Il mio lavoro compie un excursus sullo spionaggio americano in Italia nel periodo 1943 - 1945 dalla sbarco anglo-americano in Sicilia del 10 luglio '43 che diede inizio alla "campagna d'Italia" alla liberazione dalla Germania del 25 aprile '45, alla luce delle carte dell'Office of Strategic Services (OSS), antesignano della Central Intelligence Agency (CIA), in Italia, quali rinvenute, eminentemente, nei National Archives and Records Administration (NARA) e, precisamente, nel Record Group n. 226 (Records of Office of Strategic Services 1940 - 1946). La ricostruzione delle molteplici missioni condotte dai servizi segreti americani in Italia, nel periodo di interesse, ha confermato e chiarito che l'OSS non fu tanto un servizio strategico, ma un'agenzia operativa a supporto delle Forze Armate americane durante la "campagna d'Italia", i cui compiti consistettero, principalmente, in: - raccolta e trasmissione di informazioni strategiche, inizialmente di natura militare, ma, già nel corso del 1943, sempre più di tipo socio-politico e economico (secret intelligence); - propaganda e istigazione della popolazione a compiere atti di resistenza contro i tedeschi; - sabotaggio del nemico (scorch); - antisabotaggio (anti-scorch); - collegamento con le bande partigiane che combattevano nell'Italia occupata dal nemico; - organizzazione di squadre per il compimento di operazioni (special operations) a sostegno dell'azione militare alleata sulle linee nemiche o in avanscoperta. Inoltre, specialmente, nella fase finale della "campagna d'Italia" l'OSS assunse un ruolo fondamentale nella tutela dell'ordine pubblico e la legalità nel passaggio di poteri dopo l'evacuazione delle regioni del Nord da parte dei nazifascisti. Ben due furono le missioni inviate allo scopo di catturare il Duce vivo che, dopo l'incontro nel palazzo arcivescovile di Milano del 25 aprile, aveva intrapreso il suo ultimo viaggio lungo la sponda occidentale del lago di Como, ma queste agirono, l'una all'insaputa dell'altra e fallirono l'obiettivo. Proprio la fine di Mussolini rappresenta il punto di convergenza delle opposte forze dei servizi segreti alleati operanti nell'Italia del nord: la morte del Duce lasciò i servizi segreti americani, oltremodo, insoddisfatti e delusi per essersi lasciati sfuggire l'ambita preda, tanto che dovettero attivarsi a posteriori per scoprire la verità con l'invio, agli inizi di maggio, di una missione nel Nord dell'Italia capitanata dal colonnello Valerian Lada Mocarski. Al contrario, gli inglesi, bene irreggimentati e assai più disciplinati dei colleghi americani, non solo conferirono ampio mandato ai capi della Resistenza ma li invitarono a "risolvere" la faccenda al più presto possibile e, comunque, non oltre l'ingresso delle truppe alleate a Milano. Pertanto la fine del Duce condensa in sé e, nel contempo, rappresenta il caso emblematico della dicotomia interalleata che connotò di sé la politica anglo-americana in e verso l'Italia, che i servizi segreti alleati contribuirono a definire e attuare. ; The present work makes an excursus on American Intelligence during the period from the 1943 to 1945, from the D- Day of the Allied landing in Sicily on the 10th of July 1943 until the Day of the Italy's liberation from the Hun on the 25th of April 1945, based on the records of the Office of Strategic Services (OSS), the forerunner of the Central Intelligence Agency (CIA), concerning the American Secret Services' Campaign of Italy, that I have found in National Archives and Records Administration (NARA) at College Park, Marydand, especially in the Records Group no. 226 (Records of Office of Strategic Services 1940 - 1946). The examination of the papers now declassified, concerning the missions accomplished by the American Secret Services in Italy during the period above mentioned, have confirmed and clarified that the OSS wasn't a kind of strategic service but a special operative agency that supported the Allied Armies during the "campaign of Italy". The OSS carried out, mainly, the following activities in Italy: a. secret intelligence, of which the classes were not only military, but also political, psychological and social; b. istigation of the Italian population to carry out acts of resistance against German Forces; b. direct attack on communications and transport in that area of Italy held by the enemy; c. destruction of enemy aircraft on the ground; d. destruction of enemy supply dump; e. anti-scorch; f. special operations in direct support of the 15th Army Group; g. infiltration of agents, supplies and communication equipment and liaison with the patriots in that area of Italy held by enemy. Furthermore, the OSS played a prominent role in the final stage of the "campaign of Italy", especially in order to protect the public order and legality during the power change after the evacuation of Northern Italy by the Germans. Two special missions were sent in order to save the life of Benito Mussolini who had taken his last journey along the western shore of Lake Como, after meeting with the representatives of Committee of Liberation of Northern Italy (CLNAI) in the Archbishop's Palace on Milan. Unfortunately, they acted without any knowledge of each other and were unsuccessful. The Mussolini's death was the converging point of the opposing forces of Allied Secret Services in Northern Italy: the death of the leader of Italian Social Republic (RSI) left the OSS dissatisfied and disappointed because he had missed the coveted prey, so that it had to get active a posteriori to discover the truth and sent another mission in Northern Italy leaded by the colonel Valerian Lada Mocarski at beginning of May 1945. On the other side, the English Special Operations Executive (SOE), much more disciplined than the OSS, not only conferred broad mandate to the leaders of Resistance in Northern Italy, but invited them to "solve the problem" on their own as soon as possible and, anyway, before the entrance of Allied Forces into Milan. Therefore, it has to be pointed that the Mussolini's death concentrates on itself and, in the same time, represents the typical case of the dichotomy of the Anglo - American policy in and towards Italy, that the allied secret services helped to define and implement. ; Dottorato di ricerca in Storia della società italiana XIV-XX secolo (XXIII ciclo)
L'amministrazione generale della maggior parte degli stati europei si rafforzò e modernizzò nel corso del XIX secolo. In questo contesto, la creazione di nuove forze di polizia consolidò la penetrazione capillare degli stati in tutto il territorio. Dal 1861 il giovane Stato italiano poté disporre dei Carabinieri Reali e delle unità della Pubblica Sicurezza. Nell'ambito di un'analisi di lungo periodo sulla creazione e distribuzione degli Uffici della Pubblica Sicurezza (1862-1914), realizzata sulla base dei dati del Calendario Generale del Regno, questa tesi di dottorato mostra che la Sicilia è stata la regione in cui la polizia italiana era maggiormente presente. Gli agenti della Pubblica Sicurezza inviati nei piccoli villaggi siciliani non potevano contare su corpi di polizia alle loro dipendenze dirette. Di conseguenza, erano costretti ad adeguarsi e riadattare la loro posizione a vari problemi di ordine pubblico, non solo per quanto riguardava le esigenze della popolazione, ma anche le rivalità amministrative tra fazioni, l'antagonismo e la collaborazione con altre forze di polizia, le richieste specifiche dei superiori, dei parlamentari e dei notabili locali. Il caso di studio della tesi si muove nel contesto di questa analisi di lungo periodo, concentrandosi sugli anni 1896-1897. Il 3 marzo 1896, dopo la sconfitta di Adua, Francesco Crispi si dimise dalla presidenza del Consiglio italiano. Il 10 dello stesso mese Antonio Starabba, marchese di Rudinì, fu nominato alla guida di un governo conservatore. La penisola italiana era afflitta da gravi problemi economici. La situazione era particolarmente delicata in Sicilia: sia la produzione di agrumi che il settore minerario risentivano di una profonda crisi economica. Come se la crisi non bastasse, violente rivalità politiche turbavano le città dell'isola, costituendo una seria minaccia per l'ordine pubblico. Di Rudinì aveva un progetto chiaro e ottenne l'approvazione di un Regio Decreto che istituiva un Regio Commissariato Civile in Sicilia, una sorta di luogotenenza della Corona. Il 5 aprile 1896, il senatore Giovanni Codronchi Argeli, originario dell'Emilia Romagna, fu nominato Regio Commissario Civile e Ministro senza portafoglio. Per via del Regio Decreto, convertito in legge nel mese di luglio, tutte le province, i comuni e le prefetture siciliane vennero posti sotto la sua autorità per un anno. Attraverso il prisma della polizia è possibile analizzare concretamente quanto avvenuto in Sicilia durante il periodo del Regio Commissariato Civile, esaminando l'adeguarsi delle pratiche di polizia al contesto siciliano e il collegamento tra il centro e le aree periferiche reso possibile dalle forze dell'ordine. La ricerca si basa sulle carte dell'archivio privato di Codronchi, sui documenti conservati nell'Archivio Centrale di Stato di Roma e in alcuni archivi pubblici siciliani. Vengono inoltre analizzati archivi di personalità politiche dell'epoca, giornali, monografie e periodici. Dalla tesi emerge l'immagine di uno Stato ancora in formazione a trent'anni dall'Unità. Per quanto riguarda la parte della tesi relativa alla posizione degli uffici di Pubblica Sicurezza, emerge invece l'accentuata regionalizzazione delle forze di polizia italiane e il loro diverso adattarsi ai vari contesti della penisola. ; The general administration of most of the European states strengthened and modernized during the XIX century, in this context the creation of new police forces allowed to expand the capillary penetration of the states throughout their territories. Since 1861, the young Italian State could dispose of the Carabinieri Reali (Military State police) and of the units of Pubblica Sicurezza (Civil State police). Within the framework of a long period analysis about the creation and distribution of Pubblica Sicurezza Offices (1862-1914), created on the basis of data found on the Calendario Generale del Regno, this PhD thesis shows that Sicily was the region where the Italian police most widely spread. The Pubblica Sicurezza officers sent to little Sicilian villages could not rely upon police corps for their exclusive use. Consequently, they were forced to adjust and re-adjust their position to various problems of public order, not only with regard to people needs, but also to administrative rivalries between factions, antagonism and collaboration with other police forces, specific requests of superiors, of Parliament members and of local notables. The case study of the thesis moves in the context of this long-term analysis, focusing on the years 1896-1897. The 3rd of March 1896, after the defeat in Adua, Francesco Crispi resigned as President of the Italian Council. The 10th of the same month, Antonio Starabba, marquis of Rudinì, was appointed as the leader of a conservative government. The Italian Peninsula was troubled by economic problems. The situation was particularly delicate in Sicily: both the production of citrus fruits and the mining sector were affected by a deep economic crisis. In fact, these were the two main Sicilian economic sectors. As if the crisis was not enough, violent political rivalries troubled every town and city of the Island, constituting a serious threat to public order. Di Rudinì had a clear project for Sicily and he obtained approval for a Royal Decree establishing a Regio Commissariato Civile in Sicily, a sort of lieutenancy of the Crown. The 5th of April 1896, senator Giovanni Codronchi Argeli, native of Emilia Romagna, was appointed as Regio Commissario Civile and as Minister without portfolio. Because of the Royal Decree, converted into law during July, all Sicilian provinces, municipalities and prefectures were to be under his authority for a year. Looking through the prism of police is possible to analyse concretely what happened in Sicily under the authority of Codronchi, examining the adaptation of police practices to the Sicilian context and the connection between the centre and peripheral areas made possible by police forces. The research is based on the papers of Codronchi's private archive, on the documents kept in the Archivio Centrale di Stato of Rome and in some of the Sicilian public archives. Also, archives of political personalities of the time are analysed, as well as newspapers, monographies and periodicals of the period. From the thesis emerges the image of a State still in formation thirty years after Unification. As for the research concerning the position of the Public Security offices, what emerges is the accentuated regionalization of the Italian police forces and their different adaptation to the various contexts of the peninsula.
This research presents results of the last three years collaboration between the Centro di Ricerca ''E.~Piaggio'' and the company Ingegneria dei Sistemi SpA (IDS), on the application of game theoretic algorithms. Based on the results obtained by this research, IDS has decided to investigate the implementation of the proposed system on board of its unmanned vehicles, in order to provide a novel security system to the market. This research proposed the application of a coordinated multi robot system to the problem of asymmetric threat, both in military and civilian scenarios. The problem of detecting and accordingly reacting to an asymmetric threat (Asymmetric threats or techniques are a version of not ''fighting fair,'' which can include the use of surprise in all its operational and strategic dimensions and the use of weapons in ways unplanned) is a challenge both from research and technological points of view. Even though the available surveillance sensors are sufficient to identify and classify asymmetric threats, they are able to give a quick alert only in nominal working conditions. Indeed, adverse weather conditions easily lead to degradation of sensors performance leading to a drastic reduction of the time available for a possible reaction after the detection, identification and classification procedures. The short time--to--reaction may increase the possibility of human errors especially in stressful situations (e.g. an incorrect assessment of the necessary reaction). This research proposes the use of multi--robot coordinated team as autonomous surveillance systems that can guarantee an adequate supervision of the area in any working conditions even though the entire area is not fully monitored at any time instant. Indeed, the mobility abilities of autonomous vehicles can be exploited to deploy the team of robots to monitor the environment and to react to possible intruders. In particular, this research is focussed on the problem of coordinating a team of robots based on partial knowledge of the environment due to limited sensors footprint and communication range. The coordination of the robot must also guarantee the accomplishment of other tasks in a framework in which communication is limited due to security issues or deteriorated communication channels (e.g. underwater scenarios). An example of antagonistic tasks is the monitoring of the area around the main ship while detecting, tracking and herding an intruder toward a safe area. It is worth noting that the marine scenario is only a possible application of the proposed methodology that is valid whenever the goal is to detect, localize and react to any environmental changes of interest, e.g. high variation of temperature, water pollution, terrorists attacks, etc. In this research a unified model has been proposed for the problem under study for different application scenarios such as asymmetric threats protection in marine environments and safety at border crossing points, such as airports. The proposed unified framework is based on the Game Theory. Indeed, it is well known that the particular class of potential games solves several cooperative control problems with a reduced amount of communication between robots. In particular, the considered control problem is transformed into a non--cooperative game where the goal is to reach specific equilibria. Moreover, the case of ``payoff--based'' scenarios, where robots get a reward in the reached regions based on the action performed by other robots, helps in capturing the requirements into the problem formulation. Learning algorithms that can steer the robots toward Nash equilibria are proven to solve partially the problem. In case of a static environment, e.g. fixed area of interest in the scenario, the coverage problem has been largely studied with a game theoretic approach. However, such algorithms are proven to converge to a static configuration maximizing the number of interested area covered by the robot sensors' footprint but are not able to handle a dynamic intruder. On the other hand, in case of dynamic environment, as for asymmetric threat protection, existing algorithms have been only designed to explore the entire area without selecting the sub--regions of major interest or doing it with high communication costs. Concluding, with respect to the state of the art literature, in this research, a game theoretic approach is used to detecting, track and herd a dynamic intruder protecting pre-defined areas. In particular, the work proposes two kind of coordination protocols which are proved to solve the asymmetric threat protection problem. Based on the well--known payoff--based algorithms, the research presents some extension of state--of--the--art coordination protocols which are suitable for dynamic environment. Moreover, the work presents new payoff--based algorithms to deal with the problem of multi--robot coordination in dynamic environment where the robots must accomplish antagonistic tasks simultaneously. For those new algorithms convergence to equilibria is formally proved. Finally, our research is interested in investigating the relationship between the team of guards and the intruder once it has been identified, i.e, the \emph{reaction phase}. Such problem is investigated with the use of a game theoretic framework and, a novel team coordination protocols for the intruder herding problem, is proposed. Such new algorithm solves the problem of steering a team of guards for guiding an intruder towards a restricted area of a known environment. The proposed system, based on the virtual objectives concept, is able to limit the movement of an intruder without communication between robots of the team. Proposed framework has been validated with a Monte Carlo simulation in order to cover a large set of different situations. Based on Monte Carlo simulation, a novel tool, that solves the problem of determine the minimum number of robots contrasting an intruder which is moving in the area, is proposed. Indeed, it can be used to determine the maximum volume to store autonomous vehicles on board. Proposed algorithms have been evaluated against intruders piloted by human, in order to test the robustness of the proposed solution. The proposed game theoretic framework has been tested in real robot experiments thanks to the use of a novel multi--robot system for managing team of robots. Based on the promising results, the proposed model has been extended to cope the asymmetric threat protection problem when sensors are affected by uncertainty on the detection. Video of some validation results are available online (https://youtu.be/emyf4xx-_pY, https://youtu.be/rBs23CNdh8U and https://youtu.be/ODoHY7WgQdc).
In 1412, with the advent of Trastamara dynasty on the throne of Aragon, the Kingdom of Sicily, while maintaining a formal institutional independence, was finally incorporated in the possessions of the Crown. The island then became a focal instrument of foreign policy of Alfonso the Magnanimous and, consequently, the natural economic and military base for the conquest of Naples. Just like what was occurring in the Italian peninsula, it became necessary to develop new instruments of government to respond to all those social, political and economic factors that had affected the island. Primarily, it was provided to a more precise definition of the relationship with the Iberian motherland, that, within a few years, took the form of a system of government at a distance. From an institutional point of view, the political leader of the island was outlined on the figure of the viceroy: they were chosen by the king and were equipped with a delegated power. The documentary solution, a true summary of this relation, was found instead in the creation of a chancery instrument that was named lictera exequtoria. This kind of letter allowed the sovereign to intervene personally, but through the mediation of the institutional apparatus of the island, on the distribution of the royal favor towards his subjects of the Kingdom. The complexity of the Italian territorial states of the 15th century, highlighted by the presence of many authorities in competition with each other, pushed the rulers to come to an agreement between the parties involved. The outcome, in the case of Sicily, was the direct involvement of the local ruling classes, both those from the old feudal aristocracy and those emerging from the towns, in the government of the island, as well as in the distribution of the economic and political resources in favor of all those who showed their support for the policies of the Magnanimous. It was a natural consequence, therefore, a greater attention to the institutional apparatus of the State that, at this stage, must be considered as a real focus of that political mediation that was necessary to the rulers for the consensus-building, within the composite societies of the late Middle-Ages, around their policies. On the one hand, since the arrival of Fernando of Antequera on the throne of the Crown of Aragon, but with major emphasis during the long reign of his successor, it was clear the role that the financial administration would have for the government of the island. It was not simply a strengthening of the control practices on the accounts of pecuniary offices of the Kingdom, brought about the growing economic needs of the monarchy, but a complex process driven by the kings of Aragon. The aim was indeed to lay the financial structures of the island under a closer political control, focusing on the figure of the sovereign the last terminal of the distribution of resources among its supporters and Sicilian subjects. The establishment of the new office of the Conservator regii patrimonii, taken directly from the Castilian reality, arose from the need to introduce in the island a financial body that was closely linked to the sovereign by fidelity ties and that was equipped with a wide range of skills to control the receipt and the distribution of the royal income. All the financial grants which concerned the public property had in fact to obtain the approval of the Conservator who initiated the regular bureaucratic process and that, in the meantime and thanks to all information collected, was also able to prepare budgets that gave to the king a useful tool for a more rational and precise location of the resources. On the other hand, instead, the intervention of the king went to the administration tout court of the island, that, compared to the financial one, was not marked by any obvious reformer intervention, if not from some occasional readjustments that changed the internal balance anyway. The Secretariat was in fact placed in the same level of the scribanie of the Protonotaro and of the Magistri Racionales – the Royal Chancery, without jurisdiction over the document drafting, had become the supreme record body of the Kingdom – becoming the tool by which the rulers were able to unhinge the natural administrative practice. They could in fact speed the execution of the orders and of the warrants because of the unofficial and wide intervention capacity of the Secretaries who could imperatively intervene in any area of the administration as a consequence of a direct order of the King or of his islander deputies. The overlapping of different chancery traditions within the Sicilian institutional apparatus caused the development of innovative governance tools that took shape of writing practice, record standards and filing systems of the documents, according to the new demands of the rulers. About the lictera exequtoria, whose we concisely said before, it's here enough to say that it became a basic instrument by means of which the King, despite the mediation of the Viceroy, was able to give execution to the privilegia and to the lictere patentes written by its secretaries. So he actually intervened on the promotion and cooptation of Sicilian officers at every level of the administration they were. The control action carried out on the officer body is also inferable from the innovative record systems that were prepared in Sicily in the first half of the fifteenth century. They allowed in fact the sovereign to be able to carry out a perpetual monitoring of the activity of the islander officers, as one can clearly deduce, for example, by the libri quictacionum and the libri castrorum of the Conservatoria's office. Within the latter, in fact, the most innovative record systems were developed. They, apparently related only to the financial matters, were instead characterized by a series of 'political functions' that allowed the Aragonese sovereign to increase his control over the Sicilian kingdom. The coeval processes of centralization of the administration of Sicily and of concentration of the archives at the Hosterium of Palermo are a further sign of the bureaucratic rationalization which characterized the action of the kings of Aragon. Since the compromise of Caspe (1412), in fact, they were involved in a series of interventions on the Sicilian institutions that aimed to find out appropriate instruments to govern the new needs of government, because of all the economic, political and social changes that were involving all the Italian territorial states of the fifteenth century.
[Italiano]: L'opera, a cura di Alfredo Buccaro e Maria Rascaglia, con la collaborazione di Daniela Bacca, Francesca Capano, Maria Gabriella Mansi, Maria Ines Pascariello, Massimo Visone, è pubblicata in coedizione con CB Edizioni Grandi Opere (ediz. a stampa ISBN 978-88-97644-65-2). Catalogo dell'omonima mostra organizzata dal CIRICE dell'Università di Napoli Federico II con la Biblioteca Nazionale di Napoli (Palazzo Reale di Napoli, Appartamento Borbonico, 12 dicembre 2019-13 marzo 2020) sotto l'egida del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del V Centenario della morte di Leonardo, il volume è dedicato alla memoria dell'illustre studioso vinciano Carlo Pedretti, che ha ampiamente ispirato questi studi. Autori: Daniela Bacca, Federico Bellini, Ciro Birra, Vincenzo Boni, Alfredo Buccaro, Francesca Capano, Salvatore Di Liello, Leonardo Di Mauro, Adriano Ghisetti Giavarina, Serenella Greco, Claudia Grieco, Orietta Lanzarini, Angelica Lugli, Emma Maglio, Luigi Maglio, Maria Gabriella Mansi, Pieter Martens, Paolo Mascilli Migliorini, Margherita Melani, Maria Ines Pascariello, Maria Rascaglia, Saverio Ricci, Renata Samperi, Anna Sconza, Daniela Stroffolino, Sara Taglialagamba, Carlo Vecce, Alessandro Vezzosi, Massimo Visone, Paola Zampa. La mostra ha voluto porre per la prima volta all'attenzione del grande pubblico le tracce della diffusione, diretta o indiretta, della lezione vinciana e rinascimentale post-vinciana nel contesto dell'architettura e dell'ingegneria del Mezzogiorno moderno, analizzate attraverso testimonianze manoscritte e a stampa sinora mai presentate al pubblico e, in molti casi, del tutto inedite. Introdotti da saggi generali a firma di autorevoli studiosi di Leonardo e del Rinascimento, i contributi specifici della prima parte del volume riguardano, tra le altre testimonianze: gli incunaboli della Biblioteca Nazionale relativi ai trattati un tempo presenti nella biblioteca di Leonardo e che ispirarono i suoi studi; il Codice Corazza, apografo vinciano seicentesco pubblicato per la prima volta da Buccaro sotto la guida di Pedretti, unitamente ai documenti del fondo Corazza della stessa Biblioteca; il Codice Fridericiano, apografo del XVI secolo dal Trattato della Pittura di Leonardo, acquisito nel 2016 su proposta di Buccaro e Vecce dal Centro per le Biblioteche dell'Ateneo di Napoli Federico II; il Foglietto del Belvedere dell'Archivio Pedretti, il cui studio è stato affrontato in dettaglio da Buccaro; i Vari disegni di Giovanni Antonio Nigrone (BNN, Ms. XII.G.60-61, ca. 1598-1603), recanti un progetto di trattato di ingegneria meccanica e idraulica di ispirazione vinciana rimasto manoscritto. Nella seconda parte del volume vengono analizzati per la prima volta i grafici di architettura e urbanistica contenuti nei due album cinquecenteschi che compongono l'inedito Codice Tarsia (BNN, Mss. XII.D.1, XII.D.74), vero e proprio 'Libro di disegni' risalente al XVI secolo (ca. 1540-98) conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli e un tempo appartenente alla raccolta del principe Spinelli di Tarsia. Questo ricco repertorio documentario diede vita, sul volgere del XVI secolo, al progetto editoriale di Nicola Antonio Stigliola, filosofo e ingegnere nolano: la raccolta contiene splendidi rilievi di antichità e progetti di edifici in gran parte di ambito vignolesco redatti per la committenza farnesiana, oltre a disegni di città fortificate italiane ed europee di estremo interesse e bellezza, in cui è evidente l'influenza degli studi di Leonardo in materia di ingegneria militare. Il Codice, oggetto di un attento studio e della catalogazione digitale per Manus Online da parte degli studiosi del Centro CIRICE dell'Ateneo Fridericiano e della Biblioteca Nazionale, rappresenta una preziosa testimonianza della diffusione del Rinascimento di matrice toscana e romana in ambito meridionale ./[English]: This book, edited by Alfredo Buccaro e Maria Rascaglia, with the collaboration of Daniela Bacca, Francesca Capano, Maria Gabriella Mansi, Maria Ines Pascariello, Massimo Visone, is a co-edition with CB Edizioni Grandi Opere (printed edition: ISBN 978-88-97644-65-2). The work is the catalogue of the recent exhibition organized by CIRICE - University of Naples Federico II, with the National Library of Naples (Royal Palace of Naples, Bourbon Apartment, December 12th 2019-March 13th 2020) with the patronage of the National Committee for the Celebrations of V Centenary of Leonardo's death. It is dedicated to the memory of the most illustrious scholar on Leonardo, Carlo Pedretti, who largely inspired these studies. Authors: Daniela Bacca, Federico Bellini, Ciro Birra, Vincenzo Boni, Alfredo Buccaro, Francesca Capano, Salvatore Di Liello, Leonardo Di Mauro, Adriano Ghisetti Giavarina, Serenella Greco, Claudia Grieco, Orietta Lanzarini, Angelica Lugli, Emma Maglio, Luigi Maglio, Maria Gabriella Mansi, Pieter Martens, Paolo Mascilli Migliorini, Margherita Melani, Maria Ines Pascariello, Maria Rascaglia, Saverio Ricci, Renata Samperi, Anna Sconza, Daniela Stroffolino, Sara Taglialagamba, Carlo Vecce, Alessandro Vezzosi, Massimo Visone, Paola Zampa. The exhibition has brought to public attention, for the first time, the traces of the diffusion of Leonardo lesson and of post-Leonardo Renaissance lesson in the context of architecture and engineering in the modern Southern Italy, analyzed through never known manuscript or printed testimonies. Introduced by some general essays by important scholars on Leonardo and the Renaissance, the papers of the first part of the book, among other testimonies, deal with: the incunabula of the National Library relating to the treaties once present in Leonardo's library that inspired his training; the Codice Corazza, a seventeenth-century apograph published by Buccaro with the advice of Pedretti in 2011, together with manuscript from Corazza collection in the same library; the Codice Fridericiano, a sixteenth-century apograph from Leonardo's Treatise on Painting, acquired in 2016 by the Center for Libraries of University of Naples Federico II on a proposal by Buccaro and Vecce; the Foglietto del Belvedere of the Foundation Pedretti Archive, studied in detail by Buccaro; the Vari disegni by Giovanni Antonio Nigrone (BNN, Ms. XII.G.60-61, ab. 1598-1603), containing an unpublished project for a mechanical and hydraulic engineering treatise inspired by Leonardo's studies. In the second part of the book, the architecture and urban planning graphics contained in the two sixteenth-century albums of the unpublished Codice Tarsia (BNN, Mss. XII.D.1, XII.D.74) have been analyzed for the first time. It a real 'Book of drawings' dating back to the 16th century (ab. 1540-98), once belonging to the Prince Spinelli of Tarsia library. This rich documentary repertoire inspired, at the end of that century, the editorial project by Nicola Antonio Stigliola, a philosopher and engineer from Nola: this collection contains some beautiful drawings of Antiquities and architectural projects largely related to Vignola's works for the Farnese family, as well as very interesting drawings of Italian and European fortified cities, in which the influence of Leonardo's studies about military engineering is evident. This Codex, carefully studied and digitally cataloged for Manus Online by scholras of CIRICE and of the National Library, is a precious testimony of the spread of Tuscan and Roman Renaissance in the Southern Italy.
La tesi sviluppa il tema del processo all'imputato assente. Il presente lavoro trae spunto dalla riforma operata con la legge 28 aprile 2014, n. 67. Esso si prefigge l'obiettivo di analizzare, da un lato, il contenuto della nuova disciplina – sia sotto il profilo statico, sia sotto quello dinamico - con particolare riferimento all'imputato assente e all'irreperibile e, dall'altro lato, di verificare se il nuovo assetto normativo italiano possa dirsi conforme ai dicta sovranazionali. Il primo capitolo è dedicato allo studio delle fonti sovranazionali e alla ricostruzione degli status processuali connessi alla mancata presenza dell'imputato vigenti nell'ordinamento interno prima dell'entrata in vigore della riforma del 2014. In particolare, nella prima sezione, vengono analizzate le fonti internazionali (Nazioni Unite) ed "europee" (Consiglio d'Europa ed Unione Europea), oltre alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo e del Comitato dei diritti umani dell'O.N.U. Viene illustrato il contenuto degli atti normativi e delle sentenze al fine di delineare le caratteristiche del processo all'assente così come emerge in sede sovranazionale. La seconda sezione è, invece, dedicata alla disciplina italiana pre-riforma. In essa vengono, in particolare, descritti gli istituti della contumacia e dell'assenza, nonché le problematiche ad essi connesse e le critiche che - in particolar modo a margine della contumacia - la dottrina aveva sollevato, per giungere alle figure dell'imputato latitante e dell'imputato irreperibile. Descritta la situazione previgente ed evidenziate criticità e proposte di riforma, si passa al secondo capitolo in cui vengono analizzati i profili statici della riforma. Si prendono, tra gli altri, in esame gli art. 420-bis - 420-quater c.p.p., individuando i presupposti applicativi sia della dichiarazione dell'assenza dell'imputato, sia della sospensione del processo per irreperibilità dell'imputato. Vengono inoltre analizzati i profili problematici: il rapporto tra conoscenza legale e conoscenza effettiva; le intersezioni tra consapevolezza e diritto ad una corretta informazione; la trasformazione del diritto ad essere informato in dovere di informarsi; nonché il difetto di coordinamento evidenziato dalla permanenza del termine "contumacia" – anche dopo la riforma – in alcuni ambiti dell'ordinamento processuale. Il capitolo si conclude con la valutazione della disciplina italiana alla luce dei precetti sovranazionali. Si passa poi, nel terzo capitolo, allo studio dei profili dinamici del processo in absentia, analizzandone l'iter in udienza preliminare - con particolare riferimento alla revoca dell'ordinanza dichiarativa dell'assenza - e in dibattimento. Lo studio prosegue con l'analisi delle impugnazioni, con particolare riguardo al giudizio di secondo grado, all'annullamento con rinvio della Corte di Cassazione e alla rescissione del giudicato. Il capitolo si conclude con l'esame della disciplina transitoria conseguente all'entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67 e con il confronto tra i profili dinamici del processo in assenza dell'imputato e i dicta sovranazionali. Nel quarto capitolo, si analizzano le ricadute che la riforma del processo in absentia manifesta su delle specifiche branche del sistema processuale. In particolare, si prendono in esame gli effetti derivanti dall'abolizione della contumacia e della conseguente introduzione della figura dell'assente e dell'irreperibile sul processo penale a carico degli enti, sul processo dinanzi al Tribunale per i Minorenni, sul giudizio dinanzi al giudice di pace e sul processo penale militare. Il quarto capitolo si conclude con un'analisi dei riflessi che la legge 28 aprile 2014, n. 67 ha avuto sulla cooperazione giudiziaria in materia penale, con specifico riferimento all'estradizione, al mandato d'arresto europeo e al reciproco riconoscimento delle sentenze. ; The topic of this thesis is the trial in absentia. The starting point of the analysis is the reform introduced with Act 28 April 2014, No. 67. The objective of the thesis is to analyse the content of the new rules – from both the static and the dynamic point of view - with special reference to defendants who fail to appear and those who are untraceable- and to assess whether the new Italian legislation complies with supranational dicta. The first chapter contains a review of supranational sources and the description of the procedural status deriving from non-appearance of the defendant as defined in the Italian legislation before the entry into force of the reform in 2014. Specifically, in the first section, I analyse the international (United Nations) and "European" (Council of Europe and European Union) sources, as well as the decisions of the European Court of Human Rights and the Human Rights Committee of the United Nations. I describe the content of the legislation and court decisions in order to identify the characteristics of the trial in absentia as specified at the supranational level. The second section focuses on Italian legislation before the reform. Here I specifically describe the institutions of "contumacia" [non-appearance without legitimate impediment] and "assenza" [defendant waiving the right to be present], as well as the related issues and the objections - in particular those concerning "contumacia" - levelled by the jurisprudence, to arrive to the case of the defendant who wilfully absconds and the one who is untraceable. After describing the pre-existing situation and pointing out problems and reform proposals, in the second chapter I analyse the static aspects of the reform. I review, among others, art. 420-bis to 420-quater of the Code of Criminal Procedure, identifying the conditions for the application of the declaration of non-appearance by the defendant and the suspension of the trial when the defendant is untraceable. The problematic aspects are also analysed: the relationship between legal and actual information; the overlap of awareness and right to be properly informed; the transformation of the right to be informed in duty to become informed; and the lack of consistency shown by the continued use of the term "contumacia" in some parts of the procedural system, even after the reform. The chapter ends with an assessment of the Italian legislation in the light of the supranational rules. In the third chapter, I then review the dynamic aspects of the trial in absentia, analysing its iter at the preliminary hearing - particularly with regard to the revocation of the declaration of non-appearance - and at the trial. This is followed by an analysis of the appellate process, particularly with regard to the judgement of second instance, the nullification with judicial review of the Court of Cassation, the highest appeal court in Italy, and the breach of res iudicata. The chapter ends with an analysis of the transitory rules applied after the entry into force of Act 28 April 2014, No. 67, and with the comparison of the dynamic aspects of the trial in absentia with the supranational dicta. In the fourth chapter, I analyse the repercussions of the reform of the trial in absentia on some specific areas of the procedural system. Specifically, I review the effects of the elimination of the concept of "contumacia", and the resulting introduction of the categories of the non-appearing and untraceable defendant, on criminal trials against organisations, trials in the Tribunale per i Minorenni (the Italian Youth Court), judgements by the Giudice di pace (Justice of the Peace), and military criminal trials. The fourth chapter ends with an analysis of the implications of Act 28 April 2014, No. 67 on judicial cooperation in criminal law issues, with specific reference to extraditions, European arrest warrant, and reciprocal recognition of judgements.
Dottorato di ricerca in Scienze ambientali ; L'attività sperimentale condotta durante il triennio di dottorato è inserita in un progetto di ricerca a carattere interdisciplinare dal titolo "Studio della diffusione di inquinanti organici persistenti in ambiente rurale e stima dei rischi da esposizione per gli operatori del settore agricolo-zootecnico mediante modelli cellulari" finanziato dall'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL). Obiettivo principale del progetto è analizzare i rischi da esposizione per gli operatori del settore agricolo-zootecnico che svolgono la loro attività nella Valle del fiume Sacco, un contesto agro-ambientale fortemente compromesso sotto il profilo della qualità e dello stato dell'ambiente, a seguito degli avvenimenti a carattere emergenziale connessi con la diffusione degli isomeri dell'esaclorocicloesano (HCH) potenti pesticidi appartenenti alla famiglia dei composti organoclorurati. Sulla base di quanto premesso, il lavoro oggetto della presente tesi è stato focalizzato su due obiettivi di ricerca. Inizialmente è stata valutata la qualità ambientale della Valle del fiume Sacco mediante opportuni campionamenti di varie matrici di rilevanza agro-ambientale effettuati nelle 9 aziende agrarie locali partecipanti al progetto. In particolare, è stata effettuata la verifica dei livelli di contaminazione da esaclorocicloesano (HCH) nel suolo e nel soprassuolo; nell'acqua per l'abbeveraggio degli animali in produzione; in alimenti d'origine animale destinati al consumo umano (latte, carne, miele, uova, ortaggi); in alimenti impiegati nell'allevamento dei bovini da latte. Pertanto, sono stati condotti una serie di campionamenti in varie zone all'interno dell'area di studio per garantire la rappresentatività delle varie matrici. Dopo una fase di pre-trattamento specifica per ogni matrice, ci si è avvalsi di metodi di estrazione accreditati a livello internazionale per l'estrazione degli HCH. Su tali campioni sono state eseguite le analisi gas-cromatografiche (GC-ECD). I risultati analitici ottenuti sono stati confrontati con i valori massimi consentiti dalla normativa vigente nazionale ed europea; inoltre, sono stati oggetto di una serie di elaborazioni statistiche per correlarli, per ciascuna azienda a diversi fattori (collocazione geografica, periodo di campionamento, profondità del suolo …). Tali risultati hanno evidenziato un livello di contaminazione ambientale persistente nella Valle del fiume Sacco che richiede a tutt'oggi un continuo monitoraggio ed efficaci interventi di bonifica per il recupero ed il risanamento del territorio. Un secondo obiettivo di ricerca ha riguardato la determinazione analitica degli HCH in campioni di pioppo, una pianta arborea utilizzata per il fitorimedio nella Valle del Sacco, per verificarne l'effettiva capacità di assorbimento degli inquinanti. A tale scopo è stato messo a punto un innovativo approccio di tipo dendrochimico tramite una procedura analitica che si è avvalsa, in via preliminare, della spettroscopia IR. Questa parte della ricerca ha richiesto carotaggi di pioppi collocati a diverse distanze dal fiume Sacco, l'analisi degli standard e dei campioni tal quali tramite spettroscopia IR e la successiva validazione dei dati acquisiti tramite gas-cromatografia. ; The research carried out during the PhD course is part of an interdisciplinary project funded by INAIL (Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) named "Study of the contamination by hexachlorocyclohexane isomers in the Sacco's River Valley and evaluation of the risks for the workers of this area". The Sacco's River Valley is a wide territory located between Rome and Frosinone in the central Italy crossed by Sacco River. Since 1900, this area had an important industrial development, mainly thanks to Bomprini Parodi Delfino (B.p.d), a company which over time has created a city around the industrial agglomerate. During the two World Wars, the B.d.p company produced mostly military explosives such as nitric acid, glycerine and dynamite. After the Wars , it expanded its range of manufacturing to the chemical industry. In particular, it specialized in synthesizing pesticides, insecticides, fungicides and herbicides and different types of fertilizers. Nevertheless, the intense industrial activity, the absence of laws in waste management and the uncontrolled use of the river water has led to a remarkable pollution of the river, groundwater and soil causing serious problems to the whole agro-food chain. The focus on this emergency has occurred in 2005, after the detection of high levels of toxic substances to human into several sample of milk produced from local farms (up to 20 times higher than the legal limit). The contamination was referred to b- hexachlorocyclohexane (b-HCH), a pesticide belonging to family of organochlorine pesticides produced from B.d.p. and widely used in agriculture. This substance is an halogenated compound belonging to a family of several stereoisomers, named a-, b-, g-, d-, e-, h-, q which differ for the physical-chemical properties and persistence in the environment related to the axial-equatorial substitution pattern of chlorine atoms around the six carbons ring [1]. Among the isomers, the g-HCH, also known as lindane, showed the highest pesticidal activity and it was widely used as an insecticide on fruits and vegetable, rice paddies, animals and seed treatment. Starting of these literature data, the research carried out during the PhD was focused on the investigation of the occurrence and distribution of HCHs isomers in different samples (soil, water, milk, feed and vegetables) collected in nine dairy farms located in the Sacco's River Valley. The samples were collected in June-September 2013 and January-April 2014. After the appropriate preparation, all samples were analyzed by GC-ECD and GC-MS. At several years from the onset of the agroenvironmental crisis, our analytical data confirmed a high degree of pollution in the investigated area, which deserves continuous environmental monitoring due to the strong impact of persistent organic pesticides on rural environment and human food chain. In addition to the monitoring, the bioremediation of the Valley must be seriously taken in account. Among the possible solutions, phytoremediation is applied in the Sacco's River Valley. It is based on the ability of certain plants to degrade, assimilate, and metabolize pollutants from soils accumulating them or their metabolites in different tissues and organs. In the final part of the PhD course, a preliminary study focused on the fate of HCHs on poplars. Then, in collaboration with forest researchers, several cores were collected from poplar trees selected according to a gradient of HCHs contamination into the Sacco's River Valley: one poplar located at a distance of about 500 m from the left bank of the Sacco River; a second poplar located close to the river bank and was thus subject to direct contamination. As a blank, several cores were also extracted from a control poplar growing close to a river in an uncontaminated area near Viterbo. All samples were firstly analyzed by Micro-Fourier Transform Infrared (micro-FTIR) Spectrometry and then by GC-ECD, after an appropriate preparation. This preliminary study evidenced two important aspects: the novelty in the analytical method using Micro-Fourier Transform Infrared (micro-FTIR) Spectrometry, a fast and non-destructive technique for the screening of samples; the ability of poplars to absorb HCHs isomers. This result confirms the role of poplars in bioremediation but opens novel questions about the final uses of them.
This thesis focuses on Lombard Southern Italy during the early middle ages and it analyses the history of political and social conflicts between the eighth and ninth century, taking into account the transformation of Lombard political power and social practices in this area. Starting from the eight-century judicial sources, this work explores political and social competition in the Beneventan region by taking into account its geographical position at the center of the Mediterranean see. Southern Italy was considered as a periphery, and sometimes as a frontier, by both the Carolingian and Byzantine empires, and endured almost a century of Muslims' attempts to conquer the peninsula. The first chapter focuses on the ducal period and investigates the formation and consolidation of the duke of Benevento's political authority before 774. During the seventh and eight centuries, the dukes developed a military and political autonomy in Southern Italy. This was due to the geographical position of the Duchy of Benevento in the Lombard Kingdom: it was far from Pavia, the king's capital city, and it was relatively isolated from other Lombard territories. Since a dynasty was established here as early as the seventh century, these dukes developed a strong and precocious political consciousness. As a result, they were particularly concerned with the formal representation of their authority, which is early attested in both coinage and diplomas. In this chapter, the analysis of the eight-century judicial records opens two important perspectives on the duke of Benevento's practices of power. Firstly, judicial assemblies were one of the most important occasions for the duke to demonstrate and exercise his authority in a public context. In contrast to all other Lombard dukes, who rendered judgement together with a group of officers, the duke of Benevento acted alone before the competing parties. By behaving exactly as the Lombard king would in Pavia, the duke was able to utilise the judicial domain as a sort of theatre in which to practice, legitimise and represent his own public authority in front of the local aristocracy. Secondly, the analysis of seven judicial case-studies suggests that the duke was not simply the sole political authority in Benevento but also the leading social agent in the whole Lombard southern Italy. Almost all the disputes transmitted by the twelfth-century cartularies implied a ducal action, donation or decision in the past, which became the main cause for later conflicts between the members of the lay élite and the monastic foundations of the region. Consequently, the analysis of judicial conflicts reveals more about the duke of Benevento's strategies and practices of power than about the lay and ecclesiastical élites' competition for power. Since there are no judicial records between 774 and the last decade of the ninth century, both conflicts and representations of authority in Lombard Southern Italy are analysed through other kinds of sources for this period. Chronicles, hagiographies, diplomas, and material sources are rich in clues about political and social competition in Benevento. By contrast, the late-ninth-century judicial records transmitted by cartularies and archives are quite different from the eighth-century documents: they have a bare and simple structure, which often hides the peculiarities of the single dispute by telling only the essentials of each conflict and a concise final judgement. In contrast to the sources of the ducal period, the ninth- and tenth-century judicial records often convey a flattened image of Lombard society. Their basic structure certainly prevents a focus on the representation of authority and the practices of power in southern Italy. On the contrary, these fields of inquiry are crucial to research both competition within the Beneventan aristocracy during the ninth century, and the relationship between Lombards and Carolingian after 774. After the fall of the Lombard Kingdom in 774, Charlemagne did not complete the military conquest of the Italian peninsula: the Duchy of Benevento was left under the control of Arechis (758-787), who proclaimed himself princeps gentis Langobardorum and continued to rule mostly independently. The confrontation and competition with the Frankish empire are key to understanding both the strengthening of Lombard identity in southern Italy and the formation of a princely political authority. The second account the historiography on the Regnum Italiae, the third section of this chapter focuses precisely on the ambitions of Louis II in Southern Italy and it analyses the implication that the projection of his rulership over this area had in shaping his imperial authority. Despite Louis II's efforts to control the Lombard principalities, his military and political experience soon revealed its limits. After the conquest of Bari in 871, Prince Adelchi imprisoned the emperor in his palace until he obtained a promise: Louis II swore not to return to Benevento anymore. Although the pope soon liberated the emperor from this oath, he never regained a political role in Southern Italy. Nevertheless, his prolonged presence in the region during the ninth century radically changed the political equilibrium of both the Lombard principalities and the Tyrrhenian duchies (i.e. Napoli, Gaeta, Amalfi). The fourth section focuses firstly on the competition between Louis II and Adelchi of Benevento, who obstinately defined his public authority in a direct competition with the Carolingian emperor. At the same time, the competition within the local aristocracy in Benevento radically changed into a small-scale struggle between the members of Adelchi's kingroup, the Radelchids. At the same time, some local officers expanded their power and acted more and more autonomously in their district, such as in Capua. When Louis II left Benevento in 871, both the Tyrrhenian duchies and the Lombard principalities in Southern Italy were profoundly affected by a sudden change in their mutual relations and even in their inner stability. The competition for power and authority in Salerno and Capua-Benevento also changed and two different political systems were gradually established in these principalities. Despite the radical transformation of internal competition and the Byzantine conquest of a large part of Puglia and Basilicata at the end of the ninth century, the Lombard principalities remained independent until the eleventh century, when Southern Italy was finally seized by Norman invaders. // --- // RIASSUNTO: La presente tesi si occupa dell'Italia meridionale longobarda durante l'alto medioevo e analizza la storia dei conflitti politici e sociali tra l'VIII e il IX secolo tenendo in considerazione le trasformazioni del potere politico longobardo e delle pratiche sociali in quest'area. Partendo dalle fonti giudiziarie di secolo VIII, questa tesi esplora dunque la competizione politica e sociale nella regione beneventana senza prescindere dalla sua posizione al centro del Mediterraneo. L'Italia meridionale fu considerata una periferia, talvolta una vera e propria frontiera, sia dall'impero carolingio sia da quello bizantino, e resistette per oltre un secolo ai tentativi musulmani di conquistare la penisola. Il primo capitolo si occupa del periodo ducale e indaga la formazione e il consolidamento dell'autorità politica del duca di Benevento prima del 774. Durante i secoli VII e VIII, i duchi svilupparono un'ampia autonomia militare e politica in Italia meridionale. Ciò era legato alla posizione geografica di Benevento nel quadro del regno longobardo: il ducato era lontano da Pavia, la capitale del re, ed era relativamente isolato dagli altri territori longobardi. I duchi di Benevento svilupparono una forte e precoce coscienza politica, forse anche in conseguenza dello stabilirsi di una dinastia al potere già a partire dal VII secolo. Essi erano conseguentemente particolarmente interessati nella rappresentazione formale della loro autorità pubblica, che è attestata precocemente sia nella monetazione sia nei diplomi. L'analisi dei documenti giudiziari di secolo VIII apre due importanti prospettive di ricerca sulle pratiche del potere nel ducato beneventano. In primo luogo, le assemblee giudiziarie erano per il duca una delle occasioni più importanti per dimostrare e esercitare la sua autorità in un contesto pubblico. Contrariamente agli altri duchi longobardi, che vagliavano le ragioni della disputa ed emettevano un giudizio insieme a un gruppo di ufficiali, quello beneventano agiva da solo di fronte alle parti. Comportandosi allo stesso modo dei sovrani longobardi a Pavia, il duca utilizzava l'ambito giudiziario come una sorta di teatro in cui praticare, legittimare e rappresentare la sua autorità pubblica di fronte all'aristocrazia locale. In secondo luogo, l'analisi di sette casi giudiziari permette di ipotizzare che il duca non fosse solo l'unica autorità politica a Benevento, ma anche il principale agente sociale in tutto il Mezzogiorno longobardo. Tutte le dispute riguardanti il secolo VIII e trasmesse dai cartulari del secolo XII implicano infatti un'azione del duca, una donazione o una decisione nel passato che in seguito diventa causa di conflitto tra i membri dell'élite laica e le fondazioni monastiche della regione. Conseguentemente, l'analisi dei conflitti giudiziari è capace di rivelare molto di più sulle strategie e le pratiche del potere dei duchi di Benevento che sulla competizione per il potere nelle élite laiche ed ecclesiastiche della capitale e del territorio. Poiché non vi sono documenti giudiziari riguardanti il periodo che va dal 774 alla fine del secolo IX, sia la conflittualità sia la rappresentazione dell'autorità pubblica nell'Italia meridionale longobarda sono analizzate per il periodo successivo attraverso altre tipologie di fonti. La cronachistica, i testi agiografici, i diplomi principeschi e le fonti materiali sono infatti ricchissimi di elementi sulla competizione politica e sociale a Benevento. I documenti giudiziari del tardo secolo IX trasmessi dai cartulari e dagli archivi meridionali sono però molto differenti dai documenti di secolo VIII. Essi presentano una struttura semplice e formalizzata, che spesso nasconde le peculiarità della singola disputa esprimendo solo l'essenziale di ciascun conflitto insieme ad un coinciso giudizio finale. Contrariamente alle fonti del periodo ducale, i giudicati dei secoli IX e X offrono spesso solamente un'immagine appiattita della società longobarda. La loro struttura e il loro contenuto formalizzato impediscono pertanto di portare avanti un'indagine della rappresentazione dell'autorità e delle pratiche di potere longobardo in Italia meridionale. Questi temi rimangono invece centrali per una ricerca sulla competizione all'interno dell'aristocrazia beneventana durante la metà del IX secolo e sulla relazione tra Longobardi e Carolingi dopo il 774. 8 Dopo la caduta di re Desiderio nel 774, Carlo Magno non completò la conquista militare della penisola italiana: il ducato di Benevento fu lasciato al controllo di Arechi (758-787), che nello stesso anno si proclamò princeps gentis Langobardorum e continuò a regnare in Italia meridionale pressoché indipendentemente. Il confronto e la competizione con l'impero franco sono una delle chiavi per comprendere sia il rafforzamento dell'identità longobarda in Italia meridionale sia la formazione dell'autorità politica principesca. Il secondo capitolo si concentra precisamente sulla transizione dal ducato al principato di Benevento e sul conflitto con i Carolingi tra il secolo VIII e IX. Da un lato Carlo Magno utilizzò il titolo di rex Langobardorum, implicando con quest'ultimo un'autorità politica che si estendeva sull'intero regno longobardo, quindi anche su Benevento. Dall'altro lato, Arechi present sè stesso come l'erede della tradizione longobarda agendo come un vero e proprio sovrano longobardo, totalmente autonomo, in Italia meridionale. Ciononostante, le relazioni tra il principe di Benevento e il re franco rimasero ambigue fino alla sottomissione formale di Arechi nel 787. Una nuova autorità politica, quella principesca, fu plasmata tra 774 e 787 sia in continuità con la tradizione beneventana di autonomia politica sia in opposizione a quella dei sovrani carolingi. La monetazione e i diplomi insieme con l'attività edilizia ebbero un ruolo di primo piano nel dare forma e affermare questo nuovo tipo di autorità politica in Italia meridionale. La seconda e la terza sezione del capitolo si concentrano specificatamente sul progetto politico di Arechi e di suo figlio, Grimoaldo III (787-806). Le fondazioni monastiche di Santa Sofia di Benevento e San Salvatore in Alife furono al centro della strategia di distinzione messa in atto da Arechia prima e dopo il 774. La storiografia ha già da tempo individuato la somiglianza tra la fondazione regia di San Salvatore di Brescia e quella di Santa Sofia di Benevento. Tuttavia, Santa Sofia è stata identificata non solo come una fondazione familiare ma anche come il "santuario nazionale dei longobardi" in Italia meridionale. Prendendo in considerazione il progetto politico di Arechi e la rappresentazione della sua autorità pubblica, la seconda sezione del secondo capitolo si pone come obiettivo quello di riconsiderare sia la dimensione familiare e politica sia il ruolo religioso di Santa Sofia nel principato di Benevento. La stessa sezione analizza anche la ri-fondazione della città di Salerno, che ebbe un ruolo davvero rilevante nel dare forma all'autorità politica di Arechi. Dopo il 774, Salerno divenne sostanzialmente una capitale alternativa a Benevento, in cui il principe poté rappresentare il suo nuovo ruolo politico in Italia meridionale in una cornice differente. Le ricerche archeologiche relative all'area del palazzo salernitano, del quale è sopravvissuta solamente la chiesa di San Pietro a Corte, hanno rivelato alcune importanti caratteristiche della rappresentazione pubblica a Salerno: l'autorità politica di Arechi intendeva combinare la tradizione longobarda con una dimensione locale e anche con il passato classico. Inoltre, sia Arechi sia Grimoaldo III affidarono a Salerno – e non a Benevento – la propria memoria familiare decidendo di essere seppelliti nella cattedrale di questa città. Una delle più importanti opere cronachistiche del Mezzogiorno longobardo, il Chronicon Salernitanum, pone peraltro in evidenza come la città di Salerno abbia conservato fino al secolo X (e oltre) la memoria della prima dinastia principesca nonché quella della nascita del principato longobardo, integrandola come parte della propria identità cittadina. Tra i secoli VIII e IX, le due abbazie più prestigiose dell'Italia meridionale longobarda – San Benedetto di Montecassino e San Vincenzo al Volturno – si ritrovarono nella zona di frontiera con i territori ora sotto l'autorità carolingia e furono gradualmente influenzate dal nuovo quadro politico. Entrambe le fondazioni incrementarono il loro prestigio durante il periodo di instabilità che seguì la conquista franca del regno longobardo (774-787). A cavallo tra i secoli VIII e IX i monasteri di Montecassino e San Vincenzo agirono in modo ampiamente autonomo, relazionandosi sia con le autorità politiche carolingie sia con la società e le autorità longobarde. In alcuni casi ciò portò a delle tensioni e a dei conflitti aperti all'interno delle comunità monastiche, come nel caso dell'indagine a carico dell'abate Poto di San Vincenzo al Volturno. L'ultima sezione del secondo capitolo si concentra su queste due comunità monastiche e su come si rivolsero alla protezione carolingia come una delle possibilità per attraversare questo periodo di incertezza politica mantenendo un ruolo prestigioso e rilevante. La relazione con i sovrani carolingi coesistette comunque sempre con il legame con la società longobarda, che rimase una parte essenziale nella vita e nella memoria dell'abbazia. Fu però solo alla fine del secolo VIII che queste fondazioni iniziarono a ricevere un numero di donazioni davvero ragguardevole da parte 9 longobarda. Dal canto loro i sovrani franchi cercarono di diventare il punto di riferimento politico per quest'area di frontiera conferendo diplomi di conferma e immunità a entrambe le abbazie, diplomi che in Italia meridionale avevano però un ruolo prevalentemente performativo: essi creavano, rappresentavano e memorializzavano l'autorità pubblica e il prestigio di coloro che emettevano questi documenti e di coloro che li ricevevano. La relazione instaurata da Carlo Magno e dai suoi successori con questi monasteri ebbe però conseguenze sul lungo termine sull'immagine che le comunità intesero dare di sé, che gradualmente si spostò dal passato longobardo al prestigio dei sovrani carolingi, quindi dell'impero. Dopo la morte di Arechi nel 787, gli ambasciatori longobardi richiesero il ritorno a Benevento di suo figlio, Grimoaldo, che era tenuto in ostaggio alla corte carolingia. Carlo Magno impose però due condizioni a questo proposito: i Longobardi meridionali dovevano tagliarsi barba e capelli ovvero liberarsi dei loro tratti identitari, e includere il nome del re franco nella monetazione e nella datazione dei diplomi. Grimoaldo III mise in atto quest'ultima richiesta, ma dopo un breve lasso di tempo iniziò a comportarsi come un sovrano indipendente. Le campagne militari condotte dal Pipino, figlio di Carlo Magno e re d'Italia, non riuscirono a portare il principato di Benevento sotto l'autorità franca e l'interesse dei Carolingi verso l'area scemò, perlomeno temporaneamente. L'Italia meridionale poté dunque rafforzare la propria identità longobarda e portare avanti politiche autonome. Il terzo capitolo si concentra sulla competizione politica all'interno dell'aristocrazia beneventana durante la prima metà del secolo IX. Dopo l'accordo con i Carolingi dell'812, l'élite locale rafforzò la propria posizione nella capitale espandendo la propria influenza sul palatium del principe. probabilmente, i membri dell'aristocrazia beneventana non intesero mai ottenere il titolo principesco per sé, almeno non in questo periodo. Essi preferirono cercare di influenzare le scelte del principe così da ottenere uffici pubblici e rendite, che avevano l'obiettivo di confermare lo status sociale dei membri dell'élite, di mantenere e di espandere il loro potere nel cuore del principato. La prima sezione si occupa del principato di Grimoaldo IV (806-817) e sottolinea la debolezza dell'autorità pubblica di quest'ultima a fronte delle pressioni e delle ambizioni dell'aristocrazia locale. Una congiura pose fine al suo regno nell'817, ma la competizione all'interno dell'élite beneventana continuò anche durante i principati di Sicone (817-832) e Sicardo (832-839), diventando peraltro più violenta. La seconda sezione di questo capitolo ha l'obiettivo di identificare le strategie familiari e la rete di relazioni attivata da questi due principi allo scopo di rafforzare il loro potere politico su Benevento e di bilanciare le aspirazioni delle aristocrazie locali. Il legame familiare di Sicardo con uno dei più importanti gruppi parentali di Benevento, quello dei Dauferidi, creò indubbiamente un'asimmetria significativa nell'arena politica dell'Italia meridionale longobarda. il suo matrimonio con Adelchisa fu cruciale nello stabilizzare il suo potere e anche nel legittimare la sua autorità nella capitale. Il sistema di alleanze di Sicardo cambiò però radicalmente le modalità della competizione politica locale: esso impediva a tutti i membri dell'aristocrazia beneventana che non facessero parte del network familiare principesco di accedere al potere. In tal senso, le alleanze ricercate da Sicardo furono direttamente responsabili della successiva guerra civile (839-849). Non fu comunque solo la lotta di fazioni longobarda a portare alla divisione del principato di Benevento nell'849, ma anche un rinnovato interesse dei Carolingi per il Mezzogiorno, che è al centro del quarto e ultimo capitolo della tesi. La terza sezione del terzo capitolo analizza la rappresentazione dell'autorità pubblica dei Siconidi e si interessa in particolare delle strategie di distinzione messe in atto da questi due principi nella città capitale. Contrariamente alla precedente dinastia di duchi e principi, Sicone e Sicardo costruirono una relazione privilegiata con la cattedrale di Santa Maria in Episcopio, che precedentemente aveva invece un ruolo politico limitatissimo a Benevento e anche religioso. Entrambi questi principi traslarono nella cattedrale tutte le reliquie che sottrassero a Napoli e ad Amalfi durante le loro campagne militari. Inoltre, Siconde decise di essere inumato in questa chiesa, che ospitò anche le sepolture dei principi successivi fino alla fine del secolo IX. I furta sacra compiuti dai Siconidi e la relazione stabilita con Santa Maria in Episcopio produsse una trasformazione devozionale nella capitale. Conseguentemente, anche il ruolo della fondazione arechiana, Santa Sofia di Benevento, cambiò tanto che questo monastero femminile perse parte della sua funzione sociale e religiosa a Benevento. Al contrario, la cattedrale accrebbe in potere e ambizioni, iniziando a presentarsi in associazione con il potere pubblico beneventano. Un testo 10 agiografico composto nella prima metà del IX secolo, la Vita Barbati episcopi Beneventani, sembra voler esprimere e affermare precisamente questo nuovo ruolo sociale e religioso del vescovo nell'Italia meridionale longobarda. L'ultima sezione del capitolo esamina brevemente l'ascesa di Landolfo di Capua e dei suoi discendenti secondo quanto già messo in evidenza dalla recente storiografia. Landolfo approfittò della debolezza principesca e della competitività propria di Benevento per costruire un potere locale autonomo nella circoscrizione da esso amministrata. Il quarto e ultimo capitolo completa l'esame della competizione politica beneventana analizzando nel dettaglio le dinamiche del conflitto di fazioni longobardo. La prima sezione presenta il contesto politico che l'imperatore Ludovico II dovette affrontare la prima volta che scese in Italia meridionale mentre il secondo si concentra sul progetto di conquista portato avanti durante il secolo IX nella penisola italiana da gruppi di guerrieri musulmani. Dopo il sacco di Roma dell'842, Ludovico II diresse cinque campagne in Italia meridionale per eliminare l'emirato di Bari e prevenire nuovi attacchi da parte musulmana via mare. Supportato dal papa e dall'aristocrazia romana, l'imperatore carolingio costruì la sua nuova autorità imperiale sul ruolo di protettore della Cristianità contro i musulmani. Le campagne militari di Ludovico II furono però connesse anche alle sue ambizioni politiche in Italia meridionale. Dopo essere intervenuto nella guerra civile longobarda e aver stabilito la divisione del principato di Benevento nell'849, egli volle esercitare un controllo maggiore su entrambi i principati longobardi imponendo la propria autorità politica attraverso la sua presenza fisica nel Mezzogiorno. Partendo da quanto già messo in evidenza dalla storiografia per quanto riguarda il Regnum Italiae, la terza sezione del capitolo prende in considerazione precisamente le ambizioni di Ludovico II in Italia meridionale e analizza le implicazioni che esse ebbero nella costruzione ideologica sottesa alla sua autorità imperiale. Nonostante gli sforzi di Ludovico II per controllare i principati longobardi, l'esperienza militare e politica del sovrano franco rivelò ben presto i propri limiti. Dopo la conquista di Bari nell'871, il principe Adelchi di Benevento imprigionò l'imperatore nel suo palazzo fino a che non ottenne da parte di quest'ultimo la promessa di non ritornare mai più a Benevento. Nonostante il papa liberò ben presto Ludovico II dal suo giuramento, quest'ultimo non riuscì più ad aver un ruolo politico rilevante nel Mezzogiorno. La sua prolungata presenza in questa regione durante il secolo IX cambiò radicalmente gli equilibri politici che governavano sia i principati longobardi sia i ducati tirrenici (Napoli, Gaeta, Amalfi). La quarta sezione si occupa in primo luogo del conflitto tra Ludovico II e Adelchi di Benevento, che cercò ostinatamente di definire la sua autorità pubblica in questa competizione con l'imperatore carolingio. Allo stesso tempo, la competizione interna all'aristocrazia beneventana cambiò radicalmente, approdando a un dissidio di piccola scala tra i membri del gruppo parentale di Adelchi, i Radelchidi. In questo stesso periodo alcuni ufficiali locali espansero il loro potere agendo in modo sempre più autonomo nel loro distretto, così come era già successo a Capua. Quando Ludovico II lasciò Benevento nell'871, sia i ducati tirrenici sia i principati longobardi in Italia meridionale subirono le conseguenze dell'uscita di scena dell'imperatore, sia per quanto riguarda le loro relazioni reciproche sia per la loro stabilità interna. La competizione per il potere e l'autorità a Salerno e Capua-Benevento cambiò a sua volta e due differenti sistemi politici furono gradualmente stabiliti in questi principati. nonostante la trasformazione radicale della competizione interna e la conquista bizantina di una larga parte di Puglia e Basilicata alla fine del secolo IX, i principati longobardi rimasero indipendenti fino al secolo XI, quando l'Italia meridionale fu infine conquistata dai Normanni.
Dottorato di ricerca in Ecologia Forestale ; Negli ultimi anni si sono sviluppate nuove linee di ricerca applicate al settore agro-forestale, finalizzate allo sviluppo delle migliori tecniche e alla selezione e al miglioramento genetico di materiale vegetale per la produzione delle biomasse ligno-cellulosiche. Questi studi sperimentali sono stati favoriti dalle necessità politiche generate dall'eccessivo consumo energetico dei Paesi industrializzati ed emergenti soggetti ad un intenso sviluppo economico ed al contemporaneo aumento dei costi delle fonti energetiche fossili. La scarsità di queste fonti, ed il loro implicito aumento di prezzo, sono la conseguenza della connaturata esauribilità di questi beni nel lungo periodo, della crescita significativa della domanda globale non supportata da un aumento di produzione nel breve e medio periodo, e delle continue tensioni politico-militari che si hanno in molti Stati produttori. Per la produzione delle biomasse in campo agro-forestale, le piantagioni forestali a turno breve(Short Rotation Forestry) potranno avere un ruolo significativo soltanto se le difficoltà, di natura tecnica ed economica, oggi riscontrabili in questo particolare settore dell'agricoltura, saranno affrontate e risolte. In Italia, le specie considerate utili per queste produzioni sono quelle a rapido accrescimento dei generi Eucaliptus L., Populus L. e Salix L. Nei terreni considerati marginali si ipotizza l'impiego di Robinia pseudoacacia L. Per quanto riguarda il genere Populus, gli obiettivi dell'attività di selezione e miglioramento genetico puntano ad ottenere un'elevata produzione, un rapido accrescimento e una maggiore tolleranza alle avversità biotiche ed abiotiche. Presso il Dipartimento di Scienze dell'Ambiente Forestale e delle sue Risorse (DiSAFRi) dell'Università della Tuscia, negli ultimi anni sono state realizzate collezioni di germoplasma di Populus, in particolare di Populus alba L. e Populus nigra L. Il materiale genetico raccolto è stato sviluppato all'interno dell'Azienda Agraria dell'Università della Tuscia, le cui progenie hanno costituito famiglie di fratellastri (half sib). I singoli genotipi sono stati identificati per mezzo di un codice, il quale rende possibile l'identificazione della famiglia e della popolazione di appartenenza. Oltre alla conservazione ex situ, queste famiglie half sib risultano essere un'ottima base di partenza per studi di genetica delle popolazioni e di genetica quantitativa. I caratteri quantitativi, alla base della produzione delle biomasse ligno-cellulosiche, possono essere compresi attraverso lo studio delle progenie di prima generazione generate da genotipi di pioppo appartenenti alla medesima specie o a specie differenti. Conseguentemente, è stato generato un pedigree che racchiudesse la più ampia variabilità genetica della specie, utilizzando dei parentali provenienti da ambienti e latitudini molto diverse. Il pedigree di pioppo bianco, denominato POP4 (142 genotipi), studiato in quest'attività di ricerca, è stato ottenuto dall'incrocio dei parentali "14P11" e "6K3", che fanno parte di popolamenti naturali ben distinti. Il "14P11" è il parentale femminile (♀), ed appartiene alla famiglia derivante dalla pianta madre 14P, originaria dell'Italia meridionale (Policoro, MT). Il "6K3" (♂), che appartiene alla famiglia 6K, è originario dell'Italia settentrionale (Carcare, SV). Nell'ambito del progetto di ricerca europeo, denominato POPYOMICS, tramite lo studio di questa progenie si tenta di valutare e comprendere l'importanza di alcuni caratteri quantitativi coinvolti nella produzione delle biomasse ligno-cellulosiche nella specie autoctona di P. alba. Quest'attività di ricerca si integra con studi di biologia molecolare necessari all'individuazione dei marcatori genetici coinvolti nell'espressione dei caratteri, utilizzando un'analisi QTL (Quantitative Trait Loci) finalizzata al miglioramento genetico e allo sviluppo della selezione assistita da marcatori molecolari (MAS). La sperimentazione è stata condotta in tre siti situati in Inghilterra, Francia ed Italia. Gli impianti sono stati realizzati e gestiti con gli stessi criteri tecnici. I caratteri valutati nella sperimentazione possono essere distinti in caratteri legati all'accrescimento e alla produzione, circonferenza, altezza, indice di volume, produzione di biomassa epigea, in caratteri legati alla morfologia della foglia, area fogliare e lunghezza del picciolo, ed in caratteri che descrivono la ramificazione delle piante, numero dei rami sillettici ed indice dei rami. Per raggiungere gli obiettivi preposti, la sperimentazione è stata condotta secondo un piano generale di lavoro ben definito. Tale piano è suddivisibile secondo queste fasi: 1. Collezione dei dati; 2. Correzione dei dati (individuazione degli outliers, trasformazione dei dati, aggiustamento spaziale dei dati); 3. Analisi dei dati intrasito (medie genotipiche aggiustate, ereditabilità individuale e genotipica, correlazione fra caratteri, eterosi); 4. Analisi dei dati intersito (componenti della varianza, correlazione fra siti per singoli caratteri). ; In the last years new lines of search have been developed applied to the sour-forest field, finalized to the development of the best techniques and to the selection and the genetic improvement of material vegetable for the production of the biomass. These studies experience them have been favourite from the political necessities generated from the excessive energetic consumption of the Countries industrialize to you and emerged subject to an intense economic development and the contemporary increase of the costs of the fossil energetic sources. The sparsity of these sources, and their implicit increase of price, are the consequence of the inborn sparsity of these assets in along period, of the meaningful increase of the not supported total question from a production increase in the long and medium term, and of the continuous political-military tensions that have in many States producers. For the production of the biomass in sour-forest field, the forest plantations to short turn (Short Rotation Forestry) will only be able to have a meaningful role if the difficulties, of technical and economic nature, today found in this particular field of agriculture, will be faced and resolved. In Italy, the species considered useful for these productions is those to express increase of the kinds Eucaliptus L., Populus L. and Salix L. In lands it considers marginal assumes the employment you of Robinia pseudoacacia L. As far as the Populus genus of trees, it objects it you of the selection activity and genetic improvement heads to obtain a high production, an express increase and one greater tolerance to the stress. Near the Department of Forest Resources and Environment (DiSAFRi) of the University of the Tuscia, in the last years have been realized collections of germplasm of Populus, in particular of Populus alba L. and Populus nigra L. The collected genetic material has been developed to the inside of the Agrarian Company of the University of the Tuscia, whose progeny have constituted families of stepbrothers (half sib). The single genotypes have been identifying to you for means of a code, which it renders the identification of the family and the population of belongings possible. Beyond to the former conservation ex-situ, these families half sib turn out to be an optimal line of departure for studies of genetics of the populations and quantitative genetics. The quantitative characters you, to the base of the production of the biomass, can be comprised through the study of the progeny first generation generated from genotypes of poplar pertaining to the same different species or species. Consequently, it has been generated pedigree that the widest genetic variability of the species enclosed, using of the coming from ancestral celebrations from atmospheres and various latitudes much. The pedigree of poplar white man, called POP4 (142 genotypes), studied in this activity of search, have been obtained from the crossing of the ancestral celebrations "14P11" and "6K3", that they make part of natural populations very distinguished. "14P11" it is the feminine parent (♀), and belongs to the family deriving from the plant mother 14P, original of southern Italy (Policoro, MT). "6K3" (♂), that it belongs to the family 6K, it is original of northern Italy (Carcare, SV). In the within of the European plan of search, called POPYOMICS, through the study of this progeny it is tried to estimate and to comprise the importance of some quantitative characters been involved you in the production of the biomass in the native species of P. alba. This activity of integral search with studies of necessary molecular Biology to the location of the genetic markers been involved in the expression of the characters, using an analysis QTL (Quantitative Trait Loci) finalized to the genetic improvement and the development of the selection assisted from molecular markers (MAS). The experimentation has been lead in three situated ones situates to you in England, France and Italy. The systems have been realize to you and managed with the same technical criteria. The characters estimated in the experimentation can be distinguished in characters legacies to the increase and the production, circumference, height, index of volume, production of biomass, in characters legacies to the morphology of the leaf, leaf area and length of the petiole, and in characters who describe the ramification of the plants, number of branches sylleptic and index of branches. In order to catch up he objects it to you places, the experimentation has been second lead a general plan of job very defined. Such slowly he is subdivided second this makes yourself: 1. Collection of the data; 2. Correction of the data (location of the outliers, transformation of the data, adjustment spaces them of the data); 3. Analyses of the data intra-site (medium fixed genotypic, hereditability characterize them and genotypic, correlation between characters, heterosis); 4. Analysis of the data inter-site (components of the variance, correlation between situated for single characters).
Dottorato di ricerca in Storia d'Europa: società, istituzioni e sistemi politici europei,19.-20. secolo ; Per comprendere appieno come sia nata la proposta francese di una Comunità Europea di Difesa (CED) rivolta ai paesi dell'Europa occidentale, è necessario ricostruire il quadro storico alla fine della seconda guerra mondiale, con particolare riferimento ai rapporti tra le potenze alleate e al nuovo assetto territoriale della Germania. Il primo capitolo analizza le decisioni del secondo dopoguerra (a partire dall'accordo franco-sovietico di Mosca del dicembre 1944 in funzione anti-tedesca) tese a garantire la demilitarizzazione tedesca fino al mutamento strategico conseguente alla contrapposizione tra il blocco occidentale e l'Unione sovietica: lo scopo centrale di questa parte del testo è di analizzarne il punto di svolta, con l'inversione dell'atteggiamento alleato nei riguardi della Germania sconfitta. L'intera ricerca si poggia su un'analisi di tipo storiografico, sia di storia delle istituzioni che delle relazioni internazionali, che vuole mettere alla prova comparata delle fonti d'archivio americane e francesi (con particolare riferimento ai fondi transalpini solo ora disponibili alla consultazione, a 60 anni dalla conclusione della vicenda CED) le principali tesi prodotte dalla letteratura sul riarmo della Germania e sull'esercito europeo. Si descrive quindi il processo decisionale che autorizzò, da parte degli Stati Uniti, della Francia e della Gran Bretagna durante la Conferenza di Londra, l'utilizzo delle risorse economiche e industriali della Germania occidentale occupata per il consolidamento dello sforzo difensivo atlantico; attraverso l'esame di fonti primarie transalpine è stata inoltre analizzata la percezione, da parte francese, del contrasto in atto tra i due dicasteri americani degli Esteri e della Difesa in merito al possibile concorso tedesco alle forze di difesa, con le proposte che filtravano dall'alto commissario statunitense Mc Cloy e dal suo staff. Le proposte lanciate dalla tribuna dell'Assemblea consultiva del Consiglio d'Europa, prima da Bidault e poi da Churchill in merito alla necessità di creare un esercito europeo, mettevano quindi in luce un cambiamento decisivo negli obiettivi strategici delle potenze occidentali: fino allo scoppio della guerra di Corea la preoccupazione maggiore nello scacchiere europeo era d'impedire che la Germania potesse riguadagnare uno status tale da minacciare la pace nel mondo; dopo l'apertura delle ostilità nel lontano continente asiatico, l'attenzione dei governi 2 dell'alleanza atlantica si era focalizzata sulle modalità per accrescere l'apparato difensivo atlantico nell'Europa continentale, per far fronte alla minaccia sovietica. Alcuni Stati, come la Francia e gli altri paesi occidentali che avevano subito in passato le invasioni delle armate tedesche, continuavano però a percepire come maggiormente attuale il pericolo di una rinascita della potenza militare ed economica della Germania, se pur divisa: queste le due visioni destinate a determinare un confronto molto aspro tra i principali alleati atlantici durante l'estate e l'autunno del 1950, che portò alla formulazione di due distinti e contrapposti piani di riarmo della Germania Occidentale. Nel secondo e nel terzo capitolo si descrivono conseguentemente, anche mediante una revisione completa e approfondita della letteratura scientifica al riguardo, i due distinti piani di riarmo, successivi cronologicamente e legati da un rapporto di causa ed effetto: l'evoluzione della posizione dell'amministrazione Truman, a partire dalle due diverse proposte del Pentagono e della Segreteria di Stato sulla politica nei confronti della Germania, per arrivare poi alla decisione finale di presentare un piano denominato "one package" agli alleati francesi e inglesi a New York il 12 settembre 1950; questa proposta del segretario di Stato Acheson ebbe come conseguenza un periodo di profonda riflessione nell'esecutivo francese, che portò alla formulazione del "piano Pleven" per la creazione di un esercito europeo. L'obiettivo di questi due capitoli centrali è quindi di mostrare prima come le mutate condizioni strategiche avessero condotto l'amministrazione Truman a chiedere agli alleati atlantici un poderoso rafforzamento del dispositivo militare in Europa che comprendesse anche forze militari tedesche e poi evidenziare che solo in reazione a questo piano americano, non quindi per un'autonoma volontà politica, il governo francese avesse elaborato una contro-proposta, che sarebbe stata la base da cui elaborare l'esercito europeo e la sovrastruttura istituzionale destinata a garantirne il funzionamento, la Comunità europea di Difesa. Il quarto e ultimo capitolo è dedicato interamente alla ricostruzione delle trattative diplomatiche che portarono alla firma del trattato CED, mediante il confronto sistematico dei principali fondi francesi e americani: partendo dall'analisi dei rigurgiti isolazionisti negli USA, si descrivono prima i lavori della Conferenza di Parigi con la stesura del Rapport Intérimaire e poi le attività della Conferenza per l'organizzazione di una Comunità europea di Difesa fino alla firma del trattato CED del 27 maggio 1952; la stesura del capitolo rende conto anche dell'importanza di alcune figure fondamentali (come i diplomatici McCloy e Bruce o come Eisenhower, nella duplice veste di Comandante supremo atlantico e poi di presidente) o di alcuni snodi determinanti, come la svolta federalista della delegazione italiana alla Conferenza. 3 Questo lavoro di ricerca sulla Comunità europea di Difesa vuole quindi ripercorrere una vicenda fondamentale per la nascita delle istituzioni europee, dalle sue origini radicate al termine del secondo conflitto mondiale e fino alla firma del trattato di Parigi, che sembra di profonda attualità nell'attuale dibattito sulla cessione di sovranità dagli Stati nazionali all'Unione europea, nel campo della Difesa e della politica estera. Il confronto tra i fondi americani e francesi, in particolare quelli di recente apertura alla consultazione dei ricercatori, ha permesso di aggiungere alcuni elementi di originalità alla descrizione del processo di riarmo della Germania e delle trattative tra gli alleati per la nascita dell'esercito europeo. ; The Second World War ended with an onerous legacy for the European Continent: the conflict has brought damage, poverty and the spectre of a new fight between Western countries and the Soviet Union. In that period, the USSR maintained the mobilization of the Armed Forces while the Russian soldiers were settled in Germany. This opposition has divided post-war Europe into two different blocs or coalitions: on the one hand Western Europe countries, which were starting a difficult recovery assisted by American aid, and on the other hand Eastern Europe under Soviet hegemony. In this complex scenario, the German role became increasingly central. Within this historical background, the first important attempt to build a European policy was focused on common defence, through the Treaty instituting the European Defence Community (EDC). In the light of this premise, the EDC affair seems paradigmatic for the analysis of the European dawn: on one side the founding fathers have looked for a solution to the divisions in the continent, but on the other side national self-interests have affected the path for ratifying the EDC Treaty, till the French refusal to ratify, by the French Assembly on 1954, August 30th. The aim of my Doctoral Research Thesis is divided in four different chapters: - in the first one, the object is related to the study and the description of the German role in post-war Europe and its rearmament, from the end of WWII to the mid 1950s, when the United States urged Western allies to use the German industrial and military potential; - secondly, the American proposal called 'one package', presented by Acheson on September 1950, is illustrated with regard to the existing international literature and primary sources; 2 - the third chapter deals with the French proposal to control German rearmament, the 'Pleven Plan', and the Petersberg talks; - finally, the agenda and the deliberations of the Paris Conference regarding the EDC, which started the 15th February 1951 up to 27th May 1952, when the EDC Treaty was signed. I am also researching an original aspect in my thesis, with regard to the state of the art in EDC studies: a synchronic comparison of EDC events in France and the USA based on the original documents preserved in different Archives in the United States and in France: in the recent past, 60 years after the "defeat" of the EDC, other primary sources were declassified, mostly in Paris. The research has focused on the studies that put this issue in the perspective of historiography. Several French works about the EDC could be cited, such as the texts by Clesse A.(Le projet de C.E.D. du Plan Pleven au "crime du 30 août. Histoire d'un malentendu européen, 1989), by Aron R., Lerner D. eds. (La querelle de la C.E.D. essais d'analyse sociologique, 1956), by Moch J. (Histoire du réarmement allemand depuis 1950, 1965), by Fabre-Luce A. (Lettre sur la CED, 1954) and the essays by Vial P. (Redécouvrir la CED, 1992), by Poidevin R. (La France devant le problème de la CED: incidences nationales et internationales - été 1951 à été 1953, 1983), by Guillen P. (Les chefs militaires français, le réarmement de l'Allemagne et la CED 1950-1954, 1983), by Vaïsse M. (Le général de Gaulle et la défense de l'Europe, 1947-1958, 1992), by Rioux J. P. (L'opinion publique française et la CED: querelle partisane ou bataille de la mémoire?, 1994). With regard to Italian works, studies which stand out for their significance are the studies by Preda D. (Storia di una speranza: la battaglia per la CED e la Federazione europea nelle carte della Delegazione italiana 1950-1952, 1990), by Preda D. (Sulla soglia dell'Unione: la vicenda della Comunità Politica Europea 1952-1954, 1994), by Ballini P. L. ed. (La Comunità Europea di Difesa (CED), 2009), by Bertozzi S. (La Comunità Europea di Difesa. Profili storici, istituzionali e giuridici, 2003), by Caviglia D., Gionfrida A. (Un'occasione da perdere. Le Forze Armate italiane e la Comunità Europea di Difesa 1950-54, 2009). Finally, a series of American and British studies concerning the European Defence Community and the "German question" were appraised, such as the works by Fursdon E. (The European Defence Community: a history, 1980), by Ruane K. (The Rise and Fall of the European Defence Community, Anglo-American Relations and the crisis of European Defence 1950-55, 2000), by Lundestad G. (Empire by integration: The U.S. and European Integration, 1945-1997, 1998) by Armitage D. T. jr. (A comparative analysis of U.S. policy toward European defense autonomy. Enduring 3 Dilemmas in Transatlantic Relations, 2008), by Risso L. (Divided we stand: the French and Italian political parties and the rearmament of West Germany 1949-1955, 2007), by Hunter R. E. (The European Security and Defence Policy, NATO's Companion – or Competitor?, 2002), by Hitchcock, W. I. (France restored: Cold War diplomacy and the quest for leadership in Europe, 1944-1954, 1998), by McAllister, J. (No Exit: America and the German problem, 1943-1954, 2002). With regards to the methodology, the research has been conducted following the comparative approach as described by Bloch M. (Pour une histoire comparée des sociétés européennes, 1923), by Braudel F. (Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, 1976), by Haupt H. G. (European History as Comparative History, 2004 and Comparative History – a Contested Method, 2007).
L'oggetto di questa tesi è la peculiare comparsa del termine imperator in un numero esiguo, ma comunque significativo di documenti provenienti dal regno di Asturia e León e dalla Britannia del X secolo. Se già di per sé questa sorta di "incongruenza storica" cattura l'attenzione, il fatto che i due fenomeni imperiali siano praticamente contemporanei e si sviluppino in due contesti molto distanti nello spazio, senza un apparente collegamento, evidenzia l'opportunità di uno studio comparativo. Ad una più attenta analisi, non si può fare a meno di notare come, in entrambi gli ambiti, il secolo immediatamente precedente sia stato caratterizzato da un momento particolarmente favorevole per la cultura – el renacimiento asturiano e the alfredian renaissance – reso possibile dall'azione attiva di due monarchi, Alfonso III di Asturia e León (866-910) e Alfred di Wessex (871-899). Nelle corti di questi sovrani vennero redatte delle cronache (le Crónicas Asturianas e la Anglo-Saxon Chronicle) nelle quali si proponeva una chiave di lettura della storia tesa a ricercare una nuova identità per i rispettivi popoli e si sottolineava il ruolo centrale delle rispettive dinastie regnanti. L'obiettivo della tesi è pertanto duplice: da una parte si desidera comprendere in quale modo e in quale senso sia stato utilizzato il termine imperator nella documentazione presa in esame, dall'altra si prova a capire quale peso ebbero le nuove identità etniche, religiose e territoriali, elaborate nelle già citate cronache, all'interno di questi fenomeni imperiali. Per una miglior resa dell'argomentazione si è deciso di dividere la tesi in due blocchi, il primo dedicato alle cronache del IX secolo e il secondo ai documenti in cui compare il titolo imperiale, risalenti al secolo successivo. A sua volta ciascun blocco si divide quindi in due capitoli, all'interno dei quali le tematiche vengono declinate nel caso ispanico e in quello anglosassone. La tesi si apre con la presentazione dei criteri impiegati nella selezione del corpus di "documenti imperiali" (Cap. 1) – nome con cui si definiscono i diplomi al cui interno compare il titolo di imperator – che ammontano ad un totale 38, di cui 20 asturiano-leonesi (privati e pubblici) e 18 anglosassoni (esclusivamente pubblici). A seguire viene fornito il contesto storico (Cap. 2) e lo status quaestionis (Cap. 3). Nel primo capitolo del primo blocco (Cap. 4) vengono trattate le tre cronache prodotte nella corte asturiano-leonese alla fine del IX secolo: conosciute anche come Crónicas Asturianas, sono intitolate rispettivamente Crónica Albeldense, Crónica Profetica e Crónica de Alfonso III. Per rendere il quadro qui esposto il più completo possibile si inizia trattando il patrimonio librario a disposizione degli autori delle cronache. A seguire si delineano i profili delle tre opere, soffermandosi in particolar modo sulla loro paternità e datazione. Si forniscono quindi indicazioni sulla tradizione manoscritta di queste cronache per poi tracciare un percorso tra le fonti. In questa parte si chiariscono concetti come quello di identità (etnica, religiosa e geografica), e si assiste alla comparsa di temi storiografici come quelli della Reconquista e del neogoticismo. Questi elementi costituiscono il punto di partenza per un ragionamento teso a far emergere il background ideologico comune a tutte e tre cronache. Nel corrispettivo capitolo inglese (Cap. 5) si delinea un profilo della produzione letteraria, in particolare storiografica, che ha caratterizzato le ultime due decadi del IX secolo anglosassone. Si inizia inquadrando gli uomini che formarono parte della cosiddetta alfredian reinassance per poi analizzare il ruolo avuto, all'interno di questo momento di rinascita culturale, dalle traduzioni in Old English delle grandi opere storiografiche. Infine, si propone una rilettura dell'unica opera storiografica scritta ex novo – l'Anglo-Saxon Chronicle – dalla quale emerge come fil rouge il concetto di overlordship. Questo è il nome che gli studiosi moderni hanno dato all'autorità che alcuni re anglosassoni poterono esercitare al di sopra degli altri regni dell'isola: si trattava di una supremazia principalmente militare che portava un re, per periodi spesso brevi, ad imporre la propria sovranità – e talvolta dei tributi – a popolazioni diverse dalla propria. Questa idea di sovranità sovrapposta era già presente in Beda e viene recuperata dai cronisti anglosassoni che la ricollegano, in maniera evidente, alla dinastia dei re del Wessex, coniando per quei re che la detennero la parola bretwalda. A conclusione del primo blocco è presente un capitolo di confronto (Cap. 6) che permette di tirare le somme della prima metà della tesi. Si ribadiscono alcuni punti in comune tra i due casi di studio qui definiti "macrocongruenze": sia la Britannia che la Spania erano parte dell'impero romano, ma non di quello carolingio e subirono un'invasione durante l'Alto Medioevo (danesi/norvegesi la prima e islamici la seconda); in entrambi i casi la produzione di cultura scritta durante il IX secolo orbitava attorno alla figura del monarca; le cronache del periodo celebrano la dinastia regnante come elemento cardine della storia "nazionale" e così facendo ne legittimano l'autorità; fra le pagine di queste cronache vengono proposte nuove identità per entrambe le popolazioni. Tuttavia, al di là di queste evidenti somiglianze, si è notato come, all'interno della cronachistica, si sia arrivati a due modi particolari di rappresentare sé stessi, il proprio regno, il proprio popolo e il proprio contesto geografico. Sono queste differenze a suscitare un particolare interesse dal momento che, come è stato chiaro sin dalla sua fase embrionale, in nessun modo lo scopo di questa ricerca è l'omologazione: non si sta cercando di uniformare la storia inglese del IX e X secolo con quella spagnola dello stesso periodo, per quanto esse abbiano sicuramente dei punti in comune. Nel capitolo di confronto si riflette quindi sulle particolari soluzioni autorappresentative soluzioni a cui sono giunti i cronisti asturiani e anglosassoni riguardo a tre punti chiave: il recupero del passato, la concezione territoriale dell'ambiente geografico e la questione identitaria. Non si può infatti trascurare il differente peso che ebbero nei relativi ambiti il ricordo del regno visigoto e quello dell'Eptarchia anglosassone e dunque, rispettivamente, le opere di Isidoro di Siviglia e Beda il Venerabile. Sarebbe inoltre sbagliato non sottolineare le differenze tra le due nuove proposte identitarie: quella inglese su base spiccatamente etnica (Angelcynn) e quella ispanica su base principalmente religiosa (regnum Xristianorum). Non poteva infine mancare un paragrafo dedicato ai differenti rapporti tra i due ambiti studiati e il mondo carolingio contemporaneo. Nel secondo blocco vengono sviscerati i fenomeni imperiali. Il capitolo dedicato all'ambito ispanico (Cap. 7) si apre con una riflessione sulle varie figure di scriptores del regno di León e sul peso avuto dai formulari visigoti nella documentazione altomedievale. Al principio del corrispettivo capitolo inglese (Cap. 8) vengono invece presentati due casi di utilizzo del termine imperiale precedenti il X secolo: quello di sant'Oswald di Northumbria (634-642) nella Vita Sancti Columbae di Adomnano di Iona e quello di Coenwulf di Mercia (796-821) nel documento S153. Seguono due paragrafi dedicati alla documentazione di Edward the Elder (899-924) e Æthelstan (924-939) che mettono in luce un sostanziale sviluppo della titolatura regia, indice di un progressivo ampliamento dell'autorità di questi monarchi. Il centro di entrambi i capitoli del secondo blocco consiste nella dettagliata analisi dei documenti imperiali e nelle riflessioni che da questa scaturiscono. Nel caso spagnolo è possibile affermare con una certa sicurezza che l'uso del titolo imperator ebbe inizio con il figlio, Ordoño II, che lo attribuì al padre per rafforzare la propria posizione di re di León. Tra la morte di Ordoño II (924) e l'ascesa al trono di Ramiro II (931) il titolo cominciò ad essere adoperato anche nella documentazione privata, senza per questo scomparire da quella regia. Non è purtroppo possibile cercare di ricondurre il fenomeno imperiale ispanico alla figura di uno scriptor in particolare – a differenza del caso inglese –; va però fatto presente che alcuni testi risalenti alla seconda metà del secolo differiscono dai documenti di Ordoño II nell'impiego del termine, poiché questo viene usato in riferimento al re vivente, anziché al padre defunto. Il titolo, almeno all'inizio del X secolo, non sembra riflettere un'autorità superiore (per l'appunto imperiale), ma richiama la sua più antica accezione, quella di "generale vittorioso" e costituisce una prerogativa dei sovrani leonesi. Per quanto riguarda il fenomeno imperiale inglese, invece, è possibile individuare un punto di inizio nei famosi alliterative charters, probabilmente redatti da Koenwald di Worcester (928/9- 957), sulla cui paternità si discute lungamente nella tesi. Sembra chiaro che imperator altro non sia che la traduzione latina di quello che gli storici hanno definito overlord. Tramite l'impiego di tale titolo i sovrani anglosassoni hanno voluto rappresentare la loro crescente egemonia sugli altri regni dell'isola, rivendicando così un'autorità più territoriale che etnica. Occorre però far presente che l'uso della terminologia imperiale forma parte di quel più ampio processo di evoluzione della titolatura regia già iniziato con Edward the Elder. Queste riflessioni vengono poi messe in relazione con quelle del primo blocco e sviluppate nelle conclusioni (Cap. 9). Esse vertono su quattro punti fondamentali: l'uso del documento e della lingua latina nei due ambiti; la Britannia e la Spania come universi a sé; il significato di imperator nei due contesti documentari; la concezione territoriale come presupposto teorico e geografico di questo utilizzo. La lettura delle fonti ci permette di affermare che entrambi i contesti rappresentavano per i rispettivi sovrani degli universi idealmente a sé stanti. I sovrani leonesi e anglosassoni ereditarono dai loro predecessori non solo una "missione" politica – di riconquista per i primi e di controllo per i secondi –, ma anche una specifica concezione – diversa per ciascun caso – dell'ambiente geografico in cui si trovavano a operare. La Britannia del re-imperatore anglosassone è la Britannia di Beda, frammentata e divisa, eppure tutto sommato unita. La Spania dei re leonesi è la Spania di Isidoro, unita, omogenea, ma drammaticamente perduta. Tuttavia, per il caso spagnolo e nel periodo qui preso in esame, al titolo non venne mai accostato un riferimento spaziale che rimandasse ad un dominio su tutta la penisola. In quello inglese, invece, tale accostamento ci fu, ma il riferimento geografico alla Britannia non fu un'esclusiva del titolo imperiale. Possiamo quindi dire che, nel caso inglese, il titolo nacque per il bisogno di tradurre in latino un'autorità indiretta ed egemonica (come quella di un rex regum), e perse poi questo significato – e quindi l'uso –, quando la situazione politica del regno si modificò; nel caso spagnolo invece, avvenne un'elaborazione quasi simmetricamente opposta. Il titolo, inizialmente usato nel suo significato più antico di "generale vittorioso" o "signore potente", venne poi reinterpretato quando nell'XI e XII secolo cambiarono gli equilibri politici della penisola. In questo periodo troviamo infatti sovrani come Alfonso VI e Alfonso VII impiegare titolature quali imperator totius Hispaniae. In entrambi i casi, l'imperator venne inteso come sinonimo di rex regum, ma in due momenti diversi: ovvero quando ve ne fu effettivamente bisogno. La tesi è provvista di mappe e della bibliografia, divisa tra fonti e studi. Inoltre si è considerato utile aggiungere in appendice i testi dei documenti imperiali. ; The subject of this thesis is the peculiar presence of the term imperator in a small, but still significant, number of 10th century documents from the reign of Asturia and León and from Britain. The fact that these two "imperial phenomena" coexisted and developed in two very distant contexts, without an apparent connection, makes a comparative study necessary. Also, in both areas the previous century was characterized by a particularly favorable moment for culture - el renacimiento asturiano and the alfredian renaissance - made possible by the action of two monarchs, Alfonso III of Asturia and León (866-910) and Alfred of Wessex (871-899). In these sovereigns' courts, chronicles were drawn up (the Crónicas Asturianas and the Anglo-Saxon Chronicle), proposing an interpretation of history which tend to seek a new identity for the respective peoples, highlighting the central role of the respective ruling dynasties. The aim of the thesis is therefore twofold: on the one hand, to understand in what way and in what sense the term imperator was used in the documentation examined; on the other hand, to estimate what weight the new ethnic, religious and territorial identities had within these imperial phenomena. For a better performance of the argument, it was decided to divide the thesis into two parts, the first dedicated to the chronicles of the 9th century and the second to the documents of the following century in which the imperial title appears. In turn, each part is divided into two chapters focused on Hispanic and Anglo-Saxon cases. The thesis opens with the presentation of the criteria used in the selection of the corpus (Ch. 1), which amounts to a total of 38 imperial documents, of which 20 Asturian-Leonese (private and public) and 18 Anglo-Saxon (exclusively public). The historical context (Ch. 2) and the status quaestionis (Ch. 3) are provided below. The first chapter of the first part (Ch. 4) deals with the three chronicles produced in the Asturian-Leonese court at the end of the 9th century. Also known as Crónicas Asturianas. they are respectively entitled Crónica Albeldense, Crónica Profetica and Crónica de Alfonso III. This chapter starts treating the Asturian library, available to the authors of the chronicles, and follows with the description of each chronicle, focusing on their paternity and dating. It then provides information about the manuscript tradition of each chronicle and it finally ends with an overall reading of the sources. Here, concepts such as identity (ethnic, religious and geographic) are clarified, and we observe the origin of historiographic themes such as those of the Reconquista and neo-Gothicism. These elements constitute the starting point for a reflection aimed at bringing out the ideological background common to all three chronicles. In the corresponding English chapter (Ch. 5) is outlined a profile of the literary production, in particular historiographic, which characterized the last two decades of the 9th century in England. We start by framing the men who formed part in the so-called alfredian reinassance and then analyze the role played in this moment of cultural rebirth by the translations in Old English of the great historiographic works. Finally, we propose a rereading of the only historiographic work written ex novo, the Anglo-Saxon Chronicle, where the concept of overlordship emerges as a common thread. Overlordship is the name that modern scholars have given to the authority that some Anglo-Saxon kings were able to exercise over other kings in the island. It is a predominantly military supremacy which leads a king, for often short periods, to impose his sovereignty - and sometimes tributes - on populations other than his own. This idea of overlapped sovereignty was already present in Beda and is recovered by the Anglo-Saxon chroniclers who relate it, explicity, to the dynasty of the kings of Wessex, coining for those kings who held it the term bretwalda. At the end of the first part there is a comparison chapter (Ch. 6) that draws the conclusions of the first half of the thesis. Some points in common (here called "macrocongruenze") between the two case studies are reiterated: both Britain and Spania formed part of the Roman Empire, but not of the Carolingian Empire and both suffered an invasion during the Early Middle Ages (Danes / Norwegians and Muslims); in both cases the production of written culture, during the 9th century, orbited around the figure of the monarch; the chronicles celebrate the reigning dynasty as the centre of "national" history to legitimize its authority; among the pages of these chronicles new identities are proposed for both populations. However, beyond these obvious similarities, it has been noted that the chronicles adopted two different ways of self-representing themselves, their kingdom, their people and their geographical context. The comparison chapter therefore reflects on three key points: the recovery of the past, the territorial conception of the geographical environment and the identity issue. In fact, we cannot neglect the different importance that the memory of the Visigoth kingdom and of the Anglo-Saxon Heptarchy (and therefore, respectively, the works of Isidore of Seville and the Venerable Bede) had. It would also be wrong not to underline the differences between the two new identity proposals: the English one had a distinctly ethnic base (Angelcynn), while the Hispanic base was mainly religious base (regnum Xristianorum). The last paragraph if finally dedicated to the different relationships between the two areas studied and the contemporary Carolingian world could not be missing. In the second block imperial phenomena are examined. The chapter dedicated to the Hispanic context (Ch. 7) opens with a reflection on the various figures of scriptores of the kingdom of León and on the weight of Visigoth formulae in the early medieval documentation. At the beginning of the corresponding English chapter (Ch. 8) are presented two cases of a use of the imperial term preceding the 10th century: that of Saint Oswald of Northumbria (634-642) in the Adomnan of Hy's Vita Sancti Columbae of and that of Coenwulf of Mercia in the charter S153. These cases are followed by two paragraphs dedicated to Edward the Elder's and Æthelstan's documentation, which highlight a substantial development of the royal title, pointing out an expansion of the authority of these monarchs. The center of both the chapters of the second block consists in the detailed analysis of the imperial documents and in the reflections that arise from it. In the Spanish case, it is possible to affirm with some certainty that the use of the imperator title began with his son, Ordoño II, who attributed it to his father to strengthen his position as king of León. Between the death of Ordoño II (924) and the ascent to the throne of Ramiro II (931), the title also began to be employed into private documentation, without disappearing in the public one. Unfortunately, it is not possible, as it is in the English case, to trace the Hispanic imperial phenomenon back to a particular scriptor. However, it should be noted that some texts dating from the second half of the century differ from the charters of Ordoño II in the use of the term, adopting it in reference to the living king, rather than the deceased father. The title, at least at the beginning of the tenth century, does not seem to reflect a superior (or imperial) authority, but recalls its most ancient meaning, of "victorious general" and constitutes a prerogative of the Leonese sovereigns. As for the English imperial phenomenon, however, it is possible to identify a starting point in the famous alliterative charters, probably drawn up by Koenwald of Worcester (928/9- 957), whose authorship is largely discussed in the thesis. It seems clear that imperator is nothing but the Latin translation of what historians have called overlord. Through the use of this title, the Anglo-Saxon rulers wanted to represent their growing hegemony over the other kingdoms of the island, thus claiming a more territorial than ethnic authority. However, it should be noted that the use of imperial terminology forms part of the broader process of evolution of the royal title that started with Edward the Elder. These reflections are then related to those of the first part and developed in the conclusions (Ch. 9). They focus on four fundamental points: the use of the documentation and the Latin language in the two areas; Britain and Spania as self-contained universes; the meaning of imperator in the two documentary contexts; the territorial conception as a theoretical and geographical assumption of this use. Reading the sources allows us to affirm that both contexts represented universes ideally self-contained for their respective sovereigns. The Leonese and Anglo-Saxon rulers inherited from their predecessors not only a political "mission" - reconquering for the former and control for the latter -, but also a specific conception - different for each case - of the geographical environment in which they found themselves operate. The Britannia of the Anglo-Saxon king-emperor is Bede's Britannia, fragmented and divided, but spiritually united. The Spania of the Leonese kings is Isidoro's Spania, united, homogeneous, but dramatically lost. However, for the Spanish case in the period examined here, the imperial title was never related to a geographical reference; in the English one, the geographical reference to Britannia existed, but was not exclusive to the imperial title. We can therefore say that, in the English case, the title was born out of the need to translate into Latin an indirect and hegemonic authority (like that of a rex regum), and then lost this meaning - and therefore the use - when the political situation of the kingdom changed. In the Spanish case, conversely, an almost symmetrically opposite processing took place. The title, initially used in its oldest meaning as "victorious general" or "powerful lord", was reinterpreted in the 11th and 12th centuries, when the political balance of the peninsula changed. In this period, we find in fact rulers like Alfonso VI and Alfonso VII employing titles such as imperator totius Hispaniae. In both cases, the emperor was intended as a synonym for rex regum, but in two different moments - always when it was more needed. The thesis is equipped with maps and bibliography, divided between sources and studies. Furthermore, it was considered useful to add a final appendix with the texts of the imperial documents. ; El tema de esta tesis es la aparición peculiar del término imperator en un número pequeño, pero significativo, de documentos del siglo X procedentes de los reinos de Asturias y León y de Inglaterra. Si en sí mismo este tipo de "coincidencia histórica" capta la atención, el hecho de que los dos fenómenos imperiales sean prácticamente contemporáneos y se desarrollen en dos contextos muy distantes en el espacio, sin una conexión aparente, pone de manifiesto la necesidad de un estudio comparativo. Tras una ulterior búsqueda, no pasa desapercibido cómo, en ambas áreas, el siglo inmediatamente anterior se caracterizó por ser un momento particularmente favorable para la cultura – el renacimiento asturiano y the alfredian reinassence –, hecho posible por la acción de dos monarcas, Alfonso III de Asturias y León (866-910) y Alfred de Wessex (871-899). En los entornos de estos soberanos, se elaboraron crónicas (las Crónicas Asturianas y la Anglo-Saxon Chronicle) que proponían una lectura de la historia destinada a buscar una nueva identidad para los respectivos pueblos, subrayando el papel central de las respectivas dinastías gobernantes. El objetivo de la tesis es, por lo tanto, doble: por un lado, se quiere entender de qué manera y en qué sentido se utilizó el término imperator en la documentación examinada y, por otro lado, tratamos de comprender qué peso tenían las nuevas identidades étnicas, religiosas y territoriales, dentro de estos fenómenos imperiales. Para una mejor presentación de los argumentos, se decidió dividir la tesis en dos bloques: el primero dedicado a las crónicas del siglo IX y el segundo a los documentos del siglo siguiente en los que aparece el título imperial. A su vez, cada bloque se divide en dos capítulos donde se desarrollan las temáticas en los casos hispanos y anglosajones. La tesis comienza con la presentación de los criterios utilizados para la selección del corpus de "documentos imperiales" (Capítulo 1) – los diplomas donde aparece el título de imperator –, que asciende a un total de treinta y ocho, veinte de los cuales son asturianos-leoneses (privados y públicos) y dieciocho anglosajones (exclusivamente públicos). El contexto histórico (Capítulo 2) y el status quaestionis (Capítulo 3) se proporcionan a continuación. En el primer capítulo del primer bloque (Capítulo 4) se presentan las tres crónicas producidas en la corte asturiano-leonesa a finales del siglo IX. También conocidas como Crónicas Asturianas, estas son la Crónica Albeldense, la Crónica Profética y la Crónica de Alfonso III. Para conseguir una visión lo más completa posible, comenzamos viendo los libros que los autores de las crónicas tenían a su disposición. A continuación, se analizan las tres obras, con una particular atención a su autoría y datación. Finalmente, proporcionamos indicaciones sobre la tradición manuscrita de estas crónicas y trazamos un camino entre las fuentes. En esta parte se van perfilando cuestiones cruciales, como la identidad (étnica, religiosa y geográfica), y temas historiográficos, como la Reconquista y el neogoticismo. Estos elementos constituyen el punto de partida para un razonamiento destinado a resaltar el trasfondo ideológico común a las tres crónicas. En el capítulo sucesivo (Capítulo 5) se traza un perfil de la producción literaria, en particular historiográfica, que caracterizó las últimas dos décadas del siglo IX anglosajón. Se comienza enmarcando a los hombres que formaron parte del llamado alfredian reinassance y analizando sucesivamente el papel desempeñado por las traducciones en Old English de las grandes obras historiográficas en este momento de renacimiento cultural. Finalmente, proponemos una nueva lectura de la única obra historiográfica escrita desde cero, la Anglo-Saxon Chronicle, a partir de la cual el concepto de overlordship emerge como un hilo conductor. Este es el nombre que los eruditos modernos le han dado a la autoridad que algunos reyes anglosajones pudieron ejercer sobre los otros reyes de la isla. Es una supremacía predominantemente militar que lleva a un rey – a menudo por períodos cortos – a imponer su soberanía, y a veces tributos, a poblaciones distintas de la suya. Esta idea de soberanía superpuesta ya estaba presente en Beda y es recuperada por los cronistas anglosajones que la relacionan, evidentemente, con la dinastía de los reyes de Wessex, acuñando para aquellos reyes la palabra bretwalda. Al final del primer bloque hay un capítulo de comparación (Capítulo 6) que permite resumir las conclusiones de la primera mitad de la tesis. Se reiteran algunos puntos en común entre los dos estudios del caso: tanto Britannia como Spania formaron parte del Imperio Romano, pero no del Imperio Carolingio y sufrieron una invasión durante la Alta Edad Media (Daneses / Noruegos e islámicos); en ambos casos, la producción de cultura escrita durante el siglo IX orbitaba alrededor de la figura del monarca. Las crónicas resultantes de este período celebran la dinastía reinante como la piedra angular de la historia "nacional" y al hacerlo legitiman su autoridad; entre las páginas de estas crónicas se proponen nuevas identidades para ambas poblaciones. Sin embargo, más allá de estas similitudes obvias, se ha observado que dentro de las crónicas ha habido dos formas particulares de representación de sí mismos, de su reino, de su gente y de su contexto geográfico. Son estas diferencias las que despiertan un interés particular, ya que, como ha quedado claro desde el principio, no hay absolutamente ningún intento de homologar la historia inglesa de los siglos IX y X con la historia española del mismo período, aunque sin duda tienen puntos en común. Por lo tanto, el capítulo de comparación reflexiona sobre las particulares formas de auto-representación proporcionadas por los cronistas asturianos y anglosajones y se centra en tres puntos clave: la recuperación del pasado, la concepción territorial del entorno geográfico y la cuestión relativa a la identidad. De hecho, no podemos descuidar el peso diferente que tuvo el recuerdo del reino visigodo y el de la Heptarquía anglosajona y, por lo tanto, respectivamente, las obras de Isidoro de Sevilla y de Beda la Venerable. También sería un error no subrayar las diferencias entre las dos nuevas propuestas de identidad: la inglesa, con una base claramente étnica (Angelcynn) y la hispana, con una base principalmente religiosa (regnum Xristianorum). Finalmente, no podía faltar un párrafo dedicado a las diferentes relaciones entre las dos áreas estudiadas y el mundo carolingio contemporáneo. En el segundo bloque se examinan los fenómenos imperiales. El capítulo dedicado al contexto hispano (Capítulo 7) comienza con una reflexión sobre las diversas figuras de los scriptores del reino de León y sobre el peso de las fórmulas visigodas en la documentación altomedieval. Al comienzo del capítulo correspondiente en inglés (Capítulo 8) se presentan dos casos de uso del término imperial anterior al siglo X: el de San Oswald de Northumbria (634-642) en la Vita Sancti Columbae de Adomnano de Iona y el de Coenwulf de Mercia (796-821) en el documento S153. Siguen dos párrafos dedicados a la documentación de Edward the Elder (899-924) y Æthelstan (924-939), donde se destaca un desarrollo sustancial del título real que indica una expansión de la autoridad insular de estos monarcas. El centro de ambos capítulos del segundo bloque consiste en el análisis detallado de los documentos imperiales y en las reflexiones que surgen de esto. En el caso español se puede concluir que, aunque hay rastros de un empleo del título imperial en la documentación de Alfonso III, es posible afirmar con cierta certeza que el uso del título imperator comenzó con su hijo, Ordoño II (914-924), quien lo atribuyó a su padre para fortalecer su posición como rey de León. Entre la muerte de Ordoño II (924) y el ascenso al trono de Ramiro II (931), el título también pasó a la documentación privada, sin desaparecer de la pública. Desafortunadamente, no es posible, como en el caso inglés, tratar de rastrear el fenómeno imperial hispano hasta la figura de un escritor en particular. Sin embargo, debe tenerse en cuenta que algunos textos que datan de la segunda mitad del siglo difieren de los documentos de Ordoño II en el uso del término, ya que se emplea en referencia al rey vivo y no al padre fallecido. El título, al menos a principios del siglo X, no parece reflejar una autoridad superior (precisamente imperial), pero recuerda su significado más antiguo, el de "general victorioso" y constituye una prerrogativa de los soberanos leoneses. En cuanto al fenómeno imperial inglés, por otro lado, es posible identificar un punto de partida en los famosos alliterative charters, probablemente producidos por Koenwald de Worcester (928/9- 957), cuya autoría se discute extensamente en la tesis. Parece que imperator no es más que la traducción latina de lo que los historiadores han llamado overlord. Mediante el uso de este título, los gobernantes anglosajones querían representar su creciente hegemonía sobre los otros reinos de la isla, reclamando así una autoridad más territorial que étnica. Sin embargo, debe tenerse en cuenta que el uso de la terminología imperial forma parte de ese proceso más amplio de evolución del título real que ya comenzó con Edward the Elder. En las conclusiones (Capítulo 9) se relacionan estas reflexiones con las del primer bloque desarrollándolas. Se centran en cuatro puntos fundamentales: el papel del documento y del idioma latino en las dos áreas; Britannia y Spania como universos en sí mismos; el significado de imperator en los dos contextos documentales y, por último, la concepción territorial como una premisa teórica y geográfica de este empleo de la terminología imperial. Tras leer las fuentes podemos afirmar que ambos contextos representaban, a los ojos de sus respectivos soberanos, universos dentro del universo. Los gobernantes leoneses y anglosajones heredaron de sus predecesores no solo una "misión" política – de reconquista para los primeros y de control para los segundos – sino también una concepción específica, diferente para cada caso, del entorno geográfico en el que se encontraban. La Britannia del rey-emperador anglosajón es la Britannia de Beda, fragmentada, dividida y, sin embargo, unida. La Spania de los reyes leoneses es la Spania de Isidoro, unida, homogénea, pero dramáticamente perdida. Sin embargo, para el caso español, en el período examinado aquí, nunca se encuentra el título imperial en relación a una referencia territorial que evoque un dominio sobre toda la península. En el inglés, sin embargo, existía este uso, pero la referencia geográfica a Britannia no era exclusiva del título imperial. Por lo tanto, podemos decir que, en el caso inglés, el título nació de la necesidad de traducir al latín una autoridad indirecta y hegemónica (como la de un rex regum), y luego perdió este significado – y su uso – cuando la situación política del reino cambió. En el caso español, sin embargo, tuvo lugar un procesamiento casi simétricamente opuesto. El título, utilizado inicialmente en su significado más antiguo como "general victorioso" o "señor poderoso", fue reinterpretado más tarde cuando el equilibrio político de la península cambió en los siglos XI y XII. En este período encontramos, de hecho, gobernantes como Alfonso VI y Alfonso VII que emplean títulos como imperator totius Hispaniae. En ambos casos, imperator fue concebido como sinónimo de rex regum, pero en dos momentos diferentes; cuando realmente se necesitaba. La tesis está provista de mapas y bibliografía, dividida entre fuentes y estudios. Además, se consideró útil agregar los textos de los documentos imperiales al apéndice.