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La Sicilia
Half-title: La Sicilia nel 1876. ; Cover title. ; Includes bibliographical references. ; t.1. Franchetti, L. Condizioni politiche e amministrative della Sicilia.--t.2. Sonnino, S. I contadini in Sicilia. ; Mode of access: Internet. ; 2 14
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Donna Sicilia
In: Neue politische Literatur: Berichte aus Geschichts- und Politikwissenschaft ; (NPL), Band 40, Heft 2, S. 341
ISSN: 0028-3320
Sicilia, Sicilia, Sicilia!: diario politico di un indipendentista nel primo anno del terzo millennio
In: Saggistica
Paesaggi abusivi in Sicilia
La questione dell'abusivismo edilizio in Sicilia si può leggere come parte di un fenomeno più vasto, quello di una espansione poco programmata e costituita da una grande quantità di edifici costruiti prevalentemente a uso residenziale, tra gli anni '60 e '80, da piccoli imprenditori o da privati, e che hanno dato vita a parti di città dimensionalmente rilevanti. Questi edifici o insediamenti urbani, che si presentano ancora frammentati e incompiuti, sono riconoscibili per materiali, per povertà di linguaggio, per tecnica costruttiva prevalente. Una gran parte di essi sono stati realizzati originariamente fuori dalle regole urbanistiche prescritte, ma nel tempo hanno prodotto tessuti e paesaggi dove adesso non è più così facile, e da certi punti di vista neanche utile, distinguerli ed enuclearli con precisione dal contesto, in quanto materia in continuo divenire, infatti: - Molti edifici, mai completati, sono sempre suscettibili di evoluzioni/completamenti. - Vi è un continuo passaggio di stato degli edifici, da abusivo a legale, a volte reiterato per successivi abusi e sanatorie. - Gli iter giuridico-amministrativi danno luogo a una gamma di situazioni intermedie tra il definitivo rientro nella sfera della legalità e l'esecuzione di demolizione. - La vita che via via si è consolidata in queste aree e qualche azione sporadica di riqualificazione fa continuamente cambiare le condizioni al contorno. Dopo un'ondata di ricerca e riflessione scientifica sull'abusivismo in Sicilia negli anni '80, che ha iniziato un censimento e un approfondimento sui temi ad esso legati: autocostruzione, carenza di abitazioni, necessità di nuove infrastrutture e piani, oggi l'interesse verso la questione sembra molto più scarso e frammentario. Il termine stesso, anche a livello amministrativo, sembra essere diventato tabù, meglio parlare di infrazioni, di violazioni e non di abusivismo, parola che sembra connotare più una cultura complessiva che semplici episodi freddamente elencabili, sanzionabili e dunque risolvibili. Un'apparente abitudine a non "vedere" ha avuto ormai la meglio: la questione ha strascichi giuridici complicati, risvolti politici scomodi, la sua consistenza fisica è di edifici spesso considerati brutti perché nudi, monchi, amputati, in degrado. Una materia di base non molto invitante per la cultura architettonica più interessata alle opere alte e colte. Eppure se si decide di cominciare a "vedere" questa materia è necessario farlo con il distacco necessario a scoprirne perfino i pregi o le cose che inaspettatamente può insegnare. I momenti in cui l'abusivismo esce da questa invisibilità e conquista l'attenzione mediatica sono legati alle campagne ambientaliste, mirate alle demolizioni dei cosiddetti ecomostri, attese in una specie di rivalsa voyeurista collettiva. Questa attenzione episodica oscura la dimensione più diffusa nel territorio dei paesaggi figli dell'abusivismo, che, insoluti, ancora ci pongono delle domande. Lo stato di sospensione in cui si trovano molti immobili: demolibili, ma non demoliti, fa paradossalmente aumentare lo stato di degrado non solo degli edifici ma anche delle aree immediatamente circostanti. La stessa demolizione, giustificata su basi esclusivamente giuridiche, a volte si rivela addirittura controproducente, perché attuata in tessuti per il resto consolidati. Inoltre spesso la demolizione si limita a una azione violenta attuata tramite ruspe, tesa ad annullare la parte visibile del manufatto, senza porsi il problema di ciò che accadrà dopo ai resti di macerie e fondazioni (v. lungomare di Carini (PA)): come ridare un nuovo senso a ciò che resta? La drammaticità di alcune catastrofi naturali che hanno provocato in alcuni casi la perdita di vite umane provoca accelerazioni forzate nei processi di riqualificazione di impronta pubblica in territori ad alto rischio idrogeologico (più dell'80% dei volumi abusivi in Sicilia sono costruiti su terreni con vincoli sismico e idrogeologico). Legittimamente l'enfasi di questi progetti di emergenza è posta sulle opere di salvaguardia tecnica, che mirano a evitare future nuove catastrofi, ma altri aspetti carenti di questi luoghi, che riguardano l'uso, la vivibilità, i sistemi viari, le strategie di sviluppo, passano in secondo piano o vengono ignorati, perché meno impellenti. Giampilieri e Ponte schiavo (ME) sono esempi in cui si è tentato di interpretare il compito della messa in sicurezza al di là dei suoi aspetti puramente tecnici, integrandolo con aspetti paesaggistici e perfino di minuta riqualificazione urbana. Questo paesaggio incompiuto tende in qualche modo a completarsi. Spesso il completamento avviene per sopravvenute necessità ad opera dei proprietari, singolarmente o in gruppo. Alle sproporzioni tra le parti, agli errori tipologici o di posizionamento, si sopperisce con un repertorio decorativo fatto di particolari e finiture storicizzanti (cantonali, cornici, stucchi, ecc.), inconsapevolmente eredi della cultura iperconservativa nata per i centri storici e della stagione architettonica Postmoderna. Un'altra abitudine che si diffonde è quella di dipingere gli edifici con colori sgargianti, comunicando così a voce alta il presunto passaggio verso il mondo della legalità e della compiutezza. Legalizzare o completare un singolo edificio/oggetto comporta però un piccolo miglioramento puntuale, mentre ha poco effetto sull'insieme del paesaggio che la massa fatta di singoli edifici ha prodotto nel tempo. E' sul piano complessivo che strategie perfino immateriali di recupero provano a cambiare indirettamente l'identità di queste aree nate illegalmente. Un tentativo del genere si registra a Triscina (TP), dove la realizzazione sui margini dell'insediamento di villeggiatura abusivo di un nuovo ingresso al parco archeologico di Selinunte potrebbe innescare meccanismi virtuosi e dinamici di recupero concreto, avendo un impatto sicuro in termini di visibilità, di risvolti sugli usi e sul valore delle aree. L'arte nel frattempo si nutre e si occupa in vario modo di questi scenari, lavorando con l'immaginario che producono o con la loro consistenza fisica, con azioni paradossali e provocatorie come la fondazione del "Pizzo Sella Art village" (PA), in cui protagonisti della Street Art hanno operato su una località considerata simbolo dell'abuso, dalla storia travagliata e mai risolta. Ripensare all'abusivismo oggi richiede la consapevolezza che si tratta di aree con una condizione complessa con la quale convivere, accettando un lavoro lento di mediazione non applicabile in forme generalizzabili, ma adatte alle singole situazioni, attraverso una continua indagine sulle potenzialità, le vocazioni, le nuove necessità e la vita che vi si è consolidata.
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Arte e Architettura in Sicilia
Fra la prima età del Liberty in Sicilia, interamente dominata fino allo scadere del primo biennio del XX secolo dalla figura di Ernesto Basile (Palermo 1857-1932), e la sua lunga ultima stagione, caratterizzata da epigoni (divenuti poi del tutto impermeabili al "nuovo") e anonimi progettisti e decoratori, si svolgono i due decenni della fase di maggiore incidenza di questa tendenza stilistica nel processo di rinnovamento dei centri urbani siciliani (e in maniera più circoscritta anche di ambiti suburbani e rurali); è un periodo che vede come protagonisti lo stesso Basile, i migliori esponenti della sua "scuola" (sia quelli provenienti dalla Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri ed Architetti dell'Ateneo di Palermo sia quelli del Corso Speciale di Architettura del Regio Istituto di Belle Arti, sempre di Palermo) e un novero di architetti, ingegneri e geometri, attivi in tutta la Sicilia, autonomi (rispetto ai codici basiliani) o solo occasionalmente impegnati ad operare in chiave Liberty (talvolta influenzati dai "modi" formali di Basile, talvolta ecletticamente ricettivi di altre tendenze continentali, prevalentemente d'oltralpe); fra questi ultimi emergono Vincenzo Alagna, Emanuele Arangi, Gaetano Avolio, Paolo Bonci, Filippo Cusano, Saro Cutrufelli, Francesco Donati Scibona, Michele La Cavera, Paolo Lanzerotti, Filippo La Porta, Fabio Majorana, Tommaso Malerba, Salvatore Mazzarella, Giuseppe Manzo, Salvatore Marascia, Giuseppe Nicolai, Giuseppe Piccione, Francesco Paolo Rivas, Achille Patricolo, Giovanni Pernice, Giovanni Tamburello, Nicolò Tripiciano, Gaetano Vinci, Antonio Zanca. Si trattò di un'eccezionale proliferazione di realizzazioni proprio nel campo della produzione edilizia (ancor più che nelle arti figurative), verificatasi in gran parte del territorio dell'isola. Il protrarsi decisamente fuori tempo massimo della fortuna di quest'esperienza ha la sua manifestazione più eclatante nelle derivazioni di provincia prevalentemente influenzate dalla "cellula" propulsiva dell'Arte Nuova palermitana attivata da Ernesto Basile (a meno di Messina, per la cui ricostruzione il filone della "maniera" di Basile dovette fare i conti con i nuovi equilibri nazionali delle forze finanziarie, e dell'area di Siracusa, orientata ad un ubertoso florealismo dovuto alla esemplare direzione, di orientamento boitiano, del piemontese Giovanni Fusero della locale Regia Scuola d'Arte Applicata all'Industria). Ma non bisogna dimenticare che in Sicilia continua ad operare con grande qualità, quantomeno fino alla prima guerra mondiale, un irriducibile filone tradizionalista, del tutto impermeabile alla linea estetica modernista (ma anche alle sue derive di "consumo") e tuttavia portatore di specifici valori culturali; ne sono paladini Carlo Sada e i suoi bravi epigoni in area catanese e Giuseppe Damiani Almeyda con i suoi più validi allievi (fra cui Nicolò Mineo e Antonio Zanca) attivi a Palermo come del resto anche Francesco Paolo Palazzotto, una delle personalità più interessanti del tardo eclettismo italiano. È questa l'altra tendenza rispetto all'idea di Basile di coinvolgere artisti, progettisti e intellettuali in un'azione culturale collettiva tesa al raggiungimento di una "via latina" del programma di generale "riorganizzazione del visibile" propugnato dalla migliore cultura modernista internazionale. Un proposito che Basile, soprattutto a partire dal 1905, riesce a perseguire anche a livello regionale (e non solo) grazie alla presenza di significative figure della sua "scuola" nelle più dinamiche realtà urbane dell'isola: a Palermo con Ernesto Armò, Salvatore Benfratello, Enrico Calandra, Giuseppe Capitò, Salvatore Caronia Roberti, Giuseppe Di Giovanni, Salvatore Li Volsi Palmigiano, Antonio Lo Bianco, Giovan Battista Santangelo, Pietro Scibilia; a Catania con Francesco Fichera; a Messina con Camillo Autore e poi con Enrico Calandra (raggiunto successivamente da Giuseppe Samonà, anch'egli allievo di Basile ma della sua ultima stagione di docenza); a Caltagirone con Saverio Fragapane; a Licata con Filippo Re Grillo; a Trapani con Francesco La Grassa. Alcuni degli allievi di Basile operarono, con successo, anche in ambito continentale: Leonardo Paterna Baldizzi fu tra i primi a realizzare opere Liberty a Roma e a Napoli; sempre a Roma , oltre allo stesso Basile (che realizza significative architetture, fra cui l'ampliamento di Palazzo Montecitorio, la palazzina Vanoni, la villa di Rudinì e il Gran Cafè Faraglia), opera lungamente Francesco La Grassa; a Milano è attivo, per un periodo della sua carriera professionale, Giuseppe Di Giovanni; a Reggio Calabria e dintorni svolge parte della propria attività Camillo Autore; a Pisa si trasferisce per lungo tempo Salvatore Benfratello quale cattedratico del locale Ateneo. Le migliori espressioni dell'arte e dell'architettura (e principalmente di quest'ultima) del periodo Liberty in Sicilia sono conseguenza di un dialogo a distanza con correnti internazionali (ma solo se ritenute affini) instaurato dall'alveo di una locale tradizione di ricerca del nuovo (ne è esemplificativa l'eredità dell'eclettismo sperimentale di Giovan Battista Filippo Basile, padre di Ernesto, e le sue ascendenze, fino a risalire al periodo neoclassico, con il fondatore della cultura architettonica innovativa d'età contemporanea in Sicilia, Giuseppe Venanzio Marvuglia). Allo stesso modo l'intera società siciliana della fase finale della Belle Èpoque e dei primi Anni Ruggenti si sente depositaria di solide tradizioni ottocentesche. Una consapevolezza, questa, che contraddistingue i pur diversi modi di operare: nel campo imprenditoriale, con l'ultima generazione dei Florio e dei Whitaker, e con i Chiaramonte Bordonaro, i D'Alì, i Favitta, i Lanza di Scalea, i Lombardo Gangitano, i Majorca di Francavilla, i Manganelli, i Sanderson, i Tasca, i Trabia, i Verderame, ma anche con nuovi imprenditori, come Amoroso, Averna, Biondo, Castellano, Ducrot, Favara, Finocchiaro, Orlando, Pecoraino, Rutelli, Sandron, Sangiorgi, Scaglia, Utveggio, Velis coscienti della propria appartenenza ad una classe sociale dalla quale la collettività si aspettava molto. Sono soprattutto i Florio con Ignazio e la consorte Franca Iacona di Notarbartolo, contessa di San Giuliano, (coppia dotata, oltre che di una incalcolabile fortuna, di opportuni fascino, buon gusto e physique du rôle) e con Vincenzo, fratello minore del primo (tombeur de femmes e prototipo dello sportman di quegli anni), a fare della modernità una propria cifra distintiva. I Florio perseguono, infatti, una precisa "politica dell'immagine" (da qui il legame con Basile, con il mobiliere Ducrot, con pittori come De Maria, Cortegiani, Gregorietti, e con scultori come Civiletti, Ximenes e Ugo); tutte le loro azioni sociali (da quelle mondane a quelle filantropiche, da quelle promozionali a quelle politiche), il loro apparire, il loro intessere rapporti economici ma anche "diplomatici" (come nel caso dei reali d'Inghilterra, di Russia e di Germania) riflettono l'ideale di porsi come modello di una nuova Sicilia che, non più semplice fornitrice di materie prime, si proponeva nel nuovo circuito delle aree emergenti (pur con il permanere di drammatiche sperequazioni e sacche di miseria) come esportatrice di prodotti finiti e, quindi, anche di nuovi modelli comportamentali. Fra gli artisti, pittori come Abate, Catti, Cercone, Cortegiani, De Gregorio, De Maria Bergler, Di Giovanni, Enea, Gregorietti, Liotta Cristaldi, Lentini, Leto, Lojacono, Mirabella, Reina, Spina, Tomaselli, Vetri, Vicari, e scultori come Balistreri, Civiletti, Costantino, Delisi, Gangeri, Garufi, Geraci, Moschetti, Nicolini, Ragusa, Rutelli, Trentacoste, Ugo e Ximenes traghettano felicemente, anche se con disomogenee intensità e motivazioni, le loro precedenti esperienze nell'alveo della tendenza modernista, senza tuttavia rimanerne coinvolti fino in fondo (a meno di un circoscritto periodo artistico del nucleo riunitosi nel "cenacolo di Basile", formato da De Maria, Enea, Geraci, Gregorietti, Rutelli, Ugo e Ximenes). Altrimenti pittori come Corona, De Francisco, Rizzo, Terzi, Trombadori e scultori come Campini, D'Amore, Li Muli muovono solo i primi passi in ambito modernista per poi maturare significativi percorsi in altre direzioni della cultura artistica novecentesca. Alla compagine di intellettuali, artisti, imprenditori, statisti, scienziati e pensatori va aggiunta, infine, quella delle maestranze specializzate, che negli opifici e nelle miniere, così come nei cantieri edilizi e nelle botteghe artigiane dettero un contributo determinante allo sviluppo e alla fisionimia moderna della società siciliana di quel periodo a cavallo fra Ottocento e Novecento. Dunque, anche in considerazione della débâcle, avviata nella tarda fase dell'età giolittiana e drammaticamente maturata durante il Ventennio fascista, della propositività economica della Sicilia e quindi del conseguente declino della sua "società civile", era inevitabile una massiccia dispersione dei "documenti" (nell'accezione più ampia del termine) relativi alla cultura modernista in Sicilia; una condizione che nei tre decenni successivi alla Ricostruzione andrà drammaticamente di pari passo con indiscriminate manomissioni (soprattutto negli interni) e demolizioni che hanno pervicacemente aggredito l'integrità di un patrimonio culturale davvero considerevole.
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