialmente ottimizzate produceva 9,48 U/ml di attività lipolitica dopo 264 h di fermentazione. Successivamente, la produzione di lipasi da P. citrinum NRRL 1841, utilizzando il terreno a base di AV, è stata ottimizzata in beuta valutando l'effetto del pH iniziale, della concentrazione di azoto e di estratto di lievito secondo un approccio multi-fattoriale. La combinazione ottimizzata dal modello è stata la seguente: pH 6,15, 2,7 g/l NH4Cl e 1,1 g/l YE. La produzione massima raggiunta è stata di 1,242 U/ml. Con il terreno così ottimizzato, al fine di ottenere informazioni sul possibile trasferimento di scala del processo, sono stati condotti altri esperimenti in reattori da banco. Allo scopo, sono stati impiegati due tipi di sistemi, un bioreattore ad agitazione meccanica (STR) e uno ad agitazione pneumatica (Air-lift). In entrambi i casi, l'attività lipolitica extracellulare aveva raggiunto il suo picco massimo dopo 192 h di fermentazione. Tuttavia, il massimo di attività è stato significativamente più alto in STR che in Airlift (0,700 vs 0,420 U/ml, rispettivamente). Sebbene tutti i ceppi studiati sono stati in grado di crescere sulle acque di vegetazione e produrre a livelli significativi attività lipolitica, una particolare attenzione è stata riservata a C. cylindracea (noto anche come C. rugosa) per il notevole interesse applicativo della lipasi prodotta da questo lievito. Inizialmente, si è cercato di ottimizzare in beuta la composizione del terreno di produzione (concentrazione dell'olio di oliva, effetto del glucosio, aggiunta di surfactanti e di vari fattori di crescita) e di valutare in via preliminare l'effetto sulla crescita cellulare e sull'attività di alcune condizioni colturali quali velocità di agitazione e aerazione. La migliore composizione del terreno di produzione si è confermata essere quella contenente 3 g/l di olio di oliva, 2,4 g/l di NH4Cl e 0,5 g/l di estratto di lievito, senza l'aggiunta di glucosio e Tween 80. Inoltre, con lo scopo di valutare la fattibilità tecnica di un trasferimento di scala del bioprocesso e approfondire la messa a punto del processo fermentativo sono stati condotti una serie di esperimenti in bioreattore da banco ad agitazione meccanica (STR). In particolare, utilizzando il terreno a base di AV ottimizzato, si è cercato di ottimizzare alcuni parametri quali pH, velocità di agitazione e aerazione. Per quanto riguarda l'effetto della velocità di agitazione e dell'aerazione sulla produzione enzimatica, sono state prese in esame tre velocità di agitazione (300, 500 e 700 giri/min), mantenute fisse durante tutta la fermentazione, e in più è stato condotto un esperimento in cui si è cercato di mantenere la concentrazione dell'ossigeno disciolto nel mezzo superiore al 20% di saturazione facendo variare la velocità di agitazione tra 300 e 800 giri/min. Mentre per valutare l'effetto del pH, sono stati condotti degli esperimenti a pH 6,5 fisso confrontando la produzione con quella ottenuta a pH libero e a pH mantenuto inferiore a 6,5. La massima produzione di lipasi da C. cylindracea è stata ottenuta in bioreattore lavorando a pH libero e ad una velocità di agitazione costante di 500 giri/min (18,50 U/ml) o ad una velocità di agitazione variabile tra 300 e 800 giri/min in modo da assicurare un valore di ossigeno disciolto nel brodo superiore al 20% di saturazione (18,70 U/ml); in quest'ultimo caso, inoltre, la comparsa del picco massimo è stata anticipata nel tempo favorendo così la produttività oraria del bioprocesso. Per quanto riguarda i reattori a 300 e 700 giri/min, la produzione enzimatica è stata di 2,54 e 11,65 U/ml, rispettivamente. Infine, messo a punto il bioprocesso di produzione della lipasi da C. cylindracea coltivata su un terreno a base di AV, si è cercato di identificare il profilo enzimatico del campione grezzo così ottenuto, dal momento che, come è noto dalla letteratura, questo lievito è in grado di produrre fino a sette isoforme ad attività lipolitica. A tale scopo sono stati condotti degli esperimenti di isoelettrofocalizzazione (IEF) analitica. Nel gel sono stati caricati un campione di lipasi commerciale (Tipo VII, Sigma) e due campioni grezzi ottenuti da C. cylindracea coltivata sul terreno a base di AV, prelevati a due tempi fermentativi diversi e corrispondenti ai due picchi di attività lipolitica raggiunti durante le prove in STR (I° e II° picco di massima attività, 48esima e 192esima ora, rispettivamente). Dai risultati ottenuti, è stato osservato che il campione grezzo era costituito da più isoenzimi con attività lipolitica e che il profilo isoenzimatico aveva una sola banda in comune con quello della lipasi commerciale (Typo VII, Sigma) a cui è stato assegnato pI 4,7. Per quanto riguarda il campione prelevato alla 48esima ora, sono state osservate anche una banda piuttosto intensa a pI 5,1 e una tripletta di bande più deboli a pIs di 5,06, 5,0 e 4,9. Durante la fermentazione il profilo isoenzimatico del campione aveva subito delle modifiche: infatti, alla 192esima ora, le bande a pIs 5,1, 5,0 e 4,9 erano scomparse, mentre era comparsa una banda di attività intensa a cui è stato assegnato un pI di 4,5. Infine, in entrambi i campioni grezzi è stata rilevata una banda tenue a pI 3,8. In conclusione, i buoni livelli di attività enzimatica raggiunti dimostrano la fattibilità tecnica di un processo fermentativo finalizzato alla valorizzazione dei reflui oleari mediante la produzione di lipasi, che può avere promettenti utilizzi in varie applicazioni industriali. Comunque, ulteriori fasi di scale-up del processo sono ancora necessarie al fine di poter effettuare una valutazione sulla fattibilità economica del processo. ; The olive mill wastewater (OMW) disposal is, currently, one of the main environmental problems in all olive-oil producing countries, especially in the Mediterranean area. In fact, for its high organic load, phenolic fraction with phytotoxic effects and antimicrobial activity, the OMW is a highly polluted agro-industrial effluent. The biological treatment can be very difficult since solid residues, high organic load and phenols may strongly reduce the depuration efficiency. Consequently, a possible process should include several technological options, physical, chemical and biological, as well as combinations thereof, thus resulting in increased process costs. At the moment, the Italian legislation allows land spreading of untreated olive mill wastewater that is the best economical solution. Application on agriculture soils is a practice which solves partially the problem of OMW disposal. Positive and negative effects on soil composition and fertility are still under study, so that OMW application must be strictly controlled. Land spreading, in fact, may cause serious negative environmental impact regarding, for instance, groundwater contamination. In the last years, alternative solutions have been proposed in view of the use this waste as a source of valuable compounds. Several recent research studies have reported the possibility of OMW valorization to obtain products of actual or potential industrial interest. The presence in OMW of a wide range of biomolecules such as organic acids, polyalcohols, simple and complex sugars and lipids makes it a potential basis for fermentation processes. In this way, OMW could be a putative candidate as a potentially suitable liquid growth medium for the production of microbial lipases by virtue of its residual lipid content. For these reasons, the objective of the present PhD thesis was to assess the suitability of OMW as growth medium for the production of lipases and to set up a related fermentation process that might lead, at the same time, to a low polluting load final effluent. A large number of microbial strains have been screened for lipase production belonging to several fungal genera, Candida and Penicillium in particular. In literature, numerous methods for lipolytic enzyme production are published and medium composition and cultural conditions have been fully optimised. Neverthless, the most frequently used medium is a chemical defined and complex one, significantly affecting the final product costs. Besides, in the last years, a whole range of microbial lipase preparations has been developed. Sigma, Amano, Roche, Novo Nordisk, etc., provide lipolytic preparations with various compositions and catalytic proprierties employed in areas such as detergent pharmaucetic and food industries and biodiesel production. Our innovative approach consists in the trial of producing microbial lipases using an agroindustrial-waste based medium. Our basic idea, in fact, was that of developing a low cost production medium. Firstly, 12 fungal strains belonging to well-known lypolytic species (Geotrichum candidum, NRRL 552, 553; Rhizopus sp, ISRIM 383; Rhizopus arrhizus, NRRL 2286; Rhizopus oryzae, NRRL 6431; Aspergillus oryzae, NRRL 1988, 495; Aspergillus niger, NRRL 334; Candida cylindracea, NRRL Y-17506; Penicillium citrinum, NRRL 1841, 3754, ISRIM 118) were screened for their ability to grow on undiluited OMW and to produce extracellular lipase activity. The highest lipase productions were obtained under non-optimized conditions after 168 h with Geotrichum candidum NRRL 553 (0.521 U/ml) and Candida cylindracea (0.460 U/ml). Interesting production levels were also achieved after 72 h with strains of Penicillium citrinum (0.365, 0.320 and 0.375 U/ml for NRRL 1841, NRRL 3754 and ISRIM 118, respectively). These strains were then selected to study the effect of culture conditions, such as OMW typology, nitrogen sources and inducers, on the enzyme production. With regard to the lipase production by P. citrinum NRRL 1841, the enzyme activity was significantly influenced by nitrogen addition; on the other hand, the addition of oils resulted in a marked increase in biomass without affecting, however, lipase production. Lipase production by C. cylindracea NRRL Y-17506 was significatly favored by ammonium salts and oil addition. This strain growth in OMW medium containing ammonium chloride and olive oil led to an activity peak of 9.48 U/ml after 264 hours of fermentation. In order to optimise lipase production by P. citrinum in OMW-based medium, the combined effect of three variables (i.e, concentration of NH4Cl, yeast extract and initial pH) was assessed using a multi-factorial design with 'optimizer' function of 'Modde 5.0' program. The optimised combination by the model was as follows: pH 6.15, 2.7 g/l NH4Cl e 1.1 g/l extract yeast. The maximum lipase activity was 1.242 U/ml after 192 hour of fermentation. To gain information on the possible up-scaling of the process, further experiments were performed in 3-l laboratory-scale reactors. Specifically, pneumatically agitated (Airlift) and mechanically agitated (STR) reactors were employed using the optimised OMW-based medium. In both cases, the extracellular lipase peaked 192 h after inoculation. Howewer, the maximum activity was significatly higher in STR with respect to the Airlift (0.700 vs 0.420 U/ml, respectively). Of all strains, C. cylindracea appeared to be particularly interesting and was, therefore, used as the model microorganism to further investigate the feasibility of an OMW substrate. Firstly, the optimisation of medium composition was assessed in shaken cultures. In particular, the effects on the lipase production of olive oil concentration (1, 3, 5 e 10 g/l), glucose (5 g/l), Tween 80 (0,5 g/l) and several growth nutrients (yeast extract, malt extract and peptone) addition were studied. The best medium composition was as follows: diluited OMW (1:2), olive oil 3 g/l, NH4Cl 2.4 g/l and yeast extract 0.5 g/l. The glucose and Tween 80 addition negatively affected the production of lipolytic enzyme. Lipase production by C. cylindracea on OMW-optimized medium was subsequently assessed in mechanically agitated bioreactor (STR). To study the agitation influence on enzyme production, a set of experiments was carried out at three impeller speed, 300, 500 and 700 rpm; moreover, an additional experiment was carried out at dissolved oxygen DO > 20% saturation (agitation speed automatically controlled between 300 and 800 rpm). To evaluate the effect of pH, three conditions were compared: free pH; fixed pH (6.5) maintained constant by addition of HCl 4.0 M and NaOH 4.0 M; pH lower than 6.5 controlled with addition of HCl 4.0 M. The maximum lipase productions were obtained with the pH left free to vary, 500 rpm costant agitation speed (18.5 U/ml) and variable agitation speed between 300 and 800 rpm to ensure a dissolved oxygen value upper to 20% (18.7 U/ml); in the latter thesis the onset of enzyme activity was anticipated thus leading to increased bioprocess productivity. At 300 e 700 rpm agitation speed, the maximum lipase productions were 2.54 and 11.65 U/ml, respectively. Finally, to set up the bioprocess of lipase production by C. Cylindracea grown on OMW-based medium, the isoenzymatic profiles of the raw sample was evaluated. This aspect appears to be very interesting since it is known that commercial C. rugosa lipase is a mixture of 3 isoenzymes namenly Lip 1, Lip2 and Lip 3 but the yeast is able to produce up to seven different isoenzymes (Lip 1-Lip 7). Moreover isoenzymatic profiles can depend on media composition and fermentation conditions. With this aim, a set of analitycal isoelectrofocusing experiments were carried out. In the gels, a sample of commercial lipase (Type VII, Sigma) and two raw samples of lipase by C. cylindracea grown on OMW-optimized medium and corresponding to two lipolytic activity peaks (1st and 2nd peak, 48esime and 192esime hour of fermentation, respectively) obtained in STR, were loaded. The results suggest that the raw samples were constituted of more lipolytic isoenzymes with the isoenzymatic profile having only one band in common with that of the commercial lipase (assigned pI 4.7). The sample corresponding to the 1st activity peak showed a strong band at pI 5.1 and a triplette of weak bands at pIs 5.06, 5.0 e 4.9. Moreover, the isoenzymatic profiles changed during fermentation; in fact, the bands at pIs 5.1, 5.0 and 4.9 disappeared and a new strong band at pI 4.5 formed. Finally, in both raw samples a band at pI 3.8 was observed. OMWs valorisation by its use as growth medium for lipase production by C. cylindracea NRRL Y-17506 and P. citrinum NRRL 1841 appears to be possible and promising. Moreover, the investigation for further up-scaling is need to evaluate the economic fattibility of the bioprocess.
La ricerca ha perseguito l'obiettivo di individuare e definire il potere di un ente territoriale di sostituire, tramite i suoi organi o atti, quelli ordinari degli enti territoriali minori, per assumere ed esercitare compiutamente, in situazioni straordinarie, le funzioni proprie di questi. Dogmaticamente potremmo distinguere due generali categorie di sostituzione: quella amministrativa e quella legislativa, a seconda dell'attività giuridica nella quale il sostituto interviene. Nonostante tale distinzione riguardi in generale il rapporto tra organi o enti della stessa o di differenti amministrazioni, con eguale o diverso grado di autonomia; la ricerca ha mirato ad analizzare le due summenzionate categorie con stretto riferimento agli enti territoriali. I presupposti, l'oggetto e le modalità di esercizio avrebbero consentito ovviamente di sottocatalogare le due generali categorie di sostituzione, ma un'indagine volta a individuare e classificare ogni fattispecie di attività sostitutiva, più che un'attività complessa, è sembrata risultare di scarsa utilità. Più proficuo è parso il tentativo di ricostruire la storia e l'evoluzione del menzionato istituto, al fine di definire e comprendere i meccanismi che consentono l'attività sostitutiva. Nel corso della ricostruzione non si è potuto trascurare che, all'interno dell'ordinamento italiano, l'istituto della sostituzione è nato nel diritto amministrativo tra le fattispecie che regolavano l'esercizio della funzione amministrativa indiretta. La dottrina del tempo collocava la potestà sostitutiva nella generale categoria dei controlli. La sostituzione, infatti, non avrebbe avuto quel valore creativo e propulsivo, nel mondo dell'effettualità giuridica, quell'energia dinamica ed innovatrice delle potestà attive. La sostituzione rappresentava non solo la conseguenza, ma anche la continuazione del controllo. Le fattispecie, che la menzionata dottrina analizzava, rientravano principalmente all'interno di due categorie di sostituzione: quella disposta a favore dello Stato contro gli inadempimenti degli enti autarchici – principalmente il comune – nonché la sostituzione operata all'interno dell'organizzazione amministrativa dal superiore gerarchico nei confronti del subordinato. Già in epoca unitaria era possibile rinvenire poteri sostitutivi tra enti, la prima vera fattispecie di potestà sostitutiva, era presente nella disciplina disposta da diverse fattispecie dell'allegato A della legge 20 marzo 1856 n. 2248, sull'unificazione amministrativa del Regno. Tentativo del candidato è stato quello, quindi, di ricostruire l'evoluzione delle fattispecie sostitutive nella stratificazione normativa che seguì con il T.U. della legge Comunale e Provinciale R.D. 4 febbraio 1915 e le successive variazioni tra cui il R.D.L. 30 dicembre 1923. Gli istituti sostitutivi vennero meno (di fatto) con il consolidarsi del regime fascista. Il fascismo, che in un primo momento aveva agitato la bandiera delle autonomie locali, non tardò, come noto, una volta giunto al potere, a seguire la sua vera vocazione, dichiarandosi ostile a ogni proposito di decentramento e rafforzando, con la moltiplicazione dei controlli e la soppressione del principio elettivo, la già stretta dipendenza delle comunità locali dallo Stato. Vennero meno i consigli liberamente eletti e al loro posto furono insediati nel 1926 i Podestà e i Consultori per le Amministrazioni comunali; nel 1928 i Presidi e i Rettorati per le Amministrazioni Provinciali, tutti organi nominati direttamente o indirettamente dall'Amministrazione centrale. In uno scenario di questo tipo i termini autarchia e autonomia risultano palesemente dissonanti e gli istituti di coordinamento tra Stato ed enti locali furono ad esso adeguati; in tale ordinamento, infatti, la sostituzione (pur essendo ancora presenti istituti disciplinanti fattispecie surrogatorie) si presentò come un semplice rapporto interno tra organi diversi, di uno stesso unico potere e non come esso è in realtà, anello di collegamento tra soggetti differenti con fini comuni (Stato - Enti autarchici); per semplificare, potremmo chiederci, in un sistema totalitario come quello fascista, in cui tutti gli interessi sono affidati all'amministrazione centrale, chi dovrebbe essere il sostituito. Il potere sostitutivo (in senso proprio) ebbe una riviviscenza nella normativa post-bellica, come reazione alla triste parentesi aperta dal fascismo, che mise a nudo i mali e gli abusi dell'accentramento statale. La suddetta normativa iniziò una riforma in favore delle autonomie locali; infatti, come noto, tutti i partiti politici assunsero posizione in favore di una maggiore autonomia degli enti territoriali minori e ripresero le proposte dei primi anni dell'Unità di Italia avanzate dal Minghetti, il quale sentiva l'esigenza dell'istituzione di un ente intermedio tra Stato e Province, a cui affidare interessi territorialmente limitati: la Regione appunto. Emerge piuttosto chiaramente dalla ricerca che la storia politica e l'evoluzione del diritto pubblico documentano come ad una sempre minore autonomia locale nelle politiche accentratrici dello Stato unitario prima, e totalitario poi, corrisponda una proporzionale diminuzione di istituti di raccordo come i poteri sostitutivi; al contrario ad una sempre maggiore ed evoluta autonomia dello Stato regionalista della Costituzione del 1948 prima, e della riforma del titolo V oggi, una contestuale evoluzione e diffusione di potestà sostitutive. Pare insomma che le relazioni stato-regioni, regioni-enti locali che la sostituzione presuppone, sembrano rappresentare (ieri come oggi) uno dei modi migliori per comprendere il sistema delle autonomie nell'evoluzione della stato regionale e soprattutto dopo la riforma apportata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Dalla preliminare indagine storica un altro dato, che pare emergere, sembra essere la constatazione che l'istituto nato e giustificato da esigenze di coerenza e efficienza dell'azione amministrativa sia stato trasferito nell'ambio delle relazioni tra stato e autonomie territoriali. Tale considerazione sembra essere confermata dal proseguo dell'indagine, ed in particolare dai punti di contatto tra presupposti e procedure di sostituzione nell'analisi dell'istituto. Nonostante, infatti, il Costituente non disciplinò poteri sostitutivi dello Stato o delle regioni, al momento di trasferire le competenze amministrative alle regioni la Corte costituzionale rilevò il problema della mancanza di istituti posti a garantire gli interessi pubblici, volti ad ovviare alle eventuali inerzie del nuovo ente territoriale. La presente ricerca ha voluto infatti ricostruire l'ingresso dei poteri sostitutivi nel ordinamento costituzionale, riportando le sentenze del Giudice delle leggi, che a partire dalla sentenza n. 142 del 1972 e dalla connessa pronuncia n. 39 del 1971 sui poteri di indirizzo e coordinamento dello Stato, pur non senza incertezze e difficoltà, ha finito per stabilire un vero e proprio "statuto" della sostituzione con la sentenza n. 177 del 1988, individuando requisiti sostanziali e procedurali, stimolando prima e correggendo successivamente gli interventi del legislatore. Le prime fattispecie sostitutive furono disciplinate con riferimento al rispetto degli obblighi comunitari, ed in particolare con l'art. 27 della legge 9 maggio 1975, n. 153, la quale disciplina, per il rispetto dell'autonomia regionale, venne legittimata dalla stessa Corte nella sentenza n. 182 del 1976. Sempre con riferimento al rispetto degli obblighi comunitari intervenne l'art. 6 c. 3°, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. La stessa norma va segnalata per introdurre (all'art. 4 c. 3°) una disciplina generale di sostituzione in caso di inadempimento regionale nelle materie delegate dallo Stato. Per il particolare interesse si deve segnalare il D.M. 21 settembre 1984, sostanzialmente recepito dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312 (disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), poi convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431 c.d. legge Galasso. Tali disposizioni riaccesero il contenzioso sul potere sostitutivo innanzi la Corte Costituzionale, risolto nelle sentt. n. 151 e 153 del 1986. Tali esempi sembrano dimostrare quello che potremmo definire un dialogo tra legislatore e giudice della costituzionalità nella definizione dei poteri sostitutivi; il quale culminò nella già ricordata sent. n. 177 del 1988, nella quale la Corte rilevò che una legge per prevedere un potere sostitutivo costituzionalmente legittimo deve: essere esercitato da parte di un organo di governo; nei confronti di attività prive di discrezionalità nell'an e presentare idonee garanzie procedimentali in conformità al principio di leale collaborazione. Il modello definito dalla Corte costituzionale sembra poi essere stato recepito definitivamente dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, la quale per prima ha connesso la potestà sostitutiva con il principio di sussidiarietà. Detta legge sembra rappresentare un punto di svolta nell'indagine condotta perché consente di interpretare al meglio la funzione – che già antecedentemente emergeva dallo studio dei rapporti tra enti territoriali – dei poteri sostitutivi quale attuazione del principio di sussidiarietà. La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha disciplinato all'interno della Costituzione ben due fattispecie di poteri sostitutivi all'art. 117 comma 5 e all'art. 120 comma 2. La "lacuna" del 1948 necessitava di essere sanata – in tal senso erano andati anche i precedenti tentativi di riforma costituzionale, basti ricordare l'art. 58 del progetto di revisione costituzionale presentato dalla commissione D'Alema il 4 novembre 1997 – i disposti introdotti dal riformatore costituzionale, però, non possono certo essere apprezzati per la loro chiarezza e completezza. Le due richiamate disposizioni costituzionali, infatti, hanno prodotto numerose letture. Il dibattito ha riguardato principalmente la natura delle due fattispecie sostitutive. In particolare, si è discusso sulla natura legislativa o amministrativa delle potestà surrogatorie e sulla possibilità da parte del legislatore di introdurre o meno la disciplina di ulteriori fattispecie sostitutive rispetto a quelle previste dalla Costituzione. Con particolare riferimento all'art. 120 c. 2 Cost. sembra semplice capire che le difficoltà definitorie siano state dovute all'indeterminatezza della fattispecie, la quale attribuisce al Governo il potere sostitutivo nei confronti degli organi (tutti) delle regioni, province, comuni e città metropolitane. In particolare, la dottrina, che ha attribuito all'art. 120 capoverso la disciplina di un potere sostitutivo sulle potestà legislative delle Regioni, è partita dalla premessa secondo la quale detta norma ha una funzione fondamentale di limite e controllo statale sulle Regioni. La legge 18 ottobre 2001 n. 3 ha, infatti, variato sensibilmente il sistema dei controlli sulle leggi regionali, con la modificazione degli artt. 117 e 127 della Costituzione; pertanto, il sistema dei controlli dopo la riforma del 2001, troverebbe nel potere sostitutivo ex art. 120 la norma di chiusura. Sul tema è insistito un ampio dibattito, al di là di quello che il riformatore costituzionale avrebbe dovuto prevedere, un'obiezione (più delle altre) pare spingere verso l'accoglimento della tesi che propende per la natura amministrativa della fattispecie in oggetto, ovvero la constatazione che il Governo è il soggetto competente, ex art. 120 capoverso Cost., alla sostituzione; quindi, se si intendesse la sostituzione come avente natura legislativa, si dovrebbe ritenere che il Costituente abbia consentito all'Esecutivo, tosto che al Parlamento, l'adozione di leggi statali in sostituzione di quelle regionali. Suddetta conseguenza sembrerebbe comportare una palese violazione dell'assetto costituzionale vigente. Le difficoltà interpretative dell'art. 120 Cost. si sono riversate sulla normativa di attuazione della riforma costituzionale, legge 5 giugno 2003, n. 131. In particolare nell'art. 8, il quale ha mantenuto un dettato estremamente vago e non ha preso una chiara e netta opzione a favore di una della due interpretazione riportate circa la natura della fattispecie attuata, richiamando genericamente che il potere sostitutivo si adotta "Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120" Cost. Di particolare interesse pare essere, invece, il procedimento disciplinato dal menzionato art. 8, il quale ha riportato una procedura volta ad attuare quelle che sono state le indicazioni della Corte in materia. Analogamente agli anni settanta ed ottanta, le riportate difficoltà interpretative dell'art. 120 Cost. e, più in generale il tema dei poteri sostitutivi dopo la riforma del 2001, sono state risolte e definite dal giudice della costituzionalità. In particolare, la Corte sembra aver palesemente accolto (sent. n. 43 del 2004) la tesi sulla natura amministrativa del potere sostitutivo previsto dall'art. 120 c. 2 Cost. Il giudice delle leggi ha tra l'altro fugato i dubbi di chi, all'indomani della riforma costituzionale del 2001, aveva letto nel potere sostitutivo, attribuito dalla riformata Costituzione al Governo, l'illegittimità di tutte quelle previsioni legislative regionali, che disponevano ipotesi di surrogazione (da parte della regione) nei confronti degli enti locali. La Corte costituzionale, infatti, nella già citata sentenza ha definito "straordinario" il potere di surrogazione attribuito dall'art. 120 Cost. allo Stato, considerando "ordinare" tutte quelle fattispecie sostitutive previste dalla legge (statale e regionale). Particolarmente innovativa è la parte dell'indagine in cui la ricerca ha verificato in concreto la prassi di esercizio della sostituzione statale, da cui sono sembrate emergere numerose tendenze. In primo luogo significativo sembra essere il numero esiguo di sostituzioni amministrative statali nei confronti delle amministrazioni regionali; tale dato sembra dimostrare ed essere causa della scarsa "forza" degli esecutivi che avrebbero dovuto esercitare la sostituzione. Tale conclusione sembra trovare conferma nell'ulteriore dato che sembra emergere ovvero i casi in cui sono stati esercitati i poteri sostitutivi sono avvenuti tutti in materie omogenee (per lo più in materia di tutela ambientale) che rappresentano settori in cui vi sono rilevanti interessi pubblici di particolare risonanza nell'opinione pubblica. Con riferimento alla procedura va enfatizzato il rispetto da parte dell'amministrazione sostituente delle procedure e dei limiti fissati tanto dal legislatore quanto nella giurisprudenza costituzionale al fine di rispettare l'autonomia dell'ente sostituito. Dalla ricerca emerge che non è stato mai esercitato un potere sostitutivo direttamente ex art. 120 Cost., nonostante sia nella quattordicesima (Governo Berlusconi) che nella quindicesima legislatura (Governo Prodi) con decreto sia stata espressamente conferita al Ministro per gli affari regionali la competenza a promuovere l'"esercizio coordinato e coerente dei poteri e rimedi previsti in caso di inerzia o di inadempienza, anche ai fini dell'esercizio del potere sostitutivo del Governo di cui all'art. 120 della Costituzione". Tale conclusione, però, non lascia perplessi, bensì, piuttosto, sembra rappresentare la conferma della "straordinarietà" della fattispecie sostitutiva costituzionalizzata. Infatti, in via "ordinaria" lo Stato prevede sostituzioni per mezzo di specifiche disposizioni di legge o addirittura per mezzo di decreti legge, come di recente il D.L. 09 ottobre 2006, n. 263 (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania. Misure per la raccolta differenziata), che ha assegnato al Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri "le funzioni di Commissario delegato per l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania per il periodo necessario al superamento di tale emergenza e comunque non oltre il 31 dicembre 2007". Spesso l'aspetto interessante che sembra emergere da tali sostituzioni, disposte per mezzo della decretazione d'urgenza, è rappresentato dalla mancata previsione di diffide o procedure di dialogo, perché giustificate da casi di estrema urgenza, che spesso spingono la regione stessa a richiedere l'intervento di surrogazione. Del resto è stata la stessa Corte costituzionale a legittimare, nei casi di particolare urgenza e necessità, sostituzioni prive di dialogo e strumenti di diffida nella sent. n. 304 del 1987. Particolare attenzione è stata data allo studio dei poteri sostitutivi regionali. Non solo perché meno approfonditi in letteratura, ma per l'ulteriore ragione che tali fattispecie, disciplinate da leggi regionali, descrivono i modelli più diversi e spingono ad analisi di carattere generale in ordine alla struttura ed alla funzione dei poteri sostitutivi. Esse sembrano rappresentare (in molti casi) modelli da seguire dallo stesso legislatore statale, si vedano ad esempio leggi come quella della regione Toscana 31 ottobre 2001, n. 53, artt. 2, 3, 4, 5, 7; legge regione Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n. 6, art. 30, le quali recepiscono i principi sviluppati dalla giurisprudenza costituzionale e scandiscono un puntuale procedimento ispirato alla collaborazione ed alla tutela delle attribuzioni degli enti locali. La ricerca di casi di esercizio di poter sostitutivi è stata effettuata anche con riferimento ai poteri sostitutivi regionali. I casi rilevati sono stati numerosi in particolare nella regione Sicilia, ma si segnalano anche casi nelle regioni Basilicata ed Emilia-Romagna. Il dato principale, che sembra emergere, pare essere che alle eterogenee discipline di sostituzione corrispondano eterogenee prassi di esercizio della sostituzione. Infatti, alle puntuali fattispecie di disciplina dei poteri sostitutivi dell'Emilia-Romagna corrispondono prassi volte ad effettuare la sostituzione con un delibera della giunta (organo di governo) motivata, nel rispetto di un ampio termine di diffida, nonché nella ricerca di intese volte ad evitare la sostituzione. Alla generale previsione della regione Sicilia, pare corrispondere un prassi sostitutiva caratterizzata da un provvedimento del dirigente generale all'assessorato per gli enti locali (organo di governo?), per nulla motivato, salvo il richiamo generico alle norme di legge, nonché brevi termini di diffida, che sembrano trovare la loro giustificazione in note o solleciti informati che avvisano l'ente locale della possibile sostituzione. In generale il fatto che in molti casi i poteri sostitutivi siano stimolati per mezzo dell'iniziativa dei privati, sembra dimostrare l'attitudine di tal istituto alla tutela degli interessi dei singoli. I differenti livelli nei quali operano i poteri sostitutivi, il ruolo che la Corte ha assegnato a tali strumenti nell'evoluzione della giurisprudenza costituzionale, nonché i dati emersi dall'indagine dei casi concreti, spingono ad individuare nel potere sostitutivo uno dei principali strumenti di attuazione del principio di sussidiarietà, principio quest'ultimo che sembra rappresentare – assieme ai corollari di proporzionalità, adeguatezza e leale collaborazione – la chiave di lettura della potestà sostitutiva di funzioni amministrative. In tal senso, come detto, pare emergere dall'analisi di casi concreti come il principio di sussidiarietà per mezzo dei poteri sostitutivi concretizzi quel fine, a cui l'art. 118 cost. sembra mirare, di tutela degli interessi pubblici, consentendo all'ente sovraordinato di intervenire laddove l'ente più vicino ai cittadini non riesca. Il principio di sussidiarietà sembra essere la chiave di lettura anche dell'altra categoria della sostituzione legislativa statale. L'impossibilità di trascurare o eliminare l'interesse nazionale, all'interno di un ordinamento regionale fondato sull'art. 5 Cost., sembra aver spino la Corte costituzionale ad individuare una sorta di "potere sostitutivo legislativo", attraverso il (seppur criticabile) meccanismo introdotto per mezzo della sent. 303 del 2003 e della cosiddetta "chiamata i sussidiarietà". Del resto adattare i principi enucleati nella giurisprudenza costituzionale a partire dalla sent. n. 117 del 1988 alla chiamata in sussidiarietà e i limiti che dal principio di leale collaborazione derivano, sembra rappresentare un dei modi (a costituzione invariata) per limitare quello che potrebbe rappresentare un meccanismo di rilettura dell'art. 117 Cost. ed ingerenza dello stato nelle competenze della regioni. Nonostante le sensibili differenze non si può negare che lo strumento ideato dalla Corte abbia assunto le vesti della konkurrierende gesetzgebung e, quindi, di fatto, di un meccanismo che senza limiti e procedure potrebbe rappresentare uno strumento di interferenza e sostituzione della stato nelle competenze regionali. Tali limiti e procedure potrebbero essere rinvenuti come detto nelle procedure di sostituzione scandite nelle pronunce del giudice delle leggi. I risultati che si spera emergeranno dalla descritta riflessione intorno ai poteri sostitutivi e il conseguente risultato circa lo stato del regionalismo italiano, non sembrano, però, rappresentare un punto di arrivo, bensì solo di partenza. I poteri sostitutivi potrebbero infatti essere oggetto di futuri interventi di riforma costituzionale, così come lo sono stati in occasione del tentativo di riforma del 2005. Il legislatore costituzionale nel testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta (recante "Modifiche alla Parte II della Costituzione" e pubblicato in gazzetta ufficiale n. 269 del 18-11-2005) pareva aver fatto un scelta chiara sostituendo il disposto "Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni" con "Lo Stato può sostituirsi alle Regioni, alle città metropolitane, alle Province e ai Comuni nell'esercizio delle funzioni loro attribuite dagli articoli 117 e 118". Insomma si sarebbe introdotto quello strumento che in altri Paesi prende il nome di Supremacy clause o Konkurrierende Gesetzgebung, ma quali sarebbero state le procedure e limiti che lo Stato avrebbe dovuto rispettare? Il dettato che rigidamente fissa le competenze di stato e regioni, assieme alla reintroduzione espressa dell'interesse nazionale, non avrebbe ridotto eccessivamente l'autonomia regionale? Tali interrogativi mirano a riflettere non tanto intorno a quelli che potrebbero essere gli sviluppi dell'istituto dei poteri sostitutivi. Piuttosto essi sembrano rappresenterebbe l'ulteriore punto di vista per tentare di comprendere quale percorso avrebbe potuto (o potrebbe domani) prendere il regionalismo italiano.
0 ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO: "Analisi degli ambiti prioritari di domanda e offerta di tecnologie per la "Fabbrica Intelligente"" 0.1 Cenni Teorici sull'attività di Project Management La parola "Progetto" è utilizzata per indicare compiti e attività in apparenza molto diverse tra loro, basti pensare ad un progetto di ricerca e ad un progetto di costruzione di un edificio: due attività assai diverse e formalmente senza punti in comune. Al fine di approfondire i concetti legati al progetto in esame, sarebbe utile definire in maniera più precisa cosa si intende con la parola "progetto". Sin dai primi studi di Taylor e Gantt ad inizio del 1900 si è cercato di dare una definizione chiara del termine, arrivando a definirlo come: "Un insieme di persone e di altre risorse temporaneamente riunite per raggiungere uno specifico obiettivo, di solito con un budget determinato ed entro un periodo stabilito" (Graham, 1990) "Uno sforzo complesso, comportante compiti interrelati eseguiti da varie organizzazioni, con obiettivi, schedulazioni e budget ben definiti" (Russel D. Archibald, 1994) "Un insieme di sforzi coordinati nel tempo" (Kerzner, 1995) "Uno sforzo temporaneo intrapreso per creare un prodotto o un servizio univoco" (PMI – Project Management Institute, 1996) "Un insieme di attività complesse e interrelate, aventi come fine un obiettivo ben definito, raggiungibile attraverso sforzi sinergici e coordinati, entro un tempo predeterminato e con un preciso ammontare di risorse umane e finanziarie a disposizione." (Tonchia, 2007) È da notare che, a prescindere dall'organizzazione e dal settore di riferimento, un progetto è caratterizzato da alcuni elementi distintivi: • un obiettivo da raggiungere con determinate specifiche; • un insieme di attività tra loro coordinate in modo complesso; • tempi di inizio e fine stabiliti; • risorse normalmente limitate (umane, strumentali e finanziare); • carattere pluridisciplinare o multifunzionale rispetto alla struttura organizzativa. La specificità dell'obiettivo determina l'eccezionalità del progetto rispetto alle attività ordinarie e quindi l'assenza di esperienze precedenti. Le organizzazioni, siano esse imprese, enti pubblici o Università, svolgono appunto due tipologie di attività con caratteristiche distinte: 1. funzioni operative; 2. progetti. Talvolta le due categorie presentano aree comuni e condividono alcune caratteristiche: • sono eseguiti da persone; • sono vincolati da risorse limitate; • sono soggetti a pianificazione, esecuzione e controllo. Nonostante queste caratteristiche comuni, progetti e funzioni operative hanno obiettivi diversi tra loro: il progetto infatti è di natura temporanea e ha lo scopo di raggiungere il proprio obiettivo e quindi concludersi, la funzione operativa invece è di natura ripetitiva e fornisce un'azione di supporto continuativo all'azienda. Un progetto indipendentemente dal settore e dall'organizzazione nel quale si sviluppa, ha 3 vincoli fondamentali tra loro in competizione: • qualità o prestazioni; • tempo; • costo. Per di più se il progetto è commissionato da un cliente esterno sarà presente un quarto vincolo, ovvero le buone relazioni tra l'organizzazione e il cliente, è chiaro infatti che è tecnicamente possibile gestire un progetto rispettando i primi tre vincoli senza coinvolgere il cliente, ma così vengono pregiudicati i futuri business. Le principali caratteristiche di un progetto sono: 1. Temporaneità: Ogni progetto infatti ha come detto una data di inizio e di fine definite, e quest'ultima viene raggiunta quando: a. gli obiettivi del progetto sono stati raggiunti; b. è impossibile raggiungere gli obiettivi; c. il progetto non è più necessario e viene chiuso. Temporaneità non significa che un progetto ha breve durata, i progetti infatti possono durare anche diversi anni, l'importante è comprendere che la durata di un progetto è definita con l'obiettivo di creare risultati duraturi. La natura temporanea dei progetti può essere applicata anche ad altri aspetti: - l'opportunità o finestra di mercato è generalmente temporanea; - come unità lavorativa, raramente il gruppo di progetto sopravvive dopo il progetto, il gruppo infatti realizzerà il progetto e alla conclusione di questo verrà sciolto, riassegnando il personale ad altri progetti. 2. Prodotti, servizi o risultati unici: Un progetto crea prodotti, servizi o risultati unici. I progetti solitamente creano: - un prodotto finale o un componente di un prodotto; - un servizio; - un risultato, come degli esiti, dei documenti e report. L'unicità è un'importante caratteristica degli output di un progetto. 3. Elaborazione progressiva: con questa espressione si intende lo sviluppo in fasi, organizzate attraverso una successione incrementale per tutto il ciclo di vita del progetto, infatti man mano che un Project Team (Gruppo di Progetto) approfondisce la conoscenza del progetto è anche in grado di gestirlo ad un maggiore livello di dettaglio e sarà in grado di arricchirlo di maggiori dettagli via via che il Team sviluppa delle conoscenze sul settore. L'attività di Gestione del Progetto o Project Management è l'applicazione di conoscenze, abilità, strumenti e tecniche alle attività di progetto al fine di soddisfarne i requisiti, dove il Project Manager (PM) è la persona incaricata del raggiungimento degli obiettivi di progetto. La gestione di progetto include: • identificare i requisiti; • fissare obiettivi chiari e raggiungibili; • adattare specifiche di prodotto, piani e approccio alle diverse aree di interesse e alle diverse aspettative dei vari stakeholder. • individuare il giusto equilibrio tra le esigenze di qualità, ambito, tempo e costi, che sono in competenza tra di loro. Nella gestione dei progetti infatti, è costante lo sforzo atto a bilanciare i tre vincoli (qualità e prestazioni, tempi e costi), poiché i progetti di successo sono quelli che consegnano il prodotto, il servizio o il risultato richiesti nell'ambito stabilito, entro il tempo fissato e rimanendo entro i limiti del budget definito, infatti la variazione anche di uno solo dei tre vincoli implica che almeno un altro ne risulta influenzato. Il PM si occupa inoltre di gestire i progetti tenendo conto dei rischi intrinseci di un progetto, ossia eventi o condizioni incerte che, se si verificano, hanno un effetto o positivo o negativo su almeno uno degli obiettivi di progetto. Una Gestione dei Progetti efficace ma allo stesso tempo efficiente, può essere definita quindi come il raggiungimento degli obiettivi del progetto al livello di prestazioni o qualità desiderate, mantenendosi nei tempi e nei costi previsti e utilizzando senza sprechi le risorse disponibili. Tutto ciò è fondamentale che sia conforme al desiderio del cliente, infatti nei casi in cui un progetto è commissionato da un cliente esterno, le relazioni con quest'ultimo diventano un ulteriore vincolo di progetto e quindi Il successo di un progetto si raggiunge con quanto detto sopra e con l'accettazione da parte del cliente. Raramente i progetti vengono completati rispettando l'obiettivo originale, spesso infatti con l'avanzamento del progetto alcune modifiche sono inevitabili, e se non gestite in maniera opportuna possono anche affossare il progetto e il morale di chi ci lavora. Perciò è necessario un accordo reciproco tra PM e cliente relativo ai cambiamenti degli obiettivi, che comunque devono essere minimi e sempre approvati. È da ricordare infine che i PM devono gestire i progetti in base alle linee guida dell'azienda a cui fanno riferimento, rispettando procedure, regole e direttive dell'organizzazione, altrimenti si rischia che il PM venga considerato come un imprenditore autonomo, finalizzato esclusivamente al raggiungimento dei suoi obiettivi, rischiando così di modificare il flusso di lavoro principale dell'organizzazione. 0.2 Scopo del Progetto Sotto il suggerimento della Commissione Europea, tutte le Regioni degli Stati membri dell'UE, sono state invitate a stilare un documento nel quale si definisca la propria Smart Specialisation Strategy SSS , al fine di favorire lo sviluppo delle politiche di coesione delle regioni e degli stati membri, da finanziare con i Fondi Strutturali per il periodo 2014-2020. Il concetto indica Strategie d'innovazione concepite a livello regionale ma valutate e messe a sistema a livello nazionale con l'obiettivo di: • evitare la frammentazione degli interventi e mettere a sistema le politiche di ricerca e innovazione; • sviluppare strategie d'innovazione regionali che valorizzino gli ambiti produttivi di eccellenza tenendo conto del posizionamento strategico territoriale e delle prospettive di sviluppo in un quadro economico globale. In linea con le direttive comunitarie e in coerenza con quanto indicato nella SSS della Regione Toscana, IRPET Regione Toscana ha incaricato quindi il Consorzio QUINN a redigere un report denominato "Analisi degli ambiti prioritari di domanda e offerta di tecnologie per la "Fabbrica Intelligente"", affinché venga delineato il panorama delle imprese regionali che fanno uso di queste tecnologie, al fine di erogare in una seconda fase dei finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo, in particolare quelli gestiti nell'ambito dei fondi strutturali che svolgono un ruolo rilevante come promotori dell'innovazione tecnologica. La "Fabbrica Intelligente" infatti rappresenta una delle 9 aree tecnologiche individuate dal Bando «Cluster Tecnologici Nazionali» presentato dal MIUR il 30 maggio 2012, e definita come strategica per la competitività del Paese. Nella SSS regionale, l'ambito prioritario legato alle tecnologie per la Fabbrica Intelligente si rivolge alle tecnologie dell'automazione, della meccatronica e della robotica. Ai fini degli obiettivi della SSS queste tre discipline concorrono in maniera integrata a sviluppare soluzioni tecnologiche funzionali all'automazione dei processi produttivi, in termini di velocizzazione, sicurezza e controllo, della sostenibilità ed economicità degli stessi, nonché dell'estensione della capacità di azione. Per un più semplice inquadramento definitorio, le tecnologie di questi tre settori vengono di seguito approfonditi e descritti in maniera distinta. 1. AUTOMAZIONE : Per "automazione" si intende lo sviluppo di sistemi, strumentazioni, processi ed applicativi che consentono la riduzione dell'intervento dell'uomo sui processi produttivi. L'automazione in tal senso si realizza mediante soluzioni di problemi tecnici legati all'esecuzione di azioni in maniera ripetuta, nella semplificazioni di operazione complesse, nell'effettuazione di operazioni complesse in contesti incerti e dinamici con elevato livello di precisione. Il concetto di automazione assume un carattere estensivo di integrazione di tecnologie e di ambiti applicativi (dal laboratorio, alla fabbrica intelligente), mantenendo il focus sul controllo automatico dei processi. 2. MECCATRONICA : La "meccatronica" è una branca dell'ingegneria che coniuga sinergicamente più discipline quali la Meccanica, l'elettronica, ed i sistemi di controllo intelligenti, allo scopo di realizzare un sistema integrato detto anche sistema tecnico. Inizialmente la meccatronica è nata dalla necessità di fondere insieme la meccanica e l'elettronica, da cui il nome. Successivamente l'esigenza di realizzare sistemi tecnici sempre più complessi ha portato alla necessità di integrare anche le altre discipline per applicazioni industriali robotiche e di azionamento elettrico. 3. ROBOTICA : Come ramo della cibernetica rivolto alle tecniche di costruzione (ed i possibili ambiti di applicazioni) dei robot, la robotica è la disciplina dell'ingegneria che studia e sviluppa metodi che permettano a un robot di eseguire dei compiti specifici riproducendo il lavoro umano. La robotica moderna si è sviluppata perseguendo principalmente: a) l'autonomia delle macchine; b) la capacità di interazione/immedesimazione con l'uomo e i suoi comportamenti. 0.3 Stakeholder del Progetto La definizione stakeholder o portatori di interesse fu elaborata nel 1963 al Research Institute dell'Università di Stanford da Edward Freeman, definendoli come i soggetti senza il cui supporto l'impresa non è in grado di sopravvivere. Gli stakeholder di un progetto sono persone o strutture organizzative coinvolte attivamente nel progetto o i cui interessi possono subire effetti dell'esecuzione o dal completamento del progetto, possono quindi avere influenza sugli obiettivi e sui risultati del progetto. Ignorare gli stakeholder può portare a conseguenze negative sui risultati del progetto, il loro ruolo infatti può avere sia un impatto negativo che positivo sul progetto: gli stakeholder positivi sono quelli che traggono vantaggi dalla buona riuscita del progetto, è quindi vantaggioso supportarne gli interessi, mentre i negativi sono quelli che vedono risultati sfavorevoli dalla buona riuscita del progetto, gli interessi di questi ultimi avrebbero la meglio con un aumento dei vincoli sull'avanzamento del progetto. Solitamente gli stakeholder principali in un progetto sono rappresentati da: • Project Manager: persona responsabile della gestione del progetto; • Cliente/utente: persona o struttura organizzativa che utilizzerà il prodotto del progetto; • Membri del Team di progetto: membri del gruppo incaricati all'esecuzione del progetto; • Sponsor: persona o gruppo che fornisce le risorse necessarie al progetto; • Soggetti influenti: persone o gruppi che sono non direttamente collegati con l'acquisto o l'uso del prodotto ma che, a causa della posizione ricoperta nella struttura organizzativa del cliente, possono influire positivamente o negativamente sul corso del progetto. Il compito di gestire le aspettative degli stakeholder va al Project Manager, spesso ciò non è semplice a causa dei differenti e contrastanti obiettivi degli stakeholder. Nel presente progetto gli stakeholder coinvolti nelle varie attività possono quindi essere ricondotti a quattro soggetti o gruppi: • Ente Committente: IRPET; • Ente Incaricato: Consorzio QUINN; • Team di Progetto; • Regione Toscana. 0.3.1 IRPET: ISTITUTO REGIONALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DELLA TOSCANA L'IRPET, nato nel 1968 come organo tecnico-scientifico del CRPET (Comitato regionale per la programmazione economica della Toscana) con la finalità di compiere gli studi preliminari all'istituzione dell'ente Regione, è diventato Ente pubblico con legge della Regione Toscana nel 1974. L'Istituto è ente di consulenza sia per la Giunta che per il Consiglio regionale per lo svolgimento di compiti di studio e ricerca in materia di programmazione. Sono compiti dell'Istituto, in particolare: a) lo studio della struttura socio economica regionale e delle sue trasformazioni, degli andamenti congiunturali e dei relativi strumenti analitici; b) lo studio della struttura territoriale regionale e delle sue trasformazioni e dei relativi strumenti analitici; c) lo studio delle metodologie di programmazione, di valutazione e di verifica delle politiche; d) gli studi preparatori per gli atti della programmazione regionale e per il piano di indirizzo territoriale regionale in ordine ai problemi economici, territoriali e sociali; d bis) elaborazione dei documenti o rapporti di valutazione dei programmi nazionali e dell'Unione europea gestiti dalla Regione Toscana, di cui agli articoli 10, comma 5, e 12 della legge regionale 2 agosto 2013, n. 44 (Disposizioni in materia di programmazione regionale). e) la circolazione delle conoscenze e dei risultati di cui alle lettere a) b) e c). L'Istituto, nell'ambito delle medesime materie, può altresì svolgere altre attività di studio, ricerca e consulenza su committenza di soggetti pubblici e privati diversi dalla Regione, e inoltre: • stabilisce relazioni con enti di ricerca, anche esteri, istituti specializzati, dipartimenti universitari; • assume iniziative di formazione specialistica nelle discipline oggetto dell'attività dell'Istituto. 0.3.2 QUINN: CONSORZIO UNIVERSITARIO IN INGEGNERIA PER LA QUALITÀ E L'INNOVAZIONE Istituito nel 1989 su iniziativa dell'Università di Pisa con l'adesione di numerose grandi imprese italiane e riconosciuto dal MURST (oggi MIUR) con Decreto del 1991, l'attuale QUINN: Consorzio Universitario in Ingegneria per la Qualità e l'Innovazione viene costituito inizialmente con il nome "Qualital" allo scopo di far collaborare un gruppo di grandi imprese nella ricerca applicata e nella formazione manageriale in una disciplina in forte crescita, il Total Quality Management ed in particolare l'ingegneria dei processi aziendali. Nel 2005 alla missione originaria se ne affianca un'altra: l'innovazione. Cambia il nome: Quinn, Consorzio Universitario in Ingegneria per la Qualità e l'Innovazione, ma resta l'approccio rigoroso: sviluppare metodologie e strumenti di supporto ai processi innovativi derivanti dalla migliore ricerca e dalle esperienze più avanzate a livello internazionale. Il Consorzio con sede a Pisa, non ha fine di lucro; esso mira a creare sinergie tra le competenze del suo staff e dei partner accademici e le capacità operative delle Imprese industriali, delle Organizzazioni pubbliche e private operanti nella produzione di beni e servizi, allo scopo di promuovere e svolgere: • ricerca applicata e sperimentazione on field di metodologie e strumenti per il miglioramento della qualità di prodotti e servizi; • progetti di rilievo nazionale ed internazionale finalizzati allo sviluppo scientifico e tecnologico dell'ingegneria della qualità e dell'innovazione. Per quanto concerne la ricerca applicata le linee strategiche seguite riguardano: • Metodiche, strumenti per l'innovazione, la qualità, il miglioramento delle performance aziendali; • Gestione per Processi sviluppata in contesti diversificati; • Sistemi Integrati Qualità, Ambiente, Sicurezza, Sostenibilità. Il Consorzio QUINN è una struttura professionale con al vertice un rappresentante della componente accademica dell'Università di Pisa (discipline ingegneristiche) e gestito dal Direttore operativo con comprovata esperienza manageriale. QUINN opera quindi con un pool di professionisti che, con background multidisciplinare e approccio per «commessa», presidiano i principali ambiti di intervento: • il recupero di efficienza dei processi organizzativi; • la capitalizzazione dell'ascolto dei clienti e delle lessons learned; • il miglioramento continuo delle performance di unità operative e key people; • l'evoluzione dei sistemi di gestione Qualità, Ambiente e Sicurezza verso la sostenibilità. I componenti del pool, oltre ad operare personalmente sul campo, attivano collaborazioni con esperti del mondo della ricerca e delle professioni, per portare a termine progetti e ricerche che creino valore tangibile per i Committenti. Gli incarichi di QUINN si caratterizzano per la relativa non convenzionalità degli obiettivi assegnati, dei metodi di lavoro utilizzati e per l'interdisciplinarietà delle competenze richieste; costante è la flessibilità di approccio per rispondere ad esigenze che evolvono anche durante l'iter progettuale e l'attenzione a coinvolgere le risorse del Cliente che possono contribuire al risultato finale. Tra le linee di intervento a supporto dell'Innovazione attivate da QUINN negli ultimi 15 anni evidenziamo i "Servizi di supporto alle Policy pubbliche", che per la realizzazione di interventi di supporto alle policy regionali toscane (2010-2014) per l'innovazione delle imprese si sono articolate in: • Organizzazione e gestione di un percorso d'incontri per i centri servizi e di trasferimento tecnologico aderenti alla Tecnorete della Regione Toscana; • Revisione catalogo dei servizi avanzati e qualificati, sua estensione all'internazionalizzazione; • Analisi del concetto e di esperienze di Dimostratore Tecnologico; • Linee guida per la Divulgazione Tecnologica nel Trasferimento Tecnologico; • Linee guida per la valutazione della performance dei laboratori di ricerca e trasferimento tecnologico e laboratori di prova/analisi; • Linee guida alle attività di Business-Matching / Matchmaking; • Studio di fattibilità per una società di seed capital per Toscana Life Sciences e collaborazione con le attività di incubazione di Siena (2006); • Studi di fattibilità per le policy di sostegno alla nascita di nuove imprese innovative - CCIAA Lodi, ARTI/Regione Puglia (2007- 2008); • Indagine sul sistema dei Parchi Scientifici e Tecnologici Italiani (2010); • Studio di fattibilità dell'incubatore universitario di Sesto Fiorentino (2009); • Progettazione condivisa con gli attori territoriali del progetto Innovation Building a Prato (2009); • Ricerca sulla nuova imprenditorialità e attrazione di investimenti nel distretto della nautica della Spezia (2007-2008); • Attività di supporto all'Incubatore tecnologico di Firenze finalizzate alla ricerca e accoglimento di nuove imprese (2007); • Analisi di opportunità di nuove imprese innovative derivanti dalla costruzione di un nuovo ospedale (2006-2007). 0.4 Fasi del Progetto La Pianificazione del Progetto, nell'ottica di un'efficace Project Management, è stata svolta suddividendo il progetto in fasi al fine di poter effettuare un miglior controllo. I passaggi da una fase all'altra del progetto, che rappresentano il ciclo di vita del progetto, comportano generalmente una forma di trasferimento tecnico o comunque un passaggio di consegne, dove gli output ottenuti da una fase a monte, prima di essere approvati per procedere alla fase a valle vengono analizzati per verificarne completezza e accuratezza. Quando si ritiene che i possibili rischi sono accettabili, può essere che una fase venga iniziata prima dell'approvazione dei deliverable della fase precedente. Per fasi si intendono sequenze identificabili di eventi composti da attività coerenti che producono risultati definiti e che costituiscono l'input per la fase successiva. Le fasi standard identificabili nella maggior parte dei progetti sono: • Concezione e Avvio del Progetto; • Pianificazione; • Esecuzione e Controllo; • Chiusura. In sostanza il ciclo di vita del progetto definisce quale lavoro tecnico deve essere svolto in ciascuna fase, quando devono essere prodotti i deliverable in ciascuna fase e come ciascun deliverable deve essere analizzato, verificato e convalidato, chi è coinvolto in ciascuna fase e come controllare e approvare ciascuna fase. Le fasi che hanno portato alla redazione del report, nel quale le informazioni raccolte sul campo sono state organizzate in modo tale da consentire l'inquadramento del fenomeno della Fabbrica Intelligente in Toscana, sono così individuabili: • FASE 0: Fase Preliminare Dopo aver ricevuto l'incarico da parte di IRPET per la redazione del report, il QUINN ha analizzato la fattibilità del progetto, in modo da prevenire un rischio di insuccesso e dare concretezza all'idea progettuale, e una volta verificata ha redatto la propria Offerta Tecnica. Dopo l'accettazione dell'Offerta da parte dell'Ente Committente, QUINN ha costituito il Team di Progetto incaricato a svolgere le attività progettuali, assegnando a ciascun componente le proprie responsabilità e mansioni. Grazie all'utilizzo di tecniche efficaci per la pianificazione, sono state programmate nel dettaglio tutte le attività da svolgere, al fine di completare il report entro il termine fissato. • FASE 1: Comprensione del Contesto di riferimento In questa fase l'obiettivo centrale era rappresentato dalla comprensione del contesto del progetto, il Team di Progetto rispetto al contesto imprenditoriale italiano ha svolto un'analisi interna e una esterna, che hanno permesso di inquadrare il tema della "Fabbrica Intelligente". Partendo dalle origini prettamente letterarie del concetto, è stata illustrata l'evoluzione industriale che ha preceduto questo fenomeno, successivamente sono stati analizzati i macro trend socio-economici che hanno maggiore impatto sull'industria che stanno caratterizzando l'attuale scenario industriale, concludendo infine con la presentazione delle varie iniziative comunitarie e nazionali a sostegno della ripresa manifatturiera attraverso la "Fabbrica Intelligente". • FASE 2: Esplorazione del Concetto nel Panorama Internazionale Durante questa fase, svolta quasi in parallelo con la precedente, sono state analizzate le varie declinazioni al concetto di Fabbrica Intelligente e congiuntamente ricercati i trend e le tecnologie abilitanti. Attraverso un esercizio di Forecasting Tecnologico, osservando molteplici studi condotti da un altrettanto numero di esperti, sono stati identificati i trend attuali e quelli emergenti connessi alla Fabbrica Intelligente, con i conseguenti impatti sulle aziende e sulla forza lavoro. Alla fine sono stati ricercati alcuni casi di Fabbrica Intelligente, o di Industria 4.0 che dir si voglia, sviluppati da diverse aziende nel mondo. • FASE 3: Studio dell'Applicazione del Modello nella Regione Toscana Nello svolgimento di questa fase, si è passati allo studio degli ambiti prioritari della domanda e dell'offerta di tecnologie per la Fabbrica Intelligente nella Regione Toscana, per come identificata all'interno della SSS, focalizzandoci sulle tecnologie connesse all'automazione, alla meccatronica e alla robotica. Successivamente si è passati ad individuare possibili legami tra gli ambiti tecnologici analizzati e lo sviluppo di soluzioni tecnologiche funzionali ai processi produttivi, "in termini di velocizzazione sicurezza e controllo dei processi, della sostenibilità ed economicità degli stessi, nonché dell'estensione della capacità di azione". Si è arrivati infine a delineare il panorama della diffusione del modello della Fabbrica intelligente nelle imprese del sistema produttivo toscano, grazie all'analisi della diffusione fra le aziende produttrici e utilizzatrici delle tecnologie correlate, attraverso il merging di due DB di imprese Toscane stilati da enti qualificati, interviste in profondità e telefoniche, e infine attraverso l'organizzazione di due Focus Group. • FASE 4: Realizzazione Conclusiva del Report La quarta e ultima fase ha portato alla redazione finale del report, nel quale le informazioni sia di carattere quantitativo, ma soprattutto qualitativo raccolte sul campo sono state elaborate in maniera tale da evidenziare la diffusione del fenomeno nel tessuto produttivo toscano. I risultati conseguenti all'elaborazione di tali informazioni risultano essere: - la descrizione di casi studio sia di utilizzatori che di sviluppatori, con la presentazione delle peculiarità di adozione delle tecnologie che prefigurano possibili modelli di adozione alla Fabbrica intelligente; - la mappatura della diffusione delle tecnologie abilitanti della Fabbrica intelligente in Toscana con riferimento alle imprese utilizzatrici; - inquadramento del livello di maturità dei diversi settori produttivi toscani rispetto alle tecnologie target identificate dal Cluster Fabbrica Intelligente; - raccomandazioni di policy. 0.5 Strumenti e Tecniche utilizzate nell'ambito del Progetto Per una più facile comprensione dei contenuti, in questo paragrafo vengono descritti in forma teorica gli strumenti e le tecniche gestionali, che il Team di Progetto ha utilizzato per lo svolgimento delle attività progettuali, elencandoli in funzione dell'impiego nelle diverse fasi del progetto. Nel proseguo del lavoro, dove verranno presentati i contenuti del report, saranno illustrate le modalità operative realmente avviate nell'applicazione dei vari strumenti. 0.5.1 FASE 0: FASE PRELIMINARE In questa fase preliminare il PM detiene la responsabilità della pianificazione, integrazione ed esecuzione dei piani. La pianificazione, ovvero il P nella logica PDCA, è fondamentale a causa della breve durata del progetto e per l'assegnazione delle risorse. L'integrazione risulta altrettanto importante, altrimenti ogni soggetto sviluppa la propria pianificazione senza tener conto degli altri. La pianificazione è la definizione di cosa fare, quando va fatto e da chi; è destinata in linea teorica a: • "acquisire" gli obiettivi del processo; • individuare le fasi o meglio processi, diretti ed indiretti, che consentono di raggiungere gli obiettivi prefissati ovvero stesura della "mappa" di processi e delle interazioni; • scegliere metodi per il do, il check e l'act, il personale, i materiali e/o le informazioni, le macchine/tecnologie e/o attrezzature per ogni processo operativo aggredibile; • provare, sperimentare, verificare là dove non si sa; • emettere specifiche, standard; • occuparsi delle eventuali attività di comunicazione e addestramento. Per un PM è fondamentale utilizzare tecniche di pianificazione efficaci, e di seguito sono descritte quelle utilizzate durante tutte le fasi del progetto: • Work Breakdown Structure (WBS); • Matrice RACI; • Diagramma di Gantt; • Flow Chart (FC). 0.5.1.1 Work Breakdown Structure (WBS) La WBS (Work Breakdown Structure) è una forma di scomposizione (o disaggregazione secondo una struttura ad albero) strutturata e gerarchica del progetto che si sviluppa tramite l'individuazione di sotto-obiettivi e attività definite ad un livello di dettaglio sempre maggiore. Scopo della WBS è di identificare e collocare all'ultimo livello gerarchico pacchetti di lavoro (Work Package) chiaramente gestibili e attribuibili a un unico responsabile, affinché possano essere programmati, schedulati, controllati e valutati. La WBS è uno strumento di fondamentale importanza nel Project Management, infatti fornisce le basi per sviluppare una matrice delle responsabilità e successivamente effettuare lo scheduling . Attraverso la suddivisione dei deliverable in componenti più piccoli definiti "work package" si semplifica la gestione del progetto. Il work package infatti rappresenta il gradino più basso della gerarchia WBS ed è tramite questo che si possono definire in maniera più affidabile schedulazione dei tempi e costi. La suddivisione per livello procede riducendo ampiezza e complessità fino a quando non perviene a una descrizione adeguata e inequivocabile della voce finale. La Work Breakdown Structure (WBS), ha permesso di individuare, ai vari livelli, tutte le attività di sviluppo del progetto. La logica di scomposizione utilizzata è stata quella del processo di lavoro, questa logica consiste nel suddividere il progetto in relazione alla sequenza logica delle attività realizzative che verranno messe in opera, e ci ha permesso di individuare, per ogni pacchetto di lavoro: • scopo del lavoro con obiettivi e vincoli; • il processo di lavoro e le sue interfacce; • le risorse assegnabili e assegnate; • i limiti di tempo. 0.5.1.2 Matrice RACI La Matrice RACI è uno strumento che viene utilizzato per l'individuazione delle responsabilità all'interno di un progetto. Essa indica alle risorse umane coinvolte le mansioni e il grado di responsabilità all'interno del progetto, inoltre fornisce indicazioni specifiche su come comportarsi nel gestire le relazioni e responsabilità di altre persone coinvolte, rappresentando un forte elemento di motivazione per le stesse. La matrice di responsabilità nella sua intersezione indica il tipo di persona a cui è delegata una persona o un'unità organizzativa. Generalmente vengono utilizzate delle sigle che esprimono le responsabilità, le più utilizzate sono quelle corrispondenti all'acronimo RACI: • R: "Responsabile": è il ruolo di colui che è chiamato ad eseguire operativamente il task (per ogni task è possibile avere più Responsabili); • A: "Approva": è aziendalmente il ruolo a cui riporta il Responsabile o che comunque dovrà svolgere un ruolo di supervisione del lavoro del/dei Responsabili(ci può essere un solo A per ogni attività); • C: "Coordinamento": è il ruolo di chi dovrà supportare il/i Responsabile nello svolgimento del task fornendogli informazioni utili al completamento del lavoro o a migliorare la qualità del lavoro stesso • I: "Informato": è il ruolo di chi dovrà essere informato in merito al lavoro del/dei Responsabile e che dovrà prendere decisioni sulla base delle informazioni avute. 0.5.1.3 Diagramma di Gantt La complessità sempre maggiore di molti progetti, la gestione di grandi quantità di dati e le scadenze rigide incentivano le organizzazioni verso l'utilizzo di metodi per la pianificazione delle attività su scala temporale. Le tecniche di scheduling più comuni sono: • Diagrammi a barre o di Gantt; • Tecniche reticolari: - PDM (Precedence Diagram Method); - ADM (Arrow Diagram Method); - PERT (Program Evaluation and Review Technique); - CPM (Critical Path Method). • Approccio della Catena Critica CCPM (Critical Chain Project Management). La tipologia di rappresentazione utilizzata nel presente report, è il diagramma a barre (di Gantt), un mezzo molto semplice e intuitivo per visualizzare le attività o gli eventi tracciati in relazione al tempo, come nel nostro caso, o al denaro. La rappresentazione utilizzata riguarda l'evoluzione del progetto su scala temporale, dove ogni barra rappresenta un'attività la cui lunghezza è proporzionale alla durata dell'attività stessa, la quale è collocata sulla scala temporale. Il diagramma di Gantt permette perciò di definire cosa fare in una determinata quantità di tempo, e stabilisce inoltre eventi o date chiave (milestone) di progetto e un riferimento per il controllo dell'avanzamento. Il vantaggio che ha apportato sta nell'ottimizzazione delle risorse, attraverso una contemporanea visualizzazione delle attività, delle tempistiche e dei soggetti coinvolti. Ha comunque tre limitazioni principali, infatti non illustra: • le interdipendenze tra le attività; • risultati di un inizio anticipato o tardivo nelle attività; • l'incertezza inclusa nell'esecuzione dell'attività. 0.5.1.4 Flow Chart (FC) o Diagramma di Flusso Il Diagramma di Flusso, detto anche Flow Chart, rappresenta una modellazione grafica per rappresentare il flusso di controllo ed esecuzione di algoritmi, procedure o istruzioni operative. Esso consente di descrivere in modo schematico ovvero grafico: • le operazioni da compiere, rappresentate mediante forme convenzionali (ad esempio : rettangoli, rombi, esagoni, parallelogrammi, .), ciascuna con un preciso significato logico e all'interno delle quali un'indicazione testuale descrive tipicamente l'attività da svolgere; • la sequenza nella quale devono essere compiute, rappresentate con frecce di collegamento. Tale strumento permette pertanto di visualizzare tutto o parte del processo e di capire il collegamento delle sequenze necessarie a svolgere una funzione. In particolare permette di individuare i punti del processo in cui si verifica l'effetto che si vuole analizzare e di risalire il flusso fino alle origini delle cause potenziali. 0.5.2 FASE 1: COMPRENSIONE DEL CONTESTO DI RIFERIMENTO Tutti i progetti si interfacciano con il mondo reale, quindi occorre considerare i diversi contesti in cui il progetto converge. Alla luce di questo il PM ha incaricato i componenti del Team di Progetto di effettuare, un'analisi del contesto di riferimento, svolgendo un esercizio di Forecasting Tecnologico, attraverso la Ricerca sul Web, allo scopo di realizzare: • un'Analisi Interna; • un'Analisi Esterna; • l'Analisi SWOT. 0.5.2.1 Ricerca sul Web Lo strumento che normalmente viene utilizzato per effettuare una ricerca sul web è il cosiddetto motore di ricerca, il quale è basato sull'inserimento di una o più parole-chiave le cui occorrenze vengono cercate all'interno dei vari documenti presenti in rete. Bisogna dire che il processo di ricerca e di selezione delle informazioni è molto più complesso di quanto si possa pensare, per l'appunto possiamo differenziare la ricerca delle fonti in due modi: • Fonti Istituzionali (es. Regolamenti Comunitari, EUROSTAT, ISTAT, etc.); • Fonti Pubbliche (es. Unioncamere); • Enti di natura scientifica (es. società di consulenza). La conoscenza precedente dell'argomento influenza e da maggiori garanzie di successo nella ricerca, in questo modo l'utente è in possesso di termini specifici che può utilizzare direttamente come keywords. Gli elementi per impostare una soddisfacente ricerca sul web possono essere riassunti in: • chiarezza dell'oggetto, quesito o obiettivo della ricerca; • tempo e capacità dell'utente che effettua la ricerca; • qualità delle risposte in termini di: - adeguatezza, completezza ed esaustività; - affidabilità e autorevolezza della fonte; - grado di aggiornamento. 0.5.2.2 Forecasting Tecnologico Il Forecasting Tecnologico è un settore dei Technology Future Studies che racchiude varie strumenti volti ad anticipare e a capire la direzione potenziale, le caratteristiche e gli effetti del cambiamento tecnologico. Sono identificabili 9 cluster: 0.5.2.2.1 Expert Opinion Questa famiglia comprende tecniche basate sull'opinione di esperti, e include la previsione o la comprensione dello sviluppo tecnologico attraverso intense consultazioni tra vari esperti in materia. Uno dei metodi più diffusi è sicuramente il Metodo Delphi. Questo metodo combina richiesta di pareri riguardanti la probabilità di realizzare la tecnologia proposta e pareri di esperti in materia dei tempi di sviluppo. Gli esperti si confrontano e si scambiano pareri in base alle proprie previsioni tecnologiche, in modo da arrivare a una linea comune. 0.5.2.2.2 Trend Analysis L'Analisi del Trend comporta la previsione attraverso la proiezione dei dati storici quantitativi nel futuro. Questa analisi comprende modelli sia di previsione economica che tecnologica. Una tecnologia di solito ha un ciclo di vita composto di varie distinti fasi. Le tappe includono tipicamente • una fase di adozione • una fase di crescita • una fase di sviluppo • una fase di declino. L'analisi cerca di identificare e prevedere il ciclo della innovazione tecnologica oggetto dello studio. 0.5.2.2.3 Monitoring and Intelligence Methods Questa famiglia di metodi (Monitoring e le sue variazioni: Environmental Scanning and Technology Watch) ha lo scopo di fare acquisire consapevolezza dei cambiamenti all'orizzonte che potrebbero avere impatto sulla penetrazione o ricezione delle tecnologie nel mercato. 0.5.2.2.4 Statistical Methods Fra i metodi statistici, i più diffusi sono l'Analisi di Correlazione e l'Analisi Bibliometrica. • L'Analisi di Correlazione anticipa i modelli di sviluppo di una nuova tecnologia correlandola ad altri, quando lo stesso modello è simile ad altre tecnologie esistenti. • L'Analisi Bibliometrica si concentra sullo studio della produzione scientifica (pubblicazioni, etc.) presente in letteratura. In particolare risulta utile al fine di: - sviluppare conoscenza esaustiva del tema oggetto di studio; - analizzare i database da usare, da cui trarre informazioni e dati; - acquisire conoscenza sulle informazioni dei brevetti, fonte importante per acquisire informazioni uniche dal momento che spesso i dati e le informazioni rintracciabili nei brevetti non sono pubblicati altrove; - definire la strategia di ricerca; - utilizzare gli strumenti di analisi, attraverso software di data e text mining efficienti; - analizzare i risultati, grazie alle informazioni di vario tipo da cui gli esperti possono estrarre informazioni strategiche. 0.5.2.2.5 Modelling and Simulation Per "modello" si intende una rappresentazione semplificata delle dinamiche strutturali di una certa parte del mondo "reale". Questi modelli possono mostrare il comportamento futuro dei sistemi complessi semplicemente isolando gli aspetti essenziali di un sistema da quelli non essenziali. Tra i principali metodi: • Agent Modeling, tecnica che simula l'interazione dei diversi fattori in gioco; • System Simulation, tecniche che simulano la configurazione di un sistema a fronte dell'azione di possibili variabili aggiuntive. 0.5.2.2.6 Scenarios Costituiscono rappresentazioni alternative delle tecnologie future, sulla base di considerazioni e condizioni ulteriori a seguito di possibili cambiamenti delle condizioni al contorno inizialmente ipotizzate. 0.5.2.2.7 Valuing/Decision/Economic Methods Tra i metodi il più popolare è il "Relevance Tree Approach": le finalità e gli obiettivi di una tecnologia proposta sono suddivisi tra: • obiettivi prioritari; • obiettivi di basso livello. Grazie ad una struttura ad albero è possibile identificare la struttura gerarchica dello sviluppo tecnologico. In base ad esso viene eseguita la stima delle probabilità di raggiungere gli obiettivi ai vari livelli di sviluppo tecnologico. 0.5.2.2.8 Descriptive and Matrices Methods In crescente affermazione in questa famiglia di metodi è la definizione di Roadmap dello sviluppo di tecnologie, che consiste nel proiettare i principali elementi tecnologici di progettazione e produzione insieme alle strategie per il raggiungimento di traguardi desiderabili in modo efficiente Nel suo contesto più ampio, una Roadmap tecnologica fornisce una "vista di consenso o visione del futuro" della scienza e della tecnologia a disposizione dei decisori. 0.5.2.3 Analisi SWOT L'analisi SWOT è uno strumento di pianificazione strategica semplice ed efficace che serve ad evidenziare le caratteristiche di un progetto o di un programma, di un'organizzazione e le conseguenti relazioni con l'ambiente operativo nel quale si colloca, offrendo un quadro di riferimento per la definizione di strategie finalizzate al raggiungimento di un obiettivo. La SWOT Analysis si costruisce tramite una matrice divisa in quattro campi nei quali si hanno: • Punti di Forza (Strengths); • Punti di Debolezza (Weaknesses); • Opportunità (Opportunities); • Minacce (Threats). L'Analisi SWOT consente di distinguere fattori esogeni ed endogeni, dove punti di forza e debolezza sono da considerarsi fattori endogeni mentre minacce e opportunità fattori esogeni. I fattori endogeni sono tutte quelle variabili che fanno parte integrante del sistema sulle quali è possibile intervenire, i fattori esogeni invece sono quelle variabili esterne al sistema che possono però condizionarlo, su di esse non è possibile intervenire direttamente ma è necessario tenerle sotto controllo in modo da sfruttare gli eventi positivi e prevenire quelli negativi, che rischiano di compromettere il raggiungimento degli obiettivi prefissati. I vantaggi di una analisi di questo tipo si possono sintetizzare in 3 punti: • la profonda analisi del contesto in cui si agisce, resa possibile dalla preliminare osservazione e raccolta dei dati e da una loro abile interpretazione si traduce in una puntuale delineazione delle strategie; • il raffronto continuo tra le necessità dell'organizzazione e le strategie adottate porta ad un potenziamento della efficacia raggiunta; • consente di raggiungere un maggiore consenso sulle strategie se partecipano all'analisi tutte le parti coinvolte dall'intervento. 0.5.3 FASE 2: ESPLORAZIONE DEL CONCETTO NEL PANORAMA INTERNAZIONALE Anche in questa fase, dove l'obiettivo era quello di ricercare nella letteratura le varie declinazioni al concetto di "Fabbrica Intelligente" e le tecnologie attuali ed emergenti connesse ad essa, è stata svolta un'analisi degli organismi specializzati nel Foresight Tecnologico e di profondi conoscitori del settore dell'automazione industriale, per studiare le tendenze tecnologiche per i prossimi anni. 0.5.4 FASE 3: STUDIO DELL'APPLICAZIONE DEL MODELLO NELLA REGIONE TOSCANA Durante lo svolgimento di questa fase, si è intrapreso un percorso di raccolta delle informazioni legate al tema della "Fabbrica Intelligente" nel tessuto produttivo toscano, che è stato strutturato in 3 diverse attività: • Mappatura della Diffusione delle Tecnologie in Toscana attraverso il merging dei DB "Osservatorio sulle imprese high-tech della Toscana" e delle "Aziende eccellenti" dell'IRPET con l'estrapolazione dei dati da Fonti Aziendali: questa attività verrà discussa nel dettaglio nel proseguo del lavoro; • Interviste in Profondità e Interviste Telefoniche; • Focus Group. 0.5.4.1 Intervista L'intervista semi-strutturata è l'equivalente del questionario, con domande predefinite dal ricercatore in fase di preparazione dello strumento; a differenziare i due metodi è il modo di presentazione, orale nel caso dell'intervista, scritto nel caso del questionario, che assicura maggiore capacità di adattamento all'interlocutore e di valorizzazione di tutte le opportunità di raccolta d'informazioni "non strutturate". L'intervista ha quindi il vantaggio di essere un metodo versatile, che è possibile utilizzare in ogni stadio della progettazione, dalla fase di esplorazione a quella di validazione ex post delle informazioni. A differenza dei questionari, la presenza del ricercatore allontana l'eventualità che il soggetto interpreti in maniera errata le domande o che si trovi in imbarazzo perché non comprende quanto gli viene richiesto; inoltre, nel caso di una risposta non attinente, il ricercatore può riformulare la domanda. Il vantaggio maggiore rispetto al questionario consiste nel fatto che l'intervista non registra la stessa alta percentuale di mancati recapiti da parte dei soggetti contattati; di conseguenza, i dati raccolti godono di maggiore validità . A differenza dell'intervista personale, l'intervista telefonica appare concepibile nell'ambito di un sondaggio, offrendo vantaggi legati soprattutto al costo e al tempo di esecuzione, nonostante la mancanza di un'interazione faccia a faccia limita la "competenza comunicativa" () dell'intervistatore e dell'intervistato. Durante l'intervista telefonica l'intervistato non può prendere visione diretta del questionario, come accade nel sondaggio tramite intervista personale, e non consente all'intervistatore il ricorso a tecniche che comportano strumenti da sottoporre visivamente all'intervistato, come forme di gadgets o scale auto-ancoranti. Dal punto di vista dell'intervistatore, si dispone di meno informazioni per valutare se l'intervistato ha capito davvero la domanda; di conseguenza tenderà a ridurre gli interventi opportuni per chiarire il testo. Non è possibile integrare il resoconto dell'intervista con informazioni relative all'ambiente fisico in cui essa ha luogo e al comportamento non verbale dell'intervistato. 0.5.4.2 Focus Group Interviste rivolte a un gruppo omogeneo di 7/12 persone, la cui attenzione è focalizzata su di un argomento specifico, che viene scandagliato in profondità. Un moderatore (spesso definito: 'facilitatore') indirizza e dirige la discussione fra i partecipanti e ne facilita l'interazione, anche attraverso la predisposizione di un "sceneggiatura" finalizzata a fare emergere le peculiari conoscenze ed esperienze, nonché finalizzata a favorire il confronto "creativo". Ogni partecipante ha l'opportunità di esprimere liberamente la propria opinione rispetto all'argomento trattato ma nel rispetto di alcune "regole del gioco" introdotte dal facilitatore; la comunicazione nel gruppo è impostata in modo aperto e partecipato, con un'alta propensione all'ascolto. Il contraddittorio positivo che ne consegue consente di far emergere i reali punti di vista, giudizi, pre-giudizi, opinioni, percezioni e aspettative del pubblico di interesse in modo più approfondito di quanto non consentano altre tecniche di indagine . Nella tabella seguente, sono riportati i metodi di Forecasting Tecnologico , suddivisi nei 9 cluster definiti dal "MIT- Massachusetts Institute of Technology", indicando quali sono stati impiegati nelle attività progettuali e in che fase. 0.5.5 FASE 4: REALIZZAZIONE CONCLUSIVA DEL REPORT Durante la fase conclusiva di redazione finale del report, il Team di Progetto si è concentrato nell'elaborazione dei dati raccolti durante le fasi precedenti attraverso strumenti grafici che hanno facilitato l'attività di capitolazione delle informazioni, tra cui: • Istogrammi; • Diagramma a Torta; • Mappatura con metrica a "semaforo" : questa tecnica di rappresentazione è stata ideata dal Team di Progetto. Le sue peculiarità saranno illustrate più nel dettaglio successivamente. • Modello di Maturità (Maturity Model). 0.5.5.1 Istogramma L'istogramma è la rappresentazione grafica di una distribuzione in classi di un carattere continuo. Un istogramma consente di rappresentare i dati attraverso rettangoli di uguale base ed altezza differente a seconda dei dati stessi, ed in un solo colpo d'occhio permette di capire se una "quantità" è maggiore, minore o uguale di un'altra semplicemente guardando l'altezza dei rettangoli. 0.5.5.2 Diagramma a Torta Un Diagramma a Torta è una tecnica di rappresentazione che in un modo semplice e diretto è evidenzia il peso delle varie componenti di una grandezza. In questo modo la grandezza in questione viene rappresentata sottoforma di cerchio i cui spicchi hanno un angolo e di conseguenza, un arco, proporzionale alle varie componenti. 0.5.5.3 Modello di Maturità Tale modello definisce il livello di maturità di un'entità. L'aspetto caratteristico di tale rappresentazione è il fatto di essere organizzato per livelli. Il modello definisce diversi profili di maturità crescente, indicando implicitamente anche una strategia molto generale di miglioramento che si basa sull'introduzione di quelle pratiche che permettono solitamente ad un'azienda, di muoversi da un livello di maturità al successivo.
2006/2007 ; Una ricerca sulla supervisione professionale agli Assistenti Sociali . Anna Maria Giarola frequentante il III anno di Dottorato in "Sociologia, Scienze del Servizio Sociale e Scienze della Formazione"di Trieste, XX Ciclo. tutor Prof.Franco Bressan co-tutor Dott.ssa Elisabetta Neve Premessa Un breve inquadramento storico della supervisione in Servizio Sociale, ci condurrà alle motivazioni sottese alla ricerca svolta. Nell'ambito della formazione e della pratica professionale degli assistenti sociali è sempre stata presente la supervisione, che ha rappresentato il punto di raccordo tra la dimensione formativa e quella lavorativa della professione. Lo sviluppo teorico e metodologico della pratica della supervisione nel Servizio Sociale è stato ampiamente influenzato dal modello statunitense. Iniziata negli anni Trenta, la supervisione nei servizi sociali statunitensi era fortemente improntata a una funzione "amministrativa" di controllo della qualità e della produttività del lavoro degli assistenti, sulla base degli standard, degli scopi e degli obiettivi fissati dall'Ente, secondo uno stile di management ripreso dal modello produttivo e organizzativo aziendale americano.(Cortigiani M.,2005) A questa iniziale impostazione, vennero apportate nel nostro Paese delle correzioni decisive nel senso di dare alla supervisione anche la funzione di garantire agli operatori un supporto tecnico, formativo e personale.(Tommassini G.,1962) I supervisori lavoravano all'interno degli Enti di assistenza ed erano gerarchicamente incastonati nell'apparato amministrativo, ricoprendo quattro funzioni (Hester, 1951) : 1) funzione amministrativa e cioè controllo sull'operato, sulla qualità, sulla programmazione, pianificazione e distribuzione del lavoro; 2) funzione valutativa dei risultati, 3) funzione didattica volta ad integrare e completare la formazione dell'operatore svolta prima dell'ingresso nell'Ente; 4) funzione di consultazione relativamente ai casi specifici per i quali l'operatore necessiti di un supporto tecnico da parte di un operatore più esperto. Queste funzioni erano combinate con pesi e misure diverse a seconda dell'ambito della loro implementazione, ma la figura del supervisore restava una figura chiave all'interno degli Enti erogatori dei servizi e l'elemento di riflessività, che la connotava, portava un valore aggiunto all'operatività dell'assistente sociale. La peculiarità del Servizio Sociale di mettere in stretta, dipendente, relazione prassi operativa ed elaborazione teorica, trovava appunto nella supervisione un elemento forte di riflessione sulla propria operatività, da tradurre o rapportare al paradigma teorico. ( Neve E., 2000) Quando nel nostro Paese, in virtù della riforma dell'assistenza e del decentramento della responsabilità del ruolo assistenziale ai Comuni, gli Enti vennero chiusi e gli assistenti sociali decentrati nelle unità territoriali, la figura del supervisore, così come era stata fino ad allora concepita, tese a sparire. Lo sviluppo del Servizio Sociale è stato da allora molto complesso e la professione si è arricchita di nuove e maggiori competenze nei vari ambiti, ma la figura del supervisore non ha più trovato una chiara rappresentazione al suo interno. Sembra esserci oggi tuttavia una percezione diffusa del crescere di una domanda di supervisione da parte dei professionisti, sia in concomitanza con i rilevanti mutamenti nelle politiche di welfare e nell'organizzazione dei servizi socio-sanitari, sia sull'onda di una più pressante esigenza di qualità nell'erogazione di servizi. Il tema della supervisione professionale nel Servizio Sociale è stato oggetto negli anni, di approfondimenti ed analisi da parte di molti autori appartenenti spesso al mondo dell'operatività : fatto questo che dimostra come per l'assistente sociale risulti necessario trasferire l'esperienza legata alla prassi ad un livello di elaborazione teorica, attraverso una riflessione costante sulle proprie modalità operative. Nonostante i dibattiti attorno a questa tematica, le esperienze formative in questo senso sono restate purtroppo episodiche ed isolate: in pratica, non esiste un percorso formativo istituzionale per i supervisori, né tantomeno un riconoscimento professionale di questa figura. La formazione del supervisore risulta, seppur in taluni casi molto ampia ed articolata, non omogenea e talvolta con imprinting estremamente personali. La nostra ricerca nasce proprio dal desiderio di conoscere le varie esperienze di supervisione in servizio agli assistenti sociali nel nostro Paese, di rilevare le eventuali carenze e positività, di conoscere il percorso formativo dei supervisori che attualmente operano, le loro modalità e le loro opinioni in merito alla necessità di un percorso formativo specifico. Essa si ricollega ad altre più illustri ricerche teoriche, che hanno avuto il pregio di riportare in evidenza una tematica come quella della supervisione, che, tra alterne vicende, è sempre stata presente nel mondo del servizio sociale. Ricordiamo infatti le ricerche teoriche di E.Allegri che hanno messo in luce le inalienabili valenze di supporto alla professione, di valutazione di qualità e di auto-valutazione del lavoro sociale, intrinseche alla supervisione.(Allegri E.,1997,2000) 1. LA RICERCA. La ricerca è finalizzata a rilevare empiricamente, attraverso una serie di indagini, quanto la percezione diffusa dei professionisti e la recente elaborazione teorica hanno messo in evidenza, relativamente alla supervisione agli assistenti sociali in servizio. Essa è finalizzata a : - diffondere la conoscenza, consentire l'elaborazione teorica, contribuire a creare sensibilità e consapevolezza dell'utilità, se non della necessità, di incentivare la pratica della supervisione; - fornire suggerimenti per l'istituzione o sperimentazione di percorsi formativi, dei quali abbiamo la percezione ci sia carenza, ma anche necessità. Il progetto di questa ricerca è articolato nelle seguenti fasi : - costruzione del quadro teorico di riferimento e prima ricognizione panoramica sulla supervisione in Italia. - indagine empirica sulle esperienze esistenti, sia sul piano della domanda che dell'offerta di supervisione. Rilevazione della percezione del fabbisogno di supervisione sia da parte della professione che, indirettamente, da parte dei contesti istituzionali dei servizi; Per la ricerca è sembrata prioritaria una ricognizione sullo "stato" dell'esercizio della supervisione che comprendesse : - indicazioni riguardanti le esperienze già esistenti di supervisione ad assistenti sociali già in servizio, cercando di sondare le modalità e le tipologie esistenti e quantificare anche la disponibilità attuale a tale pratica ; per un quadro della situazione è stato utile indagare sulle tipologie di supervisione esistenti (individuale o di gruppo, mono o pluri-professionale) poiché le diverse tipologie sono sottese da motivazioni ed esigenze diverse (rafforzamento dell'identità professionale, capacità di cooperazione ed integrazione etc,) e possono dare un quadro più significativo della situazione attuale; - indicazioni riguardanti la quantità e la qualità potenziali della domanda di supervisione da parte sia dei singoli professionisti, sia, indirettamente, delle organizzazioni pubbliche e private di servizi ; è stato interessante indagare attorno alle motivazioni sottese alla richiesta di supervisione da parte dei diretti interessati, anche attorno alla "contestualizzazione" della supervisione e cioè se la stessa debba essere intesa fornita da operatori esterni o interni al servizio ed in quale posizione rispetto all'organizzazione; -indicazioni, anche se indirette, sul potenziale grado di disponibilità dei responsabili delle politiche e delle istituzioni di servizi ad attivare con proprie risorse o ricorrendo all'esterno, percorsi di supervisione per i propri operatori ; Si ritiene che questa ricerca possa collocarsi nell'ambito delle ricerche qualitative, nel senso che si darà ampio spazio al punto di vista o, più generalmente, alla prospettiva di chi è protagonista, come fruitore o come propositore, del nostro oggetto di studio. Gli interrogativi che ci siamo posti hanno una natura fondalmentamente descrittiva del fenomeno e non nutrono ambizioni di spiegazioni di portata generale. Il dato quantitativo misurato, relativamente alla presenza di tale prassi nel nostro Paese, sarà di aiuto comunque nel formulare ipotesi di fabbisogno e di intervento, in ambito formativo, sostenute da dati standardizzati. 2. IL PERCORSO DI RICERCA Si è ritenuto quindi opportuno, per le nostre finalità, articolare la ricerca come segue: 1) una ricognizione teorica, che ha preso in esame la letteratura italiana di servizio sociale sul tema, anche in chiave storica, e quella inerente la supervisione in altri ambiti professionali( psicologico, psicoterapeutico, psichiatrico, pedagogico-educativo .) Tale ricerca di sfondo aveva lo scopo, oltre a quello dell'approfondimento della conoscenza dell'oggetto di studio e della familiarizzazione con il contesto, di far emergere i nodi da indagare quali : i componenti del setting della supervisione( Assistente Sociale, Supervisore, Organizzazione ed Utente) , le funzioni della supervisione, la formazione dei supervisori, la scelta tra una supervisione implementata da un professionista interno od esterno all'ente, e tra una supervisione individuale o di gruppo ed infine, un breve excursus sulla supervisione nelle altre professioni d'aiuto ( infermieri professionali, psicologi, educatori professionali, psichiatri). 2) una prima ricognizione sulle esperienze italiane esistenti, attraverso materiale documentario e la somministrazione di un breve questionario a soggetti privilegiati, quali gli Ordini Nazionale e Regionali degli assistenti sociali ed altri organismi di rappresentanza degli stessi ( A.i.do.S.S, S.U.N.A.S, AS.Na.SS…) 3) una serie di interviste destinate ai supervisori esperti, molti dei quali docenti universitari, presenti nel nostro Paese, che hanno implementato tale prassi, nelle varie realtà italiane ( i nominativi ci sono stati forniti dagli Ordini Regionali degli assistenti sociali, ma risultavano già noti, per la grande rilevanza che essi hanno nel panorama formativo della professione ). La numerosità dell'elenco ci ha costretti, per motivi di ordine squisitamente tecnico, a suddividere il campione e a predisporre un questionario da inviare ad una parte dei supervisori. La scelta dei membri dei due sottogruppi è dovuta soltanto alla cronologia della somministrazione. 4) una indagine, attraverso un questionario, presso gli assistenti sociali, estratti casualmente dalle liste degli Albo Regionali, sulla reale possibilità di accedere ad un percorso di supervisione e sulle opinioni in merito degli operatori coinvolti. Si tiene a sottolineare come il nostro piano di indagine non fosse comunque rigido e stabilito, prima dell'inizio stesso dello studio, ma come esso sia emerso e sia stato definito nel dettaglio, durante la raccolta dei dati, una volta terminata l'analisi preliminare. Crediamo infatti che, per la buona riuscita della ricerca, sia necessario attenersi a canoni di flessibilità e adattamento al contesto e ai soggetti coinvolti. Come premesso, attraverso questi strumenti, intendiamo assumere informazioni sul panorama attuale italiano riguardo la supervisione in servizio agli assistenti sociali, ipotizzando che essa ponga reali problemi non solo sul piano del suo concreto esercizio, ma anche sul piano dei requisiti e quindi della formazione dei supervisori di professionisti, che operano in realtà alquanto complesse, come quelle dei Servizi Sociali, sia pubblici, che del privato sociale. 3. GLI STRUMENTI DEL PERCORSO 1.3 Questionario per gli Ordini e le Agenzie Formative. L'approfondimento teorico e documentario, che ha avuto valore di "ricerca di sfondo" ci ha permesso di definire, almeno in prima battuta, i concetti relativi al tema della ricerca ed i nodi attorno ai quali sono state strutturate le nostre indagini. E' stata effettuata una prima panoramica sulle esperienze italiane esistenti attraverso la somministrazione di un questionario a tutti gli Ordini Nazionale e Regionali ed alle Associazioni di categoria ( Associazione Nazionale Servizio Sociale, Associazione Italiana Docenti di Servizio Sociale, Sindacato Unitario Nazionale Assistenti Sociali ). Essa aveva un duplice scopo : 1) avere una prima fotografia delle esperienze esistenti in Italia e delle opinioni in merito da parte delle voci "ufficiali" della professione; 2) ottenere informazioni circa l'entità e la dislocazione di esperienze e persone cui poter fare riferimento per la rilevazione. Il questionario postale, a domande aperte, chiede informazioni sull'esistenza di esperienze recenti o attuali di supervisione in servizio, su chi sono i supervisori, sull'esistenza o meno di corsi di formazione dei supervisori. La scelta di un questionario postale a domande aperte deriva da riflessioni di ordine metodologico e di tipo economico : il questionario a domande aperte infatti può essere immaginato come uno strumento a cavallo tra qualità ( capacità conoscitiva del punto di vista dell'intervistato ) e quantità, essendo la redazione e l'ordine delle domande esattamente uguale per tutti gli intervistati (possibilità di giungere alla costruzione di "matrici di dati") . 2.3 Intervista e Questionario ai Supervisori. Una delle domande del questionario somministrato agli Ordini ed alle Agenzie formative riguarda la conoscenza da parte di questi, di professionisti o agenzie pubbliche o private che forniscono supervisione in servizio agli assistenti sociali nel nostro Paese. Accanto ad altri interessanti dati, abbiamo potuto accedere a molti nominativi di Supervisori, che negli ultimi dieci anni hanno effettuato supervisioni ad assistenti sociali in servizio, nelle loro regioni. Ne è emerso un elenco di circa sessanta professionisti, alcuni dei quali sono nomi estremamente significativi nell'ambito dell'elaborazione teorica e della formazione del Servizio Sociale. Abbiamo ottenuto quindi un campione di supervisori rappresentato dalla totalità dei nominativi fornitaci dai vari Ordini regionali ( campionamento a valanga o snow-ball). Possiamo quindi affermare che non si tratta della selezione di un campione, quanto piuttosto di una scelta degli interlocutori ( nel nostro caso tutti segnalati da Organismi rilevanti all'interno della comunità, alla quale la ricerca è diretta), operata sulla base della significatività dell'esperienza e della collocazione dei soggetti da intervistare relativamente alla più ampia finalità dell'indagine, come pure in ordine alla loro posizione nel contesto di studio. Appoggiandoci alla tripartizione individuata da (Gorden R.1975) che classifica in tre tipi generali gli interlocutori destinati ad una intervista ( chiave, privilegiati, significativi) possiamo affermare che il nostro campione appartiene alla categoria del tipo privilegiato o meglio "specializzato". Questa definizione intende qui una persona che dà informazioni "specialistiche", cioè direttamente rilevanti per gli obiettivi dello studio, scelta sulla base della sua posizione strategica nella comunità scientifica di appartenenza, gruppo o istituzione oggetto di studio.( G.Gianturco 2005) Si è pensato quindi, anche per motivi strettamente economici, di suddividere il campione in due sottogruppi. Tale suddivisione ci ha consentito di individuare, in ordine esclusivamente cronologico, i soggetti da intervistare direttamente e quelli ai quali inviare ( per posta ordinaria o telematica ) un questionario da auto-compilare. L'intervista è articolata in quattro sezioni, con domande aperte, riguardanti : -esperienze di supervisione fatte ed in atto; -riflessioni e commenti sulle esperienze -stima, in prospettiva, del fabbisogno di supervisione per gli assistenti sociali -problemi e prospettive circa la formazione dei supervisori -opinioni su nodi problematici Abbiamo pensato a questo tipo di intervista semistrutturata focalizzata su un determinato argomento, detta anche standardizzata non programmata (Gianturco,2005)che prevede una gestione della relazione di intervista flessibile e con una bassissima direttività. Essa " concede ampia libertà all'intervistato ( gestione dell'ordine ed eventualmente dell'approfondimento delle domande/stimoli) ed intervistatore ( ampiezza della risposta e del racconto, inserimenti di altri elementi non previsti dallo stimolo.) garantendo nello stesso tempo che tutti i temi rilevanti siano discussi e che tutte le informazioni necessarie siano raccolte" (Corbetta,1999) Questa opzione ci è stata suggerita proprio dalla tipologia delle persone, che siamo andati ad intervistare : professionisti esperti, che accanto alle informazioni necessarie alla ricerca potevano fornire ampi ed approfonditi commenti al fenomeno, oggetto di studio, in generale. Non si tratta infatti, di un semplice elenco di argomenti, ma di una struttura ramificata in cui ogni argomento è suddiviso in temi e ogni tema in sotto-temi, con la possibilità di procedere ulteriormente nella scomposizione fino a raggiungere il livello di specificità richiesto dalle finalità conoscitive da perseguire. I supervisori raggiunti con l'intervista, la cui traccia con temi e sottotemi è stata anticipata per posta elettronica, sono stati 18. Abbiamo poi raggiunto con un questionario postale da autocompilare, anticipato da un contatto telefonico, altri 42 supervisori. Il questionario è stato formulato mantenendo gli stessi obiettivi conoscitivi dell'intervista, utilizzando domande chiuse, domande aperte e scale di valutazione, onde ottenere la possibilità di un minimo di standardizzazione dei risultati e contemporaneamente lasciare spazio ad opinioni ed osservazioni utili ad una più ampia conoscenza dell'oggetto indagato. Il questionario, molto simile per costruzione e contenuti alla traccia dell'intervista, è diviso in cinque sezioni, che riguardano: -modalità irrinunciabili, atteggiamenti -opinioni su nodi problematici ( posizione del supervisore, funzioni della supervisione) -esperienze di supervisione fatte ed in atto (sottotemi: condizioni e contesto,contenuto della supervisione,modalità della supervisione, riferimenti teorici) -riflessioni e commenti sulle esperienze ( fattori ostacolanti e favorevoli, obiettivi generali, stima, in prospettiva, del fabbisogno di supervisione per gli assistenti sociali) -problemi e prospettive circa la formazione dei supervisori ( esperienze del supervisore, competenze indispensabili, luoghi e modalità dei percorsi formativi) I nodi che si sono voluti indagare sono emersi, e dalla rilevazione teorica effettuata come ricerca di sfondo, e dagli stimoli derivanti dai questionari destinati agli Ordini e alle agenzie formative. Il questionario è stato utilizzato dopo essere stato "provato" nella fase di pre-test con alcuni assistenti sociali esperti di supervisione, che si sono prestati a testare la sua affidabilità. 3.3 Questionario agli assistenti sociali. Parallelamente ai pareri dei supervisori intervistati, che hanno fornito interessanti dati e ampie considerazioni sia sulle loro esperienze, sia sulle ipotesi di fabbisogno di supervisione agli assistenti sociali, i pareri di coloro che hanno usufruito della supervisione avrebbero completato il quadro, dando maggiore consistenza all'analisi della situazione attuale, nonché alle prospettive di diffusione della supervisione. Qui sono sorti alcuni problemi di metodo. Risultava impraticabile il reperimento di tutti gli assistenti sociali che, magari molti anni fa, hanno usufruito della supervisione; inoltre gli stessi supervisori non sempre erano in grado di fornire i dati relativi ai propri "utenti", spesso soggetti a grande mobilità tra i servizi e nei vari territori. E se anche si fosse riusciti a reperire un numero consistente di questi assistenti sociali, sparsi in vaste zone del territorio nazionale, un'intervista diretta – o tipo focus group - a gruppi omogenei (cioè supervisionati dallo stesso supervisore) avrebbe inficiato le risposte, in quanto influenzati dalla particolarità di quel preciso supervisore. L'ipotesi poi di ovviare a questa distorsione effettuando una serie elevata di focus-group con gruppi misti di assistenti sociali, fruitori cioè della supervisione di diversi professionisti, avrebbe comportato ancora maggiori difficoltà pratiche oltre che costi elevati. Si sarebbe anche potuto limitare l'ambito dell'indagine a livello regionale, o di due o tre regioni limitrofe, ma si sarebbe troppo sacrificata la rappresentatività dell'universo degli assistenti sociali "utenti" di supervisione, che pare essere andato assumendo ormai dimensioni nazionali. Ci siamo perciò orientati a modificare completamente il target, pensando ad un campione indifferenziato di assistenti sociali su tutto il territorio nazionale, svincolandoci sia dall'individuazione di coloro che erano stati supervisionati dai supervisori intervistati, sia da modalità di indagine attraverso interrogazione diretta. Naturalmente questo tipo di scelta ha posto ulteriori problemi, ma ha rilevato anche dei vantaggi: il target non era più costituito solo da persone che hanno già avuto esperienza di supervisione, ma da molte altre, che potevano anche non conoscerne l'esistenza o le caratteristiche peculiari. Questo ha dato la possibilità di rilevare una stima del fabbisogno di supervisione non solo da parte di chi ne era in qualche modo condizionato avendone avuto diretta esperienza, ma anche da parte di chi non ne aveva finora usufruito, per i motivi più diversi, potendo così allargare il panorama delle diverse percezioni degli operatori. La scelta poi del questionario postale, anziché dell'intervista, avrebbe facilitato la rilevazione attraverso la somministrazione ad un campione rappresentativo di tutti gli assistenti sociali italiani. Sul piano metodologico si è posto perciò il problema del campionamento, ben sapendo che qualsiasi esso fosse stato, non vi era alcuna garanzia che esso avrebbe rispecchiato la proporzione tra chi conosce la supervisione per averla sperimentata e chi non vi ha mai partecipato. Il campionamento è stato curato dal Prof. Franco Bressan, Statistico e Presidente del corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale dell'Università di Verona. Si è deciso di puntare, in prima istanza, a disporre di un campione pari o possibilmente superiore a 250 unità ( gli assistenti sociali iscritti nelle liste degli Albi Regionali sono complessivamente 32000 circa e l'intento era quello di avvicinarsi ad numero vicino al 10% della popolazione totale), sufficiente comunque a dare una buona informazione sul senso che assume per l'assistente sociale la supervisione in Italia. Per ottenere tale rappresentatività sono stati inviati circa 500 questionari. La scelta campionaria, di tipo stratificato, ha seguito le proposte di un importante strumento delle tecniche di campionamento , il Cochran (Sampling Techniques, Wiley NY 1963), e si è deciso di utilizzare la procedura di allocazione ottimale su campionamento stratificato per proporzioni per campionamento senza reinserimento. Su di questa ci siamo basati per identificare alcuni presupposti necessari alla definizione della numerosità del campione negli strati selezionati. CONCLUSIONE L'esperienza, nel complesso è stata, anche se faticosa, altamente gratificante. I dati emersi sono numerosi e talvolta preziosi, nonché, come spesso la ricerca propone, di stimolo per ulteriori approfondimenti. La fase conclusiva è forse carente di una analisi in profondità, ma la ricerca è, e vuole essere, una raccolta di informazioni sulla supervisione, fruibili per l'avvicinamento e approfondimento a tematiche ad essa intrinseche o correlate: nuove elaborazioni teoriche, istituzione di percorsi formativi per i supervisori, ricerca di forme di sensibilizzazione alla fruizione della supervisione, ricerca di forme di valutazione scientifica dei suoi effetti….etc. La ricerca si conclude ( ma possiamo ritenerla conclusa ?) con la lettura dei dati rilevati e qualche tentativo di confronto, e con i dati emersi dalla ricerca di sfondo, e tra i vari soggetti coinvolti nell'indagine, lasciando intravedere possibili sviluppi futuri. Bibliografia -Allegri E. (2000)Valutazione di qualità e Supervisione Lint,Trieste. -Allegri E.(1997) Supervisione e lavoro sociale, La Nuova Italia Scientifica,Roma. -Bressan F., Giarola A.M.,"Riflessioni metodologiche sulla ricerca : La supervisione agli assistenti sociali in servizio" su Rassegna di Servizio Sociale 1/2007 . -Cochran (Sampling Techniques, Wiley NY 1963). -Corbetta P.(1999) Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna. -Cortigiani M.(2005) La supervisione nel lavoro sociale Il Minotaruro,Roma. -Gianturco Giovanna(2005) L'intervista qualitativa Guerini Scientifica, Milano. -Gorden R.,(1975)Interviewing,Strategy,techniques and tactis, Dorsey Press, Homewood, Illinois -Gui L.(1999) " Servizio Sociale tra teoria e pratica : il tirocinio, un luogo di interazione",Lint,Trieste. -Hester M.C.,(1951) Il processo educativo nella supervisione,in "Social Case-work"n°6. Il Mulino, Bologna. -Losito Gianni (2004) L'intervista nella ricerca sociale Editori Laterza, Roma. -Marradi A. (2007) ( a cura di R.Pavsic e M.C.Pitrone) Metodologia delle Scienze Sociali. -Mauceri Sergio(2003) Per la qualità del dato nella ricerca sociale Franco Angeli, Milano. -Neve E. (2000) Il servizio sociale Carocci,Roma. -Nigris D. (2003) Standard e non-standard nella ricerca sociale. F.Angeli, Milano -Tomassini S.(1962) La supervisione nel servizio sociale. "Servizi Sociali" n°2.
1. Arte, Storia, Memoria. Halbwachs e la memoria collettiva. Arte e Storia formano la memoria come fatto pubblico; e la memoria è costitutiva di qualsiasi comunità che voglia essere tale; essa è un fattore decisivo per l'identità della comunità (Toscano, 2008, p. 15). Questo passaggio di Mario Aldo Toscano ci rende subito consapevoli dei primi elementi da considerare: arte, storia, memoria. L'intreccio tra questi fattori è determinante e scaturisce da un processo non sempre pacifico o pacificato: I Beni Culturali non sono né pace né armonia: sono manifestazioni dell'avanzata faticosa di una frazione di umanità per gli itinerari impervi del mondo. Essi sono un riassunto delle dimensioni più ordinarie e più straordinarie, di eterni contrasti, di lotte tra valori (Ivi, p. 38). Il Bene Culturale è quindi il prodotto complesso di negoziazioni ma anche di imposizioni spesso conflittuali. Che la memoria possa diventare oggetto conflittuale ce lo spiega già Maurice Halbwachs, quando sostiene che la memoria collettiva "si accorda con i pensieri dominanti della società" (Halbwachs, 1987, p. 21). Se appare forzata, nella prospettiva halbwachsiana, l'idea che il ricordo individuale esista soltanto perché appoggiato su uno strato di memorie condivise da più persone e non vi sia spazio per una prospettiva psicologica del soggetto singolo, è altrettanto interessante il fatto per cui, in questa lettura basicamente durkheimiana, il ruolo dell'insieme societario sia determinante e vincolante per il soggetto. La memoria diviene quindi un'istituzione e come tale deve essere affrontata come problema delle forme istituzionalizzate che l'immagine del passato assume nella coscienza dei gruppi, e dei modi e le forme di questa istituzionalizzazione. Nessun gruppo potrebbe riprodursi nella propria identità senza produrre e conservare un'immagine del passato consolidata, almeno per alcune delle sue linee ritenute fondamentali e valide dall'insieme dei membri. Affinché però ciò avvenga, la memoria si costituisce di ricostruzioni parziali e selettive del passato. L'idea chiave di Halbwachs è dunque che ricordare sia attualizzare la memoria di un gruppo. L'immagine del passato che il ricordo attualizza non è tuttavia qualcosa di dato una volta per tutte: se il passato si "conserva", si conserva nella vita degli uomini, nelle forme oggettive della loro esistenza e nelle forme di coscienza che a queste corrispondono. Ricordare è un'azione che avviene nel presente, e dal presente dipende. La ricostruzione del passato dipende agli interessi, ai modi di pensare e ai bisogni ideali della società presente. Tuttavia (…) l'immagine del passato che ogni società si rappresenta è, in ogni epoca determinata, qualcosa che si accorda con i pensieri dominanti della società stessa. I contenuti della memoria collettiva costituiscono dunque un insieme denso e mobile, che (…) costantemente è modificato, del passato è sempre un fenomeno dinamico. Ora, questa dinamica non esclude il conflitto. (…) L'idea forse più fruttuosa che si può ricavare da Halbwachs è proprio quella che il passato, oggetto di ricostruzioni successive e suscettibili di modifica, sia una sorta di posta in gioco fra interessi e gruppi contrapposti. (…) La memoria collettiva rappresentata dalla coscienza comune di queste società riflette effettivamente il risultato di uno scontro nel quale sono decisivi i rapporti di potere fra i gruppi diversi dei quali la società globale è composta (Halbwachs, 1987, p. 28). 2. Gruppi in conflitto: la posta in gioco. Memoria vs oblio. Ora la questione si sposta dunque sui gruppi che spostano l'equilibrio della "posta in gioco", come l'ha definita poco sopra Paolo Jedlowski. Il controllo di ciò che in qualche modo deve diventare memoria è allora elemento decisivo per chi si sfida nell'arena dei significati simbolici e contemporaneamente politici. Allo stesso modo, da contraltare, oltre a ciò che deve diventare memoria si affianca ciò che deve essere escluso dalla memoria, in un processo selettivo sia positivo che negativo. Un oggetto, un avvenimento, un artefatto, un luogo, possono essere elevati qualcosa da ricordare come essere cancellati con impeto e velocità. Gli esempi sono disparati e forse anche, apparentemente, contraddittori. Si può ricordare una vittoria militare, come la vittoria di Stalingrado per le forze sovietiche ed in generale antinaziste. Al contempo si può ricordare anche una sconfitta, come monito per non ripetere errori commessi e guardare ad un futuro migliore: i giapponesi ogni anno fanno tesoro delle esperienze di Hiroshima e Nagasaki. Si può però anche ricordare una sconfitta per creare un mito: i serbi trovano nel massacro di Kosovo Polje il loro mito fondativo. Si può creare un monumento ad hoc anche lontano dal luogo fisico in cui è avvenuto il fatto. Allo stesso modo è possibile distruggere un qualcosa del gruppo avverso: a Mostar i croati hanno bombardato lo Stari Most, testimonianza del passaggio ottomano in Bosnia e simbolo della città erzegovese. 3. "Le nuove guerre" e il ruolo dell'etnia Il contesto delle "nuove guerre" (Kaldor, 1999), è quindi terreno di coltura per questo tipo di conflitti, manifestatisi soprattutto successivamente alla caduta del Muro di Berlino. Attori deputati a poter dichiarare guerra nei confronti di attori di pari grado. Lo scenario disegnato da Kaldor è decentralizzato e disordinato a causa della fine dell'era dei blocchi contrapposti. Contemporaneamente lo stato nazione non solo è meno forte fuori dei propri confini, ma anche internamente ha subito e sta subendo un processo di progressiva erosione dei propri poteri coercitivi e di prevenzione delle minacce interne. Secondo alcuni autori, tra cui W. Pfaff (1993), la fine del mondo diviso in blocchi ha fatto sì che finissero i conflitti tra stati e nascessero quelli tra gruppi divisi da identità e modelli di vita inconciliabili. Le divisioni di oggi in azione sarebbero però decisamente più violente di quelle espresse nella prima modernità in quanto le identità astratte e laiche della cittadinanza statale tendono ad essere sostituite da altre di natura culturale, religiosa ed etnica tra le quali è più difficoltoso il compromesso (Maniscalco, 2008), dando vita ad un ambiente neo-barbarico. Va qui ricordato anche Huntington (1997), con la sua teoria dello scontro delle civiltà, "secondo la quale i conflitti successivi alla guerra fredda si spiegano in termini di divergenze culturali piuttosto che ideologiche o economiche; più che particolari stati, esse tendono ad interessare coalizioni di stati omogenei tra loro rispetto alle 'civilizzazioni' di appartenenza" (Maniscalco, 2008, p. 29). Secondo Kaldor siamo quindi in presenza di conflitti intrastatali che però differiscono dalle guerre civili dell'epoca pre-1989. Le differenze si riscontrano negli scopi, nei metodi di combattimento (guerriglia per eliminare l'altro), per la tipologia delle unità di combattenti (privatizzazione dei corpi) e nei metodi di finanziamento (ottenuto con attività malavitose). Questi conflitti vengono infatti combattuti sulla base di etichette etniche, in cui una nuova politica dell'identità, fondata su un comunitarismo esclusivo, annulla le politiche inclusive statali. L'etnia, in questo rinnovato quadro, diviene quindi l'attore principale intorno al quale poter sviluppare il gruppo di riferimento nei conflitti intrastatali. Questi conflitti, come ricordato, si basano su etichette che vengono affibbiate da un gruppo all'altro: si diviene gruppo per creazione autonoma o per esclusione da un determinato contesto. La lingua (in moltissimi casi si dovrebbe parlare di dialetti), la religione, il clan, i tratti somatici, una storia condivisa, sono gli elementi che fanno sì che il gruppo tracci un confine in-out netto e non valicabile. L'esclusione, più che l'inclusione, è il fattore che determina l'appartenenza. 4. I Beni Culturali nelle "nuove guerre": gli spazi interstiziali, sospesi e marginali. I Beni Culturali assumono un ruolo determinante all'interno dei conflitti sopra descritti, per vari motivi tra loro collegati. Anzitutto, il bene culturale, come abbiamo detto all'inizio, è traccia della memoria del gruppo etnico ed anzi viene accettato, creato, ricreato, protetto dal gruppo stesso proprio per dare delle basi comuni a tutti gli appartenenti della formazione sociale. Il bene culturale è testimonianza del passato, emblema dell'esistenza/persistenza presente e segno di continuità protesa al futuro. Può provenire dal passato, come nel caso dello Stari Most (1555) che riconduce direttamente al passaggio ottomano nell'area. Oppure può essere creato nel presente per ricordare il passato (antico o recente) e proiettarlo nel futuro. Rimanendo nell'ex-Jugoslavia possiamo pensare alla Torre di Gazimestan, un luogo spoglio e dal basso significato artistico e architettonico, ma situato nella Piana dei Merli laddove i serbi furono sconfitti dagli ottomani nel 1389, data da cui i serbi fanno partire la fondazione delle proprie radici comuni. L'intreccio Arte-Storia-Memoria si esplica quindi in un rapporto triangolare e paritetico, in cui i tre elementi si danno forza l'uno con l'altro. La Storia può essere selezionata per meglio indirizzare la Memoria nel senso halbwachsiano. L'Arte può diventare il campo di applicazione visiva ed emotiva del triangolo suddetto. L'opera artistica però è situata in luoghi ben precisi, sia momentanei (mostre) sia stabili (opere monumentali) e questi luoghi sono configurabili quindi come spazi determinati, riconoscibili e soprattutto riconosciuti dai gruppi chiamati al loro utilizzo. In questo caso siamo di fronte a quelli che qui definiamo come "spazi intensivi". Prima però di arrivare agli spazi intensivi, necessitiamo di riflettere sulle altre categorie dello spazio. Il problema dello spazio è stato quindi oggetto, da parte della letteratura sociologica, di intense elaborazioni e revisioni. Già Simmel, nel suo Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società, sottolineava sin da subito la natura multiforme dello spazio, in quanto unione di elementi psichici e di intuizioni dell'anima: Nell'esigenza di funzioni specificatamente psichiche per le particolari configurazioni storiche dello spazio si riflette il fatto che lo spazio è soltanto un'attività dell'anima, è soltanto il modo umano di collegare in visioni unitarie affezioni sensibili in sé slegate (Simmel, 1998, p. 524). Siamo allora di fronte ad una realtà composta da tanti "spazi particolari" che, come ci dice Emanuele Rossi (2006), "potremmo definire come spazi sospesi, i quali, pur differenziandosi nella loro strutturazione (…) e nelle loro finalità, si presentano sociologicamente interessanti soprattutto per ciò che contengono, per le forme di relazione e di convivenza che sono in grado di ospitare, di produrre o semplicemente di annullare" (p. 9). Per fare ciò "abbiamo bisogno quindi di re-imparare ad osservare e ad interpretare lo spazio, di riconoscere allo spazio e alle diverse forme che di volta in volta è in grado di assumere, la funzione di strumento di lettura privilegiato di tutte le cose, vero e proprio deposito a cui è necessario attingere per comprendere in modo qualitativo il gioco incessante delle passioni, degli entusiasmi, degli antagonismi, così come dei tormenti e delle sofferenze che da sempre caratterizzano gli esseri umani; ma per far ciò bisogna saper di nuovo lasciare spazio all'immaginazione e soprattutto non ridurre gli spazi a semplici rapporti geometrici (.)" (Ivi, p. 15). E' solo in questo modo che è possibile quindi scoprire, mediante "una speciale lente sociologica, individuata nel concetto di sospensione" (Ivi, p. 9), alcuni di questi "spazi particolari", in cui è possibile sospendere il normale corso degli eventi. Siamo quindi in grado di determinare diverse declinazioni di questi "spazi sospesi": "spazi interstiziali", "di margine", "di consumo". Qui ci interesseremo in particolar modo dei primi due, per il loro diretto collegamento con l'idea di "spazio intensivo". Il concetto di "interstizio", esaminato da Gasparini (2002), è di difficile e complessa collocazione ed anzi lo stesso autore dubita che si possa parlare di vero e proprio concetto. È altrettanto vero però che l'interstizio riesce "ad illuminare una serie di fenomeni specifici della vita quotidiana", divenendo "il tramite, la cerniera, la porta, il ponte o il guado che consente il passaggio verso altri sistemi organici di significati". Già Simmel (1998) aveva però evidenziato, sempre nel suo Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società, lo "stare fra" (p. 523) come funzione sociologica. Lo spazio infatti è una "forma priva di qualsiasi efficacia che, però, proprio in quella naturale situazione dello stare fra, può svolgere quella fondamentale funzione di elemento necessario alla configurazione di tutte le cose, rendendo in tal modo effettivamente possibile lo strutturarsi di qualsiasi forma di interazione" (Rossi, 2006, p. 56). Il vivere in comune quindi si sostanzia all'interno di uno spazio comune e condiviso che viene continuamente svuotato e riempito dalle interazioni che si susseguono di volta in volta. È lo spazio interstiziale quindi quello in cui si creano le relazioni, un "terreno di incontro" tra individui e/o gruppi comunicanti. Un altro contributo interessante che riguarda lo "stare tra" è offerto da Henry Pross, che si è cimentato nell'elaborazione del concetto di "spazi intermedi". Per questo autore infatti qualunque forma spaziale è prodotta dal potere, che ne determina le configurazioni, i confini ed i limiti. Anche la costruzione di elementi fisici spaziali (palazzi, strade, accessi) sono una forma del potere vivente, ma accanto agli ordini che si susseguono in termini di spazio (superiore e inferiore) e di tempo (…) sono individuabili gli spazi e i tempi della transizione. Edifici, accessi, limiti sono le manifestazioni quotidiane di differenti ordini; ci sono però corridoi, angoli, differenze di altezze e di profondità, fuori dal controllo: per questo si configurano come spazi intermedi che procurano un senso di liberazione e di riparo dalla pressione dei tempi sociali (Pacelli, 2010, p.188). Anche in Pross è quindi possibile ravvisare quello "stare tra" simmeliano, come luogo di eventi sociologici reciproci continuamente in atto e che quindi senza sosta si creano, ricreano e rinnovano in un'arena sempre aperta ad una perpetua negoziazione di socialità o di socievolezza, per citare ancora Simmel. Tuttavia questo continuo muoversi tra "morire e divenire, e divenire e morire" fa sì che questi spazi intermedi, nonché quelli interstiziali, siano quindi contenitori ad "intermittenza", i quali vivono dell'intensità temporanea delle relazioni che vi insistono all'interno, quando coloro i quali li percorrono e vi sostano decidono di instaurare dei rapporti di socialità con gli altri. Sono spazi quindi senza storia e senza futuro, lontani dal "luogo antropologico" di Augè (1993), eppure capaci di accogliere la costruzione di nuovi simboli e di rituali che lì vengono messi in atto e permangono per poco tempo. Queste occasioni di breve intensità fanno sì che però vi si verifichino degli accumuli energetici, diventando, come intuì Simmel, dei "centri di rotazione" (1998, pp. 540-1) intorno ai quali "si sviluppano relazioni con forte carica emotiva" (Rossi, 2006, p. 64). In altri termini, siamo in presenza di uno spazio non identitario, a relazionalità forte soltanto in alcuni momenti e su cui non si radicano forme fisse data la continua transizione di soggetti che vi transitano all'interno. Un'altra tipologia di spazio di forte interesse è quella rappresentata dagli "spazi di margine". Per andare a trovare queste forme spaziali bisogna anzitutto risalire ai luoghi che ogni giorno sperimentiamo nelle nostre esistenze. Bauman (2006, p. 116) osserva come nelle nostre società contemporanee lo spazio sociale tende a formarsi prevalentemente sulla base di ciò che egli definisce proteofobia, ovvero la paura della diversità. Questa paura fa sì che all'interno delle nostre "mappe mentali" si vengano a creare dei "buchi" creati volontariamente al fine di distinguere ciò che attraversiamo necessariamente e ciò che altrettanto volontariamente escludiamo in un tentativo di razionalizzare e di dare maggiore importanza ai luoghi che viviamo ed in cui transitiamo, ci situiamo e ci relazioniamo quotidianamente. Il margine è quindi un qualcosa che è nello stesso momento all'interno ma anche all'esterno dell'ambiente percepito: interno per ubicazione ma esterno per quanto riguarda l'interezza delle relazioni sociali. Siamo quindi in presenza di uno spazio che viene inteso come un luogo di difesa, che serve per preservare e sottolineare la specificità del proprio ambiente: un modo per porre un "altro da sé", per sospendere alcune questioni scottanti ed infine per dare una collocazione a quelle "società a fianco" che risultano un qualcosa da nascondere alla vista. Ed è proprio in questi margini che coloro i quali vi sono confinati possono ricreare zone di sociazione, sfruttando quell'oscurità di cui gli spazi di margine sono creati proprio dall'ambiente "di maggioranza" circostante. Nell'"effervescenza sociale" (Rossi, 2006, p. 90) esistente dentro ai margini risiede l'interesse verso questi nuovi centri di creazione di simboli e di senso. In conclusione, gli spazi interstiziali e di margine risultano quindi essere delle forme sospese, non ben definite, volatili. Proprio per questa loro condizione di transitorietà sono però attraversati da momenti ad altissima intensità relazionale ed emozionale che ne determinano l'importanza per i suoi "abitanti". Nonostante la loro posizione defilata gli "spazi particolari" rimangono sempre in contatto con lo spazio principale, proprio perché sono prodotti da questo o perché sono popolati da coloro i quali in esso non devono risiedere o al massimo possono sostarvi/transitarvi per pochi, innocui, attimi. 5. Una nuova categoria concettuale: lo "spazio intensivo" Lo spazio intensivo si configura come una forma spaziale che sicuramente trae alcuni elementi dagli spazi descritti precedentemente, ma al contempo ne scarta alcuni fattori per accoglierne altri. Lo spazio intensivo è la "residenza" del bene culturale attorno al quale i gruppi si riuniscono, caricando di emotività e di senso il luogo/bene prescelto. Anzitutto, come ci ricorda Maurice Halbwachs (1987, pp. 135- 42), c'è una piena identificazione del gruppo con il luogo ed anzi la "fisicità" del bene culturale descrive, arricchisce e dà sostanza al luogo stesso. Luogo e bene culturale agiscono simultaneamente, dato che l'uno non può esistere senza l'altro. Il bene culturale diviene tale proprio perché è situato e sussiste in un dato luogo, che può essere, ad esempio, teatro di rivendicazioni territoriali (come nel caso della Torre di Gazimestan nella Piana dei Merli in Serbia). Il luogo invece diventa rilevante, unico e "degno" di riconoscibilità proprio per la presenza del bene culturale. Tuttavia, non basta la presenza del bene culturale per dotare di intensività lo spazio. Altri fattori diventano determinanti. Anzitutto, rispetto agli spazi interstiziali e a quelli di margine, lo spazio intensivo è anch'esso uno spazio "sospeso", laddove la ritualità che vi insiste è frutto di momenti di richiamo politico/religioso collettivo. In confronto allo spazio interstiziale, lo spazio intensivo ne condivide la condizione di "stare fra": spesso infatti lo spazio intensivo sta fra due gruppi in conflitto ed anzi segna il confine di uno rispetto all'altro. Può essere un confine sia fisico (quando ad esempio viene ricoperto d'importanza il limite dello stato) o simbolico/religioso, quando per esempio prendiamo come punto di analisi un luogo di culto, in cui accede solo chi condivide la medesima fede. È inoltre un terreno d'incontri, tra gruppi diversi ma molto più spesso tra appartenenti ad uno stesso gruppo. Di certo al suo interno possiamo trovare quella intermittenza interazionale che fa sì che lo spazio intensivo "viva" in determinati momenti: le celebrazioni, le ricorrenze, gli anniversari, una funzione religiosa. Al pari degli "spazi intermedi", lo spazio intensivo può fungere da temporanea via dalle strutture del potere, anche se è una funzione diretta del potere. All'interno dello spazio intensivo infatti il forte coinvolgimento emozionale fa sì che si vada oltre ai sentimenti tipicamente nazionalisti o di identificazione con lo spazio medesimo. Quando si fa pratica di qualche rito o cerimonia (religiosa e/o civile) all'interno dello spazio intensivo, si trascende la dimensione puramente politica o religiosa per anelare ad un obiettivo per l'appunto trascendentale, immanente. L'appello per esempio di un leader nazionalista diventa destino di un popolo, la terrena funzione religiosa invece si trasforma in appuntamento con l'infinito. Di certo, come abbiamo visto in Simmel, lo spazio intensivo è un "centro di rotazione", dato l'alto investimento emozionale che su questo fanno gli appartenenti ai gruppi. Oltre a ciò, lo spazio intensivo può essere paragonato anche agli spazi di margine. Al pari di questi infatti lo spazio intensivo può crearsi come ghettizzazione di una minoranza all'interno di un luogo che diviene poi il nucleo di rivendicazioni della minoranza stessa. La differenza principale dello spazio intensivo rispetto agli altri "spazi particolari" risiede nel contrasto tra fissità ed intermittenza. Mentre gli spazi di margine e interstiziale rimangono comunque delle zone di transito senza una storia, un passato o un futuro, lo spazio intensivo, nonostante la transitorietà dei suoi eventi, è sempre presente. È uno sfondo che può essere riattivato socialmente, politicamente o religiosamente in ogni istante. È uno spazio in cui la narrazione riparte sempre dal punto in cui era stata interrotta e all'interno del quale la stessa narrazione non viene continuamente rinegoziata ma parte da punti fissi nella memoria e nella storia del gruppo. Possiamo parlare quindi di una "intermittenza stabile", dove "stabile" può essere declinato in due modi: anzitutto perché è un'intermittenza che si ripete ad intervalli di tempi regolari (dodici mesi per gli anniversari civili, sette giorni per la maggior parte delle funzioni religiose); in secondo luogo perché vi è una stabilità ripetitiva e certa dei contenuti non negoziabili che vengono ogni volta riscoperti, riaffermati e, se possibile, ancora più arricchiti nella loro funzione simbolica e distintiva. Si tratta quindi di spazi in cui la storia, il mito, il rito, il simbolo, hanno un alto impatto e sono costitutivi dello spazio stesso. Siamo in un campo molto vicino a quello che conosciamo come "luogo antropologico". Marc Augè (1993) ha proposto per primo questo concetto. Il "luogo antropologico è simultaneamente principio di senso per coloro che l'abitano e per colui che l'osserva". Il luogo antropologico diventa così una parte importante nell'elaborazione delle identità personali e nelle relazioni tra membri del medesimo gruppo, dato che coloro che vi "nascono all'interno (…) hanno la possibilità di sviluppare con questo un rapporto esclusivo" (Rossi, 2006, p.101) in cui le stesse relazioni reciproche interne diventano circoscritte e realizzabili solo da chi vive quel luogo. Allo stesso tempo il luogo antropologico possiede anche un carattere storico proprio perché la dimensione relazionale ed esclusiva è inoltre ripetitiva e costituisce una garanzia di stabilità ai membri appartenenti. Queste qualità, unite al fatto che per la memoria il luogo essendo l'elemento sensibilmente più visibile, dispiega abitualmente una forma associativa più forte che non il tempo (…), proprio lo spazio si collega (.) inscindibilmente (…) nella memoria e (.) il luogo continua a rimanere il centro di rotazione intorno al quale il ritorno avviluppa gli individui in una correlazione ora diventata ideale (Simmel, 1998, p.540). Questa unione di luogo antropologico e "centro di rotazione" a forte carica emotiva fa sì che lo spazio diventi quindi "intensivo" nel senso delle relazioni che vanno ad inserirsi all'interno di quest'ultimo. 6. Conclusioni La situazione così descritta è quindi immediatamente ricollegabile all'importanza che i beni culturali rivestono all'interno dei nuovi conflitti del Ventunesimo secolo. Il ruolo determinante che questi luoghi "intensivi" hanno nell'unire il gruppo etnico di riferimento, riprendendo Smith (1984), sotto i punti di vista dei miti, delle storie e dei simboli condivisi, rende immediatamente determinante la posizione delle dispute attorno ai beni culturali. Tali beni possono essere quindi visti, come detto all'inizio, alla stregua di un "riassunto delle dimensioni più ordinarie e più straordinarie, di eterni contrasti, di lotte tra valori" (Toscano, 2008, p. 31). Non si può trascendere da essi ed anzi il gruppo etnico ne richiede l'esistenza, come riserve di memoria e di coesione univoca. Proprio però per questo ruolo determinante e così tanto identificante, è possibile, allo stesso tempo, rovesciare questa natura "polemizzante" per renderla invece dialogante: l'avvicinamento tra culture e gruppi diversi può avvenire solamente riconoscendo ed apprezzando l'unicità dell'altro. È per questo motivo quindi che, attorno al bene culturale, si sviluppa una duplice energia che gli attori sul campo devono saper ben indirizzare.
Scopo di questo lavoro è proporre una comparazione a livello tematico tra l'Odissea e il poema I Lusiadi, cui dà vita, nel 1572, Luìs Vaz de Camões, il maggiore scrittore di lingua portoghese. Dopo questo primo capitolo introduttivo, l'esposizione si focalizzerà sulla relazione che sussiste tra la cultura portoghese e quella classica. Nel secondo capitolo verrà introdotta l'episteme storica e culturale entro cui si situa il secolo de I Lusiadi: il secolo delle scoperte, delle Gesta Dei por Lusos, che vede assurgere ad eroe primario un Ulisse nuovo, dantesco, che con il suo "fatti non foste a viver come bruti" spinge a seguire nuove rotte e diviene - diremmo oggi, idolo, di naviganti e navigatori. Poi verrà introdotta, nel quarto capitolo, una sinossi del poema di Camões, funzionale all'indagine comparatistica. Dopo aver individuato riprese, riformulazioni e novità prenderà avvio lo sviluppo delle correlazioni individuate: nel quinto capitolo verrà analizzato il transito marittimo ed il suo fine, nel sesto capitolo il ruolo degli dei, nel settimo la struttura delle narrazioni e degli espedienti tecnici messi in opera per strutturarle (mise en abyme, flashback e flashforward). A seguire vengono dunque presentate, nel paragrafo 1.2, le peculiarità che fanno de Lusiadi un poema epico. In 1.3.1, la presentazione del cronotopo de I Lusiadi permette di avvalorare queste affermazioni. Nel paragrafo 1.4, infine, viene presentata la componente più innovativa del poema camoniano. 1.2 L'epica de "I Lusiadi" Nell'introdurre lo statuto epico del poema camoniano, vanno considerate non solo le radici profonde che legano quest'opera cinquecentesca all'epica classica, ma anche le variazioni sul tema che permettono al poema di rispecchiare in pieno la propria epoca. Camões canta il viaggio di Gama considerandolo molto più di un avvenimento concluso: quel viaggio rappresenta il culmine non solo delle esplorazioni della costa africana occidentale, iniziate con il vigoroso impulso dell'Infante Dom Henrique, ma della storia stessa del Portogallo che con tali esplorazioni si identifica a partire dal 1415. L'essenza ultima del poema non è però solo questa. Si è discusso a lungo, infatti, sulla natura simbolica del viaggio che viene rappresentato nei poemi epici. Questo schema definisce i tre momenti fondamentali della chiamata, del viaggio propriamente detto e del ritorno. Di contro, dal punto di vista della comunità, il ritorno dell'eroe costituisce l'obiettivo e l'unica giustificazione della sua lunga assenza. 1.3 Il cronotopo dell'epica Nel riflettere sulla capacità di autoanalisi di una comunità, è interessante notare come l'epica letteraria, a giudicare dalle sue migliori produzioni, non sbocci mai nei tempi d'oro di una nazione, ma nel momento del suo declino. Se ciò accadesse solo in un caso, potremmo ascriverlo al temperamento del poeta e considerarlo nei termini di tale specifica occorrenza. 1.3.1 Il cronotopo de "I Lusiadi" Camões vive alla fine di grandi avventure e all'alba di grandi cambiamenti. Così decide di cantare la grandezza della sua nazione e di coloro che l'hanno costruita. 2. Dalla follia di Ulisse alle gesta Dei por Lusos: esegesi di una rivoluzione mentale 2.1 Il Portogallo Rinascimentale Non è semplice riuscire a comprendere pienamente l'ascesa e il declino dell'Impero coloniale portoghese rinascimentale. Il Portogallo detiene una posizione di preminenza nella storia delle scoperte geografiche grazie a tre grandi imprese: l'apertura delle rotte oceaniche verso Oriente, la colonizzazione del Brasile e la diffusione della cristianità in terre lontane, soprattutto ad opera dei Gesuiti. I portoghesi del Rinascimento non erano tutti grandi pensatori; molti di loro, come Álvaro Velho e Pero Vaz de Caminha, erano uomini semplici, non colti, che presero parte con modestia alle scoperte e che, senza dubbio, sapevano come resistere alle difficoltà marittime. Intelligenze acute, come il vate Camões, combinarono una innata capacità di resistere alle avversità della vita con una disincantata, realistica visione del mondo, degli uomini, del Portogallo, che sottende l'apparente ottimismo patriottico dei Lusiadi. Forse queste qualità possono aiutarci a capire come tali uomini siano riusciti a raggiungere quasi tutti i lidi del mondo perseverando nel sacrificio. Molti della ciurma erano in realtà veterani dei viaggi di Dias. È probabile che questo resoconto di viaggio sia il diario di bordo di uno dei quattro vascelli – il São Rafael – che salparono dal Restelo, il porto di Lisbona, alla volta delle Indie. Eccone l'incipit: Nel nome di Dio. Uno degli scopi dei viaggi portoghesi era quello di scoprire se e che tipi di evidenze cristiane vi fossero in India. L'ideale sarebbe stato trovare qualche monarca cristiano e stringere alleanze politiche e religiose con lui, per quella convinzione secondo cui le navigazioni intraprese sotto l'egida della diffusione del Cristianesimo potevano avere buon fine e portare prestigio alla madrepatria. 2.2 Un caso tardomedievale: l'impresa dei Vivaldi In epoche anteriori al Rinascimento, comunque, si rendeva già manifesto un cambiamento culturale che, considerando superata l'idea del non più oltre, tentava la via del mare alla ricerca di nuove rotte. Vi furono già nel Medioevo alcuni che, salpati alla volta dell'Atlantico suscitando la meraviglia di chi li vide partire, non fecero più ritorno. Come sostiene Nardi, non è inverosimile che Dante abbia avuto notizia dell'accaduto e, ispirandosi a questa storia, sia riuscito ad animare della stessa intraprendenza la figura del suo Ulisse. Se l'Ulisse di Omero, al sicuro nella propria reggia, può lì attendervi una decorosa vecchiaia, tale sorte non si addice all'eroe dantesco, che personifica la ragione umana insofferente ai limiti e ribelle al decreto divino che interdice il trapassar del segno . L'Ulisse di Dante non nasce dallo sforzo erudito di un tardo umanista, abilissimo nel riprodurre fedelmente modelli; quanto poi il dantesco sia lontano dall'omerico è visibile al primo sguardo. Forse spira veramente, nel pathos con cui Dante dà ali al discorso del suo Ulisse, il futuro spirito dei viaggi intorno al mondo. L'oceano era la parte del globo terracqueo negata ai viventi, dove l'unica terra emersa era la montagna del Paradiso Terrestre; nessun mortale l'aveva impunemente violata. Dante sceglie di seguire un cammino differente da quello del suo Ulisse, una strada luminosa, non folle, ma sublimata da una visione cristiana delle cose e del mondo. L'Ulisse trecentesco incarna la nascita del mondo moderno e lo fa grazie ad una poesia di altissimo valore che sgorga dalla realtà dei fatti, da un evento tanto impensabile allora quanto la grandezza dei sogni e delle speranze umane. 2.4 Colombo e Vespucci: dall'arte alla vita. La realtà del Nuovo Mondo affonda l'incubo dantesco: la poesia si inoltra nel mare, seguendo stavolta Ulisse senza biasimarlo, diventa vita, vissuta e vera. Le gesta dei Portoghesi ricevono così il sigillo di Dio. 3. Ulisse e Lisbona: un legame da sempre 3.1 Le radici leggendarie Al fine di introdurre l'eziologia della città di Lisbona pare opportuno riportare l'episodio mitologico seguente che narra della fondazione della città . Nel frattempo, il nemico sconosciuto e occulto era in cerca di Ulisse. Si avvicinò alla donna che gli parlava. La regina, consapevole del proprio trionfo, continuava a incantarlo nel suo sguardo enigmatico. Aveva nostalgia del mare e sete di nuove battaglie. La presenza femminea, in primo luogo, rimanda all'archetipo del matriarcato, tipico delle civiltà mediterranee arcaiche. In seconda istanza, la presenza dei serpenti. Il serpente, nelle società matriarcali africane, viene considerato signore delle donne e della fecondità. Lorenzo Valla, tra il 1445 ed il 1446 al servizio del re di Aragona, afferma che in Portogallo si usa una forma del nome di Lisbona a pretesto di una derivazione etimologica da Ulisse, e sostiene che la referenza greca può notarsi al massimo in un ipotetico, sebbene infondato, elemento finale della parola, ossia in –hìppoi , in cui mito e realtà si incontrano . / Ulisse è quel ch' alza la sacra casa / alla dea che gli diè lingua faconda. / Dopo aver Ilio in Asia al suolo rasa / su terreno europeo Lisbona fonda) . In questo passo Paolo da Gama illustra al catual di Calicut gli stendardi di seta che svettano sulle navi portoghesi, su cui è dipinta la storia del Portogallo. Rodrigues parte da un'osservazione sul titolo del poema camoniano, sostenendo che Resende fu uno degli innovatori della parola Lusiadae, impiegandola per la prima volta – in vece della forma Lysiadae, molto usata dai latinisti rinascimentali – proprio nel seguente passaggio del Vincentius: …urbemque [ Olysses] suo de nomine primum Finxit Odysseiam, quae nunc carissima toto Cognita in orbe, ducem fama super astra Pelasgum Tollit. 3.3 Una Laudatio Urbis: letteratura apologetica a sostegno del mito. La laudatio si articola in maniera peculiare: si esaltano la strategica posizione della città, l'opulenza del porto, la salubrità del clima. 3.4 L'Ulisseia: Lisbona mulher à espera Se si guarda al secolo XVII, infine, Gabriel Pereira de Castro, autore nel 1636 dell'Ulisseia, altro poema epico con l'intento di narrare le avventure che portarono Ulisse alle sponde lusitane, ricorre all'Odissea come modello. L'evolversi di questa programmaticità è ben visibile fin dall'apertura, con l'invocazione alla musa, la dedica al re e l'inizio della narrazione in medias res, passando attraverso l'utilizzo della mitologia, il ricorso alla profezia ed una certa varietà stilistica che stempera il tono epico talvolta con episodi lirici, talaltra con inserti bucolici. Questa aspirazione letteraria incontra, nel Portogallo del secolo XVI, fatti grandiosi appena occorsi. Fin dall'esordio del poema è enunciata la poetica della verità e realtà dell'epos narrato. La varietà di inserimento della materia è strutturata in maniera armoniosa: è possibile notare infatti una lunga analessi costituita dalla narrazione di Vasco de Gama ai canti II – IV; seguono l'ekphrasis delle scene rappresentate sugli stendardi portoghesi al canto VIII e la profezia al canto X. Questi tre blocchi narrativi sulla storia portoghese sono assai istruttivi perché mostrano il procedere del poeta. Oggetto della narrazione è il passato portoghese, fino ad anni prossimi alla composizione del poema; l'ottica che caratterizza questo incedere muta di continuo: nel primo blocco dona una visione travagliata della monarchia portoghese, nel secondo è colma d'ammirazione verso i più fulgidi esempi di eroismo dei suoi servitori, nel terzo guarda alla colonizzazione futura. Il passato portoghese appare segnato dalla fragilità umana; non va mai dimenticata la situazione psicologica in cui de Gama è narratore. Canto I – il poeta dichiara la sua intenzione di cantare le gloriose imprese d'Asia e Africa dei portoghesi. Invoca per questo le ninfe del Tago e dedica il suo poema al giovane don Sebastiano. Bacco, dal cielo, non tollera la buona sorte dei portoghesi. Canto II – all'arrivo a Mombasa, un messo del re locale invita de Gama a sbarcare; i due degredados che de Gama manda in perlustrazione a terra sono ingannati dagli abitanti e da Bacco. Gli infedeli lasciano le navi insieme al pilota mozambicano che teme sia stato scoperto il suo inganno. Vasco de Gama invoca la Divina Provvidenza e Venere, per soccorrerlo, si reca da Giove chiedendo al padre di confermare l'aiuto ai portoghesi. Qui il re accoglie favorevolmente i portoghesi, e chiede di essere informato sulla storia del popolo lusitano e sulle traversie affrontate dai naviganti per giungere fino alla sua città. Canto III – Vasco de Gama dà avvio alla sua lunga risposta al re di Malindi. Inizia descrivendo la collocazione geografica del Portogallo e, dopo un cenno alle antichità portoghesi, tra mito e storia, ricostruisce la nascita del regno a partire da Enrico di Borgogna e dal figlio di lui, Afonso I, le cui vicende sono descritte in dettaglio. Il pianto del gigante, sotto forma di tempesta, segna la fine dell'angoscioso incontro. La narrazione al re termina con l'esaltazione della veridicità delle scoperte dei portoghesi. Camões canta infine a sua volta la grandezza delle opere portoghesi, esaltando il valore della poesia che le celebra. All'alba viene avvistata Calicut, meta tanto sospirata; de Gama, in ginocchio, rende grazie a Dio. Il poeta conclude il canto esaltando l'onore raggiunto grazie al valore individuale e al rischio della vita, non tra le mollezze e fondandosi sulla nobiltà dei propri predecessori. Canto VII – Camões celebra con ardore il valore dei portoghesi, introducendo poi una descrizione sintetica dell'India e dei suoi abitanti. Monçaide riferisce le principali vicende del regno del Malabar, a partire dalla conversione all'Islam del re Perimal, illustrando anche gli usi sociali e religiosi degli Indù. De Gama viene accompagnato fino alla reggia da un catual mandato dal re e, nella sala del trono, propone allo zamorino l'alleanza con i portoghesi; l'indiano rimanda la decisione all'incontro con il suo consiglio, facendo ospitare i portoghesi negli appartamenti del catual. Il poeta interrompe allora la descrizione per rivolgere alle ninfe del Tago e del Mondego una nuova invocazione in cui ricorda l'impegno profuso per la poesia e la scelta di cantare gli eroi che misero a repentaglio la vita per Dio e per il re. L'animo del re è mal disposto verso i portoghesi sia per i responsi degli auspici, che ne predicono il dominio, sia perché Bacco, assunti i panni di Maometto, appare in sogno ad un sacerdote musulmano esortandolo a contrapporsi ai cristiani, provocando così i maneggi dei musulmani e dei catuali. Venere, mentre i portoghesi sono sulla via del ritorno, appronta per loro il meritato riposo: una splendida isola oceanica in cui i naviganti possano provare le gioie dell'amore con le ninfe del mare. Canto X - Un sontuoso banchetto è pronto nel palazzo di Teti, che canta le future glorie dei lusitani, ricordandone le più brillanti figure: tra gli altri, Duarte Pacheco e Francisco de Almeida, Afonso de Abuquerque e João de Castro. Infine Teti conduce de Gama – privilegio straordinariamente concesso ad un mortale – a contemplare la macchina del mondo, illustrata secondo il modello geocentrico tolemaico, retta dalla Provvidenza Divina, mentre gli dei sono, dice Teti, solo bei nomi di cui Dio si serve per le cause seconde. Il poema si conclude con la dura invettiva contro l'insensibilità nazionale nei confronti della poesia e con l'invito al re a ricompensare i suoi fedeli servitori che rischiano la vita per lui; la poesia del poeta non cesserà di celebrarlo. La tematica dell'attraversamento, del transito, del viaggio che si compie in un moto dalle più disparate sfaccettature è stata numerose volte oggetto d'indagine e di riflessioni. Ad esempio, finita la narrazione al banchetto di Alcinoo, così possiamo leggere tra i primi versi del libro tredicesimo: [….] Ricordo e ritorno costituiscono un'endiade in cui i due termini sono inscindibile rinvio dell'uno all'altro: dimenticare il ritorno equivale alla perdita della propria identità, della propria destinazione, equivale alla condanna allo smarrimento errante senza un fine. Nel libro dodicesimo, ai versi riportati nel paragrafo precedente, riguardanti l'episodio della terra dei lotofagi, l'oblio è una terrificante evenienza che viene oggettivata da Omero nel loto. Tale meccanismo rimanda inferenzialmente ad un'altra oggettivazione presente in un altro mito: la mela offerta ad Eva nel giardino dell'Eden oggettivizza in sé la possibilità della conoscenza del bene e del male. In corrispondenza ossimorica con questa oggettivazione troviamo appunto il loto: se la tentazione propugnata ad Eva conduce alla conoscenza del bene e del male, quella offerta dai lotofagi porta all'oblio. ( Odissea, IX, 224 – 225 / 228 – 230 ) Possiamo vedere come contenga il germe del mito dantesco di Ulisse: "O frati", dissi, "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'è del rimanente non vogliate negar l'esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. La continua ridefinizione e rielaborazione di se stessi attraverso l'acquisizione dell'ignoto permette di prendere coscienza della propria finitezza, di avvertire l'urgenza della conoscenza, di spostare i baricentri epistemologici dagli infiniti celesti alla limitatezza mortale, che però racchiude in sé l'infinito della mente umana. 6.Il ruolo degli déi In questo capitolo verrà esposta in maniera sistematica la funzione degli dei all'interno dei due poemi presi in esame. 6.4.1 Atena. Per sollecitare la capacità decisionale del padre, Atena sottilmente agisce suscitando la commozione di Zeus. La dea, nel perorare la causa del proprio protetto, nel primo libro dell'Odissea dispiega in toto la propria capacità intellettuale e, appunto in sede di concilio, la vediamo fare leva in maniera incalzante proponendo il suo argomento preponderante: Ma il mio cuore si spezza per Odisseo cuore ardente, misero!, che lunghi dolori sopporta lontano dai suoi, nell'isola in mezzo alle onde, dov'è l'ombelico del mare: [………………………………….]Se però tale attributo avvicina ad una dimensione umana il dio, eccolo nel V libro riportare l'adorata figlia glaucopide alla lungimiranza divina, con una risposta che riguarda la punizione che attende i pretendenti. Infatti ai vv. 21 – 27 ricorda alla figlia che proprio a lei è affidato il compito di punire le malefatte degli usurpatori della casa di Odisseo. È ciò che Ermes, su comando del Cronide, riferisce a Calipso nel V libro, quando il messaggero degli dei viene inviato dalla ninfa per comunicarle la decisione del concilio riguardo all'eroe itacese: Ma certo il volere di Zeus egìoco non può Un altro dio trascurare o far vano. Quando infatti il Sole, nel XII libro, si lamenta del sacrilegio compiuto ai suoi danni ad opera dei compagni di Odisseo, ossia l'aver osato cibarsi delle vacche sacre a lui, protesta in maniera clamorosa ed estremistica: abbandonerà la terra per trasferirsi negli Inferi qualora i Greci non venissero puniti. (XII, 385 - 388) Oltre che le lagnanze del Sole, Zeus riceve anche le rimostranze di Poseidone, che, progenitore dei Feaci, si sente tradito da loro perché hanno reso troppo facile il ritorno di Odisseo, che pure il dio del mare sa di non potere impedire, in quanto assicuratogli dal destino e quindi dallo stesso Zeus che ne è garante. Che pietrifichi una nave al suo ritorno in patria, quando è già visibile dalla città, e copra la città stessa con un gran monte. Nel libro XX troviamo Odisseo in ascolto del pianto di Penelope, finalmente ritrovata e accanto a lui; crede sia una fantasia, e chiede a Zeus conferma del lieto presagio; vuole un segno divino ed uno umano che lo rassicurino sulla contingenza dell'evento che sta vivendo. (XX, 102 – 105 / 111 - 119) L'epifania gratuita garantisce la validità del segno, e risulta gratuita in quanto proveniente, nella sua manifestazione umana, da persona estranea al conflitto. Tale evenienza svolge una funzione maieutica nel procedere degli eventi; Odisseo comprende che è l'ora di agire, che il fato e gli dei lo accompagnano. L'ultima performance del padre degli dei ha luogo nel libro ventunesimo, e decreta la fine dei pretendenti dando il via alla gara con l'arco: […………….] 6.1.3 Poseidone Il ruolo di Poseidone può essere considerato quello dell'antagonista primario, portatore di distruzione, ma sopra ogni cosa figurazione del caos, della furia devastatrice che, nella propria ira, diviene causa primaria del lungo peregrinare. All'inizio, nel libro I, durante il concilio degli dei, il dio non è in sede: sta smaltendo i bollori nel paese degli Etiopi, dove gli vengono tributati lauti sacrifici. Così Camões, affidandosi al proprio amore per l'antichità, sceglie di reintrodurli, e di dare loro una posizione preminente nel proprio schema principale. Gli dei sono comunque reali, nel senso che incarnano forze potenti nel cuore umano e nello scorrere della vita. Nel Rinascimento questi due mondi potevano convivere fianco a fianco. Non è il dio del vino e dell'estasi dionisiaca, ma lo spirito orientale nella propria vanità, astuzia e disordine. A Giove - come a Zeus nell'Odissea - spetta la decisione finale, ma egli è al di fuori della battaglia. A Mozambico diffonde cupe voci, ma viene frustrato nel suo intento dall'accortezza di Gama. Camões si concede una fantasia bizzarra nel rappresentare Bacco rogante all'altare. Tutto ciò non è mera fantasia; ha delle basi nella storia. Determinato nell'impedire che la flotta raggiunga l'India, Bacco invoca i poteri del mare affinché scatenino una tempesta. Avendo sofferto a causa della malignità degli uomini, adesso soffrono per la malignità degli elementi. Una volta ancora Venere e Bacco fanno le veci dei poteri sovrumani che aiutano o ostacolano i portoghesi. Le benefiche forze del mondo che nascono dalla civiltà non vengono spesso mostrate in natura; le forze del male, che riempiono il cuore dell'uomo di nefandezze e menzogne sono simili alla violenza dei poteri naturali che gli esploratori devono affrontare. In Venere e Bacco Camões mostra una dicotomia fondamentale del mondo, una lotta tra gli opposti nella quale uno dei due deve necessariamente cedere il passo all'altro. Alla fine Venere vince. Nella propria mitologia pagana Camões crea nuovi simboli per mostrare la reale situazione che intravede come sostrato del viaggio di Gama. Dall'apertura del concilio degli dei nel canto I alle ultime parole di Venere nel X non smette di prendere il massimo da ogni opportunità che gli si presenta. La prima riunione degli dei avviene in un immenso aere olimpico. ( I, 20, 5 – 6 ) Qui, Giove, assiso sul trono; e quando gli dei si dispongono secondo l'ordine previsto si rivolge loro con un linguaggio che si addice alla loro olimpica posizione: O Eterni Abitatori del lucente Polo e del vasto chiaro Firmamento. I poteri che lavorano nell'universo hanno la gloria e la maestà che l'entusiasmo dei giovani conferisce all'oggetto della propria devozione. In questi esseri, al di sopra del tempo e delle altre limitazioni proprie della finitudine mortale, Camões trova l'antitesi delle proprie tribolazioni e il fulcro dei suoi desideri. La protettrice del Portogallo è ancora la dea dell'amore e della bellezza, ed il poeta è fiero del fatto che il suo Paese sia favorito da lei. Gli uomini hanno la loro gloria, ma la gloria degli dei è al di sopra delle possibilità umane. Libero dalle inibizioni teologiche del Medioevo e duramente colpito dalla controriforma, egli lavora in maniera certosina al fine di inserirli nel proprio poema. L'accanita lotta degli esploratori portoghesi è una parte del racconto; l'altra parte contiene tutto ciò che gli dei rappresentano: la gioia e la gloria che portano con sé, l'ordine che istaurano. Aderendo a questa convenzione della poesia epica Camões ottiene un successo trionfale. Come Correggio e Raffaello, Camões comprende gli antichi numi e adatta il loro significato al proprio tempo. 6.4 Che posto per gli Dèi? Il Vate tuttavia non è pagano ma cattolico, suddito di un re cristiano, ed il suo Portogallo doveva gran parte della propria dignità al baluardo della causa cristiana contro gli idolatri, mori ed orientali. Ad ogni modo la spiegazione viene resa inconsistente con ciò che Camões sostiene in un altro momento del poema, parole che non possono ricevere lo stesso trattamento riservato alle sue ultime. Nel canto X l'idea è elaborata. Che questa sia la concezione di Camões è provato dal modo in cui cesella le sue divinità all'interno del poema. Quando Venere o Mercurio intervengono ad aiutare de Gama, non è a loro che egli rivolge le proprie preghiere e le lodi, ma al Dio dei suoi padri. ( II, 65, 3 – 4 ) Quando Venere salva la flotta, de Gama attribuisce l'impresa alla provvidenza e termina con una solenne preghiera al suo Dio: Tu solamente puoi, Guardia Celeste Salvarci dall'insidia che c'investe. ( II, 31, 7 – 8 ) Ancora più impressionante è la grande preghiera di de Gama durante la tempesta nel VI canto. ( VI, 85, 1 – 4 ) Quindi segue l'intervento della dea ed il mare si placa. Poseidone è irato a causa dell'inganno perpetrato da Odisseo nei confronti del figlio Polifemo, Bacco teme che il proprio regno, l'Oriente, in cui ha istaurato il regime del caos, venga paradossalmente scosso da eventuali contaminazioni dell'ordine occidentale. Risulta però interessante notare come gli schemi narratologici che sottendono l'agire delle forze del bene siano sempre diversi tra loro: nel loro intreccio, nel loro svolgersi, nelle dinamiche che li attraversano. L'agire del male, invece, è sempre caratterizzato dalle stesse dinamiche, dallo stesso svolgersi dei fatti, come una iterazione che si ripete in un continuum e che è destinata a non centrare i propri obiettivi. Se le variatio che marcano l'agire del bene possono essere ritenute meno capaci di suscitare l'attenzione del lettore a causa della difficoltà di acquisirle, allo stesso modo le si può ritenere specchio delle infinite risoluzioni di stasis che la vita reale paventa. 7. Struttura delle narrazioni In questo capitolo verranno prese in esame le narrazioni di Odisseo e Vasco de Gama. 7.1 Odisseo narratore Risulta molto utile ai fini di questa comparazione esaminare la funzione assolta, nella costruzione dell'Odissea, dalla figura di Odisseo narratore alla corte dei Feaci, nel libro XI. Dal punto di vista della conoscenza dell'oggetto del canto, l'eroe è nelle condizioni ideali: il lungo racconto dei suoi "errores" è narrazione di una esperienza personale. Odisseo non è visto solo come narratore della propria personale vicenda: all'interno del suo stesso racconto ad Alcinoo lo si vede esporre κατά μοιραν quanto gli viene richiesto, (Ilio e le navi degli Argivi, e il ritorno degli Achei). Quando, nella cortese replica, il re itacese acconsente alla ripresa del racconto, la lega al desiderio degli ascoltatori e accenna, secondo consuetudine, al tema iniziale prima di riprendere il racconto nel punto interrotto. Le mitiche creature posseggono il dono del canto che consente di partire conoscendo più cose: l'oggetto della scienza delle sirene è precisato, non si tratta soltanto del racconto tradizionale delle gesta degli Argivi e dei Teucri, le Sirene conoscono tutto quanto avviene sulla terra. L'eroe canta κατά μοιραν perché ben noto gli è l'oggetto del canto, note gli sono le imprese degli Achei sotto Troia la cui narrazione di Demodoco l'ha mosso al pianto. 7.2 Vasco narratore. L'eroe inizia così la sua narrazione al Re di Malindi, nel III canto: Stavano tutti attenti per udire Quello che Gama avrebbe raccontato. L'eroe afferma di non riuscire a dire tutta l'eccellenza della propria terra, in una ripresa del topos della falsa modestia, qui utilizzato in rapporto alle straordinarie imprese del popolo portoghese e dei suoi re. Più volte, nel quinto canto, con anafora al primo verso delle ottave 16, 17 e 18 questo concetto viene ribadito: vidi i casi che i rudi marinai (….); 7.3. Strategie della metanarrazione. Il procedimento della mise en abyme accomuna infatti anche i due testi presi in esame: la narrazione delle proprie vicende da parte di Odisseo ai Feaci, e quella della propria storia compiuta da Vasco de Gama al Re di Malindi, si configurano come una vera e propria mise en abyme, una narrazione omodiegetica che si inserisce all'interno della più ampia narrazione che è lo stesso poema. Situazione similare si verifica alla corte del Re di Malindi ne I Lusiadi. 8.1. Polifemo Nell'avventura nel paese dei Ciclopi ( libro IX ) si fondono la violenza sanguinaria e l'alterità straniante; può essere davvero considerata il vertice del terrore di tutto il poema. La prima avvisaglia è data dalla definizione dei loro usi che Odisseo dà con l'occhio di poi, descritti come " ingiusti e violenti"; visione che appartiene cioè al narratore Odisseo e non al personaggio che vive la vicenda. La funzione strutturale di quest'isola nella vicenda è quella di permettere ad Odisseo di rischiare una sola nave nell'esplorazione della terra dei Ciclopi. Si trovano ben presto davanti alla grotta di Polifemo, la cui paurosa descrizione è ricavata da dati acquisiti successivamente da Odisseo – personaggio: Polifemo porta alle estreme conseguenze l'isolamento dei Ciclopi, non ha una famiglia, e alto com'è quanto una montagna, appare come un massiccio isolato dagli altri. La prima è il rumore di un immenso fascio di legna, che determina l'arretrare di Odisseo e dei compagni nel fondo della caverna – un movimento che assomma all'angoscia l'automatismo del riflesso. La richiesta di sopravvivenza intrinseca alla supplica è appesa al filo dell'onnipotenza del capriccio del Ciclope. Di fatto, la risposta alle suppliche sta nel gesto violento con cui il mostro afferra due uomini e si ciba di loro. Ai portoghesi in viaggio verso le Indie appare la mostruosa figura di Adamastor, il Capo delle Tempeste, che racconta la sua storia. Esattamente a metà del poema, l'incontro di Gama con Adamastor marca, geograficamente, il passaggio dall'Occidente all'Oriente, dall'Atlantico all'oceano Indiano, ossia dalla fine del mondo conosciuto all'inizio del mondo sconosciuto. L'eroe entra nella regione delle forze indomate. Con riso onesto Rispose Teti: "Quale dea può tale Gigante ricambiar con forza eguale? ( V, 53) Imprigionato nella roccia in cui si trasforma nel tentativo di violarla, Adamastor rimane eternamente carceriero della propria prigione, guardia dei segreti nascosti in cui si è intrappolato. Dunque, il colosso orrendo gli permette l'accesso alla conoscenza delle cose segrete del mare. Dubbio al quale sorgerà Adamastor come risposta, provocando la seconda domanda: [……………….]"Chi sei tu, così tremendo - dissi – all'immensa mole ed all'aspetto?" ( V, 49, 3 – 4 ) Di contro al lungo discorso del gigante, questa breve domanda racchiude, nel suo laconismo, un intenso potere significativo. Lungi dal tradire tremore, la voce del capitano manifesta stupore ed esprime, proprio per queste ragioni, la vittoria del coraggio sulla forza e sulla paura. Non vi è un tentativo di attacco in difesa del bene che gli appartiene, ma il riconoscimento del valore di quella gente che merita non solo di vincere, ma anche di essere testimone del suo dolore e delle sue lacrime. (IX, 317–318; 326; 331–333; 345–347; 361; 366; 372; 382-383) Il primo proposito di Odisseo di fronte alla brutalità del Ciclope è ispirato allo statuto della violenza eroica: pensa di trafiggere il Ciclope con la spada, ma questo proposito non viene realizzato, perché lucidamente l'eroe si rende conto che assieme a Polifemo condannerebbe a morte sé e i suoi compagni, non essendo in grado di rimuovere il masso dalla porta della caverna. L'offerta del vino al Ciclope, e l'accettazione da parte di Polifemo di questo dono, marca fortemente il primo passaggio in cui notiamo il mostro avere un ruolo attivo nel compiersi dell'inganno ai suoi danni. (V, 54, 5–6; 55, 1 – 6; 56.) La similarità sostanziale, sta, credo, nell'identico abbandono da parte dei due giganti ai piaceri sensoriali. Questo abbassamento della soglia di lucidità permette l'interpretazione di un ruolo "attivo", Polifemo e Adamastor divengono coadiutori del loro inganno. Vengono ingannati da Odisseo e da Teti, ma si prestano alla loro parte, partecipano attivamente. .l'agire convulso del Ciclope, il suo scagliare massi contro le navi, l'impossibilità di requie denotano una follia che, lungi dall'essere sterile, produrrà l'ira funesta del padre Poseidone, persecutore senza sosta dell'astuto Odisseo La cifra stilistica di Adamastor diviene invece l'irreversibilità statica della sua nuova condizione,. 8.4. Tracce di un'evoluzione La riformulazione di contenuti della tradizione epica con una feconda capacità stilistica è uno dei tratti più suggestivi dell'opera di Camões. Le dinamiche di attuazione dell'evento sono simili, nel primo caso avvengono realmente, nel secondo si tratta di una proiezione nel futuro: e proprio in quel punto Scilla ghermì dalla concava nave sei compagni, i più vigorosi per la forza del braccio. Come osservato nei precedenti paragrafi, molte sono le caratteristiche che accomunano il Ciclope ed Adamastor, ma la collocazione topografica e l'atrocità dell'agire nei confronti dei naviganti rendono possibile un accostamento del Capo Tormentorio al mostro che abita lo stretto. se nell'Odissea questo percorso viene compiuto dall'eroe in persona ( XI libro ), ne I Lusiadi è l'antagonista, Bacco, a raggiungere un altro posto, il fondo del mare, regno di Nettuno, per chiedere al dio del mare di aiutarlo nella sua lotta contro le navi portoghesi ( VI, 6 – 34 ). Odisseo necessita della sapienza di Tiresia, e tutto ciò che è in suo potere per riuscire ad accedervi egli lo compie senza esitare, esegue alla lettera le disposizioni di Circe ( X, 504 – 540). 9.1. Odisseo: discesa e profezia di Tiresia Odisseo raggiunge i confini della terra, dei Cimmerii che è "avvolta nella nebbia e nelle nubi" (XI, 15 ) e presso il fiume Oceano, al limite dell'esperienza degli uomini, scava una fossa in cui versa – dopo riti di libagione propiziatoria con latte, miele, vino, acqua e un'offerta di farina d'orzo – il sangue delle vittime che Circe gli ha indicato. Merita fermarsi un attimo per far notare il molteplice registro dei simboli. Il sangue, elemento liquido della vitalità, permetterà alle ombre dei morti una effimera ripresa di contatto con il mondo dei vivi. È un contatto limitato alla comunicazione: il morto non può prescindere dalla propria incorporeità. Ciascuno vuol sapere quello che non sa, ciascuno ritaglia una porzione di conoscenza contornata dalla dimensione del proprio universo affettivo. Le pene in casa consistono nella presenza arrogante e dissipatrice dei pretendenti, di cui il lettore già sa, ma Odisseo non ancora. Lo sguardo del profeta si estende poi ad un futuro ancora più lontano, in cui Odisseo si riconcilierà con Poseidone a mezzo di un sacrificio; per un bizzarro contrappasso, l'uomo che ha sconfitto il mare deve rendere omaggio al dio del mare in luogo che gli sia radicalmente estraneo, dopo una lunga peregrinazione alla ricerca di una terra che ignori tutto della civiltà marinara. Nella morte che viene dal mare è forse possibile leggere una allusione alla leggenda della morte di Odisseo per mano del figlio avuto da Circe, Telegono che, sbarcato a Itaca, uccise il padre. È accreditata tuttavia un'interpretazione diversa del passo nel senso che la morte sopravverrebbe a Odisseo "lontano dal mare". (………………………………………………) Scende d'Olimpo infine disperato Per liberarsi della grave soma, e va spedito alla divina corte di chi dei mar l'imperio ha avuto in sorte. ( VI, 6, 5–8; 7, 5–8; 28, 1–4;35, 5–8) La discesa di Bacco negli abissi marini è per il dio, così come è la catabasi per Odisseo, necessaria alla realizzazione del proprio fine. Il dio è disperato poiché vede gli dei del cielo, suoi pari, essere tutti favorevoli alla riuscita dell'esplorazione portoghese che mina il suo reame. Dopo l'introduzione della decisione, vi è nel poema una lunga digressione che descrive il regno di Nettuno, oltre ad una raffigurazione del dio stesso. Vi è un raddoppiamento dei concili divini ne I Lusiadi: il primo, nel I canto, riunito in cielo; il secondo, in fondo al mare. Altro motivo simmetrico è che nel primo il discorso diretto, pronunciato da Venere, era riservato a fiancheggiare i portoghesi; qui, al contrario, Bacco manifesta direttamente le sue recriminazioni contro l'incedere della flotta lusitana. Le invettive del dio fomentano rabbia nel concilio marino, tanto è vero che risulta impossibile prendere una decisione frutto di saggi avvisi: l'intemperanza del momento porta Nettuno ad agire d'impulso. Come considerare a livello strutturale questa evenienza? La profezia fondamentale del poema verrà proferita da Teti nell'isola degli Amori. Il viaggio di Da Gama e dei suoi eroi si conclude, nei canti IX e X, nella migliore maniera possibile, con tutta la gloria che è dato agli uomini di acquisire e con una rinnovata e maggiore esperienza di se stessi, degli altri e del mondo. L'Ilha dos Amores è un'isola divina, sorta in mezzo alle acque come la stessa Venere. È un prodotto dell'Essere primordiale, un locus amoenus la cui descrizione scorre lungo tutto il canto IX, intrecciandosi al rincorrersi dei marinai e delle ninfe e alle loro schermaglie amorose. La chiusa degli amori con un matrimonio collettivo dà l'abbrivio all'incontro tra Gama e Teti, che porta alla visione grandiosa del canto X. L'isola è simbolicamente un punto d'arrivo. Coronati dalle "spose eterne", i naviganti ritornano alla patria. Non si separeranno più da quel sapere acquisito che le ninfe rappresentano; loro, e soprattutto Teti, la loro regina, sono forme di presenza divina, finalmente manifesta a Vasco, ai suoi compagni e, per bocca del poeta, ai portoghesi e al mondo. La differenza di livello è simbolicamente rappresentata dal monte su cui Gama e la dea salgono, da una catabasi che segnala una variatio rispetto al procedere tradizionale della narrazione in caso di rivelazioni. Se infatti, nel caso di Odisseo, è la catabasi a marcare il momento della rivelazione, Camões compie una innovazione facendo sì che de Gama salga sul monte per ricevere la rivelazione della dea. L'atmosfera di elevata aulicità del palazzo di Teti ben introduce alla rivelazione della dea a de Gama, scandita nei modi della profezia in una prima parte, e nell'esposizione descrittiva della macchina del mondo nella seconda. La profezia funzionale allo svolgimento dell'azione, alle vicende dell'eroe – come lo è stata quella di Tiresia – si sviluppa, diviene altro; la conoscenza attraverso l'aiuto della dea sopravviene dopo due altri elementi: la giustizia e l'amore. Una eccezione strutturale dunque, che marca ancora di più la particolarità dell'opera camoniana Una possibile lettura di questa variazione può essere svolta considerando quanto Camões sapesse bene che l'apice della propria storia passata può dalla sua vetta guardare ai posteri, al tempo del vate dunque, carico di aspettative verso un continuum nella stessa direzione. Speranza disattesa, disillusa; al suo tempo il poeta non risparmia le proprie tirate veementi. Eppure conclude con la speranza che la sua Musa ispiratrice, cantando le glorie del suo re, riceva l'accettazione che merita. Questa connotazione contraddistingue Vasco de Gama, l'ansia di seguire la propria curiositas, mediata dall'Ulisse dantesco, si trasforma nel Rinascimento in quello che sarà il pungolo che spinge alle scoperte geografiche, al nuovo mondo, e, ovviamente, a un nuovo uomo. È un umanista anche nelle sue contraddizioni, nell'associare la mitologia pagana ad una visione cristiana del mondo, nei suoi sentimenti conflittuali verso la guerra e l'Impero, nel suo amore per la patria e nel suo desiderio di avventure, nel suo apprezzare il piacere estetico e nella richiesta di uno statuto eroico che fa ai suoi personaggi. Ma è soprattutto un Umanista nella sua devozione agli ideali classici, e nel suo considerarli la forza vitale dell'immaginario europeo del suo tempo. Racconta il suo Portogallo servendosi sia della cristianità che della tradizione classica. Sebbene Camões abbia molto della magnificenza rinascimentale nel suo incedere narrativo, la stempera con una sensibilità che sa sempre quando fermarsi, senza sfociare in pericolosi funambolismi estetici.